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48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
50-DIAP
51-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
52-DISTANZA dai CONFINI
53-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA - DEMANIO MARITTIMO/LACUALE
54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
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107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
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111-SUE
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114-TENDE DA SOLE
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117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
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dossier COMPETENZE GESTIONALI
luglio 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - PATRIMONIO: E' illegittima l'ordinanza sindacale di sgombero di un'area comunale, abusivamente occupata nonché recintata, poiché viziata da incompetenza.
Il ricorso, che ha ad oggetto un’ordinanza di sgombero di un’area comunale occupata abusivamente dal ricorrente, va accolto, in quanto è fondato l’assorbente motivo dell’incompetenza del Sindaco, trattandosi di atto gestionale.
Invero, come noto, la ripartizione delle competenze amministrative tra gli organi politici e quelli burocratici va effettuata in base al principio generale di distinzione fra atti di gestione e atti d’indirizzo, che trova riscontro non solo nell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 18.08.2000, ma altresì, in termini generali, nell’art. 4 del d.lgs. n. 165 del 30.03.2001, il quale comporta che tutta l’attività gestionale rientra, unitamente alle scelte che le sono inerenti, nella sfera delle competenze dirigenziali, e non in quella degli organi politici.
Nella specie viene in considerazione un’ordinanza di sgombero di un’area abusivamente occupata, la quale rientra nella competenza dirigenziale, senza che a diversa conclusione possa addivenirsi sulla base del mero richiamo fatto dal Sindaco al comma 4-bis dell’art. 54 del TUELL, che presuppone e non fonda il potere di adozione dell’atto, che nella specie, come detto, è mancante.

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... per l’annullamento:
   - dell’ordinanza sindacale n. 13 del 23.04.2020, notificata il giorno 23 successivo, con la quale il Sindaco ha ordinato “lo sgombero per il rilascio immediato dell’area di proprietà del Comune di Cattolica Eraclea, ricadente sulle Via Filippo Turati - Arciprete Sebastiano Gentile, con la relativa bonifica e ripristino dello stato dei luoghi”;
...
Con ricorso, notificato il 20.06.2020 e depositato il 16 luglio successivo, il signor Mi.Fa. ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, dell’ordinanza n. 13 del 23.04.2020, con cui il Sindaco del Comune di Cattolica Eraclea gli ha intimato di sgomberare l’area ivi indicata, in quanto di proprietà pubblica e dallo stesso abusivamente occupata, nonché recintata, per i seguenti motivi:
   1) Violazione degli artt. 7 e 10-bis della l. n. 241 del 1990.
   2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del TUELL. Difetto dei presupposti e della motivazione. Sviamento e incompetenza.
   3) Eccesso di potere sotto i profili: della carenza di motivazione; del difetto di motivazione; della violazione del principio del legittimo affidamento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cattolica Eraclea che ha depositato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, poiché infondato, vinte le spese.
...
Il ricorso, che ha ad oggetto un’ordinanza di sgombero di un’area comunale occupata abusivamente dal ricorrente, va accolto, in quanto è fondato l’assorbente motivo dell’incompetenza del Sindaco, trattandosi di atto gestionale.
Invero, come noto, la ripartizione delle competenze amministrative tra gli organi politici e quelli burocratici va effettuata in base al principio generale di distinzione fra atti di gestione e atti d’indirizzo, che trova riscontro non solo nell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 18.08.2000, ma altresì, in termini generali, nell’art. 4 del d.lgs. n. 165 del 30.03.2001, il quale comporta che tutta l’attività gestionale rientra, unitamente alle scelte che le sono inerenti, nella sfera delle competenze dirigenziali, e non in quella degli organi politici (in termini CGA, sez. giur., 17.06.2016, n. 173).
Nella specie viene in considerazione un’ordinanza di sgombero di un’area abusivamente occupata, la quale rientra nella competenza dirigenziale, senza che a diversa conclusione possa addivenirsi sulla base del mero richiamo fatto dal Sindaco di Cattolica Eraclea al comma 4-bis dell’art. 54 del TUELL, che presuppone e non fonda il potere di adozione dell’atto, che nella specie, come detto, è mancante.
Tale considerazione era già stata fatta negli stessi termini nell’ordinanza cautelare di accoglimento, nella quale si era, altresì, fatto esplicito riferimento alla circostanza che “rimaneva impregiudicato il potere/dovere del Comune di riadottare l’atto, ove ritenga accertata, alla stregua della convenzione relativa al piano di lottizzazione, l’occupazione di un’area pubblica, mediante ordinanza dirigenziale” (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 01.07.2021 n. 2134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2020

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Ccnl dirigenti locali e potere di avocazione dei segretari comunali: è nullo, come nullo è l'atto di indirizzo del Comitato di settore, sul quale si tenta di fondarne la legittimità (31.07.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: L'illegittimità dell'avocazione degli atti dei dirigenti da parte del segretario accertata dalla Cassazione (20.07.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

COMPETENZE GESTIONALI: Organo competente al rilascio del permesso di costruire – art. 22, L.R. n. 19/2009; art. 107 del TUEL.
L'art. 107 del TUEL prevede il principio della separazione tra competenze gestionali dei dirigenti e funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente e in particolare attribuisce ai dirigenti “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e concessioni edilizie” (comma 3, lett. f).
La giurisprudenza amministrativa ha osservato che la concessione edilizia è un atto per sua natura vincolato, sicché rientra nell'ambito specifico della gestione amministrativa.
L'art. 22, comma 1, L.R. n. 19/2009, nell'ambito della competenza primaria della Regione, in materia di ordinamento degli enti locali e in materia urbanistica, dispone che “Il permesso di costruire è rilasciato dal Sindaco o dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale...".
In assenza di previsione statutaria dell'ente al riguardo, si ritiene che la competenza in ordine al rilascio del permesso di costruire sia del dirigente/responsabile del servizio, in applicazione del principio di separazione delle funzioni, di cui all'art. 107, del TUEL, riconducibile all'art. 97 della Costituzione, come affermato dalla Corte costituzionale.

Il Comune chiede un parere in merito all'organo competente a rilasciare il permesso di costruire, ai sensi dell'art. 22, L.R. n. 19/2009, tenuto conto che lo statuto comunale nulla prevede al riguardo e considerate le disposizioni di cui all'art. 107 del TUEL in ordine alla separazione tra competenze gestionali dei dirigenti e funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente.
Sentito il Servizio pianificazione paesaggistica, territoriale e strategica della Direzione centrale infrastrutture e territorio, competente ad esprimersi in particolare sull’interpretazione ed applicazione delle disposizioni del Codice regionale dell'edilizia, si espongono le seguenti considerazioni.
L'art. 22, comma 1, L.R. n. 19/2009, dispone che “Il permesso di costruire è rilasciato dal Sindaco o dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale, in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
L'art. 107 del TUEL ha attribuito ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dagli organi di governo dell'ente (comma 3) e, in particolare, “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e concessioni edilizie” (comma 3, lett. f).
Sul piano dell'ordinamento statale, dunque, la competenza a rilasciare il permesso di costruire spetta al dirigente comunale, nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici.
In tal senso, si è espressa la giurisprudenza amministrativa secondo cui “poiché il provvedimento di concessione edilizia non discende dall'esercizio di poteri di indirizzo e controllo spettanti agli organi politici comunali e non può, quindi, dirsi espressione dei loro compiti di definizione di obiettivi e programmi o di determinazione di direttive generali, ma è un atto, per sua natura vincolato, che rientra nell'ambito specifico della gestione amministrativa, esso deve ritenersi sottratto alla competenza dell'assessore delegato, appartenendo più propriamente alla sfera di attribuzione del dirigente
[1].
Peraltro, l'art. 107, comma 4, del TUEL, consente la deroga alle attribuzioni dei dirigenti e stabilisce che ciò può avvenire soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
In proposito si osserva che, secondo l’orientamento della Corte costituzionale, la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
[2]. E in particolare, la Consulta ha affermato che “l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, però, spetta al legislatore. [3]”.
Il legislatore regionale, nell'ambito della sua competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali e in materia urbanistica (art. 4, comma 1-bis e comma 12, dello Statuto del Friuli Venezia Giulia) ha previsto, all'art. 22 della L.R. n. 19/2009, che la competenza al rilascio del permesso di costruire spetta al sindaco o al dirigente, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale.
Il legislatore regionale, con la disposizione richiamata, ha inteso demandare allo statuto comunale –atto che stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente– la determinazione dell’organo competente in relazione all’adozione del permesso di costruire.
Atteso che lo statuto di codesto Comune non contiene un’espressa indicazione in ordine all’allocazione della competenza in argomento -fermo che spetta all’ente l’interpretazione delle proprie disposizioni statutarie- si ritiene che l’attribuzione di tale potere in capo al dirigente/responsabile del servizio derivi dall’applicazione del principio generale di separazione delle funzioni, di cui all’art. 107 del TUEL, espressione dell’art. 97 della Costituzione.
Si suggerisce, comunque, in via collaborativa, di procedere all’inserimento nello statuto di una disposizione che individui espressamente l’organo competente a rilasciare il permesso di costruire.
---------------
[1] Consiglio di Stato, sez. IV, 01.04.2011, n. 2050 e sez. V, 09.10.2007, n. 5232; conformi: TAR Sicilia, Catania, 10.12.2018, n. 2360, sulla natura vincolata di un provvedimento di diniego di concessione edilizia in sanatoria; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18.12.2007, n. 6674; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n. 1573.
[2] Si vedano Corte cost., sentenza 03.05.2013, n. 81 e le altre pronunce della Consulta ivi citate.
[3] La Corte precisa, inoltre, che “a sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione”
(17.07.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

giugno 2020

COMPETENZE GESTIONALI: Le disposizioni di legge precedenti all’entrata in vigore del T.u.e.l. debbono essere interpretate nel senso che, a fronte di previsioni di attribuzioni gestionali intestate a organi politici, il relativo potere di adozione deve intendersi trasferito al dirigente, salve le ipotesi di cui agli artt. 50 e 54 Tuel: è il caso dell’art. 378 della l. 20.03.1865 all. F, dell’art. 15 del decreto luogotenenziale 01.09.1918 n. 1446, e dell’art. 21, comma 5, del d.lgs. n. 285 del 1992.
---------------

12.1. La censura è infondata.
Essa si articola in due profili.
Il primo profilo attiene all’asserita incompetenza del dirigente ad adottare l’ordinanza di demolizione impugnata a favore del Sindaco.
L’emanazione da parte del dirigente dell’ordinanza di demolizione è in linea con il principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e di gestione amministrativa, quale corollario di imparzialità e buon andamento. Il principio, oggi sancito dal d.lgs. n. 165 del 2001 e che trova attuazione, nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali, nell’art. 107 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, comporta, infatti, l’attribuzione dell’attività di gestione amministrativa, tecnica e finanziaria ai dirigenti, che di regola adottano tutti i provvedimenti rilevanti all’esterno.
Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservano agli organi di governo dell’ente.
Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali, in particolare, i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale (art. 107, comma 3, lett. g, d.lgs. 18.08.2000, n. 267).
L’art. 107 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali) completa la disciplina dei poteri attribuiti al dirigente affermando che le attribuzioni di questi possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (comma 4) e specificando che, a decorrere dall'entrata in vigore del testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54 (comma 5).
Ciò comporta che le disposizioni di legge precedenti all’entrata in vigore del T.u.e.l. debbano essere interpretate nel senso che, a fronte di previsioni di attribuzioni gestionali intestate a organi politici, il relativo potere di adozione deve intendersi trasferito al dirigente, salve le ipotesi di cui agli artt. 50 e 54 Tuel: è il caso dell’art. 378 della l. 20.03.1865 all. F, dell’art. 15 del decreto luogotenenziale 01.09.1918 n. 1446, e dell’art. 21, comma 5, del d.lgs. n. 285 del 1992.
La competenza sull’affare deve dunque essere ascritta alla dirigenza, in virtù dell’art. 107 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 e non già al Sindaco, come prospetta invece l’appellante, giacché a tale organo sono devolute, giusta il disposto dell’art. 50 del medesimo testo unico, le sole funzioni espressamente riconosciute al medesimo dalla legge.
Del resto, in materia di vigilanza e adozione dei provvedimenti consequenziali in materia edilizia, i Titoli III e IV della parte I del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nel prevedere ipotesi di interventi pubblici repressivi non limitati all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, come nel caso di specie, dove oggetto della controversia è un ordine di demolizione, intestano espressamente la relativa competenza ai dirigenti.
Il profilo di dedotta incompetenza sopra analizzato risulta quindi infondato (CGARS, sentenza 11.06.2020 n. 425 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2019

COMPETENZE GESTIONALI - INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE - PUBBLICO IMPIEGOCompete al responsabile finanziario il recupero del salario accessorio erogato in eccesso.
Un regolamento comunale che ha previsto l'erogazione di compensi, contrattati con le organizzazioni sindacali, ma poi rilevatisi in eccesso rispetto alla normativa o al contratto nazionale, comporta il recupero dal personale che quelle risorse addizionali avesse indebitamente ricevuto.
La competenza al recupero delle somme, mediante trattenute nel limite del quinto dello stipendio, spetta al responsabile finanziario e non al responsabile del personale.
Inoltre, la decisione in via unilaterale dell'ente di correggere la parte del regolamento che dispone in difformità dalla legge e dal contratto, non viola le regole della contrattazione tutte le volte che si tratti di disposizioni di natura fiscale o previdenziale, essendo la contrattazione limitata alla definizione dei soli criteri e regole di ripartizione tra il personale dipendente.

Sono queste le conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato - Sez. V (sentenza 14.10.2019 n. 6953) che ha respinto le eccezioni dei dipendenti, sia sulla competenza del dirigente finanziario in materia di recupero delle somme indebite, sia della presunta violazione delle regole di contrattazione.
La vicenda
L'interpretazione autentica sulla corretta applicazione delle ritenute assistenziali e previdenziali, a carico dei fondi destinati ai compensi per le opere pubbliche, è avvenuta con la legge 266/2005 che ha finalmente chiarito, operando con effetto retroattivo, come la quota percentuale spettante ai dipendenti, per gli incentivi alla progettazione delle opere pubbliche, fosse comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'ente locale.
Al fine di rendere coerente il proprio regolamento con la disposizione legislativa, un Comune, che aveva considerato l'erogazione degli incentivi al netto delle componenti previdenziali e assistenziali a proprio carico, ha proceduto da un lato, a correggere in parte qua il regolamento e, dall'altro lato ad attivare le procedure di recupero delle somme erogate in eccesso al personale.
I dipendenti, dopo aver inutilmente adito il giudice del lavoro, si sono rivolti al giudice amministrativo, in considerazione della presunta violazione delle disposizioni del contratto decentrato e dell'affidamento in buona fede per le somme ricevute. Avendo il tribunale amministrativo di primo grado respinto le eccezioni di presunta illegittimità del recupero disposto, il ricorso è proseguito davanti al Consiglio di Stato.
I punti di contestazione sollevati dai dipendenti riguardavano sia l'incompetenza del dirigente finanziario al ricalcolo delle somme dovute e al successivo prelievo nel quinto dello stipendio, sia la violazione delle regole della contrattazione per aver l'amministrazione proceduto in via unilaterale anziché riportare in contrattazione le modifiche regolamentari considerate illegittime.
Le indicazioni del Consiglio di Stato
Secondo i giudici amministrativi d'appello le doglianze dei dipendenti sono infondate. In merito, infatti, alla competenza del responsabile finanziario, rispetto a quello del servizio del personale, il collegio ha detto che spetta al responsabile della ragioneria il calcolo dei compensi pagati in eccesso e del conseguente recupero sugli stipendi del personale, trattandosi di effetti limitati e di natura squisitamente contabile.
Al contrario, spetta al responsabile del servizio del personale una competenza più estesa che va dalla costituzione del fondo, alla definizione dei criteri e della modalità del riparto e delle percentuali del compenso incentivante, attività queste non incise dal recupero delle somme eccedenti che riguardavano esclusivamente lo scorporo delle ritenute assistenziali e previdenziali poste erroneamente in capo al Comune.
Non merita, inoltre, condivisione l'eccezione formulata dai ricorrenti sulla illegittimità della modifica unilateralmente del regolamento. Sul punto, rileva il Consiglio di Stato, la legge demanda alla contrattazione collettiva e alla normativa regolamentare la sola previsione dei criteri e delle modalità di riparto della somma e la percentuale per le diverse tipologie di lavori, ma non problematiche di natura fiscali o previdenziali che vanno poste al di fuori dei principi di contrattazione.
Possibile estensione della decisione
I principi enunciati dal Consiglio di Stato potrebbero essere estensibili anche ad altre fattispecie di regolamenti eventualmente adottati dagli enti locali.
Il primo potrebbe riguardare gli incentivi tributari, qualora il regolamento avesse disposto di ritenere le risorse escluse anche in presenza di un bilancio approvato dopo il 31/12 ma entro il termine del differimento disposto dal ministero dell'Interno (Corte dei conti Emilia Romagna deliberazione n. 52/2019 e, più di recente, Sezione Lombardia delibera n. 412/2019).
Il secondo potrebbe fare riferimento al regolamento sui compensi alle avvocature interne nel caso di mancato scorporo dell'Irap così come evidenziato nella sentenza n. 21398/2019 della Cassazione (si veda il quotidiano degli enti locali e della Pa del 29 agosto).
In ultimo, il regolamento sugli incentivi tecnici allorché avesse disciplinato effetti retroattivi del regolamento considerando le risorse escluse dai limiti del salario accessorio in presenza di attività effettuate prima del 2018 (si veda il quotidiano degli enti locali e della Pa del 4 novembre) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 25.11.2019).

settembre 2019

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALINel nuovo ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco, sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo di valenza esterna.
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  Rilevato che
   - il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
   - per un verso si tratterebbe, in tesi, di omessa pronuncia sull'eccezione, in senso lato, indicata come formulata, e non del dedotto omesso esame, il cui regime normativo fa diversamente riferimento a un fatto storico discusso in istruttoria;
   - per altro verso i ricorrenti indicano di aver proposto l'eccezione in una non meglio specificata memoria di replica, senza chiarire quindi se sia stato un atto meramente illustrativo facente parte della discussione scritta finale, ovvero di altro atto assertivo, con una violazione degli artt. 366, nn. 3 e 6, cod. proc. civ., che non permette di constatare se si tratti di questione nuova, e come tale in questa sede preclusa, essendo sotteso, al rilievo, possibile anche d'ufficio, un accertamento in fatto (la presenza o meno della delibera, in funzione della decisione sulla sussistenza di valida procura);
   - nel merito, infine, la questione sarebbe stata comunque infondata, poiché questa Corte ha chiarito che, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco, sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo di valenza esterna (Cass., 23/03/2016, n. 5802, pag. 3, Cass., 21/06/2018, n. 16459, pagg. 4-5) (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 10.09.2019 n. 22526).

agosto 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: L’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006, sulla cui base è stata adottata l’ordinanza in questione, prevede espressamente, al comma 3, che spetti al Sindaco l'adozione dell'ordinanza con cui dispone le operazioni necessarie alla rimozione, all'avvio a recupero e allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi, fissando altresì il termine entro cui provvedere, decorso il quale si procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate; e la giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, ha ribadito in diverse pronunce tale indicazione di competenza.
Come affermato dalla giurisprudenza, infatti, il suddetto art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, che attribuisce espressamente al Sindaco la competenza ad emanare ordinanze in materia di rimozione dei rifiuti, prevale sulla norma generale di cui all’art. 107, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000, in quanto disposizione speciale sopravvenuta.
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è stata adottata dal Responsabile dell'Area Tecnica del Comune invece che dal Sindaco, per cui la stessa è da ritenersi viziata per incompetenza.

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... per l'annullamento dell'ordinanza n. 11 prot. 3459 del 12.6.2013 del Responsabile dell'Area Tecnica del Comune di Trevenzuolo, notificata il 20.06.2013, con cui si è ordinato al Consorzio di Bonifica Veronese -ed in caso di inottemperanza di quest'ultimo ai proprietari dei terreni- la rimozione e smaltimento dei rifiuti solidi e dei limi nella fascia di competenza identificata al foglio 28, mappali 23, 106, 24, 25 del Comune di Trevenzuolo e il ripristino dello stato dei luoghi entro trenta giorni dal ricevimento dell'atto, con invio all'Area Tecnica di copia della regolare documentazione di avvenuto smaltimento nonché degli esiti del campionamento delle matrici ambientali;
...
Con ordinanza n. 11, prot. n. 3459, del 12.06.2013 (doc. n. 2 in atti primo deposito ricorrente), il Responsabile dell'Area Tecnica del Comune di Trevenzuolo ha ordinato al Consorzio di Bonifica Veronese la rimozione e smaltimento dei rifiuti solidi e dei limi nella fascia di competenza identificata al foglio 28, mappali 23, 106, 24, 25 del Comune di Trevenzuolo e il ripristino dello stato dei luoghi, entro trenta giorni dal ricevimento dell’atto, con invio all'Area Tecnica di copia della regolare documentazione di avvenuto smaltimento nonché degli esiti del campionamento delle matrici ambientali.
Nell’ordinanza si disponeva inoltre che, in caso di inottemperanza da parte del Consorzio di Bonifica, all'esecuzione del provvedimento avrebbero dovuto dare corso, nei successivi trenta giorni dalla notifica di apposita comunicazione del Comune, i proprietari dell’area, e si avvisava che, in caso di inottemperanza, il Comune avrebbe proceduto all'esecuzione degli interventi in danno del soggetto obbligato, con recupero delle spese e fatta salva l'applicazione delle sanzioni conseguenti alla violazione.
L’ordinanza è stata adottata sulla base delle segnalazioni dell’ARPAV che, a seguito di un sopralluogo eseguito il 07.04.2011 lungo un tratto del fossato del corso d’acqua Gamandone, in cui erano stati effettuati dei lavori di escavazione di limo in data 10.03.2011 da parte del Consorzio di Bonifica, aveva comunicato che nel materiale estratto e depositato lungo l'argine risultavano presenti rifiuti mescolati al sedimento e concentrazioni di cobalto e stagno superiori ai limiti di legge (come da analisi effettuate), che impedivano il riutilizzo in loco del sedimento stesso.
Il superamento dei limiti di concentrazione era stato confermato anche dalle analisi del 06.02.2013, commissionate dal Comune alla ditta Galileo Servizi.
Il 23.04.2013, si era tenuta, quindi, una riunione di coordinamento promossa dal Comune di Trevenzuolo (presenti anche i rappresentanti di ARPAV, della Provincia di Verona Settore Ambiente e del Consorzio di Bonifica), nelle cui conclusioni si prevedeva che “il Comune di Trevenzuolo e/o il Consorzio, anche di comune accordo, procederanno alla rimozione ed avvio a recupero/smaltimento (il Consorzio parteciperà alla sola rimozione) dei sedimenti e degli altri rifiuti presenti nell'area in questione, depositati sul suolo e nel suolo, sulla base di un Programma di smaltimento approvato dal Comune, ai sensi della DGRV 3560/1999” (verbale Conferenza di servizi trasmesso dalla Provincia di Verona, doc. n. 6 in atti primo deposito ricorrente), salva l'effettuazione di verifiche di fondo scavo del canale Gamandone per accertare la potenziale contaminazione della matrice ambientale, anche in relazione agli scarichi della ditta Anodall, indicata come possibile responsabile della predetta contaminazione (come riferito nel verbale della riunione di coordinamento e nella comunicazione 08.05.2013 a firma del Responsabile del Settore Area Tecnica del Comune di Trevenzuolo).
Successivamente, il Comune, con una “nota integrativa alla riunione del 23.04.2013” dell'08.05.2013, comunicava al Consorzio e agli altri partecipanti alla riunione che “il Comune di Trevenzuolo non intende accollarsi responsabilità imputabili ad altri soggetti e sostenerne le relative spese. Inoltre, essendo la procedura in ambito art. 192 del D. Lgs. 152/2006, indipendentemente da quanto stabilito in sede di riunione di coordinamento, rimane di esclusiva competenza comunale…”, e precisava che “il deposito dei sedimenti scavati dal fosso Gamandone, realizzato sull'argine del fossato stesso è da considerarsi come deposito/abbandono incontrollato di rifiuti ai sensi dell'art. 192 del D.Lgs. 152/2006 da parte del Consorzio di Bonifica Veronese. Pertanto il Comune di Trevenzuolo provvederà immediatamente a comunicare avvio di procedimento ai sensi art. 7-8-9-10 Legge 241/1990 al Consorzio di Bonifica Veronese ed ai proprietari dei terreni, che rispondono in solido, affinché provveda entro il termine indicato ad eseguire quanto indicato in tema di smaltimento e verifiche analitiche sullo sfondo dello scavo accordate in sede di riunione di coordinamento…” (doc. n. 12 in atti primo deposito ricorrente).
Il Comune ha, quindi, comunicato l’avviso di avvio del procedimento (nota del 10.05.2013, prot. n. 2743, doc. n. 3 in atti primo deposito ricorrente) finalizzato all’adozione dell’ordinanza per abbandono e deposito incontrollato di rifiuti ex art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e ha adottato l'ordinanza impugnata in questa sede, confermando poi, in riscontro a quanto comunicato dal Consorzio con nota del 19.06.2013, le proprie prese di posizione con lettera del 25.06.2013 (doc. n. 13 in atti primo deposito ricorrente).
Il Consorzio, al solo fine di garantire la tutela dell'ambiente e in particolare del suolo e del sottosuolo dei terreni in cui sono stati depositati i materiali prelevati nel fossato Gamandone, tenendo altresì conto della paventata comminatoria delle sanzioni, anche penali, derivanti dalla mancata esecuzione dell'ordinanza, e riservandosi ogni iniziativa volta all'accertamento dell’illegittimità degli atti posti in essere dal Comune, nonché al recupero delle spese ed al risarcimento dei danni (vedi nota prot. 12665 del 26.07.2014, doc. 14 in atti primo deposito ricorrente), ha proceduto alla rimozione e smaltimento del materiale depositato lungo il fossato, previa approvazione del piano di smaltimento da parte del Comune.
Il Consorzio, con il presente ricorso, impugna l’ordinanza comunale e i relativi atti presupposti e connessi, lamentandone l’illegittimità per i seguenti motivi di ricorso: ...
...
Il ricorso è fondato e va accolto con riferimento all’assorbente vizio di incompetenza dedotto dal ricorrente Consorzio con il primo motivo di ricorso.
L’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006, sulla cui base è stata adottata l’ordinanza in questione, prevede, infatti, espressamente, al comma 3, che spetti al Sindaco l'adozione dell'ordinanza con cui dispone le operazioni necessarie alla rimozione, all'avvio a recupero e allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi, fissando altresì il termine entro cui provvedere, decorso il quale si procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate; e la giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, ha ribadito in diverse pronunce tale indicazione di competenza.
Come affermato dalla giurisprudenza, infatti, il suddetto art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, che attribuisce espressamente al Sindaco la competenza ad emanare ordinanze in materia di rimozione dei rifiuti, prevale sulla norma generale di cui all’art. 107, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000, in quanto disposizione speciale sopravvenuta (Cons. Stato, sez. V, n. 1684 del 2019; id., n. 4230 del 2017; id., n. 58 del 2016; id., n. 4635 del 2012; id., n. 3765 del 2009; TAR Campania Napoli, n. 1409 del 2018 e n. 3533 del 2017; TAR Puglia Bari n. 1232 del 2018; TAR Lombardia Brescia, n. 18 del 2019; Tar Veneto, n. 313 del 2019; TAR Campania, Salerno, n. 1644 del 2012; TAR Emilia Romagna, Bologna, n. 61 del 2011).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è stata adottata dal Responsabile dell'Area Tecnica del Comune invece che dal Sindaco, per cui la stessa è da ritenersi viziata per incompetenza, con conseguente accoglimento del primo motivo di ricorso ed assorbimento delle restanti censure, in coerenza con le statuizioni di cui a Cons. Stato Ad. Plen. n. 5/2015 (in particolare par. 8.3.1), considerato che il giudice amministrativo non può esprimersi su poteri amministrativi non ancora esercitati dall’organo competente.
L'accoglimento della domanda di annullamento per vizio di incompetenza, con il conseguente necessario riesercizio del potere, esclude allo stato la sussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno (cfr., da ultimo, Cons. Stato, n. 6320 del 2108, secondo cui l'annullamento del provvedimento per vizi formali “…in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto nel provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale (come il risarcimento del danno)…omissis…prima del riesercizio dell'azione amministrativa, è impossibile enucleare la configurabilità di un collegamento causale tra il danno lamentato ed il comportamento procedimentale dell'Amministrazione”; Cons. Stato n. 318 del 2014; vedi anche, tra le altre, Tar Catania, n. 966 del 2019) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 26.08.2019 n. 943 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

luglio 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALICome è noto, il provvedimento amministravo in sede giurisdizionale va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto, risalendo al potere concretamente esercitato dall'amministrazione e prescindendo dal nomen iuris che gli è stato assegnato.
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Nel caso all’esame, l’espresso riferimento all’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152 quale unica fonte normativa del potere esercitato e, nel dispositivo del provvedimento, l’avvertimento che in caso di inottemperanza si sarebbe proceduto come previsto dal comma 3 del medesimo articolo con riserva di trattenere gli importi per i costi sostenuti dal Comune mediante compensazione sulle somme in liquidazione dovute per le attività relative ai contratti in servizio in essere, con chiaro riferimento alla possibilità di esecuzione in danno del soggetto obbligato ed al recupero delle somme anticipate dal Comune in caso di inadempimento, conducono in modo univoco a qualificare il provvedimento impugnato come un vero e proprio ordine di rimozione rifiuti e non come una mera diffida.
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Il ricorso deve essere accolto perché il provvedimento è stato adottato dal dirigente anziché dal Sindaco nonostante l’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152, attribuisca espressamente a quest’ultimo l’emanazione delle ordinanze di rimozione rifiuti con norma di carattere speciale e successiva, in quanto tale prevalente sulla norma generale di cui all’art. 107, comma 5, del Dlgs. 18.08.2000, n. 267.
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... per l'annullamento del provvedimento del Comune di Venezia, di data incerta, con il quale il Comune di Venezia, relativamente all'area denominata “ex Officina Gas di San Francesco della Vigna Venezia”, ha diffidato la ricorrente “all'esecuzione delle operazioni di asporto e smaltimento dei rifiuti abbandonati nell'area ex Officina Gas di San Francesco della Vigna Venezia” entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento e con termine massimo per l'esecuzione di 120 giorni;
...
E’ vero infatti che il provvedimento impugnato formalmente si limita a diffidare la Società ricorrente alla rimozione dei rifiuti.
Tuttavia, come è noto, il provvedimento amministravo in sede giurisdizionale va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto, risalendo al potere concretamente esercitato dall'amministrazione e prescindendo dal nomen iuris che gli è stato assegnato (ex pluribus cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 24.07.2018, n. 4522).
Nel caso all’esame l’espresso riferimento all’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152 quale unica fonte normativa del potere esercitato e, nel dispositivo del provvedimento, l’avvertimento che in caso di inottemperanza si sarebbe proceduto come previsto dal comma 3 del medesimo articolo con riserva di trattenere gli importi per i costi sostenuti dal Comune mediante compensazione sulle somme in liquidazione dovute per le attività relative ai contratti in servizio in essere, con chiaro riferimento alla possibilità di esecuzione in danno del soggetto obbligato ed al recupero delle somme anticipate dal Comune in caso di inadempimento, conducono in modo univoco a qualificare il provvedimento impugnato come un vero e proprio ordine di rimozione rifiuti e non come una mera diffida.
Ciò premesso, il ricorso deve essere accolto perché il provvedimento è stato adottato dal dirigente anziché dal Sindaco nonostante l’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152, attribuisca espressamente a quest’ultimo l’emanazione delle ordinanze di rimozione rifiuti con norma di carattere speciale e successiva, in quanto tale prevalente sulla norma generale di cui all’art. 107, comma 5, del Dlgs. 18.08.2000, n. 267 (cfr. ex pluribus Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 07.01.2019, n. 18; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 20.09.2018, n. 1230; Tar Lecce, Sez. II, 26.06.2018, n. 1072; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.01.2016, n. 57).
Il vizio di incompetenza comporta l’assorbimento delle altre censure (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. V, 30.05.2018, n. 3589; Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 13.04.2018, n. 1011; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27.04.2015 n. 5) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 17.07.2019 n. 853 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI - COMPETENZE GESTIONALISulle esclusioni dalla gara decide il dirigente e non la giunta.
L'adozione del provvedimento di esclusione dal procedimento di gara compete al dirigente. Per gli enti locali, questa prerogativa trova una puntuale disciplina nell'articolo 107 del decreto legislativo 267/2000; agli organi politici compete, invece, una mera competenza residuale, di indirizzo e controllo, ma non su atti gestionali.

Ciò è quanto precisa il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 16.07.2019 n. 4997.
La vicenda
Nelle procedure d'appalto (come di concorso) gli atti gestionali sono di esclusiva competenza della dirigenza e non dell'organo politico. La giunta comunale (articolo 48 Dl 267/2000) ha una competenza di indirizzo e controllo e quindi su atti che si situano in un ambito differente rispetto a quello della gestione.
Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello avverso il provvedimento di esclusione da una gara (il Collegio non ha ritenuto persuasivi neppure gli altri motivi d'appello). Il ricorrente riteneva che la competenza sulle esclusioni rientrasse tra le prerogative giuntali.
La sentenza, al di là della precisazione ovvia, sotto il profilo pratico/operativo ha riproposto la questione non definitivamente chiarita in tema di poteri decisori, e quindi di competenza sull'adozione dei provvedimenti «interni», del procedimento d'appalto, a valenza esterna. Si pensi, per tutti, ai provvedimenti di esclusione post verifica formale dei requisiti o post verifica dell'anomalia dell'offerta nel caso in cui la procedura sia caratterizzata dalla presenza di un responsabile unico del procedimento non dirigente.
Dal disegno del codice dei contratti e secondo le indicazioni delle linee guida dell'Anac (n. 3 espressamente dedicate al Rup e ai bandi tipo) emerge la centralità del Rup (a prescindere dalla categoria di appartenenza, infatti, questo può essere anche un funzionario non necessariamente un dirigente) con attribuzione di poteri decisori e quindi anche di una competenza ad adottare atti «intermedi» (come le esclusioni adottate in corso di procedimento) ma direttamente lesivi e quindi «a valenza esterna».
Il codice dei contratti, in sostanza, avrebbe creato un modello operativo diverso da quello declinato, in generale, per il responsabile del procedimento previsto dalla legge 241/1990. In quest'ultimo caso, qualora il responsabile del procedimento non coincida con il dirigente/responsabile del servizio, deve limitarsi a predisporre la proposta di provvedimento per il soggetto competente (articolo 6, comma 1, lett. e), della legge 241/1990).
Nel caso del Rup funzionario, e quindi tecnicamente di un soggetto che non è legittimato ad adottare atti a valenza esterna, questi poteri decisori sembrerebbero confermati, almeno quale competenza residuale ovvero qualora gli atti di gara non dispongano diversamente. L'aspetto pratico/operativo, evidentemente, non è di poco conto e nelle gestioni dei procedimenti di gara si assiste, oggettivamente, a comportamenti diversi.
Considerazioni
Se l'affermazione del giudice di Palazzo Spada dovesse assumersi come assoluta, evidentemente, negli enti locali non vi sarà spazio per poteri decisori del Rup nella fase endoprocedimentale (del procedimento contrattuale). Questo aspetto dovrebbe trovare un esplicito chiarimento. E in questo senso, il prossimo regolamento attuativo, a cui è stata assegnata la prossima disciplina delle competenze del Rup, dovrebbe chiarire necessariamente quale sia l'ambito concreto delle azioni/provvedimento che il responsabile unico può compiere/adottare.
Sono questioni, come si può facilmente intuire, estremamente delicate che non possono che essere risolte per norma. In questo senso va registrata positivamente la scelta della legge regionale della Sardegna sugli appalti 8/2018 con la quale è stato chiarito che il responsabile unico del procedimento (nella legge denominato «responsabile di progetto») non può adottare atti a valenza esterna se non è dirigente. Riabilitando, in sostanza, l'applicazione delle norme della legge 241/1990 e dell'articolo 107 del decreto legislativo 267/2000 (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.07.2019).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIIl Sindaco può ordinare la rimozione dei rifiuti (il loro recupero o lo smaltimento) e il ripristino dello stato dei luoghi anche al proprietario del fondo, sempre che, tuttavia, la violazione del divieto dell’abbandono e del deposito incontrollato di rifiuti gli sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, adeguatamente accertata in contraddittorio dagli organi di controllo.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, in più occasioni, che la condanna del proprietario del suolo agli adempimenti di cui all’art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006, n. 152, necessita di un serio accertamento della sua responsabilità da effettuarsi in contraddittorio, ancorché fondato su presunzioni e nei limiti della esigibilità qualora la condotta sia imputata a colpa, pena la configurazione di una responsabilità da posizione in chiaro contrasto con l’indicazione legislativa.
Si è aggiunto, altresì, che la responsabilità solidale del proprietario può essere imputabile a colpa omissiva, consistente nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia e protezione dell'area, e segnatamente per impedire che su di essa possano essere depositati rifiuti.
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La questione della competenza ad adottare l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati e ripristino dello stato dei luoghi ex art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006, n. 152 è stata già affrontata e risolta nel senso dell’appartenenza al Sindaco.
E’ stato convincentemente affermato che l’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152, nel prevedere espressamente la competenza del Sindaco, è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107 (Funzioni e responsabilità della dirigenza), comma 5, d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per il quale “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I del titolo III l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’articolo 50, comma 3, e dall’articolo 54” e su di essa prevalente.
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4. Il motivo è fondato e va accolto.
4.1. Con l’ordine impugnato il Comune di Binetto ha esercitato il potere previsto dall’art. 192 (“Divieto di abbandono rifiuti”), comma 3, d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”) per il quale: “Fatta salva l’applicazione della sanzione di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Il Sindaco può ordinare la rimozione dei rifiuti (il loro recupero o lo smaltimento) e il ripristino dello stato dei luoghi anche al proprietario del fondo, sempre che, tuttavia, la violazione del divieto dell’abbandono e del deposito incontrollato di rifiuti gli sia imputabile a titolo di dopo o di colpa, adeguatamente accertata in contraddittorio dagli organi di controllo.
4.2. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, in più occasioni, che la condanna del proprietario del suolo agli adempimenti di cui all’art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006, n. 152, necessita di un serio accertamento della sua responsabilità da effettuarsi in contraddittorio, ancorché fondato su presunzioni e nei limiti della esigibilità qualora la condotta sia imputata a colpa, pena la configurazione di una responsabilità da posizione in chiaro contrasto con l’indicazione legislativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28.05.2019, n. 3518; sez. IV, 07.06.2018, n. 3430; IV, 12.04.2018, n. 2195; sez IV, 25.07.2017, n. 3672; sez. V, 08.03.2017, n. 1089; sez. IV, 01.04.2016, n. 1301).
4.3. Si è aggiunto, altresì, che la responsabilità solidale del proprietario può essere imputabile a colpa omissiva, consistente nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia e protezione dell'area, e segnatamente per impedire che su di essa possano essere depositati rifiuti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28.05.2019, n. 3518; sez. III, 01.12.2017, n. 5632).
4.4. Dall’esame del provvedimento impugnato risulta che il Comune di Binetto non ha svolto attività di accertamento della responsabilità del Gi. per violazione del divieto di abbandono dei rifiuti sul suolo; nella motivazione, infatti, si riferisce solo della presenza di rifiuti pericolosi in due sopralluoghi effettuati a distanza di diversi mesi da soggetti diversi (il primo dai Rangers d’Italia, il 29.10.2013, e il secondo, dalla Polizia locale il 07.02.2014) e si afferma il totale abbandono del fondo.
E’ solo nelle memorie depositate nel giudizio di primo grado che il Comune ha chiarito che l’abbandono dei rifiuti sul suolo era imputabile al Gi. a titolo di colpa omissiva per non aver prestato la dovuta e necessaria vigilanza, disinteressandosi completamente di quel che accadeva nel proprio fondo e così favorendo ed incentivando lo scarico dei rifiuti ad opera di terzi sulla sua proprietà.
Il giudice di primo grado ha aggiunto, poi, che l’omessa recinzione del fondo e la mancanza di denunce alle autorità restituivano un quadro –quanto meno– di colposo abbandono del fondo.
4.5. Ritiene il Collegio che la carente illustrazione, nella motivazione del provvedimento, di circostanze di fatto presuntive del disinteresse del proprietario, che avrebbe per questo colposamente lasciato che rifiuti venissero abbandonati sul suo fondo, non possa essere superata né dalle argomentazioni difensive spese in giudizio, né tanto meno da un’attività valutativa effettuata dal giudice.
E’ onere, invece, dell’amministrazione comunale, in primo luogo, richiedere informazioni al proprietario sulla gestione del fondo (ad es. da quando tempo non coltivava, da quando non vi si recava, in che modo intendeva utilizzarlo), così da rendere effettivo quel contraddittorio cui fa riferimento l’art. 192, comma 3, cit. e, solo completata tale fase di indagine, valutare se il proprietario si sia realmente disinteressato alle sorti del fondo, dandone conto del convincimento raggiunto nella motivazione del provvedimento.
4.6. Non può mancare, inoltre, negli ordini di rimozione dei rifiuti a carico dei proprietari la contestualizzazione delle misure di diligenza e cautela richieste alla collocazione del fondo: misure di diligenze e cautele accresciute –rivolte ad evitare che sul fondo possano essere depositati rifiuti da terzi– sono tanto più necessarie quanto più è nota la densità criminale ove il fondo è collocato (per essere, ad esempio, presenti organizzazioni criminali operanti nel traffico dei rifiuti pericolosi).
Nel contesto di tale accertamento potrà valutarsi l’idoneità del tipo di recinzione del fondo adottato dal proprietario, che, altrimenti, anche il muretto a secco, criticato negli scritti difensivi del Comune, ma caratteristico di talune zone del territorio italiano, è recinzione idonea allo scopo, suo proprio, di delimitare il confine dei fondi.
4.7. In conclusione, sussiste la violazione dell’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152 cit. per mancata attivazione del contraddittorio con il proprietario del fondo, come pure il vizio di omessa motivazione; la sentenza di primo grado va riformata sul punto. L’accoglimento del primo motivo di appello per le ragioni poc’anzi espresse consente di assorbire il terzo motivo di appello con il quale era lamentata l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 l. 07.08.1990, n. 241.
5. Con il secondo motivo di appello il Gi. contesta la sentenza di primo grado per “Error in procedendo et in iudicando. Violazione di legge per falsa applicazione del D.Lgs. 152/2006 art. 192, comma 3, incompetenza del funzionario”.
Sostiene l’appellante che la competenza ad adottare l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati e ripristino dello stato dei luoghi appartiene al Sindaco e non al dirigente comunale; il provvedimento impugnato, sottoscritto dal “Responsabile del IV settore” del Comune di Binetto sarebbe, dunque, viziato da incompetenza e la sentenza di primo grado, che ne ha confermato la legittimità, erronea.
6. Il motivo è fondato e va accolto.
6.1. La questione della competenza ad adottare l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati e ripristino dello stato dei luoghi ex art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006, n. 152 è stata già affrontata e risolta nel senso dell’appartenenza al Sindaco (da ultimo, in Cons. Stato, sez. V, 14.03.2019, n. 1684, che ha specificato che l’incompetenza del “Responsabile del settore” sussiste anche in caso di delega a suo favore adottata dal dirigente del settore; Cons. Stato, sez. IV, 21.01.2019, n. 509).
6.2. E’ stato convincentemente affermato che l’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152, nel prevedere espressamente la competenza del Sindaco, è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107 (Funzioni e responsabilità della dirigenza), comma 5, d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per il quale “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I del titolo III l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’articolo 50, comma 3, e dall’articolo 54” e su di essa prevalente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.04.2018, n. 2195; V, 11.01.2016 n. 57; ma già V, 25.08.2008, n. 4061).
6.3. La sentenza di primo grado che ha fatto proprio il diverso orientamento per il quale la competenza spetta al dirigente del settore, va riformata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2019 n. 4781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Il comune è incompetente all'adozione dell'ordinanza che impone un piano di caratterizzazione essendo la competenza della Provincia (ndr: fatti salvi i disposti della legislazione regionale concorrente in materia).
L’art. 244, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 prescrive che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”.
In base a questa disposizione, emerge che l’ente deputato a curare la gestione delle attività di bonifica e, dunque, delle attività ad essa prodromica e strumentali sia la Provincia.
La deduzione, oltre che dal chiaro tenore letterale della norma, è supportata anche da precedenti del giudice amministrativo che ha avuto modo di statuire che il comune è incompetente all'adozione dell'ordinanza che impone un piano di caratterizzazione, in quanto “l'art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006, al comma 2, [dispone] che "La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte a identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo" e al comma 3 che "L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'art. 253”.
In linea generale, è stato anche osservato come rispetto alle attività ascrivibili a questa fase la competenza permanga sempre in capo alla Provincia, anche in quei casi in cui il privato si attivi spontaneamente, ribadendosi, per quel che qui interessa, la competenza di tale ente locale.
Altresì, “La facoltà di intervento spontaneo da parte del proprietario nell'ambito del procedimento di bonifica non elide il dovere della Provincia di attivarsi per l'individuazione dell'autore dell'inquinamento, attraverso l'apertura del procedimento previsto dall'art. 244 del D.Lgs. n. 152 del 03.04.2006. Il compimento da parte dell'amministrazione dell'attività diretta ad accertare il responsabile è una specifica e doverosa attività che l'ordinamento impone all'amministrazione, sia a garanzia degli interessi pubblici sottesi al principio "chi inquina paga", sia a tutela dell'integrità patrimoniale del proprietario incolpevole, che abbia sostenuto, direttamente o indirettamente, l'onere economico del ripristino”.
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Anche qualora si volesse, in ipotesi, ritenere sussistente la competenza del Comune all’adozione dell’atto gravato, permarrebbe il vizio censurato di incompetenza del soggetto firmatario.
Ed infatti, in ragione del chiaro tenore letterale dell’art. 192 T.U., anche a volere riportare nell’alveo di questa norma i poteri espressi nel caso in esame, dovrebbe statuirsi la competenza del Sindaco in luogo del Dirigente comunale, con analoga statuizione di incompetenza.
Sul punto, può ricordarsi quanto statuito di recente dal Consiglio di Stato: “Il Responsabile dell'ufficio tecnico comunale è competente ad adottare nei confronti di A.N.A.S. un'ingiunzione alla rimozione dei rifiuti abbandonati. Il medesimo Responsabile è invece incompetente ad adottare un ordine di bonifica, decontaminazione e risanamento igienico del sito, trattandosi di adempimenti che vanno oltre la gestione e pulizia delle strade, e sono strettamente espressione di un rimedio sanzionatorio per la violazione del divieto dei abbandono dei rifiuti, rientrante nell'ambito di operatività dell'art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Il comma 3 dell'art. 192 enuclea, infatti, tale competenza in capo al Sindaco”.
Analogamente, il medesimo autorevole consesso ha ricordato che “In materia di competenza ad emanare l'ordinanza di rimozione dei rifiuti, se del Sindaco o del Dirigente, si sono succedute nel tempo diverse normative: il D.Lgs. n. 22/1997, art. 14; il D.Lgs. n. 267/2000, art. 107, comma 5; il D.Lgs. n. 152/2006, art. 192, comma 3, la prima e l'ultima delle quali attribuiscono la competenza al Sindaco. Va ritenuto competente il sindaco ad emanare le ordinanze in materia, ex art. 14 D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 (decreto Ronchi), anche successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL) e fino all'entrata in vigore del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (Codice ambientale), che ha ribadito tale competenza”.
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... per l'annullamento, dell’ordinanza prot. n. 88/07, del 27.07.2007, del Comune di Angri, avente ad oggetto la presentazione di un progetto rimozione e trasporto di rifiuti in discarica;
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Con ordinanza n. 88 del 27.07.2007, il Comune intimato ordinava alla società ricorrente e ai sigg. Ca.Ch. e An.Br. di provvedere alla presentazione di un progetto per la caratterizzazione, rimozione e trasporto presso una discarica autorizzata dei rifiuti collocati illecitamente in un’area ubicata in Angri, località Campia, nonché alla relativa bonifica ambientale del sito.
Il provvedimento emanato scaturiva da una serie di atti istruttori e sopralluoghi compiuti dalla locale stazione dei Carabinieri e dall’ufficio ambiente dell’ente locale, indicati nelle premesse dell’ordinanza comunale.
Nel provvedimento emanato si dava espressamente conto che gli autori del presunto illecito ambientale erano i sigg. Ca.Ch. e An.Br., mentre si indicava l’area interessata come “espropriata dalla società ANAS”.
...
Il motivo è fondato.
E’ doveroso precisare che, contrariamente a quanto sostenuto nella formulata eccezione, da parte dell’ANAS, il contenuto del provvedimento impugnato non è propriamente quello indicato dalla deducente società, poiché l’atto autoritativo si limita ad ordinare non già il compimento delle operazioni su indicate, ma la mera predisposizione del piano ad esse prodromico, che dovrà prima essere esaminato ed approvato dagli organi competenti.
Trattasi di un piano volto, sostanzialmente e in estrema sintesi, alla bonifica dell’area ritenuta contaminata.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tale imprecisione non infici, nella sostanza, la censura elevata dalla società pubblica né muti il quadro normativo di riferimento, e ritiene, altresì, che la fattispecie concreta, per come allegata da parte ricorrente, sia disciplinata dalle norme di cui agli artt. 240 e ss. e si rientri, dunque, nella prima delle due ipotesi prospettate dalla ricorrente.
Va dunque richiamato l’art. 244, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale prescrive che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”.
In base a questa disposizione, emerge che l’ente deputato a curare la gestione delle attività di bonifica e, dunque, delle attività ad essa prodromica e strumentali sia la Provincia.
La deduzione, oltre che dal chiaro tenore letterale della norma, è supportata anche da precedenti del giudice amministrativo che ha avuto modo di statuire che il comune è incompetente all'adozione dell'ordinanza che impone un piano di caratterizzazione, in quanto “l'art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006, al comma 2, [dispone] che "La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte a identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo" e al comma 3 che "L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'art. 253” (TAR Veneto Sez. III, 07/05/2015, n. 493; analogamente, TAR Puglia Lecce Sez. I Sent., 21/06/2013, n. 1465).
In linea generale, è stato anche osservato come rispetto alle attività ascrivibili a questa fase la competenza permanga sempre in capo alla Provincia, anche in quei casi in cui il privato si attivi spontaneamente, ribadendosi, per quel che qui interessa, la competenza di tale ente locale.
Come chiarito dal TAR Lombardia–Milano, Sez. IV, 15/04/2015, n. 940: “La facoltà di intervento spontaneo da parte del proprietario nell'ambito del procedimento di bonifica non elide il dovere della Provincia di attivarsi per l'individuazione dell'autore dell'inquinamento, attraverso l'apertura del procedimento previsto dall'art. 244 del D.Lgs. n. 152 del 03.04.2006. Il compimento da parte dell'amministrazione dell'attività diretta ad accertare il responsabile è una specifica e doverosa attività che l'ordinamento impone all'amministrazione, sia a garanzia degli interessi pubblici sottesi al principio "chi inquina paga", sia a tutela dell'integrità patrimoniale del proprietario incolpevole, che abbia sostenuto, direttamente o indirettamente, l'onere economico del ripristino”.
I principi, condivisi dal Collegio, sono pienamente attinenti al caso in esame e di conseguenza conducono all’accoglimento del motivo di gravame.
Per completezza, vale la pena osservare che anche qualora si volesse, in ipotesi, ritenere sussistente la competenza del Comune all’adozione dell’atto gravato, permarrebbe il vizio censurato, in ragione di quanto dedotto dalla società ricorrente.
Ed infatti, in ragione del chiaro tenore letterale dell’art. 192 T.U., anche a volere riportare nell’alveo di questa norma i poteri espressi nel caso in esame, dovrebbe statuirsi la competenza del Sindaco in luogo del Dirigente comunale, con analoga statuizione di incompetenza.
Sul punto, può ricordarsi quanto statuito di recente dal Consiglio di Stato: “Il Responsabile dell'ufficio tecnico comunale è competente ad adottare nei confronti di A.N.A.S. un'ingiunzione alla rimozione dei rifiuti abbandonati. Il medesimo Responsabile è invece incompetente ad adottare un ordine di bonifica, decontaminazione e risanamento igienico del sito, trattandosi di adempimenti che vanno oltre la gestione e pulizia delle strade, e sono strettamente espressione di un rimedio sanzionatorio per la violazione del divieto dei abbandono dei rifiuti, rientrante nell'ambito di operatività dell'art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Il comma 3 dell'art. 192 enuclea, infatti, tale competenza in capo al Sindaco (riforma TAR Puglia-Lecce, Sez. I n. 2975/2009)” (Cons. Stato Sez. V, 14/03/2019, n. 1684).
Analogamente, il medesimo autorevole consesso ha ricordato che “In materia di competenza ad emanare l'ordinanza di rimozione dei rifiuti, se del Sindaco o del Dirigente, si sono succedute nel tempo diverse normative: il D.Lgs. n. 22/1997, art. 14; il D.Lgs. n. 267/2000, art. 107, comma 5; il D.Lgs. n. 152/2006, art. 192, comma 3, la prima e l'ultima delle quali attribuiscono la competenza al Sindaco. Va ritenuto competente il sindaco ad emanare le ordinanze in materia, ex art. 14 D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 (decreto Ronchi), anche successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL) e fino all'entrata in vigore del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (Codice ambientale), che ha ribadito tale competenza” (Consiglio di Stato Sez. V, 06/09/2017, n. 4230).
In definitiva, il motivo di ricorso va accolto e va pronunciato l’annullamento del provvedimento, limitatamente alla posizione della ricorrente ANAS s.p.a.
L’accoglimento del motivo di ricorso per incompetenza determina l’assorbimento di tutte le altre censure articolate nel ricorso introduttivo del giudizio, per le ragioni compiutamente ed esaustivamente esposte nella sentenza n. 5 del 2015 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dai cui principi questo Collegio non ha ragione di discostarsi (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 27.05.2019 n. 830 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

aprile 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIBenché la giurisprudenza non sia pacifica, spetta al Sindaco, ai sensi dell'art. 192, co. 3, D.Lgs. 152/2006, e non al dirigente, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2, in quanto trattasi di una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria dell'art. 107, co. 2, TUEL, che affida invece tali compiti alla dirigenza.
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In tema di rifiuti, affinché il proprietario del suolo sia condannato agli adempimenti previsti dall'art. 192 del D.lgs. 152/2006 è necessario che l'accertamento della sua responsabilità sia effettuato in contraddittorio, anche se tale accertamento è fondato su presunzioni e nei limiti della esigibilità ove si ravvisi il titolo colposo di tale responsabilità, non potendosi configurare, in assenza di una espressa previsione di legge nazionale, una responsabilità da posizione del proprietario.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di confronto dialettico indispensabile, quale contrappeso ad una responsabilità del proprietario che pur non potendo essere di posizione è quanto mai gravosa, non potendosi nemmeno invocare il principio di c.d. strumentalità delle forme codificato dall’art. 21-octies, comma secondo, L. 241/1990, in considerazione della rilevanza degli accertamenti richiesti.
Anche nell’ottica di una lettura sostanzialistica e non formalistica degli istituti di partecipazione procedimentale, oramai pacifica in giurisprudenza, il contraddittorio risulta sicuramente utile (o comunque non inutile) ai fini della decisione finale demandata all’Amministrazione, quantomeno in punto di verifica della provenienza dei rifiuti e soprattutto di imputazione della relativa responsabilità.
Non da ultimo giova evidenziare, trattandosi di materia di indubbio interesse comunitario disciplinata da specifiche direttive (nn. 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) la diretta rilevanza del contraddittorio procedimentale garantito dall’art. 41 “diritto ad una buona amministrazione” della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, avente lo stesso valore giuridico dei Trattati in seguito al Trattato di Lisbona, ratificato con legge n. 130 del 2008.

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... per l'annullamento, previa sospensiva
  - dell'ordinanza 21.07.2014 n. 51, adottata dal Sindaco del Comune di Sant'Ambrogio, notificata il 02.09.2014, ad oggetto rimozione e smaltimento rifiuti;
   - dell'ordinanza contingibile ed urgente 24.07.2014 n. 24, adottata dal Sindaco del Comune di Chiusa San Michele, notificata il 04.08.2014 per la rimozione e smaltimento rifiuti;
...
2.- E’ materia del contendere la legittimità delle ordinanze adottate ai sensi dell’art. 192 D.lgs. 152/2006 dai sindaci dei Comuni di Sant'Ambrogio di Torino e di Chiusa San Michele con cui si è intimato alla società ricorrente, in qualità di proprietaria, la bonifica dell’area da rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Sin dal 2010 il compendio immobiliare di proprietà della società Gi. è stato interessato dal deposito di rifiuti provenienti dall’attività di produzione di asfalto e bitume effettuata dalla conduttrice To. s.r.l., rifiuti per lungo tempo non rimossi anche a causa di contenziosi civili tra proprietario e conduttore.
...
4. - Nel merito il ricorso è fondato e va accolto.
5. - Deve anzitutto esser esaminata la censura di incompetenza relativa formulata con il primo motivo, attesone il carattere assorbente (ex multis Consiglio di Stato, Ad. Plen., 27.04.2015, n. 5; TAR Abruzzo, Pescara, 21.06.2016, n. 226; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29.08.2016, n. 4117; TAR Umbria 20.06.2017, n. 466).
5.1. - Il motivo non merita condivisione.
5.2. - Benché la giurisprudenza non sia pacifica -come lealmente rappresentato dal difensore di parte ricorrente- spetta al Sindaco, ai sensi dell'art. 192, co. 3, D.Lgs. 152/2006, e non al dirigente, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2, in quanto trattasi di una disposizione sopravvenuta, speciale e derogatoria dell'art. 107 co. 2, TUEL, che affida invece tali compiti alla dirigenza (ex multis TAR Puglia Lecce, sez. II, 26.06.2018, n. 1072; Consiglio di Stato, sez. V, 06.09.2017, n. 4230; TAR Piemonte sez. I, 17.01.2017, n. 96).
6. - Il secondo motivo è invece fondato.
6.1. - In punto di fatto va rilevato come le comunicazioni di avvio del procedimento effettuate dai Comuni di Sant'Ambrogio di Torino e di Chiusa San Michele il 16 e 17.07.2014 sono state effettuate successivamente al sopralluogo del N.O.E. effettuato il 15.07.2014 e peraltro pervenute al ricorrente in data successiva all’emanazione delle ordinanze sindacali impugnate, ovvero il 25.07.2014 ed il 04.08.2014, si da non soddisfare minimamente lo scopo partecipativo tipico.
6.2. - In tema di rifiuti, affinché il proprietario del suolo sia condannato agli adempimenti previsti dall'art. 192 del D.lgs. 152/2006 è necessario che l'accertamento della sua responsabilità sia effettuato in contraddittorio, anche se tale accertamento è fondato su presunzioni e nei limiti della esigibilità ove si ravvisi il titolo colposo di tale responsabilità, non potendosi configurare, in assenza di una espressa previsione di legge nazionale, una responsabilità da posizione del proprietario (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 07.06.2018, n. 3430; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.11.2018, n. 2477).
Nel caso di specie gli accertamenti effettuati in loco da parte del N.O.E. non risultano essere stati effettuati in contraddittorio, come invece impone il richiamato art. 192.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di confronto dialettico indispensabile, quale contrappeso ad una responsabilità del proprietario che pur non potendo essere di posizione è quanto mai gravosa, non potendosi nemmeno invocare il principio di c.d. strumentalità delle forme codificato dall’art. 21-octies, comma secondo, L. 241/1990, in considerazione della rilevanza degli accertamenti richiesti (TAR Piemonte sez. II, 06.08.2013, n. 979; TAR Calabria Reggio Calabria sez. I, 19.12.2012, n. 747; TAR Campania Napoli, sez. V, 06.11.2018, n. 6448; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 14.10.2013, n. 1816).
Anche nell’ottica di una lettura sostanzialistica e non formalistica degli istituti di partecipazione procedimentale oramai pacifica in giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 12.10.2016, n. 4213) il contraddittorio risultava nel caso di specie sicuramente utile (o comunque non inutile) ai fini della decisione finale demandata all’Amministrazione, quantomeno in punto di verifica della provenienza dei rifiuti e soprattutto di imputazione della relativa responsabilità.
6.3. - Non da ultimo giova evidenziare, trattandosi di materia di indubbio interesse comunitario disciplinata da specifiche direttive (nn. 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) la diretta rilevanza del contraddittorio procedimentale garantito dall’art. 41 “diritto ad una buona amministrazione” della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, avente lo stesso valore giuridico dei Trattati in seguito al Trattato di Lisbona, ratificato con legge n. 130 del 2008 (ex multis TAR Umbria 21.02.2013, n. 105).
6.4. - Alla luce delle suesposte argomentazioni il secondo motivo, di rilievo assorbente, merita positivo apprezzamento.
7. - Per i suesposti motivi la domanda di annullamento, è fondata e va accolta, con l’effetto dell’annullamento in parte qua dell’ordinanza n. 51/2014 del Sindaco del Comune di Sant'Ambrogio di Torino (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.04.2019 n. 395 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

dicembre 2018

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Competenza dirigenziale a emettere il giudizio di compatibilità tra il P.G.T. e il P.T.C.P.
La valutazione di compatibilità del PGT al PTCP è esclusivamente preordinata a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del PTCP da parte del piano comunale di governo del territorio e non implichi profili di discrezionalità.
Deve, allora, concludersi che essa non si configuri come atto di indirizzo, ma tenda alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, per il che è riconducibile alle attribuzioni dirigenziali
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 20.12.2018 n. 1231 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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3. Assume poi la ricorrente che, in ragione della competenza all’approvazione dei Piani territoriali in capo al Consiglio provinciale, in applicazione dell’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000, sarebbe invalida l’espressione del parere di compatibilità del P.T.G. alle previsioni del P.T.C.P., in quanto promanante da un Dirigente provinciale.
Sul punto, si osserva che il parere di compatibilità del P.G.T. con il P.T.C.P., di cui alla legge regionale 12/2005, non costituisce manifestazione della generale potestà di pianificazione riconosciuta dal Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/2000) all’organo consiliare; quanto, piuttosto, una valutazione di carattere tecnico, non riservata pertanto all’organo consiliare (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, nn. 4303/2009, 1221/2010, 7512/2010 e 7614/2010).
Come osservato da TAR Milano (sez. II, 28.07.2009 n. 4468), l’art. 107, comma 2, del T.U.E.L. assegna ai dirigenti “tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente”; nonché (comma 3) “l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo.
Ai dirigenti competono tra l’altro (art. 107, comma 2, lett. f) “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”; nonché (lettera h) “le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza”.
Nel rilevare come la valutazione di compatibilità in questione:
   - sia esclusivamente preordinata a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del P.T.C.P. da parte del piano comunale di governo del territorio,
   - e non implichi profili di discrezionalità,
deve, allora, concludersi che essa non si configuri come atto di indirizzo, ma tenda alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale: dimostrandosi, pertanto, riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.

ottobre 2018

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIIl segretario comunale non può invadere la sfera di competenza del responsabile di ragioneria.
Il Segretario comunale non può emettere e reiterare un ordine di servizio per ottenere dal responsabile dei servizi finanziari l’emissione dei mandati di pagamento dei rimborsi forfettari a favore della collaboratrice a titolo gratuito.

È quanto afferma la Corte dei conti, Sez. giurisdiz. per la Lombardia, con la sentenza 31.10.2018 n. 213.
Il fatto
La sezione regionale di controllo per la Lombardia ha condannato per danno erariale il Segretario generale di un comune lombardo, il quale ha ordinato al Responsabile dei servizi finanziari di emettere mandati di pagamento a titolo di rimborso spese forfettario nei confronti di una collaboratrice, senza la dovuta giustificazione contabile.
La Giunta comunale conferiva un incarico a titolo gratuito a una ex dipendente dell’Ente in quiescenza, a prosecuzione dello svolgimento delle funzioni e delle mansioni svolte in precedenza per tutta la durata della sua carriera lavorativa come dipendente dello stesso Comune.
L’incarico prevedeva un rimborso spese mensile, previa rendicontazione delle spese da parte della stessa.
Il Segretario comunale, nella qualità di responsabile degli affari generali, poneva in essere gli atti liquidazione che venivano contestati dall’ufficio di ragioneria, in quanto carenti di documentazione giustificativa.
Per superare l’impasse, il Segretario generale emetteva e reiterava un ordine di servizio per ottenere dal predetto responsabile l’emissione dei mandati di pagamento dei rimborsi forfettari.
La decisione
La sentenza di condanna evidenzia che il Segretario generale ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente in contrasto con quei criteri di efficienza, efficacia e rispetto delle norme di buona gestione, cui ogni Pubblica amministrazione deve improntare la propria azione.
Per il collegio giudicante, il rimborso spese deliberato in favore della ex dipendente dell’Ente era stato espressamente subordinato dall’Amministrazione alla produzione di idonea documentazione giustificativa che è imposta dai generali principi cui devono uniformarsi le procedure di erogazione delle spese poste a carico dei bilanci pubblici.
Negli stessi termini dispone la specifica normativa che, nel sancire il divieto per la Pa di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già dipendenti pubblici collocati in quiescenza, fa salvi gli incarichi a titolo gratuito e subordina a rendiconto gli eventuali rimborsi.
Conclusioni
Il principio enunciato è chiaro, nel senso che è contrario al precetto costituzionale del buon andamento il comportamento del Segretario comunale, il quale, in quanto massima autorità burocratica dell’Amministrazione locale, avrebbe dovuto, prima di ognuno, accertarsi la corrispondenza della richiesta di rimborso rispetto al disciplinare dì incarico.
Un appunto vale anche per il responsabile di ragioneria, il quale non avrebbe dovuto dissentire dall’ordine di servizio, in ragione del proprio ufficio (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 05.12.2018).
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MOTIVI della DECISIONE
Non essendoci questioni preliminari di rito da valutare si passa ad esaminare il merito della causa.
La fattispecie per cui è causa concerne una ipotesi di responsabilità amministrativa, in relazione alla quale il convenuto è chiamato a rispondere, a titolo di colpa grave, di un danno che la Procura attrice assume essere stato subito dal Comune di Bienno.
Tanto considerato, il Collegio procede quindi a valutare la sussistenza degli elementi richiesti dalla legge per il configurarsi della responsabilità amministrativa contestata con l’atto introduttivo: l’elemento oggettivo, cioè l’effettivo prodursi di un danno pubblico, la cui entità va valutata alla luce delle risultanze probatorie prodotte in causa; l’elemento soggettivo, vale a dire un comportamento gravemente colposo (o doloso), ed il nesso di causalità tra il comportamento e l’evento.
Osserva il Collegio che nessun dubbio sussiste in ordine alla sussistenza, nella specie, dell’elemento oggettivo dell’illecito erariale, della condotta gravemente colposa imputabile al convenuto e del nesso di causalità.
L’indagine istruttoria esperita dal Pubblico Ministero contabile, con l’acquisizione dei pertinenti atti, ha accertato che è stato posto in essere un comportamento inequivocabilmente in contrasto con quei criteri di efficienza, efficacia e rispetto delle norme di buona gestione, cui ogni pubblica Amministrazione deve improntare la propria azione.
I fatti di causa, nella loro materiale sussistenza, sono quelli riportati nell’atto di citazione ed in tutti gli altri documenti di causa
In piena adesione alla tesi argomentativa attrice, il Collegio osserva che il “rimborso spese” deliberato in favore della ex dipendente dell’Ente era stato espressamente subordinato dall’amministrazione alla produzione di idonea documentazione giustificativa che, oltre ad essere prevista dalla lex specialis applicabile al procedimento de quo, è imposta dai generali principi cui devono uniformarsi le procedure di erogazione delle spese poste a carico dei bilanci pubblici.
Negli stessi termini dispone la specifica normativa che, nel sancire il divieto per la P.A. di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già dipendenti pubblici collocati in quiescenza, fa salvi gli incarichi a titolo gratuito e subordina a rendiconto gli eventuali rimborsi (art. 5, comma 9, D.L. 95/2012 convertito nella legge n. 135/2012).
In questa prospettiva, la condotta tenuta dal convenuto St. appare tanto più grave, poiché ha disposto i pagamenti citati nonostante i ripetuti rilievi di criticità sollevati dal responsabile del servizio finanziario, e ciò pur rivestendo una funzione apicale e dunque essendo in possesso di un bagaglio di conoscenze professionali tali da poter imprimere all’azione amministrativa un crisma di legalità e correttezza.
Come rappresentato da parte attrice, il ricorso all’incarico a titolo gratuito, con la corresponsione di un rimborso forfettario, ha dissimulato l’esecuzione di un vero e proprio rapporto di lavoro a termine.
Depongono in tal senso, come chiaramente esposto in citazione dalla Procura, <<la concreta articolazione del rapporto de quo, instaurato all’indomani del pensionamento della collaboratrice con la presenza in servizio della stessa in giorni ed orari definiti (rilevata con cartellino a tempo), la corresponsione di un rimborso forfettario svincolata da ogni giustificazione circa le spese sostenute dalla stessa ed infine le stesse ammissioni formulate da Stanzione in sede di controdeduzioni con il riconoscimento delle circostanze che il rapporto ha avuto ad oggetto, per un periodo limitato, le stesse mansioni esercitate dalla collaboratrice prima del collocamento a riposo e che è stato utilizzato come modalità per far fronte all’ ordinaria funzionalità dell’ uffici anagrafe e stato civile>>.
Ne consegue la constatazione di una chiara violazione della disposizione legislativa richiamata, la cui ratio è quella di evitare che il conferimento di incarichi sia utilizzato dalla P.A. per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza, e per attribuire ai medesimi responsabilità rilevanti, aggirando l’istituto del pensionamento e le disposizioni sul reclutamento del personale, ispirate al contenimento della spesa pubblica.
Conclusivamente quindi
il Collegio, alla stregua delle considerazioni sopraesposte, ritiene ravvisarsi in capo al predetto soggetto tutti i necessari elementi costitutivi della responsabilità per il danno erariale arrecato al patrimonio del Comune:
   1) il rapporto di servizio in ragione del quale si è verificato il comportamento pregiudizievole;
   2) il nesso di causalità tra il comportamento posto in essere dal convenuto e l’evento contestato;
   3) l’elemento soggettivo della colpa grave.

Quanto alla sussistenza e all’entità del danno (elemento oggettivo), sussistente nella fattispecie, la Sezione reputa tuttavia che possa trovare applicazione l’istituto della riduzione dell’addebito, attesa la peculiarità del contesto, evidenziata dal difensore del convenuto, nel quale è maturata la vicenda all’esame della Sezione, con particolare riferimento all’impellenza delle esigenze lavorative conseguenti all’accorpamento di Enti e alla scarsità di risorse umane disponibili nell’immediatezza.
Ritiene pertanto il Collegio che, anche in considerazione dell’attività comunque svolta in favore dell’Ente e dei risultati realizzati, nonché tenuto conto della responsabilità condivisa dei membri della Giunta comunale, il convenuto vada condannato a risarcire al Comune di Bienno un importo pari ad € 7.000,00, già rivalutato, oltre agli interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia,
disattesa ogni contraria eccezione, deduzione e richiesta,
CONDANNA
il convenuto Gi.ST. al pagamento, in favore del Comune di Bienno, della somma di € 7.000,00 (settemila/00), già rivalutata, oltre agli interessi legali, a decorrere dal deposito della presente sentenza sino al saldo (Corte dei conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 31.10.2018 n. 213).

settembre 2018

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Un ente locale con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti può derogare al principio della separazione dei poteri affidando al sindaco la presidenza della commissione edilizia comunale e nominando il responsabile dell'ufficio tecnico quale componente della stessa?
La costituzione della commissione edilizia costituiva parte del contenuto obbligatorio del regolamento edilizio comunale ai sensi dell'art. 33 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150, poi abrogato dall'art. 136 del dpr 06.06.2001, n. 380 e successive modificazioni; l'art. 4, comma 2, del citato dpr che ha, peraltro, dettato una nuova disciplina dei regolamenti, ha reso facoltativa l'istituzione della commissione edilizia, confermandone il ruolo di organo consultivo.
La facoltatività dell'istituzione della commissione edilizia è coerente con l'art. 41 della legge 27.12.1997, n. 449 che, imponendo all'organo di direzione politica di individuare ogni organo collegiale con funzioni amministrative ritenuto indispensabile per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione, prevede la relativa soppressione di quelli non identificati come indispensabili.
La Commissione speciale del Consiglio di stato, con parere n. 492/99 in data 21.05.2003, diramato con la circolare ministeriale n. 1/2005, ha precisato che «la presenza di organi politici nella commissione edilizia, deputata a pronunciarsi su richieste di autorizzazioni e concessioni, non è più consentita dall'assetto normativo attuale» e che «qualora tale presenza sia espressamente prevista da regolamenti comunali, gli Enti locali dovranno provvedere alle necessarie modifiche» (in conformità alla previsione del comma 4, dell'art. 4 del dlgs n. 165/2001).
Sebbene in tale enunciato si esponga, in materia, un principio generale, va parimenti evidenziato che l'art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000, come modificato dall'art. 29, comma 4 della legge 448/2001, ha previsto una deroga all'applicazione del principio di separazione delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo da quelle di gestione, richiamato dal Consiglio di stato.
Tale norma, infatti, dispone che «gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, fatta salva l'ipotesi di cui all'art. 97, comma 4, lettera d), del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto dall'articolo 3, commi 2, 3, 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni e dall'art. 107 del citato testo unico, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare anche atti di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio».
In tal senso, il richiamato art. 107 prevede, al comma 4, che «le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative
».
Il Consiglio di stato in sede giurisdizionale, con sentenza n. 3490 del 26/06/2013, ha ritenuto che «il sindaco potesse legittimamente presiedere la commissione edilizia integrata, in virtù della specifica previsione in tal senso posta nel Regolamento edilizio comunale e che trova il supporto normativo anche nel citato articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, concernente proprio i comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, e nella stessa legge costituzionale n. 3/2001, recante la riforma del titolo V della Costituzione, che attribuisce potestà regolamentare ai comuni circa la disciplina della organizzazione e delle funzioni proprie».
Lo stesso Consiglio di stato, con la medesima sentenza, richiamando la decisione della IV sezione n. 1070/2009 che si è pronunciata su analoga questione, ha ritenuto che «è proprio la complessità della normativa, in materia urbanistica ed edilizia, a consentire a quei Comuni, nell'ambito dell'autonomia statutaria e regolamentare loro attribuita, l'adozione di disposizioni che deroghino ai principi generali della separazione di cui al Tuel (dlgs n. 267/2000)».
Nel caso di specie, pertanto, trattandosi di un comune con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, è applicabile la richiamata disciplina derogatoria qualora l'ente in questione abbia preventivamente adottato disposizioni regolamentari che affidano espressamente a un componente della giunta (nella specie, il sindaco) la responsabilità dell'ufficio tecnico preposto alla gestione del settore edilizio (articolo ItaliaOggi del 07.09.2018).

giugno 2018

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALIPer il Comune, soggetto legittimato a stare in giudizio, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale, cosicché tale ultimo organo, anche laddove abbia, per statuto, il potere di autorizzare il Sindaco alla proposizione di azioni in giudizio, è privo del potere di nomina del difensore, il quale, seppure designato mediante delibera di giunta, deve nuovamente essere nominato, con conferimento di apposita procura alle liti, dal Sindaco.
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica.

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Costituisce orientamento consolidato di questo giudice di legittimità quello secondo il quale, alla luce dei principi generali in tema di procura alle liti (artt. 83 e 365 c.p.c.) e di mandato (art. 1716 c.c., disciplinante l'ipotesi di pluralità di mandatari), ove il mandato alle liti venga conferito a più difensori, si presume che esso sia conferito disgiuntamente a ciascuno di essi, salvo inequivoca manifestazione di volontà della parte in favore del carattere congiuntivo del mandato, con la conseguenza che ciascuno dei difensori, in difetto di un'espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza processuale (Cass. 1168/2004; Cass. 13252/2006).
Ne deriva che non integra gli estremi della fattispecie normativa di cui all'art. 301 cod. proc. civ. (interruzione del processo per morte del procuratore) il decesso di uno solo dei due difensori muniti di mandato dal quale non risulti, espressamente, l'obbligo di agire congiuntamente, tanto che è stata ritenuta (Cass. 8189/1997; Cass. 8931/2000; Cass. 15293/2002) irrilevante la mancanza, nell'atto predetto, della espressione "anche disgiuntamente", la cui assenza non consente di ritenere escluso il potere di rappresentanza disgiunta in capo a ciascuno dei procuratori della parte.
Nella specie, nella procura alle liti allegata a margine dell'atto di appello era pacificamente apposta la clausola "con poteri anche disgiunti".
Ora, a fronte di ciò, il ricorrente invoca una deliberazione della Giunta comunale, con la quale, sulla base di specifica disposizione statutaria, sarebbe stato autorizzato il Sindaco a resistere in giudizio ed a proporre appello, conferendo mandato congiunto ai difensori.
Tuttavia, questa Corte ha chiarito che, per il Comune, soggetto legittimato a stare in giudizio, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale, cosicché tale ultimo organo, anche laddove abbia, per statuto, il potere di autorizzare il Sindaco alla proposizione di azioni in giudizio, è privo del potere di nomina del difensore, il quale, seppure designato mediante delibera di giunta, deve nuovamente essere nominato, con conferimento di apposita procura alle liti, dal Sindaco (Cass. 18062/2010).
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica (Cass. 11516/2007; Cass. 5802/2016).
Ne consegue che assume rilievo la sola procura alle liti conferita dal Sindaco, a margine dell'atto di appello, con poteri disgiunti ai due difensori, Avv.ti Ma. ed As., non anche la delibera della Giunta del 2001, con la quale, secondo quanto ritrascritto in ricorso, venivano incaricati "in maniera congiunta" i due avvocati ad "opporsi alla sentenza" di primo grado (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 21.06.2018 n. 16459).

aprile 2018

COMPETENZE GESTIONALINel nuovo ordinamento delle autonomie locali, competente a conferire la procura alle liti al difensore del Comune è il Sindaco e non la Giunta, la cui delibera, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica.
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In tema di ricorso per cassazione, la procura speciale al difensore, prescritta a pena di nullità dall'art. 365 cod. proc. civ., può essere conferita al difensore esclusivamente dal soggetto legittimato a stare in giudizio ai sensi dell'art. 75 cod. proc. civ., il quale, per il Comune, è il solo Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale.
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1. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione sollevata dalla Ci. in sede di memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5802 del 2016), nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, competente a conferire la procura alle liti al difensore del Comune è il Sindaco e non la Giunta, la cui delibera, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica (Cass. 23.03.2016 n. 5802).
In tema di ricorso per cassazione, la procura speciale al difensore, prescritta a pena di nullità dall'art. 365 cod. proc. civ., può essere conferita al difensore esclusivamente dal soggetto legittimato a stare in giudizio ai sensi dell'art. 75 cod. proc. civ., il quale, per il Comune, è il solo Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale (Cass. 18062 del 2010) (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 19.04.2018 n. 9736).

marzo 2018

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Nei piccoli Comuni tre strade per la gestione delle funzioni fondamentali.
Se mancano le professionalità interne, i piccoli Comuni hanno ancora la facoltà di scegliere tra la forma associata delle funzioni, il conferimento delle competenze gestionali a uno dei membri della giunta ovvero l'affidamento al segretario comunale. La scelta deve, comunque, avere a riferimento due «stelle polari»: il criterio della competenza professionale del nominato e il contenimento della spesa.

Lo asserisce la sezione regionale di controllo per il Lazio della Corte dei conti con il parere 16.03.2018 n. 5.
I quesiti
Un Comune di 551 abitanti formula alla sezione tre quesiti specifici:
   1) se nei piccoli Comuni le funzioni relative al servizio finanziario possano essere affidate a un assessore o al sindaco;
   2) se alcuni adempimenti contabili rilevanti possano essere illegittimi se effettuati dal capo dell'amministrazione in assoluta carenza di professionalità interne;
   3) se il segretario comunale, su specifico incarico del sindaco, possa assumere le funzioni gestionali in modo permanente, supplendo alle carenze di dotazione organica.
Amministratori vs gestione associata
In relazione al quesito 1), la sezione ricorda che nei Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, la responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di adottare atti gestionali possono essere affidati, in deroga al generale principio di separazione di competenze tra organi politici e dirigenti, a un assessore o allo stesso sindaco, essendo ancora in vigore l'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 che lo consente, a condizione che l'ente abbia adottato apposite disposizioni regolamentari organizzative. Strada che può essere, dunque, percorsa anche a prescindere dalla carenza di professionalità interne, in quanto la norma non subordina la possibilità a questa condizione, che invece è richiesta per il conferimento di incarichi a soggetti esterni. Regola che, quindi, può essere applicata anche nel caso di gestione delle funzioni relative al servizio finanziario.
Ricorda però la sezione –quasi a voler proporre un consiglio– che prima di arrivare a «sacrificare» il principio di distinzione delle funzioni di indirizzo da quelle gestionali è possibile percorrere la via della gestione associata, obbligatoria per quelle fondamentali ai sensi dell'articolo 14 del Dl 78/2010.
Siccome l’obbligo è ancora condizionato dalla individuazione degli ambiti ottimali, i magistrati rimettono al singolo ente la scelta tra le due alternative «del pari giuridicamente legittime», ossia lo strumento associativo e il conferimento delle funzioni a uno dei membri della giunta, cercando comunque la soluzione che consenta di contenere maggiormente la spesa del personale e tenendo conto delle necessarie competenze richieste dall'elevato grado di tecnicità del servizio.
Il ruolo del segretario
La sezione non fornisce risposta al quesito n. 2), viziato da genericità, mentre si esprime sul n. 3), che coinvolge la figura del segretario comunale il quale, ai sensi dell'articolo 97, comma 4, lettera d), del Tuel può esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco.
Tra queste rientra la possibilità di essere nominato responsabile degli uffici e dei servizi, evidenza che i giudici traggono dall'articolo 109, comma 2, che fa salva l'applicazione della lettera d) per l'attribuzione di questi incarichi nei Comuni privi di personale di qualifica dirigenziale; e dall'articolo 49 che, avendo abolito il parere di legittimità del segretario, valorizza il parere preventivo di regolarità dei singoli responsabili dei servizi, anch'esso affidato al segretario in via residuale nel caso l'ente non ne abbia.
Certo, avvertono i giudici, questa funzione del segretario deve essere esercitata «in relazione alle sue competenze» che, tuttavia, ritengono ampie alla luce dell'articolo 97, comma 4, del Tuel, richiamato espressamente dall'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, che non distingue tra funzioni assegnate in via provvisoria o permanente.
Il combinato disposto consente alla sezione di negare la sussistenza di ragioni ostative all'attribuzione al segretario di funzioni gestionali protratte, anche se ritiene «auspicabile una periodica revisione di tale incarico aggiuntivo, sia sotto il profilo dell'efficiente organizzazione interna degli uffici, anche in rapporto alla consistenza dimensionale dell'Ente, sia soprattutto in modo teso a vagliarne ciclicamente in concreto la proficuità sotto il profilo economico finanziario» (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 30.03.2018).
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MASSIMA
Nei Comuni con popolazione inferiore a 5mila abitanti, in ragione delle ridotte dimensioni demografiche dell'Ente, resta oggi ancora rimessa alla scelta discrezionale dei medesimi la scelta:
   1) tra forma associata di esercizio delle funzioni fondamentali, tra cui certo rientra il servizio finanziario e di contabilità seguendo lo schema normativo della convenzione/unione di comuni (non essendo ancora operativa la obbligatorietà dello strumento associativo, nelle more della concreta attuazione dell’art. 14, comma 28, del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010 e s.m.i.)
   2) o il conferimento ex art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, di esse, ad uno dei membri della Giunta (Assessori o Sindaco), in deroga al generale principio di separazione di competenze tra organi politici ed organi amministrativi, con un regolamento motivato che ridisegni l’assetto organizzativo interno dell’Ente e senza che sia neppure necessario dimostrare l’assoluta carenza, all’interno dell’Ente, di professionalità adeguate, nonché fatta salva la verifica annuale del contenimento della spesa in sede di approvazione del bilancio
   3) o l’affidamento delle medesime ex art. 97, comma 4, lett. d) del Tuel al Segretario comunale che, nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, può essere nominato responsabile degli uffici e dei servizi (art. 109, comma 2, T.U.E.L), mediante previsioni statutarie, regolamentari o tramite un provvedimento del Sindaco.
Tra questa rosa di possibilità andrà prescelta, da un canto quella che consente di contenere maggiormente la spesa del personale e, dall’altro, tenendo conto delle necessarie competenze richieste dall’elevato grado di tecnicità del servizio finanziario e di contabilità, la cui carenza potrebbe comportare potenziali ricadute in termini di responsabilità amministrativo-contabile.
Scelta da sottoporre a revisione periodica, sia sotto il profilo dell’efficiente organizzazione interna degli uffici, anche in rapporto alla consistenza dimensionale dell’Ente, sia onde vagliarne ciclicamente in concreto la proficuità economico-finanziaria, anche alla luce del criterio della competenza professionale del nominato per individuare il punto di equilibrio più funzionale alla soddisfazione delle necessità correlate alla peculiare struttura organizzativa interna dell’Ente.

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... il Sindaco pro tempore del Comune di Salisano-RI (551 abitanti, secondo rilevazione Istat all’01/01/2017) formula richiesta di parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della L. n. 131 del 2003, con riferimento all’art. 53, comma 23, del D.Lgs. 23.12.2000, n. 388, sui seguenti quesiti:
   1. se nei Comuni aventi popolazione inferiore a 5mila abitanti le funzioni relative al servizio finanziario e contabile possano essere affidate ad un Assessore membro della Giunta o al Sindaco pro-tempore, con regolamento motivato, da cui si evincano le esigenze straordinarie di contenimento della spesa pubblica e, in particolare della spesa del personale, “anche in considerazione dell’attivazione della procedura obbligatoria del trasferimento di funzioni fondamentali di cui all’art. 14 del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010 e successive modifiche ed integrazioni” e se ciò sia “compatibile con le esigenze connesse alle sopravvenute recenti disposizioni in materia di ordinamento finanziario e contabile degli Enti locali, in attuazione dei principi di armonizzazione contabile introdotti dal D.Lgs. 118/2009 se ed in quanto presupponenti una «specifica» professionalità al riguardo;
   2. “se taluni rilevanti adempimenti contabili aventi carattere ricorrente per l’Ente possano essere inficiati di non conformità alle disposizioni vigenti in quanto effettuati dal capo dell’amministrazione in assoluta carenza di professionalità all’interno dell’Ente”;
   3. “Se il Segretario Comunale, su specifico incarico del sindaco, possa assumere dette funzioni gestionali in modo permanente, supplendo ad ordinarie carenze di dotazione organica, carenze sia pure per motivate ragioni di contenimento della spesa pubblica”.
...
In relazione al primo quesito, si osserva che,
nei Comuni, quali Salisano, aventi popolazione inferiore a cinquemila abitanti, la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti, anche di natura tecnica gestionale, ben possono essere affidati, in deroga al generale principio di separazione di competenze tra organi politici (Giunta) ed organi amministrativi (Dirigenti), ad un Assessore o al Sindaco pro-tempore, purché ciò avvenga con un regolamento motivato dell’Ente che ridisegni l’assetto organizzativo interno dell’Ente, al fine di operare un contenimento della spesa, contenimento che deve essere verificato e documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio. In tal senso si è pronunziata anche la giurisprudenza amministrativa, oltre a diverse sezioni di questa Corte (TAR Toscana Firenze Sez. III, 07.01.2014, n. 3, Sez. regionale controllo per il Molise, delib. n. 167/2016/PAR).
E ciò senza che sia neppure necessario dimostrare la assoluta carenza, all’interno dell’Ente, di professionalità adeguate, in quanto la norma non subordina tale possibilità a siffatta condizione, che invece è richiesta per il conferimento di incarichi ad esterni.
A favore di ciò depone, con chiarezza il disposto dell’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, che recita: “Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
E tra tali uffici e servizi sono ricomprese, certamente, anche le funzioni relative al servizio finanziario e contabile, attribuibili ai componenti dell'organo esecutivo (Assessore e Sindaco pro-tempore) mediante disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'art. 3, commi 2, 3 e 4, del D.Lgs. 03.02.1993, n. 29 e successive modificazioni, e all'articolo 107 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL).
Orbene, è vero che dal combinato disposto degli artt. 50 e 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 4 del D.Lgs. 30/03/2001, n. 165 (recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) si evince in modo inequivoco che, nel vigente ordinamento, è in auge, anche a livello locale, la netta distinzione fra atti di indirizzo politico-amministrativo (spettanti agli organi politici) ed atti di gestione (spettanti agli organi burocratici).
In altri termini, il TUEL ha devoluto, rispettivamente, agli organi politici (Consiglio Comunale, Giunta Comunale e Sindaco) la competenza ad emanare gli atti di indirizzo e, ai dirigenti amministrativi comunali, la competenza ad adottare atti di gestione.
L’art. 107, comma 4, in particolare, pone una riserva di legge a garanzia della indipendenza -sotto il profilo gestionale- dei dirigenti, dotati anche di autonomo potere di spesa, rispetto agli organi politici, laddove prevede che “4. Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.
Tuttavia l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000 (finanziaria 2001) è proprio una specifica disposizione derogatoria, pacificamente compatibile col sistema normativo vigente (in tal senso anche Consiglio di Stato sent. n. 5296/2015, che ha ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità sulla disposizione).
La deroga è ammessa in ragione delle ridotte dimensioni demografiche dell'Ente locale, ma va interpretata restrittivamente e non è estensibile oltre i casi e i modi espressamente regolati (Corte dei conti, sez. reg. controllo Lombardia, delib. n. 513/2012/PAR del 10.12.2012).
A latere della possibilità di attribuire a componenti della Giunta lo svolgimento di funzioni gestionali amministrative, l’ordinamento disciplina, al contempo, la possibilità -ed in taluni casi l’obbligo- di svolgere in forma associata, le medesime funzioni fondamentali: articoli 30 e 32 del Tuel e art. 14, comma 28, del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010 e successive modifiche ed integrazioni.
Tramite il TUEL, sin dal 2000 sono state introdotte, come facoltative, forme associative, quali la stipula di apposite convenzioni onerose tra Enti locali, “al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati” (art. 30) o l'Unione di Comuni, con la creazione di un Ente locale ex novo, costituito -di norma- da due o più Comuni contermini e “finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi” (art. 32).
L’art. 14 del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010 e successive modifiche ed integrazioni, ha prescritto che i Comuni con popolazione fino a 5000 abitanti “esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di Comuni o convenzione, le funzioni fondamentali di cui al comma 27”, tra le quali rientra, certamente, la gestione finanziaria e contabile.
Senza entrare in questa sede sulla portata della regolamentazione in ordine alle dimensioni territoriali ottimali, (come previsto dall’art. 14, comma 30, del D.L. n. 78/2010),
permane un indiscusso favor legislativo per la forma associata di esercizio delle funzioni, ancorché intesa come rimessa alla mera facoltà di scelta discrezionale dell’Ente locale (Sez. Aut. Audizione alla Camera dei deputati del 01.12.2015).
Nell’attesa della concreta operatività della disposizione tesa a rendere ciò obbligatorio in risposta al primo quesito, si osserva che
al Comune è demandata oggi la scelta tra due alternative del pari giuridicamente legittime, ossia tra lo strumento associativo (convenzione/unione di comuni) o il conferimento delle funzioni del servizio finanziario e di contabilità ad uno dei membri della Giunta (Assessori o Sindaco).
L’Ente sarà tenuto ad operarla discrezionalmente ma seguendo, da un canto, la soluzione che consente di contenere maggiormente la spesa del personale e, dall’altro, tenendo conto delle necessarie competenze richieste dall’elevato grado di tecnicità del servizio finanziario e di contabilità, la cui carenza potrebbe comportare potenziali ricadute in termini di responsabilità amministrativo-contabile.
Il secondo quesito pare, invero, viziato da genericità, nella parte in cui si riferisce a “taluni rilevanti adempimenti contabili aventi carattere ricorrente”, senza specificarli ed è ritenuto dal Collegio inammissibile, anche per carenza di indicazione del riferimento normativo da interpretare in sede consultiva, ancor prima della specificazione del dubbio ermeneutico che la Sezione di controllo è chiamata a dirimere in questa sede.
Quanto al terzo quesito si richiama, in funzione di mero ausilio dell’Ente, l’articolo 97, comma 4, lett. d) del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali, approvato con D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 che stabilisce che il Segretario comunale “d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco”.
Tra le quali rientra, come esplicitamente contemplato all’art. 109, comma 2, del T.U.E.L., la possibilità di essere nominato responsabile degli uffici e dei servizi, in quanto tale comma recita: “2. Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107, commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione dell'articolo 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”. Applicazione che potrà avvenire mediante previsioni statutarie, regolamentari o tramite un provvedimento del Sindaco (Tar Piemonte, sent. n. 4094/2006).
Occorre anche considerare che, visto il disposto dell’art. 49 del Tuel, che ha abolito il parere di legittimità del Segretario, risulta valorizzato -ancor più nel testo complessivamente modificato a decorrere dall’11.10.2012- il parere preventivo di regolarità, obbligatorio ma non vincolante, dei singoli Responsabili dei servizi (tra cui anche quello di contabilità, chiamato a rendere un parere di regolarità -non tecnica ma contabile- su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio).
La disposizione, in via residuale, individua nel Segretario comunale il soggetto titolato ad esprimere il parere “nel caso in cui l’ente non abbia i responsabili dei servizi”, con la limitazione individuata “in relazione alle sue competenze” (cit. art. 49, comma 2), che tuttavia possono ritenersi in senso ampio ex art. 97, comma 4, TUEL.
La vigenza di tale disposizione è espressamente fatta salva dall’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, invero, senza distinguere tra funzioni assegnate in via provvisoria o permanente, per cui, pur non sembrando in astratto sussistere ragioni ostative all’attribuzione al medesimo di funzioni gestionali contabili protratte (attribuzione tanto più giustificata ove il nominato sia in possesso di specifica professionalità contabile),
pare comunque auspicabile una periodica revisione di tale incarico aggiuntivo, sia sotto il profilo dell’efficiente organizzazione interna degli uffici, anche in rapporto alla consistenza dimensionale dell’Ente, sia soprattutto in modo teso a vagliarne ciclicamente in concreto la proficuità sotto il profilo economico-finanziario.
In conclusione,
quale che sia la soluzione, tra quelle astrattamente possibili, scelta dell’Ente, essa dovrà avere come stelle polari, da un canto, il criterio della competenza professionale del nominato e, dall’altro, il criterio del contenimento della spesa, con l’esigenza di individuare, nella applicazione congiunta dei due criteri, il punto di equilibrio più funzionale alla soddisfazione delle necessità correlate alla peculiare struttura organizzativa interna dell’Ente.

febbraio 2018

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Potere di coordinamento e incarichi aggiuntivi per il segretario comunale.
Non può configurarsi alcuna lesione delle prerogative di piena indipendenza ed autonomia dell’Avvocatura comunale per effetto dell'attribuzione al Segretario Generale del potere di individuazione e nomina di legali esterni all'ente, dal momento che l'autonomia riconosciuta agli avvocati degli enti pubblici concerne la "trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente" (cfr. art. 23, primo comma, della L. n. 247/2012 recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), e non attiene invece a aspetti di carattere organizzativo, come quello di cui si controverte.
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Nell'attuale assetto ordinamentale, al Segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
In via generale è quindi pacifico che al Segretario comunale non sono affidati compiti di amministrazione c.d. attiva, limitandosi egli (cfr. art. 97, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, c.d. Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali o T.U.E.L.) a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne l’attività qualora non sia stato nominato un direttore generale. Tale attribuzione di competenze nettamente separate risulta però per ovvie ragioni temperata nei Comuni di minori dimensioni demografiche, generalmente privi di personale di qualifica dirigenziale.
Prevede infatti l’art. 109, secondo comma, del T.U.E.L. che nei Comuni privi di dirigenti le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici oppure demandate al Segretario comunale, in applicazione dell’art. 97, comma 4, lettera d), a mente del quale appunto il Segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal Sindaco o dal Presidente della provincia.
Invero, dall’esame della delibera risulta che l’attribuzione al Segretario Generale dell’incarico di individuare e affidare il patrocinio dell’ente si giustifica in ragione della strutturazione del Servizio autonomo di Avvocatura che non è diretto da un dirigente e non risulta inquadrato nell’area amministrativa, elementi che hanno indotto la Giunta Comunale ad attribuire al Segretario Generale, organo di vertice della struttura burocratica, l’incarico di individuare e conseguentemente affidare, in caso eccezionali, la rappresentanza in giudizio ai professionisti esterni, previa istruttoria e proposta del Responsabile dell’Ufficio Avvocatura.
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L’avv. Ti. Di Gr. premette di essere iscritta all’albo speciale di cui all’art. 3 del R.D. n. 1578/1933 e di esercitare attività professionale nell’esclusivo interesse del Comune di Marano di Napoli.
Con il ricorso in trattazione impugna, chiedendone l’annullamento, la deliberazione di Giunta n. 3 del 22.07.2013 con cui è stato modificato l’art. 20, comma 1, del Regolamento dell’Avvocatura Comunale rubricato “Affidamento degli incarichi agli iscritti nell’elenco” nei sensi di seguito indicati:
   - precedente formulazione: “Nell’ipotesi di cui al precedente art. 14 il Sindaco individua il professionista da incaricare applicando la rotazione tra gli iscritti nell’elenco con propria determinazione; su proposta del Responsabile del Servizio Avvocatura, con delibera di G.M. si provvede al conferimento dell’incarico valutando la conformità al presente regolamento…”;
   - nuova formulazione: “Nell’ipotesi di cui al precedente art. 14 il Segretario Generale individua il professionista da incaricare applicando la rotazione tra gli iscritti nell’elenco con proprio provvedimento; su proposta motivata del Responsabile del Servizio Avvocatura, il Segretario Generale, provvede con proprio provvedimento al conferimento dell’incarico”.
Al riguardo, va rammentato che l’art. 14 richiamato dalla previsione regolamentare disciplina l’affidamento di incarichi professionali ad avvocati esterni, la cui decisione compete al Sindaco, e contempla due ipotesi: 1) “su motivata relazione dell’Avvocatura comunale al Sindaco e, soltanto, per le prestazioni e le attività che non possono essere espletate dal personale dipendente per: a) coincidenza ed indifferibilità di altri impegni di lavoro; b) trattazione materie per le quali necessita idonea specializzazione; in casi di incompatibilità; 2) in casi motivati di particolare specificità e/o complessità valutata dal Sindaco, sentita l’Avvocatura, che giustifichino l’affidamento all’esterno”.
In proposito, va anche rilevato che il punto 2 del predetto testo regolamentare (approvato con delibera del Commissario Straordinario n. 19/2013) è stato attinto dalla pronuncia di questo TAR 1144/2014 che, in accoglimento di un pregresso ricorso proposto dalla medesima ricorrente, ha statuito quanto segue: “Al riguardo deve osservarsi che –alla stregua dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165 del 2001– l’utilizzo di professionalità esterne da parte delle pubbliche amministrazioni, nei casi tassativi stabiliti al comma 6, assume carattere eccezionale rispetto al principio generale secondo cui le amministrazioni devono provvedere allo svolgimento dei compiti loro affidati attraverso il personale e le strutture organizzative di cui dispongono, anche in considerazione del conseguente esborso di denaro pubblico (cfr. Corte Conti reg., sez. giurisd., 05.11.2003, n. 912). Ciò posto ed alla luce dei principi generali più volte evocati, osserva il Collegio che l’ampiezza delle fattispecie già individuate dal punto 1 della norma regolamentare in discussione non giustifica la previsione di un’ulteriore ipotesi derogatoria, che per la sua genericità e vaghezza (“in casi di particolare specificità e/o complessità”) e per essere rimessa all’apprezzamento dell’organo politico (“valutata dal Sindaco, sentita l’avvocatura”), pone l’Avvocatura municipale in posizione di soggezione rispetto al Sindaco, consentendo sostanzialmente a quest’ultimo di delimitarne ad libitum la generale sfera di operatività e di svuotarne così le funzioni”.
Nello specifico parte ricorrente lamenta che, nel testo regolamentare novellato, è stato assegnato al Segretario Generale –e non al Responsabile dell’avvocatura comunale– l’individuazione e la nomina del procuratore dell’ente locale, qualora il Sindaco ritenga opportuno affidarsi a professionisti esterni di talché, prosegue la istante, la modifica persegue l’unico obiettivo di sottrarre all’ufficio legale rilevanti settori di competenza, ledendone l’autonomia ed indipendenza.
...
Il ricorso non può trovare accoglimento per i motivi di seguito illustrati.
Parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 del R.D. n. 1578/1933, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267/2000, violazione e falsa applicazione dello Statuto del Comune di Marano di Napoli, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Costituzione, eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, carenza ed erroneità dell’istruttoria, difetto di motivazione.
Con il primo motivo di gravame l’avvocato Di Gr., in sintesi, assume l’illegittimità della modifica regolamentare –al pari di quella previgente– che, a suo dire, minerebbe l’autonomia funzionale dell’Avvocato comunale poiché rimette al Segretario Generale valutazioni (quelle, per l’appunto, concernenti la scelta del professionista esterno) che si connoterebbero per il carattere tecnico/discrezionale e che competerebbero, nella prospettazione attorea, al capo dell’ufficio legale, unica struttura dotata delle conoscenze necessarie per valutare la sussistenza degli elementi per l’esternalizzazione del servizio.
La censura non ha pregio.
Invero, parte ricorrente contesta sia la nuova formulazione dell’art. 20 (che rimette al Segretario Generale l’individuazione del professionista da incaricare) sia quella previgente (che attribuiva tale potere al Sindaco) ritenendole entrambe lesive delle prerogative dell’Avvocatura comunale. Tuttavia, è evidente che l’eventuale accoglimento del motivo di gravame non sarebbe di alcuna utilità per la ricorrente poiché avrebbe, come unica conseguenza, quella di ripristinare l’originario potere di designazione da parte del Sindaco –tale essendo la previsione antecedente alla delibera impugnata– che, in ogni caso, non sarebbe satisfattivo per la ricorrente e, pertanto, la censura è inammissibile per carenza di interesse.
Si aggiunga che, nel merito, il rilievo è comunque infondato.
Difatti, non può configurarsi alcuna lesione delle prerogative di piena indipendenza ed autonomia dell’Avvocatura comunale per effetto dell'attribuzione al Segretario Generale del potere di individuazione e nomina di legali esterni all'ente, dal momento che l'autonomia riconosciuta agli avvocati degli enti pubblici concerne la "trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente" (cfr. art. 23, primo comma, della L. n. 247/2012 recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), e non attiene invece a aspetti di carattere organizzativo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2434/2016), come quello di cui si controverte.
La novella è quindi riconducibile al potere generale di coordinamento attribuito al Segretario generale dall’art. 97, comma 4, del T.U.E.L. che non incide sull'autonoma organizzazione e gestione dell'attività forense dei professionisti dell'avvocatura comunale ma è unicamente volta ad attuare -per il tramite della figura di interrelazione tra l'apparato amministrativo dell'ente ed i rappresentanti politici dell'ente stesso– il necessario coordinamento del servizio legale rispetto alla complessiva organizzazione amministrativa comunale.
Inoltre, mette conto evidenziare che, riguardo alla scelta di individuazione e nomina del professionista esterno all’ente locale, l’Avvocatura comunale non è stata del tutto esautorata, visto che al Responsabile del Servizio Avvocatura compete comunque un potere di proposta motivata in ordine alla scelta del professionista esterno cui conferire l’incarico di rappresentazione dell’ente (“…su proposta motivata del Responsabile del Servizio Avvocatura, il Segretario Generale, provvede con proprio provvedimento al conferimento dell’incarico”); in altri termini, la novella regolamentare ha comunque tenuto conto della necessità di rimettere al titolare del settore avvocatura, tramite l’attribuzione del potere di proposta, l’avvio del procedimento di nomina e di contestuale formulazione del giudizio tecnico–discrezionale sul contenuto del provvedimento di nomina del professionista esterno, mostrando quindi di tenere in debita considerazione le valutazioni della struttura legale dell’ente.
Con la seconda censura l’istante lamenta la violazione degli artt. 107 e 97 del D.Lgs. n. 267/2000 evidenziando che le funzioni gestionali dell’ente locale -cui l’istante mostra di ricondurre l’individuazione del professionista esterno- appartengono esclusivamente ai dirigenti dell’ente locale, mentre al Segretario comunale non spettano compiti di amministrazione attiva, limitandosi a sovrintendere e coordinare i dirigenti medesimi.
Il motivo è infondato.
Nell'attuale assetto ordinamentale, al Segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
In via generale è quindi pacifico che al Segretario comunale non sono affidati compiti di amministrazione c.d. attiva, limitandosi egli (cfr. art. 97, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, c.d. Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali o T.U.E.L.) a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne l’attività qualora non sia stato nominato un direttore generale. Tale attribuzione di competenze nettamente separate risulta però per ovvie ragioni temperata nei Comuni di minori dimensioni demografiche, generalmente privi di personale di qualifica dirigenziale.
Prevede infatti l’art. 109, secondo comma, del T.U.E.L. che nei Comuni privi di dirigenti le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici oppure demandate al Segretario comunale, in applicazione dell’art. 97, comma 4, lettera d), a mente del quale appunto il Segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal Sindaco o dal Presidente della provincia (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4858/2006; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 1886/2012).
Invero, dall’esame della delibera risulta che l’attribuzione al Segretario Generale dell’incarico di individuare e affidare il patrocinio dell’ente si giustifica in ragione della strutturazione del Servizio autonomo di Avvocatura che non è diretto da un dirigente e non risulta inquadrato nell’area amministrativa, elementi che hanno indotto la Giunta Comunale ad attribuire al Segretario Generale, organo di vertice della struttura burocratica, l’incarico di individuare e conseguentemente affidare, in caso eccezionali, la rappresentanza in giudizio ai professionisti esterni, previa istruttoria e proposta del Responsabile dell’Ufficio Avvocatura.
...
In conclusione, il ricorso va respinto pur stimandosi equo disporre la compensazione delle spese processuali in considerazione della novità delle questioni esaminate (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 19.02.2018 n. 1068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Competenza all’introito dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.
   1) I criteri, le modalità di incasso e di gestione delle somme introitate derivanti da sanzioni amministrative elevate dagli operatori del Corpo di polizia locale sono regolati dagli atti organizzativi dell’Unione e dalle intese con i Comuni partecipanti, considerato che l’Unione ha pieno titolo ad incassare e gestire tali entrate in seguito al conferimento della funzione di polizia locale ai sensi dell’articolo 26 della legge regionale 12.12.2014 n. 26.
   2) In considerazione della natura speciale della disciplina della Polizia locale, il cui ordinamento è retto in Friuli Venezia Giulia dalla legge regionale 29.04.2009 n. 9, non appare derogabile il principio di separazione delle funzioni sancito dall’art. 107 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, con conseguente impossibilità per il Presidente dell’Unione di firmare le ordinanze ingiunzione in luogo del Comandante della Polizia locale.
Diversa è la possibilità che a sottoscrivere tali atti sia altro dirigente amministrativo (non graduato), competente per materia, dipendendo un tanto dalla discrezionalità organizzativa dell’ente locale, purché sia salvaguardata la piena autonomia del Comandante limitatamente alla sfera di competenze che con carattere di tassatività la legge gli attribuisce.

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L’Unione territoriale intercomunale chiede se gli introiti inerenti alle sanzioni elevate dalla Polizia locale spettino all’Unione, essendo le relative funzioni dalla stessa esercitate, oppure ai Comuni nel cui territorio viene rilevata l’infrazione. Identica questione pone in merito agli introiti originati da violazione di ordinanze o regolamenti comunali.
Analogo quesito solleva inoltre con riferimento agli introiti delle sanzioni elevate nel territorio dell’Unione da altre forze di Polizia (Forestale, Carabinieri, ecc.) e dunque, nello specifico, chiede di conoscere se gli stessi spettino all’Unione oppure ai Comuni nel cui territorio l’infrazione viene rilevata.
Al fine di inquadrare la questione, si riporta preliminarmente il quadro normativo di riferimento.
Si osserva anzitutto che le funzioni di polizia locale e polizia amministrativa locale rientrano, ai sensi dell’art. 26 della legge regionale 12.12.2014 n. 26 (recante “Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative”), fra le funzioni che i Comuni sono tenuti ad esercitare in forma associata tramite l’Unione cui aderiscono
[1].
Si rammenta, a tale proposito, che le Unioni territoriali intercomunali –che costituiscono forme obbligatorie di esercizio associato di funzioni comunali
[2]- sono definite dall’art. 5 della l. r. n. 26/2014 come enti dotati di personalità giuridica, aventi natura di unioni di Comuni, dotati di autonomia statutaria e regolamentare, cui si applicano i principi previsti per l’ordinamento degli enti locali e, in quanto compatibili, le norme di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267.
Inoltre, l’art. 23, comma 2, della l.r. n. 26/2014 dispone che, in relazione alle funzioni esercitate dall’Unione, alla stessa competono gli introiti derivanti da tasse, tariffe e contributi sui servizi ad essa affidati.
Occorre poi tenere presente quanto specificamente disposto dalla legge regionale 29.04.2009 n. 9 (recante “Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale”), secondo cui le funzioni di polizia locale sono esercitate dai Corpi (art. 8), cui siano addetti almeno 12 operatori, ridotti a 8 qualora il Comune o la maggioranza dei Comuni di riferimento sia montana; pertanto, in assenza di tale requisito, sarà necessario procedere all’esercizio delle relative funzioni in forma associata (art. 10) mediante convenzione al fine di garantire la funzionalità del servizio di polizia locale, dotato del necessario numero di operatori.
Esaminato il quadro normativo di riferimento, si formulano le seguenti considerazioni.
Con riferimento al primo quesito, relativo agli introiti delle sanzioni elevate dalla polizia locale, si rinvia ai principi già esposti nel precedente parere
[3] rilasciato dallo scrivente Servizio alla medesima Unione riguardo l’ipotesi di convenzione fra Unione ed altri Comuni, cui si rinvia per il dettaglio, rilevando in questo caso la necessità che siano gli atti organizzativi dell’Unione e le intese con i Comuni partecipanti a regolare i criteri, le modalità di incasso e di gestione delle somme introitate derivanti da sanzioni elevate dagli operatori del Corpo di polizia locale, considerato che l’Unione ha pieno titolo ad incassare e gestire tali entrate, in seguito al conferimento della funzione di polizia locale atteso che tale gestione ricade nell’ambito della funzione conferita.
Restano ferme le disposizioni speciali e le discipline di settore che individuano quali destinatari dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie soggetti diversi dai Comuni.
In ulteriore punto del quesito in argomento l’Unione chiede se nei verbali elevati dalla Polizia locale “il soggetto contro il quale il ricorso va proposto” vada indicato nell’Unione o nel Comune nel cui territorio l’infrazione viene rilevata.
Al fine di fare chiarezza sul punto occorre operare una distinzione. Qualora il “ricorso” cui il richiedente fa riferimento sia quello giurisdizionale, fatte salve specifiche discipline di settore, a titolo generale legittimato passivo in giudizio e dunque destinatario del ricorso è l’ente territoriale cui appartiene il funzionario, ufficiale o agente che ha proceduto all’elevazione del processo verbale di accertamento -nei casi in cui questo sia titolo esecutivo e dunque autonomamente impugnabile- o che ha emesso la conseguente ordinanza ingiunzione di pagamento. Nel caso specifico di titoli esecutivi (verbali di accertamento o ordinanze) elevati dalla Polizia locale, essendo la funzione esercitata attraverso l’Unione, appare corretto che la stessa venga individuata quale legittimato passivo.
Qualora invece il termine “ricorso” sia stato utilizzato in senso atecnico, appare probabile che la domanda sia finalizzata a sapere quale sia il soggetto da dover indicare, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera h), della legge regionale 17.01.1984 n. 1 (recante “Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative regionali”), nel processo verbale di accertamento -non costituente titolo esecutivo e quindi non autonomamente impugnabile- redatto dall’organo accertatore (Polizia locale), e dunque quale sia il soggetto competente a ricevere eventuali scritti difensivi, documenti e/o richiesta di audizione del trasgressore e/o dell’obbligato solidale.
Ai sensi dell’art. 8, comma 2, della citata l.r. n. 1/1984, tali deduzioni difensive vanno presentate “all’Ufficio da cui dipende l’agente verbalizzante”, e dunque, in considerazione del nuovo assetto funzionale conseguente all’applicazione della l.r. n. 26/2014, all’Unione quale ente cui compete la funzione di Polizia locale. Sarà poi onere del medesimo Ufficio da cui dipende il verbalizzante trasmettere quanto ricevuto all’organo dell’ente delegato alla determinazione e irrogazione della sanzione, secondo quanto previsto dalle discipline di settore nonché dai rispettivi ordinamenti (artt. 9 e 10 l.r. n. 1/1984).
La procedura sanzionatoria di cui alla Legge 24.11.1981, n. 689 (recante “Modifiche al sistema penale”), normativa di riferimento a livello statale, dispone all’art. 18, in parziale difformità rispetto a quanto previsto dalla corrispondente norma regionale, che gli scritti difensivi, documenti e richiesta di audizione possano essere fatti pervenire direttamente all’autorità competente a emettere l’ordinanza di ingiunzione/archiviazione.
Infine, il richiedente chiede se, in mancanza di una P.O. della Polizia locale, l’ordinanza ingiunzione possa essere sottoscritta dal Presidente dell’Unione, ovvero, in caso negativo, chi vi possa provvedere.
Anzitutto, la giurisprudenza
[4] è ferma nel definire le sanzioni amministrative -e dunque le ordinanze ingiunzione- “tipici provvedimenti amministrativi”, trattandosi di atti autoritativi conclusivi di procedimenti amministrativi posti in essere da una pubblica amministrazione nell’esplicazione di una potestà amministrativa ed aventi rilevanza esterna, incidendo immediatamente nella sfera giuridica dei destinatari. Conseguentemente, a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 267/2000, l’adozione delle ordinanze ingiunzione risulta devoluta alla competenza dei dirigenti degli enti locali ai sensi dell’art. 107 del decreto in parola [5]. Il comma 5 del citato art. 107 precisa infatti che da tale momento “le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III [organi di governo] l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti…”.
Il comma 4 sancisce inoltre che le competenze dirigenziali possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative. Tale norma deve quindi intendersi integrata dall’art. 53, comma 23, della legge 23.12.2000 n. 388 (legge finanziaria 2001), come modificato dall’art. 29, comma 4, lettere a) e b) della legge 28.12.2001 n. 448, secondo cui gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti “anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto…dall’art. 107 [d.lgs. n. 267/2000] attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale…”, in deroga pertanto al principio di separazione delle funzioni.
Tuttavia la disposizione derogatoria di cui all’art. 53, comma 23, l. 388/2000 sopra riportato non appare applicabile al caso di specie in ragione della natura speciale della disciplina della Polizia locale, il cui ordinamento è retto in Friuli Venezia Giulia dalla succitata l.r. n. 9/2009 che dispone puntualmente quanto alla direzione del Corpo e alla responsabilità del relativo Comandante, nonché alla necessaria appartenenza dello stesso alla Polizia locale (art. 16).
[6]
La ratio di un tanto si rinviene proprio nella particolarità ed esclusività del rapporto esistente fra Sindaco e Comandante della Polizia locale “fondato sulla dualità delle funzioni, che non possono sommarsi nella medesima persona o nel medesimo organo e che va comunque assicurata…anche perché il responsabile di un ufficio di Polizia Municipale ha compiti di legge che presuppongono l’appartenenza organica all’Ente e non può quindi comunque identificarsi nel Sindaco
[7], né dunque con il Presidente dell’Unione.
In forza di tutto quanto sopra, non appare possibile che le ordinanze ingiunzione possano essere firmate dal Presidente dell’Unione in luogo della P.O. della Polizia locale mancante. Diversa è la possibilità che a sottoscrivere tali atti sia altro dirigente amministrativo (non graduato), competente per materia, dipendendo un tanto dalla discrezionalità organizzativa dell’ente locale, purché sia salvaguardata la piena autonomia del Comandante limitatamente alla sfera di competenze che con carattere di tassatività la legge gli attribuisce (gestione risorse assegnate, impiego tecnico operativo, accertamento violazione).
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[1] Uniformemente, la normativa statale elenca le funzioni di polizia locale e polizia amministrativa locale fra le funzioni fondamentali dei Comuni, per le quali è prescritto l’esercizio obbligatorio in forma associata (nello specifico, cfr. l’art. 14, commi 26, 27 e 28, decreto legge 31.05.2010 n. 78, convertito in legge n. 122/2010, come modificato dall’art. 19 del decreto legge 06.07.2012 n. 95, convertito in legge n. 135/2012, e a tutt’oggi non ancora entrato in vigore), precisando fra l’altro che, qualora le funzioni siano svolte in forma associata mediante unioni di Comuni, a tali unioni si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 32 del testo unico sugli enti locali di cui al d.lgs. n. 267/2000.
[2] Ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge costituzionale 31.01.1963 n.B1 recante “Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia”, come indicato dall’art. 6 della l.r. n. 26/2014.
[3] Confronta parere prot. n. 3606 dd. 20.04.2017 in riferimento a quesito del 30.03.2017, in cui si evidenziava, fra l’altro, l’obbligo previsto dall’art. 10 della l.r. n. 9/2009 dell’organizzazione della polizia locale in Corpi.
[4] Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 01.04.2004, n. 6362.
[5] Né la circostanza che il combinato disposto degli artt. 17, comma 4, e 18, comma 1, della L. n. 689/1981 indichi nel Sindaco (o nel Presidente della Provincia) l’organo competente ad adottare l’ordinanza ingiunzione rappresenta un ostacolo all’individuazione della competenza dirigenziale, considerata la necessaria lettura di tali disposizioni alla luce del d.lgs. n. 267/2000.
[6] La ferma giurisprudenza sul punto si è formata con riferimento all’analoga normativa statale: la legge 07.03.1986 n. 65, invero, disciplina autonomamente -ed in maniera disomogenea rispetto alle previsioni generali di cui all’art. 107 d.lgs. n. 267/2000– quanto a responsabilità e direzione delle unità organizzative della Polizia locale. Cfr. TAR Lazio Latina, sezione I, sentenza 28.04.2007, n. 305, ma anche TAR Sicilia Palermo, sentenza 13.05.2008, n. 626 che ha a suo tempo confermato che “la disciplina della Polizia Municipale, la l. 07.03.1986, n. 65 non è subordinata alla sopravvenuta legge sulle autonomie locali, in quanto la prima riveste carattere di specialità che non consente di ritenere l’abrogazione implicita da parte della sopravvenuta legge di riforma del sistema delle autonomie locali”.
Inoltre il TAR Calabria Reggio Calabria, sezione I, sentenza 22.03.2011, n. 191, ha ribadito che la disposizione eccezionale di cui all’art. 53, comma 23, l. 388/2000 -come tale, di stretta interpretazione- consente di derogare solamente alle disposizioni generali costituite dall’art. 107 d.lgs. n. 267/2000, non permettendo alcuna interpretazione estensiva che conduca a ritenere di poter consentire la deroga alla l. n. 65/1986, né di conseguenza alle leggi regionali in materia di Polizia locale.
[7] TAR Calabria Reggio Calabria, sezione I, sentenza 22.03.2011, n. 191
(13.02.2018 - link a
www.regione.fvg.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Qualifica responsabile tributi locali.
Domanda
Il responsabile dei tributi locali di un comune può essere un dipendente non incaricato di posizione organizzativa?
Risposta
Si ritiene che il funzionario responsabile d’imposta possa essere individuato anche tra soggetti non titolari di posizione organizzativa, dal momento che la legittimazione a svolgere tale incarico trova la sua fonte nel provvedimento di nomina a responsabile del servizio (ovvero di funzionario responsabile dei tributi) e non già nell’incarico di posizione organizzativa (istituto previsto dal CCNL e non già da una disposizione legislativa).
Invero, nel caso in cui il funzionario responsabile sia un sub-apicale, il mancato conferimento dell’incarico di posizione organizzativa non inficia in alcun modo la legittimità degli atti adottati in quanto la “titolarità dell’organo pubblico” è prevista dalla legge e non dal contratto collettivo di lavoro.
La tesi proposta trova conferma nell’orientamento giurisprudenziale affermatosi in materia (cfr. TAR Puglia, Lecce, sent. n. 8515/2002 e TAR Puglia, Bari, sent. n. 1539/2003), secondo cui il funzionario responsabile non deve necessariamente essere un dirigente (apicale), potendo anche essere un ex VIII livello o sub-apicale (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 3677/2002), con conseguente legittimità degli atti emessi.
Il nuovo funzionario designato dall’amministrazione non potrà, comunque, svolgere le mansioni di ufficiale della riscossione se non ha conseguito l’apposita abilitazione prevista dall’art. 42 del d.lgs. 112/1999 e dal d.p.r. 402/2000 (01.02.2018 - link a www.publika.it).

gennaio 2018

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Circa l'espressione del parere di compatibilità del P.I.I. con il sopraordinato P.T.C.P. la competenza spetta alla Giunta provinciale, e non al Consiglio provinciale.
Nel silenzio dell'art. 92, L.R. 11.03.2005 n. 12, che al c. 7 si limita ad affermare che spetta alla Provincia esprimere il parere circa la compatibilità del programma integrato di intervento predisposto dal Comune con il sopraordinato piano territoriale di coordinamento provinciale, senza però precisare a quale organo provinciale spetti tale potere, trova applicazione il criterio di riparto fra gli organi di governo degli enti locali fissato dall'art. 42, c. 2, lett. h), T.U. 18.08.2000 n. 267, per effetto del quale detta competenza spetta alla Giunta provinciale, e non al Consiglio provinciale, trattandosi non di un parere in senso tecnico, ma di una mera verifica di conformità, che non è espressione di potestà pianificatoria, ma esprime un mero raffronto, privo di ogni valutazione discrezionale, tra il programma comunale ed il piano territoriale provinciale.
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Il Collegio può prescindere dallo scrutinio del ricorso incidentale proposto dal Comune resistente, essendo il presente ricorso infondato nel merito.
I) Con il primo motivo le istanti deducono il vizio di incompetenza avverso il parere di compatibilità al PTCP del Documento di Piano del PGT, espresso dalla Provincia con la delibera di Giunta n. 436 del 17.06.2008, che avrebbe invece dovuto essere adottata dal Consiglio, come previsto dall’art. 42, c. 2, lett. b), del T.U.E.L.
Il motivo è infondato atteso che, nel silenzio dell'art. 92, L.R. 11.03.2005 n. 12, che al c. 7 si limita ad affermare che spetta alla Provincia esprimere il parere circa la compatibilità del programma integrato di intervento predisposto dal Comune con il sopraordinato piano territoriale di coordinamento provinciale, senza però precisare a quale organo provinciale spetti tale potere, trova applicazione il criterio di riparto fra gli organi di governo degli enti locali fissato dall'art. 42, c. 2, lett. h), T.U. 18.08.2000 n. 267, per effetto del quale detta competenza spetta alla Giunta provinciale, e non al Consiglio provinciale, trattandosi non di un parere in senso tecnico, ma di una mera verifica di conformità, che non è espressione di potestà pianificatoria, ma esprime un mero raffronto, privo di ogni valutazione discrezionale, tra il programma comunale ed il piano territoriale provinciale (C.S., Sez, IV, 28.05.2009 n. 3333, che ha riformato TAR Lombardia, Milano, Sez., II, 29.10.2008 n. 5219) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.01.2018 n. 205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIAttribuzione al Commissario straordinario della responsabilità degli Uffici e servizi.
Sintesi/Massima
L’affidamento dei poteri gestionali ai componenti dell'organo esecutivo trova fondamento nel comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 poi modificato dall’ art. 29, comma 4, della legge 28.12.2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) che introduce una deroga al principio generale della separazione dei poteri (in particolare, rispetto alle competenze dirigenziali di cui all’art. 107 del T.U.O.E.L. e all’art. 4 del decreto legislativo n. 165/2001) nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, rimanendo esclusi i compiti meramente esecutivi o operativi.
Le disposizioni legislative predette non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento, essendo sufficiente che il relativo provvedimento sia deliberato dalla Giunta comunale, quale organo competente in materia di adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (cfr. Consiglio di Stato, IV, 23.02.2009, n. 1070; V, 06.03.2007, n. 1052; TAR Lombardia, Milano, II, 18.05.2011, n. 1278; TAR Lazio, Roma, II-ter, 22.03.2011, n. 2534).
Nella fattispecie di comune con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, fatte salve eventuali espresse limitazioni scaturenti dallo Statuto comunale, il Commissario straordinario può legittimamente attribuire a sé, con i poteri della Giunta comunale, la facoltà di gestione di un settore dell’Amministrazione.

Testo
E’ stato chiesto un parere in ordine alla possibilità dell’assunzione diretta della responsabilità degli uffici e dei servizi, con il potere di adottare atti anche di natura tecnico- gestionale, in sostituzione di un responsabile di servizio, che ha chiesto un lungo periodo di aspettativa.
Ciò alla luce dell’articolo 53, comma 23, della legge n. 388/2000 come modificato dall’art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001.
Al riguardo, si osserva che il citato comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) consentiva agli “enti locali” con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, in mancanza di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, di adottare disposizioni regolamentari organizzative, anche in deroga all'art. 107 del decreto legislativo n. 267/2000, mirate ad attribuire ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
Detta disposizione, com'è noto, è stata poi modificata sempre dal citato art. 29, comma 4, della legge 28.12.2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), che ha ribadito la predetta facoltà, estendendola agli enti fino a 5.000 abitanti, senza necessità di dimostrare la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee, con la conseguenza che risulta irrilevante anche la presenza all’interno dell’Amministrazione di tali figure professionali (conforme, TAR Lombardia n. 1644/2017 del 18/07/2017).
L'applicazione della norma deve essere finalizzata, tuttavia, al contenimento della spesa, la quale deve essere documentata ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione di bilancio (art. 53, comma 23, l. 388/2000).
Quindi l'affidamento dei poteri gestionali ai componenti dell'organo esecutivo trova fondamento nella succitata disposizione che introduce una deroga al principio generale della separazione dei poteri (in particolare, rispetto alle competenze dirigenziali di cui all’art. 107 del T.U.O.E.L. e all’art. 4 del decreto legislativo n. 165/2001) nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, rimanendo esclusi i compiti meramente esecutivi o operativi.
Nella fattispecie, si segnala la decisione n. 4688 del 2.10.2006 con la quale il TAR Puglia–Lecce, ha precisato che tale facoltà può essere esercitata previe “disposizioni regolamentari organizzative”.
Tuttavia, più recentemente il TAR Lombardia con la già citata sentenza n. 1644/2017 del 18/07/2017, ha stabilito, altresì, che alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, la disposizione legislativa non necessariamente indica l’approvazione di un regolamento, essendo sufficiente che il relativo provvedimento sia deliberato dalla Giunta comunale, quale organo competente in materia di adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (cfr. Consiglio di Stato, IV, 23.02.2009, n. 1070; V, 06.03.2007, n. 1052; TAR Lombardia, Milano, II, 18.05.2011, n. 1278; TAR Lazio, Roma, II-ter, 22.03.2011, n. 2534).
Trattandosi di comune con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e sembrando sussistere anche le altre condizioni per l’applicazione della norma (fatte salve eventuali espresse limitazioni scaturenti dallo Statuto comunale), si ritiene, pertanto, che il Commissario straordinario possa legittimamente attribuire a sé, con i poteri della Giunta comunale, la facoltà di gestione di un settore dell’Amministrazione (10.01.2018 - link a http://dait.interno.gov.it).

dicembre 2017

COMPETENZE GESTIONALI: La stabile attribuzione a funzionari privi qualifica dirigenziale del compito di adottare atti amministrativi con rilevanza esterna contrasta con il disposto dell'art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 165/2001.
La norma (avente rango legislativo e non derogabile da parte della contrattazione collettiva in quanto afferente profili organizzativi) trova il proprio antecedente nelle disposizioni del D.Lgs. n. 29 del 1993 (vigente all’epoca della adozione del provvedimento impugnato) che attribuivano ai dirigenti tutti i compiti di rilevanza esterna (art. 3 comma 2) e precludevano la stabile attribuzione di mansioni superiori a funzionari privi della menzionata qualifica (art. 57).
A ciò occorre aggiungere che, sempre secondo la giurisprudenza della Sezione, il provvedimento sottoscritto dal funzionario non dirigente è nullo e non semplicemente annullabile.

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... per l'annullamento della nota (prot. gen. n. 5454/99, part. n. 535) a firma del Funzionario del Dipartimento delle Risorse del Patrimonio, UOC Beni Patrimoniali del Comune di Pisa del 16.03.2001, con la quale si esprime "il diniego di concessione permanente di suolo pubblico", relativamente ad un piccolo manufatto situato in Pisa, Piazza ... n. 6 ed adibito ad attività di pubblico ristoro; nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso ed in particolare della nota a firma del dirigente del Settore Uso e Assetto del Territorio, Servizio Gestione e Tutela del Territorio, UOC Edilizia Privata del Comune di Pisa, del 14.03.2000 (prot. part. 306/00/99) con la quale si esprime "parere contrario al .......mantenimento" del chiosco de quo, sul presupposto che questo "determini comunque un elemento di contrasto" con le previsioni contenute negli artt. III comma e 62,2,2, I comma del Regolamento Edilizio comunale.
...
Con ricorso straordinario, trasposto in questa sede in seguito ad opposizione, la Società Il Pi., premesso:
   a) di esercitare una attività di somministrazione di bevande in un chiosco costruito su una porzione di suolo pubblico affidatale in concessione da parte del comune di Pisa;
   b) di aver richiesto all’amministrazione comunale il rinnovo della concessione scadente nel 1989;
   c) di essersi vista respingere l’istanza in ragione del fatto che il regolamento edilizio preluderebbe l’installazione di chioschi su suolo pubblico nell’ambito del centro storico.
Secondo l’interessata il provvedimento sarebbe affetto:
   1) da vizio di incompetenza per essere stato sottoscritto da un funzionario non dirigente;
   2) dal difetto di istruttoria, contraddittorietà della motivazione e lesione del legittimo affidamento dal momento che la concessione sarebbe in passato (e precisamente dal 1963) sempre stata rinnovata e, comunque, su tutta la zona sarebbero presenti manufatti analoghi;
   3) contraddittorietà per essere stati espressi nell’ambito del procedimento parere discordanti.
Fondato ed assorbente è il primo motivo di ricorso.
Secondo la giurisprudenza della Sezione, la stabile attribuzione a funzionari privi qualifica dirigenziale del compito di adottare atti amministrativi con rilevanza esterna contrasta con il disposto dell'art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 165/2001 (TAR Toscana, III, n. 1700/2015).
La norma (avente rango legislativo e non derogabile da parte della contrattazione collettiva in quanto afferente profili organizzativi) trova il proprio antecedente nelle disposizioni del D.Lgs. n. 29 del 1993 (vigente all’epoca della adozione del provvedimento impugnato) che attribuivano ai dirigenti tutti i compiti di rilevanza esterna (art. 3 comma 2) e precludevano la stabile attribuzione di mansioni superiori a funzionari privi della menzionata qualifica (art. 57).
A ciò occorre aggiungere che, sempre secondo la giurisprudenza della Sezione, il provvedimento sottoscritto dal funzionario non dirigente è nullo e non semplicemente annullabile (sentenza n. 331/2016).
Da ciò consegue il carattere assorbente della censura fermo restando che nel riesame della pratica l’organo competente dovrà tener conto della situazione attuale dell’area in cui è situato il chiosco valutando anche la possibilità del rilascio di una concessione di durata inferiore a quella richiesta e pari a quelle (a detta dello stesso comune) rilasciate ad altri esercenti presenti in loco (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 18.12.2017 n. 1576 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2017

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - PATRIMONIO: Sul potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del Comune.
L'ordinanza sindacale, volta al recupero di uno spazio a parcheggio pubblico, si configura come provvedimento autoritativo d'esercizio di autotutela possessoria "iuris publici" perché diretta al ripristino nell'interesse della collettività di uno stato di fatto reputato preesistente, conseguendone la sussistenza della giurisdizione amministrativa trattandosi di azione relativa alla verifica della legittimità o meno del potere azionato.
Non è decisiva la circostanza che il Comune non abbia fornito la prova della esistenza di un titolo legittimante l'uso pubblico del terreno oggetto della presente controversia (in particolare, la titolarità di una servitù prediale o di una servitù di uso pubblico).
L'autotutela possessoria di diritto pubblico non presuppone la titolarità di un diritto reale di uso pubblico o l'esistenza di una pubblica via vicinale, sicché sussiste il potere dell'Amministrazione comunale di rimuovere gli ostacoli al libero transito (e quindi di ripristinare lo stato dei luoghi), quando è configurabile una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, senza che vi sia necessità di titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
Ancora più nello specifico, occorre rammentare che il potere amministrativo esercitato dal Sindaco con l'ordinanza ex art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 non è contrario al più generale potere di autotutela possessoria di diritto pubblico -potere riconosciuto dall'art. 378, l. n. 2248 del 1865, All. F a tutela dell'uso pubblico delle strade, sia demaniali che vicinali, anche ai Sindaci- il quale non presuppone la titolarità di un diritto reale di uso pubblico, ma si fonda sull'esigenza di rimuovere ostacoli e impedimenti al libero transito esercitato anche in via di fatto dalla collettività.
Va ancora ricordato che sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere gli ostacoli al libero transito (con le modalità esistenti anteriormente, e quindi di ripristinare lo stato dei luoghi), quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, senza che vi sia necessità di ulteriore motivazione.
Tale conclusione esegetica è conforme al principio di teoria generale elaborato dalla giurisprudenza, secondo cui l'uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
I poteri di autotutela iuris publici che discendono dall'articolo 378 della legge 20.03.1865, n. 2248, allegato F), e mediatamente dall'articolo 823 del codice civile, non presentano la medesima identità di ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione o dalla turbativa; l’autotutela esecutiva è espressione di un potere autoritativo con cui, data la modifica di un situazione di fatto, l’amministrazione, doverosamente, ripristina la situazione di disponibilità del bene in favore della collettività.

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Quanto alla questione della competenza ad adottare il provvedimento, va ricordato che per giurisprudenza costante, il generale potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del Comune, di cui all'art. 378 l. n. 2248 del 1865, all. F, spetta al sindaco e non può ritenersi trasferito al dirigente con l'entrata in vigore d.lgs. n. 267 del 2000.
Ciò sia in ragione della persistente vigenza della norma, sia della riconducibilità del potere di tutela ivi previsto alla funzione di ufficiale di governo del sindaco, le cui competenze sono espressamente fatte salve dall'art. 107, comma 5, del suddetto d.lgs. n. 267 del 2000.
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In ordine alla dedotta contraddittorietà tra più atti è sufficiente rammentare che la contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell'eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l'effettiva volontà dell'amministrazione, mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all'esito di procedimenti indipendenti o, comunque, qualora si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti o —ancora— allorquando il nuovo provvedimento dell'Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stata adottata alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi medio tempore.
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Sono inconferenti e comunque infondate le censure che partono dal presupposto che il provvedimento impugnato sia un’ordinanza contingibile e urgente.
Al di là dei richiami normativi che si rinvengono nell’atto, trattasi pacificamente di un provvedimento di autotutela e, come è noto, il nomen iuris attribuito dall'Amministrazione a un proprio atto o provvedimento non vincola il giudice adito, che può riqualificarlo, occorrendo invero avere riguardo alla struttura stessa dell'atto impugnato.
In altre parole, l'esatta qualificazione di un provvedimento amministrativo va individuata tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa reale, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'Amministrazione, tenendo presente che l'apparenza derivante da una terminologia, eventualmente imprecisa o impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell'atto stesso non è vincolante né può prevalere sulla sostanza.

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Nel merito il ricorso è infondato per i motivi che di seguito si espongono.
Intanto, è pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in rilievo, in via principale, non l'accertamento del diritto di proprietà o di altro diritto reale, ma la legittimità di un provvedimento autoritativo incidente su posizioni di interesse legittimo.
Va precisato che l'ordinanza sindacale, volta al recupero di uno spazio a parcheggio pubblico, si configura come provvedimento autoritativo d'esercizio di autotutela possessoria "iuris publici" perché diretta al ripristino nell'interesse della collettività di uno stato di fatto reputato preesistente, conseguendone la sussistenza della giurisdizione amministrativa trattandosi di azione relativa alla verifica della legittimità o meno del potere azionato (cfr. Tar Campania, Salerno sez. II, 05.03.2013, n. 517).
Non è decisiva la circostanza che il Comune non abbia fornito la prova della esistenza di un titolo legittimante l'uso pubblico del terreno oggetto della presente controversia (in particolare, la titolarità di una servitù prediale o di una servitù di uso pubblico).
L'autotutela possessoria di diritto pubblico non presuppone la titolarità di un diritto reale di uso pubblico o l'esistenza di una pubblica via vicinale, sicché sussiste il potere dell'Amministrazione comunale di rimuovere gli ostacoli al libero transito (e quindi di ripristinare lo stato dei luoghi), quando è configurabile una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, senza che vi sia necessità di titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale (Tar Sicilia, Catania sez. I, 04.11.2015, n. 2552).
Ancora più nello specifico, occorre rammentare che il potere amministrativo esercitato dal Sindaco con l'ordinanza ex art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 non è contrario al più generale potere di autotutela possessoria di diritto pubblico -potere riconosciuto dall'art. 378, l. n. 2248 del 1865, All. F a tutela dell'uso pubblico delle strade, sia demaniali che vicinali, anche ai Sindaci- il quale non presuppone la titolarità di un diritto reale di uso pubblico, ma si fonda sull'esigenza di rimuovere ostacoli e impedimenti al libero transito esercitato anche in via di fatto dalla collettività (Tar Lazio, Roma, sez. II, 17.10.2016, n. 10344).
Va ancora ricordato che sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere gli ostacoli al libero transito (con le modalità esistenti anteriormente, e quindi di ripristinare lo stato dei luoghi), quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, senza che vi sia necessità di ulteriore motivazione (Consiglio di Stato, sez. V, 14.07.2015, n. 3531).
Tale conclusione esegetica è conforme al principio di teoria generale elaborato dalla giurisprudenza, secondo cui l'uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale (cfr., sul principio generale, Cons. Stato, Sez. V, n. 6283 del 2013, Consiglio di Stato, sez. V, 14.07.2015, n. 3531).
I poteri di autotutela iuris publici che discendono dall'articolo 378 della legge 20.03.1865, n. 2248, allegato F), e mediatamente dall'articolo 823 del codice civile, non presentano la medesima identità di ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione o dalla turbativa; l’autotutela esecutiva è espressione di un potere autoritativo con cui, data la modifica di un situazione di fatto, l’amministrazione, doverosamente, ripristina la situazione di disponibilità del bene in favore della collettività (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.04.2015, n. 2196).
Nel caso qui all’attenzione del Collegio, dall'esame della documentazione versata in atti, emerge che prima della collocazione delle transenne nel terreno in questione, sussisteva l'uso pubblico dello stesso, dovendosi ritenere sufficienti, per l'emanazione del provvedimento di autotutela, le evidenze documentali (tra le altre si vedano documenti nn. 9, 9-bis e 10 produzioni dell’amministrazione), suffragate dall'accertamento dello stato dei luoghi da parte di organi comunali.
In particolare, tutte le fotografie depositate dall’amministrazione attestano che il terreno era pacificamente già oggetto di transito veicolare e di utilizzo pubblico.
Quanto alla questione della competenza ad adottare il provvedimento, va ricordato che per giurisprudenza costante, il generale potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del Comune, di cui all'art. 378 l. n. 2248 del 1865, all. F, spetta al sindaco e non può ritenersi trasferito al dirigente con l'entrata in vigore d.lgs. n. 267 del 2000; ciò sia in ragione della persistente vigenza della norma, sia della riconducibilità del potere di tutela ivi previsto alla funzione di ufficiale di governo del sindaco, le cui competenze sono espressamente fatte salve dall'art. 107, comma 5, del suddetto d.lgs. n. 267 del 2000 (Consiglio di Stato, sez. IV, 08.06.2011, n. 3509).
In ordine alla dedotta contraddittorietà tra più atti è sufficiente rammentare che la contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell'eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l'effettiva volontà dell'amministrazione, mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all'esito di procedimenti indipendenti o, comunque, qualora si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti o —ancora— allorquando il nuovo provvedimento dell'Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stata adottata alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi medio tempore (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 14.08.2015, n. 5261).
Va ancora precisato che sono inconferenti e comunque infondate le censure che partono dal presupposto che il provvedimento impugnato sia un’ordinanza contingibile e urgente.
Al di là dei richiami normativi che si rinvengono nell’atto, trattasi pacificamente di un provvedimento di autotutela e, come è noto, il nomen iuris attribuito dall'Amministrazione a un proprio atto o provvedimento non vincola il giudice adito, che può riqualificarlo, occorrendo invero avere riguardo alla struttura stessa dell'atto impugnato (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. III, 23.02.2016, n. 2525).
In altre parole, l'esatta qualificazione di un provvedimento amministrativo va individuata tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa reale, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'Amministrazione, tenendo presente che l'apparenza derivante da una terminologia, eventualmente imprecisa o impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell'atto stesso non è vincolante né può prevalere sulla sostanza (in questo senso, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 03.09.2015, n. 581 e Cons. giust. amm. Sicilia, 14.05.2014 n. 282).
Il ricorso è in definitiva infondato e deve essere rigettato (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 03.11.2017 n. 679 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2017

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: RIFIUTI - Competenza del sindaco ad emanare le ordinanze in materia di rimozione di rifiuti - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Individuazione delle competenze tra Sindaco e Dirigente - Principio di specialità - Giurisprudenza - Art. 192 d.lgs. 152/2006 - Codice ambientale.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, è una disposizione speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2. La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (Cons. Stato, V, 29/08/2012, n. 4635; id., 12/06/2009, n. 3765; id., 10/03/2009, n. 1296; id., 25/08/2008, n. 4061).
Sicché, il principio di specialità, prevale sul principio ordinario di successione cronologica delle norme, le disposizioni posteriori non comportano l’abrogazione delle precedenti, ove queste ultime disciplinano diversamente la stessa materia in un campo particolare. (Consiglio, Sez. VI, sentenza n. 1199 del 23/3/2016).
In definitiva, la volontà del legislatore va ricostruita nel senso di affermare la competenza del sindaco ad emanare le ordinanze in materia di rimozione di rifiuti, ex art. 14 d.lgs. 05.02.1997, n. 22 (decreto Ronchi), anche successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL) e fino all’entrata in vigore del il decreto legislativo 03.04.2006, n. 152 (codice ambientale), che ha ribadito tale competenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.09.2017 n. 4230 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Competenza della Giunta comunale. Individuazione sostituti dei titolari di posizione organizzativa e individuazione funzionario per rappresentanza in giudizio
  
1) Come avviene per la nomina dei titolari di posizione organizzativa, anche per la nomina dei funzionari sostituti dei medesimi, risulta competente il Sindaco negli enti privi di qualifiche dirigenziali. La Giunta comunale è competente invece a definire in generale l'assetto organizzativo dell'ente, mediante l'individuazione e pesatura delle singole posizioni organizzative e ad adottare le scelte organizzative ritenute più opportune per il funzionamento ottimale dell'amministrazione locale.
   2) E' da considerare ormai consolidata giurisprudenza la regola secondo cui la decisione di agire e resistere in giudizio, nonché il conferimento della procura alle liti al difensore sono, in via ordinaria, di competenza del Sindaco in quanto organo della rappresentanza legale dell'ente anche al fine della resistenza in giudizio, nonché in relazione al carattere residuale delle attribuzioni della giunta comunale, e fatte salve ulteriori previsioni statutarie.

Il consigliere comunale di minoranza ha chiesto un parere in ordine a due distinte questioni, concernenti l'organo/soggetto competente ad individuare i dipendenti che sostituiscono i titolari di posizione organizzativa, all'interno dell'Ente, e la competenza ad individuare il funzionario legittimato alla rappresentanza in giudizio del Comune stesso. Nello specifico il consigliere manifesta perplessità in ordine alla competenza in materia della Giunta comunale.
Per quanto concerne la problematica connessa al soggetto competente a individuare i sostituti dei titolari di posizione organizzativa, si osserva che l'art. 42, comma 1, del CCRL del 07.12.2006, in linea con quanto disposto dal legislatore statale all'art. 109, comma 2, del d.lgs. 267/2000, prevede che, negli enti locali privi di qualifiche dirigenziali, gli incarichi di posizione organizzativa sono conferiti con apposito provvedimento del sindaco.
Pertanto, pur rinviando alle norme di dettaglio stabilite nel regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi dell'Ente, si ritiene che, come avviene per la nomina dei titolari delle singole posizioni organizzative, anche la nomina dei funzionari sostituti dei medesimi, in caso di assenza o temporaneo impedimento, risulti di competenza del Sindaco.
Alla Giunta comunale è infatti attribuita di contro la competenza ad adottare il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
[1], a definire in generale l'assetto organizzativo dell'Ente, mediante l'articolazione delle aree di attività e correlata istituzione e pesatura delle singole posizioni organizzative ritenute necessarie per un' ottimale gestione.
Potrebbe conseguentemente rientrare nelle competenze della Giunta solo la scelta e previsione, in via generale e regolamentare, di provvedere, qualora necessario, alla sostituzione di un titolare di posizione organizzativa tramite ricorso a dipendente assegnato a diversa struttura, trattandosi, in quel caso, di soluzione strategica adottata a livello organizzativo.
Per quanto concerne la questione relativa alla rappresentanza in giudizio
[2], si rappresenta che tale tema è stato oggetto di rilevante attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa e di legittimità a seguito della riforma dell'ordinamento degli enti locali, avvenuta con il d.lgs. 267/2000.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi comunali, infatti, ha imposto un riesame dell'orientamento giurisprudenziale tradizionale, anche alla luce dell'intervenuta modifica del Titolo V della Costituzione, in senso più favorevole all'autonomia degli enti locali.
In questo senso la Corte di Cassazione a Sezioni Unite
[3] precisava che: 'competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il Sindaco, non essendo necessaria l'autorizzazione della Giunta municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'Ente, mentre la Giunta comunale ha una competenza residuale, sussistente cioè soltanto nei limiti in cui norme legislative o statutarie non la riservino al Sindaco (v. Sez. Un. 10.05.2001, n. 186)'.
Con una successiva pronuncia
[4], la Corte di Cassazione, dopo aver comunque ribadito che in virtù dell'art. 50 del TUEL la decisione di resistere in giudizio compete immancabilmente al Sindaco, ha riconosciuto particolari margini all'autonomia statutaria dell'Ente. Si è infatti affermato che, nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000)- di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza.
In conclusione, è da considerare ormai consolidata giurisprudenza la regola secondo cui la decisione di agire e resistere in giudizio, nonché il conferimento della procura alle liti al difensore sono, in via ordinaria, di competenza del Sindaco in quanto organo titolare della rappresentanza legale dell'ente anche al fine della resistenza in giudizio
[5], nonché in relazione al carattere residuale delle attribuzioni della giunta, e salvo ulteriori previsioni statutarie.
Di un tanto si è avuta conferma con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4277 del 26.08.2014, che ha affermato che 'in via ordinaria -ai sensi degli artt. 35 e 36 della legge 08.06.1990 n. 142, poi trasfusi negli artt. 48 e 50 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267- la decisione di agire e resistere in giudizio e il conferimento al difensore del mandato alle liti spettano al rappresentante legale dell'ente (cioè al Sindaco), senza bisogno di autorizzazione della Giunta o del dirigente competente ratione materiae. All'autonomia statutaria (legittimata a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) è però conservata la possibilità di prevedere l'autorizzazione della Giunta ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno o l'altro intervento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 07.02.2012, n. 650)'.
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[1] Cfr. art. 48, comma 3, del d.lgs. 267/2000.
[2] E, più in particolare, la questione relativa all'eventuale necessità di una deliberazione della giunta e/o del dirigente di competenza che autorizzi il Comune a stare in giudizio e, a tal fine, conferisca la necessaria procura alle liti al difensore.
[3] Cfr. sentenza n. 17550/2002.
[4] Cfr. Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 12868/2005.
[5] Cfr. art. 50 del TUEL
(06.09.2017 -
link a www.regione.fvg.it).

giugno 2017

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza non ha mancato di evidenziare che ai sensi dell'art, 97, comma 4, lett. d), D.lgs. 2000 n. 267, il Segretario comunale, anche se chiamato a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e coordinarne la relativa attività, non può di norma espletare compiti normalmente rimessi alla struttura burocratica in senso proprio dell'ente locale, sostituendosi ai dirigenti, salve eventuali ipotesi eccezionali di assenza, nei ruoli dell'ente locale, di dirigenti o di altri funzionari in grado di espletarne i compiti; in ogni caso, anche in assenza di personale con qualifica dirigenziale, l'attribuzione di compiti gestionali al segretario comunale non è automatica, ma dipende da una specifica attribuzione di funzioni amministrative, in base allo statuto o ai regolamenti dell'ente o a specifiche determinazioni del sindaco.
Ai sensi delle norme richiamate, nell'attuale assetto ordinamentale, al Segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Di talché, nel nuovo ordinamento degli enti locali, il Segretario comunale non rientra più nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è ulteriormente confermata dall'art. 97 D.lgs. 267/2000, laddove al comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al Segretario comunale di competenze dirigenziali limitate e “pur sempre legate ad esigenze eccezionali e transeunti”.
Ne consegue che non essendo il Segretario comunale titolare di poteri di sostituzione rectius avocazione nei confronti dei dirigenti, l’ordinanza impugnata (nel caso di specie) presta il fianco ai dedotti vizi di incompetenza oltre che di difetto di motivazione.
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Tuttavia, deve però il Collegio verificare la capacità invalidante del suddetto vizio, ai sensi del comma secondo, primo allinea, dell’art. 21-octies della legge 241 del '90 e s.m., risultando l’attività di repressione degli abusi edilizi pacificamente strettamente vincolata oltre che doverosa ed applicandosi dunque il principio c.d. sostanzialistico ivi codificato di “strumentalità delle forme” ovvero di conservazione dell’attività amministrativa, con il corollario processuale della trasformazione del giudizio di annullamento da verifica formale di legittimità degli atti impugnati ad accertamento della fondatezza della pretesa azionata ovvero a giudizio “sul rapporto”.
Giova evidenziare, per completezza, come la sostenuta natura processuale dell’art. 21-octies dovrebbe essere riconsiderata alla luce dell’entrata in vigore del decreto legge “Sblocca Italia” 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, nella parte in cui ha modificato l’art. 21-nonies della legge 241/1990 sul potere di annullamento d’ufficio, ora esercitabile solo in presenza di “provvedimento illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2,…… .”.
Da una prima lettura della novella legislativa, secondo il significato letterale, pare ora considerarsi illegittimo soltanto il provvedimento annullabile ai sensi dell’art. 21-octies, che diverrebbe dunque norma sostanziale. Ne conseguirebbero allora diversi effetti giuridici, tra cui la pacifica irrilevanza ai fini risarcitori, divenendo l’atto affetto da vizi formali non più colpito da invalidità non annullabile bensì affetto da mera irregolarità, così come una possibile deresponsabilizzazione ai fini dello stesso giudizio amministrativo contabile, non senza al riguardo ipotizzabili questioni di incostituzionalità per contrasto, tra l’altro, con gli artt. 24, 103 e 113 Cost.
In merito alla riconduzione del vizio di competenza relativa ai vizi di natura “formale”, ai fini dell’applicazione dell’art. 21-octies comma secondo L. 241/1990, è sorto un obiettivo contrasto giurisprudenziale.
Infatti, secondo una prima tesi, il vizio di incompetenza relativa non può portare all'annullamento dell'atto, ove l'amministrazione non potrebbe, in prosieguo, che riadottare un provvedimento analogo a quello impugnato; troverebbe quindi applicazione l'art. 21-octies comma 2, l. n. 241 del 1990 dal momento la norma avrebbe una propria “vis espansiva” che lo renderebbe applicabile a qualsiasi vizio puramente formale, dato che l'acclarata necessaria reiterazione del provvedimento, da parte dell'organo in ipotesi competente, dimostra che la censura, pur fondata, non è sorretta da alcun concreto interesse.
Secondo altra opposta opzione esegetica, invece, dalla lettura combinata del comma 1, e del comma 2, dell'art. 21-octies, L. n. 241 del 1990, si desume che, quando viene accertata l'incompetenza relativa dell'organo adottante, il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l'annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; detta disposizione, infatti, si riferisce ai soli casi in cui il provvedimento adottato sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma; né è possibile includere le norme sulla competenza tra quelle sul procedimento amministrativo o sulla forma degli atti: infatti, nel comma 1, dell'art. 21-octies il legislatore ha inteso ribadire la classica tripartizione dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma rientra nell'ambito più generale della violazione di legge.
Non ignora il Collegio come l’assimilazione ai vizi formali dell’incompetenza relativa possa in realtà porsi in contrasto con il principio fondamentale di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa sancita dal Codice sul Pubblico Impiego (artt. 13 e seg.) e dallo stesso Testo Unico Enti Locali (art. 107), principio cui va riconosciuta rilevanza costituzionale quale espressione del principio di buon andamento.
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Tanto doverosamente premesso, ritiene il Collegio come nel caso di specie la domanda di annullamento dell’ordinanza impugnata sia del tutto strumentale, se non pretestuosa, dal momento che parte ricorrente non contesta minimamente l’abusività delle opere detenute, poiché anche la lamentata mancata indicazione del titolo abilitativo necessario per le opere in contestazione risulta altrettanto capziosa in considerazione delle caratteristiche delle opere realizzate e dei vincoli insistenti sull’area.
Infatti, per quanto i manufatti in esame siano di non rilevanti dimensioni, costituiscono pur sempre interventi implicanti una evidente trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, oltre che del paesaggio, soggetti al preventivo permesso di costruire, ai sensi sia del t.u. edilizia che della legislazione regionale, oltre che dell’autorizzazione paesaggistica, essendo pertanto del tutto inevitabile l’adozione da parte del Comune delle doverose misure ripristinatorie.
In tal contesto, l’annullamento del provvedimento impugnato, come detto manifestamente del tutto vincolato e senza alternative quanto al contenuto dispositivo emanabile, appare oltre che in contrasto con il principio di “strumentalità delle forme” del tutto irragionevole, specie nell’ambito di un giudizio sul rapporto sostanziale sottostante, potendo e anzi dovendo l’Amministrazione intimata riadottare all’indomani dell’ipotizzato annullamento giudiziale un provvedimento di identico tenore.
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1. - Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 18 del 05.07.2007 con cui il Segretario comunale di Pegaro (PG) gli ha ingiunto la demolizione, quale soggetto detentore, di varie opere asseritamente abusive, realizzate su area classificata dal P.R.G. come boschiva e sottoposta a vincolo paesaggistico, precisamente tre manufatti di modeste dimensioni (due di circa 9 mq. e uno di 25 mq,) e una recinzione metallica, tutte destinate all’allevamento di animali da cortile per il consumo domestico.
...
2. - E’ materia del contendere la legittimità dell’ordinanza n. 18 del 05.07.2007 con cui il Segretario comunale di Pegaro ha ingiunto anche al ricorrente, quale soggetto detentore, la demolizione di varie opere asseritamente abusive, realizzate su area vincolata, tra cui tre manufatti di modeste dimensioni e una recinzione metallica, tutte destinate all’allevamento di animali da cortile per il consumo domestico.
3. - Va premesso in punto di fatto come l’odierno ricorrente abbia spontaneamente demolito uno dei tre manufatti oggetto della misura ripristinatoria gravata ovvero quello di maggiori dimensioni adibito a ricovero degli animali, circostanza confermata anche dalla difesa comunale.
In punto di diritto parte ricorrente non contesta il carattere abusivo delle opere oggetto della misura ripristinatoria -circostanza che potrebbe far dubitare come eccepito dall’Amministrazione della stessa sussistenza dell’interesse al ricorso- limitandosi a dedurre censure di carattere formale/procedimentale e, segnatamente, il vizio di incompetenza relativa ed il difetto di motivazione anche in riferimento alla mancata indicazione del titolo edilizio che sarebbe stato richiesto per realizzare le opere in esame.
4. - Il ricorso è infondato e va respinto.
5. - Ritiene il Collegio di dover esaminare prioritariamente le doglianze inerenti il vizio di incompetenza relativa, in quanto di natura assorbente.
5.1. - Come noto, se il provvedimento impugnato è affetto da vizio di incompetenza, tale vizio ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm., ha carattere assorbente rispetto alle residue censure, dato che in tutte le situazioni di incompetenza e di carenza di proposta o di parere obbligatorio si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice, anche ai sensi succitato art. 34, comma 2, cod. proc. amm., non può fare altro che rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo ritenersi vincolato dalla prospettazione del ricorrente e dalla eventuale graduazione dei motivi da quest'ultimo effettuata; in tale ipotesi, invero, debbono ritenersi sussistere i presupposti per disporre l'assorbimento (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia) precisati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 27.04.2015 n. 5 (cfr. TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 21.06.2016, n. 226; TAR Campania Napoli sez. VII, 29.08.2016, n. 4117).
5.2. - Ad avviso del ricorrente il provvedimento di repressione di abuso edilizio, quale atto tipicamente rientrante nelle attribuzioni dirigenziali, dovrebbe essere emanato esclusivamente dal Dirigente comunale o dal Responsabile apicale esercente le relative funzioni, potendo il Segretario comunale sostituirlo soltanto in caso di motivato riscontro delle ragioni di assenza o impedimento, riscontro nel caso di specie del tutto assente.
Impugna il ricorrente anche il presupposto art. 33, comma 5, del presupposto Regolamento comunale sull’ordinamento degli Uffici e Servizi, ove venisse interpretato nel senso di consentire una sostanziale avocazione di poteri gestionali da parte del Segretario comunale, organo decisamente distinto rispetto alla dirigenza dell’ente locale.
5.3. - Come sostenuto dal ricorrente l’ordinanza impugnata non indica effettivamente le ragioni dell’impedimento del Responsabile dell’Area Tecnica alla sottoscrizione dell’atto, contravvenendo alle stesse disposizioni del presupposto Regolamento, espressamente richiamato nella stessa ordinanza.
5.4. - La giurisprudenza non ha mancato di evidenziare che ai sensi dell'art, 97, comma 4, lett. d), D.lgs. 2000 n. 267, il Segretario comunale, anche se chiamato a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e coordinarne la relativa attività, non può di norma espletare compiti normalmente rimessi alla struttura burocratica in senso proprio dell'ente locale, sostituendosi ai dirigenti, salve eventuali ipotesi eccezionali di assenza, nei ruoli dell'ente locale, di dirigenti o di altri funzionari in grado di espletarne i compiti; in ogni caso, anche in assenza di personale con qualifica dirigenziale, l'attribuzione di compiti gestionali al segretario comunale non è automatica, ma dipende da una specifica attribuzione di funzioni amministrative, in base allo statuto o ai regolamenti dell'ente o a specifiche determinazioni del sindaco (ex multis TAR Piemonte, sez. II, 04.11.2008, n. 2739; Consiglio di Stato sez. IV, 21.08.2006, n. 4858; in termini Cass. civ. sez. lav., 12.06.2007, n. 13708).
Ai sensi delle norme richiamate, nell'attuale assetto ordinamentale, al Segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Di talché, nel nuovo ordinamento degli enti locali, il Segretario comunale non rientra più nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è ulteriormente confermata dall'art. 97 D.lgs. 267/2000, laddove al comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al Segretario comunale di competenze dirigenziali limitate e “pur sempre legate ad esigenze eccezionali e transeunti” (TAR Calabria Catanzaro sez. II, 12.03.2002, n. 571).
5.5. - Ne consegue che non essendo il Segretario comunale titolare di poteri di sostituzione rectius avocazione nei confronti dei dirigenti, l’ordinanza impugnata presta il fianco ai dedotti vizi di incompetenza oltre che di difetto di motivazione.
5.6. - Tanto premesso, deve però il Collegio verificare la capacità invalidante del suddetto vizio, ai sensi del comma secondo primo allinea dell’art. 21-octies della legge 241 del '90 e s.m., risultando l’attività di repressione degli abusi edilizi pacificamente strettamente vincolata oltre che doverosa (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 21.11.2016, n. 4855; TAR Campania Napoli, sez. VI, 20.02.2017, n. 995; TAR Umbria 29.01.2014, n. 66) ed applicandosi dunque il principio c.d. sostanzialistico ivi codificato di “strumentalità delle forme” ovvero di conservazione dell’attività amministrativa, con il corollario processuale della trasformazione del giudizio di annullamento da verifica formale di legittimità degli atti impugnati ad accertamento della fondatezza della pretesa azionata ovvero a giudizio “sul rapporto” (ex multis Cons. Stato, Ad. plen., 23.03.2011, n. 3).
5.7. - Giova evidenziare, per completezza, come la sostenuta natura processuale dell’art. 21-octies (ex multis Consiglio Stato, sez. VI, 04.09.2007, n. 4614) dovrebbe essere riconsiderata alla luce dell’entrata in vigore del decreto legge “Sblocca Italia” 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, nella parte in cui ha modificato l’art. 21-nonies della legge 241/1990 sul potere di annullamento d’ufficio, ora esercitabile solo in presenza di “provvedimento illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2,…… .”.
Da una prima lettura della novella legislativa, secondo il significato letterale, pare ora considerarsi illegittimo soltanto il provvedimento annullabile ai sensi dell’art. 21-octies, che diverrebbe dunque norma sostanziale. Ne conseguirebbero allora diversi effetti giuridici, tra cui la pacifica irrilevanza ai fini risarcitori, divenendo l’atto affetto da vizi formali non più colpito da invalidità non annullabile bensì affetto da mera irregolarità, così come una possibile deresponsabilizzazione ai fini dello stesso giudizio amministrativo contabile, non senza al riguardo ipotizzabili questioni di incostituzionalità per contrasto, tra l’altro, con gli artt. 24, 103 e 113 Cost.
5.8. - In merito alla riconduzione del vizio di competenza relativa ai vizi di natura “formale”, ai fini dell’applicazione dell’art. 21-octies comma secondo L. 241/1990, è sorto un obiettivo contrasto giurisprudenziale.
Infatti, secondo una prima tesi, il vizio di incompetenza relativa non può portare all'annullamento dell'atto, ove l'amministrazione non potrebbe, in prosieguo, che riadottare un provvedimento analogo a quello impugnato; troverebbe quindi applicazione l'art. 21-octies comma 2, l. n. 241 del 1990 dal momento la norma avrebbe una propria “vis espansiva” che lo renderebbe applicabile a qualsiasi vizio puramente formale, dato che l'acclarata necessaria reiterazione del provvedimento, da parte dell'organo in ipotesi competente, dimostra che la censura, pur fondata, non è sorretta da alcun concreto interesse (TAR Campania Salerno sez. II, 21.05.2013, n. 1132; in termini anche TAR Toscana, sez. III, 17.09.2013, n. 1263).
Secondo altra opposta opzione esegetica, invece, dalla lettura combinata del comma 1, e del comma 2, dell'art. 21-octies, L. n. 241 del 1990, si desume che, quando viene accertata l'incompetenza relativa dell'organo adottante, il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l'annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; detta disposizione, infatti, si riferisce ai soli casi in cui il provvedimento adottato sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma; né è possibile includere le norme sulla competenza tra quelle sul procedimento amministrativo o sulla forma degli atti: infatti, nel comma 1, dell'art. 21-octies il legislatore ha inteso ribadire la classica tripartizione dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma rientra nell'ambito più generale della violazione di legge (TAR Veneto sez. II, 09.02.2010, n. 340; TAR Lombardia Milano sez. IV, 06.04.2012, n. 1035).
5.9 - Non ignora il Collegio come l’assimilazione ai vizi formali dell’incompetenza relativa possa in realtà porsi in contrasto con il principio fondamentale di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa sancita dal Codice sul Pubblico Impiego (artt. 13 e seg.) e dallo stesso Testo Unico Enti Locali (art. 107), principio cui va riconosciuta rilevanza costituzionale quale espressione del principio di buon andamento (ex multis Corte Cost. sent. 03.05.2013, n. 81).
5.10. - Tanto doverosamente premesso, ritiene il Collegio come nel caso di specie la domanda di annullamento dell’ordinanza impugnata sia del tutto strumentale, se non pretestuosa, dal momento che parte ricorrente non contesta minimamente l’abusività delle opere detenute, poiché anche la lamentata mancata indicazione del titolo abilitativo necessario per le opere in contestazione risulta altrettanto capziosa in considerazione delle caratteristiche delle opere realizzate e dei vincoli insistenti sull’area.
Infatti, per quanto i manufatti in esame siano di non rilevanti dimensioni, costituiscono pur sempre interventi implicanti una evidente trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, oltre che del paesaggio, soggetti al preventivo permesso di costruire, ai sensi sia del t.u. edilizia che della legislazione regionale, oltre che dell’autorizzazione paesaggistica, essendo pertanto del tutto inevitabile l’adozione da parte del Comune delle doverose misure ripristinatorie.
5.11 - In tal contesto, l’annullamento del provvedimento impugnato, come detto manifestamente del tutto vincolato e senza alternative quanto al contenuto dispositivo emanabile, appare oltre che in contrasto con il principio di “strumentalità delle forme” del tutto irragionevole, specie nell’ambito di un giudizio sul rapporto sostanziale sottostante, potendo e anzi dovendo l’Amministrazione intimata riadottare all’indomani dell’ipotizzato annullamento giudiziale un provvedimento di identico tenore.
6. - Alla luce delle suesposte considerazioni il I motivo è pertanto infondato, non essendo il dedotto vizio di incompetenza dotato di capacità invalidante (TAR Umbria, sentenza 20.06.2017 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2017

COMPETENZE GESTIONALI: La competenza ad adottare atti di gestione in materia edilizia, compresi quelli repressivo-sanzionatori, è stata trasferita dalla legge ai dirigenti soltanto con l’entrata in vigore della l. 191/1998, vale a dire a far data dal 05.07.1998.
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6. – Con la terza censura dedotta il ricorrente sostiene la incompetenza del Sindaco ad adottare il provvedimento repressivo in materia edilizia qui impugnato, ma la censura non coglie nel segno.
Sul punto va invero considerato che in materia di riparto di competenza tra organi politici e organi della gestione negli Enti locali per la adozione di provvedimenti amministrativi si è assistito alla seguente evoluzione:
   - con l'originaria stesura dell'art. 51, terzo comma, della legge 08.06.1990, n. 142, venne previsto che ai dirigenti spettassero tutti i compiti, compresa la adozione di atti che impegnassero l'amministrazione verso l'esterno ma che non fossero espressamente riservati dalla legge o dallo statuto agli organi di governo, indicandosi in particolare, con richiamo alle modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti;
   - con la modifica apportata dall'art. 6 della l. 15.05.1997, n. 127 la elencazione dei compiti attribuiti ai dirigenti ha subito un ampliamento, aggiungendosi, a quelli previsti dal cennato originario terzo comma, gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spese (lett. d), gli atti di amministrazione e gestione del personale (lett. e), i provvedimenti di assentimento di cui alla sopra citata lett. [f], le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza (lett. g), gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco (lett. h);
   - con l'art. 45 d.lgs. 31.03.1998, n. 80 è stato previsto che, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (e cioè dal 23.04.1998), le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all'art. 3, secondo comma, del d.lgs. 03.02.1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti;
   - con l'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191, è stata inserita, dopo la lett. [f] del sopra citato e modificato art. 51 della l. n. 142/1990, la seguente lett. [f-bis]: “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico–ambientale”.
L'esplicito ampliamento normativo, subìto per due volte, della elencazione dei compiti originariamente spettanti ai dirigenti, conduce alla conclusione che quanto indicato, limitatamente alle commissioni, alle procedure e ai contratti, dall'iniziale stesura dell'art. 51, non fosse meramente esemplificativo. Una ipotesi del genere colliderebbe infatti con la considerazione in base alla quale il legislatore avrebbe emesso per tre volte norme sostanzialmente inutili (precisando dapprima taluni compiti nella originaria stesura dell'art. 51, ampliandoli poi con la legge n. 127 del 1997, ampliandoli ulteriormente con la legge n. 191 del 1998).
Va pertanto concluso, per quanto qui occorre, che il progressivo ampliamento delle competenze dei dirigenti sia avvenuto, di volta in volta, in concomitanza con la entrata in vigore delle varie norme sopra esaminate.
E va conseguentemente detto che le enunciazioni, di ampio significato, contenute nell'art. 51, terzo comma, cit. ("spettano ai dirigenti tutti i compiti...") e nell'art. 45 cit. ("le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti ... si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti"), sono state intese dal medesimo legislatore che le ha introdotte, e (cfr. in particolare l'originario art. 51 e l'art. 6, comma 2 cit.) nel momento stesso in cui sono state poste, nel senso di enunciazioni di principio, abbisognevoli di specificazioni necessarie; non utili quindi, ex se, a conferire senz'altro poteri dirigenziali sul punto.
Può concludersi pertanto che la competenza ad adottare atti di gestione in materia edilizia, compresi quelli repressivo-sanzionatori, sia stata trasferita dalla legge ai dirigenti soltanto con l’entrata in vigore della l. 191/1998, vale a dire a far data dal 05.07.1998 e quindi in epoca successiva alla data di adozione del provvedimento qui impugnato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 08.05.2017 n. 5541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2017

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIAi sensi dell’art. 9 l. 26.10.1995, n. 447 spetta al sindaco e non ai dirigenti comunali, la competenza ad adottare ordinanze per il contenimento o l’abbattimento delle emissioni sonore, compresa l’inibotoria totale o parziale di determinate attività trattandosi di potere analogo a quello attribuito allo stesso sindaco dagli artt. 50 e 54 Tuel.
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... per l'annullamento dell'ordinanza comunale n. 62/16 di cessazione delle emissioni sonore prodotte dalle attività indagate generate nel pubblico esercizio ga.in.bi..
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Con ricorso la Ga.ea. s.r.l. chiedeva di annullare l’ordinanza inquinamento acustico descritta in ricorso con cui veniva ordinato alla ricorrente la cessazione delle emissioni sonore prodotte dalle attività indagate, generate nel pubblico esercizio Ga.In.Bi., nonché di tutti gli atti presupposti indicati in ricorso.
Si costituiva il comune resistente chiedendo di rigettare il ricorso.
Il ricorso proposto deve trovare accoglimento come già evidenziato in sede di ordinanza cautelare emessa in corso di giudizio.
Come da prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell’art. 9 l. 26.10.1995, n. 447 spetta al sindaco e non ai dirigenti comunali, la competenza ad adottare ordinanze per il contenimento o l’abbattimento delle emissioni sonore, compresa l’inibotoria totale o parziale di determinate attività trattandosi di potere analogo a quello attribuito allo stesso sindaco dagli artt. 50 e 54 Tuel (cfr. Tar Venezia n. 377/2015; Tar Latina, 210/2014; Tar Torino 708/2013; Tar Potenza 156/2017). Deve infatti ritenersi che il provvedimento in questione non rientri tra i poteri ordinari di controllo in materia di inquinamento acustico ma consista in un provvedimento contingibile e urgente di competenza del sindaco.
Il vizio in questione ha carattere assorbente e comporta l’annullamento dell’atto, sono ovviamente salvi gli ulteriori atti della pubblica amministrazione relativi a differenti vizi o problematiche relativi alla gestione dell’attività (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 07.03.2017 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2016

COMPETENZE GESTIONALIIn applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti locali) al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però, detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei confronti del segretario.
Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza.
La norma dell'art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), al terzo comma, affida invece ai dirigenti degli enti locali tutti i compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, e segnatamente, rimette alla competenza dei dirigenti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo.
Nei comuni privi di dirigenti, detti compiti possono essere attribuiti, con provvedimento sindacale, ai responsabili degli uffici e servizi dell'ente, indipendentemente dalla qualifica da essi posseduta (art. 109, comma 2).

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... per l'annullamento della nota comunale prot. n. 20160002568 del 21.06.2016, a firma del Segretario generale, con la quale il Comune di Nociglia ha rigettato le osservazioni ex art. 10-bis, L. n. 241/1990 presentate dal ricorrente, confermando la sussistenza di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di autorizzazione all'affitto d'azienda;
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Il ricorso è fondato.
In particolare, riveste carattere assorbente il difetto di competenza del Segretario comunale ad adottare le note impugnate.
Invero, in applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti locali) al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però, detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei confronti del segretario. Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza (Cons. Stato Sez. IV, 04.02.2014, n. 494).
La norma dell'art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), al terzo comma, affida invece ai dirigenti degli enti locali tutti i compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, e segnatamente, rimette alla competenza dei dirigenti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo. Nei comuni privi di dirigenti, detti compiti possono essere attribuiti, con provvedimento sindacale, ai responsabili degli uffici e servizi dell'ente, indipendentemente dalla qualifica da essi posseduta (art. 109, comma 2).
Nella specie, le note impugnate, a firma del Segretario comunale sono atti che, obiettivamente, impegnano l’amministrazione verso l’esterno in quanto indicano le ragioni della impossibilità di accogliere l’istanza presentata dal ricorrente per la stipula di un contratto di affitto di azienda. In particolare, la disamina della nota 21.5.2016 evidenzia la sua natura provvedimentale laddove risultano espresse le seguenti conclusioni “rispetto alla precedente comunicazione dell’11.05.2016 non risultano acquisti nuovi elementi idonei alla ridefinizione della richiesta del sig. Pu. e, pertanto, le osservazioni presentate ex art. 10-bis della L. 241/1990 non possono essere accolte”.
Dal che discende la sussistenza del vizio di competenza censurato nel ricorso.
L’accoglimento del ricorso sotto l’aspetto suindicato comporta l’assorbimento delle ulteriori censure ivi comprese quelle dirette a censurare l’inerzia della P.A. comunale, per non aver individuato il cessionario subentrante, atteso che l’annullamento delle note citate comporta l’obbligo per la P.A. di definire il procedimento in questione.
Tale circostanza comporta, altresì, allo stato, la reiezione della domanda risarcitoria, potendo la stessa aver seguito solo successivamente alla definizione del procedimento medesimo (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 13.10.2016 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2016

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALISebbene l'art. 107 d.lgs. n. 267/2000 attribuisca l'attività di gestione ai dirigenti, compete al sindaco l'emanazione dell'ordinanza di rimozione, recupero e smaltimento dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, in virtù del carattere di specialità riconosciuto all'art. 192 d.lgs. n. 152/2006, da cui la stessa è disciplinata.
Altresì, nel caso di Unione di Comuni, deve ritenersi che i Sindaci mantengano le competenze loro attribuite dalla norma speciale, dal momento che dette Unioni operano l’unificazione a livello degli uffici ovvero degli organi di gestione amministrativa o tecnica-operativa, ma non determinano alcun trasferimento di poteri degli organi di indirizzo politico (v. art. 32 d.lgs. n. 267/2000).

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- Visto l'art. 192 del codice dell'ambiente, ove dispone che: "1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. E' altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate
”;
- Visto l’art. 107, comma 4, T.U. enti locali ove precisa che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”, ciò che è avvenuto a seguito dell’entrata in vigore del citato art. 192, c. 3;
- Atteso che, alla luce delle disposizioni sopra richiamate e conformemente alla giurisprudenza maggioritaria, condivisa dal Collegio, "sebbene l'art. 107 d.lgs. n. 267/2000 attribuisca l'attività di gestione ai dirigenti, compete al sindaco l'emanazione dell'ordinanza di rimozione, recupero e smaltimento dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, in virtù del carattere di specialità riconosciuto all'art. 192 d.lgs. n. 152/2006, da cui la stessa è disciplinata" (C.S., Sez. V, 29.08.2012, n. 4635; Sez. V, 12.06.2009, n. 3765; Sez. V, 10.03.2009, n. 1296, Sez. V 25.08.2008, n. 4061, TAR Lazio, Sez. II, 01.02.2013 n. 1142; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 17.09.2012 n. 1644; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 09.06.2011, n. 867; TAR Emilia Romagna-Bologna - Sez. II, 26.01.2011, n. 61; Consiglio Stato - Sez. V, 25.08.2008, n. 4061);
- Ritenuto, inoltre, che anche in caso di Unione di Comuni, deve ritenersi che i Sindaci mantengano le competenze loro attribuite dalla norma speciale, dal momento che dette Unioni operano l’unificazione a livello degli uffici ovvero degli organi di gestione amministrativa o tecnica-operativa, ma non determinano alcun trasferimento di poteri degli organi di indirizzo politico (v. art. 32 d.lgs. n. 267/2000);
- Considerando, pertanto, fondata l’assorbente censura di incompetenza con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e rimessione all’organo competente per gli ulteriori provvedimenti (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 06.09.2016 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2016

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La ratifica, secondo un orientamento giurisprudenziale del tutto pacifico, comporta il consolidamento ex tunc degli effetti del provvedimento viziato da incompetenza, precludendone l’annullabilità.
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Tuttavia, il Collegio reputa che l’invalidità degli atti amministrativi emessi da un dipendente privo di qualifica dirigenziale non sia riconducibile alla categoria della incompetenza relativa.
Il vizio di incompetenza relativa presuppone, infatti, la violazione delle regole che ripartiscono (in senso verticale o orizzontale) fra diversi organi di una p.a. l’esercizio di una determinata attribuzione.
Nel caso di specie, invece, si verte in una ipotesi in cui il provvedimento contestato è stato emanato da un funzionario di fatto la cui preposizione all’ufficio dirigenziale deve considerarsi nulla e i cui atti non possono, conseguentemente, essere imputati al comune di Pietrasanta.
Per meglio chiarire tale assunto occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Sezione, la stabile attribuzione a funzionari privi qualifica dirigenziale del compito di adottare atti amministrativi con rilevanza esterna contrasta con il disposto dell’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 165/2001 in base al quale la delega di funzioni dirigenziali a dipendenti privi di tale qualifica può avvenire solo per un periodo di tempo limitato e per specifiche e comprovate ragioni di servizio.
Nel caso di specie il comune, al quale spettava l’onere di giustificare i poteri esercitati dal proprio funzionario non dirigente, non ha specificato in forza di quale delega egli abbia agito, né ha prodotto nulla al riguardo. Ciò considerato, il Tribunale deve, pertanto, ritenere che, nella specie, non vi fosse una delega conforme ai parametri ed ai limiti previsti dall’art. 17-bis del D.Lgs 165/2001.
In difetto di una siffatta delega la attribuzione a funzionari apicali di funzioni dirigenziali si risolve in una illecita attribuzione di mansioni superiori sanzionata con la nullità dal comma 5° dell’art. 52 del D.Lgs. 165 del 2001. Nullità che non produce conseguenze solo sul piano del rapporto di lavoro fra amministrazione e dipendente ma anche su quello del rapporto organico discendente dalla preposizione all’ufficio che, in presenza di un atto di investitura nullo, non può venire in essere.
L’attribuzione di funzioni dirigenziali nel nostro sistema è, infatti, soggetta alla regola del previo svolgimento e superamento di un concorso pubblico (parimenti presidiata dalla sanzione della nullità, Cons. Stato Ad. Plen. nn. 1 e 2 del 1992) che non può essere aggirata attraverso il conferimento di deleghe che non rispettino i limiti temporali e funzionali tassativamente previsti dalla legge (si veda sul tema Corte cost. 37/2015).
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Tutto ciò chiarito resta da sciogliere il nodo della sorte degli atti adottati dai funzionari a cui le funzioni dirigenziali sono state invalidamente conferite.
Ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa trovare applicazione la giurisprudenza del Giudice amministrativo d’appello secondo la quale i vizi che rendono illegittimo l’atto di nomina non inficiano la validità degli atti emessi dall’organo illegittimamente costituito. Tale giurisprudenza riguarda, infatti, ipotesi in cui l’atto di investitura risulta affetto da vizi che ne comportano l’annullabilità e non la nullità radicale derivante da violazione di norme imperative espressamente assistite da tale tipologia di sanzione proprio al fine di impedire che l’atto possa produrre effetti giuridici ancorché solo precari.
Nemmeno può essere applicata la giurisprudenza che fa salvi gli atti adottati dal funzionario di fatto allorché vi sia l’esigenza di salvaguardare l’affidamento e la buona fede dei terzi, posto che, tale regola non opera allorché sia il terzo stesso ad insorgere negando il potere del funzionario che ha emesso l'atto.
Deve, invece, ritenersi che gli atti adottati dai funzionari ai quali sono state illegalmente attribuite funzioni dirigenziali debbano considerarsi affetti da nullità strutturale per mancanza di elementi essenziali ai sensi dell’art. 21-septies della L. 241 del 1990. La valida investitura dell’autore del provvedimento costituisce, infatti, un requisito senza il quale la volontà da egli espressa non può essere riferita alla amministrazione, costituendo le qualità professionali di chi emana l'atto una essenziale garanzia per il cittadino che entra in contatto con la p.a..
I provvedimenti in data 18.04.2013 con i quali il funzionario istruttore privo di qualifica dirigenziale ha disposto il diniego di sanatoria e ordinato la demolizione del manufatto abusivamente realizzato, essendo affetti da nullità, non erano, quindi, suscettibili di essere ratificati o convalidati, potendo la ratifica e la convalida sanare esclusivamente agli atti che hanno prodotto i loro effetti, precludendone il successivo annullamento.
Nondimeno, la ratifica adottata dal dirigente in data 18/02/2015 possiede tutti i requisiti formali e sostanziali per essere considerata alla stregua di un autonomo provvedimento di diniego di sanatoria ed irrogazione della sanzione demolitoria i cui effetti decorrono, però, ex nunc dal momento della sua adozione con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 30, comma 1, del D.Lgs. 69 del 2013.
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La materia del contendere resta, quindi, limitata, alla impugnativa del diniego di sanatoria in data 18/04/2013, dell’ordinanza di demolizione in data 13/06/2013 e della ratifica dei dure provvedimenti adottata in data 18/02/2015.
Il punto controverso della intera vicenda ruota intorno al fatto se l’immobile ricostruito dalla ricorrente abbia o meno una maggiore altezza di quello preesistente, poiché da tale circostanza dipende la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione o sostituzione edilizia e, quindi, la sua conformità urbanistica.
Le ricorrenti affermano che nel misurare l’altezza del fabbricato il comune avrebbe tenuto conto della presenza sul colmo della struttura (ancora al grezzo) di opere provvisionali destinate a scomparire a seguito del suo completamento.
Secondo il comune, invece, le predette opere farebbero parte della struttura del tetto in corso di realizzazione e, quindi, concorrerebbero a determinarne l’altezza.
Tuttavia, come osservato nell’ordinanza cautelare del 20/05/2015, il contestato aumento di altezza dell’immobile perderebbe rilevanza qualora alla fattispecie in esame si rivelasse applicabile ratione temporis l’art. 30, comma 1, del D.L. 69/2013 convertito in legge n. 98/2013 che ha eliminato il requisito della identità di sagoma ai fini della classificazione degli interventi di demolizione e successiva ricostruzione nell’ambito della categoria della ristrutturazione edilizia.
A tal fine occorre osservare che alla data in cui il funzionario responsabile del procedimento ha adottato il diniego di sanatoria (18.04.2014) il D.L. n. 69/2013 non era ancora entrato in vigore, mentre il menzionato decreto era pienamente operante alla data in cui è stato adottato il provvedimento dirigenziale del 18/02/2015 con cui il comune di Pietrasanta ha inteso ratificare l’operato del funzionario delegato che aveva agito senza averne i poteri.
La ratifica, secondo un orientamento giurisprudenziale del tutto pacifico, comporta il consolidamento ex tunc degli effetti del provvedimento viziato da incompetenza, precludendone l’annullabilità; sicché, qualora il vizio che affliggeva il diniego adottato dal funzionario istruttore fosse effettivamente riconducibile alla incompetenza relativa, la data utile a cui riferire gli effetti del diniego dovrebbe essere quella del 18.04.2013.
Tuttavia, il Collegio reputa che l’invalidità degli atti amministrativi emessi da un dipendente privo di qualifica dirigenziale non sia riconducibile alla categoria della incompetenza relativa.
Il vizio di incompetenza relativa presuppone, infatti, la violazione delle regole che ripartiscono (in senso verticale o orizzontale) fra diversi organi di una p.a. l’esercizio di una determinata attribuzione.
Nel caso di specie, invece, si verte in una ipotesi in cui il provvedimento contestato è stato emanato da un funzionario di fatto la cui preposizione all’ufficio dirigenziale deve considerarsi nulla e i cui atti non possono, conseguentemente, essere imputati al comune di Pietrasanta.
Per meglio chiarire tale assunto occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Sezione, la stabile attribuzione a funzionari privi qualifica dirigenziale del compito di adottare atti amministrativi con rilevanza esterna contrasta con il disposto dell’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 165/2001 in base al quale la delega di funzioni dirigenziali a dipendenti privi di tale qualifica può avvenire solo per un periodo di tempo limitato e per specifiche e comprovate ragioni di servizio (TAR Toscana, III, n. 1700/2015).
Nel caso di specie il comune di Pietrasanta, al quale spettava l’onere di giustificare i poteri esercitati dal proprio funzionario non dirigente, non ha specificato in forza di quale delega egli abbia agito, né ha prodotto nulla al riguardo.
Ciò considerato, il Tribunale deve, pertanto, ritenere che, nella specie, non vi fosse una delega conforme ai parametri ed ai limiti previsti dall’art. 17-bis del D.Lgs 165/2001.
In difetto di una siffatta delega la attribuzione a funzionari apicali di funzioni dirigenziali si risolve in una illecita attribuzione di mansioni superiori sanzionata con la nullità dal comma 5° dell’art. 52 del D.Lgs. 165 del 2001. Nullità che non produce conseguenze solo sul piano del rapporto di lavoro fra amministrazione e dipendente ma anche su quello del rapporto organico discendente dalla preposizione all’ufficio che, in presenza di un atto di investitura nullo, non può venire in essere.
L’attribuzione di funzioni dirigenziali nel nostro sistema è, infatti, soggetta alla regola del previo svolgimento e superamento di un concorso pubblico (parimenti presidiata dalla sanzione della nullità, Cons. Stato Ad. Plen. nn. 1 e 2 del 1992) che non può essere aggirata attraverso il conferimento di deleghe che non rispettino i limiti temporali e funzionali tassativamente previsti dalla legge (si veda sul tema Corte cost. 37/2015).
Tutto ciò chiarito resta da sciogliere il nodo della sorte degli atti adottati dai funzionari a cui le funzioni dirigenziali sono state invalidamente conferite.
Ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa trovare applicazione la giurisprudenza del Giudice amministrativo d’appello secondo la quale i vizi che rendono illegittimo l’atto di nomina non inficiano la validità degli atti emessi dall’organo illegittimamente costituito (Cons. Stato, sez. IV, 21/05/2008 n. 2407). Tale giurisprudenza riguarda, infatti, ipotesi in cui l’atto di investitura risulta affetto da vizi che ne comportano l’annullabilità e non la nullità radicale derivante da violazione di norme imperative espressamente assistite da tale tipologia di sanzione proprio al fine di impedire che l’atto possa produrre effetti giuridici ancorché solo precari.
Nemmeno può essere applicata la giurisprudenza che fa salvi gli atti adottati dal funzionario di fatto allorché vi sia l’esigenza di salvaguardare l’affidamento e la buona fede dei terzi, posto che, tale regola non opera allorché sia il terzo stesso ad insorgere negando il potere del funzionario che ha emesso l'atto (Cons. Stato, IV, 20/05/1999, n. 853).
Deve, invece, ritenersi che gli atti adottati dai funzionari ai quali sono state illegalmente attribuite funzioni dirigenziali debbano considerarsi affetti da nullità strutturale per mancanza di elementi essenziali ai sensi dell’art. 21-septies della L. 241 del 1990. La valida investitura dell’autore del provvedimento costituisce, infatti, un requisito senza il quale la volontà da egli espressa non può essere riferita alla amministrazione, costituendo le qualità professionali di chi emana l'atto una essenziale garanzia per il cittadino che entra in contatto con la p.a. (Cass. 09/11/2015, n. 22800; Cass. 02/12/2015 n. 24492).
I provvedimenti in data 18.04.2013 con i quali il funzionario istruttore privo di qualifica dirigenziale ha disposto il diniego di sanatoria e ordinato la demolizione del manufatto abusivamente realizzato, essendo affetti da nullità, non erano, quindi, suscettibili di essere ratificati o convalidati, potendo la ratifica e la convalida sanare esclusivamente agli atti che hanno prodotto i loro effetti, precludendone il successivo annullamento.
Nondimeno, la ratifica adottata dal dirigente in data 18/02/2015 possiede tutti i requisiti formali e sostanziali per essere considerata alla stregua di un autonomo provvedimento di diniego di sanatoria ed irrogazione della sanzione demolitoria i cui effetti decorrono, però, ex nunc dal momento della sua adozione con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 30, comma 1, del D.Lgs. 69 del 2013.
Alla luce delle predette considerazioni risulta, perciò, fondato ed assorbente il quinto dei motivi aggiunti del 27/04/2015 con il quale si denuncia la violazione della predetta norma che, come già detto, ha reso irrilevante la modificazione della identità di sagoma ai fini della qualificazione degli interventi di demolizione e ricostruzione nell’ambito della categoria della ristrutturazione edilizia (non trovando, peraltro, alcun riscontro né nella motivazione degli atti impugnati né nella istruttoria procedimentale la tesi, espressa dalla difesa del comune di Pietrasanta secondo cui l’immobile ricostruito eccederebbe quello preesistente anche in termini volumetrici).
La fondatezza della predetta doglianza comporta la illegittimità dell’ordinanza dirigenziale del 18/02/2015, da considerarsi come autonomo provvedimento di diniego di sanatoria e come irrogazione dell’ordine di demolizione, che deve, conseguentemente, essere annullata (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 24.02.2016 n. 331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2016

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Spetta al Sindaco e non al dirigente ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati sul territorio.
Per pacifica giurisprudenza, l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, è una disposizione speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000.
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1. Con l’ordinanza n. 12 del 15.03.2007, il Responsabile del Settore Vigilanza del Comune di Rivello ha intimato all’Anas -ai sensi dell’art. 14, comma 3, D.Lgs. n. 22 del 1997- di procedere entro 30 giorni dalla notifica di tale ordinanza alla rimozione dei rifiuti abusivamente abbandonati in una zona limitrofa alla strada statale n. 585 «Fondovalle del Noce», tra il km. 25,500 ed il km. 25,600, avente una superficie di circa 100 mq., con lo smaltimento a propria cura e spese, esibendo poi al Comune la prova dell’avvenuto smaltimento;
2. Con il ricorso di primo grado, proposto al TAR per la Basilicata, la s.p.a. ANAS ha impugnato l’ordinanza n. 12 del 15.03.2007, deducendo la violazione degli artt. 7, comma 2, lett. d), 13, 14, comma 3, 21, 49, comma 2, e 58, comma 3, D.Lgs. n. 22/1997, e degli artt. 192 e 198 D.Lgs. n. 152/2006 (per insussistenza del dolo o della colpa), degli artt. 3, 7 e 8 L. n. 241/1990, nonché il proprio difetto di legittimazione passiva, l’incompetenza del Dirigente comunale in luogo del Sindaco, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, insussistenza dei presupposti.
Il Comune di Rivello si è costituito in giudizio ed ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione della presupposta nota del Comando della Stazione dei Carabinieri di Lagonegro n. 1464 del 26.02.2007, recante la segnalazione della presenza dei rifiuti e per la mancata notifica del ricorso al medesimo Comando.
Il Comune, in subordine, ha chiesto che il ricorso sia respinto, perché infondato.
3. Con la sentenza n. 488 del 29.06.2007, il Tar, prescindendo dalle eccezioni di inammissibilità, ha respinto il ricorso, rilevandone l’infondatezza.
4. Con l’appello in esame, notificato l’08.10.2007, la s.p.a. Anas ha impugnato la sentenza del TAR, riproponendo le censure respinte in primo grado.
Il Comune di Rivello si è costituito in giudizio ed ha ribadito le eccezioni di inammissibilità già formulate in primo grado, chiedendo comunque la reiezione dell’appello.
5, La Sezione ritiene che vadano respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, riproposte in questa sede dal Comune di Rivello, poiché il verbale del Comando della Stazione dei Carabinieri di Lagonegro n. 1464 del 26.02.2007 costituisce null’altro che la denuncia che ha attivato l’esercizio del potere comunale: esso, quale atto meramente istruttorio e di informazione dei fatti accaduti, non ha un carattere autonomamente lesivo della sfera giuridica dell’appellante.
6. Passando all’esame delle censure formulate in primo grado e riproposte con l’atto d’appello, ritiene la Sezione che risulta fondata la censura con cui è stata dedotta l’incompetenza del Responsabile del Settore Vigilanza.
Per la pacifica giurisprudenza di questa Sezione, l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, è una disposizione speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (Cons. Stato, V, 29.08.2012, n. 4635; id., 12.06.2009, n. 3765; id., 10.03.2009, n. 1296; id., 25.08.2008, n. 4061).
7. La fondatezza della censura di incompetenza comporta l’assorbimento delle altre censure formulate dall’appellante, sicché in questa sede diventa irrilevante l’esame degli aspetti della legittimità sostanziale del provvedimento impugnato in primo grado.
8. Per le ragioni che precedono, in accoglimento dell’appello, il ricorso di primo grado va accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato n. 12 del 15.03.2007, salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune di Rivello (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2016 n. 57 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISebbene l’atto di indirizzo non modifichi immediatamente la situazione giuridica dei destinatari finali, esso pone dei vincoli all'organo competente a provvedere, senz'altro rilevanti in ordine alla valutazione giudiziale del successivo esercizio del potere, ma —di norma— non tali da produrre lesioni dirette per le quali possa predicarsi l'onere dell'immediata impugnazione.
Non può del pari escludersi che, ove la particolare natura delle prescrizioni e delle modalità d'azione prefigurate siano così stringenti da rendere ineluttabile l'effetto lesivo poi concretamente generato dall'atto attuativo, l'atto di indirizzo possa esso stesso porsi come fonte direttamente lesiva, risultando invero plausibile che la certezza di una futura modifica della situazione giuridica o la stessa capacità conformativa immediata dell'indirizzo vincolante possano, in concreto, risultare fattispecie idonee a radicare un interesse giuridicamente rilevante e processualmente spendibile.

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6. - Va premessa l’ammissibilità del ricorso principale.
E’ stato infatti osservato in giurisprudenza che, sebbene l’atto di indirizzo non modifichi immediatamente la situazione giuridica dei destinatari finali, esso pone dei vincoli all'organo competente a provvedere, senz'altro rilevanti in ordine alla valutazione giudiziale del successivo esercizio del potere, ma —di norma— non tali da produrre lesioni dirette per le quali possa predicarsi l'onere dell'immediata impugnazione. Non può del pari escludersi che, ove la particolare natura delle prescrizioni e delle modalità d'azione prefigurate siano così stringenti da rendere ineluttabile l'effetto lesivo poi concretamente generato dall'atto attuativo, l'atto di indirizzo possa esso stesso porsi come fonte direttamente lesiva, risultando invero plausibile che la certezza di una futura modifica della situazione giuridica o la stessa capacità conformativa immediata dell'indirizzo vincolante possano, in concreto, risultare fattispecie idonee a radicare un interesse giuridicamente rilevante e processualmente spendibile (TAR Calabria–Reggio Calabria, 07.04.2011, n. 263).
Nel caso di specie, l’impugnata deliberazione della Giunta del Comune di Cassano All’Ionio ha provveduto ad individuare specificamente nella Cooperativa sociale Fu.La. il soggetto cui affidare il servizio di assistenza agli alunni disabili della scuola dell’obbligo. Nel fare ciò, essa ha conformato la successiva azione amministrativa rendendola, nella prospettiva della ricorrente, inevitabilmente lesiva per i suoi interessi.
Non a caso, la successiva determinazione del Dirigente del Settore Affari Generali –anch’essa puntualmente impugnata con motivi aggiunti- ha recepito l’indicazione della Giunta comunale, affidando l’incarico alla cooperativa sociale individuata dalla Giunta e pertanto attualizzando la lesione già provocata dall’atto di indirizzo (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.01.2016 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2015

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICILa programmazione delle opere pubbliche è modificabile, dall’ente locale, sulla base di nuove considerazioni attinenti alla migliore gestione dell’interesse pubblico, nell’esercizio del potere di autotutela.
Ne deriva che il Comune interessato è legittimato a porre in essere quanto necessario per mutare gli atti della propria programmazione.
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3. La controversia concerne gli atti con i quali il Comune appellato ha interrotto il procedimento di cui in narrativa, riguardante la procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori di realizzazione del nuovo polo scolastico di Via Gavazzi – Viale Italia, che impegnava l’importo a base d’asta di €. 9.038.000,00 (di cui €. 105.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso), revocando l’aggiudicazione provvisoria già disposta in favore dell’odierna appellante e procedendo a nuova programmazione delle opere pubbliche.
L’appello è infondato.
3.1. Non è fondata la censura di incompetenza della Giunta Comunale a disporre l’impugnata revoca.
E’ vero che la programmazione delle opere pubbliche rientra nella competenza del Consiglio Comunale, ma l’operato del Comune appellato non ha violato tale riparto di competenze.
Deve essere rilevato che l’atto di revoca è stato uno dei primi provvedimenti della Giunta da poco insediatasi dopo il rinnovo del Consiglio Comunale.
La Giunta ha preso atto del fatto che una somma di notevolissimo rilievo era impegnata per l’intervento di cui ora si discute; deve essere osservato che in quel momento non era stato stipulato il contratto di appalto e anzi non si era nemmeno concluso il procedimento di aggiudicazione.
La Giunta ha ritenuto l’impegno di spesa manifestamente eccessivo e ha avviato gli atti necessari per una nuova programmazione.
In tale situazione di fatto, è evidente che la conclusione del procedimento di aggiudicazione avrebbe reso impossibile, o quanto meno ben più complicata, la modifica della programmazione del Comune.
Nella descritta situazione di fatto, ragionevolmente la Giunta ha proceduto alla revoca della procedura in corso, attuando quindi una sorta di “misura di salvaguardia” necessaria per non pregiudicare l’esercizio della potestà programmatoria del Comune e consentire l’esercizio dell’amplissima discrezionalità, propria di tali scelte.
Potrebbe essere sostenuto che le misure di salvaguardia sono provvedimenti cautelari, che giustificano la sospensione, non l’arresto definitivo del procedimento.
Peraltro, tale argomentazione non è stata proposta dall’appellante e appare di dubbia applicabilità in relazione alle procedure di affidamento degli appalti pubblici, nelle quali le offerte hanno un termine massimo di validità.
In ogni modo, tale argomentazione non è in concreto rilevante nel caso in esame, in quanto il problema è stato superato dalla successiva modifica della programmazione delle opere pubbliche.
Nello stesso ordine di idee, deve essere respinta la doglianza relativa alla violazione dell’art. 11, primo comma, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, dedotta rilevando che gli atti di revoca della gara sono in contrasto con la programmazione delle opere pubbliche allora vigente.
E’ evidente, infatti, che tale programmazione è modificabile, dall’ente locale, sulla base di nuove considerazioni attinenti alla migliore gestione dell’interesse pubblico, nell’esercizio del potere di autotutela; di conseguenza, il Comune è legittimato a porre in essere quanto necessario per mutare gli atti della propria programmazione.
Con gli atti concernenti la revoca della precedente gara, il Comune non ha modificato il programma delle opere pubbliche, ma ha invece posto in essere atti preordinati a tale modifica, di fatto poi disposta, a tale scopo impedendo il formarsi di preclusione al dispiegamento delle sue potestà discrezionali.
L’argomentazione deve quindi essere disattesa (massima tratta da http://renatodisa.com - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.12.2015 n. 5823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2015

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Nella concreta gestione la parola al dirigente.
Nel caso in cui l'oggetto del provvedimento amministrativo riguardi la concreta gestione e organizzazione di un servizio pubblico, disciplinato da atti normativi di vario livello, la competenza spetta agli organi dirigenziali e non al Sindaco.

È quanto hanno stabilito i giudici della II Sez. del TAR Sardegna con la sentenza 11.09.2015 n. 1018.
Si pensi, a mo' di esempio, al caso in cui il provvedimento riguarda la regolazione delle modalità di conferimento dei rifiuti solidi urbani, in una specifica e circoscritta zona del territorio comunale.
Infatti, la materia oggetto degli atti impugnati posti all'attenzione dei giudici amministrativi sardi, riguardava proprio un particolare profilo di organizzazione e gestione del servizio di ritiro e conferimento dei rifiuti solidi urbani comunali.
I giudici cagliaritani, nel caso specifico, hanno osservato come l'art. 107 del Tuel riservi alla competenza dei dirigenti l'intera gestione amministrativa dei comuni, con un'ampia formula secondo la quale «spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108».
E', poi, la medesima norma a individuare una sorta di limite nelle disposizioni di legge o di statuto che individuano le competenze degli organi di indirizzo politico; limite, che costituisce la traduzione in termini più specifici del principio di distinzione tra gestione, da un lato, e indirizzo e controllo dall'altro.
Si osserva, inoltre, che l'art. 54 del Testo unico degli enti locali, subordina il potere di ordinanza del sindaco a diversi presupposti, tra i quali (tipicamente) la necessità e l'urgenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana» (articolo ItaliaOggi Sette del 12.10.2015).

luglio 2015

COMPETENZE GESTIONALIIl commissario ad acta rientra, ai sensi dell’art. 21 c.p.a., fra gli organi ausiliari del giudice: da tale qualificazione, va individuata la fonte dei suoi poteri nella sentenza da portare ad esecuzione.
La giurisprudenza costante di questo Consiglio ritiene che il commissario ad acta sia legittimato “ad adottare ogni misura conforme al giudicato che si appalesi, in concreto, idonea a garantire alla parte ricorrente il conseguimento effettivo del bene della vita di cui sia stato riconosciuto titolare nella sentenza da portare ad attuazione”.
Per consentire l’adempimento dei propri compiti, viene garantita una particolare autonomia al commissario, che si riverbera sul contenuto degli atti da esso adottati, i quali hanno gli stessi effetti verso i terzi di quelli dell’ente sostituito, per provvedere in luogo di quest’ultimo e per superare la paralisi dell’azione amministrativa, dando vita ad una relazione intersoggettiva, e non interorganica, con l’amministrazione.
Il potere del commissario di sostituirsi all’amministrazione nella valutazione e nella attività di scelta, tra i vari interessi coinvolti in uno specifico procedimento, consentono di valorizzare l’elemento discrezionale degli atti emanati da questo soggetto, quale organo ausiliario del giudice: in tal modo, da un lato, in capo all’amministrazione non residua alcun potere discrezionale relativo all’attuazione del provvedimento adottato e, dall’altro lato, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria soltanto qualora vi sia un contrasto fra la sentenza da portare ad esecuzione ed il contenuto del provvedimento adottato dal commissario ad acta.

Al riguardo vanno, preliminarmente, analizzati il ruolo ed i poteri spettanti al commissario ad acta nell’ambito della esecuzione delle sentenze adottate dal Giudice Amministrativo.
Come noto, il commissario ad acta rientra, ai sensi dell’art. 21 c.p.a., fra gli organi ausiliari del giudice: da tale qualificazione, va individuata la fonte dei suoi poteri nella sentenza da portare ad esecuzione.
La giurisprudenza costante di questo Consiglio ritiene che il commissario ad acta sia legittimato “ad adottare ogni misura conforme al giudicato che si appalesi, in concreto, idonea a garantire alla parte ricorrente il conseguimento effettivo del bene della vita di cui sia stato riconosciuto titolare nella sentenza da portare ad attuazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.03.2012 n. 1194).
Per consentire l’adempimento dei propri compiti, viene garantita una particolare autonomia al commissario, che si riverbera sul contenuto degli atti da esso adottati, i quali hanno gli stessi effetti verso i terzi di quelli dell’ente sostituito, per provvedere in luogo di quest’ultimo e per superare la paralisi dell’azione amministrativa, dando vita ad una relazione intersoggettiva, e non interorganica, con l’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21.01.2013 n. 327).
Il potere del commissario di sostituirsi all’amministrazione nella valutazione e nella attività di scelta, tra i vari interessi coinvolti in uno specifico procedimento, consentono di valorizzare l’elemento discrezionale degli atti emanati da questo soggetto, quale organo ausiliario del giudice: in tal modo, da un lato, in capo all’amministrazione non residua alcun potere discrezionale relativo all’attuazione del provvedimento adottato e, dall’altro lato, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria soltanto qualora vi sia un contrasto fra la sentenza da portare ad esecuzione ed il contenuto del provvedimento adottato dal commissario ad acta
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.07.2015 n. 3258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2015

COMPETENZE GESTIONALI: Il sindaco non può essere (legittimamente) il responsabile del servizio finanziario.
Seppur il comune abbia meno di 5.000 abitanti (nel caso di specie poco meno di 1.000), non appare conforme all’ordinamento vigente che il Sindaco assuma su di sé, in aggiunta alle responsabilità connaturate alla carica elettiva, anche quelle di responsabile del servizio finanziario dell’ente.
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In sede di esame della relazione trasmessa dall’Organo di revisione del Comune di Ono San Pietro (BS), relativo al rendiconto 2012, redatto ai sensi dell’articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23.12.2005, n. 266 (Finanziaria 2006), è emerso che l’ente:
1. non ha rispettato il limite relativo alle spese del personale previsto dall’art. 1, comma 562, L. 296/2006;
2. non è stato effettuato dal responsabile delle entrate il riaccertamento dei residui attivi.
Con lettera istruttoria trasmessa in data 09.02.2015 al numero di protocollo 1314, il magistrato istruttore ha richiesto all’Organo di revisione delucidazioni in merito alle motivazioni per cui non è stato effettuato dai singoli responsabili delle relative entrate il riaccertamento dei residui attivi e alle ragioni che non hanno permesso il rispetto del limite previsto relativamente al contenimento delle spese del personale, la cui variazione nel periodo 2008/2012 è stata del 54,54% (dati del questionario).
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Mancato riaccertamento dei residui.
Ai sensi degli artt. 153 e 228 del T.U.E.L. il riaccertamento dei residui è attività obbligatoria a presidio della sana gestione contabile dell’ente locale e a tutela degli equilibri di bilancio, in quanto adempimento ciclico incidente sulla composizione dell’avanzo di amministrazione.
L’operazione di riaccertamento deve essere compiuta dall’organo individuato dal T.U.E.L. quale proposto al servizio finanziario, in possesso dei requisiti tecnici per espletare l’attività funzionale richiesta.
Quanto poi alla carenza in organico di un responsabile del servizio finanziario, pur prendendo atto della peculiarità del caso in esame, in ragione della ridotta struttura amministrativa dell’ente,
il Collegio non può che rimarcare il principio di separazione dell’azione amministrativa dalla gestione di indirizzo politico dell’ente locale. Suddetto principio di organizzazione della pubblica amministrazione, introdotto compiutamente dalla c.d. legislazione Bassanini, e ripreso dal D.lgs. 165/2001 e dalla legge 15/2009, pone quale responsabile dell’azione amministrativa l’organo al vertice della struttura burocratica.
Ne consegue che non appare conforme all’ordinamento vigente che il Sindaco assuma su di sé, in aggiunta alle responsabilità connaturate alla carica elettiva, anche quelle di responsabile del servizio finanziario dell’ente.

...
P.Q.M.
La Corte dei conti Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia
   1) accerta che in base alle risultanze della certificazione resa dal Revisore dei conti del Comune di Ono San Pietro, l'ente non ha rispettato il limite di contenimento delle spese del personale;
   2) invita l’amministrazione comunale al rispetto dei limiti in tema di spese di personale, anche alla luce della normativa attualmente in vigore;
   3)
accerta che il riaccertamento dei residui attivi non è avvenuto in conformità agli artt. 153 e 228 T.U.E.L. in quanto asseritamente compiuto non dal responsabile del servizio finanziario, bensì dal responsabile unico nella persona del sindaco;
   4) dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Presidente del Consiglio Comunale, al Sindaco ed all’Organo di revisione del Comune di Ono San Pietro (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, deliberazione 09.06.2015 n. 219).

maggio 2015

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Sindaco: l'avocazione non opera per rimediare ad atti illegittimi.
E' illegittima la decisione del Sindaco di avocare a sé un singolo procedimento ed affidarlo ad un dirigente di altro settore con il compito di dargli corso sul presupposto che le valutazioni operate dal dirigente competente “si pongono in aperto contrasto con le conclusioni dell’Ufficio legislativo e legale” del Comune stesso.
Nel caso in esame, con l’atto di avocazione il Sindaco non aveva posto un obiettivo gestionale, ma di fatto adottato l’atto di gestione: egli non si è, infatti, limitato a dettare un indirizzo o a individuare il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento, ma ha configurato in modo puntuale il contenuto che il provvedimento doveva assumere, avvalendosi di un parere legale da lui stesso richiesto e facendo ad esso assumere una portata assoluta e vincolante.
Il Sindaco non può dunque esercitare poteri di fatto per rimediare ad eventuali atti illegittimi compiuti dai dirigenti preposti agli uffici comunali: nel quadro normativo vigente, infatti, la competenza negli enti locali a provvedere in sede di autotutela va riconosciuta unicamente all'organo che ha emanato l'atto illegittimo (commento tratto tratto da a e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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Sul fatto che il Sindaco avochi a sé il procedimento amministrativo gestito dal Dirigente del Dipartimento Urbanistica assegnandolo al Dirigente del Dipartimento Lavori Pubblici Servizi Tecnologici ed Operativi–Servizi Finanziari affinché si proceda ad adeguare la concessione edilizia già rilasciata a quanto statuito nel parere dell’Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana in ordine al recupero di somme a titolo di contributo di costruzione non precedentemente quantificate all'atto del rilascio.
Rileva la società ricorrente che la competenza del dirigente del Dipartimento LL.PP. a modificare il permesso di costruire rilasciato dal Dirigente del Dipartimento Urbanistica non può trovare fondamento nella determina sindacale n. 37/2012, a sua volta illegittima perché contraria all’art. 51 l. n. 142/1990 e non poggiante su una espressa deroga o previsione ad hoc neppure di tipo regolamentare.
Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato, per un triplice ordine di ragioni.
È pacifico che il vigente ordinamento delle autonomie locali demanda -in base al criterio di distinzione fra le responsabilità di natura politico amministrativa e quelle di gestione operativa- in via esclusiva ai dirigenti l'adozione di quegli atti gestionali in precedenza riservati agli organi di vertice dell'Ente, cui ora spettano solo i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.
Nel caso in esame, con l’atto di avocazione del 26.09.2012 il Sindaco non ha posto un obiettivo gestionale (come si legge nelle difese in atti), ma ha di fatto adottato l’atto di gestione: egli non si è, infatti, limitato a dettare un indirizzo o a individuare il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento (profilo di cui si dirà a breve), ma ha configurato in modo puntuale il contenuto che il provvedimento riguardante la società ricorrente doveva assumere, avvalendosi di un parere legale da lui stesso richiesto (e peraltro non stringente nella sua formulazione) e facendo ad esso assumere una portata assoluta e vincolante.
Il Sindaco ha inoltre contestualmente avocato a sé ed affidato ad un dirigente di altro settore ritenuto “dotato di adeguata professionalità”, diverso da quello competente, il compito di dar corso al singolo procedimento sul presupposto che le valutazioni operate dal dirigente competente “si pongono in aperto contrasto con le conclusioni dell’Ufficio legislativo e legale”.
Tale modus operandi è illegittimo.
Premesso che le attribuzioni dei dirigenti, ai sensi dell’art. 107, comma 4, T.U. n. 267/2000, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative, è di norma il regolamento che disciplina il funzionamento degli organi e degli uffici.
Inoltre, il Sindaco, salvo appunto quanto previsto dall'art. 107, esercita le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti (art. 50, co. 3), tra cui la nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi, l’attribuzione e definizione degli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali (co. 10).
L’art. 109 stabilisce per quanto qui interessa che “Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro”.
Dal combinato disposto delle suddette norme discendono gli ulteriori due aspetti di illegittimità di cui si diceva.
Per un verso deve escludersi che l’ordinamento conosca un potere di avocazione di singoli affari in capo al Sindaco o un suo potere di intervento per rimediare ad eventuali atti illegittimi compiuti dai dirigenti preposti agli uffici comunali.
Il principio della separazione tra funzione di gestione, rientrante nei compiti dei dirigenti preposti all'apparato burocratico degli enti, e funzione di indirizzo e di controllo, devoluta agli organi elettivi, esclude, infatti, la sussistenza di un rapporto di tipo gerarchico tra i primi ed i secondi ed esclude altresì l’applicabilità, al di fuori delle amministrazioni dello Stato, della disposizione dettata dall'art. 14 del d.lgs. n. 165 del 2001, che conserva un potere sostitutivo sul singolo atto e di annullamento per motivi di legittimità solo all'autorità ministeriale.
Dall’altro, un siffatto intervento non trova avallo neppure nel regolamento comunale che tratta solo l’ipotesi di assenza o impedimento del soggetto titolare, che è diversa da quella verificatasi nella vicenda in esame, stabilendo comunque non già la sostituzione del dirigente assente od impedito con un dirigente di altro settore, ma piuttosto con un dipendente dello stesso dipartimento ed esattamente con un “dipendente incaricato dell’area delle posizioni organizzative operante nel dipartimento ed in mancanza con un dipendente di categoria D (o C nel caso di assenza di dipendenti di categoria D) nell’ambito del medesimo dipartimento, individuato formalmente dal Sindaco, ove non provveda il Dirigente” (art. 25, co. 6, reg.)
Ne discende che in tale quadro normativo e regolamentare (vd. anche co. 8 dell’art. 25) negli enti locali la competenza a provvedere in sede di autotutela va riconosciuta solo allo stesso organo che ha emanato l'atto illegittimo.

... per l'annullamento:
quanto al ricorso introduttivo:
- della determina dirigenziale n. 71 del 04.02.2013, notificata il successivo giorno 11, con la quale il dirigente del dipartimento IV lavori pubblici del Comune di Licata ha disposto la rettifica, prevedendo il pagamento degli oneri di concessione, del permesso a costruire n. 76 del 20.10.2006 (det. dir. 1233 del 20.10.2006) rilasciato dal dirigente del settore urbanistica-edilizia privata per la realizzazione del porto turistico di Licata ed opere connesse;
- di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare:
- della direttiva sindacale n. 37 del 26.09.2012;
- della deliberazione di G.M. n. 43 del 12.04.2012, nonché, ove occorra,
per l'accertamento negativo, previa adozione di ogni più opportuna misura cautelare del diritto del Comune di Licata ad ottenere il pagamento delle somme richieste con atto di diffida e messa in mora del 14.02.2013;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- della determina dirigenziale n. 222 ll.pp. del 12.04.2013, con la quale il Dipartimento lavori pubblici del Comune di Licata ha emesso nei confronti della ricorrente un’ingiunzione di pagamento ai sensi del r.d. 639 dei 14.04.1910 per la somma di £ 4.928.865,93, oltre £ 704.625,27 per interessi legali dal 20.10.2006 (data di rilascio della concessione edilizia) all'11.02.2013.
...
1. Viene all’esame del Tribunale la questione della legittimità di un intervento tutorio parziale, fatto a distanza di diversi anni e ad opera già quasi integralmente eseguita, avente ad oggetto un permesso di costruire per la realizzazione di un porto turistico da parte di un soggetto privato concessionario della relativa area demaniale, rilasciato dal Comune di Licata gratuitamente sul presupposto, poi ritenuto erroneo, dell’applicabilità dell’art. 17 DPR n. 380/2001.
Ritiene questo Collegio, ad un ulteriore e più approfondito esame degli atti, che sia necessario prendere le mosse dal terzo motivo di gravame col quale la società lamenta l’incompetenza del dirigente che ha adottato tanto il provvedimento impugnato col ricorso principale, quanto l’ingiunzione aggredita coi motivi aggiunti.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, confermato anche nella vigenza del c.p.a., il vizio di incompetenza deve, infatti, essere sempre scrutinato per primo, anche qualora la parte non lo abbia indicato come primo motivo e addirittura anche nel caso in cui lo abbia subordinato al rigetto degli altri motivi di impugnazione.
2. Ciò premesso, si ritiene opportuna una puntuale ricostruzione della vicenda per i profili che interessano il tema della competenza.
In data 20.10.2006 il Comune di Licata rilasciava alla società ricorrente un permesso di costruire per la realizzazione del porto turistico, con la clausola che “non è dovuto il pagamento di oneri di concessione, giacché trattasi di attrezzature d’interesse pubblico previste dal PRG vigente e dal PRP ai sensi dell’art. 17 del DPR n. 380/2001”.
Con nota prot. n. 19702 del 06.05.2011 il Sindaco del Comune di Licata inoltrava a vari enti, statali e regionali, richiesta di parere legale in merito al pagamento degli oneri concessori degli interventi edilizi compresi nel porto turistico “Marina di cala del Sole”.
Con nota del 21.07.2011 prot. n. 48625 il Dirigente generale dell’ARTA offriva alcuni elementi di giudizio inerenti la fattispecie concreta e con nota prot. n. 26113 – 131/11/2011, ricevuta dall’ARTA il 24.08.2011 e dal Comune di Licata il 31.08.2011, l’Ufficio legislativo e legale della Presidenza regionale condivideva e faceva proprio l’avviso negativo espresso dal Dirigente “in ordine alla richiesta di rilascio della concessione edilizia gratuita …”.
Accadeva che il Dirigente del Dipartimento Urbanistica del Comune di Licata, con più note (prot. n. 39044 del 19.09.2011, n. 44182 del 02.11.2011 e n. 46512 del 21.11.2011), riteneva di non dare corso al parere, assumendo sostanzialmente la legittimità del proprio operato.
Pertanto, la Giunta comunale, ribadita la “ferma intenzione di … procedere al recupero di quanto si ritiene dovuto dalla Società I.I.Spa a titolo di oneri concessori” con deliberazione n. 43 del 12.04.2012 immediatamente esecutiva approvava un atto di indirizzo col quale invitava il Dirigente del Dipartimento LL.PP. a provvedere, previa comunicazione di avvio del procedimento, al calcolo degli oneri concessori ed il Dirigente del Dipartimento Affari generali a conferire successivamente mandato al Responsabile dell’avvocatura comunale di provvedere alla formale richiesta di pagamento di quanto calcolato, con l’ulteriore avvertenza che se la società non provvederà spontaneamente il Dirigente del Dipartimento LL.PP. “valuterà gli atti da adottare ai fini dell’ingiunzione di pagamento degli oneri calcolati”.
Occorre aggiungere che su detta deliberazione interveniva il Segretario generale del Comune evidenziandone “gravi irregolarità amministrative ed illegittimità” in quanto priva del parere di regolarità tecnica, priva della firma del responsabile del procedimento e comunque contraria al dettato dell’art. 4 D.lgs. n. 165/2001 sui compiti dei dirigenti.
In data 30.04.2012 il Dirigente LL.PP. dava comunicazione di avvio del procedimento di pagamento degli oneri alla società I.I.Spa e con nota prot. 28087 del 12.06.2012 trasmetteva al Dirigente del Dipartimento Affari generali ed al Sindaco la tabella degli oneri concessori.
Successivamente il Sindaco, dopo aver inviato altro sollecito al Dirigente del Dipartimento urbanistica a provvedere entro cinque giorni ad adeguare la concessione edilizia al parere dell’Ufficio legislativo ed aver ricevuto, da parte del suddetto Dirigente, ulteriore nota con la quale ribadiva la correttezza della gratuità della concessione, con determinazione n. 37 del 26.09.2012 –qui pure impugnata dalla Società ricorrente– decideva, senza più menzionare la delibera di Giunta, di “avocare il procedimento relativo alla pratica in oggetto, in atto gestito dal Dirigente del Dipartimento Urbanistica Ing. V.O., assegnandolo al Dirigente del Dipartimento 4° Lavori Pubblici Servizi Tecnologici ed Operativi – Servizi Finanziari, Arch. F.M., affinché si proceda ad adeguare la Concessione edilizia n. 76 del 20.10.2006 di cui alla determina dirigenziale n. 1233 del 20.10.2006 a quanto statuito nel parere prot. n. 26133/2011 dell’Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana”.
Il Dirigente Arch. F. adottava, dunque, la determina n. 71 del 04.02.2013, pure oggetto del presente giudizio.
3. Rileva la società, col terzo motivo di ricorso, che la competenza del dirigente del Dipartimento LL.PP. a modificare il permesso di costruire rilasciato dal Dirigente del Dipartimento Urbanistica non può trovare fondamento nella determina sindacale n. 37/2012, a sua volta illegittima perché contraria all’art. 51 l. n. 142/1990 e non poggiante su una espressa deroga o previsione ad hoc neppure di tipo regolamentare.
Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato, per un triplice ordine di ragioni.
3.1. È pacifico che il vigente ordinamento delle autonomie locali demanda -in base al criterio di distinzione fra le responsabilità di natura politico amministrativa e quelle di gestione operativa- in via esclusiva ai dirigenti l'adozione di quegli atti gestionali in precedenza riservati agli organi di vertice dell'Ente, cui ora spettano solo i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.
Nel caso in esame, con l’atto di avocazione del 26.09.2012 il Sindaco non ha posto un obiettivo gestionale (come si legge nelle difese in atti), ma ha di fatto adottato l’atto di gestione: egli non si è, infatti, limitato a dettare un indirizzo o a individuare il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento (profilo di cui si dirà a breve), ma ha configurato in modo puntuale il contenuto che il provvedimento riguardante la società ricorrente doveva assumere, avvalendosi di un parere legale da lui stesso richiesto (e peraltro non stringente nella sua formulazione) e facendo ad esso assumere una portata assoluta e vincolante.
3.2. Il Sindaco ha inoltre contestualmente avocato a sé ed affidato ad un dirigente di altro settore ritenuto “dotato di adeguata professionalità”, diverso da quello competente, il compito di dar corso al singolo procedimento sul presupposto che le valutazioni operate dal dirigente competente “si pongono in aperto contrasto con le conclusioni dell’Ufficio legislativo e legale”.
Tale modus operandi è illegittimo.
Premesso che le attribuzioni dei dirigenti, ai sensi dell’art. 107, comma 4, T.U. n. 267/2000, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative, è di norma il regolamento che disciplina il funzionamento degli organi e degli uffici.
Inoltre, il Sindaco, salvo appunto quanto previsto dall'art. 107, esercita le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti (art. 50, co. 3), tra cui la nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi, l’attribuzione e definizione degli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali (co. 10).
L’art. 109 stabilisce per quanto qui interessa che “Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro”.
3.3. Dal combinato disposto delle suddette norme discendono gli ulteriori due aspetti di illegittimità di cui si diceva.
Per un verso deve escludersi che l’ordinamento conosca un potere di avocazione di singoli affari in capo al Sindaco o un suo potere di intervento per rimediare ad eventuali atti illegittimi compiuti dai dirigenti preposti agli uffici comunali.
Il principio della separazione tra funzione di gestione, rientrante nei compiti dei dirigenti preposti all'apparato burocratico degli enti, e funzione di indirizzo e di controllo, devoluta agli organi elettivi, esclude, infatti, la sussistenza di un rapporto di tipo gerarchico tra i primi ed i secondi ed esclude altresì l’applicabilità, al di fuori delle amministrazioni dello Stato, della disposizione dettata dall'art. 14 del d.lgs. n. 165 del 2001, che conserva un potere sostitutivo sul singolo atto e di annullamento per motivi di legittimità solo all'autorità ministeriale (in termini TAR Napoli, I, 05.05.2006, n. 3967).
Dall’altro, un siffatto intervento non trova avallo neppure nel regolamento comunale che tratta solo l’ipotesi di assenza o impedimento del soggetto titolare, che è diversa da quella verificatasi nella vicenda in esame, stabilendo comunque non già la sostituzione del dirigente assente od impedito con un dirigente di altro settore, ma piuttosto con un dipendente dello stesso dipartimento ed esattamente con un “dipendente incaricato dell’area delle posizioni organizzative operante nel dipartimento ed in mancanza con un dipendente di categoria D (o C nel caso di assenza di dipendenti di categoria D) nell’ambito del medesimo dipartimento, individuato formalmente dal Sindaco, ove non provveda il Dirigente” (art. 25, co. 6, reg.)
Ne discende che in tale quadro normativo e regolamentare (vd. anche co. 8 dell’art. 25) negli enti locali la competenza a provvedere in sede di autotutela va riconosciuta solo allo stesso organo che ha emanato l'atto illegittimo.
Si aggiunga per completezza che appare inconsistente il richiamo, fatto negli atti difensivi del Comune, alla necessità di affidare urgentemente il compito ad altro dirigente per evitare il concretizzarsi di un danno erariale: esso è comunque superato dal fatto che già nel 2007 la Corte dei Conti aveva ritenuto di non contestare alcuna violazione, archiviando il procedimento (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 21.05.2015 n. 1206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2015

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Amministratori degli enti locali. Sindaco. Incarico di P.O. e d.lgs. 39/2013.
Atteso che l'art. 53, comma 23, della l. 388/2000 si configura quale norma speciale, sembra potersi ritenere prevalente sulla norma successiva introdotta dall'art. 12, comma 1, del d.lgs. 39/2013.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità che il Sindaco, cui è stata conferita la titolarità di una posizione organizzativa dell'area tecnica in applicazione dell'art. 53, comma 23, della l. 388/2000, possa mantenere detto incarico alla luce di quanto disposto dall'art. 12, comma 1, del d.lgs. 39/2013, che recita testualmente: 'Gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni (...) sono incompatibili con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico (...)'.
Com'è noto, l'art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, come novellato dall'art. 29, comma 4, della l. 448/2001, prevede che gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267
[1], anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni [2], e all'articolo 107 [3] del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
La predetta norma, quindi, ha espressamente introdotto la possibilità di deroga al generale principio di separazione dei poteri, nei piccoli enti, al fine di favorire anche il contenimento della spesa e consentire comunque soluzioni di ordine pratico ad eventuali problemi organizzativi nelle realtà di modeste dimensioni demografiche.
Il richiamato d.lgs. 39/2013 stabilisce, tra l'altro, una serie articolata e minuziosa di cause di inconferibilità e incompatibilità, con riferimento a determinate tipologie di incarichi.
In particolare, l'art. 12, comma 1, definisce le cause di incompatibilità tra l'assunzione e il mantenimento di incarichi dirigenziali
[4], interni ed esterni, e la carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa amministrazione che ha conferito l'incarico.
Come già da tempo rilevato, tale norma sembra porsi in netto contrasto con le previsioni di cui al comma 23 dell'art. 53 della l. 388/2000
[5].
Premesso che le valutazioni in ordine all'effettiva sussistenza di detto apparente contrasto spettano esclusivamente alle competenti autorità statali (ANAC), in via collaborativa si esprimono le seguenti considerazioni.
In relazione al raccordo tra le fonti legislative di cui si discute, preme rilevare che l'art. 53, comma 23, della l. 388/2000 si configura, dal punto di vista giuridico, quale norma speciale (applicabile esclusivamente nei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, in deroga al consolidato principio di separazione dei poteri) e, come tale, prevalente sulla disciplina, di portata generale in materia di inconferibilità e incompatibilità, intervenuta successivamente ad opera del d.lgs. 39/2013.
E' da sottolineare, infatti, che il criterio della specialità viene a porsi quale limite all'applicazione del generale principio della successione delle leggi nel tempo, secondo il consolidato canone 'lex posterior generalis non derogat legi priori speciali'. Pertanto, il principio contenuto in una normativa speciale risulta insuscettibile di abrogazione tacita
[6] o implicita da parte di una norma generale sopravvenuta.
Come rilevato dalla Suprema Corte, 'la regola dell'abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia speciale od eccezionale e quella successiva, invece, generale (...), ritenendosi che la disciplina generale - salvo espressa volontà contraria del legislatore - non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari fattispecie, dal legislatore precedente. Le norme speciali sono norme dettate per specifici settori o per specifiche materie, che derogano alla normativa generale per esigenze legate alla natura stessa dell'ambito disciplinato ed obbediscono all'esigenza legislativa di trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse (...) E' ovvio che (...) le norme speciali (...) si pongano in termini di deroga rispetto a regole generali, perché finalizzate o a 'calibrare certi istituti alle particolarità specifiche di un determinato settore o perché sono gli stessi presupposti di fatto che impongono un intervento legislativo derogatorio delle regole vigenti'
[7].
Si segnala, infine, che l'ANCI aveva formulato una proposta di emendamento
[8] al DDL recante 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato'- Legge di stabilità 2015, ritenendo necessario specificare la vigenza della disposizione di cui all'art. 53, comma 23, della l. 388/2000, 'attesa la finalità di contenimento della spesa cui è preposta ed il carattere di specialità della stessa, valevole solo per i piccoli Comuni'.
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[1] In virtù di tale norma il segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco.
[2] Ora art. 4 del d.lgs. 165/2001.
[3] La norma prevede l'attribuzione ai dirigenti di tutti i compiti non compresi tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo.
[4] A mente di quanto disposto dall'art. 2, comma 2, del medesimo d.lgs. 39/2013, al conferimento negli enti locali di incarichi dirigenziali è assimilato quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale (incarico di posizione organizzativa).
[5] Cfr. Conferenza delle Regioni e delle province autonome, ANCI-UPI, Documento di sintesi sui possibili contenuti delle intese ex commi 60 e 61 dell'art. 1 della l. 190/2012, dell'11 luglio 2013, in cui si evidenziava l'opportunità che le intese precisassero il persistere della vigenza delle previsioni di cui al comma 23, dell'art. 53, della l. 388/2000.
[6] Cfr. parere ANCI del 18.09.2014, ove si rileva che la deroga introdotta dall'art. 53, comma 23, della l. 388/2000 è tanto più significativa a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 39/2013, evidenziando che: 'La portata disapplicativa della norma lascia presumere, in assenza di indicazioni contrarie, che in quanto lex specialis debba prevalere sulle disposizioni generali in tema di incompatibilità, escludendosi quindi un'ipotesi di abrogazione tacita (per il principio lex posterior derogat priori).
[7] Cfr. Corte di Cass. civ., Sez. lavoro, n. 4900/2012.
[8] 'All'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 08.04.2013, n. 39 è aggiunto infine il seguente capoverso: Restano in ogni caso ferme le previsioni di cui al comma 23 dell'articolo 53 della legge 23.12.2000, n. 388'.'
(30.01.2015 - link a www.regione.fvg.it).

novembre 2014

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI1. Competenza all'adozione dell'ordinanza di rimozione rifiuti ex art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente.
La competenza all'adozione dell'ordinanza ex art. 192, comma 3, del Codice dell’Ambiente -secondo il quale “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2” (abbandono e deposito incontrollato di rifiuti) “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”- spetta al sindaco e non al dirigente dell’ente locale.
2. Sulla necessità che l'ordinanza ex art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente sia proceduta da comunicazione di avvio procedimento.
L'ordinanza ex art. 192, comma 3, del Codice dell’Ambiente deve essere proceduta da comunicazione di avvio procedimento poiché, nella materia de qua, tale comunicazione si configura come un adempimento indispensabile al fine dell’effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati, atteso che, secondo la disposizione di legge, l’ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” .

E’ controversa la legittimità del provvedimento con cui il Sindaco di Lavagna ha ordinato alla Società ricorrente di rimuovere i rifiuti pericolosi (materiale inerte contenente amianto) casualmente rinvenuti all’interno di un’intercapedine sottostante la passeggiata comunale.
L’Amministrazione procedente ha fatto proprie le valutazioni del personale comunale che, all’esito di un sopralluogo, aveva ricondotto la presenza dei rifiuti alla Società concessionaria del limitrofo tratto di arenile, collegato all’intercapedine da una scalinata.
Al momento del sopralluogo, peraltro, l’accesso all’intercapedine era precluso da un muro di mattoni che, a giudizio del personale comunale, sarebbe stato recentemente edificato proprio allo scopo di occultare la presenza del materiale pericoloso.
Le censure di legittimità dedotte dalla parte ricorrente, nel contesto di sei motivi di ricorso, possono essere suddivise in due gruppi: quelle del primo gruppo, tese a denunciare la sussistenza di vizi prevalentemente formali, sono accomunate dalla contestazione inerente alla natura del rimedio azionato dall’Amministrazione; gli altri tre motivi di ricorso contengono rilievi intesi ad escludere ogni responsabilità del privato in relazione al deposito dei rifiuti pericolosi che formano oggetto del provvedimento impugnato.
In via preliminare, deve provvedersi all’esatta qualificazione del provvedimento impugnato, attesa la contraddittorietà delle indicazioni emergenti dalla lettera del medesimo che, nelle premesse, richiama sia il potere sindacale di emanare ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale (art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267/2000 – t.u. enti locali) sia il potere di ordinare la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti ex art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 (codice dell’ambiente).
Evidenti ragioni di carattere logico precludono la possibilità di qualificare il provvedimento come una sorta di atto complesso, ossia come “ordinario” provvedimento volto alla rimozione di rifiuti e, al contempo, come rimedio extra ordinem per fronteggiare un’eccezionale esigenza di tutela della salute pubblica.
Si tratta, d’altronde, di due poteri ripristinatori ontologicamente diversi, il primo dei quali presuppone l’accertamento della responsabilità dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti e il secondo, che prescinde da tale accertamento, muove da una situazione di pericolo per la salute pubblica (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 09.02.2012, n. 172).
Nonostante l’esplicito richiamo contenuto nelle premesse, l’atto in questione non può essere considerato, come pretenderebbe parte ricorrente, una ordinanza contingibile e urgente ex art. 50, comma 5, t.u. enti locali, facendo difetto nella fattispecie i presupposti fondamentali richiesti per l’esercizio del relativo potere, vale a dire l’esistenza di una situazione di eccezionalità, non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall’ordinamento, e il mancato accertamento di specifiche responsabilità in ordine all’abbandono dei rifiuti.
In accordo con la difesa dell’Amministrazione, deve ritenersi, invece, che il provvedimento in questione vada qualificato come ordinanza ex art. 192, comma 3, codice dell’ambiente, secondo il quale “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2” (abbandono e deposito incontrollato di rifiuti) “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
L’Amministrazione procedente, infatti, si è limitata ad una sintetica ricostruzione dei fatti e ad affermare, richiamando la relazione del sopralluogo effettuato dal proprio personale, la responsabilità dell’odierna ricorrente, senza tuttavia menzionare particolari situazioni di pericolo per la sanità e l’igiene pubblica che, in ipotesi, avrebbero imposto l’utilizzo di rimedi extra ordinem né rendere conto dell’espletamento di alcuna attività istruttoria volta all’individuazione dei pericoli suddetti.
Le conclusioni che precedono comportano la reiezione della censura dedotta con il primo motivo di ricorso, concernente l’improprio utilizzo del potere di ordinanza ex art. 50, comma 5, t.u. enti locali.
E’ destituito di fondamento anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla titolarità del potere esercitato nella fattispecie: l’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, infatti, è una norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, cosicché la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati spetta al sindaco e non al dirigente dell’ente locale (Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
E’ fondato e meritevole di accoglimento, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui viene denunciata l’illegittimità dell’atto per mancata comunicazione di avvio del procedimento, genericamente (e inesattamente) giustificata dall’Amministrazione con riferimento a pretese ragioni di celerità connesse alla tutela della “sicurezza pubblica”.
Come precisato dal Consiglio di Stato con la citata decisione n. 4061 del 2008, infatti, la preventiva, formale comunicazione dell’avvio del procedimento si configura, nella materia de qua, come “un adempimento indispensabile al fine dell’effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati”, atteso che l’ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” (cfr. anche TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.09.2009, n. 4598).
La difesa comunale afferma che l’omissione dell’adempimento in parola sarebbe stata imposta dalla necessità di provvedere con assoluta urgenza, a causa della pericolosità del materiale da rimuovere, ma tale assunto è smentito, di fatto, dalla tempistica dello specifico procedimento, atteso che l’ordinanza di rimozione è stata adottata a distanza di quasi due mesi dalla relazione di sopralluogo nella quale si riferiva con certezza la presenza di amianto.
Inoltre, non può ritenersi che, nel caso in esame, la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe rappresentato l’adempimento di un obbligo meramente formale in quanto, alla luce dei rilievi formulati nel ricorso circa l’assenza di responsabilità per l’abbandono dei rifiuti, non si può certo ritenere a priori che l’apporto procedimentale del privato non sarebbe stato idoneo ad influire sull’esito del procedimento.
Non può trovare applicazione, pertanto, il disposto dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990.
Le considerazioni che precedono sono sufficienti a fondare la diagnosi di fondatezza del ricorso, a prescindere dal vaglio dei rilievi formulati con i residui tre motivi di gravame che richiederebbe accertamenti istruttori complessi e tempi non brevi.
La presente pronuncia, d’altronde, risulta pienamente satisfattiva dell’interesse azionato da parte ricorrente in quanto, essendo già intervenuta la rimozione dei rifiuti ad opera del Comune, deve escludersi la possibilità di riedizione dell’attività amministrativa che ha condotto all’adozione del provvedimento illegittimo
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR Liguria, Sez. II, sentenza 21.11.2014 n. 1698 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2014

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Sull'adozione di un atto amministrativo a doppia firma (dirigente e Segretario Comunale)
La giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la doppia sottoscrizione (firma) del provvedimento unicamente nell’ipotesi in cui il provvedimento sia contestualmente sottoscritto anche dal responsabile del procedimento, perché la firma anche da parte di quest’ultimo non può far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà manifestata dalla P.A., evidenziata dal provvedimento, né basta a far ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni.
La sottoscrizione dell’atto anche da parte del responsabile del procedimento non incide, cioè, sulla posizione della P.A..
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Nel caso qui in esame nessuno dei due organi firmatari del provvedimento l’ha sottoscritto quale mero responsabile del procedimento, o almeno non sono stati forniti elementi in tal senso dalla P.A., cosicché deve ritenersi che il Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio abbia sottoscritto l’ordine di demolizione in qualità di organo deputato in via esclusiva alla sua adozione, ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000.
Sicché, la contestuale sottoscrizione del provvedimento da parte del Segretario Generale, in difetto della prova di una competenza specifica di quest’ultimo, produce l’effetto di non rendere detto provvedimento imputabile in via esclusiva all’Ufficio amministrativo ad esso preposto, con il corollario dell’illegittimità dello stesso.
Inoltre, essendo stata la doppia sottoscrizione apposta da organi diversi, portatori di funzioni e compiti diversi ed autonomi, essa non può che ingenerare il dubbio su quale sia stato il potere effettivamente esercitato.
Più in dettaglio, qualora fosse ravvisabile una competenza esclusiva del Segretario Generale alla sottoscrizione del provvedimento, questo sarebbe comunque viziato per l’apposizione contestuale della firma da parte del Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio (che, si ribadisce, non pare in alcun modo averlo firmato quale mero responsabile del procedimento). Né vi sono elementi per ritenere che il Segretario Generale abbia avocato a sé la competenza alla trattazione della pratica (anzi, una simile ipotesi è esclusa dalla contestuale sottoscrizione del predetto capo Settore). Donde l’incertezza sul potere effettivamente esercitato nella vicenda in esame, mentre la firma dell’ordine di demolizione compete in via esclusiva all’organo preposto all’Ufficio deputato a trattare la pratica (art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000).
Comunque, ad ulteriore riprova dell’illegittimità della doppia sottoscrizione di un provvedimento, essa rende quanto mai incerto il regime della responsabilità del dipendente conseguente alla sua adozione (proprio per i dubbi circa la competenza ad adottarlo).

... per l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Arpino n. 53/09, prot. gen. n. 4647/6 del 01.04.2009, notificata in pari data, con cui è stata ingiunta la demolizione di opere edilizie abusive descritte nell’ordinanza stessa e realizzate sul terreno distinto in catasto al fg. n. 66, mapp. n. 1134.
...
● Considerato, infatti, che nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta sottoscritta da due distinti organi del Comune di Arpino (il Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio ed il Segretario Generale del Comune), ognuno dotato di una propria esclusiva sfera di competenza, non sovrapponibile alle sfere di competenza altrui, con il corollario dell’impossibilità di imputare il provvedimento all’uno o all’altro organo, come dovrebbe invece avvenire, sulla base dell’organizzazione interna dell’Ente locale delineata dallo statuto e dai regolamenti (v. art. 107 del d.lgs. n. 267/2000);
● Considerato, più in dettaglio, che la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la doppia sottoscrizione del provvedimento unicamente nell’ipotesi in cui il provvedimento sia contestualmente sottoscritto anche dal responsabile del procedimento, perché la firma anche da parte di quest’ultimo non può far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà manifestata dalla P.A., evidenziata dal provvedimento, né basta a far ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 05.02.02014, n. 186). La sottoscrizione dell’atto anche da parte del responsabile del procedimento non incide, cioè, sulla posizione della P.A.;
● Considerato, tuttavia, che nel caso qui in esame nessuno dei due organi firmatari del provvedimento l’ha sottoscritto quale mero responsabile del procedimento, o almeno non sono stati forniti elementi in tal senso dalla P.A., cosicché deve ritenersi che il Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio abbia sottoscritto l’ordine di demolizione in qualità di organo deputato in via esclusiva alla sua adozione, ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000;
● Considerato che la contestuale sottoscrizione del provvedimento da parte del Segretario Generale, in difetto della prova di una competenza specifica di quest’ultimo, produce l’effetto di non rendere detto provvedimento imputabile in via esclusiva all’Ufficio amministrativo ad esso preposto, con il corollario dell’illegittimità dello stesso (TAR Liguria, Sez. I, 09.02.2007, n. 225);
● Considerato, inoltre, che, essendo stata la doppia sottoscrizione apposta da organi diversi, portatori di funzioni e compiti diversi ed autonomi, essa non può che ingenerare il dubbio su quale sia stato il potere effettivamente esercitato (TAR Liguria, Sez. I, n. 186/2014, cit.);
● Considerato, più in dettaglio, che qualora fosse ravvisabile una competenza esclusiva del Segretario Generale alla sottoscrizione del provvedimento, questo sarebbe comunque viziato per l’apposizione contestuale della firma da parte del Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio (che, si ribadisce, non pare in alcun modo averlo firmato quale mero responsabile del procedimento). Né vi sono elementi per ritenere che il Segretario Generale abbia avocato a sé la competenza alla trattazione della pratica (anzi, una simile ipotesi è esclusa dalla contestuale sottoscrizione del predetto capo Settore). Donde l’incertezza sul potere effettivamente esercitato nella vicenda in esame, mentre la firma dell’ordine di demolizione compete in via esclusiva all’organo preposto all’Ufficio deputato a trattare la pratica (art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000);
● Considerato, ad ulteriore riprova dell’illegittimità della doppia sottoscrizione di un provvedimento, che essa rende quanto mai incerto il regime della responsabilità del dipendente conseguente alla sua adozione (proprio per i dubbi circa la competenza ad adottarlo);
● Considerato che, a fronte di ciò che si è esposto, si appalesano del tutto irrilevanti le argomentazioni della difesa comunale, la quale si limita ad obiettare sul punto che anche la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio reca la surriferita doppia sottoscrizione e che il Segretario Generale avrebbe firmato gli atti in veste di direttore generale dell’Ente locale;
● Considerato che, secondo l’orientamento (cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 13.04.2013, n. 941) cui ha aderito anche questa Sezione (cfr., ex multis, TAR Lazio, Latina, Sez. I, 02.12.2013, n. 925; id., 24.06.2013, n. 578), l’accoglimento della doglianza incentrata sul dedotto vizio di incompetenza comporta l’annullamento del provvedimento impugnato e la rimessione dell’affare al Comune di Arpino, con assorbimento degli altri motivi di impugnazione, come già previsto dall’art. 26, secondo comma, della l. TAR, ed ora dall’art. 34, comma 2, primo periodo, c.p.a., il quale ha statuito l’impossibilità, per il G.A., di pronunciarsi in riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati;
● Ritenuto quindi, alla luce di quanto si è detto, di dover dichiarare il ricorso manifestamente fondato ai sensi dell’art. 74 c.p.a., attesa la fondatezza della censura di incompetenza avanzata con il quarto motivo e con assorbimento di ogni altra censura;
● Ritenuto, perciò, di dover disporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata e di dover rimettere la questione al Comune di Arpino per le eventuali ulteriori determinazioni (TAR Lazio-Latina, sentenza 29.07.2014 n. 667 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl nuovo sistema del riparto di competenze tra Giunta e Consiglio comunale, previsto dagli artt. 42 e ss. del t.u. 18.08.2000 n. 267, è retto dal principio secondo cui l'organo elettivo (Consiglio comunale) è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilevo generale, che si traducono in «atti fondamentali» tassativamente elencati all'art. 32 della l. 08.06.1990 n. 142, poi trasfuso nell'art. 42 del t.u. approvato con d.lgs. 18.08.2000 n. 267, mentre la Giunta Municipale «compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti».
In tale contesto, il ruolo del Consiglio comunale va ragionevolmente riferito alle sole determinazioni che comportano un'effettiva incidenza sulle scelte fondamentali dell'ente, mentre la Giunta resta investita del compito di attuare gli indirizzi formulati dall'organo elettivo, eventualmente anche svolgendo attività pur sempre con finalità esecutive, ma che implichino una valutazione di natura in qualche misura politico-amministrativa e, come tale, non spettante alla competenza della dirigenza.

La giurisprudenza ha chiarito che il nuovo sistema del riparto di competenze tra Giunta e Consiglio comunale, previsto dagli artt. 42 e ss. del t.u. 18.08.2000 n. 267, è retto dal principio secondo cui l'organo elettivo (Consiglio comunale) è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilevo generale, che si traducono in «atti fondamentali» tassativamente elencati all'art. 32 della l. 08.06.1990 n. 142, poi trasfuso nell'art. 42 del t.u. approvato con d.lgs. 18.08.2000 n. 267, mentre la Giunta Municipale «compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti».
In tale contesto, il ruolo del Consiglio comunale va ragionevolmente riferito alle sole determinazioni che comportano un'effettiva incidenza sulle scelte fondamentali dell'ente, mentre la Giunta resta investita del compito di attuare gli indirizzi formulati dall'organo elettivo, eventualmente anche svolgendo attività pur sempre con finalità esecutive, ma che implichino una valutazione di natura in qualche misura politico-amministrativa e, come tale, non spettante alla competenza della dirigenza (Cons. Stato, sez. V, 09.12.2002 n. 6764).
Nel caso in questione, una volta che la giunta comunale, con deliberazione n. 241 del 09.10.2007, aveva approvato il progetto per l’ampliamento del parcheggio, ogni altra determinazione in merito rientrava nella competenza dei dirigenti, trattandosi di atti esecutivi di decisioni già adottate dal livello politico dell’amministrazione (TAR Lombardia-MIlano, Sez. IV, sentenza 02.07.2014 n. 1706 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2014

COMPETENZE GESTIONALI: L’organo consiliare elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell’art. 42 del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267, laddove la giunta comunale ha una competenza residuale, potendo compiere tutti gli atti che dalla legge non sono riservati al consiglio comunale ovvero che non ricadono, secondo le previsioni legislative o dello statuto, nelle competente del Sindaco.
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Con riferimento ad una fattispecie di decadenza del privato da una convenzione attributiva del diritto di superficie è stato affermato che, mentre spetta al consiglio comunale, ai sensi del citato articolo 42, di esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale e gli atti fondamentali di natura programmatoria, tra cui gli atti di disposizione del patrimonio immobiliare, compresa l'approvazione della cessione del diritto di superficie di aree di proprietà comunale, rientra nella competenza della Giunta, ai sensi del successivo art. 48 del D.Lgs. n. 267 del 2000, l’attuazione degli indirizzi generali dell’organo consiliare, ivi compresa la deliberazione di decadenza (del privato dalla convenzione che attribuisce il diritto di superficie), tale deliberazione non potendo essere considerata un "contrarius actus" non contenendo una diversa (e contraria) volontà rispetto a quella (originariamente) manifestata dall'organo consiliare, ma costituendo piuttosto una esecuzione dell'indirizzo generale del Consiglio trasfuso nella convenzione.

Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, l’organo consiliare elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell’art. 42 del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267, laddove la giunta comunale ha una competenza residuale, potendo compiere tutti gli atti che dalla legge non sono riservati al consiglio comunale ovvero che non ricadono, secondo le previsioni legislative o dello statuto, nelle competente del Sindaco (Cons. St., sez. V, 13.12.2005, n. 7058, più recentemente ex multis, sez. V, 15.07.2013, n. 3809; 02.02.2012, n. 539).
Con riferimento ad una fattispecie di decadenza del privato da una convenzione attributiva del diritto di superficie è stato affermato che, mentre spetta al consiglio comunale, ai sensi del citato articolo 42, di esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale e gli atti fondamentali di natura programmatoria, tra cui gli atti di disposizione del patrimonio immobiliare, compresa l'approvazione della cessione del diritto di superficie di aree di proprietà comunale, rientra nella competenza della Giunta, ai sensi del successivo art. 48 del D.Lgs. n. 267 del 2000, l’attuazione degli indirizzi generali dell’organo consiliare, ivi compresa la deliberazione di decadenza (del privato dalla convenzione che attribuisce il diritto di superficie), tale deliberazione non potendo essere considerata un "contrarius actus" non contenendo una diversa (e contraria) volontà rispetto a quella (originariamente) manifestata dall'organo consiliare, ma costituendo piuttosto una esecuzione dell'indirizzo generale del Consiglio trasfuso nella convenzione (Cons. St., sez. V, 17.09.2010, n. 6982)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2014 n. 3137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2014

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALILa decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria, e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente competente ratione materiae, ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) di prevedere l'autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento).
Questa stessa Sezione, recentemente, ha specificamente disatteso la tesi che vedrebbe attribuito al dirigente ratione materiae il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del relativo patrocinio, osservando nell’occasione quanto segue: “La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall'orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell'ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione".

Fermo questo aspetto, vale però soprattutto osservare, sul merito della questione posta, quanto segue.
Il decreto sindacale con il quale sono state disposte la riassunzione del giudizio e la conferma dell’incarico professionale di difesa dell’Ente pone a proprio fondamento l’art. 70, comma 2, dello Statuto comunale. E la difesa comunale ha fatto notare, senza incontrare obiezioni sul punto, che tale norma statutaria conferisce al Sindaco, con la rappresentanza legale dell’Ente, il potere di promuovere e resistere alle liti ed i correlativi poteri di conciliare, rinunciare, transigere e di conferire la procura alle liti, sentiti facoltativamente la Giunta o il dirigente competente a seconda che si verta in materia di atti di governo o di gestione.
La norma statutaria legittima, quindi, la competenza sindacale in materia.
Questa conclusione è inoltre avvalorata dalla sovraordinata normativa generale, nell’interpretazione comunemente datane dalla Sezione.
La posizione della Sezione sul tema è stata ricordata con chiarezza, di recente, dalla decisione 07.02.2012 n. 650, con la quale è stato rilevato che “la decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria, e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente competente ratione materiae (C.d.S., sez. V, 18.03.2010, n. 1588; 07.09.2007, n. 4721, 16.02.2009, n. 848; sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; 09.06.2006, n. 3452; Cass. civ. sez. I, 17.05.2007, n. 11516), ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) di prevedere l'autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento) (Cass. SS.UU., 16.06.2005, n. 12868)”.
Poco dopo, questa stessa Sezione con la decisione 11.05.2012 n. 2730 ha specificamente disatteso la tesi che vedrebbe attribuito al dirigente ratione materiae il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del relativo patrocinio, osservando nell’occasione quanto segue: “La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall'orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell'ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550)”.
Per quanto precede l’eccezione si manifesta infondata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.04.2014 n. 1954 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2014

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATASebbene in giurisprudenza sia stata, anche di recente, affermata la competenza della Giunta in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, reputa il collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene sussistente la competenza del Consiglio comunale.
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la competenza del Consiglio comunale in materia, affermando che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la regione non provveda alla definizione della tabelle parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina del contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che, anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16 del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento, non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto unico organo competente in materia di istituzione ed ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è confermato sia dal tenore delle disposizioni normative pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n. 380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella specie non risulta che la regione Molise abbia assunto alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla Giunta non si rivela come meramente attuativa degli indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al parametro della rivalutazione in ragione della variazione intervenuta nei costi delle summenzionate opere di urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un incremento di ben il 348 per cento degli oneri di urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può ragionevolmente essere sottratto alla competenza del Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

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... per l'annullamento
   - del provvedimento del 1/10/2012, prot. n. 6811, a firma del Responsabile dell’Area G.S.T. con il quale si comunica l’accoglimento dell’istanza presentata dalla ricorrente in data 25/01/20012 con prot. n. 663 e volta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire, subordinandone il rilascio alla consegna della ricevuta di versamento dei diritti di segreteria pari ad Euro 6.990,00, del contributo corrispondente alla incidenza degli oneri di urbanizzazione pari ad Euro 21.018,57 e del costo di costruzione pari ad Euro 28.469,61 nonché della marca da bollo da Euro 14,62, nonché
   - della delibera di Giunta n. 69 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Adeguamento costo oneri di urbanizzazione”, della delibera di Giunta n. 70 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Adeguamento tariffe costo di costruzione” e della delibera di Giunta n. 72 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Aggiornamento ed istituzione nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti” e di ogni atto successivo, consequenziale e, comunque, connesso.
...
La società ricorrente riferisce di avere presentato in data 25.01.2012 istanza per il rilascio di un permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione di un capannone artigianale in zona P.I.P. previamente acquistata dal Comune di Santa Croce di Magliano e che, nelle more dell’istruttoria, la Giunta Comunale con delibere nn. 69, 70, 72 adottate il 18.06.2012 ha provveduto ad adeguare il costo degli oneri di urbanizzazione, le tariffe relative al costo di costruzione ed ad aggiornare ed istituire nuovi diritti di segreteria.
L’accoglimento dell’istanza di rilascio del permesso di costruire è stato così condizionato al pagamento di un importo complessivo di euro 56.467,18 che l’esponente assume sproporzionato e comunque determinato in forza di delibere adottate da organo incompetente essendo la materia riservata alla competenza del Consiglio Comunale ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 16, comma 4, del DPR n. 380/2001 e 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Lamenta, al contempo, che i provvedimenti impugnati sarebbero affetti da violazione di legge in tema di aggiornamento degli oneri urbanistici; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto ed erronea motivazione; erroneità di istruttoria; travisamento dei fatti; erronea valutazione dei presupposti; manifesta ingiustizia; eccesso di potere.
...
Il ricorso è fondato.
Con ordinanza n. 7/2013 il collegio ha accolto la domanda cautelare ritenendo fondata la dedotta censura di difetto di competenza della Giunta nella determinazione del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, al costo di costruzione ed ai diritti di segreteria.
La successiva fase di merito del giudizio non ha introdotto elementi in fatto o in diritto nuovi sicché l’orientamento espresso dal collegio in sede cautelare deve, in questa sede, essere confermato.
Sebbene, infatti, in giurisprudenza sia stata, anche di recente, affermata la competenza della Giunta in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione (cfr. TAR Campania, II, n. 4206/2013), reputa il collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene sussistente la competenza del Consiglio comunale (TAR Lecce, III, n. 2765/2010).
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la competenza del Consiglio comunale in materia, affermando che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la regione non provveda alla definizione della tabelle parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina del contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che, anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16 del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento, non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto unico organo competente in materia di istituzione ed ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è confermato sia dal tenore delle disposizioni normative pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n. 380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella specie non risulta che la regione Molise abbia assunto alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla Giunta non si rivela come meramente attuativa degli indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al parametro della rivalutazione in ragione della variazione intervenuta nei costi delle summenzionate opere di urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un incremento di ben il 348 per cento degli oneri di urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può ragionevolmente essere sottratto alla competenza del Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Analoghe considerazioni valgono per la variazione del costo di costruzione.
Deve premettersi che l’art. 16, comma 9, del D.P.R. n. 380/2001 se, da un lato, afferma che “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)”, dall’altro, la medesima disposizione prosegue precisando che “Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione”.
Anche in questo caso, come si evince dalla parte motiva della delibera di Giunta n. 70/2012, la Regione Molise non ha più provveduto ad aggiornare il costo di costruzione a partire dalla delibera di Giunta n. 4724 del 27.11.1995, ed ha inoltre stabilito con delibera di Giunta n. 5548 del 05.12.1994 che la quota relativa al costo di costruzione compresa nel contributo per la concessione, variabile tra un minimo del 5 per cento ed un massimo del 20 per cento, venga definito autonomamente dalle amministrazioni comunali.
Nella specie la Giunta comunale con la delibera n. 70/2012 ha deciso di fissare tale quota nel 5 per cento del costo di costruzione risultante dal predetto adeguamento.
Così facendo, tuttavia, se ha da un lato applicato un parametro vincolato nell’aggiornamento del costo di costruzione, ancorandolo alla variazione accertata dall’ISTAT, dall’altra ha operato una scelta di merito in ordine alla determinazione della percentuale del costo di costruzione, rilevante ai fini della determinazione del contributo afferente il permesso di costruire, fissandola nel 5 per cento, decisione che, in quanto ampiamente discrezionale, non poteva non essere rimessa alla decisione del Consiglio comunale.
Analoghe considerazioni valgono, infine, per la delibera di Giunta n. 72 del 2012 avente ad oggetto “Aggiornamento ed istituzione nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti”, atteso che nell’ambito della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000, non può non essere rimessa al Consiglio comunale la decisione in ordine alla istituzione di nuovi diritti di segreteria “alla luce dell’evolversi del quadro normativo in materia di edilizia”, sicché anche tale delibera deve ritenersi affetta da illegittimità per vizio di incompetenza con la conseguenza che, al pari delle prime due, merita di essere annullata.
Da tali considerazioni discende che l’esercizio del potere di adeguamento dei costi di urbanizzazione costituisce un potere discrezionale e come tale è attribuito, anche in applicazione dell’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. 267/2000, alla competenza dei consigli comunali, soprattutto nelle fattispecie in cui la Regione abbia omesso, come nel caso di specie, di adottare gli specifici atti di indirizzo previsti dall’art. 16, commi 6 e 9, del DPR n. 380/2001.
In conclusione il ricorso dev’essere accolto con riferimento al dedotto motivo di incompetenza della Giunta comunale, con conseguente annullamento delle delibere impugnate e della nota 01.10.2012 prot. n. 6811 nella parte in cui vengono determinati gli oneri di urbanizzazione, il costo di costruzione ed i diritti di segreteria, con obbligo del Comune di rideterminarsi sul punto nel rispetto delle regole di competenza (TAR Molise, sentenza 31.03.2014 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Enti locali: il dirigente non ha potere di rappresentanza processuale in assenza di una norma che lo preveda.
Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto –ed anche il regolamento, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare– può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico–amministrativa dell’ente, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, resta ferma l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell’ente medesimo prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267.
5. Secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa corte riguardo ai comuni (Cass. Sez. un. 16.06.2005 n. 12868; conformi tutte le successive, tra le quali, di recente e con riferimento al Comune di Benevento, v. Cass. 22.03.2012 n. 4556), ma che deve trovare applicazione anche riguardo alle province per l’identità delle norme applicabili, insegnamento che il collegio condivide e al quale nel ricorso (che lo ignora) non sono mosse critiche, nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto –ed anche il regolamento, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare– può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico–amministrativa dell’ente, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, resta ferma l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell’ente medesimo prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267. Nella sentenza citata si osserva poi –e ciò rileva in relazione ai richiami dell’ente alla legge n. 265 del 2001;
- che l’art. 27 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, contenente norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, prevede che le amministrazioni non statali, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguino ai principi dell’art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità; e che tra i principi richiamati in tale disposizione è ricompreso quello di cui all’art. 16, il quale, dando continuità a disposizioni già contenute nel d.lgs. n. 29 del 1993, nel disciplinare le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali, alla lett. f) del primo comma attribuisce agli stessi il potere di promuovere e resistere alle liti, nonché quello di conciliare e di transigere –così attribuendo a detti dirigenti la legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti il settore dell’amministrazione cui sono preposti– e che tale disposizione, ai sensi dell’art. 13 dello stesso decr. legisl., si applica direttamente soltanto per i dirigenti di uffici dirigenziali generali delle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo: ne deriva che con il richiamato art. 27 il legislatore ha inteso affidare all’autonomia degli enti locali la materia in ragione degli elementi di differenziazione di detti enti rispetto all’amministrazione statale.
6. Nel caso in esame, l’ente non indica la norma statutaria –né quella regolamentare autorizzata dallo statuto– che attribuirebbe al dirigente, che rilasciò la procura, la rappresentanza legale esterna della provincia. La mera affermazione contenuta nel ricorso, che il dirigente “astrattamente ben può essere abilitato dallo statuto o da regolamento alla rappresentanza legale giudiziale”, in sé condivisibile (quanto al regolamento, con il limite sopra indicato), non giustifica la deduzione o la presunzione dell’esistenza in punto di fatto della necessaria previsione statutaria ed eventualmente regolamentare, e comportava, per l’ente, l’onere di indicare la disposizione statutaria (ed eventualmente anche quella regolamentare) richiesta dalle norme di legge invocate.
Ora, l’articolo 44 dallo Statuto della Provincia di Benevento, che demanda ai regolamenti l’attribuzione ai dirigenti “di responsabilità gestionali connesse alla realizzazione degli obiettivi e degli indirizzi di politica organizzativa deliberati dagli organi politico amministrativi”, non contiene alcun espresso rinvio, in materia di rappresentanza esterna dei dirigenti, alla normativa regolamentare. Né un qualsiasi accenno alla rappresentanza giudiziale dell’ente si rinviene nel richiamato art. 49 dello stesso statuto, dove si fa riferimento agli obiettivi determinati dagli organi politici dell’ente, al buon andamento degli uffici, all’economicità, efficacia, efficienza della gestione amministrativa, agli atti di gestione del personale, e all’irrogazione delle sanzioni per le contravvenzioni ai regolamenti provinciali.
Del resto, e per quel che può valere in assenza di un espresso rinvio statutario, neppure l’ente indica il regolamento provinciale che al supposto e non specificato rinvio avrebbe dato attuazione, limitandosi ad affermare genericamente che un non meglio precisato regolamento “dell’ordinamento e degli uffici” avrebbe affidato la responsabilità “anche negoziale e processuale verso l’esterno” per tutti gli atti del contenzioso al dirigente del settore legale dell’avvocatura provinciale.
A queste carenze del ricorso non supplisce poi il richiamo al diritto vivente, che nella materia in esame s’identifica con la già citata pronuncia delle Sezioni unite di questa corte (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 28.03.2014 n. 7402 - link a http://renatodisa.com).

febbraio 2014

COMPETENZE GESTIONALI: L’affidamento provvisorio della gestione dei campi da calcio e servizi annessi del capoluogo, per un periodo massimo di mesi tre e senza oneri a carico del Comune, disposto con delibera di Giunta non rientra in alcuna delle ipotesi specificate all’art. 42 (competenze del Consiglio) del né in quelle di cui all’art. 107 (competenze della Dirigenza) con la conseguenza che non può che rientrare nella competenza residuale della Giunta comunale ai sensi dell’art. 48.
... per l'annullamento dell’affidamento provvisorio della gestione dei campi da calcio e servizi annessi del capoluogo, per un periodo massimo di mesi tre e senza oneri a carico del Comune, disposto con delibera di Giunta n. 151 del 28.12.2012 in favore dell’odierna controinteressata;
...
Quanto al dedotto profilo di competenza, la ricorrente allega la violazione degli artt. 42 e 107 del D.Lgs. n. 267/2000 affermando genericamente che la proroga impugnata rientrerebbe nelle competenze del Consiglio comunale o, al più, della dirigenza.
Anche tale secondo motivo è infondato.
Sul punto deve rilevarsi che il provvedimento impugnato non rientra in alcuna delle ipotesi specificate all’art. 42 (competenze del Consiglio) del né in quelle di cui all’art. 107 (competenze della Dirigenza) con la conseguenza che non può che rientrare nella competenza residuale della Giunta comunale ai sensi dell’art. 48 (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 11.02.2014 n. 40 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Ogni competenza del Sindaco, in merito ai provvedimenti ascrivibili alla mera attività di gestione amministrativa in materia edilizia, deve essere ritenuta abrogata in virtù delle disposizioni legislative che hanno inteso separare, anche negli enti locali, la funzione di indirizzo politico da quella, appunto, di gestione amministrativa.
Nel settore dell’edilizia, infatti, prima, l'art. 6, l. n. 127 del 1997, modificando l'art. 51, l. n. 142 del 1990, ha previsto alla lett. f) che spettino alla competenza dei dirigenti «i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie».
Successivamente, la l. n. 191 del 1998 ha, a sua volta, modificato l'art. 6, l. n. 127 del 1997, introducendo la lett. f-bis) secondo la quale spettano ai dirigenti «tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale», così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni edilizie; a norma dell'art. 51 comma 3, l. 08.06.1990 n. 142 (oggi, d.lgs. 18.08.2000 n. 267), infine, sono di competenza dei dirigenti «tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente».
Peraltro, la stessa norma azionata in questa sede, ossia l’art. 31 del D.P.R. 380/2001, radica la relativa competenza proprio in capo al dirigente.

Infondata è, altresì, la quarta censura relativa all’incompetenza del dirigente che ha emanato l’atto in favore del Sindaco dell’ente.
In proposito, si ribadisce che ogni competenza del Sindaco, in merito ai provvedimenti ascrivibili alla mera attività di gestione amministrativa in materia edilizia, deve essere ritenuta abrogata in virtù delle disposizioni legislative che hanno inteso separare, anche negli enti locali, la funzione di indirizzo politico da quella, appunto, di gestione amministrativa. Nel settore dell’edilizia, infatti, prima, l'art. 6, l. n. 127 del 1997, modificando l'art. 51, l. n. 142 del 1990, ha previsto alla lett. f) che spettino alla competenza dei dirigenti «i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie».
Successivamente, la l. n. 191 del 1998 ha, a sua volta, modificato l'art. 6, l. n. 127 del 1997, introducendo la lett. f bis) secondo la quale spettano ai dirigenti «tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale», così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni edilizie; a norma dell'art. 51 comma 3, l. 08.06.1990 n. 142 (oggi, d.lgs. 18.08.2000 n. 267), infine, sono di competenza dei dirigenti «tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente» (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 13.02.2009, n. 802, TAR Campania Napoli, sez. VI, n. 3586/2009).
Peraltro, la stessa norma azionata in questa sede, ossia l’art. 31 del D.P.R. 380/2001, radica la relativa competenza proprio in capo al dirigente
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 796 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La competenza al diniego o al rilascio del permesso di costruire, anche in sanatoria, e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio.
Parimenti infondata è la doglianza relativa all’incompetenza del Responsabile del Servizio Edilizia Privata ad emanare il provvedimento impugnato.
Come già chiarito da questo Tar a seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51, l. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, l. 15.05.1997 n. 127, e del successivo art. 45, d.lgs. 31.03.1998 n. 80 -che ha distinto gli atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi politici- la competenza al diniego o al rilascio del permesso di costruire, anche in sanatoria, e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio (cfr., TAR Torino (Piemonte) sez. I, 13/12/2013, n. 1358)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.02.2014 n. 389 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI  - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: In applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti locali) al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però, detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei confronti del segretario.
Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei detti compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza.
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Nel nuovo ordinamento degli enti locali, il segretario comunale non rientra più nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è ulteriormente confermata dall'art. 97 d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti locali), laddove al comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al segretario comunale di competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate ad esigenze eccezionali e transeunti.
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FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna –Sede di Parma- ha respinto il ricorso di primo grado, corredato da motivi aggiunti, proposto dalla parte odierna appellante e volto ad avversare tutti gli atti adottati dal comune di Guastalla in relazione ad una procedura espropriativa che coinvolgeva i terreni dagli stessi posseduti e con il quale era stato altresì richiesto il risarcimento dei danni arrecati a seguito dall’attività amministrativa asseritamente illegittima posta in essere dal comune.
Gli odierni appellanti avevano premesso di essere comproprietari di un complesso immobiliare sito nel Comune di Guastalla, composto da un fabbricato in cui si svolgeva l’attività di ristorante da loro stessi gestita ed un’area cortiliva (Foglio 4 mappale 37), che fungeva da parcheggio e da zona di carico e scarico merci a servizio dell’attività di ristorante.
Il Comune di Guastalla, già dal bilancio del 2001, aveva inserito nell’elenco annuale delle opere pubbliche la realizzazione di una pista pedonale ciclabile sul lato est di Viale Po tra Porta Po e il Ponte stabile sul Po (SP35), il cui progetto preliminare era stato approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 1 del 10.01.2001 e la previsione dell’opera era stata successivamente confermata anche nel bilancio del 2002.
L’opera, sia pure a seguito di una modifica del progetto preliminare, era stata nuovamente inserita nel bilancio del 2003 e il progetto esecutivo è stato approvato con atto della Giunta Comunale n. 84 del 11.06.2003.
Gli appellanti avevano presentato il ricorso al Tar chiedendo l’annullamento, previa sospensione, della delibera della Giunta comunale n. 84 del 11.06.03 ma il TAR aveva respinto l’istanza cautelare.
In conseguenza di ciò il Comune -avvedutosi, tra l’altro, di un errore catastale, che riguardava proprio la proprietà dei signori Sc.- aveva approvato una perizia di variante al progetto esecutivo sopraindicato, proprio al fine di stralciare i lavori previsti su tale appezzamento
Era stato anche esperito un tentativo di pervenire ad un accordo bonario per la cessione dell’area, onde evitare l’esproprio delle aree di proprietà di parte appellante: con lettera del 13.01.2004 prot. n. 804 era stata comunicato ai proprietari l’adozione della variante al PRG per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione delle opere conseguenti alla realizzazione della pista ciclabile –2° stralcio– ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 327/2001. La variante, in assenza di osservazioni da parte dei proprietari, era stata poi approvata in via definitiva con la delibera del Consiglio comunale n. 7 del 28.01.2004. L’Ufficio Espropri del Comune, con lettera del 04.08.2004, aveva comunicato gli estremi del progetto definitivo-esecutivo, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 327/2001, oltre a proporre l’indennità provvisoria.
Per completare i lavori, garantendo la corretta e sicura transitabilità di Viale Po, erano state attivate le procedure di occupazione d’urgenza dell’area di proprietà catastale della ditta Sc., ai sensi del 1° comma dell’art. 22-bis del D.P.R. n. 327/2001, in tal modo disponendo l’occupazione del bene, l’immissione in possesso e la determinazione, per il periodo intercorrente tra la data di immissione in possesso e la data di corresponsione dell’indennità di espropriazione, dell’indennità di occupazione.
Avverso tutti i detti atti gli appellanti erano insorti prospettando numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il Tar ha analiticamente vagliato e respinto.
...
Il primo giudice ha parimenti respinto la seconda censura con la quale ci si doleva che il provvedimento 636 del 22.10.2004 e il conseguente decreto di occupazione di urgenza 21478 del 25.10.2004 nonché l’atto di avviso del 25.10.2004, erano stati emanati da soggetto incompetente, se non del tutto privo del relativo potere, in quanto avrebbero dovuto essere emanati, ai sensi dell’art. comma 5 del T.U., dal Dirigente e non dal funzionario, come, di fatto, è avvenuto.
Il Tar ha in proposito osservato che il Comune, con il provvedimento del 29/12/2001 aveva assegnato al segretario generale la reggenza ad interim degli interventi sul territorio e patrimonio sino alla copertura del posto vacante di Responsabile della medesima area, premettendo che il segretario generale avrebbe provveduto a delegare le rispettive competenze tra i due responsabili dell’area tecnica, (funzionari).
A avviso del Tar tale impostazione –Sindaco che assegna le funzioni al Segretario generale e quest’ultimo che delega ai singoli dipendenti funzionari dell’area- era conforme al disegno organizzativo disegnato dal legislatore pensando, in particolare, ai Comuni di non grandi dimensioni: l’art. 97 del d.lgs. 267/2000, comma 4, lett. d), prevedeva che potevano essere esercitate dal segretario comunale tutte le funzioni attribuitegli dal Sindaco (parimenti l’articolo 17 del d.lgs. 30/03/2001 n. 165 sanciva la facoltà per i dirigenti di delegare alcune delle competenze gestionali a loro attribuite ai dipendenti che ricoprivano le qualifiche funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati).
Alla luce di tali elementi, la circostanza che il comune si fosse dotato di un assetto organizzativo che prevedeva la delega delle funzioni inerenti l’area del territorio e del patrimonio da parte del Segretario generale a tre funzionari di categoria D3 era conforme alle disposizioni ordina mentali: ne discendeva che il geometra comunale che aveva emanato gli atti relativi al procedimento di esproprio era perfettamente competente, nella sua veste di soggetto delegato dal segretario generale e di funzionario apicale cui erano state sostanzialmente riconosciute le funzioni dirigenziali.
Quanto agli altri profili della censura (assenza della indicazione della durata dell’occupazione d’urgenza, mancanza dei presupposti di urgenza necessari), anch’essi sono stati dichiarati infondati, in quanto la durata dell’occupazione d’urgenza era fissata nelle premesse del provvedimento in 12 mesi, mentre per quanto concerne i presupposti dell’urgenza essi si erano compendiati nel fatto che i lavori erano stati necessitati dalla messa in sicurezza della strada e dalla vicina presenza delle aree golenali.
...
DIRITTO
...
2. Quanto alla censura di incompetenza, si osserva che: il Tuel (d.Lvo. 267/2000, all’art. 97, comma 4) prevede che “Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale. Il segretario inoltre:
   a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;
   b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
   c) può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
   d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;
   e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108, comma 4.2.

La lett. d) distingue tra funzioni “originarie” e “conferitegli”.
E’ ben noto al Collegio l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però, detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei confronti del segretario. Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei detti compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza" (Cass. Civ. Sez. lavoro, Sent. n. 13708 del 12.06.2007).
Sennonché, va rammentato che le funzioni “conferite” al Segretario Generale sono quelle spettanti ai Dirigenti e che, quanto a questi ultimi, l’art. 17 del Tu n. 165/2001 prevede la delegabilità delle funzioni (“I dirigenti, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:
   a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;
   b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;
   c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;
   d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;
   d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4;
   e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis;
   e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti.
1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile
.”).
Orbene, nei limiti in cui è prevista la delega al Segretario generale di funzioni dirigenziali (TAR Calabria Catanzaro Sez. II, 12.03.2002, n. 571: “nel nuovo ordinamento degli enti locali, il segretario comunale non rientra più nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è ulteriormente confermata dall'art. 97 d.lgs. 18.08.2000 n. 267, laddove al comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al segretario comunale di competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate ad esigenze eccezionali e transeunti.”) costituisce vizio prospettico rilevante ritenere che esse non possano essere a propria volta delegate a funzionari.
Invero, posto che l’appello non censura il primo “passaggio” (dal Sindaco al Segretario), non è validamente contestabile il secondo (dal Segretario al funzionario), operando il consolidato principio per cui (Cons. Stato Sez. V, 01.12.2006, n. 7081) “qualora in un Comune non vi siano figure dirigenziali, solo con un atto sindacale di attribuzione di dette funzioni le stesse possono essere esercitate da funzionari non dirigenti rimanendo riservate al Sindaco in assenza di tale atto di delega”.
Negare tale sviluppo significherebbe perseguire due inaccettabili opzioni ermeneutiche: la prima, diretta a negare applicazione pratica alla prescrizione su riportata ex art. 97, comma 4, lett. d), del Tuel; ovvero, in subordine, prevedere la traslazione diretta ed obbligatoria sul segretario generale, senza che questi possa avvalersi dei funzionari.
In entrambi i casi, un risultato inaccettabile che paralizzerebbe i piccoli comuni privi (come lo era illo tempore l’appellata amministrazione comunale) di un dirigente preposto all’area tecnica.
Ad abundantiam, si rileva che ai sensi del co. V dell’art. 6 del dPR n. 327/2001 (“1. L'autorità competente alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità è anche competente all'emanazione degli atti del procedimento espropriativo che si renda necessario.
   2. Le amministrazioni statali, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici individuano ed organizzano l'ufficio per le espropriazioni, ovvero attribuiscono i relativi poteri ad un ufficio già esistente.
   3. Le Regioni a statuto speciale o a statuto ordinario e le Province autonome di Trento e di Bolzano emanano tutti gli atti dei procedimenti espropriativi strumentali alla cura degli interessi da esse gestiti, anche nel caso di delega di funzioni statali.
   4. Gli enti locali possono istituire un ufficio comune per le espropriazioni e possono costituirsi in consorzio o in un'altra forma associativa prevista dalla legge.
   5. All'ufficio per le espropriazioni è preposto un dirigente o, in sua mancanza, il dipendente con la qualifica più elevata.
   6. Per ciascun procedimento, è designato un responsabile che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento, anche avvalendosi dell'ausilio di tecnici.
   7. Il dirigente dell'ufficio per le espropriazioni emana ogni provvedimento conclusivo del procedimento o di singole fasi di esso, anche se non predisposto dal responsabile del procedimento.
   8. Se l'opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l'amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l'ambito della delega nella concessione o nell'atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti privati cui sono attribuiti per legge o per delega poteri espropriativi, possono avvalersi di società controllata. I soggetti privati possono altresì avvalersi di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.
   9. Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private, l'autorità espropriante è l'Ente che emana il provvedimento dal quale deriva la dichiarazione di pubblica utilità
.”) è ben possibile che un funzionario, in carenza di figura dirigenziale, sia preposto all’Ufficio per le espropriazioni, di guisa che la censura appare del tutto priva di spessore (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.02.2014 n. 494 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2014

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIIl Collegio prende atto che, una parte della giurisprudenza afferma che la competenza ad adottare ordinanze di rimozione di rifiuti abbandonati in base all'art. 192, c. 3, D.Lgs. 03.04.2006 n. 152 spetti al dirigente e non al sindaco, in virtù del principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui all'art. 107, T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, D.Lgs. 18.8.2000 n. 267.
La giurisprudenza attualmente prevalente, alla quale il Collegio aderisce, ritiene tuttavia la competenza sindacale, e non dirigenziale, in relazione all’ordine di rimozione dei rifiuti, emesso dal ex art. 192 del D.Lgs. 152/2006.
Stabilisce, infatti, il c. 3 di tale articolo che, nelle fattispecie ivi indicate, “il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.”
Tale norma, che sancisce la competenza sindacale in luogo di quella dirigenziale, viene interpretata, dalla giurisprudenza maggioritaria, quale norma speciale rispetto all’art. 107 del T.U. enti locali, che affida ai dirigenti i compiti relativi alla gestione delle attribuzioni amministrative dell’ente locale, tenuto conto dell’applicazione del tradizionale canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, e che lo stesso art. 107, c. 4 cit., ha cura di precisare che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”, ciò che è avvenuto a seguito dell’entrata in vigore del citato art. 192, c. 3.

Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di incompetenza, è invece infondato.
Il Collegio prende atto che, una parte della giurisprudenza, invocata dalla ricorrente, afferma che la competenza ad adottare ordinanze di rimozione di rifiuti abbandonati in base all'art. 192, c. 3, D.Lgs. 03.04.2006 n. 152 spetti al dirigente e non al sindaco, in virtù del principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui all'art. 107, T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, D.Lgs. 18.8.2000 n. 267 (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 10.02.2012 n. 730, TAR Sardegna, Sez. II, 04.11.2009 n. 1598).
La giurisprudenza attualmente prevalente, alla quale il Collegio aderisce, ritiene tuttavia la competenza sindacale, e non dirigenziale, in relazione all’ordine di rimozione dei rifiuti, emesso dal ex art. 192 del D.Lgs. 152/2006.
Stabilisce, infatti, il c. 3 di tale articolo che, nelle fattispecie ivi indicate, “il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.”
Tale norma, che sancisce la competenza sindacale in luogo di quella dirigenziale, viene interpretata, dalla giurisprudenza maggioritaria, quale norma speciale rispetto all’art. 107 del T.U. enti locali, che affida ai dirigenti i compiti relativi alla gestione delle attribuzioni amministrative dell’ente locale (C.S., Sez. V, 29.08.2012, n. 4635; Sez. V, 12.06.2009, n. 3765; Sez. V, 10.03.2009, n. 1296, TAR Lazio, Sez. II, 01.02.2013 n. 1142; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 17.09.2012 n. 1644; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 09.06.2011, n. 867), tenuto conto dell’applicazione del tradizionale canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, e che lo stesso art. 107, c. 4 cit., ha cura di precisare che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”, ciò che è avvenuto a seguito dell’entrata in vigore del citato art. 192, c. 3
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.01.2014 n. 312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICAIl parere di compatibilità del PGT con il PTCP, di cui alla LR 12/2005, non costituisce una manifestazione della generale potestà di pianificazione riconosciuta dal Testo Unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000), all’organo consiliare, quanto piuttosto una valutazione di carattere tecnico, non riservata pertanto al Consiglio.
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Va ricordato l’indirizzo giurisprudenziale che riconosce alle Amministrazioni ampia discrezionalità in sede di approvazione degli strumenti urbanistici generali, senza contare che le osservazioni dei privati a questi ultimi costituiscono un mero apporto collaborativo.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, è ormai giunta alla conclusione che il parere di compatibilità del PGT con il PTCP, di cui alla LR 12/2005, non costituisce una manifestazione della generale potestà di pianificazione riconosciuta dal Testo Unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000), all’organo consiliare, quanto piuttosto una valutazione di carattere tecnico, non riservata pertanto al Consiglio (si vedano, sul punto, le sentenze del TAR Lombardia, sez. II, n. 4303/2009, n. 1221/2010, n. 7512 del 10.12.2010 e n. 7614/2010, costituenti precedenti specifici ai quali si rinvia).
Il precedente di segno opposto di questa Sezione II, citato dalla ricorrente (sentenza n. 5292/2007), risulta ormai superato dalle più recenti decisioni di cui sopra, senza contare che la sentenza n. 5292/2007 è stata annullata senza rinvio dal Consiglio di Stato con sentenza della sezione IV, 28.05.2009, n. 3337.
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Nella controdeduzione all’osservazione n. 14 della società istante, l’Amministrazione ha avuto cura di specificare che l’ambito di trasformazione commerciale “E” è stato individuato sulla base di una precedente proposta di piano attuativo in variante al PRG presentata dalla società stessa (cfr. su tale proposta, il doc. 4 ed il doc. 12 del Comune), mentre non appariva rispondente alle esigenze della collettività la soppressione dell’area a verde, peraltro già non edificabile anche in base al previgente PRG.
Si tratta di motivazioni non illogiche né arbitrarie, che escludono l’illegittimità della decisione di pianificazione del Comune, anche tenendo conto dell’indirizzo giurisprudenziale che riconosce alle Amministrazioni ampia discrezionalità in sede di approvazione degli strumenti urbanistici generali, senza contare che le osservazioni dei privati a questi ultimi costituiscono un mero apporto collaborativo (cfr. fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV, 28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV, 28.12.2012, n. 6703 e 21.12.2012, n. 6656; oltre che, fra le decisioni di primo grado, TAR Toscana, sez. I, 20.11.2013, n. 1593; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.12.2013, n. 2696, 26.02.2013, n. 532 e 08.02.2012, n. 437; TAR Emilia Romagna, Parma, 29.01.2013, n. 26; TRGA Trentino Alto Adige, Bolzano, 17.07.2012, n. 255)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.01.2014 n. 280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti, previste dal comma 2.
Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000.
Poiché dunque, in materia, vi è una competenza esclusiva del Sindaco (che non consta abbia, nel caso di specie, specificamente delegato i propri poteri alla dirigenza), la determinazione dirigenziale impugnata è viziata per incompetenza e deve essere annullata.

... per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 3876 in data 22.01.2013, notificata in data 04.02.2013, con cui è fatto ordine al sig. G.F., quale proprietario, di provvedere alla rimozione dei rifiuti di qualsiasi specie presenti nella “suddetta area”, ed al ripristino dello stato dei luoghi
...
Riveste carattere decisivo il vizio di incompetenza.
Infatti, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti, previste dal comma 2.
Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 29.08.2012, n. 4635).
Poiché dunque, in materia, vi è una competenza esclusiva del Sindaco (che non consta abbia, nel caso di specie, specificamente delegato i propri poteri alla dirigenza di Roma Capitale), la determinazione dirigenziale impugnata è viziata per incompetenza e deve essere annullata
(TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 07.01.2014 n. 86 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2013

COMPETENZE GESTIONALI: E' di competenza dirigenziale l'atto di nomina della commissione di concorso.
L’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 167 riserva alla competenza dei dirigenti l’adozione di tutti gli atti e i provvedimenti che impegnano l’amministrazione all’esterno, compresa la responsabilità delle procedure concorsuali.
Giova soggiungere che non milita a favore della tesi del ricorrente il riferimento alla disciplina dettata dall’art. 63 del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi in quanto, ai sensi della suddetta normativa di legge, richiamata dall’articolo 25 dello Statuto comunale, solo la disciplina statutaria è idonea a integrare il regime legale delle competenze degli organi.
Ne deriva l’illegittimità e la conseguente disapplicazione della normativa regolamentare in esame che ha ampliato la sfera giuntale di competenza in assenza della necessaria legittimazione di fonte statutaria.

E’ infondata, in primo luogo, la censura diretta a stigmatizzare il vizio di incompetenza che affliggerebbe l’atto dirigenziale di nomina della commissione di concorso in ragione della dedotta invasione della sfera di competenza della Giunta.
L’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 167, infatti, riserva alla competenza dei dirigenti l’adozione di tutti gli atti e i provvedimenti che impegnano l’amministrazione all’esterno, compresa la responsabilità delle procedure concorsuali. Giova soggiungere che non milita a favore della tesi del ricorrente il riferimento alla disciplina dettata dall’art. 63 del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi in quanto, ai sensi della suddetta normativa di legge, richiamata dall’articolo 25 dello Statuto comunale, solo la disciplina statutaria è idonea a integrare il regime legale delle competenze degli organi. Ne deriva l’illegittimità e la conseguente disapplicazione della normativa regolamentare in esame che ha ampliato la sfera giuntale di competenza in assenza della necessaria legittimazione di fonte statutaria (Cons. Sato, sez. V, 04.03.2011, n. 1408).
Va in ogni caso soggiunto per completezza che il supposto vizio di incompetenza è stato sanato, con effetto ex tunc, attraverso la delibera di Giunta Comunale n. 99 del 30.06.2011 (sull’efficacia retroattiva dell’esercizio del potere di convalida o ratifica vedi Cons. Sato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3121) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.12.2013 n. 6278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIA seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51, L. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, L. 15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45, D.Lgs. 31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi politici), la competenza al diniego o al rilascio della concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente precettiva.
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità della struttura e organizzazione interna dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate da quest’ultima.

La sanzione applicata, prevista dalla l.r. Piemonte n. 20/1989 risulta infatti, come dedotto in ricorso, soggetta alla disciplina introdotta nell’art. 51 della l. n. 142/1990 ad opera dell’art. 6 della l. n. 127/1997 che ha devoluto alla dirigenza (e nei comuni privi di dette qualifiche ai responsabili degli uffici e servizi) la complessiva attività gestoria, ivi inclusa la materia edilizia e connesse sanzioni.
Il provvedimento impugnato è stato emanato del Sindaco. In giurisprudenza per tutte si veda Cons. St. sez. IV 31.03.2009, n. 2024, secondo cui: “a seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51, L. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, L. 15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45, D.Lgs. 31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi politici), la competenza al diniego o al rilascio della concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente precettiva.”
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità della struttura e organizzazione interna dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate da quest’ultima (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Potere dei sindaci.
Domanda
Il sindaco del mio paese con un'ordinanza urgente ha vietato, ai commercianti, l'uso dei sacchetti di plastica normali. Un tale provvedimento può essere considerato legittimo?
Risposta
Alla luce della giurisprudenza amministrativa, non è legittima l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco per vietare a tutti gli esercenti attività commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande la distribuzione di buste non biodegradabili, realizzati senza l'osservanza delle norme UNI EN 13432-2002 e UNI EN 14995.
Al riguardo il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Puglia, Sezione II, con la sentenza del 05.06.2012, numero 1099, pronunciandosi su un'ordinanza contingibile e urgente emessa da sindaco di Bari, ha precisato che la predetta ordinanza non ha ragione di sussistere ove manchino i necessari presupposti di urgenza atti a giustificare l'adozione di misure improcrastinabili.
Si è già scritto in materia che il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte dei sindaci presuppone situazioni eccezionali e non prevedibili.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 04.04.2011, numero 115, ha escluso che in tema di ordinanze sindacali contingibili e urgenti vi sia un potere generale dei sindaci; ha dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo l'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo numero 267, del 2000, come sostituito dall'articolo 6 del decreto legge n. 92, del 2008, convertito con legge numero 125, del 2008, su cui detto potere extra ordinem si fonda, nella parte relativa alla locuzione «anche» prima delle parole «contingibili ed urgenti».
Infatti il contrasto della disposizione con il sistema delle fonti del diritto delineato dalla Carta costituzionale fa emergere il fatto incongruente di un potere dei Sindaci di emettere provvedimenti con efficacia sull'intero territorio comunale a tempo indeterminato, nonché in deroga alle leggi vigenti in relazione agli ambiti materiali così disciplinati, e ciò in violazione dei principi di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità di cui agli articoli 23, 70, 76, 97, 117 della Costituzione (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

novembre 2013

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIPur rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante l’attività preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto più idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur tuttavia, la concreta adozione della conseguente determinazione esuli dalle competenze immediatamente riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale del sito”.
Tanto stabilito, va respinta la prima censura dei motivi aggiunti de quibus, con la quale s’è denunziata l’incompetenza della G.M. a licenziare la deliberazione gravata, ai sensi degli artt. 48 e 107 del T.U.E.L. (atto che rientrerebbe, ad avviso dei ricorrenti, nelle dirette competenze dell’ufficio tecnico comunale); al riguardo, ritiene il Tribunale che –pur rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante l’attività preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto più idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur tuttavia, la concreta adozione della conseguente determinazione esuli dalle competenze immediatamente riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale del sito” (TAR Lazio – Sez. I, 22/05/2000, n. 4176) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 20.11.2013 n. 2290 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2013

COMPETENZE GESTIONALI: Personale degli enti locali. Competenze degli organi politici e burocratici.
L'art. 107, comma 4, del d.lgs. 267/2000, prevede che, in osservanza al principio di separazione dei poteri, le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine al principio di separazione dei poteri (competenza degli organi politici e burocratici dell'Ente), in relazione all'attuale formulazione di una norma statutaria che attribuisce al Sindaco la competenza ad adottare le ordinanze ordinarie, al rilascio delle autorizzazioni commerciali, nonché delle autorizzazioni e delle concessioni edilizie. In particolare l'Amministrazione, alla luce della legislazione vigente (anche regionale), si è posta la questione relativa alla necessità o meno di apportare le eventuali modifiche statutarie affinché i predetti atti siano firmati dai funzionari titolari di posizione organizzativa e non più dal Sindaco.
Preliminarmente si evidenzia in linea generale che le norme statutarie e regolamentari di organizzazione adottate dagli enti locali per definire competenze e ruoli dei singoli soggetti che operano all'interno delle medesime amministrazioni devono risultare in armonia con i principi dettati dall'ordinamento vigente, sia in materia di organizzazione, che con riferimento ai profili delle rispettive competenze.
Ai sensi dell'art. 107, commi 1-3, del d.lgs. 267/2000, spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti.
In particolare, spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale. Ai dirigenti sono quindi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dagli organi politici.
Premesso un tanto, si osserva che la giurisprudenza amministrativa
[1] ha rimarcato che l'art. 107, comma 4, del d.lgs. 267/2000, ha previsto che le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative. Inoltre, il comma 5 del citato articolo stabilisce che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi politici l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54 del TUEL.
Il richiamato principio, circa il riparto tra compiti di governo, di indirizzo e di controllo, spettanti agli organi politici elettivi, e compiti di gestione spettanti ai dirigenti, costituisce 'struttura fondante dell'intera riforma delle autonomie locali'
[2], di per sé immediatamente applicabile, senza la necessità dell'interposizione di fonti secondarie (statuto o regolamenti), cui spetta soltanto la determinazione delle modalità di esercizio della competenza, comunque indefettibile e tale da non tollerare impedimenti e soluzioni di continuità [3].
Si rinvia inoltre a quanto disposto dall'art. 42, comma 3, del CCRL del 07.12.2006, a mente del quale la titolarità di posizione organizzativa comporta automaticamente il conferimento delle responsabilità di cui all'art. 107 del d.lgs. 267/2000, ovvero l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalle leggi e dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente, o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale.
Per quanto concerne la norma statutaria dell'Ente che attribuisce al Sindaco la competenza ad emanare 'le ordinanze ordinarie' in generale, si osserva che tale tipologia di atti è adottata dai dirigenti/titolari di posizione organizzativa, trattandosi di atti di gestione dell'attività comunale, ai sensi dell'art. 107, comma 3
[4], del TUEL.
Invece le ordinanze contingibili ed urgenti, ai sensi dell'art. 54 del TUEL, sono attribuite al potere esclusivo del Sindaco, quale ufficiale di governo, che deve adottare con atto motivato, provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini
[5].
Con riferimento poi alla problematica inerente al rilascio di autorizzazioni e concessioni edilizie, si rappresenta che l'art. 22, comma 1, della l.r. 19/2009 stabilisce che il permesso di costruire è rilasciato dal Sindaco o dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale. Per tale fattispecie, quindi, necessita, a differenza di quanto avviene per le restanti competenze attribuite ex lege ai titolari di posizione organizzativa
[6], l'intervento di una espressa modifica statutaria che definisca espressamente il soggetto competente, in applicazione della richiamata disposizione regionale.
Si evidenzia, infatti, che, per quanto riguarda l'attribuzione della competenza al rilascio dei permessi di costruire, nella Regione Friuli Venezia Giulia il principio di separazione delle funzioni risulta derogato dalla legge. Il legislatore regionale, nell'esercizio della potestà esclusiva riconosciuta alla Regione dall'art. 4 dello Statuto di autonomia, sia in materia di urbanistica che di ordinamento degli enti locali, ha approvato una norma che si discosta dal principio di necessaria separazione fra indirizzo politico ed amministrazione.
Tale principio non risulta invece derogato in relazione all'adozione di altri provvedimenti in materia urbanistico-edilizia.
Infatti l'art. 28, comma 3, della citata l.r. 19/2009, prevede che il responsabile del procedimento
[7] rilascia il certificato di agibilità, verificata la documentazione da produrre.
L'art. 42 della medesima legge attribuisce poi espressamente al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (da intendersi quale titolare di posizione organizzativa) la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia e l'adozione di conseguenti misure sanzionatorie.
Non sono previste deroghe al principio generale di separazione delle funzioni nemmeno in relazione alle autorizzazioni paesaggistiche, il cui rilascio compete pertanto ai titolari di posizione organizzativa.
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[1] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, sentenza n. 4778 del 2013.
[2] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, sentenza n. 5833 del 2001.
[3] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, sentenza n. 7632 del 2003.
[4] Il comma 3 include una elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa, delle competenze dirigenziali.
[5] Cfr. TAR Napoli, sez. V, sentenza n. 276 del 2007. Si consideri inoltre che la Corte costituzionale, con sentenza n. 115/2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 54, comma 4, del TUEL, nella parte in cui comprende la locuzione 'anche', prima delle parole 'contingibili e urgenti'.
[6] Per quanto concerne le autorizzazioni disciplinate da leggi regionali nei settori del commercio e del turismo, l'art. 104 della l.r. 13/1998 dispone l'applicazione dell'art. 51, commi 3 e 3-bis, della l. 142/1990 (ora art. 107 del d.lgs. 267/2000, competenza dei dirigenti o figure assimilate).
[7] Si precisa al riguardo che, trattandosi di atto con contenuto espressivo di volontà con effetti esterni, può essere firmato solo dal soggetto titolare di incarico che lo abilita ad adottare atti con le caratteristiche evidenziate (titolare di posizione organizzativa)
(16.10.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATAPer effetto dell'introduzione del principio della separazione tra i compiti di indirizzo politico e i compiti gestionali, devono ritenersi trasferite dagli organi di direzione politico-amministrativa al personale burocratico (alla stregua del vigente art. 107 del T.U. n. 267/2000) tutte le competenze in materia di repressione degli abusi edilizi.
Né può, in diversa direzione, ritenersi che il provvedimento impugnato sia stato adottato dal Sindaco nella qualità di Ufficiale di Governo ex art. 38 l. n. 142/1990 (ora trasfuso nell’art. 54 del T.U. cit.), non constando (fuori del richiamo, di per sé del tutto irrilevante, alla ridetta disposizione normativa, oltretutto contrastante con il contestuale richiamo alla normativa in tema di repressione degli abusi edilizi) della concreta ricorrenza dei relativi presupposti e, segnatamente, degli interessi suscettibili di attivare i relativi poteri extra ordinem.

... per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 21 del 12.12.2000, notificata il 19 dicembre successivo, con al quale al ricorrente è stato ingiunto di demolire il fabbricato di sua proprietà sito alla località “Olivella”;
...
Il ricorso è fondato, nei sensi di cui alle considerazioni che seguono.
S’impone, in via preliminare ed assorbente, l’esame del terzo motivo di gravame, in quanto preordinato alla denuncia della incompetenza alla adozione del provvedimento impugnato.
La censura è palesemente fondata, non essendo dubbio che, per effetto dell'introduzione del principio della separazione tra i compiti di indirizzo politico e i compiti gestionali, devono ritenersi trasferite dagli organi di direzione politico-amministrativa al personale burocratico (alla stregua del vigente art. 107 del T.U. n. 267/2000) tutte le competenze in materia di repressione degli abusi edilizi.
Né può, in diversa direzione, ritenersi che il provvedimento impugnato sia stato adottato dal Sindaco nella qualità di Ufficiale di Governo ex art. 38 l. n. 142/1990 (ora trasfuso nell’art. 54 del T.U. cit.), non constando (fuori del richiamo, di per sé del tutto irrilevante, alla ridetta disposizione normativa, oltretutto contrastante con il contestuale richiamo alla normativa in tema di repressione degli abusi edilizi) della concreta ricorrenza dei relativi presupposti e, segnatamente, degli interessi suscettibili di attivare i relativi poteri extra ordinem (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 10.10.2013 n. 2037 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: A. Tosiani, Delega di funzioni nell’amministrazione pubblica e nelle scuole (09.10.2013 - link a www.diritto.it).

settembre 2013

COMPETENZE GESTIONALIIl principio contenuto negli articoli 51 della l. n. 142 del 1990 e 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, circa il riparto tra compiti di governo, di indirizzo e di controllo, spettanti agli organi politici elettivi, e compiti di gestione, spettanti ai dirigenti, costituisce “struttura fondante dell’intera riforma delle autonomie locali”, di per sé immediatamente applicabile senza la necessità dell’interposizione di fonti secondarie, cui spetta soltanto la determinazione delle modalità di esercizio della competenza, comunque indefettibile e tale da non tollerare impedimenti e soluzioni di continuità.
Su un piano più generale è stato sottolineato che, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ai dirigenti è stata attribuita la competenza esclusiva nella gestione dell’attività amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mentre agli organi di governo sono rimaste le funzioni di indirizzo politico, aggiungendosi che, con specifico riferimento agli enti locali, proprio l’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 dispone che gli statuti ed i regolamenti si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e controllo politico–amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica compete in via esclusiva ai dirigenti, con la precisazione che l’attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del comune, si risolve nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione.
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Sulla scorta di tale substrato normativo (e giurisprudenziale) il sindaco non può adottare un proprio atto di annullamento, in autotutela, della determinazione dirigenziale riguardante la procedura del concorso pubblico per titoli ed esami per l’assunzione di un istruttore contabile, trattandosi di un’attività di gestione, non appartenente come tale ai compiti di governo, indirizzo e controllo propri di un organo politico, quale appunto è il sindaco.
Questi invero, proprio nell’esercizio dei predetti poteri di indirizzo e controllo, può -e deve- sollecitare il responsabile del servizio ovvero il dirigente competente all’adozione degli atti opportuni e necessari a rimuovere la pretesa illegittimità verificatasi nella procedura concorsuale in esame, così rispettando il fondamentale ed insuperabile principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione (potendo del resto eventualmente utilizzare nei confronti del funzionario o del dirigente, riottoso o inadempiente, gli ordinari poteri disciplinari fino a giungere anche alla rimozione dall’incarico o dalla funzione).
Né, a fondamento della sussistenza del potere esercitato nel caso in esame, possono invocarsi, l’articolo 50, comma 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000 e l’art. 44, ultimo comma, del Regolamento recante l’ordinamento degli uffici e dei servizi (quest’ultimo nella parte in cui autorizza il sindaco ad annullare, di propria iniziativa o su istanza di parte, per motivi di legittimità gli atti dei responsabili dei servizi degli organi dell’amministrazione).
Sotto un primo profilo deve infatti osservarsi che, se è vero che il ricordato terzo comma dell’art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000 stabilisce che il sindaco esercita le funzioni attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti, è altrettanto vero che tale norma fa espressamente salvo quanto stabilito dall’articolo 107 che, come già si è avuto modo di osservare, delimita e distingue nettamente l’attività politica da quella di gestione, attribuendo solo ai dirigenti quest’ultima, in cui è espressamente ricompresa, secondo l’esemplificativa normativa, la “responsabilità delle procedure di concorso”, formulazione in cui deve farsi ragionevolmente rientrare, anche per coerenza sistematica, l’eventuale esercizio del potere di autotutela.

Giova al riguardo rilevare che l’art. 51 della legge 08.06.1990, n. 142, aveva già stabilito, al comma 2, che “spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti”, aggiungendo al successivo terzo comma che “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservano agli organi di governo dell’ente. Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente:…b) la responsabilità delle procedure di appalto e di concorso”.
Tale disposizione ha trovato conferma nell’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, laddove è stato previsto al comma 4 che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative” e al comma 5 che, “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’art. 50, comma 3, e dall’art. 54”.
Il principio contenuto nei ricordati articoli 51 della l. n. 142 del 1990 e 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, circa il riparto tra compiti di governo, di indirizzo e di controllo, spettanti agli organi politici elettivi, e compiti di gestione, spettanti ai dirigenti, costituisce “struttura fondante dell’intera riforma delle autonomie locali” (C.d.S., sez. V, 15.11.2001, n. 5833), di per sé immediatamente applicabile senza la necessità dell’interposizione di fonti secondarie, cui spetta soltanto la determinazione delle modalità di esercizio della competenza, comunque indefettibile e tale da non tollerare impedimenti e soluzioni di continuità (C.d.S., sez. V, 23.03.2000, n. 1617; 21.11.2003, n. 7632).
Su un piano più generale è stato sottolineato che, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ai dirigenti è stata attribuita la competenza esclusiva nella gestione dell’attività amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mentre agli organi di governo sono rimaste le funzioni di indirizzo politico, aggiungendosi che, con specifico riferimento agli enti locali, proprio l’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 dispone che gli statuti ed i regolamenti si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e controllo politico–amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica compete in via esclusiva ai dirigenti (C.d.S., sez. V, 16.10.2004, n. 6029; 05.10.2005, n. 5312; 10.12.2012, n. 6277), con la precisazione che l’attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del comune, si risolve nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione (C.d.S., sez. V, 09.09.2005, n. 4654).
Sulla scorta di tale substrato normativo (e giurisprudenziale) il sindaco del Comune di Avetrana non poteva adottare, come invece è avvenuto, la disposizione prot. n. 2332 del 19.03.2002, di annullamento, in autotutela, della determinazione n. 348 del 31.07.2001 e, conseguentemente, dell’intera procedura del concorso pubblico per titoli ed esami per l’assunzione di un istruttore contabile, trattandosi di un’attività di gestione, non appartenente come tale ai compiti di governo, indirizzo e controllo propri di un organo politico, quale appunto è il sindaco.
Questi invero, proprio nell’esercizio dei predetti poteri di indirizzo e controllo, avrebbe potuto -e dovuto- sollecitare, anche sulla scorta degli indirizzi forniti dall’organo giuntale, il responsabile del servizio ovvero il dirigente competente all’adozione degli atti opportuni e necessari a rimuovere la pretesa illegittimità verificatasi nella procedura concorsuale in esame, così rispettando il fondamentale ed insuperabile principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione (potendo del resto eventualmente utilizzare nei confronti del funzionario o del dirigente, riottoso o inadempiente, gli ordinari poteri disciplinari fino a giungere anche alla rimozione dall’incarico o dalla funzione).
Né, a fondamento della sussistenza del potere esercitato nel caso in esame, possono invocarsi, come indicato nel provvedimento impugnato, l’articolo 50, comma 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000 e l’art. 44, ultimo comma, del Regolamento recante l’ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di Avetrana (quest’ultimo nella parte in cui autorizza il sindaco ad annullare, di propria iniziativa o su istanza di parte, per motivi di legittimità gli atti dei responsabili dei servizi degli organi dell’amministrazione).
Sotto un primo profilo deve infatti osservarsi che, se è vero che il ricordato terzo comma dell’art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000 stabilisce che il sindaco esercita le funzioni attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti, è altrettanto vero che tale norma fa espressamente salvo quanto stabilito dall’articolo 107 che, come già si è avuto modo di osservare, delimita e distingue nettamente l’attività politica da quella di gestione, attribuendo solo ai dirigenti quest’ultima, in cui è espressamente ricompresa, secondo l’esemplificativa normativa, la “responsabilità delle procedure di concorso”, formulazione in cui deve farsi ragionevolmente rientrare, anche per coerenza sistematica, l’eventuale esercizio del potere di autotutela.
A ciò consegue, sotto altro concorrente profilo, che nessun autonomo rilievo può essere attribuito alla previsione contenuta nell’articolo 44 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, approvato con delibera della Giunta comunale n. 640 del 22.11.1999, da ritenersi tacitamente abrogata o comunque inapplicabile per effetto della disposizione contenuta nel quinto comma dell’articolo 107 del più volte citato D.Lgs. n. 267 del 2000, secondo cui “A decorrere dall’entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’art. 50, comma 3, e dell’art. 54”.
Ciò senza contare che ad identiche conclusioni del resto si giunge anche disapplicando la predetta norma regolamentare, proprio a causa del suo insanabile contrasto con il disposto legislativo primario, essendo appena il caso di rilevare che la disapplicazione della norma secondaria regolamentare, al fine della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo impugnato, è in questi casi (di macroscopico contrasto con la norma primaria) consentita al giudice amministrativo, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento e quindi anche in mancanza di richiesta delle parti (C.d.S., sez. V, 25.09.2006, n. 5625; 11.05.2004, n. 2966; 13.11.2002, n.6293; sez. IV, 14.04.2006, n. 2142; sez. VI, 03.10.2007, n. 5098).
La fondatezza dell’esaminato motivo di gravame, alla cui stregua è da ritenersi pertanto viziato da incompetenza dell’organo che lo ha emanato il provvedimento sindacale prot. n. 2332 del 19.03.2002, nonché la stessa delibera della Giunta comunale n. 64 del 18.03.2002, nella parte in cui autorizza il sindaco ad emettere un provvedimento di autotutela (della determinazione n. 348 del 31.07.2001), determina l’assorbimento degli altri motivi di censura (che attengono al merito della questione e dunque al corretto esercizio del potere di autotutela e che conseguentemente in tale sede non possono essere esaminati).
In conclusione l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dalla dott. L.C.C. e devono essere annullati sia il provvedimento sindacale prot. n. 2332 del 19.03.2002, sia la stessa delibera della Giunta comunale n. 64 del 18.03.2002, nella parte indicata sub. 5.3 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4778 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la disciplina normativa applicabile per la determinazione degli oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella vigente alla data di rilascio della concessione in sanatoria.
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Non sussiste la dedotta censura di incompetenza, né che si faccia riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32 della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7 della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla competenza residuale della giunta municipale tutti quelli non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come <<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non tributaria>>, si deve osservare che comunque, ai sensi dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990, il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi attribuito alla competenza della giunta municipale.
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L. n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio comunale la determinazione di tali oneri, in base a parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore specificazione circa l’organo comunale competente, per cui si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta municipale.

1. Il ricorso, come già ritenuto da questo Tribunale in sede cautelare, è fondato nei soli limiti in cui è diretto a contestare la legittimità della richiesta, contenuta nei provvedimenti impugnati, di pagamento del costo di costruzione, per la somma di lire 2.899.000.
È invece infondato, e deve essere respinto, nella residua parte (concernente gli oneri di urbanizzazione nell’importo richiesto di lire 4.412.000).
In relazione alla illegittimità della richiesta di pagamento del costo di costruzione, si deve infatti osservare che, nella specie, si tratta pacificamente di manufatto avente destinazione industriale, per il quale sono quindi dovuti i soli oneri di urbanizzazione.
Al riguardo, non può sussistere alcun dubbio, alla luce del chiaro tenore testuale dell’invocata disposizione normativa di cui all’articolo 10, comma primo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta ora trasfuso nell’articolo 19, comma primo, D.P.R. n. 380/2001), secondo cui <<La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. …>>.
In tal senso, del resto, depone il convergente orientamento della giurisprudenza di questa Sezione (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 07/01/2010, n. 9), nonché del Supremo Consesso della giustizia amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. V, 19/06/2012, n. 3561).
Per quanto riguarda invece il pagamento degli oneri di urbanizzazione, si deve osservare che l’intimata amministrazione comunale, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte ricorrente, ha fatto correttamente riferimento alle applicate delibere di aggiornamento del Commissario Prefettizio e della Giunta Municipale (rispettivamente, n. 7/94 e n. 91/95) e non alla deliberazione del Consiglio Regionale n. 119/1 del 28.07.1977.
Ai sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la disciplina normativa applicabile per la determinazione degli oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella vigente alla data di rilascio della concessione in sanatoria (cfr., in tali sensi, C.G.A.R.S., 21.03.2007, n. 244, secondo cui <<Il contributo di urbanizzazione ex art. 11, comma 2, l. 28.01.1977 n. 10, deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione dell'entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio>>).
Correttamente, pertanto, il Comune di Brusciano ha fatto riferimento alla normativa vigente alla data della richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione di cui alla nota sindacale n. 9318 del 30.06.1998 (vale a dire, per l’appunto, alla delibera del commissario prefettizio n. 7/94 ed alla delibera della giunta municipale n. 91/95).
Tali delibere non sono state dunque applicate retroattivamente ad una fattispecie pregressa (come dedotto con la terza e la quarta censura), ma ad una situazione determinatasi successivamente alla loro adozione, per cui non vi è alcuna violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi.
Inoltre, contrariamente a quanto denunciato con la seconda censura, l’amministrazione ha esplicitato i parametri utilizzati per la quantificazione degli oneri concessori, individuandoli nelle tabelle parametriche regionali ed in quelli indicati dalla delibera di Giunta Comunale n. 91/95 (cfr. nota prot. n. 14343 del 07/10/1998, in atti), ed ha altresì chiarito che si è tenuto conto degli acconti eventualmente versati (laddove la richiesta di pagamento risulta effettuata <<a saldo>> degli oneri dovuti, come espressamente indicato nell’impugnata nota sindacale n. 9318 del 30.06.1998).
Non sussiste, infine, la dedotta censura di incompetenza (di cui al quinto ed ultimo motivo di ricorso), né che si faccia riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32 della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7 della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla competenza residuale della giunta municipale tutti quelli non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come <<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non tributaria>>: cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 02.03.2012, n. 355; TAR Campania, Salerno, Sez. II, n. 700/2011; TAR Puglia, Bari, sez. III, 10.02.2011, n. 243), si deve osservare che comunque, ai sensi dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990, il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi attribuito alla competenza della giunta municipale (cfr. C.d.S., sez. V, 13.03.2002, n. 1491).
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L. n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio comunale la determinazione di tali oneri, in base a parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore specificazione circa l’organo comunale competente, per cui si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta municipale.
In conclusione, il ricorso in esame è fondato nei soli suindicati limiti (concernenti la richiesta di pagamento del costo di costruzione per la somma di lire 2.899.000) ed entro tali limiti deve essere accolto, con conseguente annullamento, in parte qua, dell’impugnata nota sindacale prot. n. 9318 del 30.06.1998 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.09.2013 n. 4206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2013

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: La competenza in materia di approvazione degli strumenti di attuazione del piano regolatore, tra i quali rientrano anche i piani di recupero, appartiene certamente al Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 32, comma 3, lett. b, l. 08.06.1990 n. 142, che assegna al consiglio comunale la competenza in materia di piani territoriali e urbanistici, nonché di piani finanziari e di programmi di opere pubbliche.
Il procedimento avviato con la presentazione di un piano di recupero di iniziativa privata deve pertanto chiudersi con un provvedimento espresso, di approvazione o di diniego, da parte del consiglio comunale, laddove il parere della commissione edilizia non può sostituire il necessariamente espresso e formale provvedimento terminale del procedimento, che solo il consiglio comunale è deputato ad emettere.
Tuttavia, qualora il procedimento, dopo l’espressione di un parere negativo da parte della Commissione Edilizia, non prosegua oltre, tale atto infraprocedimentale ha sostanziale natura di diniego di approvazione, di tal che i ricorrenti hanno tutto l’interesse a rimuoverlo. La giurisprudenza ha infatti ritenuto che, in tali casi, l’atto assume efficacia di interruzione procedimentale, e sotto questo aspetto è sicuramente lesivo, oltre che illegittimo, quanto meno per contrasto con l’art. 2, c. 1, L. 07.08.1990 n. 241, che impone all’Amministrazione di concludere il procedimento, ove lo stesso consegua obbligatoriamente ad un’istanza del privato, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero esso ha valore proprio del provvedimento di diniego di approvazione del proposto Piano di Recupero, ovviamente impugnabile e parimenti illegittimo perché emesso da un organo palesemente incompetente.
Invero, i provvedimenti emanati da commissioni tecniche, che preannunciano il tenore della decisione amministrativa, e che sono destinati ad essere sostituiti da un provvedimento definitivo emesso dall’organo ordinariamente competente ad impegnare definitivamente la volontà dell’amministrazione, possono essere impugnati immediatamente, quale mera facoltà, a cui comunque deve seguire nel corso del giudizio l’impugnazione del provvedimento definitivo, e che in mancanza di tale atto, l’impugnazione avverso il provvedimento provvisorio non soddisfa di per sé i requisiti di lesività presupposti dall’azione demolitoria, con conseguente inammissibilità della stessa (nella fattispecie oggetto del giudizio si è dichiarata l’inammissibilità dell’impugnativa di un parere tecnico di un dirigente comunale, in ordine ad una proposta di lottizzazione).

Osserva il Collegio che la competenza in materia di approvazione degli strumenti di attuazione del piano regolatore, tra i quali rientrano anche i piani di recupero, appartiene certamente al Consiglio comunale (TAR Umbria, sez. I, 21.06.2011, n. 176), ai sensi dell’art. 32, comma 3, lett. b, l. 08.06.1990 n. 142, che assegna al consiglio comunale la competenza in materia di piani territoriali e urbanistici, nonché di piani finanziari e di programmi di opere pubbliche.
Il procedimento avviato con la presentazione di un piano di recupero di iniziativa privata deve pertanto chiudersi con un provvedimento espresso, di approvazione o di diniego, da parte del consiglio comunale, laddove il parere della commissione edilizia non può sostituire il necessariamente espresso e formale provvedimento terminale del procedimento, che solo il consiglio comunale è deputato ad emettere.
Tuttavia, come avvenuto nel caso di specie, qualora il procedimento, dopo l’espressione di un parere negativo da parte della Commissione Edilizia, non prosegua oltre, tale atto infraprocedimentale ha sostanziale natura di diniego di approvazione, di tal che i ricorrenti hanno tutto l’interesse a rimuoverlo. La giurisprudenza ha infatti ritenuto che, in tali casi, l’atto assume efficacia di interruzione procedimentale, e sotto questo aspetto è sicuramente lesivo, oltre che illegittimo, quanto meno per contrasto con l’art. 2, c. 1, L. 07.08.1990 n. 241, che impone all’Amministrazione di concludere il procedimento, ove lo stesso consegua obbligatoriamente ad un’istanza del privato, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero esso ha valore proprio del provvedimento di diniego di approvazione del proposto Piano di Recupero, ovviamente impugnabile e parimenti illegittimo perché emesso da un organo palesemente incompetente (TAR Veneto, Sez. I, 15.04.1998 n. 443).
Osserva peraltro il Collegio che C.S., Sez. IV, 09.05.2013, n. 2511 ha recentemente affermato che i provvedimenti emanati da commissioni tecniche, che preannunciano il tenore della decisione amministrativa, e che sono destinati ad essere sostituiti da un provvedimento definitivo emesso dall’organo ordinariamente competente ad impegnare definitivamente la volontà dell’amministrazione, possono essere impugnati immediatamente, quale mera facoltà, a cui comunque deve seguire nel corso del giudizio l’impugnazione del provvedimento definitivo, e che in mancanza di tale atto, l’impugnazione avverso il provvedimento provvisorio non soddisfa di per sé i requisiti di lesività presupposti dall’azione demolitoria, con conseguente inammissibilità della stessa (nella fattispecie oggetto del giudizio si è dichiarata l’inammissibilità dell’impugnativa di un parere tecnico di un dirigente comunale, in ordine ad una proposta di lottizzazione).
Con tale pronuncia il Consiglio di Stato si è espressamente discostato dalla giurisprudenza risalente, ritenendo la stessa “giustificata dalla storica, ma ormai superata, concentrazione delle prospettive di tutela unicamente nell’azione di annullamento, restando al tempo quella sul silenzio, utile ad accertare, sullo sfondo di un’amministrazione totalmente inerte, ed in una logica puramente attizia, l’esistenza di un obbligo di provvedere e l’attualità di tale obbligo, talché l’esistenza di un atto anche se soprassessorio conduceva ad una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità dell’azione. Il varo del codice del processo amministrativo, ma, ancor prima, la configurazione di poteri speciali del giudice per l’ipotesi di azione avverso l’inerzia, estesi in via eccezionale alla cognizione dell’eventuale fondatezza dell’istanza (già previsti dall’art. 6-bis della legge n. 80/2005), ha fatto venir meno la necessità di accomunare le due fattispecie, rendendo possibile anche in presenza di un atto soprassessorio l’azione sul silenzio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.08.2013 n. 2073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Rientra nelle attribuzioni dirigenziali il potere di negare il rinnovo di un contratto avente ad oggetto la disciplina di un rapporto concessorio in scadenza, atteso che in esso non sono ravvisabili profili che possano ricondursi a scelte strategiche o di indirizzo politico da compiere, atteso che la scelta di affidare il servizio in concessione era già stata effettuata precedentemente con delibera.
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È stato osservato come il modo di definire le competenze della Giunta comporti delle evidenti incongruenze e delle notevoli difficoltà, non essendo certamente agevole verificare ed individuare ogni volta, in negativo, quali atti non sono assegnati dalla normativa alla competenza del Sindaco, del Consiglio e dei dirigenti.
Il problema di delimitazione delle competenze della Giunta, risulta poi particolarmente complesso proprio con riguardo ai poteri attribuiti ai dirigenti, posto che l'art. 107 del T.U. individua in modo negativo e residuale anche la competenza di questi ultimi stabilendo che spettano agli organi burocratici “gli atti e i provvedimenti che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno, non compresi espressamente dalla legge e dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale”.
Poiché sia la Giunta che i dirigenti sono organi cui la legge attribuisce funzioni lato sensu esecutive dell'indirizzo politico, il discrimen tra le due competenze è, dunque, da individuare nella diversa natura dei due organi e nel principio di separazione tra attività politica e attività gestionale. Senza approfondire una tematica sulla quale copiosi sono stati gli interventi di dottrina e in giurisprudenza, in questa sede basti ricordare che la Giunta è un organo di governo dell'Ente locale e pertanto svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, mentre ai dirigenti compete l'attività di gestione tecnica-finanziaria-contabile e l'assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi, o atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo.

In specifico, in relazione all’eccepita incompetenza, si deve ricordare che la competenza attribuita dal d.lgs. 18.08.2000, n. 267, ai Consigli Comunali deve intendersi circoscritta agli atti fondamentali dell'Ente, di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre spettano alle Giunte Comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo (Consiglio di Stato, sez. I, 21.10.2010, n. 3894), nell’ambito, tuttavia, di un riparto di competenze tra organi politici e burocratici così come delineato dal Testo Unico citato.
Come noto, il nuovo sistema di riparto di competenze tra organi politici è retto dal principio secondo cui l'organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali tassativamente elencati dall'art. 32 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfuso nell'art. 42 del T.U.E.L.
Al Consiglio, organo di indirizzo politico-amministrativo, spetta (anche in virtù del fatto che in esso sono rappresentate tutte le forze politiche, comprese le minoranze) il compito, da un lato, di contribuire attivamente alla formazione e all'aggiornamento del programma politico-amministrativo del Sindaco e della Giunta (funzione di indirizzo), e, dall'altro, di controllare che l'azione di governo sia fedele al programma stesso (funzione di controllo).
Oltre a tali funzioni, di carattere generale, spetta al Consiglio anche l'adozione di una serie di atti fondamentali, attraverso cui si esplica il ruolo di indirizzo dell'organo. Con l'attribuzione di una competenza limitata ad una serie di atti tassativamente individuati, il legislatore ha infatti voluto trasformare il Consiglio da organo con competenza generale e residuale (quale era nel T.U. del 1915) in organo con attribuzioni specificamente individuate ed esclusive.
L'elencazione, peraltro, non esaurisce le sue attribuzioni in quanto altre norme e lo stesso T.U. individuano ulteriori competenze; tuttavia, si tratta di competenze esclusive perché solo il Consiglio può esercitarle.
Con tale scelta il legislatore ha voluto alleggerire la vita istituzionale del Consiglio che risultava notevolmente appesantita da tutta quella miriade di compiti che vi gravavano in virtù della competenza generale e residuale, e conseguentemente, rafforzare il ruolo politico del Consiglio stesso.
Occorre inoltre precisare che gli atti di competenza del Consiglio sono espressamente definiti “fondamentali” dal legislatore, proprio per indicare che si tratta di atti assai significativi e qualificanti per la vita e l'organizzazione dell'ente, che per la loro rilevante incidenza e/o straordinarietà rispetto al flusso quotidiano dei bisogni correnti richiedono l'attenzione del massimo organo.
Per converso, nel sistema delineato dal T.U., la Giunta comunale è l'organo politico-esecutivo che compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non rientrino nelle competenze -previste dalle leggi o dallo statuto- del Sindaco, degli organi di decentramento, del segretario o dei dirigenti ex art. 107 del T.U. 267-2000.
In altri termini, diversamente dal passato, spetta alla Giunta una competenza generale e residuale in virtù della quale a tale organo sono attribuite tutte quelle materie che la legge o gli statuti non riservano ad altri organi, sia politici che burocratici, dell'ente locale.
È stato osservato come tale modo di definire le competenze della Giunta comporti delle evidenti incongruenze e delle notevoli difficoltà, non essendo certamente agevole verificare ed individuare ogni volta, in negativo, quali atti non sono assegnati dalla normativa alla competenza del Sindaco, del Consiglio e dei dirigenti. Il problema di delimitazione delle competenze della Giunta, risulta poi particolarmente complesso proprio con riguardo ai poteri attribuiti ai dirigenti, posto che l'art. 107 del T.U. individua in modo negativo e residuale anche la competenza di questi ultimi stabilendo che spettano agli organi burocratici “gli atti e i provvedimenti che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno, non compresi espressamente dalla legge e dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale”.
Poiché sia la Giunta che i dirigenti sono organi cui la legge attribuisce funzioni lato sensu esecutive dell'indirizzo politico, il discrimen tra le due competenze è, dunque, da individuare nella diversa natura dei due organi e nel principio di separazione tra attività politica e attività gestionale. Senza approfondire una tematica sulla quale copiosi sono stati gli interventi di dottrina e in giurisprudenza, in questa sede basti ricordare che la Giunta è un organo di governo dell'Ente locale e pertanto svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, mentre ai dirigenti compete l'attività di gestione tecnica-finanziaria-contabile e l'assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi, o atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo.
Il principio generale che regola il riparto di competenze tra Consiglio, Giunta e dirigenza, applicabile anche alla materia oggetto della presente controversia, relativa al rapporto concessorio tra il Comune e l’appellante, sorto con il “contratto” di concessione di area demaniale per l’installazione di un impianto di frantumazione e selezione di inerti in località “Pontone Longo” in data 07.11.2000, rep. n. 4686, consente dunque di delineare in modo abbastanza agevole le rispettive sfere di azione e di risolvere le problematiche interpretative poste dalla fattispecie in esame.
Infatti, tenuto conto del ruolo rivestito dal Consiglio nel sistema del T.U., sembra ragionevole ritenere che la competenza a deliberare in materia sia del tutto esclusa, non essendo tale materia attinente alla gestione dei servizi pubblici e, in particolare, alla concessione del servizio, ove in ogni caso la competenza di tale organo si riferisce alla decisione di principio circa il modulo organizzativo da adottare (ad es., concessione e non s.p.a.) e non si estende certamente a tutti gli atti esecutivi di tale scelta, proprio per l'espressa limitazione delle competenze dell'organo elettivo agli atti fondamentali.
Inoltre, tale censura non potrebbe neppure risultare fondata in relazione all’art. 10 del contratto di concessione, poiché un contratto o un atto amministrativo puntuale non possono certamente incidere sulle competenze amministrative, che devono essere oggetto di apposito atto normativo.
Né viene in rilievo nella fattispecie la violazione del principio del contrarius actus, posto che tale principio sostanzialmente richiamato nell’ambito dell’art. 21-nonies della l. n. 241-90 riguarda i provvedimenti di autotutela, genus cui certamente non appartiene l’atto in oggetto che consiste, come detto, in un diniego di rinnovo di concessione.
Pertanto, rientra nelle attribuzioni dirigenziali il potere di negare il rinnovo di un contratto avente ad oggetto la disciplina di un rapporto concessorio in scadenza, atteso che in esso non sono ravvisabili profili che possano ricondursi a scelte strategiche o di indirizzo politico da compiere, atteso che la scelta di affidare il servizio in concessione era già stata effettuata con la delibera n. 82 del 28.06.2000 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.08.2013 n. 4192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: L'art. 70, co. 6°, del D.Lgs. n. 165 del 31/03/2001, nel reiterare l'art. 45, co. 1°, del D.L.vo n. 80/1998, abrogato dall'art. 72, co. 1°, lett. b), del citato D.L.vo n. 165/2001, ha disposto che, a decorrere dal 23.04.1998 le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.
Oltretutto, il T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.L.vo 18/08/2000 n. 267), al comma 5° dell'art. 107 (funzioni e responsabilità della dirigenza) ha anch'esso previsto che a "decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti e provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti...".

E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso, riferito all’ordinanza sindacale di revoca dell’autorizzazione, con riguardo al dedotto profilo dell’incompetenza.
L'art. 70, co. 6°, del D.Lgs. n. 165 del 31/03/2001, nel reiterare l'art. 45, co. 1°, del D.L.vo n. 80/1998, abrogato dall'art. 72, co. 1°, lett. b), del citato D.L.vo n. 165/2001, ha disposto che, a decorrere dal 23.04.1998 le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.
Oltretutto, il T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.L.vo 18/08/2000 n. 267), al comma 5° dell'art. 107 (funzioni e responsabilità della dirigenza) ha anch'esso previsto che a "decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti e provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti..." (cfr. TAR Basilicata, 18.09.2003 n. 878 e n. 457/2007).
Nella specie, ad avviso del collegio è evidente che la disposta revoca costituisce atto di gestione, come tale di competenza del dirigente di settore e non del Sindaco. Ne consegue l’annullamento dell’atto impugnato (ordinanza sindacale) che, ripetesi, appartiene alla competenza del dirigente (o responsabile) di settore (TAR Basilicata, sentenza 03.08.2013 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2013

COMPETENZE GESTIONALI  - CONSIGLIERI COMUNALI: Sì al sindaco Presidente della Commissione edilizia nei piccoli comuni.
È consentito per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti.

Con la decisione in rassegna, la III sezione, conformandosi a quanto già ritenuto dalla VI sezione, ha concluso nel senso che il sindaco possa legittimamente presiedere la Commissione edilizia integrata, ove ricorra specifica previsione in tal senso posta nel Regolamento edilizio comunale e che trova il supporto normativo anche nel nominato articolo 53, comma 23, della legge n. 388/2000, indirizzato proprio ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, e nella stessa legge costituzionale n. 3/2001, recante la riforma del titolo V della Costituzione, che attribuisce potestà regolamentare ai comuni circa la disciplina della organizzazione e delle funzioni proprie.
È proprio la complessità della normativa, in materia urbanistica ed edilizia nonché in quella di impianti radioelettrici, a consentire a quei comuni, nell’ambito dell’autonomia statutaria e regolamentare loro attribuita, l’adozione di disposizioni che deroghino ai principi generali della separazione di cui al Tuel (Dlgs n. 267/2000).
L’esercizio di tale facoltà è stata riconosciuta legittima anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, e in tal senso si richiama la sentenza della IV sezione n. 1070/2009 (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 26.06.2013 n. 3490 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 7-8/2013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PATRIMONIO: Accettazione di una donazione immobiliare.
Ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. l), del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (Tuel), l'accettazione di una donazione immobiliare rientra nell'ambito delle competenze del consiglio comunale in quanto, per 'acquisti immobiliari', devono intendersi sia quelli a titolo oneroso sia quelli a titolo gratuito.
Il Comune chiede di sapere se all'accettazione di una donazione immobiliare sia competente il Consiglio o la Giunta comunale.
Tale questione, già affrontata da questo Ufficio
[1], risulta risolvibile ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. l), del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (Tuel) che prevede, tra le attribuzioni dei consigli, 'gli acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altre funzioni'.
Non essendo stato specificato diversamente dal legislatore, per 'acquisti immobiliari' devono intendersi sia quelli a titolo oneroso (come nella compravendita) sia quelli a titolo gratuito (come nella donazione).
Per tale ragione, si ritiene che anche l'accettazione di una donazione immobiliare rientri all'interno delle competenze del consiglio comunale.
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[1] V. parere prot. n. 166 del 04.01.2007, reperibile alla pagina web http://autonomielocali.regione.fvg.it (25.06.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento di incarichi di difesa legale.
Alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000, n. 267), in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, non spettano funzioni di gestione quale è da annoverare quella di attribuzione di un incarico professionale.
Invero, la scelta del contraente per l’affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici, risolvendosi nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obbiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A..

... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della nota prot. 371/2013 recante la comunicazione della delibera n. 58/2013 avente ad oggetto la scelta del vincitore della selezione per l’affidamento di incarico di difesa dell’ente dinanzi alle giurisdizioni superiori e non.
...
- Considerato che alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000, n. 267), al pari della Commissione Straordinaria con i poteri della Giunta Comunale, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, non spettano funzioni di gestione quale è da annoverare quella di attribuzione di un incarico professionale;
- Ritenuto, infatti, che, come ha affermato la giurisprudenza condivisa dal Collegio, la scelta del contraente per l’affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici, risolvendosi nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obbiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A. (CdS V 4654/2005, che conferma TAR Lazio–Sez. staccata di Latina n. 00604/2011, cfr. per una analoga procedura TAR Napoli Campania sez. II, 26.05.2011, n. 2854);
- Considerato che nel caso di specie l’individuazione del professionista al quale affidare l’incarico e la sua nomina è avvenuta ad opera della Commissione Straordinaria con i poteri della Giunta comunale, come si legge nella delibera impugnata, e non ad opera dei dirigenti, ai quali spetta per esplicito disposto dell’art. 107 dlgs 267/2001;
- Ritenuto che l’art. 22 dello Statuto, ove conferisce alla Giunta il potere di autorizzare l’introduzione o la resistenza in giudizio non abbia riguardo alla ben diversa ipotesi di conferimento di incarico di attività di difesa dell’ente in una serie indeterminata di controversie e per un determinato periodo di tempo (cfr. CdS V 2730/2012);
- Considerato altresì che il profilo di illegittimità evidenziato supera le eccezioni di inammissibilità del ricorso, in quanto comporta la rinnovazione della procedura in conformità al bando ad opera del dirigente, come peraltro previsto dall’art. 3 del bando medesimo ove si legge che “la valutazione dei candidati sarà effettuata dal Responsabile del Settore A.A.”
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.06.2013 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Sulla competenza del Consiglio Comunale alla decisione sull'individuazione delle nuove sedi farmaceutiche, ai sensi dell'art. 11 del d.l. n. 1/2012, conv. con l. n. 27/2012.
La nuova disciplina statale in materia di assistenza farmaceutica, introdotta con l'art. 11 del d.l. n. 1/2012, ha ampliato il numero di farmacie da ubicare sul territorio e, nel contempo, ha attribuito al Comune il potere di identificare le zone in cui collocare le nuove farmacie, secondo criteri ispirati all'equa distribuzione sul territorio, nonché all'accessibilità del servizio farmaceutico anche nelle aree scarsamente abitate.
Come affermato dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio, è, pertanto, evidente che, nell'attuale sistema, l'atto mediante cui il Comune approva l'istituzione di nuove sedi farmaceutiche ha riflessi sulla pianificazione e organizzazione del servizio farmaceutico nell'intero territorio comunale ed è atto che esprime scelte fondamentali attinenti alla vita sociale e civile della comunità locale: per l'effetto, la competenza ad adottare la relativa decisione non può che spettare al Consiglio Comunale. Ciò, sotto un duplice profilo: da un lato, ai sensi dell'art. 42, c. 2, lett. b), del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.), che assegna all'organo consiliare i poteri di programmazione e di pianificazione dell'Ente locale; dall'altro, ai sensi della successiva lett. e) dell'art. 42, c. 2, cit., che attribuisce al Consiglio l'organizzazione dei pubblici servizi.
Milita, infine, a favore dell'attribuzione al Consiglio Comunale della competenza ad individuare le nuove sedi farmaceutiche, ex art. 11 cit., il fatto che si tratta di una scelta fondamentale attinente alla vita sociale e civile della comunità locale, sicché il Consiglio Comunale appare la sede naturale ove attuare quella dialettica tra maggioranza ed opposizione funzionale all'individuazione delle aree più corrispondenti alle esigenze della collettività (TAR Lazio-Latina, sentenza 24.06.2013 n. 578 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ESPROPRIAZIONE: Competenze del consiglio comunale.
L’atto adottato ex art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 di acquisizione al patrimonio indisponibile comunale di beni utilizzati per scopi di interesse pubblico deve essere assunto dal Consiglio comunale, trattandosi dell’acquisto di un diritto immobiliare che richiede l’espressione formale di una specifica autonoma volontà.
L’art. 42, comma 2, lett. l), T.U. enti locali, stabilisce che rientrano nelle competenze consiliari gli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari”. Tra questi rientra sicuramente anche l’acquisto di un bene tramite l’istituto della c.d. acquisizione sanante.
L’atto di acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, per i profili di discrezionalità che lo caratterizzano, esorbita dall'ambito della competenza dell’ufficio per le espropriazioni e, comunque, degli uffici comunali per rientrare nelle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di acquisti ed alienazioni immobiliari, di cui all'art. 42 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267.
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La giurisprudenza ha precisato che “l’istituto della “acquisizione sanante” ex art. 43 T.U. n. 327/2001 è di competenza del Consiglio comunale, stante anche la particolare natura di tale acquisizione di cui l’A.P. di questo Consiglio ha fornito una puntuale illustrazione, chiarendo che non risulta possibile qualificare la scelta di farvi ricorso come meramente esecutiva di atti presupposti o rientrante tra le ordinarie funzioni della giunta, del segretario o di altri funzionari, onde tale scelta deve essere ricondotta all’esclusiva competenza dell’organo elettivo consiliare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l, del T.U.E.L.”.
La natura discrezionale dell’atto di acquisizione sanante esclude, poi, che lo stesso possa qualificarsi come previsto in atti fondamentali del consiglio o mera esecuzione degli stessi, sicché si deve escludere anche per tal verso la riconduzione dell’atto alla competenza dei dirigenti.
Il ricorso è fondato.
In particolare, è fondata la dedotta incompetenza del dirigente comunale ad adottare un provvedimento di acquisizione sanante.
L’atto adottato ex art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 di acquisizione al patrimonio indisponibile comunale di beni utilizzati per scopi di interesse pubblico deve essere assunto dal Consiglio comunale, trattandosi dell’acquisto di un diritto immobiliare che richiede l’espressione formale di una specifica autonoma volontà.
L’art. 42, comma 2, lett. l), T.U. enti locali, stabilisce che rientrano nelle competenze consiliari gli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari”. Tra questi rientra sicuramente anche l’acquisto di un bene tramite l’istituto della c.d. acquisizione sanante. (Cons. St., sez. V, 13.10.2010, n. 7472).
L’atto di acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, per i profili di discrezionalità che lo caratterizzano, esorbita dall'ambito della competenza dell’ufficio per le espropriazioni e, comunque, degli uffici comunali per rientrare nelle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di acquisti ed alienazioni immobiliari, di cui all'art. 42 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (Cons. St., sez. III, 31.08.2010, n. 775).
Non può poi ritenersi, come sostiene la difesa del Comune, che il Dirigente ha semplicemente dato attuazione alla volontà comunale espressa in precedenti atti deliberativi, in particolare nella delibera che iniziava la procedura espropriativa.
A tale proposito, la giurisprudenza ha precisato che “l’istituto della “acquisizione sanante” ex art. 43 T.U. n. 327/2001 è di competenza del Consiglio comunale, stante anche la particolare natura di tale acquisizione di cui l’A.P. di questo Consiglio ha fornito una puntuale illustrazione, chiarendo che non risulta possibile qualificare la scelta di farvi ricorso come meramente esecutiva di atti presupposti o rientrante tra le ordinarie funzioni della giunta, del segretario o di altri funzionari, onde tale scelta deve essere ricondotta all’esclusiva competenza dell’organo elettivo consiliare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l, del T.U.E.L.” (Cons. St., sez. III, 31.08.2010, n. 775).
La natura discrezionale dell’atto di acquisizione sanante esclude, poi, che lo stesso possa qualificarsi come previsto in atti fondamentali del consiglio o mera esecuzione degli stessi, sicché si deve escludere anche per tal verso la riconduzione dell’atto alla competenza dei dirigenti
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.06.2013 n. 1500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ESPROPRIAZIONE: E' fondata la dedotta incompetenza del dirigente comunale ad adottare un provvedimento di acquisizione sanante.
Invero, l’atto adottato ex art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 di acquisizione al patrimonio indisponibile comunale di beni utilizzati per scopi di interesse pubblico deve essere assunto dal Consiglio comunale, trattandosi dell’acquisto di un diritto immobiliare che richiede l’espressione formale di una specifica autonoma volontà.
L’art. 42, comma 2, lett. l), T.U. enti locali, stabilisce che rientrano nelle competenze consiliari gli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari”. Tra questi rientra sicuramente anche l’acquisto di un bene tramite l’istituto della c.d. acquisizione sanante.
L’atto di acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, per i profili di discrezionalità che lo caratterizzano, esorbita dall'ambito della competenza dell’ufficio per le espropriazioni e, comunque, degli uffici comunali per rientrare nelle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di acquisti ed alienazioni immobiliari, di cui all'art. 42 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267.
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L’istituto della “acquisizione sanante” ex art. 43 T.U. n. 327/2001 è di competenza del Consiglio comunale, stante anche la particolare natura di tale acquisizione di cui l’A.P. di questo Consiglio ha fornito una puntuale illustrazione, chiarendo che non risulta possibile qualificare la scelta di farvi ricorso come meramente esecutiva di atti presupposti o rientrante tra le ordinarie funzioni della giunta, del segretario o di altri funzionari, onde tale scelta deve essere ricondotta all’esclusiva competenza dell’organo elettivo consiliare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l, del T.U.E.L..
La natura discrezionale dell’atto di acquisizione sanante esclude, poi, che lo stesso possa qualificarsi come previsto in atti fondamentali del consiglio o mera esecuzione degli stessi, sicché si deve escludere anche per tal verso la riconduzione dell’atto alla competenza dei dirigenti.

Il ricorso è fondato.
In particolare, è fondata la dedotta incompetenza del dirigente comunale ad adottare un provvedimento di acquisizione sanante.
L’atto adottato ex art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 di acquisizione al patrimonio indisponibile comunale di beni utilizzati per scopi di interesse pubblico deve essere assunto dal Consiglio comunale, trattandosi dell’acquisto di un diritto immobiliare che richiede l’espressione formale di una specifica autonoma volontà.
L’art. 42, comma 2, lett. l), T.U. enti locali, stabilisce che rientrano nelle competenze consiliari gli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari”. Tra questi rientra sicuramente anche l’acquisto di un bene tramite l’istituto della c.d. acquisizione sanante (Cons. St., sez. V, 13.10.2010, n. 7472).
L’atto di acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, per i profili di discrezionalità che lo caratterizzano, esorbita dall'ambito della competenza dell’ufficio per le espropriazioni e, comunque, degli uffici comunali per rientrare nelle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di acquisti ed alienazioni immobiliari, di cui all'art. 42 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (Cons. St., sez. III, 31.08.2010, n. 775).
Non può poi ritenersi, come sostiene la difesa del Comune, che il Dirigente ha semplicemente dato attuazione alla volontà comunale espressa in precedenti atti deliberativi, in particolare nella delibera che iniziava la procedura espropriativa.
A tale proposito, la giurisprudenza ha precisato che “l’istituto della “acquisizione sanante” ex art. 43 T.U. n. 327/2001 è di competenza del Consiglio comunale, stante anche la particolare natura di tale acquisizione di cui l’A.P. di questo Consiglio ha fornito una puntuale illustrazione, chiarendo che non risulta possibile qualificare la scelta di farvi ricorso come meramente esecutiva di atti presupposti o rientrante tra le ordinarie funzioni della giunta, del segretario o di altri funzionari, onde tale scelta deve essere ricondotta all’esclusiva competenza dell’organo elettivo consiliare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l, del T.U.E.L.” (Cons. St., sez. III, 31.08.2010, n. 775).
La natura discrezionale dell’atto di acquisizione sanante esclude, poi, che lo stesso possa qualificarsi come previsto in atti fondamentali del consiglio o mera esecuzione degli stessi, sicché si deve escludere anche per tal verso la riconduzione dell’atto alla competenza dei dirigenti.
Stabilita l’illegittimità dell’atto di acquisizione sanante, è indubbio il comportamento illegittimo dell’amministrazione che, a seguito della scadenza dei termini di occupazione d’urgenza e stante il mancato perfezionamento del procedimento di esproprio, detiene sine titulo il terreno di parte ricorrente sul quale ha proceduto a realizzare l’opera pubblica, così com’è indubbia l’esistenza di un ingiusto pregiudizio in capo al privato che ha perso la disponibilità del terreno.
Dovendosi escludere che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un'opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all’Amministrazione la proprietà delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio, e ciò sia nel caso di occupazione del terreno ab origine sine titolo sia nel caso di un'occupazione iniziata in forza di un provvedimento legittimo poi scaduto (cfr. sentenze CEDU nei casi Scordino/Italia, Belvedere Alberghiera c/Italia, Prena c/Italia), il comportamento della Pubblica Amministrazione costituisce un illecito permanente, al quale consegue l’obbligo di far cessare la illegittima compromissione del diritto di proprietà mediante la restituzione del bene alla ricorrente, dato che questa non ha perduto la proprietà del bene ed ha titolo a riaverlo.
Con riferimento all’ulteriore domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente, il risarcimento deve operare in relazione all’illegittima occupazione del bene, e deve pertanto coprire le voci di danno per il mancato godimento del bene, dal momento del perfezionamento della fattispecie illecita sino al giorno della sua giuridica regolarizzazione, ossia sino all’effettiva restituzione del bene; ciò salva la possibilità per l’amministrazione di perfezionare valido atto di acquisto del bene (con il consenso dei ricorrenti), ovvero di avvalersi in via postuma dello strumento acquisitivo della proprietà di cui all’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001.
In particolare, il termine iniziale va identificato in quello in cui l’occupazione dell’area è divenuta illegittima, mentre il termine finale va individuato in quello in cui il Comune resistente disporrà la restituzione dell’area, salva la sua legittima acquisizione, per contratto ovvero con lo strumento di cui all’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001.
Con riferimento a tale contesto temporale, il Comune va condannato a corrispondere ai ricorrenti, a titolo risarcitorio, una somma da quantificare sulla base del criterio normativo di cui all’art. 42-bis, co. 3, vale a dire il 5% annuo sul valore dell’area nel periodo considerato.
Trattandosi di debito di valore, la somma dovrà essere rivalutata alla data della presente sentenza e sono inoltre dovuti gli interessi al tasso legale, da calcolarsi sulla base della somma annualmente rivalutata, con applicazione degli indici di rivalutazione dei prezzi al consumo, e ciò sino all’effettivo soddisfo (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.06.2013 n. 1500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Sponsor, parla il consiglio. La competenza sui contratti è dell'assemblea. La giurisprudenza richiede che si faccia ricorso a procedure aperte.
Può essere ricondotta alla giunta comunale la competenza in materia di contratti di sponsorizzazione?

La normativa di riferimento è costituita dall'art. 43, comma 1, della legge del 27.12.1997, n. 449, il quale stabilisce che, al fine di favorire l'innovazione dell'organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile.
L'articolo 119 del decreto legislativo n. 267/2000, richiamando il citato articolo 43, consente nello specifico, agli enti locali, la stipula di contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi, «al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati».
I contratti in parola, come previsti dall'articolo 43, hanno il precipuo obiettivo di favorire l'innovazione dell'organizzazione e la realizzazione di economie di spesa, mentre l'art. 119, riferito agli enti locali, li finalizza, in particolare, al miglioramento dei servizi.
La collocazione dei contratti di sponsorizzazione degli enti locali sotto l'univoca disciplina di cui all'articolo 119 del dlgs n. 267/2000 che comprende, come detto, anche gli accordi di collaborazione e le convenzioni, non può non comportare «la necessità di fare ricorso a procedure aperte e trasparenti al fine di individuare il soggetto con cui stipulare il contratto» (conforme Tar Puglia Bari, sez. II, 20/07/2006, n. 2953).
Da tale processo non appare possa essere escluso il consiglio comunale quale organo di indirizzo dell'attività dell'ente, che ai sensi dell'articolo 42, del dlgs n. 267/2000, comma 2, lett. a), ha sia potere regolamentare sulle attività che fanno capo al comune, sia, ai sensi della successiva lett. e), la competenza in ordine «all'affidamento di attività o servizi mediante convenzione».
Anche l'articolo 26 del codice dei contratti pubblici, dlgs 12/04/2006, n. 163, subordinando la stipula di taluni contratti di sponsorizzazione alla regolamentazione europea nell'eventualità in cui i medesimi abbiano un valore superiore a quarantamila euro, riconduce sostanzialmente tali atti alla disciplina dei contratti della pubblica amministrazione, che, nel caso specifico, non sfuggono alla competenza del consiglio comunale titolato a dettare, tra l'altro, le disposizioni di massima per la loro conclusione.
Inoltre, compete sempre al consiglio comunale disporre in via generale, anche in sede di approvazione dei bilanci, sulle risorse di cui all'art. 43 della legge n. 449/1997 per le finalità di cui all'articolo 15, comma 1, del Ccnl dell'01.04.1999 relativo al personale dipendente (articolo Italia Oggi del 21.06.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Comuni, legittimo affidare ai dirigenti la rappresentanza a stare in giudizio.
Mediante specifica previsione statutaria, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, è possibile affidare la rappresentanza processuale dei Comuni ai dirigenti.

Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune -ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare- può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il d.lgs. 18.08.2000, n. 267.
In particolare, qualora lo statuto (o, nei limiti già indicati, il regolamento) affidi la rappresentanza a stare in giudizio in ordine all'intero contenzioso al dirigente dell'ufficio legale, questi, quando ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l'incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l'ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale) e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione.
Il principio, già espresso in precedenti arresti (cfr., Cass. civ. n. 4556/2012), è stato enunciato nuovamente dalla Suprema Corte che ha in tal modo cassato con rinvio la sentenza con la quale la corte territoriale aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta avverso una pronuncia di condanna da parte di un amministrazione comunale.
Esito del ricorso: Cassa con rinvio, Corte di Appello di Napoli, sentenza 13.07.2005, n. 2315
I precedenti giurisprudenziali: Cassazione civile, Sez. I, sentenza 22.03.2012, n. 4556; Cassazione civile, Sez. I, sentenza 05.04.2006, n. 7879; Cassazione civile, Sez. U, sentenza 16.06.2005, n. 12868
Riferimenti normativi: Decreto Legisl. 18/08/2000 num. 267 art. 1; Cod. Proc. Civ. art. 75 (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 20.06.2013 n. 15493).

COMPETENZE GESTIONALI: All'interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U. enti locali) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione.
Più in particolare, alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48-107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107, commi 3 e 6, T.U. cit.).
Ne discende, da un lato, che è del tutto fisiologico che la Giunta municipale, verificata la presenza di una eventuale illegittimità dell’atto dirigenziale, esponga il suo avviso compulsando il dirigente competente ad intervenire mercé il potere di autotutela, che è a lui riservato in quanto titolare in materia del potere di amministrazione attiva; dall’altro, che non spetta all’interessato alcuna facoltà di intervento nel procedimento che si conclude con l’adozione da parte della Giunta comunale dell’atto di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che non è atto immediatamente lesivo delle ragioni dell’interessato, ma necessita della successiva adozione del provvedimento dirigenziale in autotutela che, ferma restando la correttezza delle ragioni espresse dalla Giunta, potrebbe non seguire a causa della necessità di far prevalere, ad esempio, l’affidamento del privato, dovendosi confrontare l’organo procedente con i limiti fissati dall’art. 21-nonies, l. n. 241/1990; ovvero a causa dei fatti o interessi che potrebbero emergere d’ufficio o su sollecitazione del privato in sede istruttoria.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione all'interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U. enti locali) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione.
Più in particolare, alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48-107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107, commi 3 e 6, T.U. cit.) (Cons. St., Sez. V, 07.04.2011, n. 2154, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
Ne discende, da un lato, che è del tutto fisiologico che la Giunta municipale, verificata la presenza di una eventuale illegittimità dell’atto dirigenziale, esponga il suo avviso compulsando il dirigente competente ad intervenire mercé il potere di autotutela, che è a lui riservato in quanto titolare in materia del potere di amministrazione attiva; dall’altro, che non spetta all’interessato alcuna facoltà di intervento nel procedimento che si conclude con l’adozione da parte della Giunta comunale dell’atto di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che non è atto immediatamente lesivo delle ragioni dell’interessato, ma necessita della successiva adozione del provvedimento dirigenziale in autotutela che, ferma restando la correttezza delle ragioni espresse dalla Giunta, potrebbe non seguire a causa della necessità di far prevalere, ad esempio, l’affidamento del privato, dovendosi confrontare l’organo procedente con i limiti fissati dall’art. 21-nonies, l. n. 241/1990; ovvero a causa dei fatti o interessi che potrebbero emergere d’ufficio o su sollecitazione del privato in sede istruttoria.
In definitiva non si ravvisa alcuna lesione del diritto alla partecipazione procedimentale effettiva a carico dell’appellante (cfr., in materia di annullamento di titoli edilizi, i principi sviluppati da Cons. Stato, sez. IV, 27.11.2010, n. 8291 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2013 n. 3024 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2013

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: L’atto di convalida ha effetto retroattivo, con la conseguenza che opera positivamente anche sugli atti connessi rispetto all’atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza, potevano risultare inficiati per illegittimità derivata.
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Nell’ordinamento non vi è una assoluta separazione tra organi di indirizzo ed organi di gestione, come è attestato dall’esistenza di molteplici fattispecie in cui sono ravvisabili delle forme di “interferenza funzionale”, delle quali è un indice la stessa possibilità di attivare in casi predeterminati l’esercizio di poteri sostitutivi prevista proprio dall’art. 14, comma 3, del Dlgs. n. 165 del 2001, e deve pertanto ammettersi anche la possibilità di ratificare, da parte degli organi di gestione, gli atti viziati da incompetenza relativa di tipo infrasoggettivo, nonostante siano stati adottati da organi di indirizzo.
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La ratifica di un atto amministrativo non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico in quanto l’interesse pubblico che lo sorregge è la perdurante persistenza di quello perseguito dall’atto da convalidare.
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La facoltà di ratificare gli atti viziati da incompetenza in pendenza di giudizio sanandone l’illegittimità ex tunc è espressamente prevista dal legislatore con l’art. 6 della legge n. 249 del 1986, ed è giustificata dalla necessità di coniugare il doveroso ripristino della legalità dell’azione amministrativa, con i principi di economicità, di efficacia, di imparzialità e buon andamento, nonché di economicità dei mezzi giuridici e processuali.

L’affermazione secondo la quale gli atti di convalida hanno avuto ad oggetto l’intera procedura e non solo l’eliminazione di vizi formali, ovvero fatti storici non rimediabili se non mediante la rinnovazione degli atti, è priva di riscontri.
Infatti il decreto n. 40 del 02.02.2012 e il decreto n. 95 del 28.03.2012, hanno ad oggetto la convalida di singoli provvedimenti.
In particolare il primo si limita a convalidare la nomina della commissione giudicatrice, il secondo l’aggiudicazione definitiva (oltre all’affidamento della rappresentanza in giudizio ad un patrocinatore), e non corrisponde pertanto al vero l’assunto secondo il quale sarebbero stati indirettamente convalidati atti non ripetibili posti in essere da organi incompetenti.
Infatti l’atto di convalida ha effetto retroattivo, con la conseguenza che opera positivamente anche sugli atti connessi rispetto all’atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza, potevano risultare inficiati per illegittimità derivata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.09.2009, n. 3371).
1.9 Con il ventiseiesimo motivo la parte ricorrente sostiene che dal principio di non avocabilità degli atti dirigenziali da parte degli organi politici sancito negli artt. 4 e 14, comma 3, del Dlgs. n. 165 del 2001, e dall’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2000, dovrebbe ricavarsi implicitamente la conclusione che gli atti posti in essere dagli organi di indirizzo non sono ratificabili dagli organi di gestione.
Con il ventottesimo motivo, analogamente, lamenta che gli atti non sarebbero convalidabili perché posti in essere da organi di indirizzo.
Le censure sono infondate perché nell’ordinamento non vi è una assoluta separazione tra organi di indirizzo ed organi di gestione, come è attestato dall’esistenza di molteplici fattispecie in cui sono ravvisabili delle forme di “interferenza funzionale”, delle quali è un indice la stessa possibilità di attivare in casi predeterminati l’esercizio di poteri sostitutivi prevista proprio dall’art. 14, comma 3, del Dlgs. n. 165 del 2001, e deve pertanto ammettersi anche la possibilità di ratificare, da parte degli organi di gestione, gli atti viziati da incompetenza relativa di tipo infrasoggettivo, nonostante siano stati adottati da organi di indirizzo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.05.2009, n. 2840; Tar Liguria, Sez. I, 07.04.2006, n. 353; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.1992, n. 647, Tar Puglia, Lecce, 18.10.2003, n. 6946).
1.10 Con il ventinovesimo motivo, la ricorrente lamenta che gli atti di convalida non sono sorretti da una motivazione circa le ragioni di interesse pubblico che li giustificano e non compiono alcuna comparazione con il suo interesse.
La doglianza va disattesa in primo luogo perché tali atti sono espressamente motivati con riferimento all’interesse dell’ente all’esecuzione del contratto con il soggetto che ha presentato l’offerta risultata più vantaggiosa al termine della procedura di gara, e tale motivazione appare sufficiente in considerazione degli oneri che derivano, sul piano organizzativo e del successivo possibile contenzioso che di solito consegue, da una ripetizione della gara determinata solo da un vizio formale, quale è quello di incompetenza.
In secondo luogo perché comunque, come chiarito dalla giurisprudenza, la ratifica di un atto amministrativo non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato Sez. V, 30.08.2005, n. 4419) in quanto l’interesse pubblico che lo sorregge è la perdurante persistenza di quello perseguito dall’atto da convalidare (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 07.09.2001, n. 771; Consiglio di Stato , Sez. VI, 24.09.1983, n. 683).
1.11 Con il trentesimo motivo la parte ricorrente sostiene che gli atti di ratifica sono illegittimi perché la convalida non è ammessa in corso di causa.
L’assunto è privo di fondamento in quanto la facoltà di ratificare gli atti viziati da incompetenza in pendenza di giudizio sanandone l’illegittimità ex tunc è espressamente prevista dal legislatore con l’art. 6 della legge n. 249 del 1986, ed è giustificata dalla necessità di coniugare il doveroso ripristino della legalità dell’azione amministrativa, con i principi di economicità, di efficacia, di imparzialità e buon andamento, nonché di economicità dei mezzi giuridici e processuali (cfr. Tar. Campania, Napoli, Sez. I, 11.07.2012, n. 3350).
1.12 La tesi secondo la quale la ratifica di cui all’art. 6 della legge n. 249 del 1968 non è applicabile ad amministrazioni diverse da quelle statali, enunciata nell’ambito del venticinquesimo motivo, va invece respinta perché, come chiarito dalla giurisprudenza, tale norma ha portata generale (cfr. Tar Emilia Romagna, Bologna, 12.02.1986, n. 83).
Quanto sopra delineato circa l’infondatezza delle censure proposte avverso gli atti di ratifica comporta che questi, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 349 del 1968, esplichino l’effetto di sanare ex tunc il dedotto vizio di incompetenza, determinando l’improcedibilità delle censure sopra esaminate.
...
3. Con il ventiquattresimo e trentunesimo motivo la parte ricorrente sostiene che la convalida è di per sé sintomatica dello sviamento dell’azione amministrativa e della mancanza di imparzialità, perché in tal modo viene avvantaggiata la controinteressata, e in tal senso si duole in particolare dell’operato del direttore dell’ente.
L’assunto non può essere condiviso.
Infatti dalla documentazione versata in atti non emerge alcuna prova circa l’esistenza di una volontà di voler favorire la controinteressata, e in tal senso non può fondatamente essere invocato l’esercizio del potere di convalida, in quanto, come è stato osservato, è del tutto naturale e fisiologico che l'opera di rimozione dei vizi originariamente posseduti dall'atto da sanarsi conduca ad una conferma di quanto in precedenza disposto, e che ciò abbia come conseguenza il consolidarsi della posizione del destinatario dell’atto convalidato, ma da ciò non è logico ricavare l’esistenza di un’univoca e distorta finalità di avvantaggiare tale soggetto, né è sostenibile che l’esercizio di tale potere discrezionale previsto dalla legge possa essere paralizzato in ragione dell’esistenza di soggetti controinteressati (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.10.2011, n. 5538; Tar Lazio, Roma, 23.07.1986, n. 1212) .
E’ invece inammissibile l’autonoma e diversa censura dedotta per la prima volta a pag. 4 della memoria del 04.05.2012, con la quale la parte ricorrente lamenta il mancato rispetto della disposizione di cui all’art. 13 dello statuto dell’ente, secondo la quale se il direttore dell’ente è competente ad adottare l’aggiudicazione definitiva, la presidenza della commissione deve essere attribuita al dirigente del settore interessato, perché non contenuta in un atto notificato alle controparti.
Per completezza va tuttavia soggiunto che la censura appare anche infondata, perché la sua operatività presuppone la presenza in organico del direttore e di entrambi i dirigenti dei due settori.
Quando, come nel caso di specie, allo stesso soggetto sia attribuito il doppio incarico di direttore e di dirigente del settore competente per la gara, è plausibile l’interpretazione, non contrastante con alcuna norma di rango primario, secondo la quale la presidenza della commissione e la competenza all’approvazione degli atti di gara possono essere attribuiti alla medesima persona (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 22.04.2013 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALIVa evidenziato come, effettivamente, l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000 disciplini l’ammissibilità di una deroga ai principi di necessaria separazione tra funzioni di gestione e funzioni politiche e di indirizzo di cui al D.lgs. 267/2000.
Con riferimento a detta deroga va, tuttavia, rilevato come essa, nel permettere che i componenti di un organo a cui spetta, di regola, la gestione dell’Ente locale (nella specie la Giunta Comunale) possano risultare assegnatari della responsabilità degli uffici e dei servizi di un Comune, prevede, altresì, che l’applicabilità di detta disciplina derogatoria sia subordinata alla sussistenza di alcuni presupposti, principalmente riconducibili alla necessità di operare un contenimento della spesa e, ciò, per quanto concerne i Comuni con una popolazione inferiore a 5000 abitanti.
Nel perseguimento di detto intento l’art. 53, comma 23, sopra citato ha previsto la necessità che il contenimento della spesa sia “effettivo” e, ciò, nella parte in cui ha espressamente disciplinato l’obbligo che detto contenimento sia documentato ogni anno, con un’apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Con riferimento al caso sottoposto a questo Collegio va evidenziato come deve ritenersi del tutto insussistente il presupposto del contenimento della spesa, presupposto quest’ultimo che deve ritenersi l’unico idoneo a sancire una deroga ai principi di separazione tra gestione e attività di indirizzo, introdotti dalla L. n. 142/1990 e poi ribaditi nel Testo Unico degli Enti locali sopra citato e tutt’ora vigente.

... per l'annullamento della determinazione n. 116 in data 10/12/2008 a firma del Sindaco Responsabile dell’area Manutentiva del Comune di Fardella, notificata in pari data, con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 02 del 18/01/1985 ed è stata ordinata la demolizione del fabbricato costruito a seguito della concessione edilizia ed il ripristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è fondato per i motivi di seguito precisati e con riferimento, in particolare, sia al primo che il quarto motivo.
Con riferimento al primo motivo parte ricorrente rileva l’incompetenza del Sindaco, in quanto Responsabile dell’Area Manutentiva, ad adottare il provvedimento impugnato.
Sul punto va preliminarmente evidenziato come, effettivamente, l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000 disciplini l’ammissibilità di una deroga ai principi di necessaria separazione tra funzioni di gestione e funzioni politiche e di indirizzo di cui al D.lgs. 267/2000.
Con riferimento a detta deroga va, tuttavia, rilevato come essa, nel permettere che i componenti di un organo a cui spetta, di regola, la gestione dell’Ente locale (nella specie la Giunta Comunale) possano risultare assegnatari della responsabilità degli uffici e dei servizi di un Comune, prevede, altresì, che l’applicabilità di detta disciplina derogatoria sia subordinata alla sussistenza di alcuni presupposti, principalmente riconducibili alla necessità di operare un contenimento della spesa e, ciò, per quanto concerne i Comuni con una popolazione inferiore a 5000 abitanti.
Nel perseguimento di detto intento l’art. 53, comma 23, sopra citato ha previsto la necessità che il contenimento della spesa sia “effettivo” e, ciò, nella parte in cui ha espressamente disciplinato l’obbligo che detto contenimento sia documentato ogni anno, con un’apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Con riferimento al caso di specie va al contrario evidenziato che, come ha avuto modo di dimostrare parte ricorrente -senza peraltro essere smentita dalla contro interessata-, nell’ambito dell’organico del Comune fosse stata prevista (con la delibera n. 46/2006) la copertura del posto vacante presso l’Ufficio Tecnico.
Con la successiva delibera n. 47/2006 detta dotazione organica era stata, altresì, individuata nell’espressa previsione di un profilo “C 3”, soggetto quest’ultimo al quale erano stati poi attribuiti i compiti di responsabile dell’Area Tecnica e con Decreto Sindacale n. 08/2006.
Sul punto va, peraltro, evidenziato come un orientamento giurisprudenziale, già vigente nel momento in cui veniva emanato l’atto impugnato (TAR Calabria Catanzaro Sez. II, 12.03.2004, n. 627), si era sancito che “la giunta conferisca al sindaco il potere di gestire l'area tecnica, se nell'organico comunale difettino figure dotate di una professionalità specifica ed opportuna per la gestione di detta area”, elemento quest’ultimo che non può non essere interpretato nell’intento di circoscrivere l’applicazione dell’art. 53 sopra citato in considerazione delle finalità sopra ricordate della norma di cui si tratta e del carattere eccezionale della stessa disciplina.
Con riferimento al caso sottoposto a questo Collegio va evidenziato come, sulla base delle circostanze sopra citate, deve ritenersi del tutto insussistente il presupposto del contenimento della spesa, presupposto quest’ultimo che deve ritenersi l’unico idoneo a sancire una deroga ai principi di separazione tra gestione e attività di indirizzo, introdotti dalla L. n. 142/1990 e poi ribaditi nel Testo Unico degli Enti locali sopra citato e tutt’ora vigente.
Condividere le tesi del soggetto controinteressato porterebbe a ritenere applicabile l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000 a fattispecie del tutto differenti, estendendo l’ambito di incidenza di una norma dall’evidente carattere eccezionale e derogatorio e vanificando, così, quei principi di separazione sopra ricordati che, in quanto ribaditi anche nella legislazione in materia di pubblico impiego, hanno assunto i caratteri di principi fondamentali del nostro ordinamento.
Il motivo è pertanto fondato (TAR Basilicata, sentenza 08.04.2013 n. 158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOParola alla giunta. Trasparenza nell'anticorruzione. Si sciolgono tutti i dubbi sui soggetti competenti.
Chiarito che il termine per l'approvazione del piano triennale anti corruzione è ordinatorio e, dunque, le amministrazioni possono procedere anche oltre il 31.03.2013, resta ancora aperto, per gli enti locali, il tema dell'individuazione di quale sia l'organo competente.
Le tesi che si confrontano sono due. Una prima, propende per la competenza del consiglio. Tale tesi si fonda su due argomentazioni. La prima è letterale: poiché la legge 190/2012 assegna la competenza ad adottare il piano all'organo di indirizzo politico, si ritiene competente il consiglio, che ai sensi dell'articolo 42 del dlgs 267/2000 è appunto l'organo di indirizzo dell'ente locale. Una seconda argomentazione si fonda sulla durata pluriennale del piano.
La seconda tesi, al contrario, considera competente la giunta, per la circostanza che le attribuzioni del consiglio comunale sono determinate in un elenco che deve necessariamente essere tassativo ed assegnate espressamente. La legge 190/2012, come ha chiarito la Civit a proposito della nomina del responsabile della prevenzione della corruzione, si riferisce in senso lato all'organo di indirizzo politico, comprendendo tutti i possibili soggetti che nelle varie amministrazioni assolvano a tali competenze.
La legge non si riferisce di certo al consiglio comunale e provinciale, che, ai sensi del dlgs 267/2000 appunto svolge solo le funzioni di indirizzo e controllo espressamente ad esso riservate, ad esclusione di quelle attribuite al sindaco. Le rimanenti spettano alla giunta, che, infatti, è l'organo dotato di competenza generale e «residuale»: cioè adotta tutti quei provvedimenti attinenti alla funzione di indirizzo e controllo non espressamente assegnati dalla legge al consiglio.
La pluriennalità del piano anticorruzione non è argomentazione sufficiente ad escludere la competenza della giunta, che adotta certamente molti altri provvedimenti di valore pluriennale: ad esempio, il piano triennale delle assunzioni, oppure le autorizzazioni alla stipulazione dei contratti decentrati.
A dirimere, comunque, ogni dubbio, è, comunque, l'articolo 10 del decreto legislativo di riordino della trasparenza (D.Lgs. 14.03.2013 n. 33 oggi in G.U.).
Il comma 2 dispone che il programma triennale della trasparenza costituisce di norma una sezione del piano di prevenzione della corruzione. Il comma 3, precisa che gli obiettivi del programma della trasparenza vanno formulati in collegamento con la programmazione strategica e operativa, definita in via generale nel Piano della performance.
La disposizione conferma che per comuni e province il piano della performance non è obbligatorio. E si conferma che il piano della trasparenza, parte integrante di quello anticorruzione, dovendo essere integrato al Peg è cosa della giunta, competente ad adottare appunto il Peg (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

marzo 2013

COMPETENZE GESTIONALII provvedimenti concernenti la circolazione stradale sulle strade comunali sono espressione di funzioni gestionali. Essi, infatti, non implicano l’esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo ma di gestione ordinaria. I relativi poteri rientrano, pertanto, nella sfera di attribuzione dei dirigenti e non del Sindaco, secondo il criterio generale di cui all’art. 107 T.U. 18.08.2000 n. 267.
Tale previsione, cronologicamente successiva e specificamente dedicata al riparto di competenze all'interno delle pubbliche amministrazioni, prevale sul diverso regime previsto dall'art. 7 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285.

Ritiene il Collegio che i provvedimenti concernenti la circolazione stradale sulle strade comunali siano espressione di funzioni gestionali. Essi, infatti, non implicano l’esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo ma di gestione ordinaria. I relativi poteri rientrano, pertanto, nella sfera di attribuzione dei dirigenti e non del Sindaco, secondo il criterio generale di cui all’art. 107 T.U. 18.08.2000 n. 267.
Tale previsione, cronologicamente successiva e specificamente dedicata al riparto di competenze all'interno delle pubbliche amministrazioni, prevale sul diverso regime previsto dall'art. 7 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 (TAR Sardegna, sez. II, 06.04.2010 n. 661; TAR Lombardia, Brescia, 28.04.2003 n. 464; Cons. St. sez. II, 01.04.2003 n. 1661) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.03.2013 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI: Gli assessori stiano al loro posto. Illegittime le delibere di giunta sotto forma di direttiva. Per il Consiglio di stato si tratta di un'indebita ingerenza sulle competenze dei dirigenti.
Le deliberazioni con cui le giunte individuano i contraenti, anche se fatte nella forma della direttiva, sono illegittime in quanto violano il principio della distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenti. Questi provvedimenti non possono essere successivamente sanati in modo generico, ma solamente attraverso una specifica e ampiamente motivata convalida.
Sono queste le indicazione di maggiore rilievo contenute nella sentenza 27.03.2013 n. 1775 del Consiglio di Stato, Sez. V.
La pronuncia ha un notevole rilievo in quanto stabilisce un chiaro argine alla invadenza degli organi di governo, che attraverso la utilizzazione dello strumento della direttiva entrano spesso nel merito delle scelte gestionali. La direttiva degli organi politici è legittima se rimane nell'alveo delle indicazioni di carattere generale.
La sentenza ricorda in premessa che «il criterio discretivo tra attività di indirizzo e di gestione degli organi della p.a. è rinvenibile nella estraneità della prima al piano della concreta realizzazione degli interessi pubblici che vengono in rilievo, esaurendosi nella indicazione degli obiettivi da perseguire e delle modalità di azione ritenute congrue a tal fine».
La direttiva è da considerare illegittima per la lesione del principio della distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenti nel caso in cui in concreto «il responsabile del servizio nulla avrebbe potuto fare di diverso dopo la delibera suddetta e non avrebbe potuto porre in essere alcun atto di gestione, atteso che gli è stata imposta la già effettuata scelta di un dato contraente (che è atto di gestione, non costituendo, a prescindere dalla terminologia usata, fissazione di linee generali e di scopi da perseguire), demandandogli solo il compito di liquidare la spesa».
In questi casi «l'atto di giunta costituiva invero, in concreto, atto di vera e propria gestione, a prescindere dalla solo formale qualificazione dello stesso quale atto di indirizzo gli atti di gestione includono funzioni dirette a dare adempimento ai fini istituzionali posti da un atto di indirizzo o direttamente dal legislatore, oppure includono determinazioni destinate ad applicare, pure con qualche margine di discrezionalità, criteri predeterminati per legge, mentre attengono alla funzione di indirizzo gli atti più squisitamente discrezionali, implicanti scelte di ampio livello».
È molto importante anche il giudizio sulla «inapplicabilità dell'istituto della convalida agli atti posti in essere dal responsabile successivamente alla adozione della deliberazione impugnata. Ai sensi dell'art. 21-nonies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che fa salva la possibilità del ricorso all'istituto della convalida (in cui è compresa anche la ratifica) del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole, l'Amministrazione ha il potere di convalidare o ratificare un provvedimento viziato. L'atto di convalida deve contenere una motivazione espressa e persuasiva in merito alla sua natura e in punto di interesse pubblico alla convalida, essendo insufficiente la semplice e formale appropriazione da parte dell'organo competente all'adozione del provvedimento, in assenza dell'esternazione delle ragioni di interesse pubblico giustificatrici del potere di sostituzione e della presupposta indicazione, espressa, della illegittimità per incompetenza in cui sarebbe incorso l'organo che ha adottato l'atto recepito in via sanante è necessario che emergano chiaramente dall'atto convalidante le ragioni di interesse pubblico e la volontà dell'organo di assumere tale atto» (articolo ItaliaOggi del 19.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: In caso di appello proveniente da un organo di ente pubblico la leggibilità della firma è del tutto irrilevante ai fini dell’ammissibilità del gravame in quanto, fatti salvi i casi di falso materiale, la certezza dell’attribuibilità del gravame è specificamente garantita dall’apposizione dei relativi timbri e dall’intestazione dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per l’imputazione degli effetti giuridici del gravame.
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune al difensore, non determina affatto l’invalidità della procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio, accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
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A partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142, recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla legge all'organo monocratico.
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la richieda espressamente.

Contrariamente a quanto sostengono gli appellati, in caso di appello proveniente da un organo di ente pubblico la leggibilità della firma è del tutto irrilevante ai fini dell’ammissibilità del gravame in quanto, fatti salvi i casi di falso materiale, la certezza dell’attribuibilità del gravame è specificamente garantita dall’apposizione dei relativi timbri e dall’intestazione dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per l’imputazione degli effetti giuridici del gravame (cfr. Consiglio Stato sez. V 21.04.2009 n. 2402).
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune al difensore, non determina affatto l’invalidità della procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio, accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
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D
eve essere rigettata anche l’eccezione concernente l’inammissibilità dell’appello per mancata produzione dell’autorizzazione della Giunta Municipale, prevista per evitare possibili “abusi”.
A parte che, in materia di tutela dei propri interessi, è comunque difficilmente comprensibile il riferimento agli “abusi” di cui parlano gli appellati, si deve osservare che, a partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142, recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla legge all'organo monocratico (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 11.05.2012 n. 2730).
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la richieda espressamente.
Di qui l’ammissibilità dell’appello sotto tale profilo
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.03.2013 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIConsiglio di Stato. Indirizzi dalla Giunta. Il dirigente può fissare gli organici.
È legittima la determinazione con cui il dirigente comunale, previa individuazione dei profili professionali ritenuti utili, ha rideterminato la dotazione organica dell'ente. La Giunta ha dettato i principi in base ai quali intervenire sulla dotazione organica, demandando al dirigente l'attuazione. La determinazione pertanto non costituisce autonomo esercizio di governo, ma è espressione del potere gestionale di organizzazione del personale.

Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 96/2013 con cui è stato respinto il ricorso presentato da un dipendente del Comune contro la determina del dirigente.
I giudici amministrativi hanno chiarito che la Giunta, avendo dettato i principi in base ai quali intervenire sulla dotazione organica, ha legittimamente demandando al dirigente competente per materia l'attuazione della concreta struttura organizzativa.
La Giunta non ha quindi delegato propri poteri al dirigente, ma ha invece correttamente demandato a quest'ultimo la concretizzazione della propria impostazione di principio. Secondo i giudici, con l'atto di indirizzo la Giunta avrebbe rispettato l'articolo 48, comma 3, del Tuel, secondo cui «è di competenza della giunta l'adozione dei regolamenti sul l'ordinamento degli uffici e dei servizi, sulla base dei principi stabiliti dal consiglio», e nella determina l'articolo 107, in base al quale «spettano ai dirigenti gli atti di organizzazione e gestione del personale». Secondo il consiglio di stato, la Giunta può approvare solo i principi in base ai quali intervenire. Per prassi, negli enti il potere della Giunta sull'organizzazione del personale è sempre stato esercitato con atti di contenuto prevalentemente gestionale.
La dotazione organica, ad esempio, è approvata generalmente con delibera di Giunta in cui sono definiti non solo i profili professionali necessari, ma sono indicati anche i contingenti quantitativi che costituiscono l'assetto ottimale. L'interpretazione fornita dal Consiglio di stato appare innovativa, anche se risulta in linea con il dettato testuale del Tuel.
L'autonomo esercizio di governo, al più alto livello amministrativo, del potere di organizzazione del personale dovrebbe effettivamente essere attuato approvando atti di indirizzo che definiscono i principi cui dovranno attenersi i dirigenti nello svolgimento delle loro attività (articolo Il Sole 24 Ore del 25.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

febbraio 2013

COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI: S. Salvai, Gli incarichi dirigenziali al Segretario Comunale (24.02.2013 - link a www.gianlucabertagna.it).

gennaio 2013

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, trattandosi di atti tipizzati e vincolati che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime.
Né d’altro è necessaria una specifica motivazione in merito all’interesse pubblico perseguito con l’ordinanza demolitoria giacché l’amministrazione, a fronte di opere prive dei prescritti titoli abilitativi e in corso di realizzazione, non può che emettere un provvedimento repressivo.
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La competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino al giugno del 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco (o all'Assessore competente per materia), mentre la stessa è stata trasferita espressamente ai dirigenti ai sensi dell'art. 2, comma 12, della legge n. 191/1998.

Sono infondate e vanno disattese anche le ulteriori censure con le quali le società ricorrenti si dolgono dei vizi procedimentali di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento e di carenza e difetto di motivazione sotto il profilo della mancata esplicitazione dell’interesse pubblico poiché i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, trattandosi di atti tipizzati e vincolati che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime (cfr. TAR Campania, Napoli, III, 20.11.2012, n. 4655). Né d’altro era necessaria una specifica motivazione in merito all’interesse pubblico perseguito con l’ordinanza demolitoria giacché l’amministrazione, a fronte di opere prive dei prescritti titoli abilitativi e in corso di realizzazione, non poteva che emettere un provvedimento repressivo.
Va, infine, evidenziato che, a differenza di quanto affermato dalle società ricorrenti, al momento del sopralluogo dei vigili urbani il 29.09.1999 “era in fase di preparazione il montaggio delle tre unità radianti” e, quindi, i lavori o almeno parte degli stessi erano ancora in corso con conseguente reiezione anche della prima censura del ricorso proposto da Wind Telecomunicazioni s.p.a.
Deve essere rigettata anche l’eccezione di incompetenza del Dirigente ad emanare il provvedimento sanzionatorio, sollevata dalla Enel s.p.a., secondo la costante giurisprudenza, la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino al giugno del 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco (o all'Assessore competente per materia), mentre la stessa è stata trasferita espressamente ai dirigenti ai sensi dell'art. 2, comma 12, della legge n. 191/1998 (cfr. ex multis, Tar Campania, Napoli, VI, 05.06.2012, n. 2365; Tar Campania, Napoli, VI, 30.04.2008, n. 3072; Tar Toscana, III, 26.11.2010, n. 6627).
Ne discende, pertanto, che nel caso in esame non sussiste il vizio denunciato, essendo stata adottata l’ordinanza impugnata il 06.12.1999 (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.01.2013 n. 627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Laddove un ricorso non è sia stato notificato all’Amministrazione in persona del Sindaco quale legale rappresentante dell’Ente bensì soltanto al dirigente, va preliminarmente esclusa la legittimazione passiva del responsabile del procedimento, in quanto l'atto impugnato è imputabile al Comune intimato, rappresentato in sede processuale dal sindaco pro tempore; di conseguenza va estromesso dal processo il responsabile dell'ufficio tecnico urbanistico comunale.
Invero, il ricorso è inammissibile non essendo stata ritualmente intimata l’amministrazione comunale poiché il ricorso non risulta notificato alla stessa in persona del Sindaco pro tempore che è l’organo che rappresenta l'Ente in giudizio ai sensi dell’art. 50, co. 2, del d.lgs. 18.08.2000 n. 262, che riproduce l'art. 36, co. 1, della legge 08.06.1990 n. 142.
E’, infatti, irrituale la notifica del ricorso non effettuata al Comune in persona del Sindaco pro tempore bensì al dirigente, in quanto, anche se quest'ultimo è competente ad emanare i provvedimenti, che attengono alla specifica materia e settore, l'attività in tal senso svolta è sempre complessivamente riferibile all'amministrazione comunale, a capo della quale si colloca il Sindaco, nella sua qualità di legale rappresentante dell'ente munito di legittimazione passiva.
Del resto il riconosciuto eventuale potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell'Ente, che è l'elemento rilevante in materia di notifica degli atti.

Il ricorrente ha adito il Tar per ottenere l’annullamento del parziale diniego di accesso ai documenti amministrativi richiesti.
Il ricorso non è stato notificato all’Amministrazione in persona del Sindaco quale legale rappresentante dell’Ente bensì soltanto al dirigente ed al difensore civico.
Si è costituito in giudizio il solo dirigente intimato.
All’odierna camera di consiglio la causa è stata trattenuta in decisione.
Va preliminarmente esclusa la legittimazione passiva del responsabile del procedimento, in quanto l'atto impugnato è imputabile al Comune intimato, rappresentato in sede processuale dal sindaco pro tempore; di conseguenza va estromesso dal processo il responsabile dell'ufficio tecnico urbanistico comunale (TAR Catanzaro Calabria, sez. II, 13.12.2011).
Ciò premesso il ricorso è inammissibile non essendo stata ritualmente intimata l’amministrazione comunale poiché il ricorso non risulta notificato alla stessa in persona del Sindaco pro tempore che è l’organo che rappresenta l'Ente in giudizio ai sensi dell’art. 50, co. 2, del d.lgs. 18.08.2000 n. 262, che riproduce l'art. 36, co. 1, della legge 08.06.1990 n. 142 (Consiglio di Stato sez. V, 18.10.2011, n. 5584; Consiglio Stato sez. V, 21.01.2009, n. 280).
E’, infatti, irrituale la notifica del ricorso non effettuata al Comune in persona del Sindaco pro tempore bensì al dirigente, in quanto, anche se quest'ultimo è competente ad emanare i provvedimenti, che attengono alla specifica materia e settore, l'attività in tal senso svolta è sempre complessivamente riferibile all'amministrazione comunale, a capo della quale si colloca il Sindaco, nella sua qualità di legale rappresentante dell'ente munito di legittimazione passiva (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 25.01.2005, n. 155; TAR Sicilia, Palermo, Sezione II, 13.03.2007 n. 799; Sezione III, 06.06.2005 n. 954 e 11.07.2005 n. 1198; TAR Marche, 20.01.2003 n. 8; TAR Basilicata, 03.02.2004 n. 50; TAR Lazio, Sezione II, 08.09.2005, n. 6664).
Del resto il riconosciuto eventuale potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell'Ente, che è l'elemento rilevante in materia di notifica degli atti (Consiglio Stato, sez. V, 25.01.2005, n. 155) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 11.01.2013 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI La firma sulle transazioni.
DOMANDA:
Il Comune deve firmare con urgenza una transazione che all'uopo viene approvata con deliberazione giuntale; nella deliberazione de qua la giunta autorizza testé il sindaco -in qualità di legale rappresentante dell'ente- alla firma dell'atto.
Il segretario generale sostiene che è necessario il parere del revisore contabile e che, la firma sulla transazione non deve essere apposta dal sindaco ma dal dirigente del settore contenzioso: è corretto?
RISPOSTA:
Facendo riferimento alla questione posta, si fa presente quanto segue:
In linea generale si sottolinea che, sulla base di quanto stabilito dall’articolo 239 del Tuel, è previsto che l’Organo di revisione svolga una attività di collaborazione nei confronti dell’organo consiliare. Le modifiche introdotte dalla legge 283/2012, hanno allargato l’elenco delle materie sulle quali l’organo di revisione deve esprimere il proprio parere; in particolare, è stato previsto che l’organo di revisione esprima un parere anche sulle “proposte di riconoscimento dei debiti fuori bilancio e transazioni”.
La materia della autorizzazione alle “transazioni” rientra tra le competenze della Giunta. Pertanto si potrebbe ritenere che il parere dell’Organo di revisione su questi provvedimenti non sia dovuto. Però, in considerazione del fatto che la nuova versione dell’articolo 239 prevede espressamente questa tipologia di provvedimenti, si ritiene opportuno e prudenziale sottoporre anche questi provvedimenti al preventivo parere dell’Organo di revisione.
Si condivide quanto affermato nel quesito a proposito di chi deve sottoscrivere l’atto. Infatti, sulla base di quanto stabilito dall’articolo 107 del Tuel, la firma sulla transazione deve essere apposta dal dirigente del settore di competenza (20.12.2012 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: L'art. 192, comma 3, Dlgs. 03.04.2006, n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, Dlgs. 18.08.2000, n. 267, attribuisce espressamente al sindaco la competenza a disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative, ovvero in base al criterio specialistico e al criterio cronologico, prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, Dlgs. n. 267 del 2000.
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Nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo, conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico.
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In definitiva, applicando le disposizioni contenute nell’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152, discende che il provvedimento impugnato è illegittimo e va annullato per incompetenza e nella parte in cui ha posto obblighi ed oneri direttamente in capo al fallimento, quando invece, qualora il Comune proceda all'esecuzione d'ufficio, per recuperare le somme anticipate, ha a disposizione il solo rimedio dell’insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare.

... per l'annullamento dell’ordinanza n. 20 del 12.01.2012, notificata il 18.01.2012 al curatore, con cui il Dirigente del Coordinamento Ambiente del Comune di Verona ha disposto ed ordinato al fallimento ricorrente l'esecuzione d'ufficio delle azioni necessarie alla pulizia totale dei sito industriale sito in Verona denominato ex Tiberghien, come richiesto con precedente ordinanza dell'agosto 2010.
...
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. V, 25.08.2008, n. 4061; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 26.01.2011, n. 61) anche di questo Tribunale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 20.10.2009, n. 2623; id. 14.01.2009, n. 40) l'art. 192, comma 3, Dlgs. 03.04.2006, n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, Dlgs. 18.08.2000, n. 267, attribuisce espressamente al sindaco la competenza a disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative, ovvero in base al criterio specialistico e al criterio cronologico, prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, Dlgs. n. 267 del 2000.
Tale rilievo comporta pertanto di per sé l’annullamento dell’ordinanza impugnata, fermo restando che la questione andrà rimessa al Sindaco, che è l’organo individuato come competente dalla norma ad adottare tale tipo di ordinanze.
Nel caso di specie, atteso che si è di fronte ad un vizio di incompetenza di tipo infrasoggettivo, che è quello che si verifica nell'ambito dello stesso ente, poiché l'Amministrazione è evocata in giudizio nella sua unitarietà indipendentemente dallo specifico riferimento soggettivo all'organo che ha emanato l'atto impugnato, non vi è pericolo che una pronuncia di merito sugli altri motivi di ricorso possa, in violazione del principio del contraddittorio, dettare regole di condotta nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio, e pertanto il rilevato vizio di incompetenza non assume carattere assorbente delle ulteriori censure (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 28.04.2008, n. 1136; Tar Lombardia, Brescia, 01.06.2001, n. 398) e possono pertanto essere esaminati ulteriori motivi di ricorso al fine di orientare la successiva attività dell'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.08.2004, n. 5654).
Ciò premesso va rilevato che è fondata anche la censura contenuta nel primo motivo con la quale il fallimento lamenta che la curatela fallimentare non può essere legittimamente destinataria di ordinanze afferenti le operazioni di rimozione rifiuti il cui abbandono sia riconducibile unicamente alla responsabilità dell’impresa fallita e al quale è estraneo il fallimento.
Infatti la giurisprudenza ha chiarito che nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo, conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 19.03.2010, n. 700; Tar Campania , Salerno, Sez. I, 18.10.2010, n. 11823; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 09.09.2010, n. 2556; Tar Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 663; Consiglio di Stato, Sez. V, 25.01.2005, n. 136; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10.05.2005, n. 1159; Tar Lazio, Latina, 12.03.2005, n. 304; Consiglio di Stato, Sez. V, 29.07.2003, n. 4328; Tar Toscana, Sezione II, 01.08.2001, n. 1318).
In definitiva, applicando le disposizioni contenute nell’art. 192 del Dlgs. 03.04.2006, n. 152, discende che, ferma restando la validità del provvedimento impugnato nella parte in cui dispone obblighi in capo all’altro comproprietario del compendio immobiliare, il provvedimento impugnato è illegittimo e va annullato per incompetenza e nella parte in cui ha posto obblighi ed oneri direttamente in capo al fallimento, quando invece, qualora il Comune proceda all'esecuzione d'ufficio, per recuperare le somme anticipate, ha a disposizione il solo rimedio dell’insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 04.12.2012 n. 1498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Competenza sul TSO.
Qual è l'organo competente ad adottare l'ordinanza relativa al procedimento amministrativo di trattamento sanitario obbligatorio, in assenza del Commissario straordinario incaricato della temporanea gestione dell'ente?

L'art. 34 della legge 23.12.1978, n. 833, attribuisce al sindaco la competenza ad adottare le ordinanze in materia di trattamento sanitario obbligatorio, entro 48 ore dalla convalida della proposta da parte di un medico della unità sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune, ricompreso nel territorio di una regione a statuto speciale, è sottoposto a gestione commissariale e non è prevista dalla specifica normativa regionale in materia di scioglimento degli organi la nomina di vice o sub commissari, la competenza all'adozione del provvedimento in argomento spetta in via esclusiva al commissario straordinario incaricato della gestione dell'ente (articolo ItaliaOggi del 30.11.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Avuto conto che l'ordine di demolizione è un provvedimento adottato nell'esercizio del potere di vigilanza in materia edilizia con finalità di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio, il medesimo rientra pacificamente nella competenza del dirigente ai sensi dell'art. 27 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 e dell'art. 107, comma 3, d.lgs. 18.08.2000 n. 267.
In primo luogo, avuto conto che l'ordine di demolizione è un provvedimento adottato nell'esercizio del potere di vigilanza in materia edilizia con finalità di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio, il medesimo rientra pacificamente nella competenza del dirigente ai sensi dell'art. 27 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 e dell'art. 107, comma 3, d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (cfr., ex multis, fra le ultime, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 07.06.2012, n. 2689 e 05.06.2012, n. 2636; sezione seconda, 11.01.2012, n. 55 e, sezione terza, 13.02.2012, n. 758; Tar Lazio, Roma, sezione seconda, 08.02.2012, n. 1236).
Né l’incompetenza può dirsi sussistere per non essere il dirigente titolare delle funzioni delegate ai Comuni dalla Regione Campania, ai sensi degli artt. 8 della legge regionale n. 65/1981 e 82, comma 2, del d.P.R. 616/1977 avuto presente che il provvedimento non risulta assunto espressamente nell’esercizio “della subdelega in materia paesaggistica” rilasciata ai Comuni dalla cennata regione Campania e richiama nel suo seno il cennato art. 27 del d.P.R. 380/2001 che individua, in relazione ai poteri repressivi degli abusi in zona vincolata, una competenza autonoma del dirigente nel caso in cui l’abuso sia commesso su aree sottoposte a vincolo (sul punto cfr. anche le pronunce di questo Tribunale, questa sesta sezione, 05.06.2012, n. 2636 cit., 12.11.2010, n. 24015 e 21.04.2010, n. 2074 e, sezione seconda, 02.03.2010, n. 1263 secondo cui alle fattispecie di che trattasi è comunque è applicabile la cennata normativa statale)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.11.2012 n. 4867 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: La competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale essendo stata la stessa trasferita espressamente ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191.
Tanto, beninteso, in assenza di norme regolamentari che, nei singoli Comuni, in forza della previgente normativa primaria a partire dalla l. 142 del 1990, avessero già attuato “il principio legislativo” del trasferimento delle competenze dal sindaco agli organi dirigenziali del Comune.

Va per contro osservato come, secondo la costante giurisprudenza della Sezione, la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale essendo stata la stessa trasferita espressamente ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191 (cfr., ex multis, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 05.06.2012, n. 2365; 23.05.2012, n. 2373; 30.04.2008, n. 3072; 03.04.2008, n. 1832; cfr. ancora, negli stessi sensi, Tar Toscana, Firenze, sezione terza, 26.11.2010, n. 6627).
Tanto, beninteso, in assenza di norme regolamentari che, nei singoli Comuni, in forza della previgente normativa primaria a partire dalla l. 142 del 1990, avessero già attuato “il principio legislativo” del trasferimento delle competenze dal sindaco agli organi dirigenziali del Comune (cfr. Cons. Stato, sezione quinta, 06.03.2000, n. 1149 e Tar Campania, sempre questa sesta sezione, 05.06.2012, n. 2365 cit.): circostanza, questa, la cui sussistenza qui non è dedotta (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 20.11.2012 n. 4675 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Tar Calabria. In discussione la possibilità di porre limiti. Sindaco sempre in giudizio anche senza lo Statuto.
L'ORIENTAMENTO/ I giudici calabresi negano che l'autonomia possa fissare condizioni alla presenza in giudizio del rappresentante legale.

Non è necessaria la delibera di Giunta per autorizzare il sindaco a rappresentare in giudizio il Comune, anche a prescindere da eventuali limiti statutari.
A chiarire il quadro interviene la sentenza 16.11.2012 n. 671 del TAR Calabria-Reggio Calabria.
La sentenza accoglie la tesi difensiva del Comune in cui si evidenziava che ai fini della rappresentanza in giudizio dell'ente, l'autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, un atto necessario ai fini dell'agire o del resistere in giudizio.
I giudici del Tar rilevano che nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un sistema in cui il sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta l'autorizzazione da parte di quest'ultima non ha più ragion d'essere.
La sentenza del Tar Calabria quindi riprende le motivazioni della sentenza anche essa recente del Tar Salerno 1674/2012 e del Consiglio di Stato 5277/2012 perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il sindaco ha assunto un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell'esecutivo comunale; l'autorizzazione del Consiglio prima e poi della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d'essere in un sistema in cui il sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli assessori, a cui l'articolo 48 del Tuel affida il compito di collaborare con il capo dell'amministrazione municipale.
La sentenza comunque è degna di nota in quanto non sembra prevedere margini per eventuali limiti statutari superando l'orientamento del Tar Salerno e del Consiglio di Stato. Queste pronunce prevedevano la possibilità di eccezioni alla non necessità di una preventiva delibera nei casi in cui l'autonomia statutaria dell'ente, disciplinando i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente (anche in giudizio ex articolo 6, comma 2, del Dlgs 267/2000) preveda l'autorizzazione della Giunta, oppure richieda una preventiva determinazione del competente dirigente, oppure ancora postula l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia (articolo Il Sole 24 Ore del 10.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Ai fini della rappresentanza in giudizio del Ente, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, un atto necessario ai fini dell’agire o del resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, l’autorizzazione da parte di quest’ultima non ha più ragion d’essere

Si conviene con la difesa del Comune, laddove si rammenta che ai fini della rappresentanza in giudizio del Ente, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, un atto necessario ai fini dell’agire o del resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta (più diffusamente sul punto Tar Salerno, I, 24.09.2012 n. 1674), l’autorizzazione da parte di quest’ultima non ha più ragion d’essere (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 16.11.2012 n. 671 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ I poteri del primo cittadino sono limitati alle ordinanze contingibili e urgenti. Viabilità, decide il dirigente. La gestione ordinaria non spetta più al sindaco
Il comandante della polizia municipale può adottare un'ordinanza con la quale si apportano modifiche alla viabilità urbana?

Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui dovrebbero derivare le eventuali modificazioni alla viabilità– secondo quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Codice della strada viene aggiornato ogni due anni. Il predetto Put, essendo uno strumento di programmazione e, dunque, a valenza generale, è demandato all'approvazione degli organi collegiali del comune.
Occorre tenere presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5, del dlgs n. 267/2000 prevede che «le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III, (consiglio, giunta e sindaco) l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54» dello stesso decreto legislativo.
Pertanto, le competenze assegnate, in particolare dal codice della strada, al sindaco (fuori dei casi di cui ai citati articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si intendono oggi demandate al dirigente.
Sul punto la giurisprudenza (Tar Lombardia, sentenza n. 13/01/2003, n. 904) ha specificato che «al di fuori dei provvedimenti contingibili e urgenti, il sindaco non può adottare un'ordinanza in materia di viabilità ordinaria, esercitando altrimenti un atto di gestione che compete in via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di Brescia– con la sentenza 08.01.2011, n. 10 ha ribadito tale principio, affermando che l'art. 7 del codice della strada, che assegna al sindaco il potere di regolamentare la circolazione dei veicoli, va coordinato con la posteriore norma del già citato art. 107.
La competenza del sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve, quindi, ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALIE' fondato il primo motivo di ricorso, incentrato sulla asserita incompetenza del Segretario comunale, autore dell’atto, rispetto al dirigente, competente in via generale ai sensi dell’art. 107 TUEL.
Occorre infatti ricordare il testo della norma citata, comma 3, per cui “sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi”.
La norma stessa ammette una sola deroga, quella di cui al successivo art. 109 ultimo comma, per cui nei Comuni privi di dirigenti le relative funzioni “possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.
Non esiste invece alcuna norma che affidi in via generale e ordinaria un compito di supplenza dei dirigenti impediti o assenti al Segretario comunale, al quale, ai sensi dell’art. 97, comma 4, TUEL soltanto “sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività”.

... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del provvedimento 07.07.2010 prot. n. 7012, ricevuto il successivo 16 luglio, con il quale il Segretario comunale del Comune di Grumello del Monte ha respinto l’istanza della ricorrente volta ad ottenere l’autorizzazione ad installare una stazione radio base per telefonia mobile nella locale via Don Francesco Lazzari;
...
Nel merito, è fondato anzitutto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla asserita incompetenza del Segretario comunale, autore dell’atto, rispetto al dirigente, competente in via generale ai sensi dell’art. 107 TUEL.
Occorre infatti ricordare il testo della norma citata, comma 3, per cui “sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi”. La norma stessa ammette una sola deroga, quella di cui al successivo art. 109 ultimo comma, per cui nei Comuni privi di dirigenti le relative funzioni “possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”. Non esiste invece alcuna norma che affidi in via generale e ordinaria un compito di supplenza dei dirigenti impediti o assenti al Segretario comunale, al quale, ai sensi dell’art. 97, comma 4, TUEL soltanto “sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività”.

Ciò posto, nel caso di specie in cui il dirigente all’origine responsabile della pratica era deceduto, non era possibile farlo sostituire in via automatica ed ordinaria al Segretario, rispetto al quale non consta uno specifico atto di conferimento di funzioni.
Ciò posto, l’accoglimento di detto motivo non preclude l’esame dei restanti. In proposito, il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la fondatezza della censura di incompetenza dell'autorità che ha emanato l'atto, da esaminarsi prioritariamente rispetto ad ogni altro motivo di ricorso, determina unicamente la rimessione dell'affare all'autorità indicata come competente, in applicazione dell'art. 26 legge n. 1034 del 1971, ed impedisce l'esame delle altre doglianze, che finirebbe, altrimenti, per risolversi in un giudizio anticipato sui futuri provvedimenti dell'organo riconosciuto come competente ed in un vincolo anomalo sulla riedizione del potere” (così in motivazione C.d.S. sez. IV 14.05.2007 n. 2427; conformi anche C.d.S. sez. IV 12.12.2006 n. 7271 e 12.03.1996 n. 310, nonché sez. VI 07.04.1981 n. 140)
Sempre il Collegio ritiene però che tale orientamento vada inteso in modo corretto. Come risulta dalla stessa decisione 310/1996 citata, infatti, esso si fonda sulla circostanza per cui nel processo amministrativo “non è prevista alcuna forma di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'organo amministrativo effettivamente competente”, e quindi si spiega con l’esigenza di non vincolare al giudicato un soggetto che al processo non è stato in condizione di partecipare. Non sfugge allora che tale esigenza non sussiste nel caso di specie, in cui si fa questione della competenza di due organi, il dirigente e il Segretario, pur sempre appartenenti ad un medesimo soggetto giuridico, ovvero al Comune, che nel processo è stato ritualmente evocato ed ha potuto esercitare appieno il proprio diritto di difesa con riguardo a tutte le censure dedotte
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.11.2012 n. 1804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Attribuzione di funzioni gestionali ai componenti dell'organo esecutivo ai sensi dell'art. 53, comma 23, della l. 388/2000.
Sembra che le innovazioni apportate agli artt. 49, 147 e 147-bis, del TUEL, che hanno introdotto un nuovo sistema di controllo e verifica della correttezza dell'azione amministrativa, non influiscano, allo stato attuale, sulla possibilità prevista dall'art. 53, comma 23, della l. 388/2000.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di attribuire a membri dell'esecutivo la responsabilità di uffici o servizi, anche con riferimento alle nuove incombenze previste dall'art. 3 del d.l. 174 del 2012, in particolare, in relazione ai controlli preventivi di regolarità amministrativa e contabile nonché ai controlli successivi previsti dall'art. 147-bis del d.lgs. 267/2000.
Com'è noto, il citato decreto legge è intervenuto recentemente introducendo alcune modifiche al d.lgs. 267/2000.
Ai fini che ci interessano si segnala la sostituzione dell'art. 49 del TUEL (Pareri dei responsabili dei servizi) che, al comma 1, prevede che, su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione. Il comma 2 precisa che, nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere è espresso dal segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze.
Inoltre l'art. 147, come novellato, dispone che gli enti locali, nell'ambito della loro autonomia normativa e organizzativa, individuano strumenti e metodologie per garantire, attraverso il controllo di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa, disciplinando un efficace sistema di controlli interni.
L'art. 147-bis, comma 1, prevede altresì che il controllo di regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa. E' inoltre effettuato dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria.
Il successivo comma 2 specifica che il controllo di regolarità amministrativa e contabile è inoltre assicurato, nella fase successiva, secondo principi generali di revisione aziendale e modalità definite nell'ambito dell'autonomia organizzativa dell'ente, sotto la direzione del segretario, in base alla normativa vigente. Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata, gli atti di liquidazione di spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento.
Il comma 3 infine dispone che le risultanze del predetto controllo successivo siano trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei servizi, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione, e al consiglio comunale.
L'art. 53, comma 23, della l. 388/2000 consente ai comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti di stabilire, anche al fine di operare un contenimento della spesa, disposizioni regolamentari organizzative che attribuiscono ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti di natura tecnica gestionale, in deroga alle disposizioni sulla separazione tra le funzioni di indirizzo e di controllo politico amministrativo, proprie degli organi di governo, e le funzioni di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, di competenza degli organi burocratici.
Come già evidenziato dallo scrivente Ufficio, in relazione al rilascio dei pareri di cui all'art. 49 del TUEL,[1] una volta individuati i responsabili dei servizi nei membri della giunta, ai medesimi compete l'espressione dei predetti pareri, considerato che il comma 1 del citato articolo conferisce espressamente tale funzione al soggetto responsabile del servizio, il quale è individuabile ordinariamente nel dirigente o nel titolare di posizione organizzativa, oppure, in caso di applicazione della disposizione di cui all'art. 53, comma 23, della l. 388/2000, in un componente della giunta.
In questo caso le competenze gestionali ed i conseguenti atti, anche se in via derogatoria rispetto al generale principio di separazione delle funzioni, sono attribuiti ai singoli componenti dell'esecutivo, con la conseguenza che ogni provvedimento (determinazione) deve seguire lo stesso procedimento che normalmente si attua per gli atti adottati dai responsabili dei servizi, dipendenti dell'ente, compresi i pareri di regolarità amministrativa/contabile, non rilevando, a tal fine, il fatto che tali funzioni sono svolte da un amministratore.
Infatti, gli atti assunti dall'amministratore quale responsabile di un servizio sono a tutti gli effetti equiparati a quelli che assume qualsiasi dipendente cui sia stata attribuita la responsabilità gestionale[2].
Premesso un tanto e preso atto del nuovo sistema di controllo e verifica della correttezza dell'azione amministrativa introdotto dal legislatore, ferme restando le autonome valutazioni dell'Ente, le predette innovazioni non sembrano influire, allo stato attuale, sulla possibilità prevista dall'art. 53, comma 23, della l. 388/2000.
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[1] Cfr. nota n. prot. 17979/1.3.16 del 19.11.2008.
[2] Cfr. parere ANCI del 29.01.2002
(15.11.2012 - link a www.regione.fvg.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: L’attribuzione al Presidente della Provincia (nella regione Veneto), da parte dell’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, del potere di annullamento per motivi di legittimità dei permessi di costruire, è compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento ed in particolare con il modello organizzativo fondato sulla separazione di competenze fra la struttura politica e la struttura gestionale e amministrativa.
Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l’art. 39 del D.P.R. n. 380/2001 ha attribuito genericamente alla regione il potere di annullamento dei titoli abilitativi rilasciati dal Comune. La Regione Veneto, in base all’art. 119 2° comma, con l’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, ha poi delegato tale potere alla Provincia, individuando l’organo in concreto competente. In particolare, il legislatore regionale ha scelto di attribuire tale potere all’organo politico di vertice della Provincia.
Non si ravvedono ragioni d’incostituzionalità in tale scelta legislativa. Infatti, va considerato, in primo luogo, che il potere conferito al Presidente della Provincia è un potere straordinario di annullamento per soli motivi di legittimità. Va poi osservato che il modello di organizzazione fondato sulla separazione tra politica e amministrazione non è così rigido da non tollerare contiguità, al contrario, vi possono sempre essere dei momenti di contatto fra le due sfere.
In particolare, nella sfera delle funzioni politiche rimesse agli organi di governo, accanto alle funzioni d’indirizzo politico-amministrativo, possono coesistere, in quanto compatibili con esse e con il modello direzionale, anche dei poteri eccezionali di annullamento degli atti dirigenziali per motivi di legittimità. Si tratta, infatti, di funzioni sostitutive o di controllo poste a salvaguardia del principio di legalità, necessarie a preservare l’unità dell’ordinamento, che non comportano l’adozione diretta di scelte di amministrazione attiva. Si pensi al potere ministeriale di annullamento degli atti dei dirigenti per motivi di legittimità, previsto dall’art. 14, comma 3, del D.lgs. n. 165/2001; ovvero, proprio in materia di legislazione sugli enti locali, al potere governativo di annullamento degli atti illegittimi emessi dagli enti locali. Potere, quest’ultimo, che costituisce il corrispettivo, in ambito statale, del potere di annullamento dei permessi di costruire attribuito dall’art. 39 del D.P.R. n. 380/2001 alla Regione.
In conclusione, si deve allora ritenere che l’attribuzione al Presidente della Provincia, da parte dell’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, del potere di annullamento per motivi di legittimità dei permessi di costruire, sia compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento ed in particolare con il modello organizzativo fondato sulla separazione di competenze fra la struttura politica e la struttura gestionale e amministrativa (
TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.11.2012 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGODelibera civit. Il sindaco nomina i valutatori.
È il sindaco l'organo comunale competente a incaricare e nominare i componenti dell'organismo indipendente di valutazione (Oiv).

Il chiarimento alla questione (per la verità piuttosto scontato) proviene dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), che si è espressa con la delibera 23.10.2012 n. 21.
Il dubbio espresso da non pochi comuni deriva dalla formulazione dell'articolo 14, comma 3, del dlgs 150/2009 ai sensi del quale l'Organismo indipendente di valutazione è nominato, sentita la Commissione di cui all'articolo 13, dall'organo di indirizzo politico–amministrativo: negli enti locali operano tre organi di tale natura (consiglio, giunta e sindaco o presidente della provincia), sicché potrebbero darsi problemi per individuare quello al quale correttamente attribuire la competenza. Esclusa la giunta, la quale altro non è se non un supporto collegiale alle funzioni del sindaco e non ha veri e propri compiti di indirizzo politico, l'incertezza potrebbe riguardare l'alternativa tra consigli e organi di vertice monocratici.
La Civit giunge alla conclusione che la competenza è del sindaco sulla base di osservazioni trancianti. In primo luogo, la commissione ricorda che esiste una norma già risolutiva della questione: l'articolo 4, comma 2, lettera g), della legge 15/2009 (la legge delega da cui è scaturito il dlgs 150/2009) dispone che «i sindaci e i presidenti delle province nominano i componenti dei nuclei di valutazione», che poi il dlgs ha disciplinato come «Organismi indipendenti di valutazione». Di per sé questo semplice rilievo sarebbe sufficiente per escludere la competenza di ogni altro soggetto.
La delibera 21/2012, comunque, ricorda che le competenze del consiglio comunale e provinciale sono fissate dall'articolo 42 del dlgs 267/2000 in modo tassativo. I consigli possono legittimamente esercitare esclusivamente le attribuzioni elencate espressamente nell'articolo 42 e nelle altre disposizioni di legge, contenute anche in altri articoli del Testo unico degli enti locali. Tutte le altre competenze, non rientranti nelle funzioni gestionali o nella sfera del sindaco, cadono nelle competenze della giunta (articolo ItaliaOggi del 30.10.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALINel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza.
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione.

Quanto poi alla asserita illegittimità del mandato conferito dal Sindaco all’avv. Cerceo il 12.03.2009, in assenza della esplicita autorizzazione della Giunta, che sarebbe tuttora richiesta dallo Statuto, in primo luogo è da ritenere che, a seguito della modifica statutaria mediante l’inserimento della disposizione secondo la quale “i dirigenti sono competenti alla promozione delle liti e alla resistenza alle stesse” sia venuta meno, per incompatibilità tra la nuova disposizione (il citato art. 44, comma 6-bis) e la precedente, vale a dire l’art. 38/s) dello statuto, proprio quest’ultima disposizione la quale, in base a quanto afferma la difesa dell’appellato, richiedeva che la Giunta autorizzasse il Sindaco a promuovere o a resistere alle liti. Si tratta, del resto, di atto gestionale e tecnico che non richiede più l’autorizzazione giuntale.
A questo proposito la Corte suprema di Cassazione (sent. n. 21330 del 2006) ha avuto occasione di statuire che “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza”.
Inoltre, “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione” (Cass. civ. n. 13968/2010) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.10.2012 n. 5277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: OGGETTO: esposto di un consigliere comunale contro un comune.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiesto l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto, presentato da un consigliere contro il comune, concernente l’affidamento da oltre un anno di un incarico dirigenziale al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure dirigenziali.
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Il Dipartimento della Funzione Pubblica con una la nota ha chiesto l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto, presentato da un consigliere contro un Comune, concernente l’affidamento, da oltre un anno, di un incarico dirigenziale al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure dirigenziali.
Al riguardo, su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, si rileva preliminarmente che l’art. 97 del Dlgs 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei segretari comuni e provinciali. In particolare, il comma 2 di detto articolo statuisce che il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il successivo comma 4, nel prevedere che il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti coordinandone l’attività, elenca le funzioni ad stesso spettanti. Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone che il segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare di questo Ministero del 15.07.1997 n. 1/1997, citata dall’esponente, ha valenza di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della macchina organizzativa, amministrativa e gestionale dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di ulteriori funzioni al segretario può avvenire solo nel momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi, ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione della citata disposizione di cui al comma 4, lett. d), dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del Dlgs 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si deve ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei servizi al segretario sia necessariamente da prevedere attraverso una specifica disposizione regolamentare, previa un’attenta verifica dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure professionali; mentre il conferimento delle funzioni, riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, non può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio la presidenza di una gara per temporanea assenza del dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni contrattuali, contenute nell’art. 1 del CCNL dei segretari comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che, relativamente agli incarichi per attività di carattere gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle necessarie professionalità all’interno dell’Ente. Si deve tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni aggiuntive affidate al segretario, è prevista una maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(09.10.2012 - link a http://incomune.interno.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIAi fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale non costituisce più, in linea generale, requisito necessario per la proposizione della domanda o la resistenza in giudizio.
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia).

Vale, con argomento assorbente, osservare come, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo TAR Sicilia, Catania, 28.05.2012, n. 1348), ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale non costituisce più, in linea generale, requisito necessario per la proposizione della domanda o la resistenza in giudizio.
La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto, si fondava sull’art. 35, secondo comma, legge n. 142/1990, secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla menzionata legge n. 142/1990 e completato dalle disposizioni successive fino all’approvazione del d.lgs. n. 267 del 2000, ha indotto, però, le Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. n. 17550/2002 e n. 12868/2005) a rivedere il precedente orientamento, anche in considerazione del fatto che la modifica del titolo V della Costituzione, nonché la successiva legge n. 131/2003 di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti (ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.09.2012 n. 1675 e sentenza 24.09.2012 n. 1674 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Illegittimità diniego del dirigente su piano lottizzazione.
E’ illegittima la nota con la quale il Direttore della Ripartizione qualità edilizia e trasformazione del territorio del Comune di Bari, ha comunicato il parere del Coordinamento tecnico interno, di rigetto del piano di lottizzazione.
La competenza in ordine ai “piani territoriali ed urbanistici” spetta al Consiglio comunale, organo competente sia all’adozione di tali strumenti (sia generali che attuativi), sia in ordine ad eventuali atti di diniego dei predetti strumenti, ed in particolare –per quel che interessa nella presente sede- di progetti (quali il piano di lottizzazione) provenienti da privati e pacificamente equiparati (in quanto sostitutivi/alternativi) agli atti redatti dalla P.A. di pianificazione urbanistica attuativa. Il diniego di approvazione di un piano di lottizzazione deve essere adottato dal Consiglio Comunale e non già da dirigenti dell’amministrazione, le cui competenze, come previste dall’art. 107 d.lgs. n. 267/2000 non ricomprendono l’adozione di tali atti.
Tutto ciò, non comporta che gli uffici dell’amministrazione (e segnatamente i dirigenti degli enti locali) non possono indicare, per mezzo di atti endoprocedimentali, eventuali aspetti dei piani di lottizzazione che possono condurre al diniego di approvazione degli stessi, ovvero richiedere integrazioni documentali. Tuttavia, a fronte della volontà del privato di insistere per la conclusione del procedimento relativo al progetto così come presentato, i medesimi uffici, pur con le osservazioni di propria competenza, non possono che rimettere ogni decisione al Consiglio comunale, unico organo competente a deliberare con carattere di definitività in materia di pianificazione urbanistica.

Il Collegio ritiene che il motivo di appello (sub c) dell’esposizione in fatto), con il quale si lamenta il vizio di incompetenza, è fondato e debba essere, pertanto, accolto, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione.
Secondo gli appellanti, tale vizio sussiste poiché gli atti di diniego del piano di lottizzazione, sono stati “posti in essere non dal Consiglio comunale, unico organo comunale deputato ex lege a ciò, ma da soggetti (dirigente UTC, commissione tecnica interna, ecc.) del tutto incompetenti in materia di approvazione o reiezione di piani urbanistici, primari o secondari che siano”.
Orbene, l’art. 42, co. 2, lett. b), d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (Testo Unico Enti Locali) , nel definire le competenze del Consiglio Comunale, prevede che tra queste ultime rientrino l’adozione dei seguenti atti: “b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”.
Appare del tutto evidente, quindi, che la competenza in ordine ai “piani territoriali ed urbanistici” spetta al Consiglio comunale, organo competente sia all’adozione di tali strumenti (sia generali che attuativi: Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2003 n. 300), sia in ordine ad eventuali atti di diniego dei predetti strumenti, ed in particolare –per quel che interessa nella presente sede- di progetti (quali il piano di lottizzazione) provenienti da privati e pacificamente equiparati (in quanto sostitutivi/alternativi) agli atti redatti dalla P.A. di pianificazione urbanistica attuativa
Un atto, quindi, che –per le ragioni innanzi esposte (v. punto 2 della presente decisione)– costituisce diniego di approvazione di un piano di lottizzazione (in quanto conseguente all’arresto procedimentale effettuato ed all’ulteriore corso del procedimento subordinato all’adeguamento del piano a prescrizioni imposte), deve essere adottato dal Consiglio Comunale e non già da dirigenti dell’amministrazione (le cui competenze –come previste dall’art. 107 d.lgs. n. 267/2000– non ricomprendono l’adozione di tali atti).
Quanto esposto non comporta che gli uffici dell’amministrazione (e segnatamente i dirigenti degli enti locali) non possono indicare, per mezzo di atti endoprocedimentali, eventuali aspetti dei piani di lottizzazione che possono condurre al diniego di approvazione degli stessi, ovvero richiedere integrazioni documentali. Tuttavia, a fronte della volontà del privato di insistere per la conclusione del procedimento relativo al progetto così come presentato, i medesimi uffici, pur con le osservazioni di propria competenza, non possono che rimettere ogni decisione al Consiglio comunale, unico organo competente a deliberare con carattere di definitività in materia di pianificazione urbanistica
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.09.2012 n. 5055 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALICirca la competenza ad adottare l'ordinanza di bonifica di un sito inquinato, il Collegio ritiene infatti d’aderire all’orientamento maggioritario, espresso, “ex multis”, nelle seguenti massime:
- “Sebbene l’art. 107 d.lgs. n. 267/2000 attribuisca l’attività di gestione ai dirigenti, compete al sindaco l’emanazione dell’ordinanza di rimozione, recupero e smaltimento dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, in virtù del carattere di specialità riconosciuto all’art. 192 d. lg. n. 152/2006, da cui la stessa è disciplinata”;
- “L’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al sindaco la competenza a disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2: tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio specialistico e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. (nella specie, la riscontrata incompetenza dirigenziale ha implicato in prima istanza l’annullamento dell’atto e la remissione del potere di provvedere al sindaco del comune interessato)”;
- “Spetta al sindaco, ai sensi dell’art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati”.

... per l’annullamento dell’ordinanza dirigenziale (di bonifica di sito inquinato) n. 29 del 07.03.2008, emanata dal Responsabile U.T.C. del Comune di Serre;
...
Carattere dirimente, con assorbimento d’ogni altra censura, riveste l’eccezione d’incompetenza del Responsabile dell’U.T.C. all’adozione dell’ordinanza impugnata.
Ciò, peraltro, non perché nella specie ci si trovi di fronte ad un’ordinanza contingibile ed urgente, ma perché è lo stesso art. 192, comma 3, del d. l.vo 152/2006 (norma, espressamente richiamata nel testo del provvedimento gravato) ad attribuire detta competenza al sindaco: “Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Pur registrandosi, in giurisprudenza, anche alcune pronunce di segno opposto, il Collegio ritiene infatti d’aderire all’orientamento maggioritario, espresso, “ex multis”, nelle seguenti massime:
- “Sebbene l’art. 107 d.lgs. n. 267/2000 attribuisca l’attività di gestione ai dirigenti, compete al sindaco l’emanazione dell’ordinanza di rimozione, recupero e smaltimento dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, in virtù del carattere di specialità riconosciuto all’art. 192 d. lg. n. 152/2006, da cui la stessa è disciplinata” (TAR Lombardia–Brescia – Sez. I, 09.06.2011, n. 867);
- “L’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al sindaco la competenza a disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2: tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio specialistico e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. (nella specie, la riscontrata incompetenza dirigenziale ha implicato in prima istanza l’annullamento dell’atto e la remissione del potere di provvedere al sindaco del comune interessato)” (TAR Emilia Romagna–Bologna – Sez. II, 26.01.2011, n. 61);
- “Spetta al sindaco, ai sensi dell’art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati” (Consiglio Stato – Sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
La soluzione in rito prescelta –non fondandosi sulla natura di provvedimento contingibile ed urgente dell’ordinanza impugnata, bensì sullo stesso testo dell’art. 192 d. l.vo 152/2006, inibisce l’esame dell’eccezione subordinata d’inammissibilità, sollevata dalla difesa del Comune di Serre (che aveva rilevato come –trattandosi allora di atto emanato dal sindaco quale ufficiale del governo, sarebbe mancata la notifica del ricorso all’Avvocatura dello Stato); la stessa soluzione destituisce altresì di ogni pregio, stante la riferita esistenza di contrasti giurisprudenziali al riguardo, l’esame della domanda risarcitoria, proposta dai ricorrenti; per le stesse ragioni, il Collegio ritiene equo disporre la compensazione integrale, tra le parti, delle spese di giudizio (TAR Campania-Salerno, sentenza 17.09.2012 n. 1644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)” sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare).
Ad abundantiam, poi, si può solo accennare alla circostanza che la suindicata attività di valutazione della <<prospettata disarmonia>> rimessa al Consiglio comunale non sembra neppure riconducibile tra le competenze consiliari, ai sensi dell’art. 42, co. II, lett. b), del d.lgs. n. 267/2000.
Ciò, poiché, come già statuito dal Consiglio di Stato (cfr. la sentenza della IV sez. del 28.05.2009 n. 3333) la lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)” sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare)” (TAR Lombardia-Milano, Se. II, sentenza 05.09.2012 n. 2233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALISANZIONI AMMINISTRATIVE - GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE AI SENSI DELLA LEGGE N. 689 DEL 1981 AVVERSO ORDINANZA INGIUNZIONE EMESSA DA UN COMUNE - RAPPRESENTANZA PROCESSUALE DELL'ENTE LOCALE - NECESSITA', O MENO, DELLA AUTORIZZAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE - QUESTIONE RIMESSA ALLE SEZIONI UNITE.
La Sezione Seconda civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della risoluzione della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, concernente la necessità, o meno, anche per i giudizi di cui all’art. 23 della legge n. 689 del 1981 dell’autorizzazione della giunta comunale al Sindaco, ove previsto dallo Statuto dell’ente (Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza interlocutoria 07.08.2012 n. 14219 - tratto da www.cortedicassazione.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Se una istanza viene respinta da un assessore, si tratta di un diniego illegittimo per incompetenza e non di un parere politico.
Nel caso esaminato dalla sentenza 18.07.2012 n. 1022 del TAR Veneto, Sez. III, un assessore comunale rigettava l'istanza di integrazione retta alberghiera presentata da un cittadino, che presentava un ricorso al TAR, eccependo l'incompetenza dell'assessore a rispondere.
La difesa dell’amministrazione eccepiva l’inammissibilità della doglianza, atteso l’evidente carattere non provvedimentale, ma meramente politico della risposta inviata dal Comune.Il TAR ha accolto il ricorso, dicendo che: "Ritiene invece il Collegio che la risposta si confronti con una domanda il cui contenuto risulta inequivocabilmente quello di una istanza all’integrazione della retta, alla quale, semmai, l’amministrazione avrebbe dovuto replicare chiedendo che fosse l’attuale ricorrente, in qualità di richiedente, ad avanzare la domanda, proposta invece, come detto, dall’attuale difensore; invece, l’aver risposto in senso negativo qualifica la nota assessorile come arresto procedimentale immediatamente lesivo della posizione della richiedente, legittimandola dunque all’impugnazione. Il ricorso è dunque fondato, dovendosi riesaminare la domanda presentata da parte dell’organo comunale competente".
Dunque l'assessore non può firmare quello che compete ai funzionari (link a http://venetoius.myblog.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIIl potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lg. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Nel caso di specie l’ostacolo alla circolazione di una strada di limitato utilizzo, come emerge dalla documentazione attestante lo stato dei luoghi, senza indicazione di alcun pericolo concreto per l’incolumità pubblica, appare difficilmente qualificabile nei termini predetti, anche in considerazione della pacifica esistenza nell’ordinamento di mezzi ordinari in materia.
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E' incompetente il sindaco ad emettere ordinanze in tema di limitazioni della circolazione, essendo la materia attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria.
Né, peraltro, nel caso di specie l’amministrazione ha fatto alcun riferimento al distinto potere sindacale di autotutela possessoria delle strade; in proposito, va ribadito che il potere sindacale di ordinanza contingibile urgente ex art. 54 cit. e quello attribuito allo stesso Sindaco dall'art. 15, d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446 differiscono profondamente per le funzioni e il contenuto atteso che, mentre il primo è atipico, il secondo, nel consentire al Sindaco di ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade, mira ad assicurare la fluidità della circolazione, è espressione di autotutela possessoria delle stesse ed ha natura ripristinatoria.

Come noto, il potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lg. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Nel caso di specie l’ostacolo alla circolazione di una strada di limitato utilizzo, come emerge dalla documentazione attestante lo stato dei luoghi, senza indicazione di alcun pericolo concreto per l’incolumità pubblica, appare difficilmente qualificabile nei termini predetti, anche in considerazione della pacifica esistenza nell’ordinamento di mezzi ordinari in materia (come peraltro ammesso dalla stessa attenta difesa comunale in sede di memoria conclusiva).
A quest’ultimo proposito, e parallelamente, costituisce principio parimenti consolidato quello per cui è incompetente il sindaco ad emettere ordinanze in tema di limitazioni della circolazione, essendo la materia attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria.
Né, peraltro, nel caso di specie l’amministrazione ha fatto alcun riferimento al distinto potere sindacale di autotutela possessoria delle strade; in proposito, va ribadito che il potere sindacale di ordinanza contingibile urgente ex art. 54 cit. e quello attribuito allo stesso Sindaco dall'art. 15, d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446 differiscono profondamente per le funzioni e il contenuto atteso che, mentre il primo è atipico, il secondo, nel consentire al Sindaco di ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade, mira ad assicurare la fluidità della circolazione, è espressione di autotutela possessoria delle stesse ed ha natura ripristinatoria (cfr. ad es. Tar Piemonte n. 376/2011) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 13.07.2012 n. 1016 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L’approvazione di progetti di opere pubbliche rientra nella competenza della Giunta Comunale, organo a competenza generale e residuale, anche quando tale approvazione comporti variante allo strumento urbanistico ai sensi dell’art. 1 L. 1/1978.
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L’inserimento di un’opera pubblica nel programma triennale incide sull’interesse dei privati per il fatto che l’opera contestata fino al momento della sua inclusione nell’atto di programmazione in parola non era realizzabile mentre, successivamente a tale determinazione, ne è doverosa la realizzazione nel triennio secondo l’ordine di priorità del programma approvato e con le disponibilità finanziarie specificamente apprestate.
Si è quindi osservato che, con l’inserimento dell’opera nel programma di opere pubbliche, la valutazione decisiva sulla utilità e fattibilità della medesima da parte dell’ente locale vi è stata e la comunità locale deve prendere atto che una certa quantità di risorse finanziarie, personali ed organizzative dell’amministrazione locale è destinata a questa priorità, anziché ad altre opere ed interventi pur richiesti ma cionondimeno esclusi dalla programmazione e quindi, almeno temporaneamente, dalla realizzazione.
Non si tratta, quindi, di un’attività meramente interna degli organi comunali di programmazione finanziaria e di razionalizzazione della spesa, ma invece di un atto fondamentale di individuazione degli obiettivi concreti da raggiungere da parte degli organi di governo dell’ente, cui corrisponde la facoltà di verifica dei cittadini, singoli o associati, sulla congruità e correttezza delle scelte effettuate.

Secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 26.04. 2006 n. 2293; TAR Emilia Romagna, Parma, 17.06.2008 n. 314; TAR Lazio, Sez. II, 13.02.2006 n. 1060), l’approvazione di progetti di opere pubbliche rientra nella competenza della Giunta Comunale, organo a competenza generale e residuale, anche quando tale approvazione comporti variante allo strumento urbanistico ai sensi dell’art. 1 L. 1/1978 (peraltro, si rammenti che, in base alla disposizione da ultimo citata nonché all’art. 12 D.P.R. 08.06.2001 n. 327, all’approvazione dei progetti di opere pubbliche consegue ex lege la dichiarazione di pubblica utilità delle opere stesse, non occorrendo all’uopo una particolare motivazione: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 09.12.2011 n. 6468).
Tale conclusione, già supportata dall’art. 35 L. 142/1990 si fonda anche sull’art. 48 D.Lgs. 267/2000, in base al quale la Giunta compie tutti gli atti, rientranti, ai sensi dell'art. 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o del Presidente della Provincia o degli organi di decentramento.
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Sul punto, giova rammentare che, con la richiamata deliberazione giuntale n. 34/2002 l’amministrazione ha modificato il programma triennale delle opere pubbliche inserendovi il progetto di ampliamento cimiteriale. Orbene, secondo l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (Sez. V, 23.10.2002 n. 5824) e da questa Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 16.12.2011 n. 5876), l’inserimento di un’opera pubblica nel programma triennale incide sull’interesse dei privati per il fatto che l’opera contestata fino al momento della sua inclusione nell’atto di programmazione in parola non era realizzabile mentre, successivamente a tale determinazione, ne è doverosa la realizzazione nel triennio secondo l’ordine di priorità del programma approvato e con le disponibilità finanziarie specificamente apprestate.
Si è quindi osservato che, con l’inserimento dell’opera nel programma di opere pubbliche, la valutazione decisiva sulla utilità e fattibilità della medesima da parte dell’ente locale vi è stata e la comunità locale deve prendere atto che una certa quantità di risorse finanziarie, personali ed organizzative dell’amministrazione locale è destinata a questa priorità, anziché ad altre opere ed interventi pur richiesti ma cionondimeno esclusi dalla programmazione e quindi, almeno temporaneamente, dalla realizzazione.
Non si tratta, quindi, di un’attività meramente interna degli organi comunali di programmazione finanziaria e di razionalizzazione della spesa, ma invece di un atto fondamentale di individuazione degli obiettivi concreti da raggiungere da parte degli organi di governo dell’ente, cui corrisponde la facoltà di verifica dei cittadini, singoli o associati, sulla congruità e correttezza delle scelte effettuate
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.07.2012 n. 3156 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ESPROPRIAZIONE: L'adozione del decreto di occupazione temporanea e d'urgenza, emanato dopo l'entrata in vigore dell'art. 45, D.Lgs. 31.03.1998 n. 80, è di competenza del funzionario dirigente dell'Ufficio tecnico dell'amministrazione procedente, atteso che detta norma attribuisce alla dirigenza la competenza ad adottare tutti gli atti di gestione, inclusi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno.
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La mancata determinazione della indennità di esproprio (così come la mancata corresponsione effettiva) non costituisce requisito di validità o di legittimità del decreto di esproprio e non può costituire in alcun modo vizio invalidante la procedura espropriativa.

Il provvedimento è stato legittimamente adottato dal Dirigente, con conseguente infondatezza della censura di incompetenza: difatti, l'adozione del decreto di occupazione temporanea e d'urgenza, emanato dopo l'entrata in vigore dell'art. 45, D.Lgs. 31.03.1998 n. 80, è di competenza del funzionario dirigente dell'Ufficio tecnico dell'amministrazione procedente, atteso che detta norma attribuisce alla dirigenza la competenza ad adottare tutti gli atti di gestione, inclusi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno (Consiglio di Stato, Sez. IV, 09.11.2005 n. 6259; TAR Campania, Salerno, 30.06.2006 n. 897).
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Infine, la mancata determinazione della indennità di esproprio (così come la mancata corresponsione effettiva) non costituisce requisito di validità o di legittimità del decreto di esproprio e non può costituire in alcun modo vizio invalidante la procedura espropriativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.06.2010 n. 4176).
Peraltro, dalla documentazione versata agli atti di causa dalla intimata amministrazione emerge che la contestazione è infondata in fatto in quanto, con nota prot. 13938 del 23.10.2007 (indirizzata anche al ricorrente) il Comune ha determinato tale indennità
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.07.2012 n. 3156 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATATrattandosi di provvedimento intervenuto prima del mese di gennaio del 1998, la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale.
Soltanto con l'art. 2, l. 16.06.1998 n. 191 si è avuta l'estensione della responsabilità gestionale anche in capo ai responsabili dei servizi (non dirigenti) nominati dal sindaco, nonché l'attribuzione in capo ai medesimi (ed alla stessa dirigenza) della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale; è pertanto viziata da incompetenza l'ordinanza di demolizione emessa dal responsabile del servizio urbanistica prima dell'entrata in vigore della l. n. 191, citata, e ciò anche ove tale potere fosse contemplato dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del comune, non potendo detta fonte secondaria ritenersi idonea ad innovare il regime delle competenze ancor prima che fosse modificato l'art. 6, l. 15.05.1997 n. 127 ad opera dell'art. 2 comma 13, l. n. 191, citato.
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I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi e l'ordine di demolizione sono atti a contenuto vincolato, tali da non richiedere alcun avviso di inizio del procedimento.
L'ordine di demolizione è atto dal contenuto dovuto, che non richiede previo avviso di inizio del procedimento, né motivazione che ecceda la descrizione dell'abuso.

Il Collegio rileva, in conformità all'indirizzo giurisprudenziale consolidato, che, nel caso di specie, trattandosi di provvedimento intervenuto prima del mese di gennaio del 1998, la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale ("Sotto la vigenza degli art. 51 l. 08.06.1990 n. 142, e 6 l. 15.05.1997 n. 127, legittimamente il provvedimento che dispone la demolizione d'ufficio di un manufatto abusivo è adottato dal sindaco e non dal dirigente, essendo stata la detta competenza trasferita ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998 n. 191" cfr., ex plurimis, TAR Napoli Campania sez. VI, 30.04.2008, n. 3072, TAR Lazio Latina, 24.08.1998 , n. 664).
Del resto, soltanto con l'art. 2, l. 16.06.1998 n. 191 si è avuta l'estensione della responsabilità gestionale anche in capo ai responsabili dei servizi (non dirigenti) nominati dal sindaco, nonché l'attribuzione in capo ai medesimi (ed alla stessa dirigenza) della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale; è pertanto viziata da incompetenza l'ordinanza di demolizione emessa dal responsabile del servizio urbanistica prima dell'entrata in vigore della l. n. 191, citata, e ciò anche ove tale potere fosse contemplato dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del comune, non potendo detta fonte secondaria ritenersi idonea ad innovare il regime delle competenze ancor prima che fosse modificato l'art. 6, l. 15.05.1997 n. 127 ad opera dell'art. 2 comma 13, l. n. 191, citato (cfr., TAR Latina Lazio sez. I, 05.06.2007, n. 412).
Ne deriva, pertanto, che il provvedimento impugnato è stato legittimamente adottato dal Sindaco del Comune di Robbiate.
In relazione alle altre doglianze dedotte dal ricorrente e, in particolare, al mancato invio da parte del Comune dell’avviso di avvio del procedimento, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, secondo cui i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi e, nel caso di specie, l'ordine di demolizione sono atti a contenuto vincolato, tali da non richiedere alcun avviso di inizio del procedimento (cfr., TAR Roma Lazio sez. I, 10.04.2012, n. 3264).
L'ordine di demolizione è atto dal contenuto dovuto, che non richiede previo avviso di inizio del procedimento, né motivazione che ecceda la descrizione dell'abuso (da ultimo, TAR Roma Lazio sez. I, 10.04.2012, n. 3265 e Cons. Stato, sez. IV, n. 4764 del 2011)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.07.2012 n. 1885 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: La competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino al giugno del 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco (o all’Assessore competente per materia) e non all'organo dirigenziale essendo stata la stessa trasferita espressamente ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191.
Ciò, beninteso, in assenza di norme regolamentari che, nei singoli Comuni, in forza della previgente normativa primaria a partire dalla l. 142 del 1990, avessero già attuato “il principio legislativo” del trasferimento delle competenze dal sindaco agli organi dirigenziali del Comune.
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L’efficacia dei provvedimenti di demolizione non è suscettibile di essere paralizzata dalla successiva presentazione di istanze (di accertamento di conformità, compatibilità paesaggistica o quant’altro) che non incidono sulla legittimità dei provvedimenti sanzionatori in precedenza emanati, ma unicamente sulla possibilità dell’amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione “autonomamente valutando gli effetti” delle sopravvenute istanze a detti fini; conclusione questa che si impone anche nella considerazione che il legislatore ha imposto un regime di sospensione automatico ex lege solo in seno alla legislazione condonistica straordinaria (artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad essi operati da quella del 1994 e del 2003) e non in presenza di istanze di accertamenti di conformità urbanistica o di verifiche di compatibilità paesaggistiche.

Secondo la costante giurisprudenza della sezione, la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino al giugno del 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco (o all’Assessore competente per materia) e non all'organo dirigenziale essendo stata la stessa trasferita espressamente ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191 (cfr., ex multis, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 05.06.2012, n. 2365; 23.05.2012, n. 2373; 30.04.2008, n. 3072; 03.04.2008, n. 1832; cfr. ancora, negli stessi sensi, Tar Toscana, Firenze, sezione terza, 26.11.2010, n. 6627).
Ciò, beninteso, in assenza di norme regolamentari che, nei singoli Comuni, in forza della previgente normativa primaria a partire dalla l. 142 del 1990, avessero già attuato “il principio legislativo” del trasferimento delle competenze dal sindaco agli organi dirigenziali del Comune (cfr. Cons. Stato, sezione quinta, 06.03.2000, n. 1149 e Tar Campania, sempre questa sesta sezione, 05.06.2012, n. 2365 cit.): circostanza, questa, la cui sussistenza qui non è dedotta.
Migliore sorte non può essere riservata al secondo mezzo di impugnazione poiché il provvedimento -in assenza di ogni replica di merito ex latere attoreo in questa sede processuale- reca giustificazione esaustiva nell’indicazione dell’opera realizzata e nella pure dichiarata assenza di titolo abilitativo idoneo alla bisogna, senza che possa poi essere predicata alcuna violazione delle garanzie partecipative stante la doverosità di intervenire irrogando la sanzione ripristinatoria, quale dovuta nelle fin qui descritte circostanze (cfr. Cons. Stato, sezione quinta, sentenza 07.04.2011 n. 2159, sezione quarta, 05.03.2010, n. 1277 e, ex multis, Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 2636 del 05.06.2012 cit., n. 1241 del 09.05.2012; n. 1114 del 05.03.2012, n. 1107 sempre del 05.03.2012; n. 5805 del 14.12.2011 e nn. 2074 e 2076 del 21.04.2010).
La stessa sorte reiettiva deve essere assicurata al terzo ed ultimo motivo che residua all’esame, in quanto, sempre a differenza di quanto suo tramite sostenuto, in presenza di opere edilizie realizzate senza titoli idonei su area vincolata, per far luogo all’emanazione del provvedimento sanzionatorio in concreto adottato non era necessario:
- anche avuta presente la legislazione della regione Campania, acquisire il previo parere della Commissione Edilizia Integrata (cfr. Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, n. 2293 del 18.05.2012, n. 1107 del 05.03.2012 cit., n. 2126 del 13.04.2011, n. 1770 del 07.04.2010, n. 3530 del 26.06.2009 e n. 2885 del 27.03.2007);
- far luogo a previ accertamenti di danni ambientali: in re ipsa (cfr. la stessa giurisprudenza di cui sopra).
Quanto, poi, all’ipotizzata suscettibilità di un positivo accertamento di conformità urbanistica ex art. 13 della l. 47 del 1985 (oggi art. 36 del d.P.R. 380 del 2001) per consolidato orientamento della Sezione, confortato da pronunce del giudice di appello, l’efficacia dei provvedimenti di demolizione non è suscettibile di essere paralizzata dalla successiva presentazione di istanze (di accertamento di conformità, compatibilità paesaggistica o quant’altro) che non incidono sulla legittimità dei provvedimenti sanzionatori in precedenza emanati, ma unicamente sulla possibilità dell’amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione “autonomamente valutando gli effetti” delle sopravvenute istanze a detti fini; conclusione questa che si impone anche nella considerazione che il legislatore ha imposto un regime di sospensione automatico ex lege solo in seno alla legislazione condonistica straordinaria (artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad essi operati da quella del 1994 e del 2003) e non in presenza di istanze di accertamenti di conformità urbanistica o di verifiche di compatibilità paesaggistiche (cfr., amplius, anche per i richiami giurisprudenziali, la recentissima pronuncia della Sezione n. 2644 del 05.06.2012) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 02.07.2012 n. 3107 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Rientrano nelle competenze dei dirigenti anche i provvedimenti che gli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 285/1992 attribuiscono espressamente al Sindaco, trattandosi di atti che per un verso non implicano l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo ma di gestione ordinaria (nella specie per regolamentare la circolazione e la sosta nel centro abitato per ragioni di sicurezza e di ordinato flusso del traffico) e per altro verso non rientrano nelle deroghe di cui all'art. 50 e 54 dello stesso D.Lgs. 267/2000.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato in relazione al profilo dell’incompetenza del Sindaco all’adozione del provvedimento impugnato.
Come affermato dalla giurisprudenza, da cui il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi, "rientrano nelle competenze dei dirigenti anche i provvedimenti che gli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 285/1992 attribuiscono espressamente al Sindaco, trattandosi di atti che per un verso non implicano l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo ma di gestione ordinaria (nella specie per regolamentare la circolazione e la sosta nel centro abitato per ragioni di sicurezza e di ordinato flusso del traffico) e per altro verso non rientrano nelle deroghe di cui all'art. 50 e 54 dello stesso D.Lgs. 267/2000" (così TAR Veneto, Sez. I, 31.05.2002, n. 2462, ma anche, più recentemente, TAR Lombardia Milano Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 1317) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 19.06.2012 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALIMentre alla Giunta Comunale è attribuito il compito di adottare atti di indirizzo che impegnano dirigenti e responsabili degli uffici e dei servizi (nei Comuni privi di qualifica dirigenziale), ai Dirigenti competono, ai sensi del successivo comma 3 dell’art. 107, le modalità per assolvere ai compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi nonché numerose funzioni con rilevanza esterna, essendo titolari non solo della gestione amministrativa, ma anche di quella finanziaria e tecnica, attraverso degli autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo anche e soprattutto nella materia degli appalti pubblici: in tale ottica si spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti degli enti locali, della competenza a presiedere le commissioni di gara e di concorso, delle responsabilità delle procedure di appalto e di concorso, e, di conseguenza, anche della nomina della commissione giudicatrice, mediante disposizioni immediatamente applicabili, senza necessità d'interposizione di apposite fonti secondarie.
Con riferimento ai Comuni di piccole dimensione, nei quali risulta difficile individuare una figura dirigenziale, trova applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco un’ampia discrezionalità nel delegare, con provvedimento motivato, dette funzioni gestionali, ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, non consente, però, neanche in lettura combinata con l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo modificato dall’art. 29, comma IV, L. 448/2001, che, nei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di affidare, mediante espresse disposizioni regolamentari, la responsabilità degli uffici e dei servizi nonché il potere di adottare atti anche di natura tecnica- gestionale, in capo all’intera Giunta, in sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto in capo al componente dell’organo esecutivo, uti singulo.
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Nell'attuale assetto normativo, il Segretario Comunale mantiene con il comune un mero rapporto organico e non di servizio, ha istituzionalmente compiti di collaborazione, di assistenza giuridico-amministrativa e di sovrintendenza e di coordinamento del personale dirigenziale (in presenza di determinati presupposti), di consulenza, di verbalizzazione e di ufficiale rogante per tutti i contratti di cui il comune è parte, per cui non può espletare altre specifiche funzioni, come la presidenza di una Commissione di gara o la direzione di un ufficio, in assenza di un'espressa previsione statutaria o regolamentare.

Con il primo motivo, parte ricorrente deduce che la Commissione di Gara sarebbe stata nominata dalla Giunta Comunale, con Delibera n. 17 del 2011, anziché dal competente Responsabile del Settore Urbanistica.
Viene dedotta la violazione degli articoli 84, comma 2°, del D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in relazione al principio della separazione tra poteri di indirizzo e controllo politico amministrativo, spettanti agli organi di governo, e poteri di gestione ammi-nistrativa finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, in base al quale spetta ai dirigenti “la responsabilità delle procedure di appalto e di concessione” e, quindi, di qualsiasi provvedimento di natura tecnico gestionale, tra cui rientra sicuramente anche la nomina della commissione di gara .
Si tratta di una norma che generalizza ed estende a tutti i contratti pubblici di lavori, servizi, forniture la disciplina originariamente prevista, quanto agli appalti per lavori pubblici, dall’art. 21 della legge 109/1994, in tema di nomina e costituzione della commissione giudicatrice, allorquando il criterio di aggiudicazione prescelto è quello dell’offerta economica più vantaggiosa.
Per correttezza espositiva, va evidenziato che, con sentenza Corte Cost. n. 401 del 23.11.2007, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 84, commi 2, 3, 8 e 9, D.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui vincolava le Regioni all’osservanza di norme in materia di composizione e modalità di nomina dei componenti delle commissioni di gara, anziché disporre che le disposizioni abbiano carattere suppletivo e cedevole rispetto ad una divergente normativa regionale (sia che abbia già diversamente disposto o che disponga per l’avvenire), trattandosi di profili che non rientrano nella materia della tutela della concorrenza, ma nella materia della organizzazione amministrativa, che compete alle Regioni .
Ma di una disposizione legislativa regionale, che abbia disposto sul punto in divergenza rispetto alle previsioni invocate, non vi è traccia nel caso di specie.
I rapporti tra Giunta Comunale ed apparato burocratico trovano disciplina generale nell’art. 107, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000, secondo cui agli organi di governo spettano i poteri di indirizzo e di controllo ed ai dirigenti spetta la gestione amministrativa.
Il principio di separazione dei poteri tra organi politici e dirigenti è poi ripreso dal comma 2° del medesimo art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, il quale precisa che spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservano agli organi di governo dell’ente e/o che non rientrano tra le funzioni del segretario o del direttore generale.
Dall’esegesi di queste norme, si evince chiaramente che, mentre alla Giunta Comunale è attribuito il compito di adottare atti di indirizzo che impegnano dirigenti e responsabili degli uffici e dei servizi (nei Comuni privi di qualifica dirigenziale), ai Dirigenti competono, ai sensi del successivo comma 3 dell’art. 107, le modalità per assolvere ai compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi nonché numerose funzioni con rilevanza esterna, essendo titolari non solo della gestione amministrativa, ma anche di quella finanziaria e tecnica, attraverso degli autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo anche e soprattutto nella materia degli appalti pubblici: in tale ottica si spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti degli enti locali, della competenza a presiedere le commissioni di gara e di concorso, delle responsabilità delle procedure di appalto e di concorso, e, di conseguenza, anche della nomina della commissione giudicatrice, mediante disposizioni immediatamente applicabili, senza necessità d'interposizione di apposite fonti secondarie (conf.: Cons. Stato, Sez. V 28.12.2007 n. 6723).
Con riferimento ai Comuni di piccole dimensione, nei quali risulta difficile individuare una figura dirigenziale, trova applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco un’ampia discrezionalità nel delegare, con provvedimento motivato, dette funzioni gestionali, ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, non consente, però, neanche in lettura combinata con l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo modificato dall’art. 29, comma IV, L. 448/2001, che, nei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di affidare, mediante espresse disposizioni regolamentari, la responsabilità degli uffici e dei servizi nonché il potere di adottare atti anche di natura tecnica- gestionale, in capo all’intera Giunta, in sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto in capo al componente dell’organo esecutivo, uti singulo.
Nel caso di specie, invece, la nomina della commissione di gara è stata posta in essere dalla Giunta Comunale Comunale, con l’impugnata Deliberazione n. 17 del 19.01.2011.
Ne discende l’accoglimento della presente censura.
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Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce che la presidenza della commissione di gara, in violazione degli artt. 107, comma 3, lett. a), D. L.vo 267/2000 e 84, comma 3, D. L.vo 163/2006, non sarebbe stata attribuita al Responsabile del Settore, ma al segretario comunale, peraltro con motivazioni genericamente riferibili ad esigenze di servizio e ad eccessivo carico di lavoro al fine di non pregiudicare il normale funzionamento del servizio (Deliberazione G.C. n. 49/2011).
L’art. 84, comma 3°, del D. Lgs 12.04.2006 n. 163 stabilisce: “La commissione è presieduta da un dirigente della stazione appaltante, nominato dall'organo competente”.
Ed invero, nell'attuale assetto normativo, il Segretario Comunale, mantiene con il comune un mero rapporto organico e non di servizio, ha istituzionalmente compiti di collaborazione, di assistenza giuridico-amministrativa e di sovrintendenza e di coordinamento del personale dirigenziale (in presenza di determinati presupposti), di consulenza, di verbalizzazione e di ufficiale rogante per tutti i contratti di cui il comune è parte, per cui non può espletare altre specifiche funzioni, come la presidenza di una Commissione di gara o la direzione di un ufficio, in assenza di un'espressa previsione statutaria o regolamentare.
Ma, nel caso di specie, non vi è traccia in atti dell’esistenza di siffatta previsione statutaria o regolamentare.
Pertanto, la censura merita adesione
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 06.06.2012 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI - TRIBUTIQuale organo comunale è competente a modificare la TIA? (04.06.2012 - link a www.ambientelegale.it).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ordinanza del comandante.
Quesito: il comandante della polizia municipale può adottare un'ordinanza con la quale vengono apportate modifiche alla viabilità urbana?

Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui dovrebbero derivare le eventuali modificazioni alla viabilità- secondo quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Cds viene aggiornato ogni due anni. Il predetto Put, essendo uno strumento di programmazione e, dunque, a valenza generale, è demandato all'approvazione degli organi collegiali del Comune.
Occorre tenere presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5 del dlgs n. 267/2000 prevede che «le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III (consiglio, giunta e sindaco) l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54» dello stesso decreto legislativo.
Talché, le competenze assegnate, in particolare dal codice della strada, al sindaco (fuori dei casi di cui ai citati articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si intendono oggi demandate al dirigente. Sul punto la giurisprudenza (Tar Lombardia, sentenza 13/01/2003, n. 904) ha specificato che «al di fuori dei provvedimenti contingibili e urgenti, il sindaco non può adottare un'ordinanza in materia di viabilità ordinaria, esercitando altrimenti un atto di gestione che compete in via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di Brescia- con la sentenza 08.01.2011, n. 10 ha ribadito tale principio affermando che l'art. 7 del codice della strada, che assegna al sindaco il potere di regolamentare la circolazione dei veicoli, va coordinato con la posteriore norma del già citato art. 107. La competenza del sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve, quindi, ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Come notorio, già con la legge 142/1990 (poi recepita nel D.Lgs. 267/2000, art. 107) è stata introdotta la netta separazione tra l'esercizio dei poteri politici, di spettanza esclusiva degli organi di amministrazione del comune, e l'esercizio di quelli amministrativi, tra cui rientra senz'altro la nomina della commissione di concorso, di spettanza esclusiva degli organi burocratici.
Ne consegue che gli atti impugnati devono essere annullati per incompetenza della giunta comunale ad adottare atti espressione dell'esercizio di un potere amministrativo, tra cui la nomina della commissione di concorso, di spettanza esclusiva dei dirigenti dell'ente, con conseguente annullamento delle operazioni di gara e l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.

Preliminarmente deve essere esaminata la censura di illegittimità delle deliberazioni di nomina della commissione giudicatrice del concorso e della delibera di C.C. n. 79/1995, art. 48, co. 1, di approvazione del regolamento organico del comune di Latina (vigente in virtù dell’art. 47 delle norme regolamentari sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, approvate con delibera commissariale n. 122/2011) per incompetenza della giunta comunale, organo politico, alla nomina della commissione di concorso in luogo del dirigente, organo burocratico.
La censura merita accoglimento posto che, come notorio, già con la legge 142/1990 (poi recepita nel D.Lgs. 267/2000, art. 107) è stata introdotta la netta separazione tra l'esercizio dei poteri politici, di spettanza esclusiva degli organi di amministrazione del comune, e l'esercizio di quelli amministrativi, tra cui rientra senz'altro la nomina della commissione di concorso (cfr. TAR Sardegna n. 1093, del 29.09.2003), di spettanza esclusiva degli organi burocratici.
Ne consegue che gli atti impugnati devono essere annullati per incompetenza della giunta comunale ad adottare atti espressione dell'esercizio di un potere amministrativo, tra cui la nomina della commissione di concorso, di spettanza esclusiva dei dirigenti dell'ente, con conseguente annullamento delle operazioni di gara e l’assorbimento degli altri motivi di ricorso (TAR Lazio-Latina, sentenza 29.05.2012 n. 412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIAl sindaco non serve il placet per la costituzione in giudizio.
Mani libere al sindaco. L'azione giudiziaria o l'impugnazione per conto del comune possono essere ben promosse direttamente dal primo cittadino senza una delibera ad hoc della giunta che lo autorizza a procedere. Con l'elezione diretta, infatti, il capo dell'amministrazione locale risulta portatore di un'investitura che proviene senza mediazione dagli stessi cittadini, mentre sono gli assessori a trovare nel sindaco la loro fonte di legittimazione. Insomma: non c'è bisogno di alcun placet della giunta affinché l'ente locale stia in giudizio.
Lo chiarisce il
TAR Sicilia-Catania, Sez. II, con la sentenza 28.05.2012 n. 1348
L'autorizzazione alle liti aveva un senso quando il sindaco era eletto dal Consiglio comunale e la giunta era comunque espressione del «parlamentino» locale. Ma da quasi vent'anni è il primo cittadino, eletto direttamente dal popolo, che si sceglie la sua squadra per governare l'amministrazione. Né bisogna dimenticare le modifiche al titolo V, parte seconda, della Costituzione che hanno accentuato il grado di indipendenza degli enti locali, che ormai rientrano nella categoria delle «autonomie territoriali».
Alla giunta sono conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non sono riservate dalla legge al Consiglio; ai dirigenti comunali spetta la guida degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, oltre che tutti i compiti non compresi espressamente tra le funzioni di indirizzo.
Niente da fare, nel caso di specie, per il candidato escluso da un concorso bandito da un comune del Messinese per la nomina del responsabile del settore affari generali e vicesegretario dell'ente locale. L'aspirante dirigente sostiene che l'atto di opposizione al ricorso straordinario sarebbe irrituale perché sottoscritto dal sindaco senza previa deliberazione della giunta. Ma quell'opposizione non ha natura processuale (nonostante un isolato precedente giurisdizionale di segno contrario).
L'eventuale passaggio dal ricorso straordinario alla sede giurisdizionale, infatti, segna anche la modifica del regime degli atti, che devono qualificarsi come processuali solo nel momento in cui si è realizzata definitivamente la trasposizione dal piano del ricorso straordinario a quello del ricorso giurisdizionale (articolo ItaliaOggi del 22.06.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIAi fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia).

Come, infatti, affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Civ, I, n. 13412/2006, Cass. Civ., Sez. Un., n. 17550/2002 e n. 12868/2005; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I n. 880 del 04.07.2008, Cons. Stato, sez. VI n. 33 del 07.01.2008), la vigente disciplina regionale non include più fra le competenze della Giunta Comunale le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive.
La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto, si fondava, in ambito nazionale, sull’art. 35, secondo comma, legge n. 142/1990, secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.
La norma ha trovato applicazione anche nella Regione siciliana, avente competenza legislativa esclusiva sull’ordinamento degli enti locali ai sensi dell’art. 14, lett. p), dello Statuto Regionale, atteso che, con legge regionale n. 48/1991, la legge n. 142/1990 è stata recepita nell’ordinamento regionale senza alcuna modifica.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla menzionata legge n. 142/1990 e completato dalle disposizioni successive fino all’approvazione del d.p.r. n. 267 del 2000, ha indotto, però, le Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. n. 17550/2002 e n. 12868/2005) a rivedere il precedente orientamento, anche in considerazione del fatto che la modifica del titolo V della Costituzione, nonché la successiva legge n. 131/2003 di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti (ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia) (TAR Sicilia-catania, Sez. II, sentenza 28.05.2012 n. 1348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: La valutazione di compatibilità del PGT al PTCP non si configura affatto né come atto di indirizzo, né come espressione di un potere di controllo politico, ma tende alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale ed è, pertanto, riconducibile alle attribuzioni dirigenziali. 
La valutazione di compatibilità del P.G.T. rispetto al P.T.C.P. non può essere intesa come limitata ad un mero riscontro della conformità estrinseca del piano comunale alle previsioni ad efficacia prescrittiva e prevalente del piano provinciale.
Inteso in tal modo, infatti, non soltanto il rapporto di collaborazione istituzionale fra i due enti verrebbe del tutto svilito, ma neppure si comprenderebbe il senso della previsione contenuta nel comma di apertura dell’art. 18 della legge regionale n. 12/2005.
Detta prescrizione, infatti, pone in luce la portata, teleologicamente orientata, della valutazione che fa capo alla Provincia, nel senso di valorizzare l’accertamento dell’idoneità dell’atto comunale al raggiungimento degli obiettivi del piano di coordinamento.
Non va trascurato, poi, quanto già sostenuto da questo Tribunale, proprio facendo leva sul presupposto che sia istituzionalmente demandata alla provincia la tutela dei valori paesaggistici, cosicché non appare illegittimo:<<… che tale potere si esprima mediante raccomandazioni affinché il Comune riveda le proprie previsioni: e ciò perché tali raccomandazioni, indicazioni o inviti, ispirati alla tutela dei valori ambientali, ben si rapportano a quella funzione (ed efficacia) di orientamento, indirizzo e coordinamento che l’art. 2, quarto comma, della legge regionale citata attribuisce espressamente al piano territoriale regionale ed ai piani territoriali di coordinamento provinciali>>.
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Il Consiglio di Stato ha statuito che la lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”, sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare)”.
Tale conclusione è perfettamente applicabile anche al caso in esame, in cui la Provincia è chiamata ad esprimere una “valutazione di compatibilità” tra due strumenti urbanistici di diverso livello, al fine di verificare, dal riscontro tra le previsioni dell’uno e dell’altro, se quello sottordinato (PGT) rispetti le previsioni del piano sovraordinato (PTCP).
Si tratta di un riscontro che non implica alcuna di quelle scelte di indirizzo che radicano la competenza del consiglio provinciale, ex art. 42, primo comma, t.u.e.l., che definisce il consiglio come “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
Tanto basta a disattendere la tesi secondo cui la valutazione di compatibilità in questione sarebbe riservata al consiglio provinciale.
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L’art. 13, quinto comma, della legge regionale n. 12/2005 dispone che: “qualora il comune abbia presentato anche proposta di modifica o integrazione degli atti di pianificazione provinciale, le determinazioni in merito sono assunte con deliberazione di giunta provinciale”.
Si desume da ciò che la competenza della giunta provinciale si prospetti nel solo caso in cui occorra delibare se la proposta di modifica sia o meno assentibile ai fini della sospensione ovvero del proseguimento della procedura di approvazione del PGT, secondo una delle opzioni previste dallo stesso comma, ferma restando comunque la competenza del consiglio provinciale per la “definitiva approvazione…. della modifica dell’atto di pianificazione provinciale”.
L’art. 48 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (t.u.e.l.), d’altro canto, demanda alla giunta gli atti che non sono riservati al consiglio e che non rientrano nelle competenze del presidente o nelle attribuzioni dei dirigenti.
A questi ultimi, l’art. 107, secondo comma, del t.u. assegna “tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente” (secondo comma), nonché (terzo comma) “l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo.
Ai dirigenti competono, tra l’altro (art. 107, secondo comma, lettera f), “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”; nonché (lettera h) “le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza”.
Se si considera che la valutazione di compatibilità in questione mira esclusivamente a verificare, attraverso la comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del P.T.C.P. da parte del piano comunale di governo del territorio e non implica profili di discrezionalità, se si eccettuano quelli insiti nella valutazione della idoneità dell’atto al conseguimento degli obiettivi del piano (arg. ex art. 18 co. I cit.), se ne trae la conferma che essa non si configura affatto né come atto di indirizzo, né come espressione di un potere di controllo politico, ma tenda alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, e sia, pertanto, riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.
Con il primo motivo, la Società lamenta, in sintesi, la violazione di legge e l’eccesso di potere poiché, ai sensi degli artt. 13, co. V, e 18, co. II, della legge regionale Lombardia n. 12/2005, la Provincia avrebbe dovuto valutare esclusivamente la compatibilità del P.G.T con le previsioni prescrittive e vincolanti del proprio P.T.C.P., onde salvaguardare l’autonomia comunale in ambito pianificatorio. Si comprende, così, prosegue l’istante, l’illegittimità dell’operato provinciale, per avere violato l’ambito dei poteri pianificatori riservato al Comune, atteso che nessuna delle previsioni prescrittive del P.T.C.P. di Como riguarderebbe l’ambito di proprietà della Società.
Sul punto, la difesa comunale contro-deduce affermando che la Provincia, in sede di valutazione di compatibilità del P.G.T. col P.T.C.P., non dovrebbe affatto limitarsi al mero riscontro formale delle previsioni di cui all’art. 18, co. II cit., ma, in forza del co. I della stessa norma, dovrebbe valutare la compatibilità dell’intera struttura del piano urbanistico comunale con i principi ispiratori del P.T.C.P.
A supporto di tale tesi, il Comune cita il precedente giurisprudenziale di questo TAR n. 4301/2009.
Anche la Provincia di Como svolge analoghe difese, contro-deducendo ai motivi nn. 1, 2 e 10 (ritenuti connessi) con cui viene attaccato l’operato provinciale.
Così, a proposito della valutazione, di spettanza provinciale, di conformità al P.T.C.P., viene richiamata la sentenza del C.d.S. n. 24/2011, nonché l’art. 11 delle N.T.A. del P.T.C.P. il quale, nell’indicare le componenti essenziali della rete ecologica, menziona anche quelle zone che, pur non essendo cartograficamente comprese nella rete ecologica, rivestono la medesima valenza ambientale, assicurando una funzione di cuscinetto in vista e in aderenza ai principi dello sviluppo sostenibile.
Senza trascurare, poi, prosegue la Provincia, che il comparto de quo sarebbe interessato da un’area seppur marginale di pertinenza idraulica.
Da ultimo, la Provincia ribadisce come l’art. 18 della cit. legge reg. preveda che le valutazioni di compatibilità rispetto al P.T.C.P. concernano l’accertamento dell’idoneità dell’atto scrutinato ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati dal piano, salvaguardando i limiti di sostenibilità ivi previsti. In tal senso, andrebbe valorizzata la previsione dell’art. 1 delle N.T.A. del P.T.C.P. di Como, che contemplerebbe fra gli obiettivi strategici proprio la tutela dell’ambiente e la valorizzazione degli ecosistemi, l’assetto idrogeologico e la difesa del suolo. Ed è in tale contesto, conclude la Provincia, che si collocherebbe la valutazione operata con la deliberazione impugnata in ordine all’area dell’esponente, i cui caratteri specifici ne giustificherebbero l’inserimento nel novero degli <<ambiti boschivi della rete ecologica locale>>, disciplinati dall’art. 41 del Piano delle Regole del P.G.T. del Comune.
Il motivo è infondato.
Al riguardo il Collegio ritiene, in primo luogo, di dover chiarire che la valutazione di compatibilità del P.G.T. rispetto al P.T.C.P. non può essere intesa, come vorrebbe parte ricorrente, come limitata ad un mero riscontro della conformità estrinseca del piano comunale alle previsioni ad efficacia prescrittiva e prevalente del piano provinciale.
Inteso in tal modo, infatti, non soltanto il rapporto di collaborazione istituzionale fra i due enti verrebbe del tutto svilito, ma neppure si comprenderebbe il senso della previsione contenuta nel comma di apertura dell’art. 18 della legge regionale n. 12/2005.
Detta prescrizione, infatti, pone in luce la portata, teleologicamente orientata, della valutazione che fa capo alla Provincia, nel senso di valorizzare l’accertamento dell’idoneità dell’atto comunale al raggiungimento degli obiettivi del piano di coordinamento.
Non va trascurato, poi, quanto già sostenuto da questo Tribunale, proprio facendo leva sul presupposto che sia istituzionalmente demandata alla provincia la tutela dei valori paesaggistici, cosicché non appare illegittimo:<<… che tale potere si esprima mediante raccomandazioni affinché il Comune riveda le proprie previsioni: e ciò perché tali raccomandazioni, indicazioni o inviti, ispirati alla tutela dei valori ambientali, ben si rapportano a quella funzione (ed efficacia) di orientamento, indirizzo e coordinamento che l’art. 2, quarto comma, della legge regionale citata attribuisce espressamente al piano territoriale regionale ed ai piani territoriali di coordinamento provinciali>> (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, n. 4301 del 06.07.2009).
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Con il quinto motivo si deduce il vizio di incompetenza del parere di compatibilità provinciale, in quanto adottato dal dirigente, anziché dagli organi politici.
In particolare, secondo l’istante qui si tratterebbe di un giudizio sugli strumenti urbanistici comunali, che fuoriesce dall’ambito prescrittivo del PTCP e, dunque, di una valutazione ampiamente discrezionale, che esulerebbe dalla competenza gestionale per radicarsi in quella degli organi di governo, deputati al controllo politico amministrativo.
Il motivo è infondato.
Il Collegio ritiene qui opportuno richiamare un precedente in cui, in una vicenda analoga, il Consiglio di Stato ha statuito (sentenza 28.05.2009 n. 3333, Sez. IV) che la lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”, sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare)”.
Tale conclusione è perfettamente applicabile anche al caso in esame, in cui la Provincia è chiamata ad esprimere una “valutazione di compatibilità” tra due strumenti urbanistici di diverso livello, al fine di verificare, dal riscontro tra le previsioni dell’uno e dell’altro, se quello sottordinato (PGT) rispetti le previsioni del piano sovraordinato (PTCP).
Si tratta di un riscontro che non implica alcuna di quelle scelte di indirizzo che radicano la competenza del consiglio provinciale, ex art. 42, primo comma, t.u.e.l., che definisce il consiglio come “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo” (cfr. in terminis, TAR Lombardia, Milano, II, 28.07.2009 n. 4468).
Tanto basta a disattendere la tesi secondo cui la valutazione di compatibilità in questione sarebbe riservata al consiglio provinciale.
Si tratta ora, una volta esclusa -per le ragioni esposte al punto che precede- una riserva di competenza al consiglio provinciale, di esaminare la censura della Società secondo cui la competenza in materia apparterrebbe alla giunta provinciale, anch’essa “organo di governo dell’ente” (art. 36 t.u.e.l.).
Al riguardo, va osservato che, la cit. sentenza n. 3333/2009 del Consiglio di Stato, menzionata da parte ricorrente, non ha affermato (positivamente e definitivamente) la competenza della giunta provinciale, ma si è limitata ad escludere la riserva di competenza al consiglio, in una fattispecie in cui la valutazione di compatibilità -rispetto al sopraordinato PTCP- di un P.I.I. (programma integrato di intervento), adottato da altro comune in variante al PRG, era stata effettuata dalla giunta provinciale con provvedimento impugnato per incompetenza.
Non si può, dunque, trarre argomento, sic et simpliciter, dalla sentenza citata per desumerne tout court la competenza della giunta e l’incompetenza del dirigente.
In verità, ritiene il Collegio che al quesito di cui sopra (se cioè nella vicenda in esame sia stato invaso un ambito di attribuzioni riservato alla giunta provinciale) debba darsi risposta negativa, richiamando quanto già sostenuto da questo stesso Tribunale proprio nella cit. sentenza n. 4468/2009.
All’uopo, va considerato che l’art. 13, quinto comma, della legge regionale n. 12/2005 dispone che: “qualora il comune abbia presentato anche proposta di modifica o integrazione degli atti di pianificazione provinciale, le determinazioni in merito sono assunte con deliberazione di giunta provinciale”. Si desume da ciò che la competenza della giunta provinciale si prospetti nel solo caso in cui occorra delibare se la proposta di modifica sia o meno assentibile ai fini della sospensione ovvero del proseguimento della procedura di approvazione del PGT, secondo una delle opzioni previste dallo stesso comma, ferma restando comunque la competenza del consiglio provinciale per la “definitiva approvazione…. della modifica dell’atto di pianificazione provinciale”.
L’art. 48 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (t.u.e.l.), d’altro canto, demanda alla giunta gli atti che non sono riservati al consiglio e che non rientrano nelle competenze del presidente o nelle attribuzioni dei dirigenti.
A questi ultimi, l’art. 107, secondo comma, del t.u. assegna “tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente” (secondo comma), nonché (terzo comma) “l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo.
Ai dirigenti competono, tra l’altro (art. 107, secondo comma, lettera f), “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”; nonché (lettera h) “le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza”.
Se si considera che la valutazione di compatibilità in questione mira esclusivamente a verificare, attraverso la comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del P.T.C.P. da parte del piano comunale di governo del territorio e non implica profili di discrezionalità, se si eccettuano quelli insiti nella valutazione della idoneità dell’atto al conseguimento degli obiettivi del piano (arg. ex art. 18 co. I cit.), se ne trae la conferma che essa non si configura affatto né come atto di indirizzo, né come espressione di un potere di controllo politico, ma tenda alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, e sia, pertanto, riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.
In conclusione, quindi, le censure della ricorrente in punto di competenza sono prive di fondamento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.05.2012 n. 1440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATALa competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale, essendo stata detta competenza trasferita ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191.
Deve per contro osservarsi come secondo la costante giurisprudenza della sezione “... la competenza all'emanazione di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale, essendo stata detta competenza trasferita ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191” (cfr., ex multis, TAR Napoli Campania sez. VI, 30.04.2008, n. 3072 e 03.04.2008, n. 1832, nello stesso senso TAR Toscana, Firenze, sez. III, 26.11.2010, n. 6627)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 23.05.2012 n. 2373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALICompete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione.
E’ infondato anche il motivo d’appello diretto contestare il capo della sentenza appellata con cui i Primi Giudici hanno sancito la violazione del principio che attribuisce al dirigente ratione materiae competente il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del patrocinio legale.
La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall’orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: L'adozione dell'ordinanza ex art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, trattandosi di un atto di gestione (più precisamente di un provvedimento sanzionatorio), rientra nella competenza del Dirigente comunale e non del Sindaco.
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Il principio statuito dall'art. 107, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000, secondo cui dall'entrata in vigore di quest’ultimo decreto le norme che conferiscono al Sindaco (od anche al Consiglio Comunale o alla Giunta Comunale) la competenza ad adottare atti di gestione amministrativa vanno interpretate nel senso che tale competenza spetta ai Dirigenti comunali, si applica anche alle norme emanate successivamente all'entrata in vigore del D.Lg.vo n. 267/2000, in quanto ai sensi dell'art. 1, comma 4, del medesimo "le Leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente Testo Unico, se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni" e l'ultimo periodo dell'art. 192, comma 3, D.Lg.vo n. 152/2006, il quale riproduce pedissequamente il contenuto dell'ultima frase del precedente art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, non prevede espressamente una deroga al menzionato art. 107.

... per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 14 del 02/04/2010, di rimozione e smaltimento rifiuti abbandonati alla contrada Gaudo, nei pressi della strada prov.le ex s.s. 93 e la strada vicinale denominata "Selvaggio".
...
E’ fondato il dedotto vizio di incompetenza, come da giurisprudenza di questo TAR (cfr. 28/09/2007 n. 620).
Infatti, ai sensi dell'art. 107, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000 "a decorrere dall'entrata in vigore del presente Testo Unico" (cioè ai sensi dell'art. 10, comma 1, Disp. Prelim. al C.C. dal 13.10.2000: 15° giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del predetto D.Lg.vo n. 267/2000) "le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al Capo I del Titolo III" (cioè il Consiglio Comunale, la Giunta Comunale ed il Sindaco: cfr. artt. 36-54) "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai Dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 5, e dall'art. 54".
Mentre ai sensi dell'art. 50, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000 spetta al Sindaco "in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica" soltanto l'adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti (come quelle di "eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente e non si possa altrimenti provvedere", previste anche dall'art. 13 D.Lg.vo n. 22/1997, per le quali è prevista la competenza del Sindaco, quando gli effetti dell'emergenza sanitaria e/o ambientale investono il solo territorio comunale), tra le quali non rientrano quelle disciplinate dall'art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, in quanto tali ordinanze hanno un carattere sanzionatorio (cfr. TAR Parma Emilia Romagna sez. I, 12.07.2011, n. 255), essendo previste soltanto per le violazioni imputabili "a titolo di dolo o colpa", rientrante nell'ordinaria gestione amministrativa di spettanza dirigenziale. Mentre l'art. 54, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 prevede soltanto l'adozione da parte del Sindaco (nella qualità di Ufficiale del Governo) di ordinanze contingibili ed urgenti, al fine di prevenire ed eliminare gravi percoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, cioè trattasi di ordinanze contingibili ed urgenti che riguardano una fattispecie diversa da quella oggetto della controversia in esame.
Pertanto, l'adozione dell'ordinanza ex art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, trattandosi di un atto di gestione (più precisamente di un provvedimento sanzionatorio), rientra nella competenza del Dirigente comunale e non del Sindaco, per cui l'Ordinanza Sindacale impugnata con il presente ricorso non risulta affetta dal vizio di incompetenza (cfr. TAR Basilicata Sentenze n. 878 del 18.09.2003, n. 658 del 20.06.2003, n. 873 dell'11.12.2001 e n. 675 del 27.08.2001; TAR Napoli Sez. I Sentenze n. 7532 del 12.06.2003, n. 1291 del 12.03.2002 e n. 5324 del 07.12.2001; TAR Brescia Sent. n. 792 del 25.09.2001).
Al riguardo va pure precisato che il principio statuito dal suddetto art. 107, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000, secondo cui dall'entrata in vigore di quest’ultimo decreto le norme che conferiscono al Sindaco (od anche al Consiglio Comunale o alla Giunta Comunale) la competenza ad adottare atti di gestione amministrativa vanno interpretate nel senso che tale competenza spetta ai Dirigenti comunali, si applica anche alle norme emanate successivamente all'entrata in vigore del D.Lg.vo n. 267/2000, in quanto ai sensi dell'art. 1, comma 4, del medesimo "le Leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente Testo Unico, se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni" e l'ultimo periodo dell'art. 192, comma 3, D.Lg.vo n. 152/2006, il quale riproduce pedissequamente il contenuto dell'ultima frase del precedente art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, non prevede espressamente una deroga al menzionato art. 107 (TAR Basilicata, sentenza 11.05.2012 n. 198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALILegittime le tariffe Tia deliberate dalla giunta.
Sono legittime le tariffe Tia deliberate dalla giunta comunale. Al consiglio comunale spetta solo la disciplina generale delle tariffe.

Lo ha precisato il TAR Veneto, Sez. III, con la sentenza 10.05.2012 n. 680.
Per il giudice amministrativo non sussiste il vizio di incompetenza della giunta, «essendo riservata al consiglio comunale esclusivamente la disciplina generale delle tariffe».
Infatti, al consiglio è delegata l'individuazione dei criteri economici sulla base dei quali vanno determinate le tariffe, le eventuali esenzioni o agevolazioni, le modalità di graduazione delle tariffe sulla base di fasce orarie o delle zone in cui il servizio viene prestato. Mentre la concreta quantificazione degli importi tariffari spetta alla giunta.
Negli ultimi anni si è formato un contrasto giurisprudenziale sull'obbligo di motivare le delibere che prevedono aumenti tariffari Tarsu o Tia. Essendo la delibera un atto generale, per la Cassazione (sentenza 22804/2006) non c'è alcun obbligo di motivare gli aumenti delle tariffe. Secondo il Consiglio di stato (sentenza 5616/2010), invece, l'amministrazione comunale deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe per coprire i costi del servizio di smaltimento dei rifiuti. E non si può invocare genericamente la necessità di assicurare la tendenziale copertura totale della spesa, senza avere dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio.
In effetti, pur essendo la delibera un atto generale sussiste a carico dell'ente l'obbligo specifico di motivare gli aumenti delle tariffe. Per stabilire in una determinata entità l'importo dell'aumento, occorre almeno indicare dati certi in ordine a spese e entrate.
Sia per la Tarsu che per la Tia la legge detta i criteri ai quali i comuni si devono attenere per la determinazione delle tariffe e indica le categorie di locali e aree con omogenea potenzialità di rifiuti. Gli enti sono tenuti a adottare un regolamento che deve contenere non solo la classificazione delle categorie e eventuali sottocategorie, ma anche la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni d'uso.
Nell'ambito del potere regolamentare possono essere individuate anche le fattispecie agevolative, con relative condizioni, modalità di richiesta e eventuali cause di decadenza.
Se queste regole non vengono rispettate, il contribuente può impugnare i relativi atti generali (regolamenti e delibere) innanzi al giudice amministrativo. Tuttavia, anche l'eventuale dichiarazione d'illegittimità di una delibera tariffaria non comporta la liberazione dall'obbligo di pagamento del tributo. Il contribuente è comunque tenuto a pagare applicando la tariffa vigente in precedenza (Cassazione, sentenza 8875/2010) (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI - COMPETENZE GESTIONALI: Ai sensi dell’art. 107 D.Lgs. n. 267/2000, tra le attribuzioni dirigenziali, figura espressamente anche quella di assumere la presidenza delle commissioni di gara.
L’ampliamento della sfera di responsabilità, facenti capo al dirigente, delineatosi a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, ha rafforzato l’esigenza che il medesimo dirigente sia posto in grado di seguire, in prima persona, le procedure dei cui esiti è responsabile.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso di un dirigente dell’ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara.
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Il potere di nominare una commissione con funzioni di carattere istruttorio, trattandosi di gara aggiudicata secondo il criterio del massimo ribasso, rientra nei poteri del dirigente responsabile del settore e che la decisione di chiedere giustificazioni in merito alla propria offerta anormalmente bassa da parte del Presidente deriva proprio dal fatto che tale Commissione ha compiti soltanto istruttori e non deliberativi.

In primo luogo l’impresa ricorrente in primo grado lamenta la sussistenza di un ulteriore conflitto d’interessi per il fatto che l’ing. Nicola Anaclerio, quale Dirigente del Settore Viabilità (settore preposto alla gara di appalto in esame) abbia svolto anche le funzioni di Presidente della commissione di gara, oltre a quelle di RUP.
Tuttavia, la giurisprudenza della Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 22.06.2010, n. 3890 e 12.06.2009 n. 3716) ha già messo in evidenza che, ai sensi dell’art. 107 D.Lgs. n. 267/2000, tra le attribuzioni dirigenziali, figura espressamente anche quella di assumere la presidenza delle commissioni di gara.
L’ampliamento della sfera di responsabilità, facenti capo al dirigente, delineatosi a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, ha rafforzato l’esigenza che il medesimo dirigente sia posto in grado di seguire, in prima persona, le procedure dei cui esiti è responsabile.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso di un dirigente dell’ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara.
Con un ulteriore motivo di ricorso in primo grado si contesta che il bando non prevedesse la nomina di una commissione e che, comunque, il dirigente (presidente del seggio di gara) avrebbe preso, senza un deliberato della commissione, l’iniziativa di chiedere alla soc. ricorrente in primo grado giustificazioni sull’offerta anomala da essa presentata, nonché di chiedere ulteriori precisazioni sulle giustificazioni presentate ed infine di convocarla successivamente in audizione dinanzi alta commissione.
Il Collegio osserva che il potere di nominare una commissione con funzioni di carattere istruttorio, trattandosi di gara aggiudicata secondo il criterio del massimo ribasso, rientra nei poteri del dirigente responsabile del settore e che la decisione di chiedere giustificazioni in merito alla propria offerta anormalmente bassa da parte del Presidente deriva proprio dal fatto che tale Commissione ha compiti soltanto istruttori e non deliberativi; peraltro, la stessa Commissione aveva evidenziato tale necessità nel corpo del verbale della seduta n. 1 dell’11.12.2009 (cfr. doc. n. 3 appellante, recante copia di tutti i verbali di gara).
Identicamente, la decisione di convocare l’impresa in audizione dinanzi alla commissione è stata prefigurata dalla stessa commissione nella seduta n. 14 dell’08.03.2010, in cui la commissione, collegialmente, ha predisposto e riportato a verbale anche il testo della nota da inviare all’impresa.
Anche la censura circa la violazione dell’art. 84, comma 10, D.Lgs. n. 163/2006, è infondata; la situazione per cui la commissione in oggetto sarebbe stata nominata e si sarebbe costituita lo stesso giorno nel quale scadeva il termine per la presentazione delle offerte è assolutamente inconferente rispetto a quanto disposto dalla surrichiamata norma, non riguardando essa il collegio tecnico di supporto nominato per valutare l’anomalia dell’offerta.
Tale disposizione, infatti, concernendo gli appalti aggiudicati con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non può trovare alcuna applicazione nella procedura de qua che è regolata interamente secondo il criterio dell’offerta più bassa.
Le ulteriori doglianze, volte a contestare il giudizio della commissione in ordine alla non congruità delle giustificazioni e delle successive precisazioni addotte dall’impresa a fronte dell’offerta anormalmente bassa da essa presentata, sono da ritenersi inammissibili.
Nel caso di specie, infatti, le valutazioni si sottraggono a tutte le censure proposte a mezzo del ricorso per motivi aggiunti di primo grado e in sede di appello riproposto, non ravvisandosi profili tali di macroscopica erroneità e di evidente incongruenza, in presenza della correttezza metodologica seguita dalla stazione appaltante e delle conclusioni, formulate, circa l’analisi sia dei singoli prezzi e del loro valore ponderale, in rapporto alle lavorazioni previste in progetto, sia del prezzo complessivamente offerto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2012 n. 2445 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: Ai sensi dell'art. 48, d.lgs. 18.08.2000 n. 267 rientra nella competenza della giunta municipale l'approvazione dello schema del programma triennale e del suo aggiornamento annuale, quale atto di proposta e di impulso, mentre per l'approvazione definitiva del programma e dell'elenco annuale delle opere da realizzare è competente solo il consiglio comunale, ai sensi del precedente art. 42, trattandosi di atto di programmazione e di indirizzo.
Come si afferma in giurisprudenza, “ai sensi dell'art. 48, d.lgs. 18.08.2000 n. 267 rientra nella competenza della giunta municipale l'approvazione dello schema del programma triennale e del suo aggiornamento annuale, quale atto di proposta e di impulso, mentre per l'approvazione definitiva del programma e dell'elenco annuale delle opere da realizzare è competente solo il consiglio comunale, ai sensi del precedente art. 42, trattandosi di atto di programmazione e di indirizzo” (cfr. C. Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2910)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.04.2012 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - COMPETENZE GESTIONALIE' legittima la delibera di Giunta Comunale con la quale è stato deciso di non procedere al rinnovo di una convenzione.
Invero, stabilisce l’art. 42, comma primo, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 che “Il consiglio è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”. Aggiunge il secondo comma della stessa disposizione che “Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (…) e) organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione”.
Come si vede, in base alle norme illustrate, sono attribuite alla competenza del consiglio comunale le decisioni afferenti la materia degli affidamenti in convenzione dei pubblici servizi.

Va tuttavia osservato che, nel caso concreto, sebbene la questione sulla quale è intervenuta la Giunta Comunale riguardi proprio la materia degli affidamenti in convenzione dei pubblici servizi, non è possibile affermare l’incompetenza del predetto organo. Ciò in quanto il provvedimento impugnato non ha fatto altro che ribadire una volontà già manifestata dall’ente che, con la sottoscrizione della convenzione stipulata con la Fondazione Asilo Infantile Umberto I, aveva stabilito che tale convenzione dovesse avere scadenza in data 31.12.2012.
L’atto della Giunta non ha dunque introdotto disposizioni innovative riguardanti aspetti fondamentali delle modalità di erogazione del servizio (che avrebbero dovuto queste sì essere introdotte solo con atto adottato dal consiglio comunale); ma costituisce, a ben guardare, null’altro che una presa d’atto di quanto già precedentemente deliberato; per questo motivo, esso si pone quale atto meramente esecutivo
di decisioni già assunte, come tale sottratto alla competenza dell’organo consiliare.

... per l'annullamento della delibera della Giunta Comunale (GC) n. 193 del 19.12.2011, esposta all'albo comunale fino al 06/01//2012, con cui è stato deciso di non procedere al rinnovo della convenzione con la Fondazione Asilo Infantile Umberto I repertoriata al nr. 31/3, alla prossima scadenza prevista al 31.12.2012, nonché di tutti gli atti connessi.
...
Il ricorso è infondato.
Stabilisce l’art. 42, comma primo, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 che “Il consiglio è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
Aggiunge il secondo comma della stessa disposizione che “Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (…) e) organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione”.
Come si vede, in base alle norme illustrate, sono attribuite alla competenza del consiglio comunale le decisioni afferenti la materia degli affidamenti in convenzione dei pubblici servizi.
Va tuttavia osservato che, nel caso concreto, sebbene la questione sulla quale è intervenuta la Giunta Comunale riguardi proprio la materia degli affidamenti in convenzione dei pubblici servizi, non è possibile affermare l’incompetenza del predetto organo. Ciò in quanto il provvedimento impugnato non ha fatto altro che ribadire una volontà già manifestata dall’ente che, con la sottoscrizione della convenzione stipulata con la Fondazione Asilo Infantile Umberto I, aveva stabilito che tale convenzione dovesse avere scadenza in data 31.12.2012.
L’atto della Giunta non ha dunque introdotto disposizioni innovative riguardanti aspetti fondamentali delle modalità di erogazione del servizio (che avrebbero dovuto queste sì essere introdotte solo con atto adottato dal consiglio comunale); ma costituisce, a ben guardare, null’altro che una presa d’atto di quanto già precedentemente deliberato; per questo motivo, esso si pone quale atto meramente esecutivo di decisioni già assunte, come tale sottratto alla competenza dell’organo consiliare (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 19.04.2012 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPolitici commissari ai concorsi. Per l'esclusione va dimostrato che la carica pesa sul giudizio. Consiglio di Stato. Dopo i no dei Tar la sentenza 2104/2012 riapre le porte anche ai sindacalisti.
Il Consiglio di Stato riabilita politici e sindacalisti nelle commissioni di concorso.
Dopo un lungo periodo di astinenza, nel quale coloro che ricoprivano cariche politiche o sindacali erano banditi dalla partecipazione a procedure selettive, il massimo organo della giustizia amministrativa, con la sentenza 13.04.2012 n. 2104, inverte la rotta e riconosce legittima la nomina di un consigliere comunale di altra amministrazione in una commissione di concorso.
La questione prende origine dalla previsione dell'articolo 35, comma 3, lettera e), del decreto legislativo 165/2001, in base al quale non possono far parte della commissione di concorso i componenti gli organi di direzione politica dell'amministrazione, coloro che ricoprano cariche politiche o sindacali o vengano designati da confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali. Fino ad oggi, tale divieto era stato interpretato in modo assoluto e, secondo la giurisprudenza abbastanza unanime dei Tar, bastava essere stato eletto nel consiglio comunale di un ente locale per far scattare l'incompatibilità in tutto il territorio nazionale.
Il Consiglio di Stato non è così categorico e apre le porte alla partecipazione di politici e sindacalisti nelle commissioni in questione. Afferma, infatti, che non basta essere assessore o consigliere comunale per perdere quella indipendenza di giudizio necessaria per valutare l'idoneità dei candidati all'impiego pubblico. È necessario dimostrare, di volta in volta, che la carica ricoperta in un'amministrazione diversa da quella che ha bandito il concorso influenzi, in qualche maniera, l'attività dell'ente che sta procedendo all'assunzione.
Riconoscendo l'assenza di criteri giuridici che possano soccorrere nell'individuare tale influenza, il Consiglio di Stato richiede, per riconoscere l'incompatibilità, che, in astratto, l'attività di consigliere comunale sia idonea «a far riverberare i suoi effetti anche sull'ente che indice la selezione».
Dal punto di vista pratico è immediatamente rilevabile come le condizioni richieste debbano essere valutate caso per caso. È evidente come, ad esempio, per ragioni connesse alla lontananza fisica delle amministrazioni interessate, l'influenza possa escludersi a priori; ma, in altri casi, quali per amministrazioni limitrofe o appartenenti alla stessa provincia o regione, è altrettanto evidente che la presenza o l'assenza di tale influenza risulti difficile da dimostrare. E, quindi, il contenzioso in materia è assicurato.
Ma se questa è la nuova filosofia che avanza, possiamo individuare una serie di incompatibilità previste per coloro che ricoprono cariche politiche o sindacali, che vengono notevolmente ridimensionate. La mente corre immediatamente all'articolo 14, comma 8, del decreto legislativo 150/2009, riforma Brunetta, che prevede analogo divieto di nomina per i componenti degli organismi indipendenti di valutazione. Se verrà confermato l'indirizzo, potremo trovare sindaci, assessori, sindacalisti componenti gli organismi indipendenti di valutazione (Oiv), che rischiano di perdere la loro indipendenza (articolo Il Sole 24 Ore del 17.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOComposizione delle commissioni di concorso: individuazione delle ipotesi in cui la funzione di Presidente può essere assunta da un soggetto che ricopre la carica di consigliere comunale in un Comune diverso da quello che ha indetto la procedura.
L'art. 35, comma 4, lettera e), del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, stabilisce che “le commissioni di concorso devono essere composte esclusivamente da esperti di comprovata competenza scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.".
Ad avviso del Consiglio di Stato sulla possibilità che la funzione di Presidente della Commissione venga assunta da un soggetto che ricopre la carica di consigliere comunale in un Comune diverso da quello che ha indetto la procedura, soccorre l'orientamento interpretativo secondo cui la causa di incompatibilità in esame può essere estesa anche ai soggetti che ricoprano cariche politiche presso amministrazioni diverse da quella procedente solo nel caso in cui vi sia un qualche elemento di possibile incidenza tra l'attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l'attività dell'ente che indice il concorso (Cons. Stato, sez. V, decisioni nn. 5526/2003 e 4056/2002).
Questo Consiglio ha reputato, infatti, che una diversa interpretazione verrebbe a generalizzare in modo eccessivo e senza adeguata giustificazione il sospetto d’imparzialità anche nei confronti di soggetti che non gestiscano alcun potere rilevante e, perciò, non siano comunque idonei, sia pure da un punto di vista astratto, a condizionare la vita dell'ente che indice la selezione. Si è, in particolare, rimarcato che “detto elemento di collegamento, in mancanza di criteri legali, può essere rinvenuto nella sfera di influenza dell'attività svolta dal soggetto ricoprente cariche politiche, sindacali o professionali, per cui se questa in astratto è idonea a riverberare i suoi effetti anche sull'ente che indice la selezione, l'incompatibilità deve ritenersi sussistente, altrimenti deve escludersi, salva la deducibilità delle ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c. o del vizio di eccesso di potere sotto i diversi profili consentiti”.
Applicando dette coordinate al caso di specie il Collegio ha reputato insussistente il profilo di illegittimità dedotto in primo grado in quanto non risulta comprovata l’idoneità sostanziale dell’attività espletata dal Presidente della Commissione, nella qualità di consigliere comunale presso altro Comune ad incidere sulla sfera sull’ente che ha indetto la selezione in parola.
Infine ha altresì reputato che non abbia valenza invalidante neanche l’assunzione, da parte di un soggetto che ricopriva la carica di rappresentante sindacale, della veste di segretario della Commissione, posto che la normativa di cui sopra, avente carattere eccezionale e, quindi, non passibile di applicazione analogica, si riferisce ai componenti in senso stretto della commissione, ossia ai soli soggetti aventi funzione decisionale, con conseguente esclusione dei segretari che assumono un ruolo di assistenza e supporto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.04.2012 n. 2104
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl diniego di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell'art. 51, comma 3, l. 08.06.1990 n. 142, nel testo novellato dall'art. 6, comma 2, l. 15.05.1997 n. 127 (nonché dell'art. 2 l. 16.06.1998 n. 191 e dell'art. 107, comma 3, lett. g), d.lgs. 18.08.2000 n. 267) rientra nella competenza del dirigente comunale, ovvero, nei comuni sprovvisti di detta qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi e non del sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale.
Oltre alla decisione di questa sezione (I, 25.01.2010 n. 191) e altre conformi (Tar Campania Na, 09.04.2010 n. 1884) è stato affermato il principio secondo il quale “Il diniego di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell'art. 51, comma 3, l. 08.06.1990 n. 142, nel testo novellato dall'art. 6, comma 2, l. 15.05.1997 n. 127 (nonché dell'art. 2 l. 16.06.1998 n. 191 e dell'art. 107, comma 3, lett. g), d.lgs. 18.08.2000 n. 267) rientra nella competenza del dirigente comunale, ovvero, nei comuni sprovvisti di detta qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi e non del sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale” (TAR Campania Napoli, sez. VII, 15.12.2010, n. 27393).
Né può seguirsi la difesa del comune che, nel tentativo di salvare l’incompetenza dell’organo, afferma la scusabilità dell’errore, anche per la natura di mera comunicazione del’atto impugnato.
Tali difese collidono, sia con la giurisprudenza (Tar Liguria I, 25.01.2010 n. 191) che ha ritenuto avente natura di diniego la comunicazione negativa della C.E., sia perché la sequenza temporale del procedimento, sottoposto alla decisione del tribunale, conferma che l’atto impugnato (adottato il 09.09.1998), intervenne dopo l’entrata in vigore della novella normativa (art. 2, comma dodicesimo L. 16.06.1998 n. 191) che ribadiva la distinzione tra atti politici e di gestione già contenuta nella legge n. 142/1990, eliminando così in radice la supposta scusabilità dell’errore compiuto.
Va poi posto l’accento sulla circostanza che, dal 1998, sono passati altri quattordici anni nei quali l’amministrazione ben sarebbe potuta intervenire in autotutela anziché portare a decisione il ricorso.
Va, infatti, ricordato che ogni dubbio interpretativo fu sciolto dall'art. 107, commi 2 e 3, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale.
Tra questi com’è noto, sono attribuiti alla competenza del dirigente o, nei comuni sprovvisti di detta qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi, e non del sindaco, il rilascio sia di provvedimenti concessori in materia edilizia, ivi comprese le concessioni edilizie in sanatoria, sia di provvedimenti di diniego, trattandosi di atti che ineriscono all'attività di gestione del Comune (TAR Puglia Lecce, sez. III, 20.12.2007, n. 4296)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.04.2012 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATALaddove una o più opere edilizie siano state realizzate su area demaniale (nel caso, demanio marittimo), il conseguente ordine di demolizione è adottato dal Comune anche in applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e, quindi per la tutela degli interessi demaniali, cosicché, sotto questo profilo, non ha nemmeno rilevanza la minore o maggiore consistenza dell'abuso".
Ed ancora a riprova della non sufficienza dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’autorità Portuale ai soli fini demaniali marittimi al mantenimento della tettoia contestata si è affermato che “L'esecuzione di opere edilizie non del tutto precarie su suolo del demanio marittimo richiede il rilascio della preventiva concessione edilizia da parte del Sindaco, essendo irrilevante il possesso della concessione della Capitaneria di porto, necessaria solo per l'utilizzazione dell'area demaniale".
Va poi contestato che la tettoia in questione di dimensioni ragguardevoli (m. 23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora esistente ed utilizzata da diciotto anni possa essere considerata indifferente ai fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice amministrativo che “Ove si tratti di struttura realizzata per soddisfare esigenze aziendali di carattere permanente, prescindendo dal rilievo concernente un'asserita «facile amovibilità» di tale struttura (nella specie, sia per i materiali impiegati che per le considerevoli dimensioni), alla stessa non potrà attribuirsi carattere di opera precaria, con conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia per la sua realizzazione (e correlativa infondatezza di un eventuale ricorso giurisdizionale proposto avverso il connesso provvedimento sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la presenza di una tettoia non è meramente strumentale alla migliore funzionalità di uno o più degli impianti contenuti in un capannone industriale, ma tende piuttosto a creare un prolungamento dello stesso, al fine di consentirvi lo svolgimento della normale attività imprenditoriale su una più vasta superficie coperta"
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È stato, infatti, affermato che “laddove una o più opere edilizie siano state realizzate su area demaniale (nel caso, demanio marittimo), il conseguente ordine di demolizione è adottato dal Comune anche in applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e, quindi per la tutela degli interessi demaniali, cosicché, sotto questo profilo, non ha nemmeno rilevanza la minore o maggiore consistenza dell'abuso" (TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 03.06.2008, n. 2144; TAR Lazio Roma, sez. II, 30.08.2010, n. 31953).
Ed ancora a riprova della non sufficienza dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’autorità Portuale ai soli fini demaniali marittimi al mantenimento della tettoia contestata si è affermato che “L'esecuzione di opere edilizie non del tutto precarie su suolo del demanio marittimo richiede il rilascio della preventiva concessione edilizia da parte del Sindaco, essendo irrilevante il possesso della concessione della Capitaneria di porto, necessaria solo per l'utilizzazione dell'area demaniale" (TAR Toscana Firenze, sez. III, 04.07.2006, n. 3006).
Va poi contestato che la tettoia in questione di dimensioni ragguardevoli (m. 23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora esistente ed utilizzata da diciotto anni possa essere considerata indifferente ai fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice amministrativo che “Ove si tratti di struttura realizzata per soddisfare esigenze aziendali di carattere permanente, prescindendo dal rilievo concernente un'asserita «facile amovibilità» di tale struttura (nella specie, sia per i materiali impiegati che per le considerevoli dimensioni), alla stessa non potrà attribuirsi carattere di opera precaria, con conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia per la sua realizzazione (e correlativa infondatezza di un eventuale ricorso giurisdizionale proposto avverso il connesso provvedimento sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la presenza di una tettoia non è meramente strumentale alla migliore funzionalità di uno o più degli impianti contenuti in un capannone industriale, ma tende piuttosto a creare un prolungamento dello stesso, al fine di consentirvi lo svolgimento della normale attività imprenditoriale su una più vasta superficie coperta" (TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 25.09.2007, n. 469)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.04.2012 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Inquinamento acustico: la competenza è del Sindaco.
Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato l’incompetenza del Dirigente del Settore Tutela Ambiente del Comune di Casale Monferrato ad adottare un provvedimento come quello impugnato, avente la natura di ordinanza contingibile ed urgente in materia di inquinamento acustico e, come tale, riservato al Sindaco.
Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento: come già riconosciuto dal Collegio nella pronuncia cautelare di accoglimento della sospensiva, anche alla luce dei documenti depositati dal Comune in ottemperanza all’ordinanza istruttoria (cfr. doc. n. 1 dell’Amministrazione) nei quali l’ARPA richiede espressamente “l’emissione di ordinanza comunale ex art. 9 della l. 26.10.1995 n. 447”, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere adottato ex art. d.lgs. n. 267/2000 dal Sindaco del Comune di Casale Monferrato e non dal Dirigente.
L'art. 9 della legge 447/1995 attribuisce, infatti, espressamente al Sindaco il potere di adottare ordinanze per il contenimento o l'abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività e si tratta di un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali), agli articoli 50 e 54 e che, pertanto deve essere esercitato dal Sindaco stesso, con esclusione della competenza dei dirigenti, cui spetta invece l'adozione di tutti gli atti di gestione del Comune, ai sensi dell'art. 107 del medesimo D.Lgs. 267/2000 (cfr. TAR Lombardia, Milano, 23.01.2012 n. 256) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 11.04.2012 n. 432 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ A chi spetta la competenza a decidere il trattamento sanitario obbligatorio. Tso deciso dal commissario. Sostituisce il sindaco se il comune è stato sciolto.
Qual è l'organo competente ad adottare l'ordinanza relativa al procedimento amministrativo di trattamento sanitario obbligatorio, in assenza del commissario straordinario incaricato della temporanea gestione dell'ente?

L'articolo 34 della legge 23.12.1978, n. 833, attribuisce al sindaco la competenza ad adottare le ordinanze in materia di trattamento sanitario obbligatorio, entro 48 ore dalla convalida della proposta da parte di un medico della unità sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune è sottoposto a gestione commissariale e non è prevista dalla specifica normativa regionale in materia di scioglimento degli organi la nomina di vice o sub commissari, la competenza all'adozione del provvedimento in argomento, spetta in via esclusiva al commissario straordinario incaricato della gestione dell'ente (articolo ItaliaOggi del 06.04.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Illegittimità della nomina dei componenti del Nucleo di valutazione adottata dal Sindaco.
E’ illegittimo, per incompetenza, il provvedimento di nomina dei componenti del nucleo di valutazione di un ente locale, nel caso in cui sia stato adottato dal Sindaco e non dal Consiglio comunale; infatti, dal combinato-disposto di cui agli artt. 14, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2009 e 42, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, discende la regola che la competenza alla nomina dei componenti del nucleo di valutazione spetta al Consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo politico-amministrativo dell’ente e non al Sindaco, che è semplicemente l’organo responsabile dell’amministrazione generale del Comune ed il suo massimo rappresentante (1).
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(1) Ha osservato, in particolare, la sentenza in rassegna che, se a termini dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2009 l’organismo di valutazione deve essere nominato "dall’organo di indirizzo politico-amministrativo", d’altra parte è la stessa legge, con l’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, che qualifica espressamente come organo di indirizzo politico-amministrativo il Consiglio comunale, con la conseguenza di individuare per le amministrazioni comunali tale organo come quello competente alla nomina.
Tale esegesi, tra l’altro, è in linea con il principio secondo cui la competenza attribuita ai Consigli comunali è circoscritta agli atti fondamentali di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.06.2008 n. 2832 e 31.01.2007 n. 383), se letto alla luce del chiaro enunciato dell’art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2009, che attribuisce appunto all’organo di indirizzo politico-amministrativo dell’ente anche compiti di alta programmazione in materia di miglioramento della performance
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.03.2012 n. 1510 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: È il consiglio comunale che nomina i componenti del nucleo di valutazione.
La ricorrente ha partecipato alla selezione pubblica, indetta dal Comune di Agerola, finalizzata al conferimento dell’incarico di componente del nucleo di valutazione di cui agli artt. 14 e ss. del d.lgs. n. 150/2009, organo monocratico la cui nomina è devoluta alla competenza del Sindaco a termini dell’art. 50, comma 2, del regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi del Comune di Agerola, approvato con delibera di giunta municipale n. 107 del 14.09.2011.
La ricorrente impugna il decreto sindacale n. 18 del 24.11.2011, con il quale è stato conferito al dott. ... il predetto incarico, nonché la presupposta fonte regolamentare limitatamente alla parte in cui individua il sindaco quale organo competente alla nomina del nucleo di valutazione, adducendo vari vizi inerenti all’incompetenza, alla violazione dell’art. 97 della Costituzione, alla violazione della legge n. 241/1990, nonché all’eccesso di potere sotto svariati profili.
È fondata la censura con cui la ricorrente denuncia la sussistenza del vizio di incompetenza per violazione del combinato disposto dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 150/2009 e dell’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000.
Infatti, si presenta condivisibile la tesi sostenuta in gravame secondo la quale dalla combinazione di tali disposizioni discende la regola che la competenza alla nomina del nucleo di valutazione spetta al consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo politico-amministrativo dell’ente, e non al sindaco, che è semplicemente l’organo responsabile dell’amministrazione generale del comune ed il suo massimo rappresentante.
Osserva il Collegio che, se a termini dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 150/2009 l’organismo di valutazione deve essere nominato “dall’organo di indirizzo politico-amministrativo”, d’altra parte è la stessa legge, con l’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, che qualifica espressamente come organo di indirizzo politico-amministrativo il consiglio comunale, con la conseguenza di individuare per le amministrazioni comunali tale organo come quello competente alla nomina.
Tale esegesi, tra l’altro, è in linea con il principio secondo cui la competenza attribuita ai consigli comunali è circoscritta agli atti fondamentali di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2008 n. 2832 e 31.01.2007 n. 383), se letto alla luce del chiaro enunciato dell’art. 15 del d.lgs. n. 150/2009, che attribuisce appunto all’organo di indirizzo politico-amministrativo dell’ente anche compiti di alta programmazione in materia di miglioramento della performance.
Ne discende che la nomina del componente del nucleo di valutazione doveva essere effettuata dal consiglio comunale e non dal sindaco, con conseguente illegittimità degli atti impugnati (decreto di nomina e norma regolamentare) che pertanto vanno annullati (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.03.2012 n. 1510 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSolo il consiglio comunale nomina il nucleo di valutazione. La decisione del Tar Campania.
L'ALTRO ORIENTAMENTO/ Secondo Anci, Civit e Corte dei conti la scelta è invece nella competenza del primo cittadino.

Il
TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.03.2012 n. 1510, ha ritenuto illegittimo, per incompetenza, il provvedimento di nomina dei componenti del nucleo di valutazione di un ente locale, nel caso in cui sia stato adottato dal sindaco e non dal Consiglio comunale.
Secondo la sentenza del tribunale amministrativo campano, infatti, dal combinato disposto di cui agli articoli 14, comma 3, del Dlgs 150/2009 e 42, comma 1, del Dlgs 267/2000, discende la regola che la competenza alla nomina dei componenti del nucleo di valutazione spetta al Consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo politico-amministrativo dell'ente e non al Sindaco, che è semplicemente l'organo responsabile dell'amministrazione generale del Comune e il suo massimo rappresentante.
La sentenza ha osservato che, se ex articolo 14, comma 3, del Dlgs 150/2009 l'organismo di valutazione deve essere nominato «dall'organo di indirizzo politico-amministrativo», questi, ex articolo 42, comma 1, del Dlgs 267/2000, non può che essere identificato nel Consiglio comunale, con la conseguenza di individuare per le amministrazioni comunali tale organo come quello competente alla nomina.
La tesi è tuttavia in contrasto con quanto finora affermato non solo dall'Anci ma anche dalla stessa Civit e dalla Corte dei Conti. Se per le amministrazioni dello Stato, infatti, la materia è regolata dall'articolo 14 del citato Dlgs è pur vero che le interpretazioni "univoche" (Anci, Civit e Corte Conti Controllo della Lombardia) ritengono che l'articolo 14 del Dlgs 150/2009 non sia operante per gli enti locali. La magistratura contabile, infatti, evidenzia come ai sensi dell'articolo 16 della riforma-Brunetta, risulti di immediata e diretta applicazione all'ordinamento locale solo l'articolo 11, commi 1 e 3. Sono, invece, disposizioni di principio alle quali gli ordinamenti di comuni e province debbono essere adeguati, quelle contenute negli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9 e 15, comma 1.
Il Dlgs 150/2009 non prevede alcun obbligo a carico degli enti locali di applicare l'articolo 14, che disciplina appunto gli Oiv anche in considerazione che l'articolo 14, comma 2, della riforma-Brunetta «sostituisce i servizi di controllo interno, comunque denominati, di cui al decreto legislativo 30.07.1999, n. 286»: il Dlgs 286/1999 ha sempre trovato applicazione in via esclusiva nelle sole amministrazioni statali e mai in via diretta presso gli enti locali. Non si capisce, dunque, sulla base di quali fondamenti sia emersa la teoria secondo la quale l'articolo 14 sia direttamente applicabile agli enti locali facendo recedere il potere normativo degli stessi in un ambito quale quello organizzativo (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' legittima l'ordinanza di demolizione, di opera abusiva, sottoscritta dal segretario comunale laddove allo stesso il sindaco ha attribuito la direzione del 4° settore, competente in materia di edilizia privata.
Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 97 D.Lgs. 267/2000, per incompetenza del segretario comunale a disporre l’ordine di demolizione.
Ai sensi dell’art. 97, comma 4, lett. d), del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, il segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco.
Nel caso di specie, conformemente all’art. 47 dello statuto del comune di Varazze (a mente del quale il segretario generale è responsabile, insieme agli altri dirigenti, dell’attività “di gestione” dell’ente), con provvedimento 17.06.2009, n. 14 (doc. 2-bis delle produzioni 18.07.2011 di parte comunale), il sindaco ha attribuito al segretario comunale la direzione del 4° settore, competente in materia di edilizia privata.
Donde l’infondatezza del dedotto vizio di incompetenza (cfr., per fattispecie analoghe, TAR Piemonte, II, 04.11.2008, n. 2739; TAR Calabria-Catanzaro, II, 04.05.2005, n. 415; TAR Lazio-Roma, II, 05.03.2004, n. 2140)
(TAR Liguria. Sez. I, sentenza 23.03.2012 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIL'adozione degli atti di rilascio di concessione edilizia è ora di competenza esclusiva ed immediata dei dirigenti comunali.
L'esercizio dei medesimi da parte di un soggetto diverso determina l'incompetenza assoluta ed esecutiva.

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. h), l. 15.05.1997 n. 127 l'adozione degli atti di rilascio di concessione edilizia è ora di competenza esclusiva ed immediata dei dirigenti comunali.
L'esercizio dei medesimi da parte di un soggetto diverso determina l'incompetenza assoluta ed esecutiva (TAR Liguria, sez. I, 22.03.1998, n. 65) (TAR Liguria. Sez. I, sentenza 23.03.2012 n. 414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Provvedimenti repressivi di abusi edilizi: competenza del dirigente e non del Sindaco.
Lottizzazione abusiva: disciplina prevista dall’art. 18 della L. n. 47 del 1985.
Lottizzazione abusiva: provvedimento di sospensione dei lavori per pretesa lottizzazione.

Rientra nella competenza del dirigente di un Comune -e non già del Sindaco- l’adozione di provvedimenti repressivi di abusi edilizi, a nulla rilevando che le norme di cui alla l. n. 142/1990 in materia di competenze, rispettivamente, dei vertici politici e dei dirigenti non abbiano ricevuto ancora la necessaria attuazione nell’ambito del Comune (nella specie si trattava del Comune di Napoli), nel caso in cui risulti che lo statuto comunale preveda la competenza dei dirigenti comunali all’emanazione dei provvedimenti di autorizzazione, licenze, concessioni e di tutti gli atti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno e risulti comunque che i provvedimenti in questione sono stati emanati dopo la entrata in vigore della l. n. 191/1998, il cui art. 2, al comma 12, ha trasferito ai dirigenti la competenza ad adottare i provvedimenti repressivi in materia di abusivismo edilizio di competenza del Sindaco.
Il bene giuridico protetto dall’art. 18 della l. n. 47/1985, descrivente le caratteristiche della lottizzazione abusiva, non è tanto o solo la tutela dell’interesse al rispetto della pianificazione urbanistica, quanto, invece, la tutela dell’interesse all’effettività del controllo del territorio da parte del soggetto pianificatore (cioè gli organi comunali) tenuto a reprimere qualsiasi intervento lottizzatorio che non sia stato previamente assentito.
E’ ravvisabile l’ipotesi di lottizzazione abusiva cartolare o negoziale, ai sensi dell’art. 18 della l. n. 47/1985, solamente quando sussistono elementi precisi ed univoci da cui possa ricavarsi oggettivamente l’intento di asservire all'edificazione un’area non urbanizzata (1). Pertanto, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 18 della l. n. 47/1985, non è sufficiente il mero riscontro del frazionamento di un terreno collegato a plurime vendite, ma sussiste anche la necessità di acquisire un sufficiente quadro indiziario dal quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti (2), giustificandosi l’adozione del provvedimento repressivo anche a fronte della dimostrazione della sussistenza di almeno uno degli elementi precisi e univoci a tal fine occorrenti (3).
La cosiddetta lottizzazione cartolare o negoziale, ossia il tipo di lottizzazione che si realizza sulla base non tanto della realizzazione di alcune opere, quanto del frazionamento contrattuale di un vasto terreno con la creazione di lotti sufficienti per la costruzione di un singolo edificio, può concretizzare in astratto già di per sé il fenomeno della lottizzazione abusiva, purché si possa desumere in modo non equivoco dalle dimensioni e dal numero dei lotti, dalla natura del terreno, dall’eventuale revisione di opere di urbanizzazione e dalla loro destinazione a scopo edificatorio (4).
E’ illegittimo un provvedimento che ha ingiunto ai proprietari la sospensione di opere ritenute preordinate alla lottizzazione abusiva di terreni nel caso in cui, nel relativo provvedimento, non sia contenuta alcuna precisazione circa la consistenza dei lotti e lo stato dei terreni, né si faccia riferimento alla creazione di opere di urbanizzazione e ci si riferisca invece genericamente all’esistenza di strade, recinzioni dei lotti ed edificazioni, elementi questi oggettivamente del tutto insufficienti.
L’individuazione della lottizzazione abusiva presuppone l’accertamento di una serie di elementi, accertamento che implica indagini complesse che impongono la necessaria partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento, per cui deve essere consentita ad essi la proposizione delle rispettive osservazioni e deduzioni (5); è pertanto illegittimo un provvedimento di sospensione dei lavori per asserita lottizzazione abusiva non preceduto da comunicazione di avvio del procedimento ai proprietari interessati, ove non sussistano esigenze di indifferibilità ed urgenza che avrebbero potuto giustificare l’omissione di detta comunicazione.
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11.10.2006 n. 6060 e Sez. V, 13.09.1991 n. 1157
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20.10.2004, n. 6810
(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14.05.2004, n. 3136
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11.09.2006, n. 6060
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2004 n. 2953, 29.01.2004 n. 296 e 23.02.2000 n. 948
(
massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2012 n. 1374 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIE' legittima l’ordinanza adottata dal dirigente con cui il Comune ha ingiunto la rimozione e lo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi abbandonati lungo la strada.
Invero, la previsione di cui al comma 3 dell’art. 192 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (che prevede che il sindaco adotti l’ordinanza per le ipotesi di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti) va letta alla luce dell’evoluzione normativa in tema di distinzione fra le competenze della componente politico-amministrativa e quelle della componente gestionale, con la conseguenza che l’adozione dell’ordinanza in parola non è illegittima se adottata dal dirigente o funzionario addetto al relativo settore; il Collegio, invero, reputa tale interpretazione la più corretta, pur non ignorando che una parte della giurisprudenza amministrativa è di contrario avviso, ritenendo che la norma sopra richiamata abbia attribuito espressamente al sindaco il potere di emanare le ordinanze di rimozione dei rifiuti abbandonati.

Quanto al primo motivo di ricorso, si osserva che il lamentato profilo di incompetenza relativa deve ritenersi non sussistente poiché la previsione di cui al comma 3 dell’art. 192 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (che prevede che il sindaco adotti l’ordinanza per le ipotesi di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti) va letta alla luce dell’evoluzione normativa in tema di distinzione fra le competenze della componente politico-amministrativa e quelle della componente gestionale, con la conseguenza che l’adozione dell’ordinanza in parola non è illegittima se adottata dal dirigente o funzionario addetto al relativo settore (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 04.11.2009, n. 1598; TAR Puglia Lecce, sez. I, 07.02.2008, n. 375); il Collegio, invero, reputa tale interpretazione la più corretta, pur non ignorando che una parte della giurisprudenza amministrativa è di contrario avviso, ritenendo che la norma sopra richiamata abbia attribuito espressamente al sindaco il potere di emanare le ordinanze di rimozione dei rifiuti abbandonati (TAR Toscana Firenze, sez. II, 13.10.2010, n. 6453; TAR Calabria Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 08.03.2012 n. 461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Vendita di quotidiani libera? La presa d'atto della Giunta non basta. Serve la delibera del Consiglio Comunale.
E' illegittima, per incompetenza, una deliberazione adottata dalla Giunta comunale, con cui, per effetto dell'entrata in vigore dei cc.dd. decreti Bersani l'esecutivo comunale ha preso atto dell'avvenuta liberalizzazione del settore della vendita di quotidiani e periodici; e, quindi, sul presupposto che tale attività non fosse più soggetta a limitazioni, ha stabilito che essa può essere svolta in base a D.I.A. a efficacia immediata.
I ricorrenti, titolari di rivendite di quotidiani e periodici, hanno impugnato la delibera con cui la Giunta comunale aveva "preso atto" dell’avvenuta liberalizzazione del settore della vendita di quotidiani e periodici, contestualmente stabilendo che la stessa poteva essere svolta in base a dichiarazione di inizio di attività a efficacia immediata.
Hanno eccepito l’illegittimità del menzionato provvedimento sia sotto il profilo dell’incompetenza dell’organo giuntale, sia in relazione alla circostanza per cui l’attività di vendita di quotidiani e periodici non sarebbe rientrata tra quelle oggetto di liberalizzazione.
Costituitasi in giudizio, la P.A. comunale ha eccepito, in via preliminare, il difetto di legittimazione e interesse dei ricorrenti.
Il TAR di Latina, con riferimento alle menzionate eccezioni di inammissibilità, ne ha rilevato l’infondatezza sulla scorta della considerazione per cui non vi era alcun dubbio che i ricorrenti, incontestatamente operatori del mercato della vendita dei quotidiani e periodici, fossero stati indiretti destinatari di una delibera –qual è quella gravata- che aveva comunque inciso direttamente e non solo potenzialmente i propri interessi.
Sicché, rintracciando la legittimazione al ricorso dei deducenti, ha ancora precisato come gli stessi avrebbero tratto vantaggio dal suo eventuale accoglimento, atteso che la mancata apertura del mercato ad altri operatori li avrebbe sottratti alla pressione concorrenziale.
Nel merito, il ricorso è stato accolto.
Con riferimento alla dedotta incompetenza della Giunta comunale, i deducenti hanno eccepito che la delibera impugnata avrebbe dovuto essere adottata dal Consiglio comunale, in quanto integrante un atto avente contenuto pianificatorio dell’attività di vendita dei giornali.
Il Collegio ha premesso che la delibera in questione possedeva un contenuto composito: la stessa, infatti, per una parte, sembrava limitarsi a "prendere atto" di una liberalizzazione dell’attività di vendita dei giornali; per l’altra, e nel presupposto di questa liberalizzazione, disponeva la formale abrogazione di ogni regolamentazione comunale che si fosse posta in contrasto con la normativa introduttiva delle liberalizzazioni, contestualmente assoggettando l’attività al regime della dichiarazione di inizio di attività.
Il provvedimento, quindi, anche se apparentemente circoscritto alla presa d’atto di un effetto (liberalizzazione dell’attività), a opinione dell’adito G.A. possedeva anche un contenuto dispositivo di tipo programmatorio che, in linea di principio, esula dai poteri della Giunta comunale.
Da qui la condivisione della dedotta illegittimità, per incompetenza, dell’impugnata deliberazione.
A tanto si soggiunga come il giudicante ha accolto l’ulteriore censura mossa dai ricorrenti che, con riferimento alla medesima delibera, hanno eccepito l’erroneo accostamento da parte dell’amministrazione dell’attività di vendita di quotidiani e periodici con le attività economiche oggetto di liberalizzazione.
Sul proposito, l’adito TAR, in relazione ai decreti “Bersani”, dopo aver rilevato che il D.L. n. 7/2007 non recava alcuna disposizione concernente l’attività in parola, ha affrontato il problema se la vendita di giornali avesse potuto essere ricondotta fra le attività di cui all’art. 3, D.L. n. 223/2006 che, per individuare l’ambito delle liberalizzazioni da esso introdotte, rinviava alle attività commerciali di cui al D.Lgs. n. 114/1998.
Orbene, il Collegio ha precisato che la tesi della riconducibilità dell’attività di vendita di giornali alle previsioni del D.Lgs. n. 114/1998 poteva esser basata sul rilievo per cui, in termini generali, l’art. 4 non contempla la stessa tra le attività commerciali cui le sue disposizioni non sono applicabili.
Tanto, del resto, poteva trovare conferma nella successiva previsione dell’art. 13 che, stabilendo alle rivendite di giornali l’inapplicabilità del titolo relativo agli orari di vendita, implicitamente avrebbe confermato l’applicabilità delle altre disposizioni e quindi la riconducibilità dell’attività di vendita dei giornali nell’ambito del D.L. n. 223/2006.
Tuttavia, il TAR di Latina non ha mancato di sottolineare come siffatti argomenti avessero comunque trovato smentita nel D.Lgs. n. 170/2001 (Riordino del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica) che, dopo aver istituito e disciplinato un sistema distributivo imperniato su una programmazione comunale basata su piani di localizzazione di punti di vendita esclusivi e punti vendita non esclusivi, aveva stabilito nell’art. 9 che "per quanto non previsto dal presente decreto si applica il decreto legislativo 31.03.1998, n. 114".
Cosicché, considerato che la disposizione in questione stabiliva che il D.Lgs. n. 114/1998 si applicasse solo residualmente alla vendita dei giornali, il G.A. ha desunto come la medesima attività non rientrasse in via diretta nell’ambito applicativo dell’art. 3, D.L. n. 223/2006.
Detto argomento, del resto, a opinione del Collegio, ha trovato una spiegazione nella circostanza per cui il sistema di vendita previsto dal D.Lgs. n. 170/2001 ha, in linea di principio, tra i suoi obiettivi quello di garantire, a tutela del pluralismo dell’informazione, la distribuzione di tutte le pubblicazioni edite in Italia attraverso l’imposizione ai titolari dei punti di vendita esclusivi dell’obbligo di garantire la cd. "parità di trattamento" delle diverse testate.
Per siffatte ragioni, il ricorso è stato accolto, con conseguente declaratoria dell’illegittimità dell’impugnata deliberazione (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Latina, sentenza 02.03.2012 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIAmbiente - Procedimenti finalizzati al trattamento dei rifiuti - Competenza comunale - Non sussiste - Competenza provinciale - Sussiste.
La competenza in materia di procedimenti finalizzati al trattamento dei rifiuti è riservata in via esclusiva alla Provincia e non alle amministrazioni comunali che, per il tramite del sindaco pro tempore, possono intervenire soltanto attraverso provvedimenti contingibili e urgenti necessari per la tutela della salute.
Ed infatti, ai sensi dell'art. 197 del D.Lgs. n. 152 del 2006 "alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti (…) ed in particolare (…) b) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l'accertamento delle violazioni (…) c) la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l'applicazione delle procedure semplificate (…)" (cfr. Consiglio di Stato, V, 12.06.2009, n. 3765; II, parere 24.10.2007, n. 2210 e TAR Lombardia, Milano, IV, 08.06.2010, n. 1758).
(Fattispecie nella quale il Tribunale ha annullato il provvedimento comunale con cui la ricorrente era stata diffidata a non proseguire le operazioni di montaggio dell'impianto di rigassificazione, trattamento dei rifiuti e recupero energetico già autorizzato in ambito provinciale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.02.2012 n. 571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIGli incarichi di assistenza legale sono competenza solo dei dirigenti. Consiglio di Stato. Stop al sindaco nelle amministrazioni che hanno l'avvocatura.
Gli incarichi di assistenza legale negli enti locali che hanno l'avvocatura devono essere conferiti esclusivamente dal dirigente della stessa e non dal sindaco.
È l'importante e, per molti aspetti innovativa, indicazione contenuta nella
sentenza 14.02.2012 n. 730 del Consiglio di Stato (Sez. V).
Sulla base di questo principio viene messa in discussione la legittimità di molti degli incarichi di nomina dei legali delle Pa. Nella pronuncia è inoltre chiarito che i regolamenti di organizzazione di Comuni e Province non possono limitare l'autonomia dell'avvocatura.
Si chiarisce espressamente che «il rappresentante legale dell'ente manifesta la volontà di costituirsi in un eventuale giudizio, ma non può anche provvedere (né lui né la Giunta) alla nomina del difensore, né interno, cosa che compete sicuramente al capo dell'ufficio legale, né esterno, vicenda che si articola, innanzitutto, in una dichiarazione che sussistono elementi per poter affidare la difesa tecnica all'esterno ad opera dell'ufficio legale e successiva nomina del difensore del libero foro, che compete necessariamente al capo dell'ufficio legale, trattandosi di un vero e proprio contratto di prestazione intellettuale, ricadente come tale nelle attività gestionali di competenza dei dirigenti dell'amministrazione».
Come si vede, la sentenza innova la giurisprudenza precedente, secondo cui il rappresentante legale dell'ente, cioè il sindaco o il presidente della provincia, può scegliere il legale o quanto meno concorrere alla sua scelta. Il che obbliga la stragrande maggioranza delle amministrazioni a modificare regolamenti e abitudini.
La sentenza stabilisce i termini della «sottoposizione dell'ufficio legale alle direttive e agli ordini del direttore generale, il quale, se certamente può intervenire a coordinare gli uffici (tutti gli uffici, anche quello legale), non può indubbiamente interferire sull'organizzazione interna e sulle modalità di organizzazione del lavoro, innanzitutto perché si tratta di un'attività tecnica (in senso giuridico) e, poi, perché gli uffici legali degli enti pubblici devono godere di quella particolare autonomia di pensiero e di organizzazione che sola può consentire l'esplicazione corretta e proficua della loro attività». Viene così riaffermata con nettezza l'autonomia di cui devono godere gli uffici legali delle Pa locali.
Ciò significa che gli enti hanno un'ampia discrezionalità che non può essere messa in discussione, ma va esercitata «nel rispetto delle statuizioni esistenti e, in particolare, delle guarentigie attribuite a determinate categorie di soggetti operanti nell'ambito della pubblica amministrazione». Tra esse occorre fare riferimento, alla necessità che l'avvocatura delle Pa non sia «sottoposta né a condizionamenti, né a valutazioni che possano in qualche modo svilirne il modo di essere» (articolo Il Sole 24 Ore del 06.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Il Sindaco e il Presidente della Provincia hanno la rappresentanza in giudizio dell'Ente Locale senza necessità di preventiva autorizzazione salvo diversa previsione statutaria.
Negli enti locali, nella vigenza della legge n. 142/1990, il potere di autorizzazione a stare in giudizio era di competenza della Giunta Comunale e il potere di conferire la procura del Sindaco (Cass. civ., sez. I, 21.12.2002 n. 18224 e 10.09.2003 n.13218).
Dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali (d.lgs. n. 267/2000), la giurisprudenza ha affermato che la rappresentanza in giudizio dell’ente locale spetta al Sindaco o al Presidente della Provincia, senza necessità di preventiva autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo diversa previsione dello Statuto, il quale può sia prevedere la necessità della persistenza dell’autorizzazione, attribuendone il relativo potere, sia affidare la rappresentanza dell’ente ad un dirigente, o anche al dirigente dell’ufficio legale, con riferimento all’intero contenzioso (Cass. Sez. Un., 27.06.2005 n. 13710; Cons. St., sez. V, 07.09.2007 n. 4721; Cass. civ., sez. I, 13.01.2010 n. 387; sez. III, 05.08.2010 n. 18158) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.02.2012 n. 701 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: La competenza ad adottare l’ordinanza di demolizione –già attribuita al sindaco dall’art. 7 della legge 28.2.1985, n. 47- è stata definitivamente trasferita ai dirigenti a seguito dell’entrata in vigore dell'art. 2, comma 12, l. 18.06.1998, n. 191.
Il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo, dedotto con il primo motivo di ricorso, concernente l’incompetenza del sindaco a disporre la demolizione.
In effetti, la competenza ad adottare l’ordinanza di demolizione –già attribuita al sindaco dall’art. 7 della legge 28.2.1985, n. 47- è stata definitivamente trasferita ai dirigenti a seguito dell’entrata in vigore dell'art. 2, comma 12, l. 18.06.1998, n. 191 (così TAR Lazio-Latina, I, 05.06.2007, n. 412; id., 24.08.1998, n. 664) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 09.02.2012 n. 264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Non compete né alla Giunta né al Dirigente conferire il mandato all'avvocato per la difesa dell'Ente Locale, bensì al Sindaco salvo diversa disposizione statutaria.
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato è chiamato, tra l'altro, ad esaminare l'eccezione formulata dall'appellante di asserita incompetenza dell’organo giuntale a decidere di proporre appello avverso la sentenza di primo grado, trattandosi, secondo la tesi dell’appellante, di atto rientrante nella competenza propria dei dirigenti.
Sul punto il Collegio osserva che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, dall’esame degli articoli 35 e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi negli articoli 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, si ricava il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle lite è il sindaco, non essendo più necessaria l’autorizzazione della Giunta Municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell’ente (Cass. SS.UU. 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550), con la conseguenza che la decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell’ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o dei dirigente competente ratione materiae (C.d.S., sez. V, 18.03.2010, n. 1588; 07.09.2007, n. 4721, 16.02.2009, n. 848; sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; 09.06.2006, n. 3452; Cass. civ. sez. I, 17.05.2007, n. 11516), ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio) di prevedere l’autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l’uno e l’altro intervento) (Cass. SS.UU., 16.06.2005, n. 12868) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.02.2012 n. 650 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - ESPROPRIAZIONEL’art. 42-bis, VIII comma, del DPR n. 327/2001 prevede che l’istituto dell’acquisizione sanante ivi disciplinato trova applicazione anche ai fatti anteriori all’entrata in vigore della norma ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente annullato, previa, comunque, rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione (da effettuarsi da parte dell’organo competente ex lege) e condizionatamente, altresì, alla corresponsione al proprietario di un indennizzo per i pregiudizi patrimoniale e non patrimoniale determinati, il primo “in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità”, ed il secondo in misura forfetaria pari al dieci per cento del valore venale del bene; oltre al risarcimento del danno per l’occupazione abusiva da liquidarsi nella misura del cinque per cento sempre in relazione al valore venale del bene.
Ai fini del computo del “valore venale del bene” deve aversi riguardo ai criteri indicati dal medesimo DPR n. 327/2001, il quale stabilisce che nell'ipotesi di espropriazione di un’area non edificabile coltivata (come quella di specie) l’indennità è determinata in relazione al valore agricolo del terreno tenendo conto delle colture effettivamente praticate (art. 40, I comma), a cui va aggiunta un’indennità per il fittavolo pari a quella spettante al proprietario (art. 42).
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E' illegittima, per violazione dell’art. 42, II comma, lett. l), del DLgs n. 267/2000, la delibera di Giunta Comunale con cui è stata rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione delle aree di cui è causa: il Consiglio comunale, infatti, è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, mentre la Giunta ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al Consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi.
In quest'ottica, pertanto, va affermata la competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta, in materia di alienazioni ed acquisiti immobiliari, giusta, altresì, la puntuale determinazione contenuta nel richiamato art. 42, II comma, lett. l), del DLgs n. 267/2000.

... considerato:
- che, pregiudizialmente, il collegio non ritiene di condividere l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 42-bis del DPR n. 327/2001, atteso che i principi comunitari impongono che i modi di acquisto della proprietà siano previsti –e nel nostro ordinamento sono previsti– dalla legge e che il proprietario espropriato sia congruamente risarcito;
- che, in punto di diritto, va premesso che l’art. 42-bis, VIII comma, del DPR n. 327/2001 prevede che l’istituto dell’acquisizione sanante ivi disciplinato trova applicazione anche ai fatti anteriori all’entrata in vigore della norma ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente annullato, previa, comunque, rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione (da effettuarsi da parte dell’organo competente ex lege) e condizionatamente, altresì, alla corresponsione al proprietario di un indennizzo per i pregiudizi patrimoniale e non patrimoniale determinati, il primo “in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità”, ed il secondo in misura forfetaria pari al dieci per cento del valore venale del bene; oltre al risarcimento del danno per l’occupazione abusiva da liquidarsi nella misura del cinque per cento sempre in relazione al valore venale del bene;
- che ai fini del computo del “valore venale del bene” deve aversi riguardo ai criteri indicati dal medesimo DPR n. 327/2001, il quale stabilisce che nell'ipotesi di espropriazione di un’area non edificabile coltivata (come quella di specie) l’indennità è determinata in relazione al valore agricolo del terreno tenendo conto delle colture effettivamente praticate (art. 40, I comma), a cui va aggiunta un’indennità per il fittavolo pari a quella spettante al proprietario (art. 42);
- che nel determinare gli importi dovuti a titolo indennitario e risarcitorio per la disposta acquisizione l’impugnato provvedimento appare rispettoso delle prescrizioni commisuratorie individuate dal predetto art. 42-bis del DPR n. 327/2001 con riguardo al valore dei beni abusivamente utilizzati dal Comune di Colognola ai Colli, fatta eccezione per l’indennità aggiuntiva dovuta al fittavolo, di cui non pare essersi tenuto conto;
- che, nel merito, è fondato il motivo di censura con cui i ricorrenti denunciano l’illegittimità, per violazione dell’art. 42, II comma, lett. l), del DLgs n. 267/2000, della delibera giuntale n. 113/2011 con cui è stata rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione delle aree di cui è causa: il Consiglio comunale, infatti, è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, mentre la Giunta ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al Consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi.
In quest'ottica, pertanto, va affermata la competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta, in materia di alienazioni ed acquisiti immobiliari, giusta, altresì, la puntuale determinazione contenuta nel richiamato art. 42, II comma, lett. l), del DLgs n. 267/2000: con correlata illegittimità derivata del consequenziale provvedimento dirigenziale, analogamente impugnato (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 31.01.2012 n. 96 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIL’art. 9 della legge 447/1995 attribuisce espressamente al Sindaco il potere di adottare ordinanze per il contenimento o l’abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività. Si tratta di un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali), agli articoli 50 e 54 e che pertanto deve essere esercitato dal Sindaco stesso, con esclusione della competenza dei dirigenti, cui spetta invece l’adozione di tutti gli atti di gestione del Comune, ai sensi dell’art. 107 del medesimo D.Lgs. 267/2000.
Con una ulteriore censura si assume l’illegittimità dell’ordinanza impugnata che sarebbe stata adottata, invece che dal Sindaco, dal dirigente, non considerandosi la sua natura di atto contingibile e urgente, secondo la previsione dell’art. 9 della legge n. 447 del 1995; oltretutto tale provvedimento sarebbe stato adottato in base a rilievi fonometrici effettuati molto tempo prima e non rinnovati in prossimità dell’emanazione dell’atto di sospensione: ciò ne dimostrerebbe la non urgenza e la non attualità.
Anche tale doglianza è fondata.
Con riferimento all’asserita incompetenza del dirigente ad adottare tale atto, va richiamata la giurisprudenza della Sezione secondo cui “l’art. 9 della legge 447/1995 attribuisce espressamente al Sindaco il potere di adottare ordinanze per il contenimento o l’abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività. Si tratta di un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali), agli articoli 50 e 54 e che pertanto deve essere esercitato dal Sindaco stesso, con esclusione della competenza dei dirigenti, cui spetta invece l’adozione di tutti gli atti di gestione del Comune, ai sensi dell’art. 107 del medesimo D.Lgs. 267/2000” (TAR Lombardia, Milano, IV, 01.07.2009, n. 4225)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.01.2012 n. 256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATACon riguardo alla pretesa incompetenza del funzionario delegato che ha adottato l’atto di annullamento del permesso di costruire (di competenza dirigenziale) “non è configurabile un vizio di incompetenza ove si sia in presenza non di un atto di delega di funzioni amministrative, ma di una mera delega interorganica o di firma, che, senza alterare l'ordine delle competenze stabilito dalla legge, attribuisca al soggetto delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata".
Con riguardo alla pretesa incompetenza del funzionario delegato che ha adottato l’atto di annullamento del permesso di costruire (di competenza dirigenziale) “Non è configurabile un vizio di incompetenza ove si sia in presenza non di un atto di delega di funzioni amministrative, ma di una mera delega interorganica o di firma, che, senza alterare l'ordine delle competenze stabilito dalla legge, attribuisca al soggetto delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata" (cfr. TAR Brescia, Sez. II, 20.05.2010, n. 2070; TAR Toscana, Sez. III, 18.12.2002, n. 3372).
Anche nel caso di specie (come già in quelli trattati con le richiamate sentenze della Sezione), stante la delega di firma disposta con atto 01.10.2008, prot. 54397 -rispetto al quale non sono dedotte specifiche censure- il provvedimento adottato dal geom. ... è senz’altro imputabile alla competenza del dirigente del settore urbanistica e difesa del territorio dell’amministrazione provinciale di Imperia
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.01.2012 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: La competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a ciò proposto.
Anche a voler aderire all’orientamento che reputa competente il sindaco all’adozione di siffatto tipo di ordinanze, nel caso di specie, trattandosi –a ben vedere– di un provvedimento vincolato (che l’Amministrazione Comunale adotta una volta accertati i presupposti indicati dalla legge, non essendo prevista alcuna valutazione comparativa di interessi), trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto impugnato non è comunque annullabile per il vizio in esame quando il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
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I presupposti per poter emettere l’ordine di rimozione di cui all'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 sono da ravvisare nell’esistenza di un rapporto, anche di mero fatto, tra il bene immobile oggetto dell’illecito abbandono di rifiuti ed il destinatario dell’ordine predetto, nonché nell’imputabilità a quest’ultimo della relativa responsabilità a titolo di dolo o colpa.
Costituisce un’ipotesi di colpa ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche l’atteggiamento omissivo del proprietario che non predispone le cautele necessarie ad evitare il danno (omessa recinzione del suolo, omessa denuncia all'autorità, ecc.), di per sé atto ad escludere il configurarsi di una responsabilità oggettiva.

La censura di incompetenza del dirigente che ha adottato l’atto impugnato non convince per due ordini di ragioni.
In primo luogo, il Collegio, pur consapevole del fatto che non mancano pronunce contrastanti sul punto, ritiene di dover aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a ciò proposto (Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3765; TAR Sardegna, sez. II, 04.11.2009, n. 1598).
In secondo luogo, anche a voler aderire all’orientamento che reputa competente il sindaco all’adozione di siffatto tipo di ordinanze, nel caso di specie, trattandosi –a ben vedere– di un provvedimento vincolato (che l’Amministrazione Comunale adotta una volta accertati i presupposti indicati dalla legge, non essendo prevista alcuna valutazione comparativa di interessi), trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto impugnato non è comunque annullabile per il vizio in esame quando il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
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L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che “fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
I presupposti per poter emettere l’ordine di rimozione di cui alla citata norma, quindi, sono da ravvisare nell’esistenza di un rapporto, anche di mero fatto, tra il bene immobile oggetto dell’illecito abbandono di rifiuti ed il destinatario dell’ordine predetto, nonché nell’imputabilità a quest’ultimo della relativa responsabilità a titolo di dolo o colpa.
Al riguardo, si cita una pronuncia della Cassazione Penale, secondo cui costituisce un’ipotesi di colpa ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche l’atteggiamento omissivo del proprietario che non predispone le cautele necessarie ad evitare il danno (omessa recinzione del suolo, omessa denuncia all'autorità, ecc.), di per sé atto ad escludere il configurarsi di una responsabilità oggettiva (Cassazione penale, sez. III, 11.03.2008, n. 14747) (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 02.01.2012 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

COMPETENZE GESTIONALI  - INCARICHI PROFESSIONALI: Delibera della Giunta comunale con cui si affida un incarico professionale. Illegittimità per omesso esperimento di una procedura di evidenza pubblica e per incompetenza dell’esecutivo comunale.
E’ illegittima una deliberazione con la quale la Giunta comunale ha affidato ad un ingegnere, in via diretta, l’incarico professionale per la realizzazione del piano strutturale comunale; detto provvedimento, infatti, da una parte, in ossequio ai principi generali di concorrenza "per il mercato", avrebbe dovuto essere adottato dall’ente locale rispettando le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica e, dall’altra, è illegittimo per incompetenza della Giunta in quanto, pur trattandosi di una attività di gestione, gli atti del procedimento sono stati adottati non dall’organo burocratico ma dall’organo politico, con conseguente violazione dell’art. 107 del D.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,  sentenza 31.12.2011 n. 1680 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: A. Galbiati, La competenza all’approvazione dei piani attuativi conformi dopo il D.L. Sviluppo (link a www.studiospallino.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIPoteri del Sindaco in materia di sicurezza igienico-sanitaria.
La regolamentazione delle attività di manutenzione delle aree adibite a verde insite sul proprio territorio può essere assunta dal comune nell'ambito delle normali funzioni concernenti lo sviluppo economico e sociale, nonché il governo del territorio, allo stesso assegnate dalla legge.
Qualora tale regolamentazione non sia stata codificata, il potere del comune di richiedere l'immediato sfalcio di un terreno può essere ricompreso, qualora ne sussistano i presupposti, tra le situazioni previste dalla legge per l'emanazione di ordinanze contingibili ed urgenti.

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Il Comune riferisce che, nell'adiacenza di un parco giochi situato accanto al palazzo municipale, insiste un terreno privato non sfalciato da circa due anni. Tale stato di abbandono avrebbe portato al proliferare di zecche, serpenti ed altri rettili che potrebbero facilmente raggiungere il parco giochi frequentato da bambini.
L'Ente chiede di sapere se, a fronte di questa situazione, il Sindaco, in qualità di ufficiale sanitario comunale, possa emettere un'ordinanza volta ad obbligare il proprietario a sfalciare detto terreno. Domanda, inoltre, quali sarebbero le conseguenze in caso di mancato ottemperamento all'ordine.
Rinviando in via preliminare alle lettura dei pareri in materia di ordinanze sindacali precedentemente espressi da questo Ufficio[1], si espone quanto segue.
La regolamentazione delle attività di manutenzione delle aree adibite a verde insite sul proprio territorio può essere assunta dal Comune nell'ambito delle normali funzioni concernenti lo sviluppo economico e sociale, nonché il governo del territorio, allo stesso assegnate dalla legge[2].
In tale contesto, l'Ente può stabilire, per ragioni di sicurezza, igiene e decoro, l'obbligo, in capo ai proprietari o altri aventi titolo su detti terreni, di effettuare lo sfalcio periodico dell'erba. All'eventuale violazione di tale generica prescrizione, il Comune potrà, previa specifica diffida ad adempiere, comminare una determinata sanzione amministrativa e procedere all'esecuzione d'ufficio del provvedimento con spese a carico del cittadino inadempiente[3].
Qualora tale regolamentazione non sia stata codificata, come pare nel caso de quo, il potere del Comune di richiedere l'immediato sfalcio di un terreno può essere ricompreso tra le situazioni previste dalla legge per l'emanazione di ordinanze contingibili ed urgenti.
L'art. 54, comma 4, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL), attribuisce al sindaco, quale ufficiale di Governo, il potere di adottare provvedimenti, contingibili ed urgenti, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di eliminare e di prevenire gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
L'art. 50, comma 5, del TUEL, stabilisce, inoltre, il potere del sindaco, quale rappresentante della comunità locale, di adottare ordinanze contingibili ed urgenti in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, riprendendo quanto previsto dal legislatore con l'art. 32 della legge 23.12.1978, n. 833 e con l'art. 117 del D.Lgs. 31.03.1998, n. 112.
Pur non potendo entrare nel merito di decisioni di stretta competenza dell'Ente, pare che, tra gli elementi di fatto esposti dal Comune, si possa considerare integrato il requisito del 'grave pericolo', richiesto dalla legge, nella possibilità di morso e di contagio da parte di zecche e rettili ai danni dei bambini frequentanti il parco pubblico.
L'Ente dovrà, quindi, valutare, ai fini del legittimo ricorso allo strumento dell'ordinanza sindacale, se siano integrati anche i presupposti dell'urgenza e della contingibilità[4], con riferimento al momento in cui tale provvedimento sarà preso[5].
Riguardo alle conseguenze dell'eventuale mancato adempimento dell'ordine impartito dal Sindaco con l'ordinanza contingibile ed urgente, il proprietario del terreno dovrà essere contestualmente avvisato che potrà:
- essere denunciato all'autorità giudiziaria per violazione dell'art. 650 del Codice penale[6];
- essere obbligato al pagamento delle spese per lo sfalcio dell'erba operato dal Comune in sua vece[7] ai sensi dell'art. 54, comma 7, del TUEL[8].
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[1] V. pareri prot. 32283 dd. 13.09.2011; 2279 dd. 18.02.2010; 3624 dd. 04.03.2010; 11967 dd. 27.07.2009; 4683 dd. 11.03.2008, consultabili sul Portale del Sistema delle autonomie locali all'indirizzo: http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/
[2] V. art. 16 della legge regionale 09.01.2006, n. 1.
[3] V. parere dell'Anci dd. 09.05.2000.
[4] Per urgenza, si deve intendere l'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente, mentre, per contingibilità, l'impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi offerti dalla legislazione.
[5] V. Consiglio di Stato, sez. V, 11.12.2007, n. 6366: 'il potere di urgenza può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni'.
[6] Art. 650 del Codice penale: 'Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206'.
[7] V. parere dell'Anci dd. 09.09.2009 in cui si ritiene che, per questi atti, sia d'obbligo avvertire preventivamente l'interessato e che, qualora quest'ultimo si opponga all'intervento, il comune, a seguito della denuncia ex art. 650 C.P., potrà chiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria.
[8] Art. 54, comma 7, del TUEL: 'Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi'
(22.11.2011 - link a www.regione.fvg.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La competenza del legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta a disporre la riduzione in pristino dei luoghi in caso di attività, inclusa quella edilizia, non conforme al regolamento del Parco, al piano per il Parco, o al nulla osta preventivo, trova fondamento nell'art. 29, l. 06.12.1991 n. 394
La competenza del legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta a disporre la riduzione in pristino dei luoghi in caso di attività, inclusa quella edilizia, non conforme al regolamento del Parco, al piano per il Parco, o al nulla osta preventivo, trova fondamento nell'art. 29, l. 06.12.1991 n. 394 ("legge quadro sulle aree protette") (TAR Campania Salerno, sez. II, 22.04.2003, n. 329) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl Direttore generale è un dirigente a tutti gli effetti, anzi è il vertice della struttura dirigenziale comunale e quindi è in grado di adottare tutti gli atti (di gestione) che competono all’apparato burocratico dell’Ente.
La disciplina legislativa configura certamente il direttore generale come funzionario di vertice destinato a fare da tramite tra organi di governo (competenti alla determinazione degli indirizzi ed obiettivi) e organi burocratici dell’ente, (competenti per la gestione); nondimeno, deve sicuramente escludersi che il direttore generale possa ascriversi alla prima delle categorie di organi, siccome, nei comuni, gli organi politici di governo sono tassativamente elencati dall’art. 36 del citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30 della legge n. 142 del 1990] (il consiglio, la giunta e il sindaco), tutti strettamente legati da rapporto politico-rappresentativo alla collettività di cui l’ente è esponenziale e titolari delle funzioni di indirizzo politico- amministrativo (…). Pertanto, il direttore generale, pur essendo investito di compiti e funzioni che valgono a conferirgli una posizione differenziata rispetto a quella degli altri dirigenti, è esso stesso un dirigente.

Il Direttore generale è un dirigente a tutti gli effetti, anzi è il vertice della struttura dirigenziale comunale e quindi è in grado di adottare tutti gli atti (di gestione) che competono all’apparato burocratico dell’Ente, come sembrerebbe ricavarsi anche dall’art. 26-bis dello Statuto del Comune di Fagnano Olona (all. 6 del Comune). Difatti, il potere di controllo e di vigilanza sulla struttura organica dell’Amministrazione implicano anche la possibilità di intervenire per sostituire o modificare le determinazioni assunte da soggetti allo stesso Direttore generale gerarchicamente subordinati.
In tal senso sembra essere orientata la stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, allorquando ha affermato che “la disciplina legislativa configura certamente il direttore generale come funzionario di vertice destinato a fare da tramite tra organi di governo (competenti alla determinazione degli indirizzi ed obiettivi) e organi burocratici dell’ente, (competenti per la gestione); nondimeno, deve sicuramente escludersi che il direttore generale possa ascriversi alla prima delle categorie di organi, siccome, nei comuni, gli organi politici di governo sono tassativamente elencati dall’art. 36 del citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30 della legge n. 142 del 1990] (il consiglio, la giunta e il sindaco), tutti strettamente legati da rapporto politico-rappresentativo alla collettività di cui l’ente è esponenziale e titolari delle funzioni di indirizzo politico- amministrativo (…). Pertanto, il direttore generale, pur essendo investito di compiti e funzioni che valgono a conferirgli una posizione differenziata rispetto a quella degli altri dirigenti, è esso stesso un dirigente” (Cassazione civile, sez. un., ord. 12.06.2006, n. 13538) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.11.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIL'ordine di demolizione d'un edificio abusivo, essendo un atto sanzionatorio a carattere vincolato, è di competenza del dirigente del settore a seguito della devoluzione, in via generale, delle competenze gestionali del sindaco ai dirigenti del comune operata dagli art. 4 e 51, della riforma della autonomie locali di cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio è stato poi ulteriormente chiarito dalle disposizioni di carattere interpretativo, rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n. 127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del 1998 con cui il legislatore ha espressamente ricompreso, tra gli atti di gestione, proprio i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi.
La giurisprudenza ha affermato che l'ordine di demolizione d'un edificio abusivo, essendo un atto sanzionatorio a carattere vincolato, è di competenza del dirigente del settore (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 06.03.2000, n. 1149; Consiglio Stato, sez. IV, 24.12.2008, n. 6550) a seguito della devoluzione, in via generale, delle competenze gestionali del sindaco ai dirigenti del comune operata dagli art. 4 e 51, della riforma della autonomie locali di cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio è stato poi ulteriormente chiarito dalle disposizioni di carattere interpretativo, rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n. 127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del 1998 con cui il legislatore ha espressamente ricompreso, tra gli atti di gestione, proprio i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISulla facoltà del dirigente di assegnare la responsabilità del procedimento ad altro dipendente addetto all’unità responsabile dell’istruttoria, comprendendo nell’incarico ogni adempimento inerente il procedimento stesso, inclusa l’adozione del provvedimento finale.
Il ricorrente impugna l’ingiunzione (05.06.2009. n. 142207/2009, del Comune di Bologna) a demolire opere edilizie eseguite in parziale difformità dal titolo, in quanto: .. 3) sottoscritta dal funzionario delegato, per il competente Direttore del Settore Urbanistica e Territorio, sulla base di delega (P.G. 103597/2007) illegittima poiché non sufficientemente circoscritta nell’oggetto, nella durata e nei motivi, in violazione dell’art. 17 del D.Lgs. 165/2001.
...
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l’applicazione dell’invocato art. 17 D.lgs. n. 165/2001 agli enti locali non è diretta, ma mediata dalle disposizioni dello Statuto e del Regolamento del personale. L’art. 27 del D.lgs. n. 165/2001 prevede, infatti, che gli ordinamenti locali si adeguino con i propri statuti e regolamenti, nel rispetto delle proprie peculiarità ed autonomia, al principio di separazione delle funzioni di indirizzo da quelle gestionali e amministrative attribuite ai dirigenti.
L’art. 111 del D.lgs. 267/2000 dispone che “gli enti locali, tenendo conto delle proprie peculiarità, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano lo statuto e il regolamento ai principi del capo II del D.lgs. N. 29/1993 e successive modificazioni" (oggi D.lgs. 165/2001). Lo statuto del Comune di Bologna specificamente prevede, all’8° comma dell’art. 44 (titolato “Funzione dirigenziale”), che “i dirigenti hanno facoltà di delegare l’esercizio delle funzioni loro spettanti ai responsabili delle strutture in cui si articolano i settori cui sono preposti” e, in tal senso, dispone anche l’art. 13, 5° comma, del “Regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi”, reiterando, con identica formulazione, quanto già previsto dall’art. 13, 5° comma, del previgente Regolamento approvato il 07/06/2005. Anche gli articoli 5 e 6 della legge 241/1990 legittimano disposizioni statutarie e regolamentari che distinguano le funzioni dirigenziali –di amministrazione finalizzata al conseguimento degli obiettivi– da quelle propriamente amministrative, tecniche e di dettaglio, quindi delegabili, necessarie per la minuta attuazione dei programmi.
Infatti l’art. 5 prevede la facoltà del dirigente di assegnare la responsabilità del procedimento ad altro dipendente addetto all’unità responsabile dell’istruttoria, comprendendo nell’incarico ogni adempimento inerente il procedimento stesso, inclusa l’adozione del provvedimento finale. L’art. 6, alla lettera f), prevede espressamente che tra le competenze del responsabile del procedimento vi è quella di adottare il provvedimento finale (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 26.10.2011 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATAVariazione di destinazione d'uso dell'immobile - Istanza - Diniego - Adozione - Sindaco - Vizio di incompetenza - Competenza del Dirigente - Ipotesi di ordinaria attività gestionale. (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 107).
L'istanza di variazione di destinazione d'uso dell'immobile, non rientrando nell'ambito della definizione di obiettivi e programmi o della verifica della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa, integra una ipotesi di ordinaria attività gestionale, come tale affidata, in virtù del principio della separazione fra livello di indirizzo politico e gestionale, alla generale competenza del Dirigente in quanto apice della struttura burocratica.
Qualora, dunque, il provvedimento di diniego sull'istanza suddetta sia stato adottato dal Sindaco ha luogo una ipotesi di vizio di incompetenza per violazione dell'art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nella parte in cui contempla una previsione generale che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, ivi compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno (TAR Valle d'Aosta, sentenza 20.10.2011 n. 68 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI -URBANISTICA: M. Viviani, La competenza della Giunta comunale nel procedimento di approvazione dei piani attuativi conformi allo strumento urbanistico.
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Ringraziamo l'Avv. Mario Viviani per l'utile contributo ricevuto che pone chiarezza in merito al soggetto competente (Giunta o Consiglio Comunale) ad approvare i piani attuativi conformi allo strumento urbanistico a seguito di quanto dispone l’art. 5 del D.L. 13.05.2011 n. 70, convertito dalla L. 12.07.2011 n. 106 entrata in vigore il 13.07.2011.
20.10.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Approvazione dei piani attuativi conformi.
Secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 13, del D.L. n. 70/2011, convertito in legge 12.07.2011, n. 106, a decorrere dall’11.09.2011 e “sino all’entrata in vigore della normativa regionale, … i piani attuativi … conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale”.
Va chiarito preliminarmente che il termine “approvati”, in coerenza con gli obiettivi di semplificazione perseguiti dal legislatore statale, è da intendersi comprensivo anche della fase di adozione del piano attuativo. Per effetto della disposizione statale sopra riportata, irrompe nell’ordinamento urbanistico regionale un riparto di competenze diverso rispetto a quanto previsto dalla vigente legislazione regionale in materia di approvazione dei piani attuativi conformi.
Come noto, infatti, la L.R. n. 12/2005 prevede, salvo puntuali eccezioni, la competenza del Consiglio comunale, sia per i Comuni che versano tuttora in fase transitoria (art. 25, comma 8-bis), sia per i Comuni già dotati di PGT (art. 14, commi 1, 4 e 4-bis). Per come è formulata, la sopraggiunta disposizione statale prevale sulla disciplina regionale vigente, quantomeno fino al perfezionamento di un nuovo intervento legislativo regionale.
Pertanto, a far tempo dall’11.09.2011, spetta alla Giunta comunale l’adozione dei piani attuativi conformi al PRG o al PGT, come pure l’approvazione definitiva degli stessi, quand’anche fossero stati precedentemente adottati dal Consiglio comunale in ossequio a quanto previsto dalla L.R. n. 12/2005.
Milano, 07.09.2011.
L’Assessore al Territorio e Urbanistica, Daniele Belotti - Il Direttore Generale, Bruno Mori (link a www.territorio.regione.lombardia.it).
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Al riguardo, si legga un primo commento di Alice Galbiati: Piani Attuativi: di chi è la competenza dopo il Decreto Sviluppo? (link a http://studiospallino.blogspot.com).

COMPETENZE GESTIONALI: Domanda: Chi è competente ad adottare le ordinanze di disciplina del traffico adottate a tutela della sicurezza stradale?
Risposta: La materia è disciplinata dal codice della strada (d.lgs.vo 285/1992 e s.m.i) e dal testo unico degli enti locali (d.lgs.vo 267/2000).
In particolare l’articolo 7 del codice della strada, comma 1, stabilisce che “Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:
- adottare i provvedimenti indicati nell'art. 6, commi 1, 2 e 4;
- limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale, conformemente alle direttive impartite dal Ministro dei lavori pubblici, sentiti, per le rispettive competenze, il Ministro dell'ambiente, il Ministro per i problemi delle aree urbane ed il Ministro per i beni culturali e ambientali;
- stabilire la precedenza su determinate strade o tratti di strade, ovvero in una determinata intersezione, in relazione alla classificazione di cui all'art. 2, e, quando la intensità o la sicurezza del traffico lo richiedano, prescrivere ai conducenti, prima di' immettersi su una determinata strada, l'obbligo di arrestarsi all'intersezione e di dare la precedenza a chi circola su quest'ultima;
- riservare limitati spazi alla sosta dei veicoli degli organi di polizia stradale di cui all'art. 12, dei vigili del fuoco, dei servizi di soccorso, nonché di quelli adibiti al servizio di persone con limitata o impedita capacità motoria, munite del contrassegno speciale ovvero a servizi di linea per lo stazionamento ai capilinea;
- stabilire aree nelle quali e' autorizzato il parcheggio dei veicoli;
- stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli e' subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero dei lavori pubblici, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le aree urbane;
- prescrivere orari e riservare spazi per i veicoli utilizzati per il carico e lo scarico di cose;
- istituire le aree attrezzate riservate alla sosta e al parcheggio delle autocaravan di cui all'art. 185;
- riservare strade alla circolazione dei veicoli adibiti a servizi pubblici di trasporto, al fine di favorire la mobilità urbana
” .
La portata normativa dell’art. 7 del codice della strada va adeguata alle disposizioni del testo unico degli enti locali decreto legislativo 267/2000 che nell’affermare al 2° comma che “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente….”, al 5° comma dispone che a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 267/2000 “le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al Capo I Titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54”.
Ne deriva che
la competenza ad adottare ordinanze nelle materie indicate nel 1° comma dell’art. 7 del codice della strada rientra nella competenza dei dirigenti.
Conformemente, la giurisprudenza amministrativa per la quale sono escluse dalla competenza della dirigenza esclusivamente le ordinanze di maggiore impatto sull’intera collettività locale, per le quali la legge prevede l’intervento di un organo politico, come nel caso della delimitazione delle aree pedonali e delle zone a traffico limitato, per la quale si provvede “con deliberazione della giunta” (art. 7, nono comma, D.L.vo n. 285/1992), ovvero quelle di limitazioni connesse al rispetto dei limiti del tasso di inquinamento atmosferico (cfr. circ. min. ambiente, 30.06.1999, n. 2708/1999), ovvero, ancora, quelle di esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente (Cons. Stato, Sez. II, parere del 02.04.2003, n. 1661; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 20.12.2005, n. 20503; TAR Basilicata, 05.03.2007, n. 146) (link a www.entilocali.provincia.le.it).

COMPETENZE GESTIONALI: M. Massavelli, Regolamentazione della circolazione stradale: chi è responsabile? (link a www.diritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta.
L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42 e 48 d.lgs. 267 del 2000, salvo che l’approvazione del progetto comporti una variante allo strumento urbanistico, nel qual caso la competenza appartiene al Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.07.2010, n. 4890) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIAl Sindaco e al Presidente della provincia, quali legali rappresentanti dell’ente, può riconoscersi solo il potere di conferire il mandato al difensore, fermo restando che la decisione in ordine all’opportunità o meno di agire o resistere in giudizio spetta al dirigente nella cui sfera di competenza rientra il rapporto sostanziale che viene in rilievo.
Il Collegio è consapevole che gran parte della giurisprudenza ritiene che negli enti locali –e nel sistema del d.lgs. 17.08.2000, n. 267- il potere di agire e resistere in giudizio (e il conseguente conferimento del mandato alle liti al difensore) è funzione spettante al Sindaco o al Presidente della provincia, quali rappresentanti legali dell’ente, senza che occorra, in difetto di diverse disposizioni statutarie o regolamentari che attribuiscano il potere in questione alla giunta o al personale munito di qualifica dirigenziale, un’autorizzazione da parte di questi ultimi organi (Consiglio di Stato, sez. IV, 01.10.2008, n. 4744, Cassazione civile, sez. un., 10.12.2002, n. 17550); di conseguenza il Presidente della provincia (e il Sindaco) legittimamente conferiscono al difensore il mandato professionale senza che occorra che siano autorizzati da altri organi (ciò tra l’altro significherebbe che il mandato conferito ai controinteressati dal Presidente della provincia resterebbe valido e efficace anche in caso di annullamento della delibera della giunta impugnata, che sarebbe un atto sostanzialmente non necessario o “inutile”).
Tuttavia questa impostazione non è condivisibile.
La decisione di agire e resistere in giudizio e, se è per questo e a maggior ragione, la scelta del professionista cui affidare il patrocinio, non possono che esser considerate una decisione di carattere gestionale attinente ai rapporti di carattere sostanziale che volta a volta vengono in rilievo, che è pertanto riservata, in base all’articolo 107 del d.lgs. 17.08.2000, n. 267, al personale burocratico e non agli organi di governo, cui è riservato invece l’esercizio del potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.
Del resto, ad es., non potrebbe dubitarsi che la decisione di transigere in ordine alla controversia e la definizione dei termini della transazione siano un compito dei dirigenti (cui spetta, per espressa disposizione di legge, la stipulazione dei contratti); insomma –una volta affermato il principio che spetta ai dirigenti la gestione della sfera di attribuzioni dell’ente rientrante nella competenza degli organi cui sono preposti e l’adozione di tutti i relativi atti che impegnano l’ente nei rapporti con i terzi- non può non ritenersi che questa competenza abbracci ogni aspetto e decisione attinente alla gestione dei rapporti giuridici facenti capo all’organo, ivi comprese le decisioni inerenti alla eventuale instaurazione (o resistenza) a giudizi e alla definizione (d’intesa con il difensore dell’ente) delle relative strategie processuali.
Ciò, del resto, trova conferma nella disposizione citata che espressamente assegna ai dirigenti il compito di presiedere le commissioni di gara e stipulare i contratti; di conseguenza al Sindaco e al Presidente della provincia, quali legali rappresentanti dell’ente, può riconoscersi solo il potere di conferire il mandato al difensore, fermo restando che la decisione in ordine all’opportunità o meno di agire o resistere in giudizio spetta al dirigente nella cui sfera di competenza rientra il rapporto sostanziale che viene in rilievo (Cassazione civile, sez. trib., 17.12.2003, n. 19380, Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2005, n. 155) (TAR Lazio-Latina, sentenza 20.07.2011 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' illegittimo l'ordine di demolire una serie di opere abusive sottoscritto dal direttore generale del comune.
Ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 3, lett. g), del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, l’adozione dei provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale, spetta al dirigente responsabile del relativo ufficio o servizio.
Diverse sono invece le competenze del direttore generale, che sovrintende alla gestione dell'ente e che, pertanto, quale organo di raccordo delle attribuzioni dei singoli dirigenti, è competente ad adottare atti di gestione soltanto qualora essi coinvolgano più uffici o servizi, esorbitando dalla specifica competenza di ciascun dirigente (TAR Veneto, III, 03.03.2004, n. 513) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1081 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' attribuita ai dirigenti la responsabilità delle procedure d’appalto, dall'indizione della gara alla stipulazione del contratto.
All’interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, ma, ancor prima, già con l’avvento dell’art. 6 della legge 15.05.1997, n. 127, modificativo dell’art. 51 della legge 06.06.1990, n. 142, esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione.
Più in particolare, alla Giunta competono gli atti rientranti nelle funzioni “di indirizzo e controllo politico-amministrativo” che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48-107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, ed in particolare proprio la responsabilità delle procedure d’appalto e la stipulazione dei contratti, e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107 cit., commi 3 e 6).
Lo stesso art. 107 del T.U. impone specificamente agli statuti di uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Tale sistema normativo supera le eventuali distribuzioni di competenza in senso diverso contenute nelle disposizioni di secondo grado, ivi compresi gli statuti, che gli enti locali possano avere emanato con efficacia generale, sia sotto il profilo della gerarchia delle fonti, che sotto l'aspetto sistematico (C.d.S. V, n. 7488 del 16.11.2004) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2011 n. 3925 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIL'ordinanza di ripristino del pubblico transito di una strada, nella specie nel ripristino d’un passaggio di uso pubblico su di una strada che si assume utilizzata dalla collettività, si connota sicuramente come atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267.

Il D.Lgs. n. 267 del 2000 ha, come è noto, sancito, nell’art. 107, un criterio di ripartizione delle attribuzioni di competenza in ambito comunale che affida alla dirigenza gli atti gestionali e lascia agli organi di governo, quale il Sindaco, solo gli atti attinenti alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi comunali.
A norma del principio sancito dall'art. 107 del citato D.Lgs., la competenza ad adottare provvedimenti amministrativi, consistenti in atti autoritativi posti in essere dalla p.a. nell'espletamento di una potestà amministrativa e aventi rilevanza esterna, è stata devoluta ai dirigenti degli enti locali -fatti salvi solo l’esercizio dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo spettanti agli organi di governo– con l’attribuzione ai dirigenti dei compiti non compresi espressamente dalla legge o dallo statuto fra le funzioni degli organi di governo o fra quelle del segretario comunale o del direttore generale.
L’art. 107 del D.Lgs. in questione prevede altresì che, a decorrere dalla data di sua entrata in vigore, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo dell’ente "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54".
L'articolo 50, comma 3, prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 107, il sindaco e il presidente della provincia "esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia".
L’articolo 54 descrive le attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale indicando che lo stesso sovraintende, quale ufficiale del Governo: "a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica; b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria; c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto".
Alla luce di tale premessa la censura si rivela infondata, come evidenziato di recente in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, I, 08/04/2011 n. 184).
In primo luogo, il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia agito in virtù di un più ampio potere di autotutela amministrativa spettante alla stessa sui beni demaniali ex art. 823 cod. civ. (ed in forza dell’art. 825 cod. civ. anche sui diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti quando sono stati costituiti per l'utilità di beni demaniali o per il conseguimento di fini di pubblico interesse) che esula dallo stretto disposto dell’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, riallacciandosi, nel caso in esame, l’azione dell’amministrazione al più ampio potere di tutela dei beni demaniali e dei diritti reali ad uso pubblico.
In questo senso, pertanto, l’atto posto in essere si connota sicuramente come atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267 (TAR Basilicata, sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIL'esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali è (e resta) attribuito al Sindaco dall'art. 378 della legge 20.03.1865, all. F (e dall'art. 15, d.l.Lgt. 01.09.1918 n. 1446) in quanto la detta disposizione è stata sottratta all'effetto abrogativo di cui all'art. 2 del d.l. 22.12.2008 n. 200 (convertito, con modificazioni, nella legge 18.02.2009 n. 9), dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 01.12.2009 n. 179. Non vi sono dubbi quindi che il generale potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del comune, di cui all'art. 378, l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, continui a spettare al sindaco sia in ragione della persistente vigenza della norma e sia della riconducibilità del potere di tutela qui previsto alla funzione di ufficiale di governo. Per questo motivo, tale potere non può ritenersi trasferito al dirigente con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che l'art. 107, comma 5, del predetto testo normativo fa espressamente salve le competenze del Sindaco specificamente previste dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54, e cioè proprio le competenze espressamente attribuitegli dalla legge nelle materie di ordine e di sicurezza pubblica, in quanto in tali fattispecie la tutela del bene comunale assicura in concreto un diritto, che è di rilievo costituzionale, quale quella alla libera circolazione sul territorio di tutti i cittadini, ancorché non residenti nel Comune.
Quanto poi al profilo concernente l’incompetenza del Sindaco affermata dal TAR, deve invece rilevarsi che l'esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali è (e resta) attribuito al Sindaco dall'art. 378 della legge 20.03.1865, all. F (e dall'art. 15, d.l.Lgt. 01.09.1918 n. 1446) in quanto la detta disposizione è stata sottratta all'effetto abrogativo di cui all'art. 2 del d.l. 22.12.2008 n. 200 (convertito, con modificazioni, nella legge 18.02.2009 n. 9), dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 01.12.2009 n. 179. Non vi sono dubbi quindi che il generale potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del comune, di cui all'art. 378, l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, continui a spettare al sindaco sia in ragione della persistente vigenza della norma e sia della riconducibilità del potere di tutela qui previsto alla funzione di ufficiale di governo.
Per questo motivo, tale potere non può ritenersi trasferito al dirigente con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che l'art. 107, comma 5, del predetto testo normativo fa espressamente salve le competenze del Sindaco specificamente previste dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54, e cioè proprio le competenze espressamente attribuitegli dalla legge nelle materie di ordine e di sicurezza pubblica, in quanto in tali fattispecie la tutela del bene comunale assicura in concreto un diritto, che è di rilievo costituzionale, quale quella alla libera circolazione sul territorio di tutti i cittadini, ancorché non residenti nel Comune (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3509 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Circolazione stradale - Limitazioni del transito di veicoli - Competenza del dirigente (oltre che del Sindaco) ad emettere i provvedimenti di cui agli artt. 6 e 7 del D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 - Sussiste - Ragioni.
Rientrano nelle competenze dei dirigenti anche i provvedimenti che gli articoli 6 e 7 del D.lgs. 30.04.1992, n. 285 attribuiscono espressamente al Sindaco, trattandosi di atti che, per un verso, non implicano l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo, ma di gestione ordinaria e, per altro verso, non rientrano nelle deroghe di cui agli artt. 50 e 54 del D.lgs. 18.08.2000, n. 267 (Nella specie, la parte ricorrente aveva eccepito l'incompetenza del Comandante della Polizia Locale ad emettere un'ordinanza di limitazione della circolazione e della sosta dei veicoli nel centro abitato per ragioni di sicurezza e di ordinato flusso del traffico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: È illegittima per incompetenza la delibera con la quale il Consiglio comunale abbia approvato il progetto per la realizzazione di un parcheggio che comporta variante allo strumento urbanistico.
La giurisprudenza ha chiarito che in base al disposto degli articoli 32 e 35 della legge 08.06.1990, n. 142, l’approvazione dei progetti di opere pubbliche rientra nella competenza della giunta comunale anche quando l’approvazione comporta variante allo strumento urbanistico ex art. 1 della legge 03.01.1978, n. 1 (C.d.S., sez. IV, 26.04.2006, n. 2293), con conseguente illegittimità, sotto il profilo proprio dell'incompetenza, della delibera con la quale il Consiglio comunale abbia approvato il progetto per la realizzazione di un parcheggio, che comporta variante allo strumento urbanistico (C.d.S., sez. IV, 20.03.2000, n. 1471).
E’ stato anche precisato che appartengono alla competenza della giunta comunale gli atti che non siano riservati per legge al consiglio comunale, cui spetta l'adozione di atti di programmazione e di indirizzo, tra cui non può annoverarsi l'approvazione dei progetti di opera pubblica (C.d.S., sez. V, 16.06.2009, n. 3853) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIQuanto al potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, non può che convenirsi con l’indirizzo interpretativo secondo cui, alla luce dell’insuperabile dato testuale dell’art. 192, co. 3, D.Lgs. n. 152/2006, la relativa competenza appartiene al Sindaco e non ai dirigenti, e questo anche in considerazione della specialità della norma e della sua posteriorità rispetto all’art. 107 D.Lgs. n. 267/2000.
Com’è noto, l’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 pone un divieto di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, la cui violazione è difesa da quello che in dottrina viene definito un peculiare sistema sanzionatorio binario, repressivo e propositivo: da un lato, le sanzioni penali ed amministrative disciplinate dagli artt. 255 e 256 del medesimo D.Lgs. n. 152/2006, dall’altro il potere sindacale di ordinare la rimozione dei rifiuti e di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi del terzo comma del medesimo art. 192. Diversamente, nei casi di contaminazione, effettiva o potenziale, di un sito, da intendersi quale superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione delle sostanze inquinanti rilevate nelle matrici ambientali, trovano applicazione le procedure di messa in sicurezza e bonifica di cui all’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006, l’attivazione delle quali è garantita dai poteri di ordinanza e di esecuzione in danno disciplinati dai successivi artt. 244 e 250.
Nella specie, il provvedimento adottato dal Comune di S. Casciano Val di Pesa presenta una commistione di contenuti, nella misura in cui l’amministrazione non soltanto invoca, per legittimare il proprio intervento, sia l’art. 192, sia gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006, ma impartisce –nel medesimo contesto– disposizioni riconducibili ora all’una, ora alle altre delle richiamate previsioni di legge. In particolare, se il punto n. 1 del dispositivo contiene un ordine di provvedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dell’area interessata dalla discarica, sul presupposto implicito dell’esistenza di una situazione di contaminazione, il punto n. 2 contiene quell’ordine di rimozione, smaltimento dei rifiuti e ripristino dell’area che, lo si è visto, appartiene tipicamente al novero dei poteri sindacali in materia di abbandono incontrollato dei rifiuti: ma, in disparte ogni questione circa l’ammissibilità o meno di un siffatto concorso di rimedi, i poteri esercitati esulano comunque dalle attribuzioni dell’autorità procedente.
Quanto al potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, non può che convenirsi con l’indirizzo interpretativo secondo cui, alla luce dell’insuperabile dato testuale dell’art. 192, co. 3, D.Lgs. n. 152/2006, la relativa competenza appartiene al Sindaco e non ai dirigenti, e questo anche in considerazione della specialità della norma e della sua posteriorità rispetto all’art. 107 D.Lgs. n. 267/2000 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3765).
Quanto, invece, ai poteri di ordinanza che l’art. 244 D.Lgs. n. 152/2006 appresta onde imporre ai soggetti responsabili dell’inquinamento di un sito di provvedere alla messa in sicurezza d’emergenza ed alla bonifica, stando alla norma statale essi ricadono nella competenza della Provincia, e non induce a diverse conclusioni l’esame della legislazione regionale, posto che la legge regionale toscana n. 30/2006 ha delegato ai Comuni le sole funzioni inerenti le procedure amministrative attinenti alla procedure ex art. 242. E neppure vale sostenere, come fa la difesa del Comune, che, con l’ordinanza impugnata, si sarebbe inteso mettere lo Scherma in condizione di eseguire gli interventi richiesti dall’art. 242, non potendosi dubitare della valenza coercitiva del provvedimento e della sua perfetta sovrapponibilità con la diffida “a provvedere ai sensi del presente titolo” di competenza provinciale, come è del resto confermato dalla circostanza che lo stesso provvedimento comunale enuclea dettagliatamente gli adempimenti imposti all’interessato per l’ipotesi di superamento delle CSC e delle CSR, sul modello della previsione normativa applicata (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIL’approvazione del progetto esecutivo di opera pubblica è di competenza della Giunta Comunale e non del dirigente.
Non appare condivisibile l’assunto di parte ricorrente circa la natura meramente gestoria dell’atto di approvazione del progetto esecutivo di un’opera pubblica, con la sua ascrizione alla competenza dirigenziale, mentre il Collegio ritiene di condividere il prevalente orientamento giurisprudenziale che attribuisce l’approvazione del progetto esecutivo di opera pubblica alla competenza di Giunta (Cons. Stato, sez, IV, 11.09.2001, n. 4744; TAR Lecce, sez. I, 31.03.2003, n. 1415; TAR Venezia, sez. I, 07.07.2004, n. 2266; TAR Toscana, sez. I, n. 1038 del 2008) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 06.04.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGOIl Collegio condivide la tesi del ricorrente, circa la natura speciale della normativa che disciplina il funzionamento della Polizia Municipale, aspetto questo che la giurisprudenza pacificamente presuppone perché la considera una condizione di autonomia del Corpo rispetto all’organizzazione dell’Ente, servente e funzionale alla garanzia delle peculiari funzioni di vigilanza, ordine pubblico, controllo del territorio e così via.
Per tali ragioni, la giurisprudenza consolidata statuisce che, nell'ambito dell'organizzazione comunale deve essere sempre garantita la totale autonomia del Corpo di polizia municipale per quanto concerne le competenze di cui all'art. 9 l. n. 65 del 1986 ed è anche per tali ragioni che, una volta eretta in Corpo, la polizia municipale non può essere considerata una struttura intermedia in una struttura burocratica più ampia, per esempio un settore amministrativo, né essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo di tale struttura.
Si è quindi espressamente riconosciuto che la legge quadro n. 65/1986 riveste, tuttora, carattere di "legge generale", per quanto attiene alla definizione dei principi organizzativi dei comuni nello specifico settore della polizia municipale -dal momento che è diretta a fissare i principi generali cui dovranno adeguarsi la legislazione regionale ed il potere regolamentare dell'ente locale-, nonché possiede un indubbio carattere di "specialità" che non consente l'abrogazione implicita da parte della sopravvenuta legge di riforma del sistema delle autonomie locali (TAR Lazio Latina, sez. I, 28.04.2007, n. 305, già richiamata, secondo cui la materia della polizia amministrativa locale, afferendo piuttosto al "governo del territorio", non rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, c. 2, lett. h, Cost., bensì in quella concorrente Stato-Regione (art. 117, c. III, Cost.).
Dunque, la particolarità delle funzioni che la Polizia Municipale è chiamata ad assolvere ne rende l’ordinamento distinto dalle disposizioni generali in tema di organizzazione degli Enti locali, che possono trovare applicazione ad esso solamente laddove non diversamente disposto dalla normativa speciale e di settore, e solo a fini di coordinamento tra l’organizzazione della Polizia Municipale ed il resto dell’organizzazione comunale.
In questo senso, ed ancora richiamando quanto affermato in giurisprudenza, tra le due discipline sussiste un “punto di equilibrio” che “consiste …nel riconoscere la piena autonomia del comandante limitatamente alla sfera di competenze che con carattere di tassatività sono state individuate nei competenti articoli della legge quadro nazionale e regionale di settore, come la gestione delle risorse assegnate, l'impiego tecnico-operativo, la disciplina e l'addestramento degli appartenenti al corpo o al servizio….. mentre la suddetta autonomia esclusiva non può, in astratto, impedire che il Comandante della P.M., per gli aspetti organizzativi che esulano appunto dall'impiego tecnico operativo, dall'addestramento e dalla disciplina dei vigili, possa formalmente essere inquadrato in un settore amministrativo.
Viene in gioco, al riguardo, la (discrezionale) potestà amministrativa che consente al comune di organizzare la polizia locale, anziché come "Corpo", in "Servizio" autonomo all'interno di un più vasto "Settore" (macro organizzazione), nell'ambito del quale possono confluire, per ragioni di economicità ed efficienza, anche altri "Servizi" oltre quello di vigilanza.
In tali casi, è legittimo che la direzione dell'intero "settore" (comprensivo di più "servizi") sia affidata ad un dirigente amministrativo (non graduato); si tratta, infatti, di una scelta in linea non solo con la temporaneità ed interscambiabilità degli incarichi dirigenziali (art. 109, D.Lvo n. 267/2000; art. 2103 Cod. civ.) bensì, anche con il principio, posto dal buon senso, prima ancora che dalla legge, della esclusività e necessità delle funzioni di polizia per cui é ragionevole che chi deve controllare sia ed appaia "terzo" rispetto alle situazioni oggetto del controllo; una scelta volta anche ad eliminare possibili situazioni di incompatibilità della funzione di comandante con altre funzioni o incarichi all'interno dell'amministrazione comunale.
L'unica condizione dovrà essere che al Comandante collocato alle dipendenze del dirigente del settore non siano sottratte le esclusive attribuzioni garantitegli dalla legge".
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Non può negarsi il potere del Comune di modificare l’assetto di un Settore di Polizia Municipale trasformandolo in Servizio.
Infatti, la giurisprudenza riconosce, sul piano delle scelte di politica organizzativa interna dell’Ente, il potere del Comune di strutturare la propria Polizia Municipale in Settore oppure in Corpo e tale potere non può essere scisso dalla possibilità di trasformare l’uno nell’altro e viceversa, a seconda delle esigenze organizzative dell’Ente, le sue dimensioni, e nel rispetto dei presupposti di legge e con la precisazione che, in ogni caso il vertice della Polizia Municipale deve essere salvaguardato nella sua autonomia rispetto all’organo politico ed alle rimanenti strutture amministrative dell’Ente, nell’esercizio delle proprie funzioni.
Tuttavia, si deve trarre da quanto esposto l’ulteriore corollario che la possibilità di trasformare un Settore di Polizia Municipale in Servizio è una scelta non rimessa alla mera discrezionalità dell’Ente, ma da esercitarsi in un contesto generale di razionalità, e con caratteristiche tali da palesarne la logica in termini di efficacia, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa, sul piano organizzativo.
Sebbene è vero che gli atti di organizzazione non richiedono una puntuale motivazione, è altrettanto vero che la contestazione di atti di macroorganizzazione che è affidata alla giurisdizione del giudice amministrativo, comporta necessariamente che sia possibile censurare da parte del ricorrente la coerenza dell’organizzazione dell’Ente con gli scopi istituzionali che quell’organizzazione deve presupporre e perseguire, ciò che fonda l’obbligo processuale dell’Amministrazione di dimostrare in giudizio la sussistenza di criteri di razionalità ed efficienza nella scelta organizzativa oggetto di causa.
In altri termini, ciò che difetta, ex lege 241/1990, in termini di obbligo puntuale di motivazione negli atti di macroorganizzazione, è compensato dalla necessità di sindacarne i limiti in relazione al principio di legalità di cui all’art. 97 della Cost. a norma del quale i pubblici uffici sono organizzati secondo legge. Tale previsione radica un obbligo di conformazione delle scelte organizzative di un Ente locale ai principi informatori che la legge pone come scopo funzionale dell’organizzazione medesima: invero, l’organizzazione di un pubblico ufficio altro non è, sul piano strutturale, che la precondizione necessaria allo svolgimento delle funzioni che la PA è chiamata ad assolvere e la sua struttura deve possedere i requisiti necessari a consentire in termini di effettività e di efficacia lo svolgimento di esse.
Si deve quindi affermare che può formare oggetto di giudizio e dunque di sindacato del giudice amministrativo la coerenza delle scelte di macroorganizzazione di un Ente con le finalità specifiche di servizio che la legge, o gli atti regolamentari e statutari che, in forza di legge, sono adottati dagli Enti locali, pongono in relazione all’organizzazione della PA, sotto il profilo dell’accertamento dell’attitudine dell’organizzazione e della sua struttura ad assolvere i compiti di istituto assegnati.
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La censura con la quale si lamenta l’immotivata ed irrazionale destrutturazione della Polizia Municipale mediante la sostituzione integrale della originaria dotazione organica di sette unità di categoria “C” e “D” in sei unità di categoria “B” ed una di categoria “D”, senza alcuna utilità sul piano organizzativo e dell’assolvimento del servizio, va ritenuta fondata, analogamente a quanto già statuito in fattispecie analoghe.
Infatti, dalle difese comunali e dagli atti amministrativi impugnati o quelli comunque versati in giudizio, non risulta emergere alcuna coerenza nel depotenziamento della Polizia Municipale del Comune mediante la dequalificazione radicale del suo organico, rispetto alle esigenze di servizio che la legge prefigge.
A fronte di un organico perfettamente idoneo –per qualifiche previste- a svolgere tutti i compiti che la legge assegna alla Polizia Municipale, con particolare riferimento a quelli, di delicata natura, di accertamento e prevenzione, tutela dell’ordine pubblico e funzioni di polizia giudiziaria, la Polizia Municipale riformata in un servizio composto per la quasi totale prevalenza da ausiliari alla sosta è strutturalmente posta nelle condizioni di non poter più adempiere a quasi nessuno dei propri compiti istituzionali e tutto ciò senza che si possa ravvisare dal complesso degli atti versati in giudizio, alcuna ragionevole motivazione organizzativa in tal senso.
Né soccorre, anche in via meramente ipotetica, una eventuale ragione di esigenze di risparmio di spesa, peraltro insufficienti di per sé a giustificare un così drastico ridimensionamento di un settore così complesso, perché, in ogni caso, avrebbero richiesto una efficace dimostrazione anche in giudizio (per chiarire, ad esempio, la convenienza di un minimo risparmio in termini di organico rispetto ai mancati introiti derivanti all’Ente dalla cessazione dei controlli sul territorio dal punto di vista delle violazioni commerciali ed edilizie, per non parlare dell’accertamento dei tributi e delle tariffe in sede locale e così via).
Le deliberazioni impugnate sono dunque illegittime, e, nella parte di interesse, vanno annullate, con conseguente riviviscenza delle deliberazioni in precedenza adottate che istituivano e disciplinavano il Corpo di Polizia Municipale e la sua dotazione organica di sei unità di ctg “C”.
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La natura speciale della disciplina della Polizia Municipale conduce a negare che la disposizione di cui all’art. 53 della l. 23.12.2000, n. 338 (L.F. 2001), così come modificato dall’art. 29, comma 4, L. 28.12.2001, n. 448 (L.F. 2002) trovi applicazione alla Polizia Municipale, il cui ordinamento è retto dalla l. 65/1986 che dispone puntualmente (ed in maniera disomogenea rispetto alle previsioni generali di cui all’art. 107 Dlgs 267/2000) quanto alla responsabilità ed alla direzione delle relative unità organizzative, una volta istituito il Corpo di Polizia Municipale.
La disposizione, infatti, così recita: “Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
Di conseguenza la disposizione eccezionale, come tale di stretta interpretazione (e che, come anticipato prima, presuppone l’attuazione della deroga in via necessariamente regolamentare e non per mero atto del Sindaco) consente di derogare solamente alle disposizioni generali costituite dall’art. 107 del Dlgs 267/2000, oltre che del Dlgs 29/1993 e dunque non permette alcuna interpretazione estensiva che conduca a ritenere di poter consentire la deroga della l. 65/1986 (e, di conseguenza, alle LR in materia di Polizia Municipale).
Peraltro, sotto il profilo della ratio di questa differenziazione, la normativa di cui alla l. 65/1986 non è assimilabile alla disciplina generale di cui al menzionato art. 107, perché delinea un rapporto tra Sindaco e Comandante della Polizia Municipale che è particolare ed esclusivo, in quanto è fondato sulla dualità delle funzioni, che non possono sommarsi nella medesima persona o nel medesimo organo e che va comunque assicurata (e si è visto sub I che la giurisprudenza ritiene speciale la disciplina di cui alla legge 65/1986 rispetto a quella generale degli impieghi) anche perché il responsabile di un ufficio di Polizia Municipale ha compiti di legge che presuppongono l’appartenenza organica all’Ente e non può quindi comunque identificarsi nel Sindaco.

E' necessario, per esaminare le diverse censure proposte dal ricorrente, premettere una sintetica analisi del contesto normativo di riferimento.
A tale proposito, il Collegio condivide la tesi del ricorrente, circa la natura speciale della normativa che disciplina il funzionamento della Polizia Municipale, aspetto questo che la giurisprudenza pacificamente presuppone perché la considera una condizione di autonomia del Corpo rispetto all’organizzazione dell’Ente, servente e funzionale alla garanzia delle peculiari funzioni di vigilanza, ordine pubblico, controllo del territorio e così via.
Per tali ragioni, la giurisprudenza consolidata statuisce che, nell'ambito dell'organizzazione comunale deve essere sempre garantita la totale autonomia del Corpo di polizia municipale per quanto concerne le competenze di cui all'art. 9 l. n. 65 del 1986 (TAR Lombardia Milano, sez. III, 10.09.2009, n. 4639, che richiama Cass. 09.05.2006, n. 10628; Consiglio Stato, sez. V, 20.01.2003, n. 173; Consiglio Stato , sez. V, 17.02.2006, n. 616; TAR Puglia Bari, sez. II, 12.03.2004, n. 1288; TAR Lazio Roma, sez. II, 10.03.1998 , n. 385; TAR Veneto, sez. II, 30.05.1997, n. 915; TAR Marche, 09.11.1995, n. 547) ed è anche per tali ragioni che, una volta eretta in Corpo, la polizia municipale non può essere considerata una struttura intermedia in una struttura burocratica più ampia, per esempio un settore amministrativo, né essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo di tale struttura (TAR Lazio Latina, sez. I, 28.04.2007, n. 305 che richiama Tar Sicilia, Catania, sez. I, 13.04.2006, n. 589; C.d.s. 04/09/2000 n. 4663).
Si è quindi espressamente riconosciuto che la legge quadro n. 65/1986 riveste, tuttora, carattere di "legge generale", per quanto attiene alla definizione dei principi organizzativi dei comuni nello specifico settore della polizia municipale -dal momento che è diretta a fissare i principi generali cui dovranno adeguarsi la legislazione regionale ed il potere regolamentare dell'ente locale-, nonché possiede un indubbio carattere di "specialità" che non consente l'abrogazione implicita da parte della sopravvenuta legge di riforma del sistema delle autonomie locali (TAR Lazio Latina, sez. I, 28.04.2007, n. 305, già richiamata, secondo cui la materia della polizia amministrativa locale, afferendo piuttosto al "governo del territorio", non rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, c. 2, lett. h, Cost., bensì in quella concorrente Stato-Regione (art. 117, c. III, Cost.).
Dunque, la particolarità delle funzioni che la Polizia Municipale è chiamata ad assolvere ne rende l’ordinamento distinto dalle disposizioni generali in tema di organizzazione degli Enti locali, che possono trovare applicazione ad esso solamente laddove non diversamente disposto dalla normativa speciale e di settore, e solo a fini di coordinamento tra l’organizzazione della Polizia Municipale ed il resto dell’organizzazione comunale.
In questo senso, ed ancora richiamando quanto affermato in giurisprudenza, tra le due discipline sussiste un “punto di equilibrio” che “consiste …nel riconoscere la piena autonomia del comandante limitatamente alla sfera di competenze che con carattere di tassatività sono state individuate nei competenti articoli della legge quadro nazionale e regionale di settore, come la gestione delle risorse assegnate, l'impiego tecnico-operativo, la disciplina e l'addestramento degli appartenenti al corpo o al servizio….. mentre la suddetta autonomia esclusiva non può, in astratto, impedire che il Comandante della P.M., per gli aspetti organizzativi che esulano appunto dall'impiego tecnico operativo, dall'addestramento e dalla disciplina dei vigili, possa formalmente essere inquadrato in un settore amministrativo.
Viene in gioco, al riguardo, la (discrezionale) potestà amministrativa che consente al comune di organizzare la polizia locale, anziché come "Corpo", in "Servizio" autonomo all'interno di un più vasto "Settore" (macro organizzazione), nell'ambito del quale possono confluire, per ragioni di economicità ed efficienza, anche altri "Servizi" oltre quello di vigilanza.
In tali casi, è legittimo che la direzione dell'intero "settore" (comprensivo di più "servizi") sia affidata ad un dirigente amministrativo (non graduato); si tratta, infatti, di una scelta in linea non solo con la temporaneità ed interscambiabilità degli incarichi dirigenziali (art. 109, D.Lvo n. 267/2000; art. 2103 Cod. civ.) bensì, anche con il principio, posto dal buon senso, prima ancora che dalla legge, della esclusività e necessità delle funzioni di polizia per cui é ragionevole che chi deve controllare sia ed appaia "terzo" rispetto alle situazioni oggetto del controllo; una scelta volta anche ad eliminare possibili situazioni di incompatibilità della funzione di comandante con altre funzioni o incarichi all'interno dell'amministrazione comunale.
L'unica condizione dovrà essere che al Comandante collocato alle dipendenze del dirigente del settore non siano sottratte le esclusive attribuzioni garantitegli dalla legge
” (TAR Lazio, sent. nr. 305/2007, che nei casi in cui il comune organizza le proprie strutture in Settori, ha ritenuto legittimo che l'attività di polizia municipale venga organizzata, ai sensi dell'art. 12, c. I, l.r. Lazio n. 1/2005, in "servizio" all'interno della più vasta struttura (il "settore") articolata in una pluralità di "servizi" con al vertice un dirigente amministrativo con compiti di coordinamento strutturale, con la sola condizione, per la legittimità dell'opzione, di salvaguardare l'autonomia funzionale e gerarchica del comandante, limitatamente all'esercizio delle prerogative di cui all'art. 9, L. n. 65/1986, per le quali il comandante deve rapportarsi unicamente ed esclusivamente al sindaco).
Dal quadro appena esposto, emerge dunque che non può negarsi il potere del Comune di modificare l’assetto di un Settore di Polizia Municipale trasformandolo in Servizio, ed in questo la tesi difensiva di parte ricorrente va disattesa.
Infatti, la giurisprudenza riconosce, sul piano delle scelte di politica organizzativa interna dell’Ente, il potere del Comune di strutturare la propria Polizia Municipale in Settore oppure in Corpo e tale potere non può essere scisso dalla possibilità di trasformare l’uno nell’altro e viceversa, a seconda delle esigenze organizzative dell’Ente, le sue dimensioni, e nel rispetto dei presupposti di legge e con la precisazione che, in ogni caso il vertice della Polizia Municipale deve essere salvaguardato nella sua autonomia rispetto all’organo politico ed alle rimanenti strutture amministrative dell’Ente, nell’esercizio delle proprie funzioni.
Tuttavia, a vantaggio delle tesi di parte ricorrente, si deve trarre da quanto esposto l’ulteriore corollario che la possibilità di trasformare un Settore di Polizia Municipale in Servizio è una scelta non rimessa alla mera discrezionalità dell’Ente, ma da esercitarsi in un contesto generale di razionalità, e con caratteristiche tali da palesarne la logica in termini di efficacia, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa, sul piano organizzativo.
Sebbene è vero che gli atti di organizzazione non richiedono una puntuale motivazione, è altrettanto vero che la contestazione di atti di macroorganizzazione che è affidata alla giurisdizione del giudice amministrativo, comporta necessariamente che sia possibile censurare da parte del ricorrente la coerenza dell’organizzazione dell’Ente con gli scopi istituzionali che quell’organizzazione deve presupporre e perseguire, ciò che fonda l’obbligo processuale dell’Amministrazione di dimostrare in giudizio la sussistenza di criteri di razionalità ed efficienza nella scelta organizzativa oggetto di causa.
In altri termini, ciò che difetta, ex lege 241/1990, in termini di obbligo puntuale di motivazione negli atti di macroorganizzazione, è compensato dalla necessità di sindacarne i limiti in relazione al principio di legalità di cui all’art. 97 della Cost. a norma del quale i pubblici uffici sono organizzati secondo legge. Tale previsione radica un obbligo di conformazione delle scelte organizzative di un Ente locale ai principi informatori che la legge pone come scopo funzionale dell’organizzazione medesima: invero, l’organizzazione di un pubblico ufficio altro non è, sul piano strutturale, che la precondizione necessaria allo svolgimento delle funzioni che la PA è chiamata ad assolvere e la sua struttura deve possedere i requisiti necessari a consentire in termini di effettività e di efficacia lo svolgimento di esse.
Si deve quindi affermare che può formare oggetto di giudizio e dunque di sindacato del giudice amministrativo la coerenza delle scelte di macroorganizzazione di un Ente con le finalità specifiche di servizio che la legge, o gli atti regolamentari e statutari che, in forza di legge, sono adottati dagli Enti locali, pongono in relazione all’organizzazione della PA, sotto il profilo dell’accertamento dell’attitudine dell’organizzazione e della sua struttura ad assolvere i compiti di istituto assegnati.
Alla luce di ciò, la censura con la quale si lamenta l’immotivata ed irrazionale destrutturazione della Polizia Municipale mediante la sostituzione integrale della originaria dotazione organica di sette unità di categoria “C” e “D” in sei unità di categoria “B” ed una di categoria “D”, senza alcuna utilità sul piano organizzativo e dell’assolvimento del servizio, va ritenuta fondata, analogamente a quanto già statuito in fattispecie analoghe (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. I, 13.04.2006, n. 589, alla cui approfondita motivazione si rinvia).
Infatti, dalle difese comunali e dagli atti amministrativi impugnati o quelli comunque versati in giudizio, non risulta emergere alcuna coerenza nel depotenziamento della Polizia Municipale del Comune di Bova Marina mediante la dequalificazione radicale del suo organico, rispetto alle esigenze di servizio che la legge prefigge.
A fronte di un organico perfettamente idoneo –per qualifiche previste- a svolgere tutti i compiti che la legge assegna alla Polizia Municipale, con particolare riferimento a quelli, di delicata natura, di accertamento e prevenzione, tutela dell’ordine pubblico e funzioni di polizia giudiziaria, la Polizia Municipale riformata in un servizio composto per la quasi totale prevalenza da ausiliari alla sosta è strutturalmente posta nelle condizioni di non poter più adempiere a quasi nessuno dei propri compiti istituzionali e tutto ciò senza che si possa ravvisare dal complesso degli atti versati in giudizio, alcuna ragionevole motivazione organizzativa in tal senso.
Né soccorre, anche in via meramente ipotetica, una eventuale ragione di esigenze di risparmio di spesa, peraltro insufficienti di per sé a giustificare un così drastico ridimensionamento di un settore così complesso, perché, in ogni caso, avrebbero richiesto una efficace dimostrazione anche in giudizio (per chiarire, ad esempio, la convenienza di un minimo risparmio in termini di organico rispetto ai mancati introiti derivanti all’Ente dalla cessazione dei controlli sul territorio dal punto di vista delle violazioni commerciali ed edilizie, per non parlare dell’accertamento dei tributi e delle tariffe in sede locale e così via).
Le deliberazioni impugnate sono dunque illegittime, e, nella parte di interesse, vanno annullate, con conseguente riviviscenza delle deliberazioni in precedenza adottate che istituivano e disciplinavano il Corpo di Polizia Municipale e la sua dotazione organica di sei unità di ctg “C”.
Quanto al decreto sindacale nr. 1652 dell’08.03.2010, la riconosciuta interdipendenza funzionale tra la deliberazione di Giunta nr. 7/2010 ed il decreto nr. 1652/10 conduce intanto a rilevare che l’annullamento della prima comporta l’automatica caducazione del secondo (naturalmente nelle parti di interesse).
In ogni caso, richiamando quanto già esposto sub I, la natura speciale della disciplina della Polizia Municipale conduce a negare che la disposizione di cui all’art. 53 della l. 23.12.2000, n. 338 (L.F. 2001), così come modificato dall’art. 29, comma 4, L. 28.12.2001, n. 448 (L.F. 2002) trovi applicazione alla Polizia Municipale, il cui ordinamento è retto dalla l. 65/1986 che dispone puntualmente (ed in maniera disomogenea rispetto alle previsioni generali di cui all’art. 107 Dlgs 267/2000) quanto alla responsabilità ed alla direzione delle relative unità organizzative, una volta istituito il Corpo di Polizia Municipale.
La disposizione, infatti, così recita: “Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
Di conseguenza la disposizione eccezionale, come tale di stretta interpretazione (e che, come anticipato prima, presuppone l’attuazione della deroga in via necessariamente regolamentare e non per mero atto del Sindaco) consente di derogare solamente alle disposizioni generali costituite dall’art. 107 del Dlgs 267/2000, oltre che del Dlgs 29/1993 e dunque non permette alcuna interpretazione estensiva che conduca a ritenere di poter consentire la deroga della l. 65/1986 (e, di conseguenza, alle LR in materia di Polizia Municipale).
Peraltro, sotto il profilo della ratio di questa differenziazione, la normativa di cui alla l. 65/1986 non è assimilabile alla disciplina generale di cui al menzionato art. 107, perché delinea un rapporto tra Sindaco e Comandante della Polizia Municipale che è particolare ed esclusivo, in quanto è fondato sulla dualità delle funzioni, che non possono sommarsi nella medesima persona o nel medesimo organo e che va comunque assicurata (e si è visto sub I che la giurisprudenza ritiene speciale la disciplina di cui alla legge 65/1986 rispetto a quella generale degli impieghi) anche perché il responsabile di un ufficio di Polizia Municipale ha compiti di legge che presuppongono l’appartenenza organica all’Ente e non può quindi comunque identificarsi nel Sindaco.
Tale principio è ancor più chiaramente rafforzato dalla LR Calabria nr. 24/1990 che all’art. 2 distingue chiaramente le funzioni del Sindaco da quelle non solo del Comandante, ma anche da quelle del responsabile del servizio.
Pertanto, anche sotto questo profilo, il ricorso è fondato e come tale va accolto, conseguendone l’annullamento degli atti impugnati, nella parte di interesse (ossia limitatamente alle disposizioni organizzative relative alla Polizia Municipale).
Allo scopo di dare compiuta attuazione alla pronuncia, ai sensi dell’art. 34, lett. “e” del c.p.a., il Collegio dispone che il Sindaco del Comune di Bova Marina provveda con proprio atto all’assegnazione della responsabilità del Corpo di Polizia Municipale a favore del ricorrente entro il termine di giorni 15 dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte, se anteriore e, con deliberazione di Giunta, si adegui il piano triennale delle risorse umane al fine di prevedere le necessarie forme di copertura del personale in dotazione organica che è individuato, salve ulteriori e motivate decisioni del Comune, nella dotazione risultante dalle deliberazioni anteriori a quelle impugnate che, per effetto dell’annullamento di queste ultime, trovano piena applicazione.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 22.03.2011 n. 191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Spetta ai dirigenti e non al Sindaco l'adozione dei provvedimenti autorizzatori e concessori.
1. A seguito dell'entrata in vigore della legge 142/1990 (art. 51), -applicabile anche nella Regione Siciliana- non spetta più al Sindaco, ma ai Dirigenti degli Uffici e dei Servizi l'adozione di "tutti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi ... ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie", nonché di "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale" (art. 51, comma 2°).
2. La determinazione di annullamento del silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione ex art. 87 D.Lgs. n. 259/2003 è un atto di secondo grado, pertanto, richiede la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dagli artt. 7 ed 8 della L. n. 241/1990.
3. Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino.
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15.06.2006, n. 3534, C.G.A.R.S. 12.11.2009, n. 929; TAR Sicilia, sez. II, 06.04.2009, n. 661)  (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 09.03.2011 n. 419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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• V. TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 09.03.2011 n. 426;
• V. TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 14.02.2011 n. 268;
• V. TAR Siclia-Palermo, Sez. II, sentenza 02.02.2011 n. 194.

COMPETENZE GESTIONALI: Il dirigente è per legge il titolare del potere sanzionatorio in materia edilizia a lui direttamente attribuito dall'art. 107 d.lgs. n. 267/2000.
Secondo quanto previsto dall'art. 107, comma 3, lettera g), d.lgs. n. 267/2000, spetta ai dirigenti l'adozione di "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale" nel cui ambito rientra il provvedimento impugnato.
Il dirigente è –dunque– per legge il titolare del potere sanzionatorio in materia edilizia a lui direttamente attribuito dall'art. 107 d.lgs. n. 267/2000 (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 07.03.2011 n. 2029 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La Giunta provinciale non può scegliere gli esaminatori del concorso.
La Giunta provinciale non è competente a nominare la commissione giudicatrice nella procedura concorsuale sulla base dei seguenti elementi:
- ai dirigenti spettano tutti i compiti che la legge e lo statuto dell’ente locale non riservano espressamente agli organi di governo;
- la previsione legislativa che sancisce la responsabilità del personale dirigente, estesa sull’intera procedura di concorso, può avere una sua logica esclusivamente nel caso in cui viene assegnata alla dirigenza la gestione unitaria di tutto l’iter (dall’approvazione del bando fino alla stipula del contratto finale con i vincitori);
- risulta esclusa ogni interferenza da parte dell’organo politico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1408 - link a www.altalex.com).

COMPETENZE GESTIONALI: Il potere di revoca dell'assegnazione di un alloggio popolare non è di competenza del sindaco.
In tema di revoca di un alloggio popolare, la giurisprudenza ha chiarito che la materia rientra nell'ambito dell'attività di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, riservata in via esclusiva ai dirigenti o ai funzionari amministrativi preposti ai rispettivi uffici.
In particolare, il potere di assegnazione di alloggi, comprensivo del correlativo potere di revoca, rientra tra i provvedimenti di "concessione… o analoghi il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale…" elencati dall'art. 107, c. 3, lett. f), del T.U. di cui al d.lgs. 08.08.2000, n. 267.
Pertanto, è da escludere che il sindaco, quale organo di governo al quale spettano, in quanto tale, poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, abbia la competenza di adottare atti, quale quello di revoca dell'assegnazione di un alloggio popolare, che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e che rientrano nell'ambito (TAR Basilicata, Sez. I, sentenza 14.02.2011 n. 82 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono non rientra nella competenza del Sindaco.
Ai sensi dell’art. 51, co. 3, della legge 08.06.1990, n. 142, rubricato “Organizzazione degli uffici e del personale.”, “3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell'ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti.”.
E, pertanto, in materia edilizia, deve ritenersi implicitamente abrogata ogni previsione della L. n. 47/1985 relativa alla competenza del sindaco in materia, dal momento che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica, compreso quindi il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono, rientrano, già a decorrere dalla data di entrata in vigore della l. 08.06.1990 n. 142, nella sfera di competenza del dirigente, mentre esulano dalla sfera di attribuzioni politiche proprie del sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: IGIENE E SANITA’ - Ordinanza ex art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Competenza - Sindaco in qualità di ufficiale di governo - Fattispecie: utilizzo di stalla e concimaia in assenza di impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami.
L’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni, in materia di sanità e igiene pubblica, rientra nella competenza del Sindaco, in qualità di ufficiale di governo -e non di altro dirigente, in quanto espressione di un'elevata discrezionalità diretta a soddisfare esigenze di pubblico interesse onde porre rimedio a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto -tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32 Cost.- per evitare che un danno si verifichi (nella specie era ordinato di non utilizzare gli immobili stalla e concimaia nelle more della realizzazione degli impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami a servizio degli stessi, della comunicazione di fine lavori e dell’ottenimento dell’agibilità) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 04.02.2011 n. 216 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Illegittimità dell’ordinanza divieto di sosta e di transito a talune categorie di veicoli lungo una via comunale sottoscritta dal Sindaco.
È’ illegittima, per incompetenza, l’ordinanza con la quale il sindaco ha disposto il divieto di sosta e di transito, nei due sensi di marcia, a talune categorie di veicoli lungo una via comunale, atteso che l’art. 7 del d.lgs. 30.4.1992, n. 285, ovvero del codice della strada va coordinato con la norma posteriore dell’art. 107 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che attribuisce ai soli dirigenti comunali la competenza ad adottare gli atti e i provvedimenti che impegnino l’amministrazione verso l’esterno, ove non ricompresi “espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente” ovvero nelle funzioni, all’evidenza qui non rilevanti, del segretario o del direttore generale.
La competenza già del Sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve quindi ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria; diversamente si potrebbe ritenere solo ove l’intervento di cui si ragiona rivestisse carattere di necessità e urgenza, ai sensi degli artt. 50 e 54 dello stesso t.u.e.l.: in tali termini espressamente Cass. civ., sez. II, 09.06.2010, n. 13885, nonché TAR Campania, Napoli, sez. I, 17.12.2009, n. 8874 e Cons. Stato, sez. II, parere 02.04.2003, n. 1661 ivi citato; solo apparentemente contraria Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010, n. 6966, in quanto, a lettura della motivazione, si ricava che l'ntervento del Sindaco era nel caso deciso giustificato dalle citate ragioni di necessità e urgenza (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.01.2011 n. 10 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

COMPETENZE GESTIONALIIl sindaco non necessita dell’autorizzazione della giunta o del consiglio per stare in giudizio.
Quanto alla lamentata mancanza di autorizzazione al sindaco a stare in giudizio, è ampiamente noto che nel nuovo ordinamento delle autonomie locali delineato dalla legge n. 142/1990 e dal T.U. EE. LL. n. 267/2000, il Sindaco e il Presidente della Provincia hanno assunto (anche in relazione alla legge 25.03.1993, n. 81, che ne ha previsto l'elezione diretta) un ruolo di vertice politico-amministrativo centrale, in quanto titolari di funzioni di direzione e di coordinamento dell'esecutivo comunale e provinciale, onde l'autorizzazione del Consiglio prima e della Giunta poi, se trovava ragione in un assetto in cui essi erano eletti dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragione di esistere in un assetto nel quale i medesimi traggono direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituiscono loro stessi la fonte di legittimazione degli assessori che compongono la Giunta, cui il citato T.U. affida il compito di collaborare (con il Sindaco o con il Presidente della Provincia) e di compiere tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadono nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del Sindaco (o del Presidente della Provincia) o degli organi di decentramento (cfr. in tal senso: Cons. Stato, sez. VI, 07.01.2008, n. 33; sez. IV, 19.06.2006, n. 3622; Cass. SS.UU. 16.06.2005 n. 12868) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICAIl parere di compatibilità di cui all’art. 13 della legge regionale n. 12/2005 non costituisce un atto di pianificazione generale, riservato alla competenza dell’organo consiliare ai sensi del citato D.Lgs. 267/2000, ma una mera valutazione sul rapporto fra gli atti di pianificazione comunale (PGT) e provinciale (PTCP), di natura essenzialmente tecnica e non certo espressione della generale potestà di pianificazione territoriale, riconosciuta dalla legge soltanto al Consiglio.
In ordine al ricorso 2887/2007, occorre dapprima esaminare lo specifico motivo (vale a dire il n. 7, vedesi pag. 19 dell’atto introduttivo), rivolto contro il provvedimento provinciale di compatibilità della pianificazione comunale con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP).
Secondo l’esponente, la delibera di Giunta sarebbe viziata da incompetenza, in quanto il parere di compatibilità con il PTCP del piano comunale sarebbe riservato al Consiglio Provinciale, quale organo competente ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), del D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli enti locali).
La censura è infondata, visto che il parere di compatibilità di cui all’art. 13 della legge regionale n. 12/2005 non costituisce un atto di pianificazione generale, riservato alla competenza dell’organo consiliare ai sensi del citato D.Lgs. 267/2000, ma una mera valutazione sul rapporto fra gli atti di pianificazione comunale (PGT) e provinciale (PTCP), di natura essenzialmente tecnica e non certo espressione della generale potestà di pianificazione territoriale, riconosciuta dalla legge soltanto al Consiglio.
Alla conclusione sopra indicata, è ormai giunta la giurisprudenza amministrativa ed in tale senso è orientata anche la scrivente Sezione (si vedano le sentenze del TAR Lombardia, sez. II, n. 4303/2009 e n. 1221/2010, costituenti precedenti specifici ai quali si rinvia).
In conclusione, lo specifico mezzo di gravame rivolto contro la deliberazione provinciale deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Il principio di separazione dell’attività di governo da quella gestionale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, corollario del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, implica che la commissione edilizia comunale non possa essere composta né presieduta da organi politici dell’ente locale.
Come recentemente chiarito dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, il principio di separazione dell’attività di governo da quella gestionale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, corollario del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, implica che la commissione edilizia comunale non possa essere composta né presieduta da organi politici dell’ente locale (TAR Liguria, I, 15.05.2010, n. 2584; nello stesso senso cfr. TAR Sicilia-Catania, I, 80.05.2008, n. 866; TAR Liguria, I, 11.07.2007, n. 1376; TAR Piemonte, I, 10.05.2006, n. 2022; id., 23.03.2005, n. 657) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 10388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - COMPETENZE GESTIONALILa Giunta Comunale è incompetente alla adozione di atti di natura gestionale quali quelli oggetto della controversia in esame, ossia la nomina della commissione di gara e la scelta del soggetto contraente.
L'articolo 107 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico enti locali) attribuisce ai dirigenti, ovvero ai responsabili dei servizi, in via esclusiva, la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, specificando altresì (art. 107, comma 3) che è loro attribuita la responsabilità delle procedure di appalto e la stipulazione dei contratti.
Nell'ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici rientrano sia la fase (o subprocedimento) di predisposizione e approvazione dell'avviso o del bando con il quale si dà avvio alla procedura stessa, sia la fase di nomina della commissione giudicatrice, sia la fase conclusiva di aggiudicazione definitiva del contratto (o della concessione o della convenzione).
La Giunta Comunale, i cui compiti -essenzialmente residuali (rispetto, da un lato, ai dirigenti [art. 107 cit.]; e, dall'altro lato, al Consiglio Comunale [art. 42 TUEL])- sono ricavabili dall'art. 48 del T.U.E.L. cit., è conseguentemente incompetente alla adozione di atti di natura gestionale quali quelli oggetto della controversia in esame, ossia la nomina della commissione di gara (avvenuta con la deliberazione n. 27 del 21.02.2001) e la scelta del soggetto contraente (avvenuta con deliberazione della medesima Giunta, n. 110 del 04.06.2001) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.10.2010 n. 2350 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: La competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale e non al sindaco.
La giurisprudenza prevalente, con cui il Collegio concorda, ha infatti da tempo chiarito che ai sensi dell'art. 14 D.L.vo n. 22/1997 (ora art. 192 D.L.vo n. 152/2006 che ha diversamente “ripristinato” espressamente la competenza del sindaco), la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale e non al sindaco.
Ciò perché la lettura della disposizione di cui al 3º comma dell’art. 14 d.lgs. n. 22 del 1997, che attribuisce al sindaco la possibilità di emanare ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi, deve infatti tenere in considerazione l’art. 107, co. 5, TUEL secondo cui le disposizioni che conferiscono agli organi di governo del comune e della provincia «l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti» (Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3765; TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 10.06.2009, n. 3942; TAR Abruzzo, Pe, 31.03.2009, n. 197; TAR Basilicata 18.09.2003 n. 878; TAR Campania, Na, Sez. I, 12.06.2003 n. 1291; TAR Lombardia, Bs, 25.09.2001 n. 792; cfr. anche Cass., Sez. III, 15.06.2006) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.10.2010 n. 6453 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Sulla competenza del Consiglio comunale relativamente al procedimento di formazione dei piani per l'edilizia economica e popolare e quindi anche alla loro revoca e/o annullamento.
In materia di pianificazione dell'edilizia residenziale pubblica, il legislatore nazionale, con l'originaria l. n. 167 del 1962 (art. 6), come modificata dalla l. n. 865 del 1971, relativamente al procedimento di formazione dei piani per l'edilizia economica e popolare ha espressamente attributo la competenza dell'adozione degli stessi al Consiglio comunale, con l'ulteriore competenza del predetto organo comunale anche per l'approvazione delle convenzioni pubblico-privatistiche disciplinanti l'assegnazione del diritto di superficie delle relative aree.
Peraltro, anche con riferimento alla disciplina di carattere generale introdotta dalle leggi di riforma degli enti locali, la n. 142/1990 prima e il dlgs n. 267/2000 poi, la competenza consiliare in tema di assegnazione di aree in diritto di superficie appare conforme alle previsioni recate da detta normativa, che assegna, appunto, al Consiglio comunale la generale competenza in ordine all'assegnazione di attività e servizi sul territorio comunale.
Inoltre, considerata la rilevante funzione economico-sociale e alla valenza urbanistica dei Piani per l'Edilizia Economica e Popolare l'adozione di tali atti di pianificazione (e quindi anche la loro revoca e/o annullamento) non può che spettare, in ragione degli interessi coinvolti, all'organo assembleare dell'Ente locale.
Nel caso di specie, la dichiarazione di decadenza risulta assunta con deliberazione consiliare, pertanto, non è ravvisabile alcun vizio di incompetenza e neppure quello di violazione del principio del contrarius actus, atteso che lo jus poenitendi è stato esercitato dallo stesso organo (il Consiglio comunale) che ha disposto l'assegnazione delle aree in diritto di superficie (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.09.2010 n. 6921 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Compete al consiglio la dichiarazione di decadenza dalla convenzione urbanistica perché era del consiglio la competenza all’adozione della convenzione.
Il principio espresso in sentenza, si basa sull’assunto che il contrarius actus segua la stessa filiera procedurale dell’atto.
In materia di pianificazione dell’edilizia residenziale pubblica, il legislatore nazionale, con l’originaria legge n. 167 del 1962 (art. 6), come modificata dalla legge n. 865 del 1971, relativamente al procedimento di formazione dei piani per l’edilizia economica e popolare ha espressamente attributo la competenza dell’adozione degli stessi al Consiglio comunale, con l’ulteriore competenza del predetto organo comunale anche per l’approvazione delle convenzioni pubblico-privatistiche disciplinanti l’assegnazione del diritto di superficie delle relative aree, come allegate agli adottati Piani di Zona.
Peraltro, anche con riferimento alla disciplina di carattere generale introdotta dalle leggi di riforma degli enti locali, la n. 142/1990 prima e il D.Lgs. n. 267/2000 poi, la competenza consiliare in tema di assegnazione di aree in diritto di superficie appare conforme alle previsioni recate da detta normativa, che assegna, appunto, al Consiglio comunale la generale competenza in ordine all’assegnazione di attività e servizi sul territorio comunale.
Ed inoltre la funzione economico-sociale e la valenza urbanistica dei Piani per l’Edilizia Economica e Popolare comportano che l’adozione di tali atti di pianificazione e, quindi anche la loro revoca e/o annullamento, non possa non spettare, in ragione degli interessi coinvolti, all’organo assembleare dell’Ente locale.
Non c’è quindi alcun vizio di incompetenza e neppure quello di violazione del principio del contrarius actus, nel fatto che la decadenza sia stata adottata dal Consiglio atteso che lo jus poenitendi è stato esercitato dallo stesso organo (il Consiglio comunale) che ha disposto l’assegnazione delle aree in diritto di superficie per via della convenzione (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.09.2010 n. 6921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - COMPETENZE GESTIONALIL’assegnazione alla competenza consiliare dell’organizzazione e dell’affidamento dei servizi pubblici locali è costantemente giustificata dal fatto che le scelte ad esse sottese si connettono all’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, caratterizzante entrambi i momenti in cui si articola la scelta ricadente, appunto, sul modulo e sulle modalità di assegnazione del servizio.
L’assegnazione alla competenza consiliare (cfr. C.S., sezione V, dec. 9301/2003) dell’organizzazione e dell’affidamento dei servizi pubblici locali è costantemente giustificata dal fatto che le scelte ad esse sottese si connettono all’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, caratterizzante entrambi i momenti in cui si articola la scelta ricadente, appunto, sul modulo e sulle modalità di assegnazione del servizio.
Gli elementi che devono poi confluire nell’opzione sono stati, in materia di servizi pubblici locali, fissati dall’art. 113, commi 5, 7 e 11, relativo ai soggetti ai quali conferire il servizio, agli elementi sull’espletamento delle gare ad evidenza pubblica ed ai parametri di controllo, costituenti oggetto del contratto di servizio, quale fonte di disciplina dei rapporti tra enti locali e società di erogazione del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.08.2010 n. 5636 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Provvedimenti in materia edilizia - Attribuzione ai dirigenti - Art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n. 142/1990.
Solo a seguito dell'art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 è stata attribuita ai dirigenti degli Enti locali la competenza in ordine agli atti di gestione, anche con riferimento ai provvedimenti in materia edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L. n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale (Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001, n. 7632 del 21.11.2203 , n. 2694 del 04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è altrettanto vero che, per consolidata giurisprudenza, non esistono ostacoli di ordine normativo -eccetto improbabili norme di statuto o regolamento dell’ente locale- a che il Sindaco deleghi un assessore all'adozione di atti in materia urbanistica ed edilizia che non costituiscano espressione di funzioni di Ufficiale di Governo ma che attengano alla cura di interessi tipicamente locali e strettamente coordinati con le esigenze della comunità insediata in un certo territorio (CdS, sez. V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005, n. 6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Provvedimenti in materia edilizia - Attribuzione ai dirigenti - Art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n. 142/1990. Solo a seguito dell'art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 è stata attribuita ai dirigenti degli Enti locali la competenza in ordine agli atti di gestione, anche con riferimento ai provvedimenti in materia edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L. n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale (Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001, n. 7632 del 21.11.2203, n. 2694 del 04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è altrettanto vero che, per consolidata giurisprudenza, non esistono ostacoli di ordine normativo -eccetto improbabili norme di statuto o regolamento dell’ente locale- a che il Sindaco deleghi un assessore all'adozione di atti in materia urbanistica ed edilizia che non costituiscano espressione di funzioni di Ufficiale di Governo ma che attengano alla cura di interessi tipicamente locali e strettamente coordinati con le esigenze della comunità insediata in un certo territorio (CdS, sez. V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005 , n. 6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI - APPALTI SERVIZI: E' illegittima la deliberazione della giunta comunale con cui ha affidato la gestione di un centro sportivo comunale ad una associazione, in quanto la competenza spetta al consiglio comunale.
L'art. 42 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 attribuisce in modo tassativo al consiglio comunale, quale organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell'ente, le competenze tra cui figurano gli "acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano espressamente previsti in atti fondamentali del consiglio e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari".
L'organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, per cui deve affermarsi la competenza consiliare in materia di servizi pubblici, in ordine all'organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo, con esclusione di quelli gestionali.
In caso di dubbio circa la ripartizione delle competenze, prevale la competenza dell'organo sovraordinato fornito di competenza generale nella materia e, cioè, il consiglio comunale. Ne consegue che, nel caso di specie, è illegittima la deliberazione della giunta comunale con cui ha affidato la gestione di un centro sportivo comunale ad una associazione, in quanto la competenza a provvedere è attribuita al consiglio comunale.
La suddetta fattispecie è, inoltre, inquadrabile nella "concessione di pubblico servizio", posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale, come si può desumere anche dallo stesso All.2 al D.L.vo 17.03.1995 n. 157, che, in materia di appalti pubblici di servizi, espressamente contempla, tra gli altri, "i servizi ricreativi, culturali e sportivi".
Ammettendo, altresì, che l'elencazione dei pubblici servizi, che i comuni possono assumere in gestione diretta, salvo poi il potere di affidarli in concessione, contenuta nell'art. 1 R.D. 15.10.1925 n. 2578, non sia tassativa, per la concessione alla "industria privata" di detti servizi, i comuni, di regola, si devono avvalere dell'asta pubblica, ai sensi dell'art. 267 del R.D. 14.09.1931 n. 1176 nonché dell'art. 3 R.D. 18.11.1923 n. 2440 e dell'art. 37 del R.D. 23.05.1924 n. 827 (che prevedono la regola generale dei pubblici incanti per i contratti delle amministrazioni statali) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 1419 - link a ww
w.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: La richiesta di parere ha per oggetto il contenuto dell'art. 110 del TUEL e, in particolar modo, la sua applicabilità anche ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti per quanto concerne la sussistenza di particolare e comprovata qualificazione professionale.
L’interpretazione della norma posta dall’art. 110 TUEL e dei requisiti professionali richiesti al fine del conferimento di incarichi dirigenziali temporanei negli enti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti che siano privi di dirigenza deve essere temperata sia in relazione alle peculiari dimensioni organizzative dell’ente che alla necessità che i servizi e le funzioni fondamentali dell’ente vengano svolti regolarmente.
La concreta applicazione della disposizione contenuta nell’articolo 110 TUEL è subordinata quindi, alla sussistenza dei seguenti requisiti:
a) previsione e definizione dei limiti di operatività e dei criteri applicativi di carattere generale all’interno del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) temporaneità dell’incarico collegata alla durata del mandato del Sindaco;
c) assenza di altra professionalità equivalente all’interno dell’ente, da valutarsi in concreto prima di ogni attribuzione di incarico.
d) presenza di un numero di incarichi non superiore al 5% della complessiva dotazione organica, con arrotondamento all’unità superiore o comunque non superiore a una unità negli enti con meno di 20 dipendenti;
e) instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato;
f) possesso del requisito dell’alta specializzazione che deve essere individuata in concreto dall’ente, in relazione alle attività da espletare ed alle necessità funzionali da soddisfare. Al riguardo è evidente che il requisito ordinario è quello della laurea, trattandosi di un incarico di direzione di un ufficio. Tuttavia, non può trascurarsi che in relazione a specifiche attività proprie dell’organizzazione degli enti pubblici, soprattutto di dimensioni minori, l’attività di specifici settori in particolare, tecnici, può essere svolta da soggetti che seppur privi di titolo di studio universitario, siano in possesso del titolo di studio specificamente richiesto per l’esercizio di una particolare attività, nonché di idonea e documentata esperienza di settore.
In relazione allo specifico quesito posto dal Sindaco di Cittiglio la predetta conclusione risulta applicabile in quanto per la direzione del Settore Gestione del Territorio di un ente di minori dimensioni è normalmente richiesto il titolo di studio di geometra, oltre ad un’adeguata esperienza professionale.
Da ultimo, in relazione al secondo quesito la Sezione osserva che gli incarichi in corso, nonostante l’entrata in vigore della nuova disciplina legislativa, proseguono sino alla loro naturale scadenza ed eventuali discipline normative sopravvenute si applicano unicamente in relazione a nuovi affidamenti di incarico (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, parere 24.06.2010 n. 702).

COMPETENZE GESTIONALINell’ambito degli enti locali non sussiste un rigido divieto di partecipazione dei dirigenti alle commissioni di gara. Infatti, il rafforzamento del modello della responsabilità dirigenziale innescato dal processo di privatizzazione del pubblico impiego, sottolinea l’opposta esigenza che il dirigente segua direttamente le procedure del cui risultato è tenuto a rispondere. In questa logica va annoverato il disposto dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che prevede tra le attribuzioni di competenza dirigenziale il potere di presiedere le commissioni di gara e di stipulare i contratti in correlazione con la responsabilità per l’esito delle gare medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non può essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilità unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale.

Priva di pregio è innanzitutto la censura di illegittima composizione della Commissione giudicatrice per essere presieduta dallo stesso soggetto che poi ha approvato gli atti di gara.
E’ stato chiarito che nell’ambito degli enti locali non sussiste un rigido divieto di partecipazione dei dirigenti alle commissioni di gara. Infatti, il rafforzamento del modello della responsabilità dirigenziale innescato dal processo di privatizzazione del pubblico impiego, sottolinea l’opposta esigenza che il dirigente segua direttamente le procedure del cui risultato è tenuto a rispondere. In questa logica va annoverato il disposto dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che prevede tra le attribuzioni di competenza dirigenziale il potere di presiedere le commissioni di gara e di stipulare i contratti in correlazione con la responsabilità per l’esito delle gare medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non può essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilità unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale (V. la decisione della Sezione 12.06.2009 n. 3716)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI Rifiuti - Abbandono - Ordinanza ripristinatoria - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza - Sindaco - Deroga al disposto di cui all'art. 107 d.lgs. n. 267/2000.
L'art. 14 D.lgs 22/1997, attualmente riprodotto senza modifiche nell'art. 192 Codice dell'Ambiente, affida il compito di emanare ordinanze ripristinatorie al Sindaco, e trattandosi di norma speciale rispetto all'art. 107 D.lgs 267/2000, deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 09.06.2010 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIEnti Locali - Responsabile del Servizio - Rappresentanza a stare in giudizio - Legittimità - Condizioni.
In riferimento alla procura rilasciata dal Responsabile del Servizio anziché dal Sindaco deve richiamarsi l'ormai consolidato orientamento per cui nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, delineato dagli art. 6, 50 e 107 dell'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, interpretati alla luce della successiva evoluzione normativa e in particolare della riforma dell'art. 114, comma 2, cost. e dell'art. 4 L. n. 131 del 2003 di attuazione di tale riforma, lo statuto del Comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune (per tutte: Cass., sez. I, 19.12.2008, n. 29837) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Giunta Comunale - Competenza - In relazione a provvedimenti consequenziali a decisioni assunte dal Consiglio Comunale - Sussiste.
E' ammissibile l'approvazione da parte della Giunta Comunale del progetto preliminare relativo ad un Piano particolareggiato con variante, a condizione che l'opera sia già stata assentita dal Consiglio Comunale attraverso l'approvazione del relativo Programma Triennale cui il progetto preliminare si riferisce (cfr. TAR Liguria, sent. n. 109/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALICon l’introduzione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, si è affermata in modo inequivoco la competenza generale dei dirigenti in ordine agli atti di gestione, nella cui categoria rientra quello impugnato.
Difatti, «rispetto alla generalizzata applicazione riduttiva delle disposizioni dell’art. 51 della legge n. 142/1990, (…) il decreto legislativo n. 29/1993 (che pur ribadisce criteri e principi organizzativi già presenti nella legge n. 142, la cui attuazione era stata però demandata dalla legge alla valutazione autonoma dei singoli Enti) ha introdotto, con l’art. 3, una regola generale, immediatamente vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche, che pone disposizioni delle quali non si può ignorare l’obbligatorietà. Tali disposizioni, costituendo principi ai sensi dell’art. 128 Cost. [nel testo vigente fino al 07.11.2001], da un lato fungono dunque da limiti alla autonomia normativa dei Comuni e delle Province (che devono conformare i rispettivi ordinamenti a detti principi, verificando le proprie disposizioni statutarie e regolamentari al fine di verificarne la compatibilità con le richiamate disposizioni di legge e di espungere dall’ordinamento locale quelle che risultano viziate per illegittimità sopravvenuta) e dall’altro sono immediatamente attributive delle competenze di cui si tratta ed hanno effetto abrogativo delle disposizioni statutarie e regolamentari dei Comuni con le stesse contrastanti».
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La previsione di cui all’art. 7 della legge 28.02.1985 n. 47 deve essere reinterpretata a seguito delle innovazioni introdotte dalla legge n. 142 dell’08.06.1990 e dall’art. 3 del d.lgs. 03.02.1993 n. 29, sì da giungere alla conclusione per cui il provvedimento oggetto di odierna impugnazione, in quanto atto di vigilanza sul territorio, è destinato a ricadere tra gli atti di gestione rimessi, come tali, alla competenza dirigenziale

Come già affermato in precedenza da questa Sezione, “con l’introduzione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, si è affermata in modo inequivoco la competenza generale dei dirigenti in ordine agli atti di gestione, nella cui categoria rientra quello impugnato. Difatti, «rispetto alla generalizzata applicazione riduttiva delle disposizioni dell’art. 51 della legge n. 142/1990, (…) il decreto legislativo n. 29/1993 (che pur ribadisce criteri e principi organizzativi già presenti nella legge n. 142, la cui attuazione era stata però demandata dalla legge alla valutazione autonoma dei singoli Enti) ha introdotto, con l’art. 3, una regola generale, immediatamente vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche, che pone disposizioni delle quali non si può ignorare l’obbligatorietà. Tali disposizioni, costituendo principi ai sensi dell’art. 128 Cost. [nel testo vigente fino al 07.11.2001], da un lato fungono dunque da limiti alla autonomia normativa dei Comuni e delle Province (che devono conformare i rispettivi ordinamenti a detti principi, verificando le proprie disposizioni statutarie e regolamentari al fine di verificarne la compatibilità con le richiamate disposizioni di legge e di espungere dall’ordinamento locale quelle che risultano viziate per illegittimità sopravvenuta) e dall’altro sono immediatamente attributive delle competenze di cui si tratta ed hanno effetto abrogativo delle disposizioni statutarie e regolamentari dei Comuni con le stesse contrastanti»” (TAR Lombardia, Milano, IV, 23.12.2009, n. 6182; 26.02.2010, n. 472).
Ritiene, pertanto, il Collegio di dovere ribadire la validità del suesposto orientamento giurisprudenziale, incline a ritenere che la previsione di cui all’art. 7 della legge 28.02.1985 n. 47 debba essere reinterpretata a seguito delle innovazioni introdotte dalla legge n. 142 dell’08.06.1990 e dall’art. 3 del d.lgs. 03.02.1993 n. 29, sì da giungere alla conclusione per cui il provvedimento oggetto di odierna impugnazione, in quanto atto di vigilanza sul territorio, è destinato a ricadere tra gli atti di gestione rimessi, come tali, alla competenza dirigenziale (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 2024 del 31.03.2009; TAR Lazio, sez. II, 19.09.1994, n. 1052, TAR Lazio, 19.04.1994 n. 488; TAR Lazio, 01.04.1996 n. 621; 08.11.2007 n. 11059; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 23.07.2008, n. 1061; TAR Campania Napoli, sez. VI, 24.09.2009, n. 5071) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA Ordine di demolizione - Sindaco - Incompetenza.
La previsione dell'art. 7, l. n. 47/1985 deve essere reinterpretata nel senso che agli organi politici non spettano compiti di gestione, ma soltanto competenze di tipo programmatico.
Non rientra, quindi, nella competenza del sindaco l'adozione di un provvedimento di demolizione di opere abusive, bensì in quelle del dirigente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: E' di competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di uno strumento urbanistico comunale, tenuto conto che l'art. 42 T.U. 267/2000 si riferisce solo ai pareri espressi (dal Consiglio) nell’ambito del procedimento di formazione dei suoi piani e dei suoi programmi, mentre esulano dalla previsione i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti.
L’ultimo motivo, in cui si rileva l’incompetenza della Giunta a rilasciare il parere di compatibilità con il PTCP ai sensi dell’art. 42 T.U. 267/2000, è infondato, alla luce della decisione del 28.05.2009 n. 3333 con cui il Consiglio di Stato (Sez. VI) ha ritenuto di competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di uno strumento urbanistico comunale, sull’assunto che la suddetta norma si riferisca solo ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione dei suoi piani e dei suoi programmi, mentre esulano dalla previsione i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa perimetrazione del centro abitato non è una competenza del Consiglio Comunale.
Con il secondo motivo i ricorrenti affermano che la perimetrazione del centro abitato sarebbe una competenza del consiglio comunale, in quanto rientrante nella funzione di pianificazione urbanistica di cui all’art. 42, comma 2, lett. b), del Dlgs. 267/2000.
La tesi non può essere condivisa.
Una sicura attribuzione della competenza al consiglio comunale era contenuta nell’art. 41-quinquies, comma 1, lett. a), della legge 1150/1942, ma ormai questa norma è stata abrogata, e comunque anche prima dell’abrogazione doveva essere adattata in via interpretativa al nuovo disegno delle competenze degli organi comunali codificato nel Dlgs. 267/2000.
In realtà, proprio perché si limita alla ricognizione e alla lettura dei caratteri urbanistici già presenti nel territorio, la perimetrazione del centro abitato non può essere assimilata alla zonizzazione. Inoltre si tratta di un’attività destinata a produrre effetti nel caso di assenza (o di inefficacia sopravvenuta) della zonizzazione, e dunque non richiede affatto sul piano logico l’intervento del consiglio comunale.
Di conseguenza il compito di tracciare la perimetrazione deve essere attribuito secondo il criterio generale della maggiore competenza tecnica: può essere un provvedimento dirigenziale oppure una deliberazione di giunta, e anche un atto non specificamente rivolto a scopi urbanistici (come la mappatura per la viabilità), purché in ogni caso vi sia alla base un’adeguata analisi tecnica della situazione reale dei luoghi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALILa decisione di agire e resistere in giudizio compete in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente.
Non può condividersi il rilievo secondo cui il Sindaco alla data della sottoscrizione del ricorso (27 agosto 1999) non aveva alcun potere di conferire il mandato al difensore, essendo intervenuta la relativa autorizzazione da parte della G.M. solo in data 1° settembre 1999.
In realtà, dagli articoli 36 e 35 della legge 142/1990, poi trasfusi negli artt. 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del t.u. sugli ordinamenti degli enti locali, approvato con d.lgs. 267/2000, si evince il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il Sindaco, non essendo più necessaria l'autorizzazione della Giunta municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'Ente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550).
La decisione di agire e resistere in giudizio e il conseguente conferimento del mandato alle liti competono quindi, in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721 e 16.02.2009 n. 848) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.03.2010 n. 1588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: L’orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le misure repressive in materia di abusivismo edilizio nella sfera di competenza del dirigente.
L’art. 6 della l. n. 127 del 1997, modificando l’art. 51 della legge n. 142 del 1990, ha previsto alla lettera f) che spettano alla competenza dei dirigenti “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie.”
Successivamente, la legge n. 191 del 1998 ha, a sua volta, modificato l’art. 6 della l. 127/1997, introducendo la lettera f-bis) secondo la quale spettano ai dirigenti “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale", così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni.
A norma dell'art. 51, comma 3, l. 08.06.1990 n. 142 (oggi, art. 107, comma 2, del d. l.vo 18.08.2000 n. 267), infine, sono di competenza dei dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientrati tra le funzioni del segretario o del direttore generale".
A sua volta il Testo unico sull’edilizia, di cui al d.P.R. 380 del 2001, attribuisce le misure sanzionatorie in subjecta materia sempre “al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale”, così facendo venir meno la competenza sindacale, già affermata dalla legge n. 47 del 1985.
In tale mutato quadro normativo, che risponde ad una tendenza irretrattabile di organizzazione dei poteri pubblici secondo l’apicale esigenza di distinzione fra livello politico e livello burocratico di gestione amministrativa, l’orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le ripetute misure, del resto indicate direttamente dalla legge, nella sfera di competenza del dirigente (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione v, 18.11.2003, n. 7318, Tar Campania, Napoli, questa VI sezione, 25.09.2009, n. 5088 e 24.09.2009, n. 5071; sezione II, 13.02.2009, n. 802; sezione III, 06.11.2007, n. 10670; sezione IV, 13.01.2006, n. 651; sezione VIII, n. 9600 del 2008; Cass. civ., sezione II, 06.10.2006, n. 21631) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 15.03.2010 n. 1464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: INQUINAMENTO - Circolazione stradale - Regolamentazione - Competenza - Comandante della polizia locale - D.lgs. n. 285/1992.
Ai sensi del d.lgs. n. 285/1992, i provvedimenti in materia di regolamentazione della circolazione stradale sono attribuiti alla competenza del Comandante della Polizia locale (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.03.2010 n. 605 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALILa rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente e non al Dirigente.
La rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente, e non al Dirigente per cui è nulla -per violazione dell'art. 145 c.p.c. che disciplina le notificazioni alle persone giuridiche- la notifica del ricorso qualora lo stesso sia stato notificato al Comune in persona del Dirigente (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 25.01.2005, n. 155; TAR Lazio-Roma, sez. II, 06.05.2009, n. 4743; TAR Basilicata, 21.05.2007, n. 413; TAR Sicilia-Palermo, sez. II, 13.03.2007, n. 799; TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 06.06.2005, n. 954) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 26.02.2010 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Al dirigente la vigilanza sui locali.
Laddove si valuti che la Commissione vigilanza locali pubblico spettacolo svolga funzioni prettamente tecniche vi parteciperà il Dirigente e non il Sindaco.

E' questa l'importante massima di un parere espresso dalla direzione autonomie locali della regione Friuli Venezia Giulia servizio consulenza affari giuridici.
Il parere è stato fornito sulla base di un articolato quesito posto da un comune friulano, in relazione a quella che è stata l'evoluzione normativa dal 1977 in poi, con il trasferimento dallo Stato ai comuni, di diverse funzioni connesse ad attività disciplinate dal testo unico di pubblica sicurezza.
La disposizione presa in esame dalla regione è l'art. 141-bis del R.D. 635/1940, come introdotto dal dpr 311/2001, il quale prevede che la commissione comunale di vigilanza è presieduta dal sindaco o da un suo delegato, mentre il Comune ritiene invece che la disposizione debba riferirsi al dirigente, in forza del generale principio di separazione tra le funzioni d'indirizzo politico e quelle gestionali.
In sostanza, rileva il Comune friulano, non va ignorato il fatto che già la Corte costituzionale, con sentenza 77/1987, aveva affermato che «non può dubitarsi, che con riferimento all'attribuzione delle competenze previste dall'art. 19 del dlgs 616/1977 ci si trovi in presenza di funzioni in ogni caso attribuite al comune, e di conseguenza la figura del sindaco venga in evidenza come organo di questo ente. D'altronde il fatto stesso che il secondo comma dell'art. 19 del dpr 616/1977 prevede che il comune possa deliberare quale dei propri organi debba provvedere in ordine alle funzioni attribuite, conferma che si tratti di funzioni del comune perché, se il sindaco fosse stato considerato come ufficiale di Governo, sarebbe stato lui solo a potere esercitare le funzioni in parola».
Secondo la regione, con il parere 27.01.2010 n. 982 di prot., laddove il Sindaco vada considerato quale rappresentante politico, essendo i poteri della Commissione in parola prettamente tecnici, sembrerebbe logico interpretare la disposizione in parola come facente riferimento alla figura dirigenziale.
Tra l'altro, rileva la Regione, in attesa di un pronunciamento giurisprudenziale vista la complessità della materia, una possibile soluzione potrebbe essere quella a suo tempo proposta dall'Anci, con il parere del 15.04.2009, in cui si individuava la fattibilità, all'interno dell'autonomia normativa dell'Ente, di nominare il dirigente delegato dal sindaco (articolo ItaliaOggi del 17.03.2010, pag. 24).

COMPETENZE GESTIONALI: Art. 107 D.lgs. 267/2000 - Atto che impegna l'Amministrazione verso l'esterno emanato dal Sindaco - Successivo atto di convalida del dirigente - Eccezione di incompetenza - Non sussiste.
In virtù dell'art. 107 del D. L.vo n. 267/2000 che riserva ai dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108", l'eccezione di incompetenza del Sindaco e dell'Assessore all'Informatica ed alla Comunicazione all'adozione dell'atto impugnato da considerarsi, in quanto atto di gestione, riservato alla dirigenza è superata dal provvedimento con il quale il Dirigente del Settore Tecnico Manutentivo ha convalidato il diniego impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.01.2010 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

COMPETENZE GESTIONALI: Attribuzione responsabilità di servizio all’amministratore.
Il sindaco del Comune di (omissis) chiede parere sulla possibilità di attribuire la responsabilità di servizio per l’area tecnica al sindaco di un comune con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (Regione Piemonte, parere n. 159/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Composizione commissione edilizia - Organi politici dell'Ente locale - Violazione del principio separazione poteri - Sussiste.
La commissione edilizia comunale non può essere composta, né presieduta, da organi politici dell'ente locale, risultandone in caso contrario violato il principio di separazione delle funzioni politiche da quelle amministrativo-gestionali, sancito dall'art. 107 del D.lgs. n. 267/2000 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.12.2009 n. 5602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Giunta comunale - Competenza - In relazione a provvedimenti consequenziali a decisioni assunte dal Consiglio comunale in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale o attuativo - Sussiste.
Rientra nella competenza della Giunta comunale una delibera di soppressione e declassificazione di strade vicinali qualora si tratti di delibera consequenziale a decisioni assunte dal Consiglio comunale in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale o attuativo, atteso che detta delibera si configura non come un atto fondamentale rientrante nella competenza del Consiglio, ma come esecutivo di atti fondamentali assunti in sede consiliare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI Circolazione stradale - Limitazione della sosta durante i giorni festivi estivi - Emanazione del relativo provvedimento - Competenza dirigenziale - Non sussiste - Competenza del Sindaco - Sussiste.
L'art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000, norma successiva rispetto al codice della strada, attribuisce ai dirigenti il compito di adottare tutti gli atti e i provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, elencati in via esemplificativa nel relativo comma 3, quale espressione del più ampio principio di distinzione tra attività di indirizzo e controllo, che spetta agli organi di governo, e attività di gestione, che spetta alla dirigenza.
Occorre tuttavia dare conto di un indirizzo ad avviso del quale l'art. 7 del D.Lgs. 285/1992 (Codice della Strada) riserva la regolamentazione della circolazione nei centri abitati alla competenza del Sindaco ovvero -nell'ipotesi di cui al comma 9- della Giunta.
Al riguardo si è evidenziato che l'art. 7 del Codice della strada, in omaggio al criterio di specialità, deroga e quindi prevale sulla previsione generale di cui all'art. 107 del D. Lgs. 267/2000 in ordine alla competenza dei dirigenti sugli atti di gestione; per altro verso, le norme del Codice della strada sono comunque successive nel tempo all'introduzione (con la L. 142/1990) del principio di separazione tra attività politica ed attività burocratica nell'ordinamento degli enti locali, principio che il T.U. 267/2000 e il D.Lgs. 165/2001 non hanno fatto altro che confermare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.12.2009 n. 2539 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Provvedimento recante l'irrogazione di sanzione amministrativa sottoscritto dal Sindaco e provvedimento recante diniego di variante al permesso di costruire sottoscritto dal responsabile del servizio - Incompetenza - Sussiste.
Sono affetti da vizio di incompetenza il provvedimento recante l'irrogazione della sanzione sottoscritto dal Sindaco e il provvedimento di diniego di variante al permesso di costruire sottoscritto dal responsabile del servizio, trattandosi di atti che rientrano nelle attribuzioni dirigenziali e non competono agli organi di governo del Comune (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.10.2009 n. 4929 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piano attuativo - Incompetenza - Dirigente comunale - Sussiste.
Nel regime transitorio di cui all'art. 25 della legge regionale 12/2005 che dispone che sino all'adeguamento degli strumenti urbanistici alle disposizioni dell'articolo della L.R. 12/2005 i piani attuativi sono approvati con la procedura di cui all'articolo 3 della l.r. 23/1997 è illegittimo il provvedimento del dirigente comunale di diniego definitivo dell'approvazione del piano attuativo, trattandosi di competenza espressamente riservata dalla legge al consiglio comunale (il TAR ha tuttavia precisato che il responsabile dell'istruttoria è pienamente titolato a rilevare eventuali ragioni di contrasto tra la proposta di piano attuativo e la normativa urbanistica, e chiudere l'istruttoria con un atto negativo e che, pertanto, ove tale atto determini un arresto procedimentale, esso è immediatamente impugnabile dinanzi al giudice amministrativo, al quale non è precluso di conoscere anche delle censure di carattere sostanziale rivolte contro il medesimo) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.09.2009 n. 4745).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIPf, l'ok spetta ai dirigenti. La giunta decide l'inserimento in programmazione. Il Cds: negli enti pubblici la valutazione delle proposte è di competenza dirigenziale.
Nel project financing l'unica fase di natura «politica», rimessa al consiglio comunale, è quella attinente all'inserimento in programmazione degli interventi; la successiva fase di valutazione delle proposte è di competenza dirigenziale e non della giunta trattandosi di valutazioni tecniche e di attività gestionale.
Lo afferma il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 01.09.2009 n. 5136 che riforma una pronuncia del Tar Toscana; in primo grado era stato accolto un ricorso contro il provvedimento dirigenziale di non accoglimento di una proposta di «project financing», con la motivazione che il provvedimento era stato emanato da un dirigente comunale e non dalla giunta municipale.
I giudici di palazzo Spada bocciano la decisione del Tar affermando che «la valutazione in ordine alla congruità del progetto presentato era (e non poteva che essere) del dirigente preposto all'apposito settore».
La sentenza giunge a questa conclusione esaminando i passaggi della procedura delineata dalle normativa sulla finanza di progetto nel Codice dei contratti pubblici, anche con riferimento alle modifiche del terzo decreto correttivo del settembre 2008.
Dalla lettura di queste norme il Consiglio di stato ricava che la scelta di natura «politica» avviene nella fase in cui l'ente pubblico individua, nell'ambito del programma triennale dei lavori, di competenza del consiglio comunale, gli interventi da finanziare mediante l'apporto dei privati.
A questa fase «politica» segue poi una fase procedimentale caratterizzata da più momenti: presentazione di un progetto completo, sua valutazione, inserimento a base d'asta, selezione successiva e infine aggiudicazione della concessione e di esercizio al promotore finanziario prescelto.
Questa seconda fase (articolata ma ritenuta in altre pronunce dello stesso Consiglio di stato comunque «unitaria») viene considerata dai giudici come «attività di gestione, vale a dire attività di valutazione tecnica consequenziale a quella scelta che, coerentemente e necessariamente, ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000, è nella esclusiva competenza dei dirigenti».
In questa seconda fase la competenza, tranne eccezioni contenute negli statuti comunali o in norme specifiche, è quindi del dirigente e non della giunta che, invece, ha una competenza residuale: è titolare di tutte quelle attività che non sono attribuite alla competenza di altri organi, tra cui i dirigenti (articolo ItaliaOggi del 11.08.2010, pag. 28 - link a www.corteconti.it).

COMPETENZE GESTIONALISolo in virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998) il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, inducendo a ritenere che la competenza ad adottare le ordinanze di demolizione possa far capo al dirigente solo dopo l’entrata in vigore della predetta norma.
L’art. 7 della legge n. 47/1985 demanda al Sindaco la competenza ad adottare l’ordine di demolizione.
Successivamente l’art. 51 della legge n. 142/1990, nel testo novellato dall’art. 6 della legge n. 127/1997, ha posto il problema di stabilire se il dirigente abbia la competenza ad emanare gli atti di gestione per effetto diretto di tale norma di legge o se invece l’applicazione del nuovo sistema di competenze sia condizionata all’emanazione di norme statutarie o regolamentari che specifichino gli atti di gestione demandati alla competenza degli organi burocratici.
Al riguardo il Consiglio di Stato, con interpretazione che il Collegio condivide, ha statuito che lo spostamento delle competenze ai dirigenti degli enti locali, previsto dall’art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, non è automatico, ma è subordinato alla previa approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari idonee a determinare le modalità relative a detto spostamento: tale norma introduce una statuizione vincolante ma con valenza di principio, destinata perciò ad essere recepita da ciascun ente locale secondo il proprio ordinamento. A differenza dell’amministrazione statale, nella quale il passaggio delle competenze gestionali in capo ai dirigenti avviene ope legis, per i Comuni l’operatività del nuovo riparto di attribuzioni è subordinata all’emanazione di atti normativi di livello subprimario (Cons. Stato, I, 28/04/1999, n. 535; TAR Lombardia, Milano, III, 02/02/2000, n. 492).
Occorre altresì considerare che solo in virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998, ovvero successivamente all’adozione dell’atto impugnato), il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, inducendo a ritenere che la competenza ad adottare le ordinanze di demolizione possa far capo al dirigente solo dopo l’entrata in vigore della predetta norma (TAR Campania, Napoli, IV, 22/02/2000, n. 465; idem, I, 05/07/2000, n. 2642).
L’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 ha ricompreso tra gli atti di gestione le misure repressive degli abusi edilizi; coerentemente l’art. 107, comma 3, lettera “g”, del d.lgs. n. 267/2000 attribuisce ai dirigenti le competenze in materia di repressione dell’abusivismo edilizio. Il comma 5 del predetto art. 107 statuisce inoltre, analogamente a quanto precedentemente previsto dal citato art. 2, che le disposizioni che conferiscono agli organi politici (tra cui il Sindaco) l’adozione di atti di gestione o di provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.
Orbene, la legge regionale che attribuisce al Sindaco la potestà di ingiungere la demolizione di opere abusive deve essere interpretata, in base all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, in senso conforme ai principi generali dell’ordinamento, in modo tale da tenere ferma la competenza del dirigente nell’adozione degli atti di gestione, comprendenti l’ordinanza demolitoria (TAR Toscana, III, 18/12/2002, n. 3398)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 07.08.2009 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISpetta al dirigente ordinare la demolizione di opere abusive, e non più al Sindaco, solo a decorrere dall'entrata in vigore della L. 16.06.1998 n. 191.
La competenza all'emanazione, di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale essendo stata detta competenza trasferita ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191 (TAR Campania Napoli, sez. VI, 30.04.2008, n. 3072) (TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4696 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: E' illegittimo che la provincia valuti la compatibilità del documento di piano del P.G.T., con il proprio piano territoriale di coordinamento (P.T.C.P.), mediante provvedimento della Giunta/Consiglio anziché con determina dirigenziale.
La lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”, sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare)”.
Nel caso in esame, la Provincia è chiamata appunto ad una “valutazione di compatibilità” tra due strumenti urbanistici di diverso livello, al fine di verificare, dal riscontro tra le previsioni dell’uno e dell’altro, se quello sottordinato (PGT) rispetti le previsioni del piano sovraordinato (PTCP).
Si tratta di un riscontro al quale sono estranee valutazioni di merito; a maggior ragione esso non implica alcuna di quelle scelte di indirizzo che radicano la competenza del consiglio provinciale ex art. 42, primo comma t.u.e.l., che definisce il consiglio come “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
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Dall’art. 48 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (t.u.e.l.), si desume che la giunta compie gli atti che non sono riservati al consiglio, e che non rientrano nelle competenze del presidente o nelle attribuzioni dei dirigenti.
A questi ultimi, l’art. 107, secondo comma, del t.u. assegna “tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente” (secondo comma), nonché (terzo comma) “l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo.
Ai dirigenti competono tra l’altro (art. 107, secondo comma, lettera f) “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”; nonché (lettera h) “le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza”.
Se si considera che la valutazione di compatibilità in questione (a) mira esclusivamente a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del PTCP da parte del piano comunale di governo del territorio, e (b) non implica, come osservato, profili di discrezionalità, se ne trae che essa non si configura come atto di indirizzo, ma tende alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, ed è pertanto riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.

Il Comune di Vertemate con Minoprio ha adottato (delibera consiliare 29.07.2008 n. 27) il piano di governo del territorio (PGT), e lo ha trasmesso alla Provincia di Como -ex art. 13, comma 5, legge regionale lombarda 11.03.2005 n. 12- per la valutazione di compatibilità con il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP).
Con provvedimento 16.12.2008, assunto dal Dirigente del Settore pianificazione territoriale, la Provincia di Como ha attestato la compatibilità del PGT col PTCP a condizione che venissero recepite determinate prescrizioni e apportate al PGT le conseguenti modifiche.
Il Comune ha controdedotto alle osservazioni dei privati e alle valutazioni della Provincia, approvando il PGT con delibera consiliare 15.01.2009 n. 1.
Per quanto riguarda la valutazione di compatibilità effettuata dalla Provincia, il Comune ha ritenuto il provvedimento dirigenziale viziato da “difetto assoluto di attribuzione”, qualificandolo come tale “inidoneo a produrre gli effetti della valutazione di compatibilità del PGT con il PTCP”. Ha peraltro controdedotto, “ad abundantiam”, con apposito documento, alle valutazioni della Provincia “anche a sostegno delle scelte urbanistiche effettuate dal consiglio comunale”.
Nel contempo, peraltro, il Comune ha impugnato il provvedimento dirigenziale col ricorso n. 460/2009, deducendo i seguenti motivi:
- incompetenza del dirigente, dovendo il parere di compatibilità essere reso dal consiglio provinciale; il provvedimento sarebbe anzi nullo, ex art. 21-septies legge n. 241/1990, per difetto assoluto di attribuzioni, essendosi il dirigente arrogato un potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo riservato all’organo di governo dell’ente;
- violazione dell’art. 13 legge regionale n. 12 del 2005, eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto: anziché limitarsi ad effettuare la valutazione di compatibilità tra PGT e PTCP, lasciando al Comune il potere di individuare le possibili soluzioni per ricomporre il contrasto tra i due strumenti urbanistici, la Provincia avrebbe -con le prescrizioni dettate alle pagg. 19~22 del provvedimento impugnato- imposto modificazioni sostanziali al PGT adottato, individuando le destinazioni funzionali che il Comune sarebbe tenuto a recepire a pena di inefficacia degli atti assunti; le singole prescrizioni sarebbero poi illegittime per i motivi esposti nelle controdeduzioni comunali, riprodotte in ricorso quale parte integrante e sostanziale.
...

La questione di competenza, sollevata dal Comune con il primo motivo del ricorso n. 460/2009, è infondata.
L’art. 13 della legge regionale 11.03.2005 n. 12 (legge per il governo del territorio) disciplina la procedura di approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio.
Il quinto comma [nel testo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. u), della l.r. 14.03.2008, n. 4], stabilisce testualmente: “5. Il documento di piano, il piano dei servizi e il piano delle regole, contemporaneamente al deposito, sono trasmessi alla provincia se dotata di piano territoriale di coordinamento vigente. La provincia, garantendo il confronto con il comune interessato, valuta esclusivamente la compatibilità del documento di piano con il proprio piano territoriale di coordinamento entro centoventi giorni dal ricevimento della relativa documentazione, decorsi inutilmente i quali la valutazione si intende espressa favorevolmente. Qualora il comune abbia presentato anche proposta di modifica o integrazione degli atti di pianificazione provinciale, le determinazioni in merito sono assunte con deliberazione di giunta provinciale. In caso di assenso alla modifica, il comune può sospendere la procedura di approvazione del proprio documento di piano sino alla definitiva approvazione, nelle forme previste dalla vigente legislazione e dalla presente legge, della modifica dell’atto di pianificazione provinciale di cui trattasi, oppure richiedere la conclusione della fase valutativa, nel qual caso le parti del documento di piano connesse alla richiesta modifica della pianificazione provinciale acquistano efficacia alla definitiva approvazione della modifica medesima. In ogni caso, detta proposta comunale si intende respinta qualora la provincia non si pronunci in merito entro centoventi giorni dalla trasmissione della proposta stessa”.
Il Comune sostiene che la competenza ad esprimere la valutazione di compatibilità del PGT con il PTCP spetterebbe al consiglio provinciale, ai sensi dell’art. 42, secondo comma, lett. b), del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il quale, nel disciplinare le attribuzioni dei consigli (comunali e provinciali) stabilisce che “il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: …. b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”.
La valutazione di compatibilità di cui trattasi sarebbe appunto oggetto di un parere riservato al consiglio provinciale, cui spetterebbe di valutare la compatibilità del piano comunale con il proprio piano territoriale di coordinamento, quale strumento urbanistico sovraordinato e, per taluni profili, prevalente.
La tesi non può essere, alla stregua della giurisprudenza più recente, condivisa.
Sia pure in una vicenda in cui era stata contestato, per incompetenza, un provvedimento emesso in materia non da un dirigente, ma dalla giunta provinciale, il Consiglio di Stato ha statuito (sentenza 28.05.2009 n. 3333, Sez. IV) che la lettera b) dell’art. 42, secondo comma, del t.u.e.l. si riferisce “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”, sicché “restano fuori dalla previsione, ad esempio, i pareri che l’Ente è chiamato a rendere circa la compatibilità con il proprio piano o programma di attività poste in essere da altri soggetti (è il caso del parere di conformità al P.R.G. di un intervento edilizio, che non si dubita non appartenga alla competenza consiliare)”.
Nel caso in esame, la Provincia è chiamata appunto ad una “valutazione di compatibilità” tra due strumenti urbanistici di diverso livello, al fine di verificare, dal riscontro tra le previsioni dell’uno e dell’altro, se quello sottordinato (PGT) rispetti le previsioni del piano sovraordinato (PTCP).
Si tratta di un riscontro al quale sono estranee valutazioni di merito; a maggior ragione esso non implica alcuna di quelle scelte di indirizzo che radicano la competenza del consiglio provinciale ex art. 42, primo comma t.u.e.l., che definisce il consiglio come “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
Tanto basta a disattendere la tesi secondo cui la valutazione di compatibilità in questione sarebbe riservata al consiglio provinciale.
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Sempre a sostegno della censura di incompetenza, il Comune denuncia la violazione dell’art. 107 del t.u.e.l., per avere il dirigente provinciale “invaso le attribuzioni riservate agli organi di governo dell’Ente”: il che comporterebbe -secondo l’assunto comunale- nullità dell’atto (ex art. 21-septies legge n. 241/1990) per difetto assoluto di attribuzioni, o quanto meno annullabilità dello stesso per violazione dell’ordine delle competenze.
Ora, una volta esclusa -per le ragioni esposte al punto che precede- una riserva di competenza al consiglio provinciale, si deve esaminare se la censura del Comune possa avere fondamento sotto un diverso profilo, nel senso cioè che la competenza in materia appartenga alla giunta provinciale, anch’essa “organo di governo dell’ente” (art. 36 t.u.e.l.): tesi sulla quale punta la difesa comunale, dopo avere preso atto -nella memoria depositata il 19.06.2009- della recente statuizione del giudice di appello.
Al riguardo va osservato che la menzionata sentenza n. 3333/2009 del Consiglio di Stato non ha affermato (positivamente e definitivamente) la competenza della giunta provinciale, ma si è limitata ad escludere la riserva di competenza al consiglio in una fattispecie in cui la valutazione di compatibilità -rispetto al sopraordinato PTCP- di un P.I.I. (programma integrato di intervento), adottato da altro comune in variante al PRG, era stata effettuata dalla giunta provinciale con provvedimento impugnato per incompetenza.
Non si può trarre dunque argomento, sic et simpliciter, dalla sentenza citata per desumerne tout court la competenza della giunta e l’incompetenza del dirigente.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che al quesito di cui sopra (se cioè nella vicenda in esame sia stato invaso un ambito di attribuzioni riservato alla giunta provinciale) debba darsi risposta negativa, alla luce sia della normativa regionale di settore, sia della disciplina generale delle attribuzioni dirigenziali.
L’art. 13, quinto comma, della legge regionale n. 12/2005 (di cui si è riportato il testo al precedente punto 5.) dispone che “qualora il comune abbia presentato anche proposta di modifica o integrazione degli atti di pianificazione provinciale, le determinazioni in merito sono assunte con deliberazione di giunta provinciale”: il che lascia arguire che la competenza della giunta provinciale insorga nel solo caso in cui occorra delibare se la proposta di modifica sia o meno assentibile ai fini della sospensione ovvero del proseguimento della procedura di approvazione del PGT, secondo una delle opzioni previste dallo stesso comma, ferma restando comunque la competenza del consiglio provinciale per la “definitiva approvazione…. della modifica dell’atto di pianificazione provinciale”.
Dall’art. 48 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (t.u.e.l.), si desume, d’altro canto, che la giunta compie gli atti che non sono riservati al consiglio, e che non rientrano nelle competenze del presidente o nelle attribuzioni dei dirigenti.
A questi ultimi, l’art. 107, secondo comma, del t.u. assegna “tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente” (secondo comma), nonché (terzo comma) “l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo.
Ai dirigenti competono tra l’altro (art. 107, secondo comma, lettera f) “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”; nonché (lettera h) “le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza”.
Se si considera che la valutazione di compatibilità in questione (a) mira esclusivamente a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del PTCP da parte del piano comunale di governo del territorio, e (b) non implica, come osservato, profili di discrezionalità, se ne trae che essa non si configura come atto di indirizzo, ma tende alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, ed è pertanto riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.
In conclusione, le censure del Comune in punto di competenza sono prive di fondamento; mentre appaiono fondate le (speculari) censure della Provincia circa l’erroneità del presupposto (incompetenza del dirigente) sulla cui base il Comune ha ritenuto di disattendere la valutazione di compatibilità del PGT
(
TAR Lombardia-Milano, Sezione II, sentenza 28.07.2009 n. 4468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: La verifica di compatibilità del PGT al PTCP è di competenza del dirigente, mentre le prescrizioni di stralcio della Provincia non hanno carattere precettivo ma sono finalizzate a consentire, se recepite, l’approvazione immediata del PGT.
1.
Se si considera che la valutazione di compatibilità del piano di governo del territorio al piano territoriale di coordinamento provinciale mira esclusivamente a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del PTCP da parte del PGT, e non implica profili di discrezionalità, se ne trae che essa non si configura come atto di indirizzo, ma tende alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, ed è pertanto riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.
2. Nell’ambito del procedimento di verifica di compatibilità del piano di governo del territorio al piano territoriale di coordinamento provinciale, le prescrizioni della Provincia, nella parte in cui prevedono (anche) le destinazioni degli ambiti da stralciare, non hanno carattere precettivo, e non escludono la possibilità di destinazioni diverse: esse, in altri termini, devono intendersi unicamente finalizzate a consentire l’approvazione immediata del piano regolatore senza ulteriori passaggi procedimentali; nel senso che, se il Comune recepisce le prescrizioni di stralcio con la rispettiva destinazione, il piano può essere approvato e produrre i suoi effetti tout court, mentre una destinazione diversa da quella suggerita imporrebbe il ritorno del piano alla Provincia per una nuova verifica di compatibilità, ovvero l’attivazione del procedimento di modifica o integrazione del PTCP (TAR Lombardia-Milano, Sezione II, sentenza 28.07.2009 n. 4468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: In favore della competenza degli organi politici in luogo della dirigenza, relativamente alla firma di atti regolamentanti la circolazione stradale, milita l’ulteriore considerazione per cui i provvedimenti oggetto di impugnazione costituiscono non già meri atti di esecuzione di pregressi provvedimenti di programmazione, ma essi stessi si pongono come momenti di pianificazione e regolamentazione dell’uso del territorio, come tali in linea di principio necessariamente rientranti nelle attribuzioni degli organi di direzione politica dell’ente locale, tra cui figura nella fattispecie anche il Sindaco.
A seguito di una riunione concertativa, i sindaci dei comuni ricadenti nel territorio dell’isola di Ischia hanno stabilito modalità di restrizione del traffico veicolare, mediante al limitazione dell’autorizzazione alla circolazione, nel periodo estivo, ad un’unica autovettura per nucleo familiare.
Il dedotto motivo di incompetenza del sindaco non sussiste.
E’ stato in tal senso sostenuto che si tratterebbe di una attribuzione che l’art. 107 del D.lgs. 18.08.2000 n. 267 riserverebbe ormai alla dirigenza e non più agli organi politici dell’Amministrazione locale, essendo le previsioni di cui all’art. 7 del D.Lgs. 30.04.1992 n. 285 state modificate, quanto alla competenza, dalle nuove disposizioni generali in materia di riparto di competenze interne degli enti locali. Né, del resto, si sarebbe potuto trattare di un’ordinanza sindacale di carattere contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 del T.U.E.L., difettandone tutti i presupposti in fatto ed in diritto.
Osserva il Collegio che gli articoli 6 e 7 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 attribuiscono espressamente al sindaco il compito di individuare misure di limitazione del traffico veicolare.
Quanto alla sopravvenuta competenza dirigenziale in materia, si osserva che la previsione dell’art. 7, comma 9, del D.Lgs. 30.04.1992, sebbene di epoca anteriore rispetto alla disposizione normativa di cui all’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267 in materia di competenze della dirigenza degli enti locali, resta comunque successiva rispetto all’introduzione nell’ordinamento del principio di separazione tra compiti degli organi di governo e compiti dei dirigenti, a suo tempo introdotta già con la legge 08.06.1990 n. 142; deve pertanto ritenersi che, rispetto al predetto principio, la disposizione de qua assume natura di lex posterior e, come tale, ben poteva proporsi come fattispecie derogatoria rispetto al preesistente principio di attribuzione di siffatte competenze alla dirigenza.
Inoltre, in favore della competenza degli organi politici in luogo della dirigenza, milita anche l’ulteriore considerazione per cui i provvedimenti oggetto di impugnazione costituiscono non già meri atti di esecuzione di pregressi provvedimenti di programmazione, ma essi stessi si pongono come momenti di pianificazione e regolamentazione dell’uso del territorio, come tali in linea di principio necessariamente rientranti nelle attribuzioni degli organi di direzione politica dell’ente locale, tra cui figura nella fattispecie anche il Sindaco, proprio in virtù del potere espressamente conferitogli dall’art. 7, comma 3, di individuare misure di regolamentazione del traffico cittadino (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 4426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALILa disciplina della circolazione sulle strade comunali rientra nelle competenze della dirigenza comunale anche se il Codice della Strada del 1992 afferma il contrario, in quanto dalla data di entrata in vigore del nuovo T.U. degli enti locali l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi spetta ai dirigenti.
Deve, preliminarmente, stabilirsi quale potere il Sindaco abbia inteso esercitare nell’emanare l’impugnata ordinanza.
Ad avviso del Collegio sussistono pochi dubbi sul fatto che questa sia stata emanata ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 30/04/1992 n.285 (nuovo codice della strada) e non, invece, ex art. 54, comma 4 del D. Lgs. 18/08/2000 n.267, come pretendono tanto il comune quanto il consorzio.
Ed invero, nell’ordinanza è esplicitamente richiamata la norma di cui al citato art. 7 e, del resto, l’atto manifesta i contenuti tipici del provvedimento descritto nella suddetta disposizione, dettando prescrizioni volte a regolare la circolazione stradale nella zona considerata. Sono assenti, invece, indizi che manifestino l’intendimento del Sindaco di agire con un provvedimento extra ordinem. Manca, difatti, qualunque indicazione circa l’esistenza di un pericolo incombente non altrimenti fronteggiabile con gli ordinari strumenti. E del resto, le prescrizioni date hanno il carattere della continuità e stabilità, mentre le ordinanze contingibili ed urgenti hanno, per loro natura, efficacia temporalmente limitata. Il che induce ad escludere, in mancanza di elementi ermeneutici di segno contrario, che il Sindaco abbia agito ai sensi dell’art. 54, comma 4, del citato D. Lgs. n. 267/2000.
Ciò premesso,
deve ritenersi che spettasse al dirigente competente per settore provvedere.
Infatti, in tema di disciplina della circolazione sulle strade comunali, rientrano nelle competenze della dirigenza comunale i provvedimenti che siano diretti a regolamentare la circolazione su singole strade del centro abitato, a nulla rilevando, in contrario, che il combinato disposto di cui agli articoli 6 e 7 del codice della strada, precedentemente emanato, attribuisca al sindaco la regolamentazione della circolazione nei centri abitati e che i provvedimenti in questione non risultino specificamente tra quelli enumerati dall'articolo 107, terzo comma, del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che:
a) il quinto comma del citato art. 107 stabilisce espressamente che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico in cui la norma è contenuta, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo degli enti l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, “si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”;
b) l’elenco delle competenze dirigenziali contenuto nella disposizione ha natura meramente esemplificativa (TAR Calabria–Catanzaro 23/09/2003 n. 2730; TAR Lombardia–Brescia 28/04/2003 n. 464; TAR Piemonte 27/11/2002 n. 2000; Cass. Sez. II, 06/11/2006 n. 23622).
Occorre, infine, rilevare che, contrariamente a quanto le controparti sostengono, nessun rilievo può avere il fatto che le strade interne al comprensorio siano private, atteso che è incontroverso che le stesse siano adibite ad uso pubblico; del resto, ove così non fosse, il Consorzio non avrebbe avuto alcuna necessità di rivolgersi al Sindaco per regolare il traffico veicolare nelle aree in contestazione; gli sarebbe bastato avvalersi della ordinaria facoltà di cui all’art. 841 cod. civ., che consente al proprietario di chiudere il fondo in qualunque momento (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISolo con l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191 può dirsi avvenuto il trasferimento, dal sindaco ai responsabili dei servizi (non dirigenti) dallo stesso nominati ed ai dirigenti, della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino nonché ad esercitare i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione di sanzioni amministrative previste in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e in materia paesaggistico-ambientale.
E’ noto a questo Collegio il dibattito sviluppatosi sul tema dell’individuazione del momento che ha segnato il passaggio dal sindaco ai responsabili dei servizi (non dirigenti) dallo stesso nominati ed ai dirigenti della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino nonché ad esercitare i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione di sanzioni amministrative previste in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e in materia paesaggistico-ambientale.
Il Collegio non ritiene di discostarsi dall’orientamento secondo il quale solo con l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191 può dirsi avvenuto tale trasferimento di competenza (cfr., Tar Lazio–Latina, Sezione I, 05.06.2007, n. 412; Tar Calabria-Catanzaro, Sezione II, 14.07.2008, n. 1061; Cons. St., sez. II, 26.04.2002, n. 2560/2001)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Rientra nella competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di uno strumento urbanistico comunale con il P.T.C.P.
Non può, al riguardo, invocarsi l’art. 42, c. 2, lett. b), d.lgs. n. 267/2000: tale norma -che attribuisce alla competenza consiliare i “programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”- si riferisce, difatti, “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”.

Come ha di recente affermato il Consiglio di Stato con la sentenza 28.05.2009 n. 3333, rientra nella competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di uno strumento urbanistico comunale (si trattava, nel caso esaminato, di un programma integrato di intervento) con il P.T.C.P.
Non può, al riguardo, invocarsi l’art. 42, c. 2, lett. b), d.lgs. n. 267/2000: tale norma -che attribuisce alla competenza consiliare i “programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”- si riferisce, difatti, “non a qualsiasi parere espresso dall’Ente che comunque coinvolga i piani o programmi dallo stesso approvati, ma soltanto ai pareri espressi nell’ambito del procedimento di formazione di quei piani e programmi (o delle relative varianti e deroghe)”. (Cons. Stato, sez. IV, 28.05.2009, n. 3333) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.07.2009 n. 4303 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: 1.- Circolazione stradale - Codice della strada - Limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci - Ordinanza - Potere - Sindaco - Non sussiste - Fattispecie.
2.- Circolazione stradale - Codice della strada - Limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci - Ordinanza - Potere - Giunta Comunale - Sussiste - Art. 7, co. 9, D.Lgs. n. 285/2002 - Norma speciale - Prevalenza sulla L. n. 142/1990 - Ammissibilità.
1.-
Le ordinanze aventi per oggetto la limitazione al traffico dei veicoli trasporto merci (con una massa complessiva a pieno carico superiore alle tre tonnellate), sottendono la finalità di garantire la sicurezza della circolazione e la pubblica incolumità, dipendendo dalla considerazione di esigenze di stabilità strutturale delle strade interessate. E' quindi evidente che le finalità sottese a provvedimenti di tal genere ricadono tra quelle contemplate all'art. 7, co. 9, del Codice della strada, che attribuisce la competenza all'adozione del provvedimenti in analisi non al Sindaco ma alla Giunta.
E' vero, peraltro, che il Sindaco può assumere siffatti provvedimenti con ordinanza. Ma ciò è unicamente consentito in caso di urgenza della quale, all'evidenza, necessita esternare ed indicare adeguatamente e compiutamente i fattori fondanti (nel caso di specie peraltro, è dato evincere, al contrario, una situazione di segno opposto, nella parte in cui l'ordinanza del sindaco dà atto che la situazione di pericolo risale a diversi anni).
2.- Non osta all'individuazione nella Giunta dell'organo competente ad adottare provvedimenti di limitazione del traffico per qualsivoglia esigenza, diversa da quella volta alla tutela del patrimonio artistico, dell'ambiente e dalla prevenzione degli inquinamenti, il principio di separazione delle funzioni di amministrazione e gestione da quelle di indirizzo politico. La norma dell'art. 7, co. 9, D.Lgs. n. 285/2002, è una disposizione speciale rispetto all'impianto generale di cui alla L. n. 142/1990 e oltretutto successiva ad essa, conseguendone la sua prevalenza (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 20.06.2009 n. 1816 - link a http://mondolegale.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Anche in materia di pubblici servizi, il consiglio comunale è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000.
Anche in materia di pubblici servizi, il consiglio comunale è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000, mentre la giunta municipale ha una competenza residuale, comprendente anche l’indirizzo politico, in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al Consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi di decentramento.
Tocca invece al dirigente attuare gli obiettivi ed i programmi definiti dagli organi di governo; in particolare, il medesimo deve operare quelle scelte tecnico-giuridiche necessarie all’assegnazione del servizio, a cominciare dalla predisposizione degli atti inditivi della gara, che, quali atti di gestione, di competenza del responsabile del procedimento di spesa, seguono e attuano la deliberazione di giunta e/o di consiglio, espressione del potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo (Consiglio Stato, Sez. V, 31.01.2007 n. 383; 13.12.2005 n. 7058; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 02.05.2003 n. 2851; TAR Calabria, Reggio Calabria, 13.02.2004 n. 153) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.05.2009 n. 1038 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Competenza ad adottare atti in materia edilizia.
La competenza ad adottare atti in materia edilizia, ai sensi degli art. 107 e 109 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, è del dirigente comunale -ovvero nei comuni sprovvisti di detta qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi- al quale spetta di risolvere le questioni interpretative attinenti al rispetto delle norme urbanistiche ed alla realizzabilità di un intervento edilizio da parte di un privato in un’area destinata a servizi (salve le valutazioni relative alla compatibilità di cui alla legge regionale n. 8 del 2004 per gli interventi di carattere socio-sanitario ecc…) e non del Sindaco, trattandosi di un tipico potere gestionale, né tanto meno del Presidente del Consiglio comunale al quale, a mente dell’art. 39 del d.lgs. 267/2000, è attribuito il solo compito di riunire il Consiglio comunale, ”in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste”, assicurando ”una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio” (TAR Puglia-Lecce, sentenza 05.06.2009 n. 1445 - link a www.lexambiente.it).

COMPETENZE GESTIONALIAnche se mancano le norme statutarie e regolamentari ugualmente al dirigente spetta la direzione degli uffici e dei servizi.
Il fatto che l’art. 107 del TU n. 267/2000 disponga che “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti” non vuol certo dire che in mancanza delle norme statutarie e regolamentari il dirigente non possa far nulla.
Una simile conclusione si porrebbe contro il precetto costituzionale di buon andamento e con il principio (questo sì vero principio cardine), di separazione tra politica ed amministrazione e di tendenziale universalità ed inderogabilità delle funzioni dirigenziali, per il quale “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo” (art. 107 cit. e art. 4 d. lgs. n. 165/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl principio di netta separazione tra autorità politica e direzione amministrativa non elide una responsabilità diretta del Sindaco qualora egli venga meno a doverosi compiti di sovrintendenza degli uffici comunali o non formuli chiari indirizzi.
Prevedeva l’art. 36 della legge n. 142/1990 “1. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono il consiglio e la giunta, sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici nonché all'esecuzione degli atti 2. Essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.” distinguendo così le loro competenze da quelle dei dirigenti (art. 51) “2. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti. 3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell'ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti. 4. I dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione” da quello dei Segretari Comunale (art. 52) “3. Il segretario, nel rispetto delle direttive impartitegli dal sindaco o dal presidente della provincia da cui dipende funzionalmente, oltre alle competenze di cui all'art. 51, sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, cura l'attuazione dei provvedimenti, è responsabile dell'istruttoria delle deliberazioni, provvede ai relativi atti esecutivi e partecipa alle riunioni della giunta e del consiglio”.
A seguito dell’entrata in vigore del T.U.E.L., le attribuzioni del Sindaco sono previste dall’art. 50 che, ai primi tre commi afferma “1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia.
2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono la Giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti.
3. Salvo quanto previsto dall'articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia
.”
L’assetto normativo che precede ha, quindi, sostanzialmente innovato non solo in tema di specifica attribuzione delle funzioni sindacali ma, anche, l’assoggettabilità del “primo cittadino” a specifiche fattispecie di responsabilità amministrativa.
Ad avviso del Collegio, però, ritenere –come fa la difesa– che ogni e qualsivoglia responsabilità di tipo gestionale gravi sul dirigente preposto al settore d’interesse e affranchi, da ogni obbligo relativo il vertice politico, appare conclusione che va oltre la ratio e la lettera della norma.
Entrambe le disposizioni, seppur attuative di quell’orientamento legislativo che ha voluto una netta separazione tra autorità politica e direzione amministrativa, non elidono una responsabilità diretta del Sindaco qualora egli venga meno a doverosi compiti di sovrintendenza degli uffici comunali o non formuli chiari indirizzi.
Quello che il Legislatore ha voluto (e certamente si è realizzato) è, da un lato, svincolare il Sindaco da gravosi e burocratici impegni di ordinaria amministrazione e, dall’altro, conferire dignità adeguata alla professionalità del dirigente, in un assetto dicotomico che non vuol significare deresponsabilizzazione (Corte di Conti, Sez. giurisdiz Lazio, sentenza 02.03.2009 n. 262 - link a www.corteconti.it).

COMPETENZE GESTIONALIL’art. 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti possano adottare disposizioni regolamentari organizzative attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale, le cui disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento.
Con un primo profilo viene reiterata la censura con cui si sostiene l’incompetenza del Sindaco di Mezzomerico ad adottare (ovvero ritirare in autotutela) provvedimenti in materia edilizio-urbanistico, atti di gestione a competenza dei dirigenti.
Questo motivo è infondato, alla stregua di specifico precedente di questo Consiglio (V, 06.03.2007, n. 1052), dal quale non vi è ragione per discostarsi ed al quale si rinvia, ai sensi dell’art. 9 della legge 21.07.2000, n. 205.
Infatti, come correttamente ritenuto dai primi giudici, l’articolo 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possano adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale: il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Nella specie, non è in contestazione che il Comune di Mezzomerico ha una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e che, con delibera n. 24 di Giunta del 10.04.2007, ha provveduto ad attribuire all’organo esecutivo le competenze previste dal T.U.E.L. per i dirigenti.
Afferma ancora la società appellante che tale delibera sarebbe illegittima in quanto la norma della legge 388 richiederebbe un apposito regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono stati ritenuti suscettibili di accoglimento dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento, e, in ogni caso, ai sensi dell’art 48 del T.U.E.L. è altresì di competenza della Giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi: nella specie, la Giunta di Mezzomerico ha fatto corretta applicazione dell’art. 12 del Regolamento organico, il quale le attribuisce il potere di individuare i Responsabili comunali delle aree funzionali che il Sindaco poi nomina.
Il rispetto di questi criteri generali stabiliti per l’organizzazione degli uffici comunali la cui violazione peraltro non è stata oggetto di specifiche censure, e la deroga di attribuzione in capo ad amministratori comunali prevista espressamente dalla legge, senza ulteriore discrezionalità se non sull’an, portano dunque ad escludere la necessità di ulteriori criteri generali (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIPer rilasciare la procura alle liti -al difensore- il sindaco non ha bisogno della preventiva autorizzazione della giunta comunale.
Dagli articoli 36 e 35 della legge 142/1990, poi trasfusi negli artt. 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del t.u. sugli ordinamenti degli enti locali, approvato con d.lgs. 267/2000, si evince il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il Sindaco, non essendo più necessaria l'autorizzazione della Giunta municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'Ente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550).
La decisione di agire e resistere in giudizio e il conseguente conferimento del mandato alle liti competono quindi, in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.02.2009 n. 848 - link a www.g
iustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I pareri espressi dai responsabili dell’area tecnica e del servizio finanziario dei comuni costituiscono atti preparatori che legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri sono richiesti. Detti pareri, perciò, rispetto alla validità formale della medesime deliberazioni operano quale presupposto di diritto, ma non possono interferire sull’autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all’organo deliberante.
Nella specie sia il responsabile dell’area tecnica che il responsabile dell’area economico finanziaria hanno espresso i pareri dovuti sulla delibera di riconoscimento di debito fuori bilancio secondo la delimitazione che a detti pareri sono conferiti dalla legge.
E tali limitazioni vanno individuate da un lato, nella verifica di legittimità, in linea tecnica, che la materia in deliberazione rientri nella effettiva competenza dell’organo deliberante e che sul piano della regolarità tecnico-amministrativa sussistono i presupposti di fatto che legittimano il ricorso ad una tale deliberazione a prescindere da ogni valutazione e sindacato nel merito degli atti prodromici che hanno resa necessaria l’assunzione della deliberazione, nella specie, di riconoscimento di debito fuori bilancio. Merito e ragioni le cui valutazioni appartengono esclusivamente all’organo deliberante, libero di determinarsi in ordine alle stesse, non essendo il parere predetto vincolante per l’organo deliberante medesimo. A maggior ragione deve ritenersi non pertinente la pretesa di attribuire al responsabile dell’area economico-finanziaria valutazioni di legittimità generale, al quale, invece, spettano valutazioni solo riferite alla regolarità contabile, qualora, come nella specie, la deliberazione proposta comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata.
Il richiamato parere di legittimità contenuto nell’art. 58, comma 4, lett. A) del regolamento sull’ordinamento del comune di Calatafimi Segesta, nello stabilire che il parere in questione riguardi anche “la legalità della spesa”, va inteso nei termini sopradetti e, quindi solo con riferimento agli aspetti puramente contabili e finanziari e di validità formale.
La giurisprudenza, peraltro, è concorde nel ritenere che i pareri espressi dai responsabili dell’area tecnica e del servizio finanziario dei comuni costituiscono atti preparatori che legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri sono richiesti. Detti pareri, perciò, rispetto alla validità formale della medesime deliberazioni operano quale presupposto di diritto, ma non possono interferire sull’autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all’organo deliberante; a questi spetta la ponderazione concreta e corretta dei pubblici interessi, al di là della mera relazione funzionale dei pareri stessi che sono resi "ex ante" sulla proposta di deliberazione e costituiscono il presupposto al corretto esercizio dei poteri amministrativi dell’organo deliberante, senza intervenire sulla volontà di questo nei casi in cui, come nella specie, la competenza a provvedere spetta allo stesso Consiglio comunale e non già ad altri uffici tecnici o amministrativi dell’amministrazione comunale (cfr. C. Conti Marche, sez. giurisdiz., 22/02/1994, n. 1)
Poiché nel caso specifico la competenza ad adottare la delibera approvativa del debito fuori bilancio è di esclusiva pertinenza del Consiglio comunale, e che il parere del responsabile dell’area tecnica e del responsabile dell’area economico finanziaria si sono correttamente ispirati, nei confini delle valutazioni tecniche e contabili attribuiti dall’ordinamento, alla verifica della positiva sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione della delibera n. 65 del 12.09.2001, il Collegio ritiene che, come espressamente intendono con la domanda gli appellanti, nessun nesso causale corre nella specie tra i pareri espressi nell’ambito della loro competenza dai signori De Gaetano e Morsellino Giovanni ed il dedotto danno erariale, che, pertanto, non è riconducibile alla loro responsabilità
(Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. d'Appello per la Sicilia, sentenza 13.01.2009 n. 1 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: La responsabilità dei dirigenti per riconoscimento di debito fuori bilancio. Che rilevanza ha il parere di legittimità dato alla delibera consiliare?
I responsabili dell’area tecnica e dell’area economico finanziaria esprimono il proprio parere sulla delibera di riconoscimento di debito fuori bilancio secondo la delimitazione che a detti pareri sono conferiti dalla legge; tali limitazioni vanno individuate da un lato, nella verifica di legittimità, in linea tecnica, che la materia in deliberazione rientri nella effettiva competenza dell’organo deliberante e che sul piano della regolarità tecnico-amministrativa sussistono i presupposti di fatto che legittimano il ricorso ad una tale deliberazione a prescindere da ogni valutazione e sindacato nel merito degli atti prodromici che hanno resa necessaria l’assunzione della deliberazione.
I pareri espressi dai responsabili dell’aerea tecnica e del servizio finanziario dei comuni costituiscono atti preparatori che legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri sono richiesti. Detti pareri, perciò, rispetto alla validità formale della medesime deliberazioni operano quale presupposto di diritto, ma non possono interferire sull’autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all’organo deliberante; a questi spetta la ponderazione concreta e corretta dei pubblici interessi, al di là della mera relazione funzionale dei pareri stessi che sono resi "ex ante" sulla proposta di deliberazione e costituiscono il presupposto al corretto esercizio dei poteri amministrativi dell’organo deliberante, senza intervenire sulla volontà di questo nei casi in cui, come nella specie, la competenza a provvedere spetta allo stesso Consiglio comunale e non già ad altri uffici tecnici o amministrativi dell’amministrazione comunale (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Sicilia, sentenza 01.01.2009 n. 1 - link a www.giuedanella.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 1 - Sulla competenza del dirigente del settore urbanistica del Comune ad adottare provvedimenti cautelari relativi agli aspetti concernenti l'osservanza della normativa in materia di costruzione in zone sismiche (Geometra Orobico n. 6/2008).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Svolgimento funzioni responsabile settore (in ente popolazione inferiore 5.000 abitanti) da Segretario comunale - Applicabilità art. 97, D.Lgs. n. 267 del 18.08.2000.
Con una nota, un’Amministrazione, con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, ha chiesto di conoscere se sia possibile attribuire la responsabilità dell’Ufficio Tecnico comunale al segretario comunale ai sensi dell’art. 97 del D.Lgs. n. 267/2000.
Al riguardo, si rappresenta che, com’è noto, l’art. 97 del citato D.Lgs. n. 267/2000, nell’andare a definire, al comma 4, i compiti e le funzioni, ha previsto che il segretario comunale eserciti “ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia…” (lett. d).
Certamente, nell’ambito di questa formula potrebbe rientrare il conferimento delle funzioni di responsabile di un settore dell’amministrazione. Ciò, peraltro, trova conferma nella previsione del contratto collettivo integrativo dei segretari comunali e provinciali sottoscritto il 22.12.2003 che prende in considerazione, autonomamente, l’ipotesi di “affidamento al segretario di attività gestionali”.
Tuttavia, occorre rilevare che l’art. 15 del CCNL del 22.01.2004, ha definitivamente chiarito che
negli enti privi di personale di qualifica dirigenziale, i responsabili delle strutture apicali secondo l’ordinamento organizzativo dell’ente, sono titolari delle posizioni organizzative disciplinate dagli artt. 8 e seguenti del CCNL del 31.03.1999.
Da quanto sopra emerge, quindi, chiaramente che
negli enti privi di personale dirigenziale le relative competenze spettano ai titolari di posizione organizzativa.
Conseguentemente, poiché dalla documentazione allegata al quesito
risulta che presso l’Ente sono presenti due dipendenti di cat. D, con profili di architetto e geometra, attinenti al servizio tecnico, si ritiene che la discrezionalità riconosciuta al sindaco di conferire al segretario la responsabilità dell’area di cui trattasi non possa essere esercitata in violazione del diritto dei predetti dipendenti.
Dalle considerazioni suesposte e tenuto conto del sistema di affidamento delle responsabilità, che ne incentiva la suddivisione tra il personale in servizio, emerge, quindi, chiaramente che
l’ambito della discrezionalità riconosciuta al sindaco dal legislatore con la previsione ex art. 97, può essere legittimamente esercitata solo quale strumento residuale, ovvero utilizzabile esclusivamente da quelle amministrazioni che si trovassero nella difficoltà di reperire le necessarie professionalità all’interno della propria dotazione organica.
Per completezza di informazione, si soggiunge che essendo l’ente in questione di ridotte dimensioni può avvalersi del disposto di cui all’art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000, come modificato dall’art. 29, comma 4, della legge n. 488/2001 (Ministero dell'Interno, parere 17.12.2008 - link a http://incomune.interno.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Se è rimessa ai dirigenti la responsabilità delle procedure d'appalto ne segue che ai medesimi compete pure il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa riconnettendosi quel perfezionamento dell’iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario.
L’ordinamento non prevede alcuna incompatibilità a carico del funzionario che, in ragione dell’ufficio ricoperto, svolga le funzioni di Presidente della Commissione aggiudicatrice dell’appalto e sia successivamente competente ad approvare gli atti di gara.
L’aggiudicazione di una gara pubblica è un atto di gestione. Come tale, secondo la ripartizione delle attribuzioni definita dal d.lgs. n. 267/2000, essa è riservata alla competenza del dirigente del settore e non degli organi elettivi o politici dell’Ente locale, ai quali ultimi viene riservata l’attività di indirizzo, che consiste nella fissazione delle linee generali da seguire, da parte della P.A., e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione.

La giurisprudenza ha precisato più volte come l’art. 6, comma 2, della l. n. 127/1997, nel novellare l’art. 51 della l. n. 142/1990, abbia rimesso ai dirigenti “la responsabilità delle procedure d’appalto” (oltre alla presidenza delle relative Commissioni valutatrici) e la stipulazione dei contratti (nello stesso senso è ora l’art. 107, comma 3, lett. a), b) e c) del d.lgs. n. 267/2000). Orbene, se è rimessa ai dirigenti la responsabilità di tali procedure, ne segue che ai medesimi compete pure il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa riconnettendosi quel perfezionamento dell’iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario (C.d.S., Sez. V, 26.09.2002, n. 4938; id., 06.05.2002, n. 2408; id., 12.04.2001, n. 2293).
Ne discende che l’ordinamento non prevede alcuna incompatibilità a carico del funzionario che, in ragione dell’ufficio ricoperto, svolga le funzioni di Presidente della Commissione aggiudicatrice dell’appalto e sia successivamente competente ad approvare gli atti di gara (C.d.S., Sez. V, n. 4938/2002, cit.).
L’aggiudicazione di una gara pubblica è un atto di gestione. Come tale, secondo la ripartizione delle attribuzioni definita dal d.lgs. n. 267/2000, essa è riservata alla competenza del dirigente del settore e non degli organi elettivi o politici dell’Ente locale, ai quali ultimi viene riservata l’attività di indirizzo, che consiste nella fissazione delle linee generali da seguire, da parte della P.A., e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione (C.d.S., Sez. V, 29.08.2006, n. 5047)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 19.11.2008 n. 5442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Nei comuni di piccola entità demografica, che sono privi delle qualifiche dirigenziali, le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici ovvero al segretario comunale.
Con riferimento alla disciplina dettata dalla legge 1990 n. 142, che la giurisprudenza ha chiarito che il segretario comunale, seppure deve sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e coordinarne la relativa attività, non può di norma espletare compiti normalmente rimessi alla struttura burocratica in senso proprio dell’ente locale, sostituendosi ai dirigenti, “salve eventuali ipotesi eccezionali di assenza, nei ruoli dell’ente locale, di dirigenti o altri funzionari in grado di espletare i compiti in parola” (cfr. in argomento C.d.S., sez. V, 25.09.2006 n. 5625).
Inoltre, anche in caso di assenza di personale con qualifica dirigenziale, l’attribuzione di compiti gestionali al segretario comunale non è automatica, ma
dipende da una specifica attribuzione di funzioni amministrative, in base allo statuto o ai regolamenti dell’ente o a specifiche determinazioni del sindaco.
Siffatte conclusioni sono state raggiunte dalla giurisprudenza sulla base dell’art. 97, comma 4 lett. d), del D.L.vo 2000 n. 267, coincidente in relazione alla questione in esame al citato art. 17, comma 68 lett. c) della legge 1997 n. 127, in quanto prevede che il segretario comunale “esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia”.
In particolare, la giurisprudenza afferma che “il vigente ordinamento delle autonomie locali demanda –in base al criterio di distinzione fra le responsabilità di natura politico amministrativa e quelle di gestione operativa– in via esclusiva ai dirigenti l’adozione di quegli atti gestionali in precedenza riservati agli organi di vertice dell’ente. In generale è altresì pacifico che al segretario comunale –il quale svolge funzioni di assistenza giuridica nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti- non sono affidati compiti di amministrazione c.d. attiva, limitandosi egli a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne l’attività qualora non sia stato nominato un direttore generale. Tale attribuzione di competenze nettamente separate risulta però per ovvie ragioni temperata nei comuni di minori dimensioni demografiche, generalmente privi di personale di qualifica dirigenziale”. Difatti “nei comuni privi di dirigenti le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai responsabili degli uffici oppure demandate al segretario comunale, in applicazione dell’art. 97 comma 4 lettera d) a mente del quale appunto il segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia” (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.11.2008 n. 2739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALILa procura alle liti può essere conferita al difensore direttamente dal Sindaco, cui è attribuita la rappresentanza dell’Ente, senza previa autorizzazione della Giunta Municipale, spettando a quest’ultima solo una competenza residuale, per le materie non riservate al Sindaco dalla legge o dallo statuto del Comune interessato; quanto ai poteri del dirigente, disciplinati dall’art. 107 del citato Testo Unico, sembra corretto ritenere che tra essi non rientri in via generale –salvo esplicita previsione statutaria in tal senso– l’autorizzazione a stare in giudizio.
Il Collegio non condivide la tesi della difesa della ... s.p.a., secondo cui, a norma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non sarebbe “la Giunta comunale, bensì…il Dirigente del competente ufficio a dover autorizzare, con propria determina, il Sindaco a promuovere o a resistere ad una determinata lite, a pena della inammissibilità della costituzione in giudizio”.
A quest’ultimo riguardo, infatti, il Collegio stesso non ritiene di doversi discostare dal proprio precedente orientamento (Cons. St., sez. VI, 09.06.2006, n. 3452) –conforme sul punto ad autorevole indirizzo della Cassazione (Cass. SS.UU. nn. 186/2001 e 17750/2002)– secondo cui la procura alle liti può essere conferita al difensore direttamente dal Sindaco, cui è attribuita la rappresentanza dell’Ente, senza previa autorizzazione della Giunta Municipale, spettando a quest’ultima solo una competenza residuale, per le materie non riservate al Sindaco dalla legge o dallo statuto del Comune interessato; quanto ai poteri del dirigente, disciplinati dall’art. 107 del citato Testo Unico, sembra corretto ritenere che tra essi non rientri in via generale –salvo esplicita previsione statutaria in tal senso– l’autorizzazione a stare in giudizio (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.10.2008 n. 4744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIPer effetto della riforma delle autonomie locali vi è stata una generale devoluzione delle competenze del sindaco ai dirigenti del Comune, atteso che la nuova organizzazione complessiva dell'ente locale pone una “summa divisio” tra organi di governo (elettivi), preposti agli atti di indirizzo e di controllo, ed i dirigenti, preposti agli atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative, nei quali ultimi rientra senz'altro l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, in quanto atto di vigilanza sul territorio.
Per effetto della riforma delle autonomie locali ai sensi degli artt. 4 e 51 della l. 08.06.1990 n. 142 e del d.lgs. n. 29/1993, sfociato nella legge n. 127 del 15.05.1997 (successivamente recepito, per quanto riguarda gli enti locali, nel testo unico approvato con d.lgs. 18.08.2000, n. 267) vi è stata una generale devoluzione delle competenze del sindaco ai dirigenti del Comune, atteso che la nuova organizzazione complessiva dell'ente locale pone una “summa divisio” tra organi di governo (elettivi), preposti agli atti di indirizzo e di controllo, ed i dirigenti, preposti agli atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative, nei quali ultimi rientra senz'altro l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, in quanto atto di vigilanza sul territorio.
Trattandosi di atto sanzionatorio a carattere vincolato, esso è ed era, pertanto, da ritenersi di competenza del dirigente del settore (Consiglio Stato, sez. V, 06.03.2000, n. 1149; TAR Lazio, sez. II, 19.09.1994, n. 1052), anche prima che l'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191, espressamente attribuisse al dirigente il potere di ordinare la demolizione d'ufficio in caso di inosservanza dell'ordine di rimozione rivolto all'autore dell'abuso (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006, n. 8683; TAR Lombardia Brescia, 04.07.2000, n. 610)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.04.2008 n. 1911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Mentre l’attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del comune, può consistere anche nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione, la scelta di un contraente nell’ambito di una procedura di gara (ovvero la scelta di professionisti forniti di titoli adeguati per la redazione di strumenti di pianificazione del territorio) costituisce una tipica attività di gestione, finalizzata al raggiungimento degli scopi fissati dall’organo politico, sicché rientra nell’ambito delle competenze dei dirigenti.
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Una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (a firma de politico anziché del dirigente), per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno deve risultare effettivamente sussistente l’elemento soggettivo quanto meno della colpa (riferibile all’apparato dell’amministrazione), in base ai principi generali applicabili anche quando si tratti della responsabilità amministrativa per la lesione dell’interesse legittimo.
Nel caso di specie, non è revocabile in dubbio che l’illegittimità dei provvedimenti impugnati è stata causata dalla evidente violazione delle regole di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa (e delle prescrizioni dell’originario avviso di gara), sicché sussiste l’elemento psicologico della colpa.
La domanda risarcitoria risulta dunque fondata, atteso che, come risulta dal verbale n. 3 del 31.03.2001, l’offerta presentata dalla ... era stata considerata dalla commissione la migliore dal punto di vista complessivo (tecnico ed economico, secondo i criteri condivisi dalla stessa giunta).
Quanto alla concreta determinazione del danno risarcibile, la Sezione ritiene di dover accogliere la richiesta dell’appellante, fissando la misura del lucro cessante, in mancanza di qualsiasi contestazione da parte dell’amministrazione appellata ed in ragione della peculiarità dell’affidamento e dell’importo indicato nell’originario avviso, del 10% dell’offerta economica pari a lire 75.831.182 e quindi in lire 7.583.118, pari ad euro 3.916,35.
Trattandosi di una somma di valore, tale importo deve essere rivalutato all’attualità e sulla somma così rivalutata spettano gli interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della presente decisione.

Ugualmente fondato è il motivo di appello con il quale l’appellante ha lamentato che i provvedimenti impugnati, in particolare le delibere di Giunta Municipale con cui era stato originariamente affidato e poi confermato l’incarico in questione alla Progeo Geologi Associati, erano affetti dal vizio di incompetenza.
Diversamente da quanto statuito dai primi giudici, il collegio ritiene che –mentre l’attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del comune, può consistere anche nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l’attività di gestione- la scelta di un contraente nell’ambito di una procedura di gara (ovvero la scelta di professionisti forniti di titoli adeguati per la redazione di strumenti di pianificazione del territorio) costituisce una tipica attività di gestione, finalizzata al raggiungimento degli scopi fissati dall’organo politico, sicché rientra nell’ambito delle competenze dei dirigenti (C.d.S., sez. V, 09.09.2005, n. 4654; 21.11.2003, n. 7632).
Sotto tale profilo, risulta effettivamente sussistente il dedotto vizio di incompetenza della delibera della Giunta Municipale n. 180 dell’11.05.2001 e di quella successiva n. 411 del 16.11.2001, spettando al dirigente del Servizio urbanistico di prendere atto delle conclusioni istruttorie della commissione incaricata di valutare le offerte e di individuare l’offerta più idonea ed adeguata per il conferimento dell’incarico di consulenza geologica.
La delineata illegittimità dei provvedimenti di conferimento dell’incarico di consulenza alla Progeo Geologi Associati comporta che la Sezione deve esaminare la domanda risarcitoria avanzata, sin dal primo grado, dall’appellante.
Al riguardo la Sezione rileva che, una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno deve risultare effettivamente sussistente l’elemento soggettivo quanto meno della colpa (riferibile all’apparato dell’amministrazione), in base ai principi generali applicabili anche quando si tratti della responsabilità amministrativa per la lesione dell’interesse legittimo.
Nel caso di specie, non potendo essere esaminato in questa sede il rilievo del comportamento della aggiudicataria (in assenza di una specifica domanda dell’appellante o dell’amministrazione), non è revocabile in dubbio che l’illegittimità dei provvedimenti impugnati è stata causata dalla evidente violazione delle regole di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa (e delle prescrizioni dell’originario avviso di gara), sicché sussiste l’elemento psicologico della colpa.
La domanda risarcitoria risulta dunque fondata, atteso che, come risulta dal verbale n. 3 del 31.03.2001, l’offerta presentata dalla Geo Eco Progetti era stata considerata dalla commissione la migliore dal punto di vista complessivo (tecnico ed economico, secondo i criteri condivisi dalla stessa giunta).
Quanto alla concreta determinazione del danno risarcibile, la Sezione ritiene di dover accogliere la richiesta dell’appellante, fissando la misura del lucro cessante, in mancanza di qualsiasi contestazione da parte dell’amministrazione appellata ed in ragione della peculiarità dell’affidamento e dell’importo indicato nell’originario avviso, del 10% dell’offerta economica pari a lire 75.831.182 e quindi in lire 7.583.118, pari ad euro 3.916,35.
Trattandosi di una somma di valore, tale importo deve essere rivalutato all’attualità e sulla somma così rivalutata spettano gli interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della presente decisione
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIIl provvedimento con il quale si impone il recupero ambientale, trattandosi di atto di gestione, deve essere adottato dal dirigente del competente Ufficio del Comune procedente e non dal Sindaco nella sua veste di organo politico, fuoriuscendosi nella specie dallo schema tipico descritto dagli artt. 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 circa le competenze provvedimentali del Sindaco.
La competenza del dirigente comunale (o, in sua assenza, del responsabile del servizio) ad adottare l'ordinanza prevista dal comma 3° dell'art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non può essere posta in dubbio sia sulla base del richiamo all'art. 70, comma 6°, del decreto legislativo n. 165 del 30.03.2001 sia sulla scorta di quanto analogamente stabilito dall’art. 107, comma 5, del decreto legislativo n. 267 del 2000.

Per giurisprudenza ormai consolidata (cfr., in argomento, TAR Veneto, Sez. III, 24.01.2006 n. 130; TAR Sardegna, Sez. II, 24.01.2005 n. 104; TAR Molise, 25.11.2004 n. 729; TAR Basilicata, 18.09.2003 n. 878; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12.06.2003 n. 7532; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 08.05.2002 n. 1152; TAR Lombardia, Brescia, 25.09.2001 n. 792), il provvedimento con il quale si impone il recupero ambientale, trattandosi di atto di gestione, deve essere adottato dal dirigente del competente Ufficio del Comune procedente e non dal Sindaco nella sua veste di organo politico, fuoriuscendosi nella specie dallo schema tipico descritto dagli artt. 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 circa le competenze provvedimentali del Sindaco.
Infatti, in disparte quanto si legge testualmente nella disposizione normativa sulla quale fonda il presupposto giuridico dell’ordinanza qui impugnata (ora superata dalla novella del decreto legislativo n. 152 del 12.04.2006), la competenza del dirigente comunale (o, in sua assenza, del responsabile del servizio) ad adottare l'ordinanza prevista dal comma 3° dell'art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non può essere posta in dubbio sia sulla base del richiamo all'art. 70, comma 6°, del decreto legislativo n. 165 del 30.03.2001 (il quale, nel reiterare l'art. 45 comma 1° del decreto legislativo 31.03.1998 n. 80, tecnicamente abrogato dall'art. 72, comma 1°, lett. b), del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, ha stabilito che, a decorrere dal 23.04.1998, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti) sia sulla scorta di quanto analogamente stabilito dall’art. 107, comma 5, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (avendo anch'esso previsto che a "decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti e provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti..").
È pur vero che nel quadro ordinamentale descritto dal Testo unico sugli Enti locali l'art. 50 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ha previsto in favore del Sindaco, quale autorità locale (e non quale ufficiale di governo), un potere di ordinanza in caso di "emergenze sanitarie e di igiene pubblica" a carattere esclusivamente locale; trattasi però di ordinanze espressamente qualificate dalla norma "contingibili ed urgenti" nel cui novero non rientra, per quanto sopra osservato, quella di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997.
A tal proposito si ribadisce che il provvedimento disciplinato dal citato art. 14 non possa rientrare nel genus delle ordinanze contingibili ed urgenti.
Va ancora osservato come il potere di ordinanza contingibile ed urgente sia atipico e residuale e cioè che sia esercitabile (sempreché ne ricorrano gli eccezionali presupposti dell'urgenza, della gravità del pericolo, etc.) quante volte non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore; viceversa, proprio l'articolo 14 comma 3 citato configurerebbe una siffatta specifica normativa con la previsione d'un ordinario potere di intervento attribuito all'autorità amministrativa locale e non all'ufficiale del governo.
Del resto, la norma in parola è priva di qualsiasi riferimento ai requisiti di contingibilità ed urgenza, a differenza invece dell'articolo 13 dello stesso decreto che, a parte l'esplicita qualificazione contenuta nel titolo ("Ordinanze contingibili ed urgenti"), riporta al primo comma un chiaro riferimento alla "eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente" al fine di consentire al Sindaco, ove non si possa altrimenti provvedere, di emettere appunto ordinanze contingibili ed urgenti che consentano il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente.
In conclusione, l'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 prevede una ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio tanto è vero che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido (tra cui il proprietario), prevede in capo agli stessi l'imputazione a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione del divieto di legge (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.10.2007 n. 3279 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALISegretari e dirigenti non fungibili. Le prerogative sono derogabili soltanto con norma primaria. Una sentenza della Corte di cassazione interpreta in modo rigido il Testo unico degli enti locali.
Il segretario non può sostituire il dirigente comunale.

A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la sentenza 12.06.2007 n. 13708, interpretando il Testo unico degli enti locali nel senso della non fungibilità tra la posizione del dirigente e quelle del segretario dell'ente locale.
Il fatto da cui è scaturita la decisione è stato il seguente.
Il dipendente di un comune addetto all'area tecnica e tecnico manutentiva comunale, inquadrato nella categoria D3, con funzioni dirigenziali, ha negato a un privato il permesso di costruire per lavori di ristrutturazione.
A seguito delle rimostranze dell'interessato è intervenuto il sindaco che ha ordinato al dirigente di rilasciare il titolo edilizio. Il responsabile dell'area tecnica è rimasto fermo sulla sua posizione e non ha osservato l'ordine del sindaco. Quest'ultimo si è rivolto al segretario, che ha rilasciato il titolo edilizio in sostituzione del responsabile di area.
Il funzionario comunale ha fatto causa al comune chiedendo al tribunale del lavoro di dichiarare che egli solo aveva la titolarità in via esclusiva del potere decisionale sui provvedimenti edilizi. Il tribunale in primo grado ha dato torto al dipendente, rigettando la domanda e affermando che spettava al segretario comunale intervenire in via sostitutiva nel caso di inadempienza ingiustificata e illegittima dei funzionari.
La Corte di appello ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha dichiarato illegittima la sostituzione operata dal segretario comunale. Il comune ha portato la questione al vaglio della Corte di cassazione, che però ha sostanzialmente confermato la sentenza del giudice di secondo grado.
La Cassazione ha spiegato che nel decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sono ben delineati compiti propri del segretario comunale. All'articolo 97, comma 2, del Tuel i compiti del segretario comunale sono definiti, in linea generale, quali «compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti».
L'interpretazione della disposizione porta la Cassazione a descrivere le attribuzioni del segretario comunale quali compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni.
Mentre lo stesso Testo unico degli enti locali attribuisce ai dirigenti una sfera di prerogative non derogabile se non con norma primaria, ed essi sono direttamente ed esclusivamente responsabili del loro esercizio.
Da qui un importante corollario. I compiti propri del segretario comunale sono di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente; nella sfera di queste attribuzioni non vi è un potere di sostituzione del dirigente. Tra l'altro non esiste una norma sull'intervento sostitutivo del dirigente a cura del segretario: ciò è coerente con la disciplina diretta da parte della legge dei poteri e dei compiti del dirigente. La sostituzione del dirigente da parte del segretario attenta alla disciplina del Tuel attenta alla esclusività delle attribuzioni dirette di compiti ai dirigente e responsabili di area.
D'altra parte consentire al segretario di sostituire il dirigente determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.
In relazione alla valutazione del dirigente/responsabile di settore i problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul piano della responsabilità del dirigente. Ma non sul piano della autorizzazione del segretario a sostituire il responsabile dell'ufficio. Nella prospettiva del rapporto di lavoro deve escludersi un'iniziativa sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della controversia
(articolo ItaliaOggi del 24.08.2007).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Enti, segretari con le mani legate. Non revocabili gli atti di competenza esclusiva dei dirigenti. La Corte di cassazione ribadisce: illegittimo svolgere funzioni di competenza dei manager locali.
Il segretario comunale e il direttore generale non possono revocare, riformare o avocare atti gestionali, riservati alla competenza esclusiva dei dirigenti. Il giudice del lavoro, dunque, può accertare l'esclusiva titolarità della competenza dei dirigenti, e la conseguente illegittimità di un atto di avocazione.
Lo chiarisce la sentenza 12.06.2007 n. 13708 della Corte di Cassazione, Sez. lavoro,  che costituisce un ultimo, rilevante tassello, nel mosaico della vasta giurisprudenza secondo la quale segretario comunale e direttore generale non possono svolgere funzioni dirigenziali (Consiglio di stato, sez. V, 25.09.2006, n. 5625; Consiglio di stato, sez. IV, 21.08.2006, n. 4858; Tar Sardegna, sez. I, 23.03.2004, n. 432; Tar Lombardia, Sezione III, 18.01.2002, n. 112).
Il caso giunto all'esame della Sezione lavoro non riguarda direttamente un dirigente locale, ma un dipendente di categoria D3, al quale erano state attribuite funzioni dirigenziali. Circostanza, comunque, che rafforza la conclusione dell'esclusività delle competenze gestionali in capo ai dirigenti.
Origine della controversia è stato il diniego, opposto dal funzionario, a una concessione edilizia per lavori di ristrutturazione, non condiviso dal sindaco, che gli aveva intimato di rivedere la decisione. A seguito della conferma del diniego, il provvedimento di rilascio della concessione è stato adottato per avocazione dal segretario comunale, il quale ha agito in base ad una specifica richiesta del sindaco.
Il Tribunale di Genova, al quale si era rivolto il funzionario per chiedere il riconoscimento della propria competenza esclusiva in tema di rilascio della concessione, aveva dato ragione al comune, ritenendo che ricorrendo ipotesi di inadempienza ingiustificata ed illegittima da parte dei funzionari, sussista nel segretario comunale il potere di sostituzione-avocazione.
Tale visione, tuttavia, è stata radicalmente negata dalla Corte d'appello di Genova, le cui conclusioni sono state sostanzialmente confermate dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso proposto dal comune.
La Cassazione ha evidenziato che il segretario comunale, in linea generale, è chiamato a svolgere compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Nei confronti di dirigenti o funzionari cui siano affidate funzioni dirigenziali, il segretario svolge funzioni di coordinamento e di sovrintendenza, ma non di direzione gerarchica.
La decisione della Cassazione insiste sulla circostanza che ai dirigenti l'articolo 107 del decreto legislativo 267/2000 ha assegnato una sfera di attribuzioni non derogabile se non con norma primaria, escludendo, dunque, che lo statuto locale possa incidere sul rapporto tra segretario e dirigenza, aggiungendo, al comma 6, la previsione di una responsabilità esclusiva e diretta in capo ai dirigenti.
Per ragioni di coerenza sistematica, dunque, è da escludere che lo svolgimento dei compiti di coordinamento comporti, anche, l'esercizio di un potere di sostituzione/avocazione degli atti dirigenziali.
Se così fosse, si determinerebbe quella deroga alle competenze riservate della dirigenza, che l'articolo 107 consente esclusivamente alla legge. Per altro verso, si violerebbe l'ulteriore precetto della diretta ed esclusiva responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2007).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALISegretario comunale e direttore generale: compiti, funzioni e potere sostitutivo.
Il segretario comunale non può sostituire il dirigente nell’emanazione di un provvedimento di sua competenza, in quanto, nel rispetto del principio di separazione tra potere di indirizzo e controllo politico-amministrativo e potere gestionale, solo a quest’ultimo compete la direzione degli uffici e dei servizi, mentre al primo spettano compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella sentenza 12.06.2007 n. 13708.
La vicenda ha riguardato un dipendente comunale, inquadrato nell’area D3, il quale dovendo decidere in merito ad una richiesta di concessione edilizia da parte di un privato, non l’accolse ritenendo vi fosse una carenza dei presupposti oggettivi, comunicandone il diniego al sindaco.
Quest’ultimo, reputando il provvedimento doveroso, richiese l’emanazione dello stesso al Segretario comunale in via sostitutiva.
Il dipendente –al quale è stata irrogata anche una sanzione disciplinare per violazione dei doveri di comportamento e condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori– ha adito al giudice del lavoro, chiedendo, tra l’altro, di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dal Segretario comunale e di riconoscergli la titolarità esclusiva del potere decisionale sui provvedimenti di concessione edilizia.
Il comune interessato, soccombente in primo e secondo grado, si è rivolto quindi al giudice delle leggi, chiedendo la cassazione della sentenza del giudice di merito, in particolare, della parte in cui quest’ultimo aveva dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale, ed in questa sua tesi veniva supportato dall'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, che è intervenuta nel processo, aderendo al ricorso del Comune, depositato una "comparsa di costituzione”.
La Corte, dichiarando l’atto di "comparsa di costituzione" depositato dall’Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, inammissibile, in conformità a costante giurisprudenza (Cass. 07.07.2004, n. 12448), ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del giudice di merito.
Il Collegio richiamando le disposizioni legislative –in particolare, il d.lgs. 267 del 2000– in cui sono regolamentati i compiti e le funzioni del segretario comunale e del direttore generale, nonché i loro rapporti con la figura del dirigente, è giunto alla conclusione che la sfera di attribuzioni assegnata a quest’ultimo, concernente l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, per cui è direttamente ed esclusivamente responsabile del loro esercizio, non è derogabile se non con una norma primaria.
Pertanto, continua la Corte, “l'attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente. Un siffatto potere da un lato comporterebbe deroga alle attribuzioni di quest'ultimo, in contrasto con l'esplicito limite che la legge prevede in proposito, dall'altro determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli” (15.11.2007 - commento tratto da e link a www.altalex.com)
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Pubblico impiego, compiti del segretario comunale, sostituzione del dirigente (tratto da e link a www.altalex.com).

Pubblico impiego - compiti del segretario comunale - sostituzione del dirigente - esclusione [D.Lgs. 267/2000].
   -
I compiti del segretario comunale sono definiti, in linea generale, quali "compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti".
Ai dirigenti, viceversa, compete “la direzione degli uffici e dei servizi” nel rispetto del principio di separazione tra poteri di indirizzo e controllo politico amministrativo da un lato e gestione dall'altro e la loro sfera di attribuzioni non è derogabile se non con norma primaria.
   - Ne deriva che l’attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente.
I problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul piano della responsabilità de dirigente, mentre deve escludersi che essi potessero trovare soluzione mediante un'iniziativa sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della controversia.

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Svolgimento del processo
C.B., geometra, impiegato del Comune di Cogorno nell'area tecnica e tecnico manutentiva comunale, inquadrato in cat. D3, dovendo decidere della domanda di un privato avente ad oggetto l'autorizzazione paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939 e la concessione edilizia ad eseguire lavori di ristrutturazione con sostituzione edilizia di fabbricato adibito ad attività non insalubre, ritenendo che la richiesta non potesse trovare accoglimento perché l'intervento era da considerare quale nuova ristrutturazione, comunicò il diniego di concessione al Sindaco.
Questi intimò al C. il rilascio del provvedimento, che venne poi effettivamente emesso, su richiesta del Sindaco, dal Segretario comunale in via sostitutiva.
Il C. chiese quindi al Tribunale-giudice del lavoro di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dal Segretario comunale, di riconoscergli la titolarità esclusiva del potere decisionale sui provvedimenti di concessione edilizia, e di dichiarare legittimo il diniego della concessione. Il Tribunale ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo per una parte dio tali domande, affermò, quanto al resto, che in caso di inadempienza ingiustificata e illegittima dei funzionari, sussisteva il potere del Segretario comunale di sostituzione-avocazione. Il geom. C. impugnò tale sentenza e l'appellato si costituì resistendo.
A seguito della vicenda amministrativa sopra riassunta il Comune di Cogorno irrogò al dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per cinque giorni, contesi andò due addebiti:
   a) la violazione dei doveri di comportamento da cui sia derivato disservizio ovvero danno agli utenti o a terzi, in relazione al mancato rilascio della concessione edilizia, nonostante il parere favorevole della commissione edilizia integrata, e il conseguente prolungarne i tempi di rilascio, fonte di possibile responsabilità risarcitoria per il comune;
   b) la condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori in relazione all'esposto presentato dal C. alla Procura della Repubblica, contenente l'informazione circa l'avvenuto esercizio del potere sostitutivo, per la verifica dell'illecito penale, eventualmente configurabile in tale esercizio.
Il geom. C. impugnò la sanzione dinanzi al Tribunale di Chiavari e il Comune si costituì resistendo.
Il Tribunale rigettò le eccezioni proposte dal Comune, fondate la prima sulla circostanza che il giudice incaricato della decisione era stato componente del Collegio che aveva deciso sul reclamo contro un'ordinanza cautelare, resa nel procedimento del quale il processo di merito costitutiva riassunzione, la seconda sul mancato esperimento del tentativo di conciliazione.
Nel merito accolse il ricorso del C., escludendo che vi fosse stato indebito ritardo e perciò violazione di doveri da parte del dipendente, essendo stati compiuti nel corso della procedura concessoria diversi atti che si palesavano opportuni ed essendo intercorse varie comunicazioni con l'amministrazione comunale e regionale. Il Tribunale escluse altresì che fosse qualificabile quale comportamento scorretto il fatto che il dipendente si era rivolto all'autorità giudiziaria.
Il Comune di Cogorno propose appello contro la sentenza ribadendo le eccezioni richiamate e sostenendo, nel merito, la legittimità dell'intervento sostitutivo di fronte al rifiuto del dipendente, e del provvedimento disciplinare. Il C. si costituì resistendo.
La Corte d'Appello di Genova riuniti i due procedimenti ha dichiarato illegittima la sostituzione operata dal Segretario comunale, confermando nel resto le sentenza impugnate e motivando, in sintesi, come segue.
Non vi è alcuna incompatibilità fra la lettura in udienza della motivazione della sentenza ed il rito del lavoro. Inoltre l'aver trattato della controversia in sede di procedimento cautelare non costituisce un'ipotesi assimilabile sotto il profilo della incompatibilità alla trattazione della causa in altro grado del giudizio. In ogni caso sarebbe stato necessario far valere tale circostanza come motivo di ricusazione, il che non era avvenuto.
Non è fondata l'eccezione di improcedibilità, dovendo farsi riferimento al termine di cui all'articolo 669-octies c.p.c., comma 4, ampiamente trascorso al momento della instaurazione della causa di merito dinanzi al Tribunale.
Quanto al merito, la concessione edilizia è atto proprio del dirigente, o nei comuni senza dirigenti come quello in questione, del responsabile dell'ufficio competente. Il C. era, pacificamente, responsabile del servizio tecnico del Comune. Il Segretario comunale sulla base della normativa di riferimento (D.Lgs. n. 267 del 2000, articolo 97) non ha poteri di avocazione e sostituzione ma funzioni di supervisione e coordinamento dei dirigenti. Lo stesso deve dirsi anche sulla base del regolamento comunale anteriore alla citata disposizione di legge.
E' consentita l'assegnazione al Segretario comunale di funzioni ulteriori, ma occorre una previsione espressa, che nella specie è stata introdotta con il regolamento comunale successivo ai fatti di causa, e nel quale comunque il potere di avocazione e sostituzione presuppone l'accertata inerzia del dirigente titolare. In conclusione, sia pure per un solo atto, il Comune con il provvedimento di sostituzione del 20.09.2001 ha illegittimamente spogliato il dipendente delle mansioni che gli erano attribuite.
Quanto alla sanzione disciplinare, l'informazione circa l'esercizio del potere sostitutivo data dal C. all'autorità giudiziaria, ossia l'invocazione del controllo di legalità sull'operato dell'amministrazione, non può integrare lesione della dignità professionale e personale del Segretario comunale, salvo il caso di denunzia con modalità denigratorie ed offensive, neppure adombrate nel procedimento disciplinare.
D'altra parte il contratto collettivo tipicizza l'illecito disciplinare nella "condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori", e richiama pertanto principi di lealtà ed onestà, la cui violazione è incompatibile con una condotta secondo diritto, quale la denunzia all'autorità giudiziaria, tanto più che il C. non aveva un interesse giuridico a impugnare la concessione dinanzi al giudice amministrativo.
Quindi uno dei due addebiti è da ritenere insussistente. Poiché la sanzione è stata inflitta in considerazione dell'intera vicenda, venuta meno la rilevanza disciplinare di una parte di questa, la sanzione complessiva deve ritenersi eccessiva, e perciò contraria al principio di proporzionalità fissato nell'articolo 25 del contratto collettivo.
Di questa sentenza il Comune di Cogorno chiede la cassazione sulla base di quattro motivi limitatamente peraltro alla parte in cui essa ha dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale con il provvedimento del 20.09.2001.
C.B. resiste con controricorso, chiedendo preliminarmente che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso per inefficacia o invalidità della procura conferita dal Sindaco del Comune di Cogorno nonché per violazione del principio di autosufficienza e per la mancata individuazione degli errore addebitati alla sentenza impugnata.
L'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, ha depositato una "comparsa di costituzione" aderendo al ricorso del Comune.
Motivi della decisione
...
L'esame va allora rivolto ai motivi sopra riassunti in quanto diretti a contestare la valutazione di illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale nei confronti di un atto rientrante nella sfera di attribuzione del C., cui pacificamente, secondo conformi previsioni di legge, erano state attribuite funzioni dirigenziali, benché privo della relativa qualifica.
I fatti rilevanti per la causa, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, si sono svolti nell'arco di tempo che va dall'08.05.2000, data di presentazione della domanda di concessione edilizia, al 20.09.2001, data del rilascio della concessione da parte del segretario comunale.
Essi vanno pertanto valutati alla luce delle norme contenute nel D.Lgs. 18.08.2000, 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) onde accertare se fosse o no legittimo sostituire il C. nella emanazione dell'atto (concessione edilizia) rientrante nelle funzioni assegnategli. Quindi non hanno rilievo le argomentazioni sviluppate nei motivi del ricorso circa la normativa regionale in tema di autorizzazione paesaggistica e dei relativi compiti da essa subdelegati ai Comuni, né quelle in tema di doverosità del rilascio della concessione da parte del dipendente.
D'altra parte, neppure possono avere rilievo le norme regolamentari e statutarie citate nel ricorso (Statuto comunale in ultimo modificato con atto del Consiglio 20.03.1995, n. 19) che riflettono un sistema anteriore al vigore del cit. testo unico, disegnando in modo difforme da esso il rapporto fra dipendenti comunali e segretario.
Ciò premesso deve osservarsi che nel D.Lgs. n. 267 del 2000 i compiti propri del segretario comunale sono definiti, in linea generale quali "compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" (t.u. articolo 97, comma 2). Viene poi specificato che "il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività" (articolo 97, comma 4, prima parte dell'enunziato). Al segretario inoltre possono essere specificamente attribuite dallo statuto o dai regolamenti o conferite dal vertice politico dell'ente ulteriori funzioni (articolo 97, comma 4, lettera d).
Disposizioni specifiche regolano inoltre i compiti del segretario comunale in relazione alla presenza o assenza nella struttura organizzativa dell'ente della figura del direttore generale, alla cui nomina il vertice politico dell'ente può provvedere sulla base dell'articolo 108 del medesimo testo unico.
Nell'ipotesi in cui il direttore generale manchi, le funzioni di quest'ultimo possono essere conferite al segretario (articolo 108, comma 4 t.u.), l'elenco delle cui funzioni comprende infatti "le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 c.p.c., comma 4". (art. 97, comma 4, lett. e).
Qualora tale conferimento non sia avvenuto, i compiti del segretario restano quelli di sovrintendenza e coordinamento sopraindicati. Se invece si sia provveduto a tale nomina, la legge impone all'organo di vertice di disciplinare i rapporti fra direttore generale e segretario, indicando quale criterio il "rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli".
Quanto alle attribuzioni dei dirigenti, la legge ribadisce il principio fondamentale di separazione tra poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, da un lato, gestione dall'altro, ed in questa prospettiva assegna ai dirigenti "la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettate dagli statuti e dai regolamenti", imponendo a questi ultimi di uniformarsi al principio anzidetto (articolo 107 t.u., comma 1).
Attribuisce quindi ai dirigenti ogni compito non riconducibile, in modo espresso, alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo o "non rientrante tra le funzioni del segretario o del direttore generale" (art. 107 t.u., comma 2). Tali compiti ricomprendono l'adozione degli atti e provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, (art. 107, comma cit.). Fra di essi, rientrano in particolare, "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi ... ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie".

Particolare rilievo nella ricostruzione delle funzioni dirigenziali assumono, infine, le previsioni circa la inderogabilità delle attribuzioni dei dirigenti, se non per espressa e specifica previsione di legge (articolo 10, comma 4) e la diretta ed esclusiva responsabilità dei dirigenti "in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa della efficienza e dei risultati della gestione" (articolo 107, comma 6). Sì da tener presente che le funzioni dirigenziali, in presenza di determinati presupposti, possono essere attribuite anche a personale privo della relativa qualifica (art. 109, comma 2) come avvenuto nella specie.
Quanto al direttore generale, elemento, come si è detto non necessario ma solo eventuale, della struttura dell'ente, esso è individuato dalla legge quale organo che attua gli "indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente" e "sovrintende alla gestione dell'ente perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza". Il rapporto fra dirigenti e direttore generale è poi espressamente delineato nel senso che "a tali fini", ossia ai fini del perseguimento dei compiti assegnati al direttore generale, i dirigenti sono responsabili verso di lui (art. 108 c.p.c., comma 1, ultima parte).
Il quadro normativo cosi sinteticamente accennato consente quindi di affermare -senza necessità in questa sede di ulteriori approfondimenti- che
anche nei confronti del direttore generale eventualmente nominato, il rapporto dei dirigenti assume connotazioni tali non permetterne con sicurezza l'inquadramento in una relazione gerarchica, se non con attenuazioni del (e scostamenti dal) relativo modello.
In ogni caso, il modello della relazione fra dirigente e direttore generale consente anche di misurare con chiarezza la distanza che intercorre fra esso ed quello della relazione fra gli stessi dirigenti e il segretario generale, salvo quando quest'ultimo eserciti -come è pacifico nella specie che non sia avvenuto- le funzioni del direttore generale espressamente conferitegli a norma dell'articolo 108, comma 4.

Al segretario generale sono infatti affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni mentre non risulta invece riprodotta per tale ipotesi la disposizione sulla diretta responsabilità dei dirigenti nei confronti del direttore generale.
Ai dirigenti è assegnata a una sfera di attribuzioni non derogabile se non con norma primaria, ed essi sono direttamente ed esclusivamente responsabili del loro esercizio. Quindi l'attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente. Un siffatto potere da un lato comporterebbe deroga alle attribuzioni di quest'ultimo, in contrasto con l'esplicito limite che la legge prevede in proposito, dall'altro determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.
Nella prospettiva del rapporto di lavoro, che è quella in cui, come esattamente osservato nella sentenza impugnata, il giudice ordinario deve collocarsi nella valutazione dell'atto di cui si discute -con conseguente estraneità alla presente controversia di qualsivoglia dubbio circa la giurisdizione- i problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul piano della responsabilità del dirigente, mentre deve escludersi che essi potessero trovare soluzione mediante un'iniziativa sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della controversia.
In conclusione, la sostituzione oggetto di controversia è stata esattamente considerata illegittima dalla Corte d merito e il ricorso del Comune va rigettato mentre va dichiarato inammissibile l'intervento della Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, con condanna solidale del ricorrente e della parte interveniente alle spese liquidate come in dispositivo (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella sentenza 12.06.2007 n. 13708 - link a www.altalex.com).

COMPETENZE GESTIONALI: Nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio ("ex" art. 6, comma 2, del lesto unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18.08.2000, n. 267)- di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata -il che nella specie non è stato dedotto- l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza
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Svolgimento del processo
C.B., geometra, impiegato del Comune di Cogorno nell'area tecnica e tecnico manutentiva comunale, inquadrato in cat. D3, dovendo decidere della domanda di un privato avente ad oggetto l'autorizzazione paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939 e la concessione edilizia ad eseguire lavori di ristrutturazione con sostituzione edilizia di fabbricato adibito ad attività non insalubre, ritenendo che la richiesta non potesse trovare accoglimento perché l'intervento era da considerare quale nuova ristrutturazione, comunicò il diniego di concessione al Sindaco.
Questi intimò al C. il rilascio del provvedimento, che venne poi effettivamente emesso, su richiesta del Sindaco, dal Segretario comunale in via sostitutiva.
Il C. chiese quindi al Tribunale-giudice del lavoro di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dal Segretario comunale, di riconoscergli la titolarità esclusiva del potere decisionale sui provvedimenti di concessione edilizia, e di dichiarare legittimo il diniego della concessione. Il Tribunale ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo per una parte dio tali domande, affermò, quanto al resto, che in caso di inadempienza ingiustificata e illegittima dei funzionari, sussisteva il potere del Segretario comunale di sostituzione-avocazione. Il geom. C. impugnò tale sentenza e l'appellato si costituì resistendo.
A seguito della vicenda amministrativa sopra riassunta il Comune di Cogorno irrogò al dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per cinque giorni, contesi andò due addebiti:
   a) la violazione dei doveri di comportamento da cui sia derivato disservizio ovvero danno agli utenti o a terzi, in relazione al mancato rilascio della concessione edilizia, nonostante il parere favorevole della commissione edilizia integrata, e il conseguente prolungarne i tempi di rilascio, fonte di possibile responsabilità risarcitoria per il comune;
   b) la condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori in relazione all'esposto presentato dal C. alla Procura della Repubblica, contenente l'informazione circa l'avvenuto esercizio del potere sostitutivo, per la verifica dell'illecito penale, eventualmente configurabile in tale esercizio.
Il geom. C. impugnò la sanzione dinanzi al Tribunale di Chiavari e il Comune si costituì resistendo.
Il Tribunale rigettò le eccezioni proposte dal Comune, fondate la prima sulla circostanza che il giudice incaricato della decisione era stato componente del Collegio che aveva deciso sul reclamo contro un'ordinanza cautelare, resa nel procedimento del quale il processo di merito costitutiva riassunzione, la seconda sul mancato esperimento del tentativo di conciliazione.
Nel merito accolse il ricorso del C., escludendo che vi fosse stato indebito ritardo e perciò violazione di doveri da parte del dipendente, essendo stati compiuti nel corso della procedura concessoria diversi atti che si palesavano opportuni ed essendo intercorse varie comunicazioni con l'amministrazione comunale e regionale. Il Tribunale escluse altresì che fosse qualificabile quale comportamento scorretto il fatto che il dipendente si era rivolto all'autorità giudiziaria.
Il Comune di Cogorno propose appello contro la sentenza ribadendo le eccezioni richiamate e sostenendo, nel merito, la legittimità dell'intervento sostitutivo di fronte al rifiuto del dipendente, e del provvedimento disciplinare. Il C. si costituì resistendo.
La Corte d'Appello di Genova riuniti i due procedimenti ha dichiarato illegittima la sostituzione operata dal Segretario comunale, confermando nel resto le sentenza impugnate e motivando, in sintesi, come segue.
Non vi è alcuna incompatibilità fra la lettura in udienza della motivazione della sentenza ed il rito del lavoro. Inoltre l'aver trattato della controversia in sede di procedimento cautelare non costituisce un'ipotesi assimilabile sotto il profilo della incompatibilità alla trattazione della causa in altro grado del giudizio. In ogni caso sarebbe stato necessario far valere tale circostanza come motivo di ricusazione, il che non era avvenuto.
Non è fondata l'eccezione di improcedibilità, dovendo farsi riferimento al termine di cui all'articolo 669-octies c.p.c., comma 4, ampiamente trascorso al momento della instaurazione della causa di merito dinanzi al Tribunale.
Quanto al merito, la concessione edilizia è atto proprio del dirigente, o nei comuni senza dirigenti come quello in questione, del responsabile dell'ufficio competente. Il C. era, pacificamente, responsabile del servizio tecnico del Comune. Il Segretario comunale sulla base della normativa di riferimento (D.Lgs. n. 267 del 2000, articolo 97) non ha poteri di avocazione e sostituzione ma funzioni di supervisione e coordinamento dei dirigenti. Lo stesso deve dirsi anche sulla base del regolamento comunale anteriore alla citata disposizione di legge.
E' consentita l'assegnazione al Segretario comunale di funzioni ulteriori, ma occorre una previsione espressa, che nella specie è stata introdotta con il regolamento comunale successivo ai fatti di causa, e nel quale comunque il potere di avocazione e sostituzione presuppone l'accertata inerzia del dirigente titolare. In conclusione, sia pure per un solo atto, il Comune con il provvedimento di sostituzione del 20.09.2001 ha illegittimamente spogliato il dipendente delle mansioni che gli erano attribuite.
Quanto alla sanzione disciplinare, l'informazione circa l'esercizio del potere sostitutivo data dal C. all'autorità giudiziaria, ossia l'invocazione del controllo di legalità sull'operato dell'amministrazione, non può integrare lesione della dignità professionale e personale del Segretario comunale, salvo il caso di denunzia con modalità denigratorie ed offensive, neppure adombrate nel procedimento disciplinare.
D'altra parte il contratto collettivo tipicizza l'illecito disciplinare nella "condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori", e richiama pertanto principi di lealtà ed onestà, la cui violazione è incompatibile con una condotta secondo diritto, quale la denunzia all'autorità giudiziaria, tanto più che il C. non aveva un interesse giuridico a impugnare la concessione dinanzi al giudice amministrativo.
Quindi uno dei due addebiti è da ritenere insussistente. Poiché la sanzione è stata inflitta in considerazione dell'intera vicenda, venuta meno la rilevanza disciplinare di una parte di questa, la sanzione complessiva deve ritenersi eccessiva, e perciò contraria al principio di proporzionalità fissato nell'articolo 25 del contratto collettivo.
Di questa sentenza il Comune di Cogorno chiede la cassazione sulla base di quattro motivi limitatamente peraltro alla parte in cui essa ha dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale con il provvedimento del 20.09.2001.
C.B. resiste con controricorso, chiedendo preliminarmente che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso per inefficacia o invalidità della procura conferita dal Sindaco del Comune di Cogorno nonché per violazione del principio di autosufficienza e per la mancata individuazione degli errore addebitati alla sentenza impugnata.
L'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, ha depositato una "comparsa di costituzione" aderendo al ricorso del Comune.
Motivi della decisione
Preliminarmente vanno esaminate le diverse eccezione di inammissibilità del ricorso.
Secondo il controricorrente la procura alle liti conferita dal Sindaco al difensore del Comune non sarebbe valida, e determinerebbe l'eccepita inammissibilità del ricorso, in quanto avrebbe ecceduto il contenuto decisorio della autorizzazione concessa dalla Giunta comunale.
L'eccezione è infondata dal momento che le Sezioni unite di questa Corte, superando il contrario orientamento giurisprudenziale cui si richiama il controricorrente, hanno affermato che
nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio ("ex" art. 6, comma 2, del lesto unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18.08.2000, n. 267)- di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata -il che nella specie non è stato dedotto- l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza (Cass. Sez. Un. 16.06.2005, n. 12868) (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella sentenza 12.06.2007 n. 13708 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale, il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune.
Il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune.

La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale (che ha emanato l’atto impugnato con il ricorso giurisdizionale), il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune e con apposita norma statutaria (cfr. art. 6, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, ai sensi del quale spetta allo Statuto stabilire, tra l’altro, “i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’Ente, anche in giudizio”) può essere stabilito che la decisione di promuovere o resistere ad una lite giudiziaria può essere attribuita (anziché alla Giunta Comunale) ai competenti Dirigenti comunali, come già previsto per i Dirigenti statali dall’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 29/1993 (vedi ora l’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 165/2001), ma il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune (TAR Basilicata, sentenza 12.06.2007 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' legittimo l'affidamento al Sindaco delle competenze dirigenziali in un comune con meno di 5000 abitanti.
L’articolo 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possano adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Il Comune di ... ha una popolazione inferiore ai 5000 abitanti e con delibera della Giunta del 23-12-2002 ha provveduto ad attribuire all’organo esecutivo le competenze previste dal T.U.E.L. per i dirigenti.
Sostiene ancora la società che tale delibera sarebbe illegittima in quanto la norma della legge 388 richiederebbe un apposito regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono stati ritenuti suscettibili di accoglimento dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento.
In ogni caso, ai sensi dell’art 48 del T.U.E.L. è, altresì, di competenza della Giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.
La previsione del rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio, la cui violazione peraltro non è oggetto di specifiche censure, non può valere rispetto a tale attribuzione prevista espressamente dalla legge, senza ulteriore discrezionalità se non sull’an, per la quale il Consiglio debba dettare criteri generali.
E’ evidente poi che la mancata espressa dizione di regolamento per la delibera che ha modificato le competenze all’interno del Comune non possa avere rilevanza, essendo principio generale che la natura degli atti si determini dal contenuto e non dalla loro denominazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.03.2007 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIVietato firmare contratti.
Segretario comunale e direttore generale non dispongono del potere di stipulare contratti ed impegnare direttamente l’amministrazione comunale verso l’esterno. Tali competenze, infatti, sono riservate in via esclusiva ai dirigenti.
Lo sancisce il TAR Toscana, Sez. III, sentenza 05.03.2007 n. 272, negando che un accordo sottoscritto tra un appaltatore e segretario e direttore generale possa costituire, per l’ente locale, un valido atto negoziale.
Sia per mancanza della forma e della procedura necessaria, sia, soprattutto, per carenza in capo al segretario e al direttore della  competenza a impegnare l’ente.
Rileva il Tar che gli enti pubblici non possono assegnare la capacità di agire nei rapporti contrattuali agli organi interni, sulla base di una libera scelta.
La capacità di agire e, dunque, di gestire, è, al contrario, strettamente correlata allo svolgimento da parte degli organi competenti di procedure definite in modo compiuto dal legislatore, siano esse concorsuali o non per il perseguimento dei fini assegnati.
In sostanza, il Tar ribadisce, agganciandosi a quanto previsto dall’articolo 97 della Costituzione, che le competenze degli organi traggono la loro fonte dalla legge, restando, pertanto, precluso per via di organizzazione modificare l’assetto delle competenze medesime.
Al segretario comunale la legge non ha attribuito funzioni dirigenziali e, dunque, la capacità di agire per conto dell’ente, ai fini della stipulazione dei contratti. Ciò, perché, secondo il Tar, il segretario ha il compito precipuo di svolgere la funzione di consulente giuridico amministrativo dell’ente locale, non di compiere atti gestionali.
Ma, tali atti sono preclusi anche al direttore generale.
Il quale è organo burocratico di estrazione privatistica, facoltativo, dotato di una competenza specifica: provvedere ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dall’organo di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della Provincia e sovrintendere alla gestione dell’ente perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Non gestire direttamente, pertanto.
Sicché, secondo il Tribunale amministrativo della Toscana, né segretario comunale, né direttore generale possono validamente impegnare l’amministrazione sottoscrivendo intese o contratti
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2007).
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SENTENZA
La domanda proposta va disattesa.
Osserva in proposito il collegio che,
ai sensi dell'art. 107, del D.Lgs. 18.08.2000 n.. 867, ai dirigenti degli Enti locali è affidata la responsabilità e la direzione dei servizi organizzativi dell'Ente e, nell'ambito di detta funzione, agli stessi compete la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica del settore cui sono specificamente preposti (TAR Lombardia Milano, sez. III 21.12.2004 n. 6511), in coerenza con la previsione di detto potere gestionale, la disposizione ha definitivamente attribuito ai dirigenti (e, nei Comuni privi di personale con qualifica dirigenziale, ai Responsabili degli Uffici e dei servizi) la competenza alla stipulazione dei contratti ed alla adozione di tutti gli atti impegnativi dell'Amministrazione verso l'esterno, non riservati espressamente dalla legge o dallo statuto agli organi di governo dell'ente (TAR Campania Salerno sez. II 02.02.2004 n. 72; Consiglio Stato, sez. V 18.11.2003 n. 7318).
Il contratto di cui sia parte la pubblica Amministrazione richiede "ad subtantiam", la forma scritta, ed, a tal fine, è irrilevante, ove si tratti di un Comune, l'esistenza di una deliberazione di consiglio o di giunta, la quale costituisce atto interno, con funzione autorizzatoria, volta a consentire all'organo rappresentativo di impegnare contrattualmente l'ente nei limiti fissati dalla stessa delibera, mentre è l'atto dell'organo rappresentativo a dover essere preso in esame per stabilire se l'ente è stato impegnato contrattualmente dall'organo competente (Cass. civ: sez. I, 06.06.2002 n. 8192).
Per gli enti pubblici la capacità di agire nei rapporti contrattuali non è rimessa alla libera scelta degli organi chiamati a manifestare la volontà dell'ente, ma è strettamente correlata allo svolgimento da parte degli organi competenti di procedure definite in modo compiuto dal legislatore, siano esse concorsuali o non per il perseguimento dei fini assegnati (Cos. St. sez. V, 13.11.2002 n. 6281).
Con riferimento al caso di specie, come riconosciuto dalle stesse società ricorrenti e comprovato dalla documentazione da queste prodotta ed acquisita agli atti di causa, nell'incontro avutosi tra le parti il 12.01.2004, vi era stato solo un accordo verbale finalizzato a porre fine, mediante reciproche concessioni, il contenzioso tra loro in essere.
Accordo sì confermato con la citata nota del 20.01.2004 a firma congiunta del Direttore Generale e del Segretario Generale del Comune, ma tuttavia inidoneo a vincolare l'Ente.
Ciò sia perché nella stessa nota veniva puntualizzato che l'accordo avrebbe dovuto "essere perfezionato con l'adozione dei necessari provvedimenti amministrativi", sia perché i soggetti firmatari della stessa non avevano il potere di impegnare contrattualmente l'ente.
Difatti il Direttore Generale "o city manager" (figura inedita, introdotta dal comma 10 dell'art. 6 della L. 15.05.1997 n. 127, attraverso l'inserimento di un nuovo art. 51-bis, nella L. 08.06.1990 n. 142, è organo burocratico di estrazione privatistica, facoltativo, che "provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dall'organo di governo" dell'ente,secondo le direttive impartite dal Sindaco o dal Presidente della Provincia e sovrintende alla gestione dell'ente perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza; mentre il segretario comunale, di cui figura e ruolo sono state radicalmente ridisegnate dalla su indicata L. 15.05.1997 n. 127, in attuazione ad apposita norma di rinvio contenuta nella L. 08.06.1990 n. 142, ha la funzione precipua di "consulente giuridico-amministrativo dell'ente locale" in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti; inoltre "assiste e cura la verbalizzazione delle sedute di Giunta e Consiglio", roga i contratti dell'Amministrazione ed "esercita le altre funzioni attribuitegli dallo statuto dell'ente".
Ai fini, quindi, dell'esistenza di un accordo vincolante tra le parti sarebbe stato necessario che un simile accordo fosse stato sottoscritto dal dirigente del settore dotato del potere di stipulare contratti e di impegnare l'Amministrazione verso l'esterno e sottoscritto anche dai rappresentati legali delle due società.
Alla su indicata nota può, pertanto, tutt'al più attribuirsi valenza di proposta formulata nella fase delle trattative, cui, tuttavia, non è seguito alcun accordo.
Né la pretesa azionata dalle due società può trovare sostegno nell'art. 11 della L. 08.08.1990 n. 241, che nella versione vigente all'epoca dei fatti di causa prevedeva che "1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'art. 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.
   2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti: Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
   3. Gli accordi sostituitivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
   4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.
   5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
".
Con l'introduzione di tale articolo l'adozione autoritativa non è stata rimpiazzata dal principio "del favor" per il contratto, ma, nel testo della legge, provvedimento e contratto sono posti sullo stesso piano quali esiti del procedimento partecipativo; tuttavia l'atto autoritativo non è più il solo strumento della cura di interessi pubblici, essenziale è il fine pubblico, fungibili sono gli strumenti attraverso cui perseguirlo (il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale). Il diritto privato assunto dalla sfera pubblica si rivela in sé neutro strumento organizzatorio (si pensi al fenomeno delle società miste) o modulo convenzionale o pattizio dell'agire amministrativo utilizzabile, nei casi previsti dalla legge ed entro i limiti di meritevolezza dell'art. 1322 c.c. (Cons. St. VI sez, 15.05.2002 n. 2636).
L'accordo sostitutivo, di cui al detto art. 11, della L. 08.08.1990 n. 241, si applica nei casi espressamente previsti dalla legge, mentre quello integrativo, previsto dalla medesima disposizione, può integrare anche un provvedimento autoritativo. Anche l'emanazione di detto ultimo tipo di atto può far residuare un'area marginale a spessore eminentemente discrezionale che può essere "riempita" dall'accodo integrativo delle parti; come nell'ipotesi di un provvedimento autoritativo che priva di un bene il cittadino, ove venga determinato consensualmente l'eventuale corrispettivo della sottrazione momentanea.
Non è tuttavia possibile equiparare il perfezionamento di un accordo ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 11 della L. 08.08.1990 n. 241 ad una scrittura sottoscritta, dal lato dell'amministrazione, da organo privo di competenze decisionali, inoltre priva della necessaria approvazione dell'organo consiliare competente (TAR Campania, Salerno, sez. I, 18.06.1002 n. 535).
In base al suddetto articolo di legge
l'Amministrazione può, difatti, concludere accordi con i soggetti interessati che abbiano la titolarità e la disponibilità delle posizioni interessate, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale di un procedimento amministrativo, idealmente deputato alla composizione delle possibili autonomie, ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo atti, comunque, senza spostamento dell'ordine di competenze delle autorità investite della responsabilità del procedimento medesimo (TAR Campania, Salerno sez. I 22.06.2004 n. 1571).
Nel caso che occupa deve ribadirsi quanto in precedenza sostenuto dal Collegio in ordine alla impossibilità che i soggetti che avevano sottoscritto la nota del 20.01.2004 potessero impegnare formalmente l'Amministrazione, con conseguente inapplicabilità dell'art. 11 della L. 08.06.1990 n. 241 a scrittura sottoscritta dal lato dell'Amministrazione, da organi privi di competenze decisionali.
Tanto comporta l'inaccoglibilità delle censure formulate.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.

COMPETENZE GESTIONALIAffidamento agli amministratori di responsabilità gestionali dell'ente.
Il Presidente dell’Unione XXX chiede se è possibile affidare agli amministratori dell’ente responsabilità gestionali, ai sensi dell’art. 53 –comma 23– della Legge 23.12.2000, n. 388, come modificato dall’art. 24 della Legge 28.12.2001, n. 488 (Regione Piemonte, parere n. 36/2007 - link a www.regione.piemonte.it).

COMPETENZE GESTIONALIRiparto di attribuzione tra organi - Artt. 42 e 48 del d.lgs. n. 267/2000 - Convenzioni tra soggetti pubblici - Competenza consiliare - Strumenti convenzionali con soggetti privati - Competenza residuale della giunta.
In base ai generali principi in tema di riparto di attribuzione fra gli organi (anche) provinciali rinvenibili agli articoli 42 e 48 del d.lgs. 267/2000, spettano alla competenza consiliare le convenzioni concluse tra soggetti pubblici, mentre sono correttamente attribuite alla competenza residuale della giunta le diverse ipotesi di strumenti convenzionali con soggetti privati riconducibili alla figura degli accordi ex art. 11, l. n. 241 del 1990 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.02.2007 n. 617 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALIRAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO DEL COMUNE ESCLUSIVAMENTE DEL SINDACO.
In base all'ordinamento degli Enti locali (v. gli artt. 6, 50 e 107 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267), la rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante dell'ente e non già al dirigente, al quale è riservato unicamente il potere di promuovere le liti che interessano l'ente, con compiti di rappresentanza sostanziale.
In particolare il TAR salentino ha rilevato un vizio nella deliberazione di conferimento dell'incarico difensivo al difensore dell'Amministrazione comunale che, a dire del G.A., sarebbe stata rilasciata da soggetto incompetente, sì da determinare una pretesa irritualità della attività difensiva svolta dal difensore.
A parere di chi scrive trattasi di assunto che si discosta dai più recenti ed autorevolissimi arresti cui sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno ripetutamente affermato, con riferimento alla rappresentanza in giudizio dei comuni che "lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all'intero contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria" (Cassazione civile, Sez. Un., 27.06.2005, n. 13710).
Tale è stata appunto la scelta effettuata dall'A.C. con gli artt. 58 e ss. dello Statuto comunale (che attribuiscono alla sfera dirigenziale tale competenza) che la determinazione 21/05/2001 n. 418 espressamente richiamava; così come richiamava la deliberazione 03/05/2001 della Giunta comunale, rispetto alla quale la già citata determinazione dirigenziale si dichiarava conforme (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.01.2007 n. 161 - link a www.filodiritto.com).

anno 2006

COMPETENZE GESTIONALICompetenza del Sindaco ad emanare provvedimenti in luogo del dirigente.
E' da escludere che il sindaco, quale organo di governo al quale spettano, perciò, poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, possa porre in essere atti, quale quello di revoca di un alloggio popolare, che rientrano nell’ambito della gestione amministrativa, finanziaria e tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2006 n. 5073 - link a www.altalex.com).

anno 2005

COMPETENZE GESTIONALI: Statuti comunali – Natura giuridica – Fonti paraprimarie o sub-primarie
Nel nuovo quadro costituzionale, così come risultante in seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, attuata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, lo statuto del Comune si configura sia quale atto formalmente amministrativo sia quale atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell`organizzazione dell`ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, eventualmente derogando anche alle disposizioni di legge che non contengano principi inderogabili.
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Statuti comunali – Applicabilità del principio iura novit curia – Sussiste
Poiché lo statuto del Comune si configura anche quale atto normativo, deve ritenersi che anche in ordine alle previsioni in esso contenute sia possibile affermare il principio iura novit curia, ossia il potere-dovere del giudice di individuare e di applicare ai fatti sottoposti al suo esame le norme dirette a disciplinare la fattispecie anche prescindendo dalle prospettazioni delle parti.
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Rappresentanza processuale dei Comuni – Testo unico enti locali – Titolarità del Sindaco – Sussiste – Non è principio inderogabile – Diversa previsione statutaria – È ammissibile
Secondo i principi di cui all’art. 50 del TU enti locali (d.lgs. n. 267/2000), principi che devono qualificarsi come non inderogabili, la titolarità della rappresentanza processuale del Comune spetta di regola al Sindaco, non essendo tuttavia escluso che lo statuto dell’ente, in conformità con la sua peculiare natura di fonte paraprimaria o sub-primaria, possa legittimamente dettare una diversa disciplina, affidando la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico- aministrativa del Comune, eventualmente anche in via disgiunta dalla titolarità della rappresentanza sostanziale.
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Rappresentanza processuale dei Comuni – Testo unico enti locali – Titolarità del Sindaco – Autorizzazione a stare in giudizio da parte della Giunta – Non è necessaria – Diversa previsione statutaria – È ammissibile
Nell’attuale assetto delle competenze degli organi del Comune delineato dalla normativa vigente e dal TU enti locali (d.lgs. n. 267/2000), deve ritenersi che l’autorizzazione alla lite, quale atto essenzialmente gestionale e tecnico, da parte della Giunta al Sindaco, unico titolare della rappresentanza processuale del Comune, non costituisca più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza alle azioni, potendosi tuttavia prevedere una diversa ed opposta disciplina da parte dello statuto dell’ente, che può stabilire l’obbligatorietà della previa autorizzazione giuntale o della previa determinazione del dirigente del settore di volta in volta coinvolto quali preliminari valutazioni sull’opportunità della controversia.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Come risulta dalla esposizione che precede, le questioni che queste Sezioni Unite sono chiamate a risolvere attengono alla necessità, anche nel sistema delle autonomie locali disciplinato dal testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, della autorizzazione della giunta comunale al sindaco a promuovere o a resistere alle liti e, nell'ipotesi affermativa, alla possibilità che lo statuto detti una disciplina derogatoria, eventualmente investendo del potere deliberativo un dirigente dell'amministrazione comunale, nonché alla applicabilità del principio della scienza ufficiale del giudice in relazione allo statuto.
Ritengono le Sezioni Unite che la soluzione delle questioni in esame postuli una rilettura complessiva dell'ordinamento degli enti locali, attraverso una ricostruzione storico-sistematica degli interventi normativi succedutisi nel tempo, che hanno profondamente inciso sulla fisionomia, sull'autonomia e sull'organizzazione di detti enti, ed un approccio alla problematica che muova dall'analisi del connesso problema della rappresentanza processuale.
Come è noto, su quest'ultimo problema la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a sezioni unite, è pervenuta a conclusioni non univoche.
Secondo l'orientamento decisamente prevalente la rappresentanza in giudizio del Comune deve considerarsi riservata, in base all'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, così come in base al precedente art. 36 della L. n. 142 del 1990, esclusivamente al sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se ciò sia previsto dallo statuto: conseguentemente, ove lo statuto o il regolamento contengano una previsione siffatta, essi devono essere disapplicati dal giudice ordinario, in ragione della loro illegittimità per violazione di legge (così, tra le altre, Cass. 2003 n. 1949; 2003 n. 2583; 2003 n. 2878 ; 2003 n. 3736 ; 2003 n. 17360; 2003 n. 19082; 2004 n. 10787; 2004 n. 15634; 2004 n. 18087).
Tali decisioni si fondano, pur nella non completa identità del relativo percorso argomentativo, su una serie di convergenti considerazioni: in primo luogo si rileva che il preciso disposto dell'art. 50 del testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, il quale riserva al sindaco il potere - dovere di rappresentare il Comune in giudizio, non può subire deroga attraverso il conferimento del potere rappresentativo ad altri soggetti ad opera dell'autonomia normativa Comunale. Si osserva inoltre che i poteri di direzione degli uffici e dei servizi attribuiti ai dirigenti dall'art. 107 dello stesso testo unico, includenti quello di adottare atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e quello di stipulare contratti, non ricomprendono il potere di rappresentanza processuale dell'ente, che non costituisce oggetto di menzione nella analitica elencazione contenuta in detta disposizione.
Si rileva ancora che l'art. 6, comma 2, del testo unico consente al Comune di disciplinare con lo statuto il regime delle autorizzazioni a promuovere o a resistere alle liti, in quanto attinente ai modi con i quali la rappresentanza va esercitata, ma non anche di individuare i soggetti che possono rappresentare l'ente in giudizio: si richiama a giustificazione di una limitazione siffatta della potestà statutaria il principio della gerarchia delle fonti, il quale non consente che lo statuto possa sottrarre quel potere all'organo cui il legislatore, avvalendosi delle sue prerogative, ha inteso in via esclusiva affidarlo.
Secondo un diverso e minoritario orientamento lo statuto comunale può legittimamente prevedere che i poteri di rappresentanza processuale spettino ad un dirigente comunale in luogo del sindaco: in tal senso si è espressa Cass. 2002 n. 4845, che ha affermato che la legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell'ente, che compete in via primaria al sindaco, può appartenere al segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, solo in quanto derivi da una norma dello statuto o del regolamento comunale o sia stata attribuita dallo stesso sindaco, ed ha precisato che la norma di cui all' art. 16 del D.Lgs. 03.02.1993 n. 29, sostituito prima dall'art. 9 del D.Lgs. n. 546 del 1993, poi dall'art. 11 del D.Lgs. n. 80 del 1998, quindi modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 387 del 1998, infine dall'art. 16 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che attribuisce ai dirigenti di uffici dirigenziali generali il potere di promuovere e resistere alle liti e di conciliare e di transigere, non trova diretta applicazione nei confronti dei dirigenti del Comune, in mancanza di adeguamento del suo statuto o regolamento a tale regola, ai sensi dell'art. 27 dello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001.
Altre recenti decisioni tendono a temperare la rigidità dell'orientamento per primo richiamato, in quanto, pur ribadendo la spettanza unicamente al sindaco del potere di rappresentanza processuale del Comune, ammettono che tale potere possa essere dal sindaco delegato al dirigente responsabile di un ufficio comunale, con riguardo ai rapporti di competenza di tale ufficio (così S.U. 2004 n. 5174 e 5463; 2004 n. 22197).
Ritengono le Sezioni Unite che l'indirizzo giurisprudenziale seguito dalla giurisprudenza prevalente debba essere sottoposto a revisione, in quanto gli argomenti che lo sorreggono, fondati sulla assunzione del dato testuale fornito dall'art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000 come principio cardine del sistema, tale da influenzare l'intero impianto normativo, riflettono una visione dell'ordinamento degli enti locali superata dai più recenti interventi riformatori, anche a livello costituzionale. Ed è appunto nella rilettura complessiva del sistema istituzionale degli enti locali e della loro autonomia statutaria che la soluzione del problema in esame deve essere rinvenuta.
Come è noto, il processo di riforma avviato con la L. n. 142 del 1990, proseguito con la adozione del testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 e successivamente approdato alla modifica del titolo V della parte II della Costituzione ed alla successiva L. n. 131 del 2003, di adeguamento dell'ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, ha prodotto una significativa modifica della struttura e dei poteri degli enti territoriali, secondo una prospettiva volta a consentire a ciascun ente di dotarsi di una struttura organizzativa adeguata alla propria specificità ed ispirata a criteri di economicità, efficienza ed efficacia.
Il sistema delle autonomie locali nell'assetto previsto dalla Costituzione del 1948 rimetteva alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina dell'ordinamento dei Comuni e delle Province e la definizione delle loro funzioni: in particolare, l'art. 118 Cost. assegnava alle leggi della Repubblica il compito di individuare, nelle materie di competenza delle Regioni, funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale da attribuire alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, e l'art. 128 Cost. definiva le Province ed i Comuni enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni, fornendo la base costituzionale al riconoscimento della competenza esclusiva della legge statale in materia.
Ed anche l'ambito di competenza delle leggi regionali in ordine all'ordinamento dei Comuni era assai limitato, in quanto circoscritto alle materie delle circoscrizioni comunali (art. 117 Cost.), della istituzione di nuovi Comuni e della modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni (art. 133 Cost.).
La L. n. 142 del 1990 costituì una tappa importante nella ridefinizione del ruolo di detti enti e del loro rapporto istituzionale con lo Stato e le Regioni, secondo una impostazione tendente ad attribuire agli stessi una effettiva autonomia politica, amministrativa ed organizzatoria.
Le incisive innovazioni introdotte con federalismo amministrativo a Costituzione invariata di cui alle successive leggi c.d. Bassanini (la L. n. 59 del 1997, la L. n. 127 del 1997, il D.L. n. 112 del 1988) -nel quadro del riordinamento e di una distribuzione organica delle funzioni tra Stato, Regioni, enti locali ed autonomie funzionali e nello spirito di un ampio decentramento amministrativo e della semplificazione dei procedimenti- posero l'esigenza di una nuova riforma organica degli enti locali, ispirata a tali principi, che trovò espressione nella L. n. 265 del 1999: in tale sede il legislatore effettuò un'opera di razionalizzazione ed armonizzazione della normativa vigente, fissando il principio di sussidiarietà ed affidando nell'art. 31 la delega al Governo a procedere alla raccolta ed al coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento degli enti locali, mediante la sistemazione armonica in un codice che garantisse coerenza logica ai diversi interventi normativi succedutisi nel tempo.
In attuazione della delega, il D.Lgs. n. 267 del 2000, nel procedere alla riunione della normativa Vigente in materia ed al necessario coordinamento con i principi generali dell'ordinamento, ebbe quindi a dettare la disciplina generale in ordine all'assetto istituzionale degli enti locali, così ponendosi come legge organica di sistema, in attuazione del precetto costituzionale dell'art. 128 Cost., che, come già ricordato, affidava alle leggi generali dello Stato la fissazione dei principi nell'ambito dei quali doveva esprimersi l'autonomia di Province e Comuni.
La riforma del titolo V della parte II della Costituzione ha peraltro comportato una incisiva modifica dell'assetto costituzionale degli enti locali, con l'abrogazione dell'art. 128 Cost., la previsione che la competenza esclusiva della legge statale è circoscritta alla materia della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p), la equiparazione degli enti territoriali -tutti significativamente menzionati nella stessa disposizione di cui al comma 2 dell'art. 114- dal punto di vista della garanzia costituzionale e della pari dignità, il riconoscimento di una loro posizione di autonomia statutaria, così da delineare un sistema istituzionale costituito da una pluralità di ordinamenti giuridici integrati, ma autonomi, nel quale le esigenze unitarie si coordinano con il riconoscimento e la valorizzazione delle istituzioni locali.
Tale processo di trasformazione dell'assetto costituzionale ha direttamente coinvolto la natura, la funzione ed i limiti della potestà statutaria del Comune, già riconosciuta nella L. n. 142 del 1990, quale modalità paradigmatica di esplicazione dell'autonomia dell'ente. Va al riguardo ricordato che già l'art. 4 di detta legge attribuiva allo statuto una particolare collocazione rispetto alla tradizionale gerarchia delle fonti, prevedendo che esso, nell'ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisse le norme fondamentali per l'organizzazione dell'ente, e quindi affidando a tale strumento di autonomia la regolamentazione della struttura organizzativa dell'ente medesimo.
L'art. 1 della L. n. 265 del 1999 da un lato amplio il contenuto necessario dello statuto, includendo la previsione di forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze e la attribuzione alle opposizioni della presidenza delle commissioni consiliari aventi funzioni di controllo o di garanzia, dall'altro lato, con l'inserimento nell'art. 4 della L. n. 142 del 1990 del comma 2 bis, dispose che la legislazione in materia di ordinamento dei comuni e delle province e di disciplina dell'esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province e che l'entrata in vigore di nuove leggi che enunciano tali principi abroga le norme statutarie con essi incompatibili.
Tale disposizione è stata sostanzialmente riprodotta nell'art. 3 del D.Lgs. n. 267 del 2000.
Come appare evidente, l'autonomia statutaria emergente dalla L. n. 265 del 1999 e riaffemata nell'art. 1 del testo unico, ispirata alla legislazione comunitaria che attribuisce la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative agli enti locali, è ben più pregnante di quella delineata nella L. n. 142 del 1990, che alle ampie enunciazioni di principio contenute nell'art. 4 associava specifiche disposizioni disciplinanti le materie pur affidate all'autonomia statutaria. L'art. 1, comma 3, del testo unico pone come limiti inderogabili all'autonomia statutaria soltanto i principi espressamente enunciati come tali nella legislazione in materia di ordinamento degli enti locali -così affidando allo stesso legislatore e sottraendo all'interprete l'individuazione dei principi segnati da inderogabilità- con evidente esclusione delle disposizioni di dettaglio: ne risulta delineato un ambito giuridico generale all'interno del quale gli statuti possono liberamente esprimere e promuovere l'autonomia degli enti e realizzare un assetto corrispondente alle peculiarità del contesto sociale ed economico di riferimento.
Nel disciplinare specificamente la materia statutaria, l'art. 6 del testo unico prevede al primo comma che i comuni e le province adottano il proprio statuto, ed al secondo comma dispone che questo, nell'ambito dei principi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'Ente: il tenore prescrittivo delle norme rende evidente che ogni Comune deve dotarsi di un proprio statuto, deputato a dettare le norme fondamentali dell'organizzazione di governo, a fissare i criteri generali sulla organizzazione amministrativa ed il funzionamento dell'ente, a delinearne l'ossatura, le strutture di vertice e le loro articolazioni, le modalità di interrelazione tra i vari uffici, le forme di collaborazione con la Provincia, a disciplinare le altre materie ivi elencate, così da rappresentare l'identità istituzionale di ciascuna comunità locale.
Si è con tale sistema realizzata una sostanziale delegificazione in ordine alla organizzazione ed al funzionamento dell'ente territoriale, mediante il trasferimento della relativa disciplina dalla legge nazionale ad una fonte autonoma, affidata allo statuto, nel rispetto dei principi generali fissati dallo stesso testo unico e degli altri principi espressamente enunciati nelle leggi successive, nonché delle leggi che conferiscono funzioni agli enti locali.
Detto sistema ha profondamente inciso nel rapporto tra legge statale e statuto, in quanto, mentre in passato ogni disposizione di legge costituiva limite invalicabile all'attività statutaria, nella nuova disciplina lo statuto può derogare alle disposizioni di legge che non contengano principi inderogabili: esso è vincolato unicamente al rispetto dei principi innanzi richiamati, tanto da potersi ora delineare il rapporto tra legge e statuto -come è stato efficacemente osservato in dottrina- non tanto o non soltanto in termini di gerarchia, ma anche e soprattutto in termini di competenza -ovvero di gerarchia limitatamente ai principi- e da potersi qualificare lo statuto non più come disciplina di attuazione, ma di integrazione ed adattamento dell'autonomia locale ai principi inderogabili fissati dalla legge.
Il rapporto tra fonti normative statali e locali appare ancor più marcatamente influenzato dalla modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione attuata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, sia in forza della già ricordata delimitazione a settori specificamente e tassativamente determinati degli ambiti di intervento della legge statale (art. 117, comma 2, lett. p), sia per effetto dell'espresso riconoscimento costituzionale delle potestà statutarie e regolamentari dei Comuni: in particolare, il comma 2 dell'art. 114 sancisce che i comuni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione (e quindi non più secondo i principi espressamente enunciati come inderogabili dalla legge statale), mentre il comma 6 dell'art. 117 riconosce ai Comuni potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Va ancora ricordato che, successivamente alla riforma costituzionale, la L. 05.06.2003 n. 131, recante Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18.10.2001 n. 3, ha espressamente enunciato all'art. 4, di attuazione dei richiamati artt. 114, comma 2, e 117, comma 6, Cost. in materia di potestà normativa degli enti locali, che i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà normativa secondo i principi fissati dalla Costituzione, che tale potestà normativa consiste nella potestà statutaria e regolamentare (primo comma), che lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dall'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell'ente ... (secondo comma), che l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie (terzo comma), che la disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell'Ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato Regione (quarto comma).
L'art. 2 di detta legge ha inoltre conferito al Governo la delega per l'attuazione dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost. e per l'adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale n. 3 del 2001: tra i principi e criteri direttivi della delega vi è quello di garantire ... l'autonomia e le competenze costituzionali degli enti territoriali ai sensi degli artt. 114, 117 e 118 della Costituzione, nonché la valorizzazione delle potestà stututaria e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane (comma 4, lett. a), nonché quello di procedere alla revisione delle disposizioni legislative sugli enti locali, comprese quelle contenute nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, limitatamente alle norme che contrastano con il sistema costituzionale degli enti locali definito dalla legge costituzionale 18.10.2001, n. 3 (comma 4 lett. g). Il termine per l'adozione dei decreti delegati non è ancora scaduto, essendo stato elevato a due anni con la L. n. 140 del 2004, di conversione con modificazioni del D.L. n. 80 del 2004.
Nel quadro di tale importante processo di trasformazione dell'impianto istituzionale, in parte già avvenuto, in parte ancora in itinere, appare evidente che il testo unico n. 267 del 2000 ha perso l'originaria connotazione di legge organica di sistema, una volta venuta meno la norma costituzionale di riferimento costituita dall'art. 128 Cost., che come innanzi ricordato affidava a leggi generali dello Stato l'enunciazione dei principi nell'ambito dei quali l'autonomia degli enti locali poteva esplicarsi (così da porre subito l'esigenza di una sua revisione in termini di adeguamento ai nuovi principi costituzionali, espressa nella delega al Governo di cui al richiamato art. 2 della L. n. 131 del 2003), ed altrettanto evidente appare che la previsione del potere normativo locale tra le prerogative contemplate direttamente dalla Costituzione ha ulteriormente rafforzato il valore degli statuti locali nella gerarchia delle fonti.
Nel nuovo quadro costituzionale lo statuto si configura, come la dottrina è generalmente orientata a ritenere, come atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente come atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primaria rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare (v. sul punto Cass. 2004 n. 16984).
Ne risulta così accentuata l'immanenza della potestà statutaria al principio di autonomia sancito dall'art. 5 Cost. e la configurazione dello statuto come espressione della esistenza stessa e della identità dell'ordinamento giuridico locale.
Tale mutato quadro normativo di riferimento esige una radicale revisione dell'impostazione tradizionale che escludeva la legittimità di ogni previsione statutaria che conferisse la rappresentanza ad agire e resistere alle liti a persona diversa dal sindaco.
Queste Sezioni Unite condividono il principio, sotteso all'indirizzo giurisprudenziale in precedenza richiamato, che l'art. 50 del testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, nell'attribuire al sindaco la rappresentanza dell'ente, non contiene alcuna limitazione ad una specifica forma di rappresentanza, e pertanto non conferite di circoscrivere detto potere rappresentativo -secondo la tesi seguita da ampia ed autorevole dottrina, che tende a distinguere tra rappresentanza istituzionale, assegnata in via esclusiva dalla legge al sindaco, e rappresentanza giuridico-legale, e quindi, derivatamente, processuale, conferita dall'art. 107 dello stesso testo unico ai dirigenti generali, forniti di autonomi poteri di decisione, di spesa e di organizzazione delle risorse- ai soli aspetti politico- stituzionali: ed invero l'evidente connessione tra l'identificazione del sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione (comma 1 dell'art. 50) e l'attribuzione al medesimo della rappresentanza dell'ente (comma 2 dell'art. 50) consente di argomentare che il potere rappresentativo del medesimo si estenda alla intera attività, politica ed amministrativa.
Una lettura coordinata delle due previsioni induce a ritenere che il senso della attribuzione di responsabilità espresso nel primo comma è quello della identificazione in un preciso soggetto istituzionale della funzione politica generale dell'ente, cui il secondo comma ricollega un potere di rappresentanza generale, sostanziale e processuale, verso l'esterno, funzionale ad una esigenza di chiarezza e di certezza dei rapporti giuridici, così configurandosi il sindaco quale soggetto esponenziale e dunque rappresentativo del Comune nella sua unitarietà.
E tuttavia va rilevato che nessun elemento è rinvenibile nell'art. 50 né in altre disposizioni del testo unico che induca a ritenere che l'attribuzione della rappresentanza al sindaco sia preclusiva della possibilità che altri soggetti, espressamente indicati nello statuto, siano chiamati a rappresentare il Comune nelle liti attive e passive, conferendo i relativi mandati, così da doversi ravvisare nel Principio contenuto nell'art. 50 un limite inderogabile all'autonomia statutaria.
Al contrario, una potestà statutaria in tale direzione trova un espresso fondamento normativo nell'art. 27 del D.Lgs. n. 265 del 2001, contenente norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, lì dove prevede che le amministrazioni non statali, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguino ai principi dell'art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità.
Va al riguardo rilevato che tra i principi richiamati in tale disposizione è ricompreso quello di cui all'art. 16, il quale, dando continuità a disposizioni già contenute nel D.Lgs. n. 29 del 1993, nel disciplinare le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali, alla lett. 8 del primo comma attribuisce agli stessi il potere di promuovere e resistere alle liti, nonché quello di conciliare e di transigere -così attribuendo a detti dirigenti la legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti il settore dell'amministrazione cui sono preposti (v. sul punto Cass. 2004 n. 3445; 1998 n. 7349)- e che tale disposizione, ai sensi dell'art. 13 dello stesso D.Lgs., si applica direttamente soltanto per i dirigenti di uffici dirigenziali generali delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo: ne deriva che con il richiamato art. 27 il legislatore ha inteso affidare all'autonomia degli enti locali -in ragione degli elementi di differenziazione di detti enti rispetto alla amministrazione statale in termini di dimensioni, numero di dipendenti, strumenti finanziari, eventuale mancanza della figura del dirigente- il processo di adeguamento ai principi di quella normativa, sia in relazione alle funzioni ed alle responsabilità in ordine all'attività politico-amministrativa, sia con riguardo alla dirigenza, così riconoscendo ai dirigenti dei Comuni in via mediata, attraverso specifiche previsioni statutarie e regolamentari, il potere di agire e resistere alle liti (v. sul punto, con riferimento ai dirigenti delle Regioni, Cass. 2004 n. 23321).
Una volta assegnato allo statuto il valore di norma fondamentale dell'organizzazione dell'ente locale, che non trova altri limiti che quelli imposti da principi espressamente connotati da inderogabilità, ed escluso che il riconoscimento della rappresentanza del Comune in capo al sindaco ad opera dell'art. 50 costituisca un principio inderogabile, si impone una lettura dell'art. 6, comma 2, del testo unico, lì dove prevede che lo statuto specifica i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio, nel senso che è attribuito alla autonomia statutaria un potere non limitato alla disciplina organizzativa della rappresentanza legale, ossia alla materia delle autorizzazioni a promuovere o resistere alle liti -secondo una interpretazione letterale della norma non più consentita dal quadro generale di riferimento- ma comprensivo della individuazione del soggetto investito del potere di rappresentanza processuale, in via generale o in relazione a determinate categorie di controversie, assumendo l'inciso anche in giudizio non già in una accezione limitativa, ma estensiva dell'ambito di previsione della norma.
Ed è da ritenere che lo statuto, nel disciplinare la rappresentanza in giudizio, non trovi neppure la limitazione posta dal principio generale dell'ordinamento secondo il quale la rappresentanza processuale non può essere disgiunta da quella sostanziale, atteso che la forza della previsione statutaria vale ad assorbire l'esigenza che a tale principio è sottesa, restando il profilo della competenza sostanziale in ordine alla materia oggetto della lite confinato nella sfera interna dell'organizzazione dell'ente. Si è al riguardo opportunamente posta in evidenza in dottrina l'irrazionalità dell'opzione interpretativa diretta a negare che lo statuto degli enti locali, peraltro in presenza della norma di cui all'art. 6, comma 2, del testo unico, abbia il potere, proprio degli statuti delle persone giuridiche private, ai sensi dell'art. 75, comma 3, c. p.c., di attribuire la rappresentanza processuale anche a soggetti diversi da quelli titolari della rappresentanza legale.
La definizione dello statuto quale atto a contenuto normativo non può non influenzare la soluzione della connessa questione se ed in quale misura esso sia soggetto al principio iura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c., inteso come potere dovere del Giudice di individuare, anche prescindendo dalle prospettazioni delle parti, e di applicare ai fatti sottoposti al suo esame le norme dirette a disciplinare la fattispecie.
Come è noto, la giurisprudenza più remota poneva la distinzione, nell'ambito delle fonti secondarie, tra gli atti di produzione normativa soggetti ad adeguate forme di pubblicità e quelli ad esse sottratti, e per tale ragione non ricompresi tra quelli che il Giudice ha il dovere assoluto di conoscere, pur se tenuto ad applicarli in ogni caso in cui ne abbia personale conoscenza, ovvero in base agli atti acquisiti al processo. Con particolare riferimento ai regolamenti locali, nelle pronunce più risalenti si affermava che, non godendo essi di adeguate garanzie di pubblicizzazione, per essere la loro pubblicazione a diffusione meramente locale, al dovere del giudice di applicarli, avendo essi contenuto di norme giuridiche, non corrispondeva un dovere di conoscenza in senso assoluto tale da richiedere la ricerca di ufficio, sussistendo invece un onere di allegazione delle parti, così da consentire al giudice la loro applicazione (v. sul punto, tra le tante, Cass. 1972 n. 1030; 1972 n. 1962; 1973 n. 299; 1974 n. 3968; 1975 n. 1279; 1975 n. 2784; 1975 n. 3511; 1976 n. 1742; 1979 n. 6333).
Tale principio fu in seguito sottoposto a revisione da parte di una giurisprudenza sempre più incline a ritenere, pur con qualche contrasto (v. Cass. 2000 n. 1865; 2004 n. 22648), ma con il favore della dottrina, che in relazione ai regolamenti locali il problema della scienza ufficiale del giudice si ponesse negli stessi termini di quello della conoscenza delle norme di legge vigenti, così che il giudice, compreso quello di legittimità, dovesse acquisirne diretta e completa conoscenza, indipendentemente da una attività assertiva e probatoria delle parti (v. in tal senso Cass. 1975 n. 2135; 1987 n. 777; 1992 n. 11095; 2002 n. 4372; 2002 n. 12561; 2003 n. 6012; 2003 n. 6837).
Ad una siffatta soluzione deve a più forte ragione pervenirsi, con riferimento agli statuti comunali, tenuto conto della loro richiamata natura di atti a contenuto normativo, di rango certamente superiore a quello dei regolamenti, e considerata anche la triplice forma di pubblicità cui essi sono soggetti: a livello locale, con l'affissione all'albo pretorio per trenta giorni consecutivi, a livello regionale, con la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, a livello nazionale, con l'inserzione nella raccolta ufficiale degli statuti curata dal Ministero dell'Interno, che ne cura anche adeguate forme di ulteriore pubblicità (art. 6, comma 5 e 6, del testo unico).
Né può omettersi di considerare che un immediato e agevole strumento di conoscenza, accessibile da ogni cittadino, è fornito dal loro inserimento in rete. Va pertanto affermato che la conoscenza dello statuto appartiene alla scienza ufficiale del Giudice, tenuto a disporne l'acquisizione anche di ufficio.
Dai principi in precedenza esposti consegue che lo statuto può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune, ma che ove una specifica previsione statutaria non sussista il sindaco resta il solo soggetto titolare del potere di rappresentanza processuale, ai sensi dell'art. 50 del testo unico.
Deriva altresì che se lo statuto affida la rappresentanza a stare in giudizio in ordine all'intero contenzioso al dirigente dell'ufficio legale, questi, ove ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l'incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve ovviamente le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l'ente può stare in giudizio senza il ministero di un legale: v. da ultimo, in relazione al processo tributario, l'art. 3-bis del D.L. n. 44 del 2005, convertito, con modif., nella L. n. 88 del 2005), ed ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione. Ove per contro la disciplina della rappresentanza in giudizio sia contenuta non nello statuto, ma nel regolamento, tale previsione può conferire validamente la legittimazione processuale a soggetti diversi dal sindaco soltanto in presenza di un espresso rinvio dello statuto alla normativa regolamentare, atteso che il richiamato art. 6, comma 2, del testo unico consegna allo statuto la disciplina dei modi di esercizio della rappresentanza legale.
Va al riguardo osservato che, se è certamente vero che l'esercizio della potestà regolamentare costituisce anch'esso espressione della autonomia dell'ente locale, in quanto attua la capacità dell'ente di porre autonomamente le regole della propria organizzazione e del funzionamento delle istituzioni, degli organi, degli uffici e degli organismi di partecipazione, ed ha trovato anch'esso riconoscimento costituzionale nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., è tuttavia altrettanto vero che la disciplina delle materie che l'art. 7 del testo unico affida al regolamento deve avvenire nel rispetto dei principi dalla legge e dello statuto: ciò vale a dire che il potere di auto-organizzazione attraverso lo strumento regolamentare deve svolgersi all'interno delle previsioni legislative e statutarie, così ponendosi un rapporto di subordinazione, pur se non disgiunto da un criterio di separazione delle competenze, tra statuto e regolamento. Tale collocazione nell'ambito del sistema delle fonti locali appare peraltro recepita nel disposto dell'art. 4, comma 3, della L. n. 131 del 2003, ai sensi del quale l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie.
Per quanto attiene al diverso, ma connesso problema -che in questa sede particolarmente rileva- della persistenza, nella nuova cornice legislativa di riferimento, della necessiti di autorizzazione della giunta comunale a promuovere o resistere alle liti, il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, ed anche nell'ambito delle sezioni unite, deve essere composto in termini coerenti con i rilievi in precedenza svolti.
Come è noto, nel vigore dell'abrogato testo unico della legge comunale e provinciale approvato con il R.D. 04.02.1915 n. 148 la decisione in ordine alle azioni da intraprendere e da sostenere in giudizio spettava in via generale al consiglio comunale, ai sensi dell'art. 131, comma 1, n. 5, ma la giunta comunale poteva deliberare in via di urgenza, secondo il disposto di cui all'art. 140, salva ratifica del consiglio, ed in via autonoma, senza necessità di ratifica, nel caso di azioni possessorie e di quelle non eccedenti la competenza pretoriale (art. 25 del R.D. 30.12.1923 n. 2839, richiamato espressamente in vigore dall' art. 25 della L. 09.06.1947 n. 530). In tale assetto normativo la giurisprudenza di questa Suprema Corte era univoca nel ritenere che il difetto di una valida autorizzazione, incidendo sulla legittimazione processuale del sindaco, comportasse il difetto di un presupposto del rapporto processuale rilevabile di uscio in ogni stato e grado del giudizio (v., ex plurimis, Cass. 1979 n. 1320; 1980 n. 331; 1984 n. 1159; 1988 n. 914).
La L. 08.06.1990 n. 142 non menzionava espressamente la materia delle liti attive e passive: nel definire le competenze degli organi dell'ente disponeva all'art. 32 che il consiglio è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ed ha competenza limitatamente agli atti fondamentali indicati alle lettere da a) a n) del comma 2, mentre all'art. 35 prevedeva che la giunta compie tutti gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o dei presidente della provincia, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti.
Con sentenza n. 11064 del 1992 queste Sezioni Unite, esaminando il nuovo riparto funzionale tra gli organi di governo delineato dalla riforma del 1990, affermarono che nel nuovo ordinamento competente in via esclusiva ad autorizzare il sindaco a stare in giudizio in nome e per conto del Comune non era più il consiglio comunale, le cui competenze erano state tassativamente definite dall'art. 32, ma la giunta municipale, in forza delle sue attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati, dalla legge o dallo statuto, alla competenza del sindaco, del consiglio, degli organi di decentramento; del segretario e dei funzionari dirigenti, ed esclusero che lo statuto potesse conferire direttamente al sindaco (se non limitatamente alle azioni cautelai e possessorie) il potere di autonoma valutazione degli interessi sottesi all'azione, esonerandolo dalla necessità della autorizzazione, dovendo lo statuto essere deliberato nell'ambito dei principi fissati dalla legge, secondo il disposto dell'art. 4.
Tale orientamento venne ribadito dalla sentenza, anch'essa a sezioni unite, n. 1325 del 1996, la quale riaffermò che l'autorizzazione degli organi competenti è una condizione di efficacia della costituzione in giudizio degli enti pubblici, i quali in caso di suo mancato rilascio sono privi della capacità processuale, e che in particolare il sindaco, per proporre il ricorso per cassazione e conferire allo scopo la procura speciale al difensore, deve essere autorizzato con deliberazione della giunta municipale.
A detto indirizzo si uniformarono le successive sentenze n. 1889 del 1996; n. 6395 del 1996; n. 5585 del 1997; n. 13137 del 1997; n. 1853 del 1998; n. 5286 del 1998; n. 10378 del 1998; n. 7190 del 2000; S.U. n. 179 del 2001; n. 6546 del 2001; S.U. 10979 del 2001; n. 18224 del 2002; n. 13218 del 2003; n. 5537 del 2004; n. 14220 del 2004; n. 17936 del 2004; n. 18087 del 2004).
Ed anche la pronuncia n. 186 del 2001 di queste Sezioni Unite, erroneamente talvolta citata come espressione del diverso orientamento che tende a dispensare in ogni caso il sindaco dalla previa autorizzazione, escluse l'esistenza di un potere del sindaco di promuovere autonomamente le liti, affermando che nell'ordinamento delle autonomie locali di cui alla L. n. 142 del 1990 il sindaco può agire o resistere in giudizio in rappresentanza del Comune, pur in mancanza di autorizzazione della giunta, allorché lo statuto gli assegni la competenza in tema di liti attive e passive, così riconoscendo il potere dello statuto di dispensare il sindaco dalla previa autorizzazione. Il superamento della necessità di una delibera autorizzativa, a prescindere da specifiche previsioni statutarie, è invece desumibile dalla sentenza, ancora a Sezioni Unite, n. 17550 del 2002, secondo la quale competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il sindaco, senza che sia necessaria l'autorizzazione di giunta.
L'indirizzo seguito dalla richiamata decisione a sezioni unite n. 186 del 2001 appare condiviso da numerose pronunce successive, le quali hanno ribadito, sia con riferimento al sistema disciplinato dalla L. n. 142 del 1990, sia con riguardo al nuovo assetto degli enti locali dettato dal testo unico del 2000, che è necessaria l'autorizzazione della giunta perché il sindaco possa promuovere la lite, ma che la disciplina relativa alla deliberazione sull'azione o sulla resistenza in giudizio è suscettibile di deroga in via statutaria (v. tra le altre, Cass. S.U. 2002 n. 9439; 2003 n. 1949; 2003 n. 2878; 2003 n. 17360; 2003 n. 19082, in motiv.)
Può pertanto ritenersi allo stato come sostanzialmente acquisito nella giurisprudenza di legittimità che l'art. 6 del testo unico di cui al D.L.gs. n. 267 del 2000, lì dove prevede che lo statuto stabilisca i modi di esercizio della rappresentanza legale, anche in giudizio, possa dettare una diversa disciplina in tema di autorizzazione alle liti attive e passive, esonerando il sindaco dalla preventiva autorizzazione, così implicitamente escludendo che lo stesso sindaco sia autonomamente titolare del potere di decidere se agire o resistere in giudizio. Ed anche la giurisprudenza amministrativa è generalmente attestata su tale posizione.
La considerazione del nuovo assetto delle competenze degli organi del Comune delineato dalla normativa vigente impone la revisione anche di tale orientamento.
Ed invero nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il sindaco ha assunto, tanto pia con la L. 25.03.1993 n. 81 che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell'esecutivo comunale, onde l'autorizzazione del consiglio prima e della giunta poi, se trovava ragione in un assetto in cui il sindaco era eletto dal consiglio e la giunta costituiva espressione del consiglio stesso, non ha più ragione di esistere in un sistema nel quale il medesimo trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli assessori che compongono la giunta, cui l'art. 48 del testo unico affida il compito di collaborare con il sindaco e di compiere tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o degli organi di decentramento.
La configurazione della giunta quale organo di governo, e al tempo stesso la considerazione dei poteri e delle responsabilità nella gestione amministrativa che l'art. 107 del testo unico attribuisce ai dirigenti, inducono a ritenere che l'autorizzazione alla lite, quale atto essenzialmente gestionale e tecnico, da parte dell'organo giuntale non costituisca più in linea generale atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza alle azioni.
Atteso peraltro, in forza delle considerazioni innanzi svolte, che sussiste certamente il potere dello statuto di regolare il regime dell'esercizio della rappresentanza, deve argomentarsi che in ogni caso in cui lo statuto, con la forza sua propria, preveda l'autorizzazione della giunta -in ragione della connotazione latamente politica che le decisioni di agire o resistere in giudizio possono assumere, specie in riferimento a determinate tipologie di atti e di controversie, così da comportare valutazioni segnate da ampi spazi di discrezionalità politica in ordine alla scelta di difendere in giudizio la legittimità e la correttezza degli atti o comportamenti contestati- ovvero richieda una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero ancora postuli alternativamente l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto delle controversie, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale vanno considerati come atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza.
È peraltro da ritenere che, ove lo statuto preveda che il sindaco agisca o resista in giudizio previa determinazione del dirigente competente, tale determinazione si sostanzi in una mera valutazione tecnica circa l'opportunità della lite, non potendo configurarsi come autorizzazione in senso proprio quella del dirigente al sindaco, che ha già la rappresentanza legale ed è il capo dell'amministrazione e che diverrebbe esecutore di detta determinazione (v. sul punto Cass. 2003 n. 19380; Cons. Stato 2004 n. 155).
In applicazione dei principi che precedono, ritenuto che il sindaco del Comune di Ro. Comune di Roma si è costituito previa determinazione del dirigente dell'Unità organizzativa tributi n. 244 del 10.12.2001, in conformità alla previsione di cui all'art. 34, comma 4, dello statuto approvato con deliberazione n. 122 del 17.07.2000, prodotto in giudizio, ed al regolamento di organizzazione per l'esercizio dell'azione di promovimento del giudizio, resistenza alle liti, conciliazione e transazione, approvato con deliberazione n. 182 del 27.01.2001, anch'esso prodotto in giudizio, il quale specifica le modalità di intervento dei dirigenti responsabili delle unita organizzative competenti ai fini della proposizione o della resistenza alle liti, va affermata l'ammissibilità del ricorso, da esaminare quindi nel merito (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 16.06.2005 n. 12868 - tratto da www.jus.unitn.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIL'atto di approvazione dello schema triennale di opere pubbliche comunali e del suo aggiornamento annuale rientra nelle competenze della Giunta, ai sensi dell'art. 48 T.U. 18.08.2000 n. 267, mentre l'approvazione definitiva del programma e dell'elenco annuale delle opere da realizzare spetta al Consiglio, a norma dell'art. 42 stesso T.U. n. 267, trattandosi di un atto di programmazione e di indirizzo.
L'atto di approvazione dello schema triennale di opere pubbliche comunali e del suo aggiornamento annuale rientra nelle competenze della Giunta, ai sensi dell'art. 48 T.U. 18.08.2000 n. 267, mentre l'approvazione definitiva del programma e dell'elenco annuale delle opere da realizzare spetta al Consiglio, a norma dell'art. 42 stesso T.U. n. 267, trattandosi di un atto di programmazione e di indirizzo (cfr., CdS, Sez. IV n. 6917 del 14.12.2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2005 n. 2718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALILa rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale.
Il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
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La proposizione di appello giurisdizionale, da parte del sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, necessita la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
Invero, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari.

Né ha alcun fondamento la tesi dell’appellato, secondo la quale la notifica sarebbe rituale, perché il vigente (anche all’epoca in cui il ricorso è stato proposto) statuto comunale attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione siffatta -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale (cfr., tra le sentenze più recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004 n. 10787)- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio, con il precedente invocato a sostegno di detta argomentazione (Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n. 19380) è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2005 n. 155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: A prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione statutaria secondo cui si attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
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Per quanto concerne l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari.

La notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è, infatti, avvenuta, come si è appena visto, al Comune di Roma presso il II Dipartimento Ufficio Contravvenzioni, nella persona del dirigente pro tempore, anziché al Comune di Roma -nella persona del sindaco, legale rappresentante dell’ente- presso la sua sede, e, pertanto, in difformità da quanto disposto dall’art. 145 c.p.c. per le notifiche alle persone giuridiche.
Né ha alcun fondamento la tesi dell’appellato, secondo la quale la notifica sarebbe rituale, perché il vigente (anche all’epoca in cui il ricorso è stato proposto) statuto comunale attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione siffatta -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale (cfr., tra le sentenze più recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004 n. 10787)- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio, con il precedente invocato a sostegno di detta argomentazione (Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n. 19380) è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2005 n. 155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICINel caso di costruzione di nuovi cimiteri o di ampliamento di quelli esistenti, la competenza all’approvazione dei relativi progetti appartiene in ogni caso al Consiglio Comunale, e ciò sia se l’opera sia esterna alla fascia di rispetto dei 200 metri, e quindi nell’ipotesi di localizzazione ordinaria, sia se venga ubicata ad una distanza a questa inferiore, ben potendo, tra l’altro, lo stesso organo consiliare ridurre addirittura la fascia di rispetto medesima.
La ratio ispiratrice di una competenza speciale dell’organo consiliare in materia di approvazione di progetti di opere cimiteriali deve essere individuata nell’esigenza di sottoporre alla discussione democratica ed al controllo da parte dell’organo rappresentativo di tutta la comunità locale l’opportunità circa la realizzazione di strutture che assumono particolare rilevanza, sia in riferimento ad esigenze di tutela igienico-sanitaria che di valore ambientale, oltre che per quanto concerne non secondari aspetti di natura affettiva e morale appartenenti all’intera collettività.
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Analogamente a quanto avviene per il progetto, anche gli studi di fattibilità (per l'ampliamento del cimitero comunale) devono essere preventivamente sottoposti all’esame del Consiglio Comunale e non anche della Giunta.
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La competenza a procedere sia a modificazioni del Programma Triennale che all’aggiornamento dell’elenco annuale –come nel caso di specie in cui la realizzazione dell’opera pubblica in questione era stata anticipata nell’anno 2003 in luogo della originaria previsione per il 2004– appartiene al Consiglio Comunale e non anche alla Giunta, secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 42, secondo comma, lett. b), del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267.

L’art. 55 del D.P.R. 10.09.1990 n. 285 stabilisce che “I progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e di costruzione dei nuovi devono essere preceduti da uno studio tecnico delle località, specialmente per quanto riguarda l'ubicazione, l'orografia, l'estensione dell'area e la natura fisico-chimica del terreno, la profondità e la direzione della falda idrica e devono essere deliberati dal consiglio”.
Inoltre, l’art. 28 della legge 01.08.2002 n. 166, modificativo dell’art. 338 R.D. 24.07.1934, n. 1265, prevede che i cimiteri debbano essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato; detta norma prevede, inoltre, che “il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, due condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari
”.
Infine, ai fini che qui interessano, la medesima norma stabilisce che “per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici”.
Da tale complesso normativo discende che, nel caso di costruzione di nuovi cimiteri o di ampliamento di quelli esistenti, la competenza all’approvazione dei relativi progetti appartiene in ogni caso al Consiglio Comunale, e ciò sia se l’opera sia esterna alla fascia di rispetto dei 200 metri, e quindi nell’ipotesi di localizzazione ordinaria, sia se venga ubicata ad una distanza a questa inferiore, ben potendo, tra l’altro, lo stesso organo consiliare ridurre addirittura la fascia di rispetto medesima.
La ratio ispiratrice di una competenza speciale dell’organo consiliare in materia di approvazione di progetti di opere cimiteriali deve essere individuata nell’esigenza di sottoporre alla discussione democratica ed al controllo da parte dell’organo rappresentativo di tutta la comunità locale l’opportunità circa la realizzazione di strutture che assumono particolare rilevanza, sia in riferimento ad esigenze di tutela igienico-sanitaria che di valore ambientale, oltre che per quanto concerne non secondari aspetti di natura affettiva e morale appartenenti all’intera collettività.
Con riferimento al caso di specie, si tratta della realizzazione di un ampliamento del cimitero comunale rientrante entro la fascia di rispetto dei 200 metri, circostanza non contestata dall’Amministrazione resistente e risultante dalla documentazione tecnica depositata agli atti del giudizio; inoltre, la deliberazione di Giunta Municipale n. 81 dell’11.04.2003 di approvazione del progetto preliminare, la cui adozione era stata giustificata da esigenze di rinnovazione procedimentale, si caratterizza per la sua autonomia rispetto ai precedenti provvedimenti approvativi del progetto preliminare dell’opera (ossia la deliberazione di Giunta n. 328 del 03.11.1999, annullato in sede di autotutela, e quella di Consiglio n. 7 dell’11.02.1998 avente ad oggetto la progettazione originaria), per cui non vi è dubbio alcuno che, ratione temporis, il regime giuridico che deve essere considerato ai fini della corretta individuazione del procedimento da seguire è quello introdotto dall’art. 338 T.U.L.S. come modificato dall’art. 28 della legge 01.08.2002 n. 166.
In conclusione, non solo la competenza in merito all’approvazione dei progetti relativi alle opere cimiteriali de quibus apparteneva al Consiglio Comunale (TAR Campania, V Sezione, 03.07.2003 n. 9298) e non anche alla Giunta, ma l’Amministrazione avrebbe dovuto anche specificamente seguire il procedimento previsto dall’art. 338 T.U.L.S. come modificato dall’art. 28 della legge 01.8.2002 n. 166.
In tal senso parimenti fondata è la doglianza, contenuta nel quinto motivo di ricorso, relativa al dedotto vizio di incompetenza ascrivibile alla violazione dell’art. 55 del D.P.R. 10.09.1990 n. 285, posto che, analogamente a quanto avviene per il progetto, anche gli studi di fattibilità avrebbero dovuto essere preventivamente sottoposti all’esame del Consiglio Comunale e non anche della Giunta.
Deve, pertanto, concludersi per l’accoglimento del primo e quinto motivo di ricorso, con consequenziale annullamento della deliberazione di Giunta Municipale n. 81 dell’11.04.2003 avente ad oggetto l’approvazione del progetto preliminare dell’opera pubblica de qua, nonché per invalidità derivata, di quelle n. 99 del 05.05.2003 e n. 116 del 14.05.2003, rispettivamente di approvazione dei progetti definitivo ed esecutivo della medesima, oltre che dell’impugnato decreto di occupazione di urgenza e comunicazione di presa di possesso e redazione dello stato di consistenza, con assorbimento del secondo, quarto, sesto motivo di censura e restanti profili del primo.
Parimenti fondato è il terzo motivo di censura con cui parte ricorrente ha impugnato la deliberazione n. 94 del 28.04.2003 con cui la Giunta Municipale di Barano d’Ischia aveva modificato l’elenco dei lavori da realizzare nell’anno 2003 in riferimento al Programma Triennale dei Lavori Pubblici per il triennio 2003/2005.
Infatti, la competenza a procedere sia a modificazioni del Programma Triennale che all’aggiornamento dell’elenco annuale –come nel caso di specie in cui la realizzazione dell’opera pubblica in questione era stata anticipata nell’anno 2003 in luogo della originaria previsione per il 2004– appartiene al Consiglio Comunale e non anche alla Giunta, secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 42, secondo comma, lett. b), del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267.
Deve pertanto concludersi per la fondatezza del motivo di ricorso con consequenziale annullamento della deliberazione della Giunta Municipale di Barano d’Ischia n. 94 del 28.04.2003 (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 21.01.2004 n. 228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

COMPETENZE GESTIONALI: Il ricorso per Cassazione deve essere considerato ammissibile. Esso è stato proposto dal Sindaco pro-tempore previa delibera del dirigente degli affari legali, organo tecnico preposto alla valutazione di proponibilità del ricorso stesso.
E’ noto che, a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001, sono state apportate innovazioni in materia di decentramento amministrativo e di poteri degli organi amministrativi locali. Mentre appartiene al Sindaco ed alla Giunta l’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, il dirigente è preposto all’attuazione dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la valutazione di opportunità e di proponibilità della proposizione di un ricorso per Cassazione contro una decisione della Commissione tributaria regionale non appartiene all’indirizzo amministrativo generale del Comune, ma alla gestione del singolo caso.
Nella fattispecie, la determinazione del dirigente degli affari legali assume il carattere di una proposta e di una valutazione tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal Sindaco, quale capo dell’Amministrazione e rappresentante pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari. Appare evidente che il regolamento generale delle entrate comunali, emanato nel 1999, è superato quanto alla necessità di delibera della Giunta per proporre ogni singolo ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione considera tuttora il Sindaco come legale rappresentante pro-tempore del Comune per quanto attiene alla capacità di stare in giudizio, previa delibera della Giunta, mentre il dirigente amministrativo degli affari legali è configurabile quale organo tecnico deputato a proporre ogni iniziativa giudiziaria, apparendo incongruo che detto dirigente “autorizzi” il Sindaco a stare in giudizio.
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DIRITTO

Deve essere preliminarmente presa in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta per la prima volta dalla difesa del C.Z.A.I. di Verona con la discussione orale e relative “note di udienza”. Il Consorzio resistente deduce che la delibera intesa alla proposizione del ricorso per Cassazione doveva essere assunta dalla Giunta Comunale e non per determinazione del dirigente del settore affari legali del Comune.
6. L’eccezione è infondata e il ricorso per Cassazione deve essere considerato ammissibile. Esso è stato proposto dal Sindaco pro-tempore previa delibera del dirigente degli affari legali, organo tecnico preposto alla valutazione di proponibilità del ricorso stesso. E’ noto che, a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001, sono state apportate innovazioni in materia di decentramento amministrativo e di poteri degli organi amministrativi locali. Mentre appartiene al Sindaco ed alla Giunta l’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, il dirigente è preposto all’attuazione dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la valutazione di opportunità e di proponibilità della proposizione di un ricorso per Cassazione contro una decisione della Commissione tributaria regionale non appartiene all’indirizzo amministrativo generale del Comune, ma alla gestione del singolo caso.
Orbene, in questo caso la determinazione del dirigente degli affari legali assume il carattere di una proposta e di una valutazione tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal Sindaco, quale capo dell’Amministrazione e rappresentante pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari. Appare evidente che il regolamento generale delle entrate comunali, emanato nel 1999, è superato quanto alla necessità di delibera della Giunta per proporre ogni singolo ricorso.
7. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione considera tuttora il Sindaco come legale rappresentante pro-tempore del Comune per quanto attiene alla capacità di stare in giudizio, previa delibera della Giunta, mentre il dirigente amministrativo degli affari legali è configurabile quale organo tecnico deputato a proporre ogni iniziativa giudiziaria, apparendo incongruo che detto dirigente “autorizzi” il Sindaco a stare in giudizio.
8. Per vero, Cass. 11.05.2001, n. 6546, cui la difesa del C.Z.A.I. di Verona ha fatto riferimento, mentre afferma il principio che solo il Sindaco può stare in giudizio ed è necessaria la delibera della Giunta, fa carico al Comune di produrre lo Statuto, “alla cui sola stregua si sarebbe potuta ipotizzare la potestà autorizzatoria”, lasciando intendere come sulla base dello statuto comunale o dei relativi regolamenti sia possibile conferire al dirigente il potere di proporre se stare in giudizio nelle liti passive.
Cassazione 05.04.2002, n. 4845 ritiene che la rappresentanza del Comune spetta in via primaria al Sindaco, ma i dirigenti di Uffici generali possono essere incaricati di promuovere le liti e resistervi, mediante trasposizione nello statuto comunale o in un regolamento della norma secondo la quale i dirigenti stanno in giudizio per il Comune.
9. Ed è quanto operato dal Comune di Verona, il quale col proprio statuto -art. 80, comma 4- ha attribuito alla dirigenza la funzione di gestione amministrativa, nella quale deve essere ricompresa anche la delibera-proposta al Sindaco di resistere ad un ricorso in materia tributaria.
Vale la pena di puntualizzare che, nel caso di specie, sta in giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione il Sindaco e che la questione si pone unicamente in ordine all’atto presupposto, vale a dire alla delibera preliminare alla proposizione del ricorso per Cassazione, laddove nei casi sopra ricordati si poneva (anche) la questione se il Comune potesse essere rappresentato in giudizio dal dirigente.
10. Non risultano utilizzabili nel caso di specie i precedenti di questa Corte 10.02.2003, n. 1949 e 26.02.2003, n. 2878, nei quali la sez. III ha ritenuto che la legittimazione a rappresentare il Comune in giudizio spetti al Sindaco, al vice-sindaco in caso di suo impedimento e al Segretario generale in caso di delega del Sindaco o di attribuzione per statuto o regolamento: infatti non si discute della rappresentanza in giudizio del Comune da parte del Sindaco (che in questo caso è costituito in giudizio quale legale rappresentante pro-tempore dell’ente) ma della delibera preliminare.
Lo stesso è a dirsi per la sentenza n. 2878/2003, la quale si occupa della legittimazione a stare in giudizio -per negarla in capo al dirigente- ma non della delibera preliminare. Può quindi passarsi all’esame del merito. ... (Corte di Cassazione, Sez. civile, sentenza 17.12.2003 n. 19380).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIE' illegittima, per incompetenza, la deliberazione di Giunta Comunale circa l'approvazione del progetto esecutivo per l’ampliamento del cimitero.
Sul punto non è superfluo rilevare che la disposizione in questione (art. 55, comma 1, del D.P.R. 10.09.1990, n. 285 - Approvazione del regolamento di polizia mortuaria) costituisce una norma speciale, mai abrogata, che deroga in modo specifico alla competenza generale di tipo residuale stabilita dall’articolo 35 della legge 08.06.1990 n. 142, abrogato dall'articolo 274 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 e riprodotto nell'articolo 48 di quest’ultimo.
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L’inserimento di un’opera pubblica nell’elenco annuale delle opere pubbliche da realizzare non equivale certo alla approvazione del relativo progetto preliminare: una cosa è il progetto preliminare di un’opera (che deve rispettare le prescrizioni dell’articolo 16 della legge n. 109 citata) e una cosa è il suo inserimento nell’elenco annuale delle opere da realizzare.
Del resto la stessa disposizione invocata dal comune prescrive che l’inserimento dell’opera nell’elenco presuppone che il relativo progetto preliminare sia stato previamente approvato.
... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione della disposizione del dirigente del servizio tecnico normalità del comune di Napoli prot. n. 10 dell'08.10.2002, recante autorizzazione all’occupazione in via d’urgenza di suolo della ricorrente, delle delibere G.M. n. 3116 del 02.08.2002 e n. 3219 del 06.09.2002, recanti approvazione del progetto esecutivo per l’ampliamento del cimitero di Secondigliano e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente.
...
Fondato e assorbente risulta il terzo motivo di gravame con cui viene dedotta la violazione dell’articolo 55, comma 1, del D.P.R. 10.09.1990, n. 285 (Approvazione del regolamento di polizia mortuaria), cioè l’incompetenza della giunta comunale all’approvazione del progetto.
Il motivo è fondato.
La disposizione del citato articolo 55 dispone infatti testualmente che “i progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e di costruzione dei nuovi devono essere preceduti da uno studio tecnico delle località, specialmente per quanto riguarda l'ubicazione, l'orografia, l'estensione dell'area e la natura fisico-chimica del terreno, la profondità e la direzione della falda idrica e devono essere deliberati dal consiglio comunale”.
Nel caso in esame il progetto definitivo dell’opera –non impugnato dalla ricorrente, non depositato agli atti di causa e semplicemente citato dalle delibere di approvazione del progetto esecutivo– è stato adottato dalla giunta, al pari delle impugnate delibere di approvazione in linea tecnica ed economica del progetto esecutivo.
Appare quindi sussistente la violazione della disposizione dell’articolo 55.
Sul punto non è superfluo rilevare che la disposizione in questione –come del resto già affermato in giurisprudenza– costituisce una norma speciale, mai abrogata, che deroga in modo specifico alla competenza generale di tipo residuale stabilita dall’articolo 35 della legge 08.06.1990 n. 142, abrogato dall'articolo 274 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 e riprodotto nell'articolo 48 di quest’ultimo (TAR Umbria 07.02.2002, n. 75, TAR Umbria 06.03.1998, n. 190).
Deve poi aggiungersi che non persuasiva è la difesa articolata sul punto dal comune: questo infatti sostiene che il Consiglio comunale –con delibera n. 268 del 02.08.2002 (che ha ratificato la delibera G.M. n. 2864 del 26.07.2002)– ha inserito il progetto per cui è causa nel programma triennale e nell’elenco annuale dei lavori pubblici; poiché l’articolo 14, comma 6, della legge 11.02.1994, n. 109 dispone che “l'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale … è subordinata alla previa approvazione della progettazione preliminare”, il comune sembra sostenere che la delibera n. 268 contiene l’approvazione del progetto preliminare e che tanto basterebbe a garantire l’osservanza della disposizione dell’articolo 55.
In realtà l’inserimento di un’opera pubblica nell’elenco annuale delle opere pubbliche da realizzare non equivale certo alla approvazione del relativo progetto preliminare: una cosa è il progetto preliminare di un’opera (che deve rispettare le prescrizioni dell’articolo 16 della legge n. 109 citata) e una cosa è il suo inserimento nell’elenco annuale delle opere da realizzare.
Del resto la stessa disposizione invocata dal comune prescrive che l’inserimento dell’opera nell’elenco presuppone che il relativo progetto preliminare sia stato previamente approvato.
A ciò si aggiunge che –seguendo la tesi del comune– si avrebbe una scansione temporale del procedimento di approvazione del progetto a dir poco anomala dato che la (implicita) approvazione del progetto preliminare da parte del consiglio sarebbe posteriore di quasi tre anni all’approvazione del progetto definitivo da parte della giunta (avvenuta il 03.11.1999 a mezzo della delibera n. 4009) e sarebbe contemporanea alla approvazione in linea tecnica del progetto esecutivo (la delibera n. 268 del consiglio comunale reca infatti la medesima data del 02.08.2002 della delibera della giunta di approvazione in linea tecnica del progetto esecutivo).
La riconosciuta fondatezza del vizio di incompetenza è preclusiva dell’esame degli ulteriori motivi dedotti che risultano pertanto assorbiti.
Il ricorso deve dunque essere accolto: le delibere G.M. n. 3116 del 02.08.2002 e n. 3219 del 06.09.2002 devono pertanto essere annullate per incompetenza; parimenti deve essere annullata in via di illegittimità derivata la disposizione del dirigente del servizio tecnico normalità del comune di Napoli prot. n. 10 dell'08.10.2002 (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 21.07.2003 n. 9298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIllegittimo attribuire funzioni spettanti ai dirigenti negli ee.ll. mediante incarichi di collaborazione esterna, ai sensi dell'art. 110, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000.
Ai sensi dell’art. 51, comma 5, della legge n. 142/1990 (come successivamente modificato dall’art. 6 della legge 15.05.1997, n. 127, nel testo modificato dall’art. 2, L. 16.06.1998, n. 191), “lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire”.
Ai sensi del successivo comma 5-bis, inoltre, “il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. ….”.
Il comma 7 dell’art. 51 prevede, poi, che “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità….”.
L’art. 26 del Regolamento comunale prevede, a sua volta, che è possibile il ricorso a collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per il conseguimento di specifici obiettivi predeterminati.
Si tratta, peraltro, di forme di collaborazione esterna ad alta specializzazione, mirate al conseguimento di obiettivi particolarmente qualificati (ad es., sotto il profilo progettuale, organizzativo etc.), tra le quali non può essere fatto rientrare il conferimento di taluni delimitati ed episodici compiti riconducibili all’ordinaria sfera di competenza del dirigente; ché, altrimenti, avvalendosi di tale disciplina, le competenze dirigenziali potrebbero essere, di volta in volta e a seconda delle contingenze, parcellizzate e destrutturate in modo tale di snaturare, di fatto, la funzione stessa della disciplina in questione, che mira a valorizzare le responsabilità dirigenziali sotto un profilo manageriale, tendenzialmente unitario, e non a frammentarle.
Né può essere utilmente invocato l’art. 74 dello Statuto comunale secondo cui la G.M., nel caso di vacanza di posto o per altri gravi motivi, può assegnare la titolarità di uffici e servizi a personale assunto con contratto a tempo determinato o incaricato con contratto di lavoro.
Qui, infatti, non si tratta di vacanza di posto, né di assegnazione di titolarità di uffici o servizi per gravi motivi, dal momento che il posto non era vacante e che il conferimento di un incarico per lo svolgimento di taluni limitati compiti di normale spettanza dirigenziale non può essere rivisto alla stregua dell’assegnazione della titolarità di uffici o servizi, che può essere operata, per le ragioni già dette, solo nella sua unitarietà e completezza funzionale.
Correttamente, quindi, i primi giudici hanno ritenuto illegittima, anche per i motivi ora detti, la nomina del commissario ad acta di cui si tratta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.03.2003 n. 1212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: L. Oliveri, IL POTERE DI DIRETTIVA DELL’ORGANO POLITICO NEI CONFRONTI DEI DIRIGENTI – CONTENUTI DELL’ATTIVITA’ DIRETTIVA E CONFINI CON QUELLA GESTIONALE (15.11.2000 - link a www.diritto.it).

COMPETENZE GESTIONALISanzioni - Ingiunzione a demolire - Competenza - Art. 2, comma 12, L. 191/1998 - Dirigente.
1. - L'attribuzione ai dirigenti comunali della generale competenza ad emanare atti di gestione è stata definita dall'art. 6 della legge 15.05.1997 n. 127 con un'elencazione che comprendeva i provvedimenti di rilascio della concessione edilizia, ma non quelli repressivi degli abusi edilizi.
Deve considerarsi legittima l'ordinanza di ingiunzione a demolire adottata dal Dirigente anziché dal Sindaco successivamente all'art. 2, comma 12, della l. 16.06.1998 n. 191 che, completando il nuovo assetto sancito dall'art. 45, comma primo, del D.lgs. 80/1998, ha espressamente affidato ai dirigenti anche i compiti di vigilanza e di applicazione delle sanzioni edilizie.
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1. - cfr. TAR Toscana, III Sez. 17.01.2000 n. 7, in questa raccolta (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 01.09.2000 n. 1895 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Responsabilità contabile e amministrativa – intervento adesivo ad adiuvandum - Dirigente Ente locale – responsabilità dirigenziale e responsabilità amministrativa – differenze – provvedimenti di spesa – inutilità della spesa - mancanza di colpa grave in ordine a provvedimenti di spesa disposti con poca ponderazione ma all’interno di programmi politici approvati.
  
Deve essere riconosciuto diritto di ingresso nel giudizio amministrativo-contabile all’intervento “ad adiuvandum”, di cui all’art. 105 c.p.c., quando esso sia diretto a sostenere le ragioni di una delle parti in lite, senza introdurre domande nuove od ampliare il “thema decidendum”, sempre che possa essere riconosciuto l’interesse concreto dell’interveniente e il medesimo sia meritevole di protezione giuridica.
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Il personale che riveste la qualifica dirigenziale, per poter realizzare al meglio l'interesse pubblico generale dell’amministrazione, oltre che operare nel rispetto del principio di legalità, buon amministrazione e imparzialità deve assicurare alla sua funzione il rispetto dei criteri di efficienza, efficacia, speditezza, economicità, pubblicità e trasparenza, criteri quest'ultimi normativizzati dall'ormai nota legge sul procedimento n. 241 del 1990 (art. 1).
Il dirigente deve essere in grado di saper utilizzare le risorse umane, finanziarie e strumentali, messe asua disposizione, nel rispetto delle regole cui è improntata l'azione della p.a., dove certamente il momento dell'efficienza non deve essere dissociato da quello della legalità/garanzia (criterio quest'ultimo posto a tutela della collettività amministrata).
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La separazione dei ruoli, uno politico e di indirizzo, l’altro amministrativo e di gestione, comporta, da un lato una responsabilità politica censurabile “in sede elettorale e di gestione del consenso”, dall’altro una responsabilità dirigenziale discendente dall’esecuzione dei programmi fissati per il raggiungimento dei risultati; quest’ultima è censurabile nel potere di nomina, conferma e revoca in sito nella scelta fiduciaria della dirigenza.
A fronte di un potere di gestione, affidato alla dirigenza per poter realizzare quanto prefissato dall'organo di vertice politico, si contrappone una maggiore responsabilizzazione del personale burocratico posto all'apice dell'organizzazione pubblica, con la conseguenza che questo, nel realizzare gli obiettivi e, al fine di non disperdere inutilmente risorse finanziarie pubbliche (con conseguente danno all'Erario), deve perseguire una sana gestione in grado di tradurre nella concreta realtà le direttive impartite dal vertice politico.
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   ● La responsabilità dirigenziale per i risultati è autonoma ed aggiuntiva rispetto alle altre forme di responsabilità che gravano sui dipendenti pubblici e, quindi, anche sui dirigenti; in particolare, questa si distingue rispetto alla responsabilità amministrativa che presuppone, invece, un comportamento connotato da dolo o colpa grave che si discosta dalle regole giuridiche che presiedono alle attività del dipendente.
La responsabilità dirigenziale, invece, non sorge dalla violazione di canoni normativi di comportamento ed, anzi, trascende il comportamento personale del dipendente:essa si ricollega ai risultati complessivi prodotti dalla organizzazione cui il dirigente è preposto e implica, in caso di giudizio negativo, più che una colpa del dirigente, la sua inidoneità alla funzione.
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Non si ravvisa un comportamento gravemente colposo nel dirigente dell’ente locale che ha disposto provvedimenti di spesa rimasti privi di utilità, quando questi sono stati effettuati nell’ambito di un programma approvato dall’organo politico che gli consentiva, se non gli imponeva, di tutelare l’interesse pubblico individuato dal programma medesimo (massima tratta da www.diritto.it).
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Ciò che questo Giudice è chiamato a valutare risiede principalmente nella contestazione di fondo mossa dalla Procura Regionale la quale, indipendentemente dalla bontà del progetto, mette in rilievo un'azione amministrativa improntata ad una certa imprudenza e imperizia legate alla circostanza relativa alla convinzione dell'arch. D. di una facile realizzabilità dell'intero progetto, quando invece questo, per poter essere realizzato, avrebbe richiesto, sempre secondo la Procura, un diverso e maggiormente ponderato comportamento amministrativo in ragione dell’acclarata complessità del progetto stesso.
Prima di entrare nel merito, peraltro, e con riferimento all’atto di costituzione in giudizio depositato dal Comune di Torino, si deve ricordare che va riconosciuto diritto di ingresso nel giudizio amministrativo-contabile all’intervento “ad adiuvandum”, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., ove esso sia diretto a sostenere le ragioni di una delle parti in lite, senza introdurre domande nuove od ampliare il “thema decidendum”, sempre che possa essere riconosciuto l’interesse concreto dell’interveniente, meritevole di protezione giuridica ed autonomo rispetto a quello che si fa valere in via principale ed in cui favore è attuato l’intervento (inter alia Corte Conti, Sez. II, 02.09.1998, n. 191).
Pertanto nel caso dell’intervento del Comune nel presente giudizio, da considerarsi, in assenza di domande nuove (che ne avrebbero determinato l’inammissibilità nel giudizio di responsabilità amministrativa), quale intervento adesivo dipendente (art. 105, II comma c.p.c.), la posizione del terzo (il Comune) è solo quella di interlocutore, per sostenere le ragioni di una delle parti (il P.M., unico ed esclusivo legittimato attivo) nella causa pendente tra le parti originarie, la quale, anche dopo l’intervento rimane l’unica controversia del processo (inter alia Cassazione civile 06.04.1977, n. 1306).
Quindi, nel respingere l’eccezione formulata dalla difesa del D., va dichiarato ammissibile, nei predetti sensi, l’intervento del Comune di Torino nel presente giudizio.
Nel merito, va innanzitutto premesso che l’atto di indirizzo politico dal quale, secondo l’arch. D., sarebbe disceso l’obbligo di realizzazione del progetto in parola è la delibera di G.C. n. 94 04564/55 del 14.06.1994 (versato in atti dal convenuto) dove si parlava di un ampliamento della rete di rilevamento dei dati meteorologici con la prospettiva dell’acquisizione di una qualificazione tecnica e logistica.
Alla predetta delibera, ha fatto poi seguito la n. 94 07094/55 del 18.10.1994, dove la G.C. delibera di approvare la spesa per la fornitura di n. 15 autocarri 4x4 dotati di apparecchiature ad alta tecnologia per lo sgombero di neve.
In tale contesto l’arch. D. ha ritenuto di poter inserire, come evidenziato in narrativa, anche il progetto di mappatura termica delle strade della città.
Appare evidente che
la fattispecie in cui si è mosso il convenuto è oggi disciplinata dalla nuova normativa che regola il nuovo sistema di responsabilità della dirigenza pubblica (o “privatizzata”), con la conseguente separazione di compiti e ruoli tra vertice politico e vertice amministrativo, e relativo, totale affidamento alla dirigenza medesima dell'attività di gestione da porre in essere ai fini del conseguimento degli obiettivi programmati dai vertici politici, ma soprattutto degli interessi pubblici alla cui tutela l’Autorità amministrativa stessa è preposta (cfr. D.L.vo n. 29/1993 e successive modifiche e legge n. 142/1990).
Il responsabile del livello gestionale per poter realizzare al meglio l'interesse pubblico generale, oltre che operare nel rispetto del principio di legalità, buona amministrazione e imparzialità deve assicurare alla sua funzione il rispetto dei criteri di efficienza, efficacia, speditezza, economicità, pubblicità e trasparenza, criteri quest'ultimi normativizzati dall'ormai nota legge sul procedimento n. 241 del 1990 (art. 1).
Il dirigente deve, dunque, essere in grado di saper utilizzare le risorse umane, finanziarie e strumentali nel rispetto delle regole cui è improntata l'azione della p.a., dove certamente il momento dell'efficienza non deve essere dissociato da quello della legalità/garanzia (criterio quest'ultimo posto a tutela della collettività amministrata).
Nella separazione dei ruoli, uno politico –di indirizzo– l’altro amministrativo –di gestione– si cerca, in sostanza, di unire la stabilità del rapporto fondato, da una parte, su responsabilità politica censurabile “in sede elettorale e di gestione del consenso” per l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’apparato amministrativo (questo titolare alla determinazione degli obiettivi, dei programmi e alla verifica del risultato), dall’altra parte, sulla responsabilità dirigenziale esecutrice dei programmi ed artefice degli strumenti per il raggiungimento dei risultati censurabile nel potere di nomina, conferma e revoca insito nella scelta fiduciaria della dirigenza.
L’assetto istituzionale trova in questo rapporto le diverse relazioni dell’agire politico-amministrativo e la forma che esso assume delimita l’orientamento di un sistema normativo che riflette costantemente la supremazia di uno dei due soggetti (o il potere politico o la burocrazia).
Se quindi lo schema vede il ministro (a livello centrale) e il sindaco (a livello locale) come “cerniera” di questo sistema di unità-distinzione, l’idea che se ne trae è quella della stretta continuità fra attività politica ed attività amministrativa e dell’esigenza di mantenere quest’ultima nell’alveolo degli indirizzi politici, ma anche quella di garantire la legalità e l’imparzialità dell’attività amministrativa difendendola dalle influenze della (cattiva) politica.
Ora, a fronte di un potere di gestione, affidato alla dirigenza per poter realizzare quanto prefissato dall'organo di vertice politico, si contrappone una maggiore responsabilizzazione del personale burocratico posto all'apice dell'organizzazione pubblica, con la conseguenza che questo, nel realizzare gli obiettivi e, al fine di non disperdere inutilmente risorse finanziarie pubbliche (con conseguente danno all'Erario), deve perseguire una sana gestione in grado di tradurre nella concreta realtà le direttive impartite dal vertice politico.

Ma ciò che deve poter risultare chiaro da tutto questo discorso è che
la responsabilità dirigenziale per i risultati è autonoma ed aggiuntiva rispetto alle altre forme di responsabilità che gravano sui dipendenti pubblici e, quindi, anche sui dirigenti.
In particolare,
va marcata la distinzione rispetto alla responsabilità amministrativa. Quest’ultima presuppone un comportamento che si discosta dalle regole giuridiche che presiedono alla attività del dipendente. Inoltre, si tratta di responsabilità per colpa (o per dolo). La responsabilità dirigenziale, invece, non sorge dalla violazione di canoni normativi di comportamento e, anzi, trascende il comportamento personale del dipendente: essa si ricollega ai risultati complessivi prodotti dalla organizzazione cui il dirigente è preposto ed implica, in caso di giudizio negativo, più che una colpa del dirigente, la sua inidoneità alla funzione.
Orbene e tornando alla fattispecie di causa, se il progetto in parola, per come è stato perseguito, non appare essere stato in grado di poter avere una concreta realizzazione, ciò che è necessario stabilire risiede essenzialmente nel fatto se ciò è avvenuto per un comportamento contrario alle regole giuridiche di settore quanto piuttosto in relazione ad altri fattori, ivi compresa la casistica propria della responsabilità dirigenziale, che, peraltro, in questa sede appare irrilevante ove non sfoci, nella sua autonomia, in elementi coincidenti con quelli propri della responsabilità amministrativa.
Contesta la Procura regionale che, sulla base della documentazione acquisita, ivi compresa quella esibita dal D., si evince una direttiva politica che parla di un generico incarico di riorganizzazione del servizio di viabilità invernale, non emergendo in alcun modo da tale provvedimento un’autorizzazione di spesa specifica per la mappatura termica delle strade della città, giacché la delibera in parola approva un progetto per l’acquisto di 15 autocarri 4x4 dotati di apparecchiature ad alta tecnologia per lo sgombero neve (si veda in ogni caso la delibera n. 94 07094/55 del 18.10.1994 depositata dal convenuto con le proprie memorie).
Sottolinea ancora l’Organo requirente che l’atto di indirizzo politico non può essere del tutto sostituito dal promemoria che l’arch. D. ha predisposto per l’assessore Co. (con l’apposizione di un segno di assenso da parte di quest’ultimo), perché, un progetto tecnologicamente complesso avrebbe avuto bisogno, anche in ragione della spesa, di una chiara direttiva politica che invece dagli atti acquisiti non vi era.
Sostanzialmente, dunque, emergerebbero evidenti profili di responsabilità amministrativa da contestare al Dirigente in parola, il quale aveva un rapporto di impiego con l'amministrazione; sarebbe evidente la presenza di un danno ingiusto al patrimonio dell'ente pubblico (le somme spese non sono di alcuna utilità); emergerebbe l'elemento psicologico della colpa grave nel comportamento dell'arch. D. per aver operato al di fuori di un chiaro atto di indirizzo politico e con procedimenti parcellizzati diretti ad evitare atti di competenza della G.C. e, da ultimo, sussisterebbe il nesso eziologico tra comportamento dell'agente e la produzione del danno patrimoniale, giacché senza quelle determinazioni di spesa poco ponderate il bilancio dell'ente locale non sarebbe stato gravato da uscite finanziarie disutili.
Tale impostazione non sembra invero poter essere condivisa.
Anche per quanto si è anzi detto,
va ribadito infatti il concetto di Amministrazione come attività globalmente rilevante diretta alla realizzazione di compiti ed alla soddisfazione di bisogni, organizzata in strutture, procedimenti e personale imparziali, paritari, controllabili, funzionalizzato agli obiettivi politici programmati.
Tale affermazione ingenera il convincimento che la politica ha come finalità il condizionamento di tale processi e, di conseguenza, la partecipazione alle definizioni operative dei processi amministrativi privilegiando, appunto, le diverse forme ed ideologie politiche che sono alla base di ogni ordinamento; ciò implica che l’attività amministrativa, ben lungi dall’essere meramente esecutiva di determinazioni primarie legislative svolge sempre più una funzione di completamento e di integrazione di scelte di natura politica.

In altre parole,
se nel nostro ordinamento giuridico, è la legge a dare la definizione di interesse pubblico (con una serie articolata di criteri e parametri costituzionali) nei vari campi in cui essa opera e se detto interesse costituisce il fine razionale dell’agire amministrativo (artt. 97 e 98 Cost.), spetterà all’Amministrazione procedente definire come tale i canoni di riferimento in base all’imparzialità, all’efficienza ed alla legalità.
In dipendenza di ciò, il rapporto che si instaura con la politica (inteso come tale quel momento di “cerniera” di cui poc’anzi si parlava) non può che definire le linee generali ed i collegamenti con l’agire amministrativo, nonché con i singoli momenti di attuazione.
L’Amministrazione opera, pertanto, in base a canoni generali i cui limiti ed oggetto di intervento sono stabiliti dalla legge ed all’interno di essa in base alle regole da essa stessa stabilite (poteri di regolamentazione di fonte secondaria).
Attesa quindi la necessaria portata generale dell’attività di indirizzo dei vertici dell’Amministrazione, in relazione alla fattispecie, una volta che il vertice politico ha individuato, come obiettivo, una riorganizzazione del sistema di viabilità invernale, la c.d. mappatura termica delle strade della città non può essere percepita come qualcosa di avulso e da sviluppare con un ulteriore progetto –da sottoporre all’approvazione dell’organo politico- in grado di avere poi concreta realizzazione (la mappatura termica viene considerata utile per la sicurezza della circolazione stradale), ma come un qualcosa che rientri già nel disegno globale dell’organo politico, finalizzato alla salvaguardia dell'interesse pubblico
Il progetto di mappatura termica, invero, appare pertinente e complementare alla fase di riorganizzazione del sistema di viabilità invernale, in quanto avrebbe consentito di acquisire dati meteorologici necessari ad indirizzare l’intervento dei mezzi spandisale nel momento in cui si fossero venuti a creare le condizioni meteorologiche che avrebbero potuto provocare fenomeni gelivi, al fine di prevenirli in modo razionale con interventi qualitativi e quantitativi mirati alle reali esigenze, risparmiando in tal modo risorse ed ottimizzando i risultati.
Contesta ancora la Procura regionale che nella fattispecie, oltre a non sussistere una precisa direttiva politica, non sarebbero state neanche rispettate le regole che presiedono alla scelta dei contraenti con la p.a., emergendo, in modo chiaro, che l'avere effettuato prima l'acquisto dell'allestimento di un veicolo (Fiat scudo vetrato ad uso stazione di rilevamento presso la s.n.c. B. di Sesto Calende) con l'intenzione di coinvolgere in seguito altri soggetti in grado di fornire i sistemi di supporto informatico per il rilevamento del manto stradale interessato dalle gelate, nonché degli elementi meteorologici, ha sicuramente esposto l'ente pubblico a una dispersione di fondi senza avere alcuna garanzia in termini di realizzazione del progetto.
In realtà non appare possibile affermare che l'arch. D. abbia operato con “metodologie privatistiche” quale, ad esempio, la trattativa diretta con la ditta B., argomentando ciò sulla scorta del fatto che l'individuazione di questa ditta non può neanche dirsi effettuata con trattativa privata, in quanto quest'ultima prevede un minimo di procedimentalizzazione. In effetti, l’importo in questione autorizzerebbe anche il ricorso a procedure “informali” nel campo dei contratti di fornitura. Sostenere quindi la necessità della evidenza pubblica implica il voler disporre di un potere discrezionale della P.A. che, ricorrendo le citate condizioni, può anche orientarsi per il non perseguire le cennate procedure formali.
Con ogni probabilità, il Dirigente in parola avrebbe potuto avviare un'azione amministrativa in grado di garantire al meglio il Comune di Torino poiché ciò avrebbe offerto, oltre le opportune garanzie per l’amministrazione, anche la possibilità per coloro che sono subentrati all'arch. D., di portare a compimento la realizzazione del progetto medesimo, ma certamente non si può pretendere, sotto il profilo giuridico, che lo stesso presentasse un progetto completo (allestimento automezzo e acquisizione della componentistica informatica) al competente organo di direzione politica (non rientra nei compiti degli organi di direzione politica l’approvazione di progetti già ricompresi nell’ambito degli indirizzi gestionali dell’Amministrazione, come nel caso di specie), né tanto meno l’individuazione, attraverso le procedure dell'evidenza pubblica, di un soggetto capace di realizzare concretamente e in modo completo la predetta mappatura termica.
Peraltro, non sussistono prove in atti di quella che sarebbe stata l’evoluzione della vicenda e del progetto in questione tenuto conto del fatto che non può escludersi, per tabulas, che la mancata realizzazione del progetto possa essere imputata anche a fattori esterni quali le vicende giudiziarie che hanno allontanato l'arch. D. dall'ufficio da lui diretto impedendogli, di fatto, di portare a compimento il progetto.
Pertanto e conclusivamente, se ciò che può oggettivamente essere imputato al D. residua nel fatto che il suo preteso comportamento imprudente avrebbe fatto sostenere al Comune spese di alcuna utilità, quanto precede dimostra ampiamente che il convenuto ha agito nell’ambito di un programma approvato dall’organo politico che gli consentiva se non gli imponeva di tutelare l’interesse pubblico individuato nel miglioramento della viabilità invernale, attraverso procedure non sempre di particolare aderenza al miglior agire amministrativo, configuranti un comportamento sì colposo ma che non appare manifestazione evidente di un atteggiamento caratterizzato da profili di colpa grave.
Per quanto esposto, questo Giudice ritiene il sig. G.D. esente da responsabilità amministrativa e lo manda assolto dagli addebiti contestatigli (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Piemonte, sentenza 13.04.2000 n. 1192).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA:  Sanzioni – Ingiunzione a demolire – Competenza – Ante D.Lgs. n. 80 del 1998 – Sindaco – Dopo art. 45 D.Lgs. n. 80 cit. – Dirigente.
Il principio sancito dal comma 2 dell’art. 51 della legge 142/1990 in merito alla distinzione di competenze tra organi di Governo e Dirigenti è stato reso concretamente operativo solo dall’art. 45, comma primo, del D.Lgs. 80/1998.
Deve pertanto considerarsi legittima l’ordinanza sindacale di ingiunzione a demolire adottata prima della sua entrata in vigore (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 17.01.2000 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it).