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dossier AMIANTO
anno 2023

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: V. Giampietro, I requisiti ambientali in presenza di amianto nel D.P.R. n. 120/2017 (Ambiente & Sviluppo n. 12/2017).
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Introduzione
In tempi recenti ci siamo soffermati sui requisiti ambientali delle terre e rocce da scavo, all’esito del recente D.P.R. n. 120/2017, con particolare riferimento ad alcuni profili critici, riguardanti i riporti.
Ci si era ripromessi di tornare sul tema dei citati requisiti, per affrontare anche la questione amianto, argomento talmente complesso da richiedere un esame autonomo. (...continua).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale".

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Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell'ordinanza ex art. 50 TUEL n. 23 del 15/02/2023, notificata il 16.02.2023, con la quale il Sindaco del Comune di Pozzuoli ha ordinato ai ricorrenti: “di lasciare libero ad horas il manufatto sopra individuato con espresso avvertimento che in caso di mancata ottemperanza agli ordini impartiti entro e non oltre cinque giorni dalla notifica del presente atto si provvederà d'ufficio in maniera coattiva e che dell'eventuale inottemperanza al presente provvedimento verrà data comunicazione all'autorità competente, al fine dell'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 650 del codice penale ed eventualmente delle penalizzazioni previste per gli occupanti senza titolo dall'art. 5, comma 1-bis, della legge n. 80 del 23/05/2014 con l'abbandono volontario o forzoso da parte degli occupanti dei prefabbricati” e di ogni atto ad essa presupposto, connesso, collegato e conseguente. 
...
1.- Gli odierni ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza ex art. 50 TUEL in epigrafe indicata, con cui il Comune di Pozzuoli aveva loro ordinato l’immediato sgombero del container n. 5 sito alla via ... n. 16, da essi adibito a sede dell’esercitata attività imprenditoriale di tipografia, serigrafia e grafica.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti sopralluoghi che avevano accertato la presenza di fibre di amianto nella composizione delle pannellature laterali dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale sono insorti gli esponenti, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
A supporto del gravame, hanno dedotto le seguenti doglianze: violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa applicazione del D.M. 06.09.1994, della l. 257/1992. Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di motivazione- illogicità contraddittorietà – illogicità – erroneità dei presupposti. Violazione principi di proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon andamento della p.a.
...
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio, l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate censure, sollevata dai ricorrenti con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è emerso, neppure in termini meramente probabilistici, l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della relazione istruttoria depositata dal resistente Comune, peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana, senza che risulti essere stato condotto un puntuale e specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi, onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
2.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di sgombrare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
2.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo stato di conservazione delle componenti di amianto del prefabbricato occupato dalla ricorrente, sia ad individuare con precisione le opere da realizzare per contenere l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento con esso impugnato, con salvezza delle successive determinazioni amministrative da adottare all’esito degli accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 07.04.2023 n. 2164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente per la rimozione di amianto ove difetti la prova della effettiva dispersione nell’aria delle fibre di amianto.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale".
...
Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell’ORDINANZA DEL SINDACO DEL COMUNE DI POZZUOLI N. 25 DEL 15/02/2023 CON AD OGGETTO: ORDINANZA DI SGOMBERO DI PREFABBRICATO CON PRESENZA DI MCA (MATERIALI CONTENENTI AMIANTO) SITO IN VIA ... IN POZZUOLI (NA). CONTAINER N. 7.
...
1.- L’odierno ricorrente ha impugnato l’ordinanza ex art. 50 TUEL in epigrafe indicata, con cui il Comune di Pozzuoli gli aveva intimato l’immediato sgombero del container n. 7 sito alla via ... n. 16, adibito a sede dell’esercitata attività imprenditoriale di ebanisteria e falegnameria.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti sopralluoghi che avevano riscontrato la presenza di fibre di amianto nella composizione delle pannellature laterali dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale è insorto l’esponente, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti doglianze: violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5 e 54, comma 4 del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa applicazione del D.M. 6 settembre 1994, della l. 257/1992. Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di motivazione - illogicità contraddittorietà – illogicità – erroneità dei presupposti. Violazione principi di proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon andamento della p.a.
...
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio, l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
3.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate censure, sollevata dal ricorrente con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è emerso, neppure in termini meramente probabilistici, l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della relazione istruttoria depositata dal resistente Comune, peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana, senza che risulti essere stato condotto un puntuale e specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi, onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
3.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria. 
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di sgomberare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
3.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo stato di conservazione delle componenti di amianto del prefabbricato occupato dal ricorrente, sia ad individuare con precisione le opere da realizzare per contenere l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento con esso impugnato, con salvezza delle successive determinazioni amministrative da adottare all’esito degli accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 07.04.2023 n. 2160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

AMBIENTE-ECOLOGIALa DGR n. 265/2011, con la quale la Regione Veneto ha predeterminato un criterio oggettivo di valutazione dello stato conservativo del materiale contenente amianto mediante il calcolo dell’Indice di Degrado, risulta applicabile in “presenza di materiali contenenti amianto in edifici o manufatti in genere” (Allegato A, par. 8), previsione di carattere generale, che prescrive un obbligo di verifica, in capo al proprietario, delle condizioni dei materiali contenenti amianto negli edifici e non solo ove si svolge attività lavorativa.
In ogni caso, anche a voler ritenere la disposizione relativa ai soli edifici in cui è svolta attività lavorativa, va confermata l’applicabilità della disciplina normativa di cui al D.M. 06.09.1994, trattandosi di struttura suscettibile di “utilizzazione collettiva”, ovvero nella quale operano più personale per lo svolgimento di attività lavorativa.
Sotto distinto profilo, si rileva che il citato D.M. 06.09.1994 stabilisce che “Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti. Tale programma implica mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire correttamente quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei materiali contenenti amianto” (art. 4).
Inoltre, per quanto riguarda i metodi di bonifica che possono essere attuati, sia nel caso di interventi circoscritti ad aree limitate dell’edificio, sia nel caso di interventi generali, sono previsti la “rimozione dei materiali di amianto”, “incapsulamento” e il “confinamento” (art. 3).
La disciplina richiamata nell’ordinanza impugnata, dunque, appare non solo pienamente applicabile al caso in esame, ma legittima, altresì, l’ordine di rimozione dei materiali contenenti amianto.
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L’ordinanza impugnata (dirigenziale) non costituisce un provvedimento contingibile e urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 Tuel, con la conseguenza che la competenza in ordine alla sua assunzione non appartiene al Sindaco; ben diversamente, trattasi di un provvedimento ordinario rientrante nella generale competenza dirigenziale ex art. 107 Tuel.
Giova ricordare che il potere extra ordinem presuppone la necessità di provvedere, con immediatezza, in presenza di situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, che non possano essere fronteggiate con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento e richiede altresì la sussistenza di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso, nel caso in cui l’Amministrazione non intervenga prontamente: nel caso in esame, invero, non sussistono i presupposti per l’adozione di un atto extra ordinem, atteso che l’Amministrazione aveva a disposizione ordinari (e specifici) mezzi e strumenti per far fronte alla situazione evidenziata nella Relazione tecnica redatta dalla società incaricata dalla ditta ricorrente.
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L’Appendice 2.I -“protocollo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto (ambiente esterno)” - dell’Allegato A alla DGR 265/2011 ha lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto, utile ad indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che vi si svolge, ai sensi del D.M. 06.09.1994.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.) ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto; il risultato dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a cui corrispondono azioni conseguenti che il proprietario dovrà attuare.
Il calcolo dell’Indice di Degrado è fondato sulla combinazione di nove parametri –A) grado di consistenza del materiale; B) presenza di fessurazioni/sfaldamenti/crepe; C) presenza di stalattiti ai punti di gocciolamento; D) friabilità/sgretolamento; E) ventilazione; F) luogo di vita/lavoro; G) distanza da finestre/balconi/terrazze; H) aree sensibili; I) vetustà (in anni) fattore moltiplicatore-, laddove il parametro della vetustà rappresenta un criterio oggettivo, ragionevolmente giustificato dal fatto che maggiore è il tempo di esposizione agli agenti atmosferici, maggiore è la probabilità che il manufatto sia logorato e quindi potenzialmente suscettibile di disperdere fibre di amianto, con conseguente potenziale pericolo.
Tali criteri, coerenti con le disposizioni di cui al D.M. 06.09.1994, non si pongono in contrasto con l’art. 23 della Costituzione.
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... per l'annullamento:
   - dell'ordinanza n. 1 del 26.02.2015 del Comune di San Martino Buon Albergo con cui si intima di provvedere entro 120 giorni all'esecuzione della bonifica della copertura in cemento amianto di un capannone avicolo;
   - della nota del Responsabile del Settore Ambiente Ecologia prot. 8800 del 17.04.2015 di rigetto dell’istanza di autotutela;
   - della Delibera di Giunta Regionale 5455 del 03.12.1996 e dell’allegato A della Delibera di Giunta Regionale 265 del 15.03.2011 nella parte in cui collega l’obbligo di bonifica all’età del cemento amianto;
   - della nota di ARPAV Dipartimento Provinciale di Verona, prot. 37361 del 14.04.2015 con cui si conferma l’obbligo di smaltimento, nonché della nota prot. 88502 del 28.07.2011 della medesima ARPAV.
...
Con ricorso depositato in data 21.05.2015, la società Ag. di Be.En. e C. Snc (di seguito solo Ag.) impugnava –oltre agli ulteriori atti indicati in epigrafe –l’ordinanza dirigenziale n. 1 del 26.02.2015 con la quale il Comune di San Martino Buon Albergo ordinava alla ricorrente, in qualità di proprietaria dell’immobile in questione, di provvedere, entro 120 giorni, alla bonifica (secondo le modalità di cui al D.M. 06.09.1994, punto 3) della copertura in cemento amianto del capannone adibito ad allevamento avicolo ivi individuato, nel rispetto delle procedure edilizie, sanitarie e ambientali.
Nel detto provvedimento l’Amministrazione specificava:
   - che, a seguito di procedura di verifica, con nota Arpav del 02.08.2011 si comunicava che, alla luce del rilevato valore ID (indice di degrado), era previsto che la ditta Ag., proprietaria di un capannone zootecnico, dovesse procedere alla bonifica entro 3 anni dell’immobile sito in località “Sc.”;
   - che il cronoprogramma presentato dalla ditta prevedeva il completamento degli interventi di rimozione della copertura entro marzo 2014 ma che, a seguito di sopralluogo e conseguente verbale di accertamento di infrazione della Polizia Locale del 15.12.2014, era stata verificata la mancata esecuzione dei suddetti lavori.
La ricorrente denunciava i seguenti vizi: “I Motivo: Violazione legge 27.03.1992, n. 257 e DM 06.09.1994, Inapplicabilità della D.G.R.V. n. 265 del 15/03/2011 – Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti; difetto di istruttoria e di motivazione; II Motivo: Eccesso di potere per incompetenza; III. Motivo: Eccesso di potere per invalidità derivata”.
...
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Con il primo motivo, Ag., in sintesi, lamenta che l’ordinanza impugnata indica normativa (L. n. 257/1992 e D.M. 06.09.1994) e deliberazioni di Giunta Regionale (D.G.R. n. 5455/1996 e n. 265/2011) che non sarebbero applicabili al caso in esame e non consentirebbero, comunque, di imporre la bonifica in assenza di pericolo per l’uomo, che non sussisterebbe stante il buono stato di conservazione e l’integrità della copertura.
La censura non è condivisibile.
Giova premettere che, con DGR n. 265 del 2011, Regione Veneto aveva approvato le linee interpretative per la sorveglianza sulle attività lavorative con esposizione all’amianto, stabilendo, tra l’altro,
   - nell’Allegato A che “la presenza di materiali contenenti amianto in edifici o manufatti in genere, comporta per il proprietario l’obbligo di verifica delle condizioni di integrità dei materiali stessi e di attivarsi di conseguenza per la bonifica in caso di precarietà e pericolosità dei materiali. (…..) Premesso che i lavori di bonifica contenuti e di limitata entità potranno essere valutati in funzione di quanto indicato per le attività ESEDI, i metodi di bonifica previsti dalla normativa (DM 1994) sono la sovracopertura, l’incapsulamento e la rimozione (DM 06/09/1994 e DM 20/08/1999)”;
   - nell’Appendice 2.I. dell’Allegato A -recante “Protocollo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto (ambiente esterno)”- è previsto che “Il protocollo ha lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto ed è utile al fine di indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che vi si svolge.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.) ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto.
Se il manufatto presenta una superficie danneggiata –ovvero quando sono presenti danni evidenti ed indiscutibili come ad esempio crepe, fessure evidenti e rotture– in misura superiore al 10% della sua estensione, si procede alla bonifica come indicato dal D.M. 06.09.1994, privilegiando l’intervento di rimozione.
Se il danno è meno evidente e la superficie della copertura in cemento-amianto appare integra all’ispezione visiva, è necessario quantificare lo stato di conservazione attraverso l’applicazione dell’Indice di Degrado. Il risultato dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a cui corrispondono azioni conseguenti che il proprietario dell’immobile e/o il responsabile dell’attività che vi si svolge, dovrà attuare
”.
Sulla base dei parametri ivi indicati e della vetustà dell’immobile, quale fattore moltiplicatore, viene riportato il seguente risultato: “1) I.D. INFERIORE O UGUALE A 25: Nessun intervento di bonifica. E’ prevista la rivalutazione dell’indice di degrado con frequenza biennale; 2) I.D. COMPRESO TRA 25 e 44: Esecuzione della bonifica entro 3 anni; 3) I.D. UGUALE O MAGGIORE A 45: Rimozione della copertura entro i successivi 12 mesi”.
Tale risultato, dunque, è correlato, in maniera oggettiva, alla data di installazione della copertura in esame.
A seguito di espressa richiesta dell’Amministrazione Comunale di produrre una relazione, redatta da tecnico abilitato, sullo stato di manutenzione della copertura in cemento-amianto del capannone in oggetto in applicazione dei parametri indicati dalla Regione Veneto con la ricordata DGR n. 265/2011, la società F.I., su specifico incarico della società ricorrente, redigeva in data 02.05.2011 un elaborato tecnico (prodotto all’Amministrazione Comunale) in cui era individuato un Indice di Degrado pari a 32, valore che -come sopra visto- era tale da richiedere la bonifica obbligatoria entro 3 anni.
La relazione era trasmessa, per osservazioni, ad Arpav la quale, con nota del 28.07.2011, ribadito che il valore I.D. individuato dal tecnico (pari a 32) determinava la necessità di bonifica entro 3 anni, evidenziava che “il personale addetto alle lavorazioni all’interno del capannone è stato debitamente informato del rischio amianto” e consigliava l’acquisizione “di un cronoprogramma, redatto dalla proprietà dell’immobile, riportante con maggior precisione tempi e modalità di esecuzione della bonifica stessa”.
In data 12.09.2011, la società F.I., sempre su incarico della ditta ricorrente, predisponeva il cronoprogramma -sottoscritto dallo stesso legale rappresentante della società ricorrente- che prevedeva la totale rimozione della copertura in cemento amianto entro il mese di marzo 2014, rimozione che, però, non veniva effettuata, come accertato dalla Polizia Locale con sopralluogo del 15.12.2014.
Dunque, alla luce di tutto quanto sopra emerge, sotto un primo profilo, che –a differenza di quanto sostenuto in ricorso– la DGR n. 265/2011, con la quale la Regione Veneto ha predeterminato un criterio oggettivo di valutazione dello stato conservativo del materiale contenente amianto mediante il calcolo dell’Indice di Degrado, risulta applicabile in “
presenza di materiali contenenti amianto in edifici o manufatti in genere” (Allegato A, par. 8), previsione di carattere generale, che prescrive un obbligo di verifica, in capo al proprietario, delle condizioni dei materiali contenenti amianto negli edifici e non solo ove si svolge attività lavorativa.
In ogni caso, anche a voler ritenere la disposizione relativa ai soli edifici in cui è svolta attività lavorativa, si rileva che la stessa Relazione tecnica redatta (da F.I.) per conto della società ricorrente specificava che “Il personale addetto alle lavorazioni all’interno del capannone è stato debitamente formato ed informato sul rischio amianto”, con ciò confermando l’applicabilità della disciplina normativa di cui al D.M. 06.09.1994, trattandosi di struttura suscettibile di “utilizzazione collettiva”, ovvero nella quale operano più personale per lo svolgimento di attività lavorativa (TAR Umbria, sez. I, 18.02.2019, n. 75).
Sotto distinto profilo, si rileva che il citato D.M. 06.09.1994 –richiamato nell’ordinanza gravata– stabilisce che “Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti. Tale programma implica mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire correttamente quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei materiali contenenti amianto” (art. 4); inoltre, per quanto riguarda i metodi di bonifica che possono essere attuati, sia nel caso di interventi circoscritti ad aree limitate dell’edificio, sia nel caso di interventi generali, sono previsti la “rimozione dei materiali di amianto”, “incapsulamento” e il “confinamento” (art. 3).
La disciplina richiamata nell’ordinanza impugnata, dunque, appare non solo pienamente applicabile al caso in esame, ma legittima, altresì, l’ordine di rimozione dei materiali contenenti amianto.
Peraltro, la stessa ricorrente, sottoscrivendo il cronoprogramma redatto dalla società incaricata, ha confermato di condividere (facendone acquiescenza) le conclusioni ivi esposte, la disciplina applicata e la necessità di dover provvedere alla bonifica dell’immobile tramite rimozione della copertura del capannone, salvo poi decidere di non effettuare la bonifica che si era obbligata a compiere entro il mese di marzo 2014.
In definitiva, le censure di cui al primo motivo sono infondate.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta il vizio di incompetenza, rientrando l’atto impugnato nella competenza del Sindaco ex artt. 50 e 54 Tuel.
La censura è infondata.
L’ordinanza impugnata non costituisce un provvedimento contingibile e urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 Tuel, con la conseguenza che la competenza in ordine alla sua assunzione non appartiene al Sindaco; ben diversamente, trattasi di un provvedimento ordinario rientrante nella generale competenza dirigenziale ex art. 107 Tuel.
Giova ricordare che il potere extra ordinem presuppone la necessità di provvedere, con immediatezza, in presenza di situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, che non possano essere fronteggiate con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento e richiede altresì la sussistenza di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso, nel caso in cui l’Amministrazione non intervenga prontamente: nel caso in esame, invero, non sussistono i presupposti per l’adozione di un atto extra ordinem, atteso che –come sopra esposto- l’Amministrazione aveva a disposizione ordinari (e specifici) mezzi e strumenti per far fronte alla situazione evidenziata nella Relazione tecnica redatta dalla società incaricata dalla ditta ricorrente.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’invalidità derivata per invalidità della DGR 265/2011, nella parte in cui attribuisce rilevanza alla data di realizzazione della copertura imponendo una prestazione personale/patrimoniale, per violazione dell’art. 23 Cost., della legge n. 257/1992 e del DM 06.09.1994.
La censura appare irricevibile per tardività.
Come sopra già evidenziato, la ditta ricorrente, per il tramite della propria incaricata F.I., aveva predisposto, nel corso dell’anno 2011, un cronoprogramma di intervento -sottoscritto dal legale rappresentante della stessa società ricorrente- con cui si aderiva ai principi e criteri stabiliti dalla Regione Veneto con la DGR n. 265/2011, e si individuava, per il capannone in questione, un Indice di Degrado pari a 32, valore tale da determinare la rimozione della copertura entro 3 anni, come proposto dallo stesso tecnico della ricorrente.
Dunque, ogni censura formulata nei confronti della DGR n. 265/2011 risulta tardiva.
In ogni caso, la doglianza appare infondata anche nel merito.
Come evidenziato dalle amministrazioni resistenti, l’Appendice 2.I -“protocollo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto (ambiente esterno)” - dell’Allegato A alla DGR 265/2011 ha lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto, utile ad indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che vi si svolge, ai sensi del D.M. 06.09.1994.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.) ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto; il risultato dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a cui corrispondono azioni conseguenti che il proprietario dovrà attuare.
Il calcolo dell’Indice di Degrado è fondato sulla combinazione di nove parametri –A) grado di consistenza del materiale; B) presenza di fessurazioni/sfaldamenti/crepe; C) presenza di stalattiti ai punti di gocciolamento; D) friabilità/sgretolamento; E) ventilazione; F) luogo di vita/lavoro; G) distanza da finestre/balconi/terrazze; H) aree sensibili; I) vetustà (in anni) fattore moltiplicatore-, laddove il parametro della vetustà rappresenta un criterio oggettivo, ragionevolmente giustificato dal fatto che maggiore è il tempo di esposizione agli agenti atmosferici, maggiore è la probabilità che il manufatto sia logorato e quindi potenzialmente suscettibile di disperdere fibre di amianto, con conseguente potenziale pericolo.
Tali criteri, coerenti con le disposizioni di cui al D.M. 06.09.1994, non si pongono in contrasto con l’art. 23 della Costituzione.
In conclusione, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 10.06.2021 n. 790 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima un’ordinanza contingibile e urgente emessa nei confronti del curatore fallimentare per la rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare.
Il curatore di un fallimento non può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare se non vi sia stato esercizio dell’impresa.
Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si ha che:
   - se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
   - se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare, quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto dalla normativa speciale;
Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne' il proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253 riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”) consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con addebito dei costi “ai proprietari degli immobili”.
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... per l'annullamento dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Cerisano del 17.02.2020, n. 6, con la quale, ai sensi dell'art. 54, comma 4, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, è stato ordinato al Curatore del Fallimento di Ma.Pi. -proprietario del lotto di terreno sito in Cerisano alla località ..., riportato in catasto al fol. 7, particelle n. 248, 483, 484, 485, 528, 529, 531 3 532 e degli immobili (già adibiti a falegnameria) e relative tettoie su di essi insistenti, le cui coperture sono costituite da lastre in cemento amianto (eternit)- di provvedere alla bonifica di dette coperture mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica autorizzata nel termine di 180 giorni dalla sua notifica.
...
1. – Con l’ordinanza oggetto di impugnativa, il Sindaco del Comune di Cerisano ha ordinato al curatore del Fallimento di Ma.Pi. -proprietario del lotto di terreno sito in Cerisano alla località ..., riportato in catasto al fol. 7, particelle n. 248, 483, 484, 485, 528, 529, 531 3 532 e degli immobili (già adibiti a falegnameria) e relative tettoie su di essi insistenti, le cui coperture sono costituite da lastre in cemento amianto (eternit)- di provvedere alla bonifica di dette coperture mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica autorizzata nel termine di 180 giorni dalla sua notifica.
2. – Il Curatore si è rivolto a questo Tribunale Amministrativo Regionale per chiedere l’annullamento del provvedimento, in quanto:
   I) Non sussisterebbe in capo al curatore fallimentare un obbligo di bonifica o smaltimento del sito inquinato rientrante nel patrimonio fallimentare;
   II) Non sussisterebbero quei presupposti di urgenza che consentirebbero l’adozione di un’ordinanza ai sensi degli artt. 50 e 54 d.lgs. 18.08.2000, n. 267;
   III) Il provvedimento sarebbe stato adottato in assenza di contraddittorio, in mancanza di un’adeguata istruttoria da parte di Asp e ARPACAL, che sole hanno le competenze per verificare la sussistenza del pericolo da amianto, basandosi su un parere tecnico scientificamente inconsistente.
3. – Costituitasi l’amministrazione intimata, con ordinanza del 30.07.2020, n. 400, è stata sospesa l’efficacia del provvedimento impugnato. Nondimeno, la curatela fallimentare, debitamente autorizzata dal giudice delegato, ha provveduto alla rimozione delle coperture in amianto-cemento presenti sulle tettoie.
4. – Il ricorso è stato quindi trattato in data 27.01.2021 ai sensi dell’art. 25, comma 2 d.l. 28.10.2020, n. 137.
5. – Persiste l’interesse alla decisione, posto che la rimozione delle coperture in amianto-cemento, peraltro avvenuta indipendentemente dal provvedimento sindacale, non esaurisce l’oggetto dell’ordinanza contingibile e urgente impugnata.
6. – Come illustrato in una recente, ampia e condivisibile pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2020, n. 1759, di cui si riportano di seguito stralci motivazionali) il curatore di un fallimento non può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare, se non vi sia stato, come nel caso di specie, esercizio dell’impresa.
6.1. – Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si ha che:
   - se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
   - se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare, quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto dalla normativa speciale;
6.2. – Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
6.3. – Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne' il proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253 riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”) consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con addebito dei costi “ai proprietari degli immobili” (cfr. per l’estensione anche a tale fattispecie degli strumenti di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, Corte Cost., ord. 28.01.2014, n. 14).
7. – Così ricostruita la disciplina, è evidente che nel caso di specie il provvedimento impugnato non resiste alla censura secondo cui è stato imposto al curatore fallimentare un’attività non doverosa.
8. – Il provvedimento impugnato va dunque annullato in accoglimento del ricorso, salva la possibilità per il Comune di Cerisano di adottare gli opportuni provvedimenti, anche di natura sostitutiva nei termini illustrati al § 6.2., a tutela della salute umana (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 08.02.2021 n. 261 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rischio amianto: quali doveri in capo al curatore fallimentare?
In caso di ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000, il Sindaco non può ordinare al curatore fallimentare di provvedere alla bonifica delle coperture in amianto mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica autorizzata.
Infatti, è escluso che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti. Dunque, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto. Tuttavia, alla rimozione del pericolo può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
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Il curatore di un fallimento non può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare, se non vi sia stato esercizio dell’impresa.
Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si ha che:
   - se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
   - se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare, quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto dalla normativa speciale.
Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili, ai fini dell’utile liquidazione in ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253 riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”) consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con addebito dei costi “ai proprietari degli immobili”.

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1. – Con l’ordinanza oggetto di impugnativa, il Sindaco del Comune di Cerisano ha ordinato al curatore del Fallimento di Ma.Pi. -proprietario del lotto di terreno sito in Cerisano alla località ..., riportato in catasto al fol. 7, particelle n. 248, 483, 484, 485, 528, 529, 531 3 532 e degli immobili (già adibiti a falegnameria) e relative tettoie su di essi insistenti, le cui coperture sono costituite da lastre in cemento amianto (eternit)- di provvedere alla bonifica di dette coperture mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica autorizzata nel termine di 180 giorni dalla sua notifica.
2. – Il Curatore si è rivolto a questo Tribunale Amministrativo Regionale per chiedere l’annullamento del provvedimento, in quanto:
   I) Non sussisterebbe in capo al curatore fallimentare un obbligo di bonifica o smaltimento del sito inquinato rientrante nel patrimonio fallimentare;
   II) Non sussisterebbero quei presupposti di urgenza che consentirebbero l’adozione di un’ordinanza ai sensi degli artt. 50 e 54 d.lgs. 18.08.2000, n. 267;
   III) Il provvedimento sarebbe stato adottato in assenza di contraddittorio, in mancanza di un’adeguata istruttoria da parte di Asp e ARPACAL, che sole hanno le competenze per verificare la sussistenza del pericolo da amianto, basandosi su un parere tecnico scientificamente inconsistente.
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6. – Come illustrato in una recente, ampia e condivisibile pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2020, n. 1759, di cui si riportano di seguito stralci motivazionali) il curatore di un fallimento non può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare, se non vi sia stato, come nel caso di specie, esercizio dell’impresa.
6.1. – Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si ha che:
   - se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
   - se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare, quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto dalla normativa speciale.
6.2. – Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
6.3. – Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253 riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”) consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con addebito dei costi “ai proprietari degli immobili” (cfr. per l’estensione anche a tale fattispecie degli strumenti di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, Corte Cost., ord. 28.01.2014, n. 14).
7. – Così ricostruita la disciplina, è evidente che nel caso di specie il provvedimento impugnato non resiste alla censura secondo cui è stato imposto al curatore fallimentare un’attività non doverosa.
8. – Il provvedimento impugnato va dunque annullato in accoglimento del ricorso, salva la possibilità per il Comune di Cerisano di adottare gli opportuni provvedimenti, anche di natura sostitutiva nei termini illustrati al § 6.2., a tutela della salute umana (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 08.02.2021 n. 261 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Comune e provincia – Comune – Tetto in eternit (cemento e amianto) – Rimozione – Ordinanza contingibile e urgente del Sindaco – Artt. 50 e 54, d.lgs. n. 267/2000 – Legittimità – Fattispecie
E’ legittima l’ordinanza contingibile e urgente attraverso la quale, ai sensi degli artt. 50 e 54, d.lgs. n. 267/2000, il sindaco dispone la rimozione della copertura in eternit (cemento e amianto) di un immobile privato motivandola con lo scopo di prevenire la diffusione nell’aria di fibre di amianto e richiamando l’accertamento svolto dall’A.R.P.A. e dalla competente A.S.L. che hanno preventivamente accertato l’oggettivo degrado del predetto tetto in eternit con il conseguente rischio della diffusione di polveri di amianto pericolose per la salute pubblica.
Nella fattispecie, il sindaco del Comune di Trivero adottava un’ordinanza contingibile e urgente con la quale disponeva la bonifica della copertura in eternit di un vecchio stabilimento industriale, ora dismesso, prefissando una specifica data entro la quale procedere all’adempimento
(massima tratta da https://arsg.it).
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1. Viene all’esame del Collegio l’impugnativa dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 61 del 02.10.2018 con cui il Comune di Trivero ordina alla Fl. s.r.l. di procedere alla bonifica della copertura in eternit (cemento armato) entro il 19.07.2019, ponendo in atto altresì le operazioni previste dal programma di controllo di cui al punto 4 del decreto ministeriale del Ministero della sanità 06.09.1994.
2. La ricorrente grava l’ordinanza sindacale del Comune di Trivero articolando tre motivi di ricorso.
2.1. Con i due primi motivi di impugnazione, esaminabili unitariamente per affinità di censure, si denuncia l’illegittimità dell’ordinanza sindacale in quanto viziata da eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto il primo campionamento avrebbe prelevato solo due frammenti non rappresentativi dell’intera copertura del fabbricato (avente un’estensione di circa 5000 mq), indi non risulterebbe ragionevolmente motivato l’ordine di bonifica esteso all’intero stabilimento.
Si stigmatizza, altresì, la supposta violazione delle disposizioni del decreto ministeriale 06.09.1994 che non imporrebbero affatto un obbligo generalizzato di procedere alla rimozione dei manufatti contenenti amianto.
2.2. Le censure si presentano prive di pregio alla luce delle risultanze del supplemento istruttorio espletato da Arpa Piemonte mediante prelevamento di un numero complessivo di 8 campioni –in aggiunta ai due campionamenti del primo sopralluogo del 29.05.2018- relativi alle coperture n. 5, 6 e 7 e ampia documentazione fotografica delle altre coperture (nn. 2, 3 e 4) e del complesso dei fabbricati.
Più specificamente, con riferimento alle coperture nn. 2 e 3 le risultanze della verifica di Arpa collimano con il giudizio di Co. s.r.l., società incaricata dalla Proprietà, corrispondente ad un indice di degrado “scadente”. Quanto alle coperture nn. 5, 6 e 7 gli indici di degrado sono ampiamente collocati nel range del giudizio “scadente”.
Il giudizio inerente alla copertura 4 è formulato senza l’ausilio di una verifica ravvicinata, ma sulla scorta della documentazione fotografica da cui si evince che lo stato di conservazione è comparabile con la copertura n. 5, indi i tecnici Arpa hanno ascritto cautelativamente lo stesso valore dell’indice di degrado corrispondente a “scadente”.
Mette conto di rilevare che la risultanza della verifica di parte da parte di Co. s.r.l. in relazione alla copertura n. 4 attesta l’indice di degrado al valore di 0.58, in prossimità della soglia fissata al valore 0.59 che delimita l’indice “discreto” dall’indice “scadente”.
2.3. Il supplemento istruttorio ha, dunque, confermato che le valutazioni iniziali erano effettivamente rappresentative dello stato di degrado complessivo delle coperture dello stabilimento di tal ché appaiono destituite di fondamento le censure di difetto di istruttoria e di motivazione appuntate sul provvedimento sindacale. Mutatis mutandis, la determinazione sindacale appare correttamente motivata per relationem con riferimento alle note tecniche di Arpa Piemonte, inerenti all’indice di degrado, e all’ASL Biella relativa all’indice di esposizione.
Peraltro, mette conto di rilevare che sia l’Agenzia regionale sia l’Azienda sanitaria si sono scrupolosamente attenute alle “Linee guida regionali per la valutazione del rischio di esposizione da coperture in cemento-amianto in Piemonte” adottate con Delibera della Giunta Regionale della Regione Piemonte del 18.12.2012, n. 40-5094, ove si procedimentalizza la gestione di esposti/segnalazioni relativi alla presenza di coperture in cemento- amianto negli edifici e si impartiscono –partendo dal decreto ministeriale 06.09.1994- indirizzi tecnico-operativi volti a semplificare ed uniformare il giudizio sullo stato di conservazione delle coperture (c.d. indice di degrado) e sulla valutazione del rischio per la salute, che si compongono, oltre che della valutazione dello stato di conservazione dei materiali contenenti amianto e della conseguente probabilità di rilascio di fibre, anche di indicatori di esposizione (contemplanti variabili che identifichino il numero di soggetti esposti, le caratteristiche ed il tempo con cui gli individui, in una determinata area, possono venire a contatto con fibre disperse dai MCA) della popolazione, ovvero dei lavoratori, e forniscono indicazioni sulle azioni conseguenti da adottare
2.4. Non coglie, tanto meno, nel segno la ricorrente allorché allega la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni del decreto del Ministero della sanità 06.09.1994, nonché delle disposizioni della legge 27.03.1992, n. 257.
La ricorrente, invero, pare travisare il tenore letterale del provvedimento sindacale che ordina il procedersi alla bonifica della copertura in eternit e non già, in via esclusiva, la rimozione dei manufatti, come sembrerebbe evincersi dal ricorso introduttivo. A rigore, la disciplina posta dal citato decreto ministeriale individua tre metodi di bonifica, segnatamente consistenti nel confinamento, nell’incapsulamento e, infine, nella rimozione, e fornisce dipoi indicazioni operative volte ad orientare gli operatori nell’individuazione del metodo di bonifica più consentaneo al manufatto.
Conseguentemente, la società intimata non era tenuta a procedere tassativamente alla rimozione, bensì doveva valutare gli interventi da adottare nell’ambito della gamma testé richiamata.
A riprova di tale esegesi basti por mente alla tabella allegata alla delibera di Giunta regionale richiamata in precedenza ove si correla la stima del rischio al tipo di azioni da intraprendersi: ebbene, salta all’occhio dell’osservatore che per l’indice di degrado scadente possono scattare obblighi di generica bonifica in corrispondenza di indici di esposizione medio bassi (come nel caso sottoposto all’esame del Collegio), mentre sorge in capo al prevenuto l’obbligo espresso di rimozione della copertura nel caso di indice di esposizione elevato.
Ciò posto, si presenta assolutamente inconferente anche questo profilo di censura.
3. L’ultimo motivo censura la falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 50 d.lgs. 267/2000, attributiva del potere di ordinanza contingibile e urgente al Sindaco in qualità di rappresentante della comunità locale in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale.
Si revoca in dubbio la sussistenza del presupposto di urgenza che legittimerebbe l’emanazione del provvedimento extra ordinem da parte del Sindaco, nonché la carenza del concreto riferimento al pericolo attuale che deriverebbe dalle coperture in cemento-amianto.
3.1. Il Collegio non ritiene di poter aderire all’impianto impugnatorio del motivo svolto dalla ricorrente, dovendo piuttosto accedere ad un’esegesi complessiva del provvedimento sindacale unitamente alle valutazioni esternate dall’ARPA Piemonte e dall’ASL Biella, nel contesto della ben delineata procedimentalizzazione delle metodologie tecniche per la valutazione del rischio di materiali contenenti amianto nelle strutture edilizie recata dal Decreto ministeriale 06.09.1994 e dalle Linee guida regionali stabilite con la citata Delibera di Giunta regionale 18.12.2012.
3.2. Orbene, a mente delle disposizioni ministeriali, la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall'eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell'ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Segnatamente, il decreto ministeriale specifica che, “se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale”, sicché il rischio di aerodispersione è correlato in via presuntiva allo stato di degrado del materiale.
Come visto dianzi, la Regione Piemonte ha ritenuto opportuno, partendo dai criteri fissati dal D.M. suddetto, definire specifiche linee guida per semplificare ed uniformare il giudizio sullo stato di conservazione delle coperture (c.d. indice di degrado) e sulla valutazione del rischio per la salute, che si compongono, oltre che della valutazione dello stato di conservazione dei materiali contenenti amianto e della conseguente probabilità di rilascio di fibre, anche di indicatori di esposizione della popolazione. Nel caso in esame, non vi è discordanza tra le verifiche tecniche in punto di commisurazione dell’indice di esposizione, bensì si revoca in dubbio la portata dell’indice di degrado “scadente” formulato dall’Arpa.
La compiuta classificazione delle scale di indicatori e la coerente correlazione con gli schemi di intervento recata dalle linee guida operative regionali non lasciano spazio a margini di ragionevole censurabilità circa l’operato del Sindaco. Una volta acclarato, infatti, che lo stato di degrado delle coperture in eternit è valutabile come scadente, appare corroborato il sillogismo inferenziale che correla siffatto stato di degrado al rischio significativo di aerodispersione di fibre di amianto tale da legittimare l’adozione del provvedimento sindacale contingibile e urgente: in buona sostanza, l’esito delle valutazioni tecniche fa sorgere l’obbligo di intervento con provvedimento di sanità pubblica, sicché si può ritenere che l’apparato motivazionale del provvedimento si appoggi proprio sugli apporti valutativi assicurati da ARPA e ASL, in armonia con il protocollo regionale approvato con la citata delibera.
Segnatamente, nell’apparato motivazionale il Sindaco richiama significativamente le valutazioni dell’indice di degrado (“scadente”) e dell’indice di esposizione (“medio”), richiamando implicitamente i parametri classificatori e di giudizio posti dalla delibera al fine di orientare razionalmente e uniformemente la discrezionalità valutativa delle Amministrazioni comunali poste di fronte ai rischi derivanti dai manufatti contenenti amianto-cemento.
4. Alla luce di ciò, non appare censurabile la determinazione concretamente assunta dal Sindaco, né la scelta dello strumento extra ordinem stante il riconosciuto pericolo per la salute pubblica che impone l’esecuzione di solleciti interventi di bonifica del sito – interventi, come già chiarito, non necessariamente riducibili alla rimozione dei manufatti.
5. Tutto ciò premesso e conclusivamente, il ricorso deve essere respinto (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.11.2020 n. 660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
Ordinanza di bonifica eternit: accertamento tecnico della pericolosità (04.11.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
...
La I Sez. del TAR Piemonte, con la sentenza 02.11.2020 n. 660 (Est. Cerroni) conferma la piena legittimità di un’ordinanza sindacale di rimozione di “eternit” da un immobile, intimata al proprietario in via precauzionale al fine di tutelare la salute pubblica dal pericolo di contaminazione. (...continua).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sull’illegittimità di una ordinanza sindacale intimante la rimozione della copertura in “eternit” onde scongiurare il pericolo di diffusione nell’aria delle fibre in amianto.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale".
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Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
Infatti, l'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi della copertura di entrambi i capannoni di proprietà della società ricorrente, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria. Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di rimuovere la copertura, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
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Il provvedimento sindacale è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti adottabili dalla competente amministrazione, atteso che la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992.
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1.- L’odierna ricorrente espone di essere proprietaria di un compendio immobiliare, con destinazione produttiva, sito nel comune di Carinola, composto da due capannoni il cui tetto di copertura era stato realizzato in “eternit” (materiale contenente amianto).
In data 04.06.2019 il personale addetto della locale A.S.L. n. 2 aveva eseguito un sopralluogo presso il succitato immobile, conclusosi con la richiesta di esibizione dei dati analitici relativi alla aerodispersione delle fibre di amianto.
Nonostante l’impegno assunto a trasmettere alla competente autorità la richiesta documentazione attestante le commissionate rilevazioni, all’esito di un successivo sopralluogo condotto dai tecnici comunali, il Comune di Carinola aveva adottato l’ordinanza sindacale oggetto dell’odierno gravame, intimante la rimozione della contestata copertura in “eternit”, onde scongiurare il pericolo di diffusione nell’aria delle fibre in amianto.
Avverso la predetta ordinanza sindacale insorge l’esponente, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
A supporto del gravame, la ricorrente ha dedotto le seguenti doglianze:
...
2.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento per le medesime ragioni già sommariamente delineate in sede cautelare, da cui, pur alla luce del più approfondito esame riservato alla presente fase di merito, non si ravvisano elementi per discostarsi.
2.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge.
5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali
".
In fase cautelare, il Tribunale ha giudicato sussistente il prescritto fumus boni juris, con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità (così l'ordinanza n. 1701/2019).
Tale motivazione va confermata nella presente fase di merito, conducendo ad un giudizio di fondatezza del primo motivo di ricorso.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è emerso, neppure in termini meramente probabilistici, l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado della contestata copertura nonché la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della nota redatta dagli ispettori della competente ASL all’esito del sopralluogo condotto in data 04.06.2019 con cui era richiesto all’amministrazione comunale di attivarsi esclusivamente al fine di reperire dalla società ricorrente la documentazione necessaria per comprovare lo stato di manutenzione e conservazione della copertura de qua.
Parimenti, alcun positivo riscontro in ordine al discusso profilo di pericolo per la salute e l’incolumità pubblica risulta essere stato accertato a seguito dell’ispezione condotta, in data 07.06.2019, dai tecnici comunali, non avendo questi ultimi compiuto gli esami necessari al fine di verificare l’effettiva dispersione di fibre.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
2.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Carinola ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
Come già accennato in sede cautelare, infatti, l'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi della copertura di entrambi i capannoni di proprietà della società ricorrente, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria. Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di rimuovere la copertura, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
2.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti adottabili dalla competente amministrazione, atteso che la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento con esso impugnato (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 01.06.2020 n. 2087 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
 Ordinanza eternit, verifica della pericolosità ed esercizio di poteri straordinari (04.06.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
...
La sez. V Napoli del TAR Campania, con la sentenza 01.06.2020 n. 2087, conferma l’obbligo motivazionale, e prima istruttorio, al fine di procedere legittimamente con il potere di ordinanza, non potendo imporre obblighi di facere senza un adeguato riscontro della pericolosità acclamata e del connesso potere extra ordinem di disporre limiti puntuali agli interessati (i destinatari dell’ordinanza) in ragione del primario interesse all’incolumità pubblica. (...continua).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: MATERIALI DI RIPORTO.
Sono titolare di un’impresa edile che ha presentato al Comune un progetto che prevede la demolizione di alcuni vecchi edifici e la costruzione di una serie di villette, con la previsione della realizzazione di opere di urbanizzazione primaria a scomputo degli oneri anche su un terreno di proprietà del Comune.
Sennonché, ho scoperto che su tale terreno esiste una contaminazione storica in relazione al parametro amianto; inoltre è stata accertata la presenza saltuaria di piccoli frammenti contenenti amianto in matrice compatta. Ho quindi presentato un progetto di bonifica del terreno, ma il Comune l’ha respinto.
Come mai?

La questione è spinosa, e non conoscendo altri dati dalla vicenda (se non che esiste una “contaminazione storica” non meglio precisata) posso dirle quanto segue.
Partiamo dal quadro normativo.
Il Codice dell’ambiente disciplina, nella Parte Quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati.
L’art. 185, in particolare, esclude dall’applicazione della normativa sui rifiuti:
   - “il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminate” nonché
   - “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
La disposizione in parola è stata oggetto d’interpretazione autentica, in base alla quale “i riferimenti al suolo” ivi contenuti “si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’Allegato 2 alla Parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.
Inoltre, l’art. 183 TUA pone delle definizioni rilevanti, sempre ai fini dell’applicazione della normativa sui rifiuti, chiarendo tra l’altro che sono da considerarsi rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo”.
Alla luce di questo quadro normativo, il punto fondamentale per risolvere la questione è se sia o meno possibile ricondurre l’amianto presente nel suolo ai materiali di riporto e, quindi, assoggettarli all’intervento di bonifica (e non alla disciplina dei rifiuti che ne imporrebbe lo smaltimento).
Secondo una recente sentenza del TAR Milano (n. 2691/2019) il fatto che i materiali contenenti amianto (MCA) siano ex lege assimilabili alle matrici materiali di riporto (MMR) non comporta l’automatico assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche, dovendo essere dimostrata, caso per caso, la riconducibilità in concreto dei residui di amianto a tale categoria di materiali: deve esserci una prova, a valle di un’indagine sull’origine e sulle caratteristiche merceologiche dei materiali in questione.
A mero titolo di esempio, l’accatastamento del materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono due aspetti che, secondo la giurisprudenza, fanno propendere per l’inquadramento dei MCA come rifiuti.
Inoltre, a parere della giurisprudenza, quando l’amianto perde la sua destinazione d’uso e rischia di disperdere fibre nell’ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall’art. 3, Legge n. 257/1992 può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica.
È necessario, pertanto, valutare caso per caso e verificare, in concreto, la riconducibilità dei MCA ai materiali di riporto, anche attraverso un’analisi dei “paletti” che la giurisprudenza ha messo nel tempo (Ambiente & Sicurezza n. 5/2020).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: ETERNIT, INERZIA DEL SINDACO, OMISSIONE ATTI D’UFFICIO.
Sono anni che segnalo al Sindaco la presenza nel cortile del mio vicino di lastre di eternit già sgretolate ed in pessime condizioni, ma il Comune non si è mai mosso.
Il Sindaco non è tenuto a fare qualcosa?

Assolutamente sì, specie in casi nei quali sono investiti aspetti sanitari.
Il Sindaco risponde infatti del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.) se, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati cittadini, omette di assumere qualunque iniziativa atta ad imporre al proprietario dell’amianto lo smaltimento dello stesso.
Il Sindaco avrebbe dovuto (dovrebbe ... non so se sia già stato indagato) emettere un’ordinanza contingibile e urgente per imporre al proprietario di intervenire con un progetto di rimozione e smaltimento, al fine di determinare la cessazione del pericolo di contaminazione delle aree territoriali limitrofe.
Ed è indubbia la sussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica: la pericolosità dell’amianto consiste, infatti, come noto, nella capacità dei materiali da esso composti di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, laddove contenute in materiali friabili.
Sostanzialmente in questi termini si è espressa, di recente la Corte di cassazione penale (sentenza n. 1657/2019), relativa ad un caso analogo a quello da lei sinteticamente delineato nel suo quesito, riguardante lastre di eternit accatastate alla rinfusa, all’aperto, su un terreno privato.
La Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la condanna ribadendo che trattasi di reato a consumazione istantanea che può, tuttavia, palesarsi sotto forma di rifiuto implicito, ovvero di persistente inerzia omissiva, senza che quindi lo si possa inquadrare come reato permanente.
In definitiva, in caso di mancata adozione da parte del Sindaco di atti del suo ufficio in situazioni “potenzialmente pregiudizievoli per l’igiene e la salute pubblica è opportuno affermare con nettezza che il reato è consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta” (Ambiente & Sicurezza n. 5/2020).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Il grave pericolo legittima l'ordinanza contingibile e urgente.
Nell’ipotesi di rischio di dispersione di fibre di amianto nell’ambiente a causa del degrado di una ex fabbrica e della concreta possibilità di aggravarsi della situazione, anche a causa dell’azione degli agenti atmosferici, sussistono i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità ed urgenza per l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente di cui all’articolo 54 Dlgs n. 267 del 2000.
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4.5. Il Collegio rileva che la controversia ha ad oggetto l’ordinanza ex art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, con la quale il Sindaco del Comune di Pontassieve, sulla base degli accertamenti tecnici e dei sopralluoghi compiuti dall’ARPA Toscana e dal Comando Polizia Municipale Arno-Sieve, ha imposto alle Curatele appellanti una serie di interventi per la messa in sicurezza dell’area ex Br..
Le parti ricorrenti essenzialmente contestano la sussistenza dei presupposti di urgenza e di pericolo per la pubblica incolumità individuati dall’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000 e deducono l’incompetenza del Sindaco del Comune di Pontassieve ad adottare il provvedimento, dovendo questo inquadrarsi tra gli atti di pura gestione, con conseguente applicazione della normativa del Codice dell’Ambiente.
4.6. Al riguardo, va osservato che con l’ordinanza n. 82/2018, l’Amministrazione comunale ha ordinato alla Br. S.r.l. in liquidazione di provvedere:
   - all’immediata attuazione di misure atte ad impedire l’accesso all’area, mediante il ripristino della funzionalità della ricezione perimetrale;
   - alla realizzazione di interventi ritenuti idonei allo scopo al fine di impedire per quanto possibile ad estranei l’accesso e l’utilizzo degli immobili risultati soggetti ad occupazione abusiva;
   - alla rimozione delle bombole di gas propano liquido presenti nell’area dell’ex fabbrica, con contestuale presentazione al Comando di Polizia Municipale Arno-Sieve della documentazione attestante l’avvenuto regolare smaltimento.
Con la successiva ordinanza n. 96 del 23.02.2018, il Comune di Pontassieve ha ordinato sia al Curatore fallimentare di Br. S.r.l., che al Curatore fallimentare di Br.In. S.r.l. in liquidazione, di provvedere:
   - alla presentazione presso l’USL (avvalendosi di un’impresa abilitata a smaltire materiale contenente amianto) il Piano di Lavoro preordinato alla rimozione di tutto l’amianto presente nell’area ex Br. (con particolare riferimento alle coperture degli immobili in fibrocemento contenente amianto; ai frammenti delle coperture contenenti amianto caduti a terra e sparsi sia all’interno dei locali che sui vialetti esterni; agli altri rifiuti contenenti amianto provenienti dallo smontaggio di macchinari);
   - a bonificare tramite rimozione, entro 90 giorni dall’approvazione del Piano di Lavoro, tutti i materiali (coperture, coibentante e rifiuti) contenenti amianto presenti nell’area industriale in oggetto;
   - ad eseguire la messa in sicurezza di tutti i rifiuti abbandonati ancora presenti nell’area;
   - a rimuovere e smaltire i rifiuti di cui al punto precedente mediante una ditta specializzata.
La sussistenza in concreto del presupposto del danno grave ed imminente per la salute pubblica risulta esplicitata nell’ordinanza n. 96/2018, con la quale si fa riferimento alle criticità riscontrate con nota prot. n. 3236/2018 del Responsabile del Dipartimento ARPAT di Firenze (acquisita al protocollo comunale con n. 1309 del 16.01.2018) e cioè:
   a) la presenza di coperture del tetto del capannone facente parte dello stabilimento industriale in fibrocemento contenente amianto;
   b) frammenti di coperture dispersi sia all’interno del capannone che nelle aree esterne circostanti, e necessità di verificare la presenza di amianto negli altri rifiuti rinvenuti nell’area;
   c) immediata messa in sicurezza e successivo allontanamento di tutti i rifiuti abbandonati tutt’ora presenti nell’area;
   d) adozione di misure atte ad impedire l’accesso abusivo all’area, sia per motivi di sicurezza che per evitare atti di vandalismo che potrebbero ulteriormente aggravare i rischi ambientali.
In relazione a tali criticità -risultanti anche dalla nota del Corpo Polizia Municipale Arno-Sieve del 25.01.2017 (rectius 2018) prot. n. 2332/2018-, l’ARPAT di Firenze, con la sopra citata nota, ha rappresentato la necessità e l’urgenza di emanare provvedimenti volti a mettere in sicurezza l’area dell’ex fabbrica.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT Fl.01.17.31/68.11 (con allegata documentazione fotografica) emerge, quanto segue: “Vista la datazione dell’edificio ed il contenuto di varie comunicazioni intercorse fra la proprietà ed il Comune è pressoché certa la presenza di amianto nelle coperture mentre non si può escludere che lo stesso materiale sia tuttora presente come materiale coibente sia dei forni ancora presenti che nelle macerie presenti all’interno di alcuni edifici e presumibilmente derivanti dalla rimozione, fatta in maniera approssimativa, dei macchinari. Materiale in fiocco è stato inoltre rinvenuto in alcune scatole poste all’interno di uno dei capannoni”.
Secondo il Collegio, quindi, nella fattispecie sussistevano tutti i presupposti utili per adottare, ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, l’ordinanza contingibile ed urgente in luogo dell’ordinanza prevista dal codice dell’ambiente.
Infatti, il rischio di dispersione delle fibre di amianto nell’ambiente, eziologicamente riconducibile all’accertato stato di degrado dell’ex fabbrica, e la concreta possibilità di aggravarsi della situazione anche a causa dell’azione di agenti atmosferici inducono a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
4.7. In considerazione di quanto sopra, il Collegio ritiene di condividere le statuizioni del TAR per la Toscana (censurate dalle parti appellanti con il primo, secondo, terzo e settimo dei motivi di appello), atteso che l’Amministrazione comunale ha ordinato alle Curatele di adottare misure atte a prevenire eventi dannosi per la salute e l’incolumità pubblica.
Infatti, lo stato di contaminazione dei terreni in oggetto non può ritenersi identico a quello accertato con ordinanza n. 355/2012, considerato che in tale ordinanza non si è dato atto della presenza di amianto. A differenza di quanto affermato dalle appellanti, l’attuale stato di inquinamento è radicalmente diverso rispetto a quello contestato con ordinanza n. 355/2012.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT - Area Vasta Centro - Dipartimento di Firenze Fl.01.17.31/68.11, si evince che l’ordinanza n. 355/2012 è stata ottemperata solo in parte, considerato che non risultano essere stati presentati:
   - il piano di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti speciali e non pericolosi, con l’indicazione del cronoprogramma dei lavori, redatto conformemente al Piano di Sicurezza e Coordinamento;
   - il censimento e la classificazione dei rifiuti;
   - non sono stati rimossi e smaltiti tutti i rifiuti presenti all’interno ed all’esterno dei fabbricati dello stabilimento industriale, come emerso dai sopralluoghi espletati il 09.01.2018 ed il 28.02.2018.
Pertanto, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado,
il potere di ordinanza esercitato dal Sindaco di Pontassieve trova fondamento nell’articolo 54, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale l’organo comunale deve adottare provvedimenti anche in via contingibile e urgente laddove si verifichino gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica o la sicurezza urbana, presupposti che ricorrono nel caso di specie.
Relativamente alla circostanza che il Comune di Pontassieve ha indicato come base normativa del provvedimento l’art. 50 del D.lgs. n. 267/2000, si osserva che tale riferimento, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, non è vincolante in sede giudiziaria, essendo invece determinante il contenuto ed i presupposti sostanziali sui quali esso si fonda.
5. Con il quarto motivo di appello, le appellanti hanno contestato la sentenza impugnata in quanto il TAR per la Toscana non avrebbe esaminato un altro profilo segnalato dalla IV Sez. di questo Consiglio di Stato con ordinanze n. 3495/2018 e n. 3493/2018, cioè, la necessità di verificare “l’imputabilità alla Curatela fallimentare, ai fini della responsabilità, del compimento dell’attività intimata, pur in mancanza della prosecuzione dell’impresa”.
In particolare, si afferma che i rifiuti presenti nell’area de qua sarebbero da ricondursi all’esercizio dell’attività produttiva svolta antecedentemente alla nomina dei Curatori fallimentari (come attesterebbe anche la relazione dell’ARPAT).
Pertanto, le Curatele fallimentari non potrebbero essere destinatarie, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento (omissivo o commissivo) delle imprese fallite, né potrebbe essere ascritta una tale responsabilità ai Curatori ai sensi del comma 3 dell’art. 192 D.lgs. n. 152/2006.
5.1. Sul punto, il Collegio ritiene condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado con la sentenza impugnata, e cioè che l’attuazione di misure volte a mettere in sicurezza il sito è stata imposta alle Curatele fallimentari, “poiché
se la curatela non è chiamata a succedere in obblighi o responsabilità del fallito, è tuttavia tenuta all'adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene (TAR Friuli Venezia Giulia I, 24.09.2018 n. 305)”.
Infatti,
nel caso di presenza di amianto l’attività che si richiede al detentore attuale del bene è di mera sorveglianza ed è, quindi, attività che si può esigere anche da colui che risulti possessore nel momento in cui vengono rilevate le problematiche di cui alla legge n. 257/1992 e relativo regolamento attuativo.
Infatti,
la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali (come nel caso in esame, dove è stata presumibilmente l’azione del vento a strappare via una parte delle coperture del tetto contenenti amianto) rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. sentenza del TAR per il Piemonte, 06.03.2014, n. 480)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.03.2020 n. 1961 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI: L’esecuzione spontanea di un’ordinanza contingibile e urgente (in specie riguardante la messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone principale) non può spiegare alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e, quindi, sulla legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza contingibile e urgente, riguardante altri beni ed altri oneri.
La mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si è prestata acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il provvedimento successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la decisione di primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della difesa comunale- allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi effetti con riguardo al singolo provvedimento (anche se in ipotesi illegittimo), non può certo valere come rinuncia preventiva all’impugnazione di futuri provvedimenti.

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L’obbligo di rimozione della copertura di cemento-amianto del capannone industriale, così come imposto con l’ordinanza contingibile e urgente qui impugnata, è illegittimo poiché quest'ultima è stata adottata non in presenza dei presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria.
Invero:
   - l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore fallimentare, esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
   - l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali fattispecie legittimanti;
   - né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
   - infine, manca anche l’indicazione di una situazione di eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi nei termini sopra detti.
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... per la riforma della sentenza n. 467/2015 del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. I, resa tra le parti.
... 
1. La curatela del Fallimento Be. s.r.l., nella persona del curatore, ha impugnato l’ordinanza contingibile e urgente n. 31 del 22.07.2014 (nonché la successiva ordinanza confermativa n. 34 del 07.08.2014 e il provvedimento con cui l’amministrazione ha ritenuto di non annullare in autotutela i suddetti provvedimenti), limitatamente alla parte con la quale il sindaco del Comune di Maltignano ha imposto al curatore l’esecuzione del seguente intervento, dichiaratamente finalizzato a prevenire possibili rischi per la salute e l’incolumità pubbliche:
   - adottare tutti gli adempimenti necessari ed urgenti per la messa in sicurezza delle parti della copertura danneggiate, oltre ai restanti adempimenti di cui alla relazione ispettiva del 03.06.2014 (richiamata a formare parte integrante del provvedimento).
Gli adempimenti predetti riguardano la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nella struttura edilizia di copertura di un capannone industriale, ricadente alla via ... n. 2 del territorio di Maltignano, nel quale la fallita società Be. aveva svolto la propria attività d’impresa fino al 2001 e per il quale -dopo la dichiarazione di fallimento intervenuta nel 2007 ed in pendenza di un’esecuzione individuale, intrapresa da un creditore fondiario nel 2010, avente ad oggetto il medesimo compendio immobiliare- l’organo tecnico competente aveva rilevato il rischio di “potenziale dispersione di fibre cancerogene nell’ambiente circostante” (come da relazione dell’ASUR del 03.06.2014).
...
3. Col primo motivo si censura la sentenza nella parte in cui, in riferimento all’acquiescenza prestata dalla curatela all’ordinanza del 2013, ha affermato che ciò “costituisce un primo elemento a sfavore della tesi di parte ricorrente, non potendosi ritenere che la legittimazione passiva rispetto ad un provvedimento del tenore di quello impugnato sia legata all’entità della spesa necessaria ad adempire l’ordine di bonifica […]”.
3.1. Il motivo è fondato laddove sostiene che l’esecuzione spontanea di un’ordinanza contingibile e urgente (in specie, quella del 04.06.2013 riguardante la messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone principale, oggetto invece delle ordinanze qui impugnate) non può spiegare alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e quindi sulla legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza contingibile e urgente (in specie, quella del 22.07.2014), riguardante altri beni ed altri oneri.
3.2. Così come la mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si è prestata acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il provvedimento successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la decisione di primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della difesa comunale- allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi effetti con riguardo al singolo provvedimento (anche se in ipotesi illegittimo), non può certo valere come rinuncia preventiva all’impugnazione di futuri provvedimenti (cfr. Cons. Stato, IV, 22.11.2013, n. 5557).
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10. Occorre pertanto verificare se sia riconducibile a tale ultima fattispecie l’obbligo di rimozione della copertura interna di cemento-amianto del capannone industriale, così come imposto con l’ordinanza contingibile e urgente qui impugnata, e se questa e gli atti successivi (di conferma e di diniego di autotutela) siano stati adottati in presenza dei presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria, di cui si sia dato conto in motivazione.
10.1. La risposta è negativa, come dedotto con i su riportati motivi di appello, atteso che:
   - l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore, esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
   - l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali fattispecie legittimanti;
   - né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
   - infine, manca anche l’indicazione di una situazione di eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi nei termini sopra detti.
11. L’appello va quindi accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso proposto dal Fallimento Be. s.r.l. e vanno annullati gli atti impugnati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2020 n. 1759 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2020 "Ordine del giorno concernente gli incentivi per la rimozione dell’amianto negli ex capannoni industriali in disuso" (deliberazione C.R. 17.12.2019 n. 884).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI – Divieto di impiego di prodotti contenenti amianto a partire dalla l. 257/1992 – Qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati – Riferimento al momento della scoperta.
La circostanza che l’impiego di prodotti di amianto o contenenti amianto risulti vietato a partire dalla legge 257/1992 non modifica la qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la condizione giuridica dei rifiuti deve essere riferita al momento della scoperta, ossia al presente.
...
RIFIUTI – Ordine di rimozione associato a un ordine di caratterizzazione – Legittimità – Art. 239, c. 1-a, d.lgs. n. 152/2006.
La scelta di associare all’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati un ordine di caratterizzazione dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti, deve ritenersi legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra la fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente collocata nell’immediatezza della scoperta, e la fase successiva ed eventuale di bonifica dell’area.
La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale veicolo di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali, e dunque nel momento in cui si effettua la rimozione occorre accertare se vi siano situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art. 239, comma 1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da svolgere a seguito della rimozione dei rifiuti.

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RIFIUTI – Rimozione dei rifiuti abbandonati – Continuità con l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali – Coordinamento tra amministrazioni competenti sui rifiuti e sulla bonifica.
La bonifica riguarda operazioni distinte dalla rimozione dei rifiuti abbandonati, e si fonda sul diverso presupposto del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla bonifica, rientra nella competenza della Provincia (v. art. 242-244 del Dlgs. 152/2006).
In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione dei rifiuti abbandonati e l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali. I rifiuti non controllati devono infatti essere presi in esame come potenziali cause di superamento delle CSC, o come fattori di un rischio imminente di contaminazione.
È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno competenza sulla bonifica. In questo quadro, è legittimo che l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato a un ordine di caratterizzazione. Si tratta evidentemente di una prima caratterizzazione, i cui risultati devono essere discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi sia effettivamente una situazione di contaminazione, o se siano necessari nuovi campionamenti.
I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Una volta fissate le CSR, la conferenza di servizi decide sulla necessità e sul contenuto della bonifica
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 07.02.2020 n. 114 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALIPer quanto riguarda la competenza del sindaco, espressamente prevista dell’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006 in relazione all’ordine di rimozione e avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti abbandonati, la giurisprudenza ritiene che questa norma, in quanto disposizione speciale sopravvenuta, prevalga sul principio di devoluzione dei compiti gestionali ai responsabili degli uffici previsto dall’art. 107, comma 5, del Dlgs. 267/2000.
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In base all’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006, la rimozione dei rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, può essere imposta al proprietario dell’area qualora l’abbandono sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
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La circostanza che l’impiego di prodotti di amianto o contenenti amianto risulti vietato a partire dalla legge 257/1992 non modifica la qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la condizione giuridica dei rifiuti deve essere riferita al momento della scoperta, ossia al presente.
Non è quindi rilevante quello che il proprietario dell’area poteva fare in passato con l’amianto. Rileva unicamente che nella sfera di controllo del proprietario dell’area si trovino attualmente dei rifiuti contenenti amianto, e dunque pericolosi.
In proposito, occorre richiamare anche la normativa comunitaria, la quale (v. art. 3 par. 1.6 della Dir. 19.11.2008 n. 2008/98/CE, nonché i successivi art. 14 e 15) impone l’obbligo di rimozione e smaltimento non solo al produttore storico dei rifiuti ma anche al detentore attuale, inteso come la persona fisica o giuridica nel possesso degli stessi.
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Per quanto riguarda la scelta di associare all’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati un ordine di caratterizzazione dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti, si può ritenere che tale combinazione sia legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra la fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente collocata nell’immediatezza della scoperta, e la fase successiva ed eventuale di bonifica dell’area. La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale veicolo di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali, e dunque nel momento in cui si effettua la rimozione occorre accertare se vi siano situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art. 239, comma 1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da svolgere a seguito della rimozione dei rifiuti.
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La bonifica riguarda operazioni distinte dalla rimozione dei rifiuti abbandonati, e si fonda sul diverso presupposto del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla bonifica, rientra nella competenza della Provincia (v. art. 242-244 del Dlgs. 152/2006).
In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione dei rifiuti abbandonati e l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali. I rifiuti non controllati devono infatti essere presi in esame come potenziali cause di superamento delle CSC, o come fattori di un rischio imminente di contaminazione. È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno competenza sulla bonifica. In questo quadro, è legittimo, come si è visto sopra, che l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato a un ordine di caratterizzazione.
Si tratta evidentemente di una prima caratterizzazione, i cui risultati devono essere discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi sia effettivamente una situazione di contaminazione, o se siano necessari nuovi campionamenti. I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura di analisi del rischio sitospecifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Una volta fissate le CSR, la conferenza di servizi decide sulla necessità e sul contenuto della bonifica.
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15. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni.
Sulla competenza del sindaco
16. Per quanto riguarda la competenza del sindaco, espressamente prevista dell’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006 in relazione all’ordine di rimozione e avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti abbandonati, la giurisprudenza ritiene che questa norma, in quanto disposizione speciale sopravvenuta, prevalga sul principio di devoluzione dei compiti gestionali ai responsabili degli uffici previsto dall’art. 107, comma 5, del Dlgs. 267/2000 (v. recentemente CS Sez. V 08.07.2019 n. 4781).
17. È vero che il provvedimento impugnato è esteso anche all’attività di bonifica, la quale rientra invece nella regola generale della competenza dirigenziale, ma si tratta di una questione da risolvere in via interpretativa, coordinando i vari ordini impartiti alla ricorrente.
18. Risulta infatti legittimo che il sindaco disponga la rimozione dei rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, e contestualmente anticipi uno degli esiti possibili del seguito della procedura, ossia l’obbligo di bonifica per l’ipotesi di accertamento della contaminazione delle matrici ambientali. In questo modo, il sindaco non si appropria di competenze dirigenziali, ma fornisce al destinatario dell’ordinanza un quadro degli adempimenti che potrebbero subentrare una volta rimossi i rifiuti ed effettuata la caratterizzazione dell’area.
Sulla responsabilità dell’abbandono dei rifiuti
19. In base all’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006, la rimozione dei rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, può essere imposta al proprietario dell’area qualora l’abbandono sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
20. Nello specifico, l’elemento soggettivo emerge in modo evidente dalla doppia posizione della ricorrente, non solo proprietaria dell’area ma anche titolare dell’attività produttiva. L’utilizzazione a scopi produttivi implica un controllo effettivo ed esclusivo tanto dell’area quanto delle operazioni svolte sulla stessa. Non vi è dunque spazio per un ragionevole dubbio circa interferenze di soggetti terzi sfuggite alla vigilanza della ricorrente.
21. La circostanza che l’impiego di prodotti di amianto o contenenti amianto risulti vietato a partire dalla legge 257/1992 non modifica la qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la condizione giuridica dei rifiuti deve essere riferita al momento della scoperta, ossia al presente. Non è quindi rilevante quello che il proprietario dell’area poteva fare in passato con l’amianto. Rileva unicamente che nella sfera di controllo del proprietario dell’area si trovino attualmente dei rifiuti contenenti amianto, e dunque pericolosi.
22. In proposito, occorre richiamare anche la normativa comunitaria, la quale (v. art. 3 par. 1.6 della Dir. 19.11.2008 n. 2008/98/CE, nonché i successivi art. 14 e 15) impone l’obbligo di rimozione e smaltimento non solo al produttore storico dei rifiuti ma anche al detentore attuale, inteso come la persona fisica o giuridica nel possesso degli stessi. Questo parametro identifica ancora la ricorrente, che è proprietaria dell’area da molti anni, ed esercita sulla stessa, attualmente come in passato, un pieno controllo, coincidente con la nozione comunitaria di possesso.
Sull’obbligo di caratterizzazione
23. Per quanto riguarda la scelta di associare all’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati un ordine di caratterizzazione dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti, si può ritenere che tale combinazione sia legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra la fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente collocata nell’immediatezza della scoperta, e la fase successiva ed eventuale di bonifica dell’area. La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale veicolo di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali, e dunque nel momento in cui si effettua la rimozione occorre accertare se vi siano situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art. 239, comma 1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da svolgere a seguito della rimozione dei rifiuti.
24. Sul problema dell’estensione dell’area da sottoporre a caratterizzazione era stato disposto, attraverso le ordinanze cautelari sopra indicate, un confronto tra la ricorrente e il Comune. Tale confronto aveva lo scopo di raggiungere per gradi, e nel contraddittorio della conferenza di servizi, una più precisa localizzazione dei rifiuti abbandonati, e conseguentemente dei punti da sottoporre a caratterizzazione. L’ordinanza n. 471/2018 ha sottolineato la necessità di leale collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, con la riserva di valutare il comportamento delle parti come argomento di prova ai sensi dell’art. 64, comma 4 cpa.
25. Come si è visto sopra, le indicazioni propulsive formulate in sede cautelare non hanno prodotto risultati, a causa del rifiuto della ricorrente di eseguire le analisi sulla propria aliquota di materiale prelevato il 24.05.2018. Senza la validazione dei risultati sui contaminanti non vi sono elementi sicuri che consentano di riproporzionare le aree da caratterizzare. L’obbligo a carico della ricorrente rimane quindi riferito all’intero mappale n. 220, secondo le direttive che saranno formulate dall’ARPA sulla base dei dati a disposizione della stessa.
Sul rapporto tra rimozione dei rifiuti e bonifica
26. La bonifica riguarda operazioni distinte dalla rimozione dei rifiuti abbandonati, e si fonda sul diverso presupposto del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla bonifica, rientra nella competenza della Provincia (v. art. 242-244 del Dlgs. 152/2006).
27. In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione dei rifiuti abbandonati e l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali. I rifiuti non controllati devono infatti essere presi in esame come potenziali cause di superamento delle CSC, o come fattori di un rischio imminente di contaminazione. È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno competenza sulla bonifica. In questo quadro, è legittimo, come si è visto sopra, che l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato a un ordine di caratterizzazione.
28. Si tratta evidentemente di una prima caratterizzazione, i cui risultati devono essere discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi sia effettivamente una situazione di contaminazione, o se siano necessari nuovi campionamenti. I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura di analisi del rischio sitospecifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Una volta fissate le CSR, la conferenza di servizi decide sulla necessità e sul contenuto della bonifica.
29. Il Comune, attraverso l’ordinanza n. 80/2017, ha delineato questo percorso, ma evidentemente non ha anticipato, né avrebbe potuto anticipare, le valutazioni proprie dei passaggi successivi, nei quali dovranno essere coinvolte altre amministrazioni, e in particolare l’ARPA e la Provincia.
Di conseguenza, il suddetto provvedimento, letto in collegamento con la nota del NOE di Brescia del 20.03.2017, risulta legittimo, in quanto interpretabile come un ordine riferito all’immediata rimozione dei rifiuti abbandonati e alla prima caratterizzazione dell’area, in vista di un successivo intervento di bonifica da valutare con il concorso di tutte le amministrazioni competenti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 07.02.2020 n. 114 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: F. Vanetti, La complessa identificazione del materiale di riporto. analisi e proposte per un nuovo approccio alla tematica - commento a TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.12.2019 n. 2691 (febbraio 2020 - link a http://rgaonline.it).
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MASSIMA:
   - La collocazione relativamente recente del materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono due aspetti convergenti nell’evidenziare la mancanza, nella fattispecie, dell’orizzonte stratigrafico richiesto dalla normativa ai fini della qualificazione del materiale di riporto.
   - Nel caso in cui l’amianto perda la sua originaria destinazione (essendo state demolite le case di cui costituiva il rivestimento), la classificazione del materiale in questione deve essere di rifiuto speciale pericoloso, non assoggettabile a bonifica.

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco che non si occupa dello smaltimento dell'amianto.
Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco pro-tempore che non si attiva per far smaltire le lastre di eternit accatastate alla rinfusa sul terreno di un privato.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con la sentenza 16.01.2020 n. 1657 in linea con i precedenti gradi di giudizio.
La vicenda si incardina sulla decisone della Corte d'appello di Milano che aveva ribadito la responsabilità, affermata in primo grado dal Tribunale di Pavia, in ordine al reato di rifiuto di atti d'ufficio (articolo 328 del codice penale) per il sindaco pro tempore di un Comune.
L'uomo, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati cittadini, in un arco temporale di alcuni anni (maggio 2010-marzo 2014), aveva omesso di assumere qualunque iniziativa atta a imporre al proprietario dell'area lo smaltimento del materiale di amianto accatastato alla rinfusa e all'aperto su un terreno. Iniziativa, invece, immediatamente assunta dal sindaco a lui subentrato con un'ordinanza contingibile e urgente che aveva risolto il problema ed evitato il pericolo di contaminazione delle aree limitrofe.
Contro questa sentenza, il sindaco imputato ha proposto ricorso per cassazione. La Suprema corte ha confermato quanto deciso nei precedenti gradi di giudizio. Il reato di rifiuto, esplicito 0 implicito, di un atto d'ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato quando -come si legge nella sentenza- «a fronte di formali sollecitazioni a agire rivolte al pubblico ufficiale e rimaste senta esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a esplicare i suoi effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare».
La precisazione dei giudici è, poi, che nella fattispecie considerata, il reato si è consumato ogni volta che l'imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di tutti i solleciti ricevuti che rendevano indifferibile l'adozione dell'atto d'ufficio (nella specie, un'ordinanza contingibile e urgente) imposto da esigenze di protezione sanitaria (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 17.01.2020).
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MASSIMA
3. Possono ora essere esaminati congiuntamente il secondo, il terzo e parzialmente il quarto motivo di ricorso che, al di là dell'impropria individuazione dei bersagli oggetto di censura, investono tutti la questione centrale del presente giudizio e vale a dire la struttura dell'illecito penale contestato al ricorrente ai sensi dell'art. 328 cod. pen.
Dalla lettura coordinata della sentenza impugnata e degli atti delle parti private si ricava che a seguito del rigetto dell'iniziale richiesta di archiviazione e della imposizione coattiva di procedere ex art. 409, comma 5, cod. proc. pen., il PM ha configurato il delitto di cui all'art. 328 cod. pen. come reato permanente a partire dalla prima segnalazione dell'esistenza del problema sanitario (l'abbandono a cielo aperto di rifiuti contaminati da amianto in un'area privata) da parte del Corpo Forestale dello Stato nel maggio 2010 fino al marzo 2014, epoca in cui ancora una volta lo stesso Corpo segnalava la persistenza della situazione pericolosa.
Nella motivazione della sentenza impugnata, la Corte d'Appello dà conto di sei inviti formali rivolti al Sindaco, il primo il 21/05/2010 e l'ultimo il 21/03/2014 da parte di organi pubblici o da privati cittadini, tra cui la parte offesa Gi.Al. nonché lo stesso proprietario dell'area su cui era stata riscontrata la presenza dei rifiuti (Gu.Gi.), tutti rimasti senza effetto, tanto che la vicenda avrebbe trovato soluzione solo con l'insediamento del nuovo Sindaco che, non appena insediato, emanava ordinanza urgente, tra l'altro prontamente ottemperata dall'interessato, di provvedere allo smaltimento controllato dei rifiuti in questione.
Ciò premesso riguardo alla ricostruzione della fattispecie concreta, vanno svolte le seguenti considerazioni in diritto.
Risultano infondate le doglianze concernenti la presunta genericità ed imprecisione del capo d'imputazione nonché la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Come anticipato, la mancata indicazione nel capo d'imputazione delle specifiche sollecitazioni a dispetto delle quali il ricorrente omise di adottare atti del suo ufficio non ha inciso affatto sul nucleo fondamentale dell'accusa, rappresentata per l'appunto dalla mancata adozione di provvedimenti al configurarsi di quella particolare situazione di fatto da cui scaturiva l'obbligo giuridico di agire.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, infatti, ha più volte affermato il principio che il delitto di cui all'art. 328, comma 1, cod. pen. è integrato, ogni qualvolta si configuri una situazione di fatto che qualifichi l'atto omesso come dovuto (v. oltre per la giurisprudenza).
Risulta, inoltre, infondata anche la doglianza relativa alla mancata correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che l'imputazione è rimasta anche formalmente inalterata e le specifiche occasioni prese in considerazione dalla Corte di merito per valutare la sussistenza dell'omissione penalmente rilevante (pag. 7 sent.) erano tutte a conoscenza dell'imputato fin dalla fase successiva all'articolazione formale dell'accusa e da cui ha potuto ampiamente difendersi.
E' noto, infatti, che una o meglio la ragione fondamentale che sostanzia il principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen. è quella di consentire all'imputato il pieno dispiegarsi del suo diritto a difendersi, che sarebbe vanificato ove la condanna intervenisse per un fatto non contestato e su cui non si è instaurato contraddittorio nel corso del giudizio (ex pluribus v. Sez. 2, sent. n. 11459 del 10/03/2015, Tribuzio, Rv. 263306; Sez. 3, sent. n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 6, sent. n. 34879 del 10/01/2007, Sartori e altri, Rv. 237415).
Come parimenti anticipato,
il tema che viene veramente in rilievo riguarda la struttura del reato di cui all'art. 328, comma 1 cod. pen. di rifiuto di atti d'ufficio.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è ferma nel ritenerlo reato a consumazione istantanea (Sez. 6, sent. n. 43903 del 13/07/2018, Mango, Rv. 274574; Sez. 6, sent. n. 27044 del 19/02/2008, Mascia, Rv. 240979; Sez. 6, sent. n. 35837 del 26/04/2007, Civisca, Rv. 237706; Sez. 6, sent. n. 12238 del 27/01/2004, PG in proc. Bruno ed altri, Rv. 228277), che può, tuttavia, palesarsi sotto forma di rifiuto implicito ovvero di persistente inerzia omissiva (Sez. 6, sent. n. 47531 del 20/11/2012, Cambria, Rv. 254039; Sez. 6, n. 10051 del 20/11/2012, dep. 2013, Nolè, Rv. 255717; Sez. 6, sent. n. 7766 del 09/12/2002, dep. 2003, PM in proc. Masi, Rv. 223955) a fronte di un'urgenza sostanziale (Sez. 4, sent. n. 17069 del 16/02/2012, Ranasinghe Arachchige Samudri e altri, Rv. 253067) o di una situazione che qualifichi l'atto omesso come dovuto (Sez. 6, n. 33857/2014 cit.; Sez. 6, n. 13519 del 29/01/2009, Gardali e altri, Rv. 243684).
Non v'è dubbio, tuttavia, che l'affermazione dell'eguale rilevanza penalistica della persistente inerzia omissiva rispetto al rifiuto formale può suscitare incertezze interpretative circa la struttura dell'illecito penale, con la possibilità per taluni di consideralo reato eventualmente permanente, atteso che solo la relativamente recente Sez. 6 sent. n. 43903/2018 cit. ha espressamente stabilito che esso rimane istantaneo anche ove si palesi sotto forma di inerzia omissiva.
Questa è verosimilmente una delle ragioni che ha indotto il Pubblico Ministero, a fronte dell'ordine di formulazione coattiva dell'imputazione da parte del GIP, a contestare il reato come permanente, ferma restando, però, la primaria esigenza di fotografare con l'imputazione la peculiare fattispecie emersa dalle indagini.
Tanto premesso,
il Collegio non intende discostarsi dalla concezione e dalla affermazione giurisprudenziale tradizionali che quello di cui all'art. 328, comma 1, cod. pen. costituisce reato di natura istantanea, ma deve confrontarsi con la fattispecie in esame che ha visto il pubblico ufficiale reiteratamente e formalmente sollecitato ad adottare un atto del proprio ufficio, da intendersi come atto dovuto per le più volte segnalate esigenze di tutela sanitaria.
Pur essendovi, dunque, la possibilità di rifarsi a specifici precedenti giurisprudenziali circa la configurabilità del reato in caso di mancata adozione da parte del Sindaco di atti del suo ufficio in situazioni <potenzialmente pregiudizievoli per l'igiene e la salute pubblica> (Sez. 6, sent. n. 12147 del 12/02/2009, Sodano, Rv. 242937; Sez. 6, n. 13519/2009, Gardali e altri cit.), sembra opportuno affermare con nettezza che
nella fattispecie considerata il reato si è consumato ogni volta che l'imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta (la presenza di rifiuti di amianto accatastati a cielo aperto in prossimità di abitazioni limitrofe) che rendeva indifferibile l'adozione dell'atto d'ufficio (nella specie: ordinanza contingibile e urgente) imposto dalle più volte ricordate esigenze di protezione sanitaria.
Conclusivamente
il reato istantaneo di rifiuto, esplicito o implicito, di un atto dell'ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato (concorso materiale omogeneo) quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolti al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui ad esplicare i suoi effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare.
Alla luce delle precedenti considerazioni, deve escludersi che la Corte territoriale abbia ravvisato la sussistenza di una pluralità di reati, limitandosi unicamente a precisare le modalità di manifestazione del reato.
La qualificazione come reato continuato comporterebbe a rigore, ai sensi dello art. 158, comma 1, cod. pen., la necessità di dichiararne la prescrizione in relazione alle condotte omissive manifestatesi prima del 12/05/2012 (termine di prescrizione massima: la data odierna del 12/11/2019) e concretamente al rifiuto implicito maturato dopo la prima segnalazione dell'abbandono all'aperto delle lastre di eternit da parte del Corpo Forestale dello Stato del 21/05/2010, ma l'irrogazione della pena minima di quattro mesi di reclusione rende priva di effetto sul piano sanzionatorio tale pur doverosa precisazione.

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Vivoli, LE RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN CASO DI ABBANDONO RIFIUTI: Sentenze contrastanti o  diversi valori costituzionali in gioco? (gennaio 2020 - tratto da www.ambientediritto.it).
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ABSTRACT: Nel contributo vengono analizzate le posizioni che la giurisprudenza ha assunto nei confronti del curatore fallimentare in caso di abbandono rifiuti derivanti dalla precedente attività dell’impresa fallita; rispetto a posizioni oscillanti della giurisprudenza, il contributo cerca di offrire una prospettiva più ampia che si fonda sui diversi valori costituzionali che possono e in alcuni casi impongono posizioni differenziate.
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SOMMARIO: 1. Introduzione e delimitazione dell’analisi giuridica; 2. Le peculiarità della figura del curatore nella giurisprudenza ordinaria; 3. Il curatore come soggetto subentrante; 4. Il curatore come soggetto detentore dei rifiuti; 5. Il caso dell’amianto; 6. Conclusioni.

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 53 del 30.12.2019 "Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico - finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della l.r. 31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2020" (L.R. 30.12.2019 n. 23).
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Di particolare interesse si leggano:
  
Art. 1 - (Disposizioni in materia di personale delle province e della Città metropolitana di Milano impiegato per l’esercizio di funzioni confermate in capo alle stesse)
   Art. 2 - (Sostituzione dell’articolo 20-ter della l.r. 19/2008)
1. L’articolo 20-ter della legge regionale 27.06.2008, n. 19 (Riordino delle Comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombardi e sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali) è sostituito dal seguente: (...continua)
   Art. 22 - (Modifica dell’art. 13 della l.r. 4/2016)
1. Al comma 1 dell’articolo 13 della legge regionale 15.03.2016, n. 4 (Revisione della normativa regionale in materia di difesa del suolo, di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d’acqua) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: (...continua)
   Art. 30 - (Modifiche alla l.r. 17/2003)
1. Alla legge regionale 29.09.2003, n. 17 (Norme per il risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento dell’amianto) sono apportate le seguenti modifiche: (...continua)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 24.12.2019, "Bando per L’assegnazione di contributi ai cittadini per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o. 14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione Terzo ed ultimo elenco di domande ammesse e non ammesse a finanziamento ed assunzione degli impegni di spesa" (decreto D.U.O. 18.12.2019 n. 18680).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto oscillante tra rifiuto e bonifica
Amianto non sempre assoggettato alla disciplina sulle bonifiche, bensì a quella sui rifiuti.

I chiarimenti giungono dal TAR Lombardia-Milano (Sez. III) con la sentenza 18.12.2019 n. 2691.
Il punto nodale della controversia concerne proprio la dimostrazione della riconducibilità degli Mca, rinvenuti in alcune aree della città di Milano oggetto di un investimento immobiliare, alle matrici materiali di riporto.
Nella sentenza in oggetto il collegio non ritiene di potere condividere l'impostazione secondo la quale, partendo dall'assunto che i materiali contenenti amianto (Mca) sono assimilabili alle matrici materiali di riporto (Mmr), ne pretende l'assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche (Parte IV, Tit. V, Tua) anziché a quella sui rifiuti (Parte IV, Tit. I, Tua).
I giudici, pur non evidenziando un'aprioristica esclusione dalla bonifica dei materiali contenenti amianto, rileva gli elementi per motivare la non riconducibilità degli Mca rinvenuti nel terreno fra le Mmr, di cui agli art. 185 e 240 del Tua. Tali elementi fanno leva sull'origine e sulle caratteristiche merceologiche degli Mca.
La circostanza, ad esempio, che i materiali in questione provengano da demolizioni relativamente recenti non può che allontanare, sotto più profili, i materiali stessi dalla categoria delle matrici materiali di riporto. Va, in tal senso, rammentato che, stando alla norma d'interpretazione autentica dell'art. 185 del dlgs 152 del 2006 (l'art. 3 del dl 25/01/2012, e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa collocazione temporale dei riporti, si ricava da un'interpretazione complessiva della norma che essi debbono essere risalenti nel tempo, sì da costituire «un orizzonte stratigrafico specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che, utilizzato nel corso del tempo per la realizzazione di riempimenti, rilevati e reinterri, ha avuto modo di stratificarsi e sedimentarsi nel suolo, a profondità variabili, sino ad assestarsi e compattarsi con il terreno naturale, determinando per tale via un nuovo orizzonte stratigrafico (articolo ItaliaOggi Sette del 13.01.2020).
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SENTENZA
13) Passando all’esame del merito, il Collegio ritiene utile, per comodità espositiva, scrutinare congiuntamente i suesposti motivi di ricorso, trattandosi delle stesse questioni di fondo o, comunque, di questioni strettamente connesse, come confermato dalla trattazione sostanzialmente unitaria dei motivi da parte dello stesso patrocinio ricorrente.
13.1) Seguendo l’impostazione di quest’ultimo, l’essenza del ricorso in epigrafe consisterebbe nella corretta individuazione della definizione e della estensione oggettiva dei materiali di riporto nonché nella corretta interpretazione del concetto di messa in sicurezza permanente (MISP).
13.1.1) Quanto al primo aspetto, ad avviso della ricorrente, la presenza dei materiali contenenti amianto (MCA), così come rinvenuti nel sito in esame, non determinerebbe alcuna variazione rispetto all’assimilazione dei materiali stessi al terreno, così come normativamente cristallizzata. Da tale assimilazione deriverebbe, poi, passando al secondo aspetto su indicato, l’assoggettamento del sito alla disciplina sulle bonifiche dei siti contaminati e, in particolare, l’applicazione della disciplina sulla messa in sicurezza permanente.
Da ciò l’illegittimità del diniego impugnato, in primo luogo, per contrasto con gli artt. 185 e 240, lett. a), TUA, per avere disatteso l’equiparazione dei materiali di riporto al terreno, operata a livello di normativa primaria, proprio al fine di risolvere il dubbio interpretativo che si era posto in relazione alla qualificazione giuridica di tali materiali, classificati secondo alcune amministrazioni come rifiuti. Ove si fosse seguita la predetta equiparazione, non si sarebbe potuta negare l’applicabilità nella fattispecie della disciplina sulle bonifiche anche ai materiali di riporto non scavati da mantenere in situ.
Ciò, tenuto conto che la società avrebbe già previsto che, mentre lo strato di materiali scavati e da rimuovere sarebbe stato gestito come rifiuto, il riporto rimanente in situ sarebbe stato assoggettato alla messa in sicurezza permanente, secondo la disciplina relativa alle bonifiche, richiamata e fatta salva tanto dall’art. 185 del TUA quanto dall’art. 3 del D.L. n. 2 del 2012, in quanto risultato conforme al test di cessione. Dall’esecuzione di quest’ultimo, precisa l’istante, sarebbe stato appurato che la matrice materiale di riporto attualmente esistente sul sito di Via Novate, sia per l’Area A che per l’Area B, non sarebbe fonte di contaminazione, non comportando alcun superamento dei parametri normativi per l’uso residenziale.
In questi casi, si ribadisce, lo stesso art. 3 citato, al comma 2 prevedrebbe la conseguente necessaria applicazione delle norme sui siti contaminati che, nella fattispecie, consentirebbero di realizzare una MISP la quale, come riconosciuto dall’ATS in tutte le proprie note, consentirebbe il taglio dei percorsi espositivi, rendendo completamente utilizzabile il sito.
13.1.2) L’essenza delle due note, di ARPA e Città Metropolitana, che avrebbero di fatto inibito al Comune di concludere il procedimento, approvando il progetto della ricorrente, avrebbero continuato ad applicare la vecchia definizione di rifiuto ai riporti, ignorando completamente il dettato normativo sopra ricordato e, anzi, vanificandolo.
L’interpretazione fornita dall’ARPA e dalla Città Metropolitana e fatta propria dal provvedimento impugnato, nel definire gli MCA rinvenuti nel suolo come rifiuto, isolandoli dal contesto del materiale di riporto, oltre ad essere contra legem, non incontrerebbe né i principii della tutela ambientale né quelli della tutela sanitaria, poiché imporrebbe una soluzione –quella del necessario scavo e movimentazione di materiale contenente amianto-, passibile di dispersione di fibre e che non taglierebbe affatto i percorsi espositivi.
13.1.3) Quanto alla circolare del MATT del 10.11.2017, n. 15786 -emanata a seguito della nuova disciplina in materia di terre e rocce da scavo, di cui al DPR 13.06.2017, n. 120- la stessa si occuperebbe esclusivamente dei riporti contenuti nelle terre e rocce prodotte dalle attività di scavo, ammettendo anche per essi, addirittura nel caso in cui non siano risultati conformi al test di cessione (cfr. part III pag. 5/8), la MISP.
Si richiama a tal riguardo la sentenza di questo TAR (sez. III, 14.12.2015, n. 2638, nel noto caso del condominio di Via Savona - Milano) che avrebbe escluso che i riporti, anche ove non conformi, debbano essere trattati come rifiuti, potendosi applicare quindi la procedura di MISP persino nel caso in cui i medesimi siano fonti di contaminazione.
13.2) La difesa comunale, nelle proprie controdeduzioni, dopo avere premesso che gli MCA possono avere una duplice classificazione, potendo costituire rifiuti, qualora rinvenuti nella matrice ambientale del suolo naturale, o riporti, qualora rinvenuti in una miscela eterogenea di terreno e materiali antropici, ha evidenziato che, nella specie, l’ARPA e la Città Metropolitana di Milano avrebbero ripetutamente affermato che gli MCA rinvenuti nello strato di riporto dovrebbero essere configurati quali rifiuti ed assoggettati alla relativa normativa. Gli stessi Enti, prosegue il patrocinio comunale, avrebbero al contempo inquadrato la proposta della ricorrente quale messa in sicurezza permanente di rifiuti che, tuttavia, osserva il Comune, non sarebbe ammessa dalla normativa vigente.
Conseguentemente, il Comune di Milano non avrebbe potuto fare altro che prendere atto del parere sfavorevole degli Enti competenti, posto che, se i materiali presenti nell’area oggetto di intervento sono da considerare come rifiuti, non può trovare per essi applicazione la disciplina dei siti contaminati, in quanto l’art. 239 del TUA dispone che le norme in materia di bonifica non si applicano all’abbandono dei rifiuti.
Il Comune di Milano, quindi, in qualità di amministrazione procedente avrebbe concluso la conferenza di servizi sulla base della posizione prevalente, così come espressa dalla Città Metropolitana e dall’Arpa. La diversa posizione, manifestata dal Comune sin dalla seduta del 20.07.2018 e diretta a qualificare l’intervento come messa in sicurezza permanente, avrebbe richiesto, spiega sempre la difesa civica, l’adesione dell’ARPA e/o di Città Metropolitana alla tesi, ben diversa da quella da loro in concreto seguita, che ravvisa nella fattispecie non già rifiuti ma fonti inquinanti di matrici ambientali. Questo sarebbe stato, chiarisce ancora il Comune di Milano, il presupposto dell’intervento di bonifica del Nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi del Lido di Venezia, che avrebbe trattato gli MCA come riporti e non come rifiuti.
Né potrebbe poi sostenersi, come pure prospettato dalla Città Metropolitana, che il parere dell’ATS sulla gestione sanitaria dell’amianto potrebbe rappresentare la posizione prevalente della Conferenza di servizi, atteso che l’azienda sanitaria è chiamata ad esprimersi in ragione dei soli profili di sua competenza, in materia di tutela della salute e della sicurezza dei futuri utilizzatori del sito e dei lavoratori durante le fasi operative della bonifica e della messa in sicurezza. Detto altrimenti, l’Azienda sanitaria valuterebbe come l’intervento deve essere e non se l’intervento possa o meno essere attuato.
13.3) La Città Metropolitana, dal canto suo, ha ribadito che:
   - la campagna di analisi condotta nel 2017 avrebbe accertato la presenza, nei campioni compositi rappresentativi dell'intero sito, di fibre libere di amianto oltre i limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato 5 al Titolo V della parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, mentre non sarebbero stati rinvenuti altri superamenti delle CSC per gli altri parametri;
   - come comunicato sin dal 15.06.2018 (cfr. doc. n. 7 della produzione resistente), “I frammenti di MCA e la matrice che li ingloba sono da considerarsi rifiuti sia merceologicamente che come origine in quanto derivanti dalle attività di demolizione degli edifici di edilizia popolare, così come affermato da Metropolitana Milanese S.p.A. nella nota prot. DPRI 128 PG 0019894 del 21/02/2014 … E’ stata accertata la presenza di fibre libere, in concentrazioni pari a 4440 mg/Kg s. s. nel campione composito, sottoposto ad analisi;…»;
   - la presenza di concentrazioni così elevate di fibre libere in un campione composito di materiale terrigeno, contestualmente al quantitativo stimato di MCA intimamente frammisti al rifiuto da vagliare, renderebbe difficile ipotizzare qualsiasi trattamento diverso dalla semplice rimozione;
   - sarebbe stato necessario qualificare i materiali interrati quali rifiuti, in quanto non sarebbero soddisfatti né i requisiti di storicità (avuto riguardo all’origine del materiale, da interramento di residui di demolizione in anni in cui erano già vigenti norme specifiche di settore), né i requisiti merceologici per qualificare gli stessi come riporti, anche sulla base della Circolare n. 13338 del 14/05/2014 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare richiamata da parte avversa;
   - in base alle verifiche e alle misurazioni effettuate dalla stessa ricorrente la presenza di MCA distribuiti in maniera non uniforme non integrerebbe la definizione normativa di riporto;
   - in ogni caso, essa non avrebbe espresso alcuna valutazione negativa sull'intervento, rimettendosi alle indicazioni e alle prescrizioni di ATS, nonché, alla decisione dell'Amministrazione comunale, in veste di autorità procedente, sul procedimento da applicare per l'approvazione dell'intervento.
14) I motivi non sono fondati.
14.1)
Il Collegio non ritiene di potere condividere l’impostazione di parte ricorrente, laddove, partendo dall’assunto che i materiali contenenti amianto (MCA) sono assimilabili alle matrici materiali di riporto (MMR), ne pretende l’assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche (Parte IV, Titolo V, TUA) anziché a quella sui rifiuti (Parte IV, Titolo I, TUA).
Il punto nodale della controversia, in verità, attiene proprio alla dimostrazione della riconducibilità degli MCA rinvenuti nelle aree per cui è causa alle matrici materiali di riporto, ciò di cui lo stesso ricorrente avrebbe dovuto farsi carico, poiché, ai sensi dell’art. 2697 c.c., onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, per cui chi agisce in giudizio ha l'onere di provare, in modo rigoroso, i fatti e gli elementi specifici che costituiscono il fondamento della domanda, trovandosi nella posizione migliore per poterlo fare, secondo la regola della cd. vicinanza della prova (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2017, n. 2184; id., Sez. IV, 30.06.2011, n. 3887; id., Sez. V, 13.06.2008, n. 2967).
Giova, al riguardo, rammentare che il processo amministrativo, pur contemplando alcuni poteri di acquisizione officiosa delle prove da parte del giudice, è fondato sul principio dispositivo dell'onere della prova (di cui all’art. 64 c.p.a.), di talché spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, ogni volta che non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato che giustifica l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Tale ultimo principio, peraltro, "non può, comunque, mai ridursi ad un'assoluta e generale inversione dell'onere della prova e comunque non consente al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando la ricorrente non si trovi nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione" (Consiglio Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006; nello stesso senso, ex multis, TAR Lombardia, Milano, III, 09.05.2019, n. 1036; TAR Napoli, sez. IV, 13/02/2019, n. 799).
Ebbene, nella fattispecie in esame, il proponente addebita all’amministrazione una violazione o falsa applicazione del dettato normativo relativo alle matrici materiali di riporto senza, tuttavia, peritarsi di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato sul punto nelle note prodotte in conferenza di servizi da ARPA e Città Metropolitana, richiamate nel provvedimento comunale impugnato, i materiali rinvenuti nell’ambito oggetto della sua proposta siano sussumibili fra le predette matrici di riporto.
Sennonché, tale verifica preliminare logicamente s’impone, dal momento che
lo stesso legislatore, nel delimitare il campo di applicazione della disciplina sulle bonifiche, all’inizio del Titolo ad esse relativo (il V), esclude da tale ambito le ipotesi di abbandono di rifiuti (cfr. art. 239, comma 2 citato).
Ora, contrariamente a quanto affermato dall’esponente,
le note tecniche di ARPA e Città Metropolitana, pur non evidenziando un’aprioristica esclusione dalla bonifica dei materiali contenenti amianto, forniscono nondimeno gli elementi per motivare la non riconducibilità degli MCA rinvenuti nel sito per cui è causa fra le MMR, di cui agli artt. 185 e 240 del TUA.
Tali elementi fanno, del tutto legittimamente, leva sull’origine e sulle caratteristiche merceologiche degli MCA.
Quanto alla prima, si ricava dalle contestate note, e il fatto non è oggetto di specifica contestazione, che i materiali in questione provengono dalle «coperture degli edifici che insistevano in sito fino agli inizi degli anni ’90, ora demoliti», «coperture non più utilizzabili per il loro scopo originario e ridotte in pezzi…» (cfr. il parere ARPA contenente le osservazioni sul verbale della C.d.s. decisoria del 20.07.2018, allegato sub n. 13 della produzione comunale, nonché, nello stesso senso, la nota di Metropolitana Milanese spa datata 21.02.2014, allegata sub n. 1 della produzione della C.M., ma anche lo stesso progetto di parte ricorrente, allegato sub n. 3, ove a pagina 7 riferisce che: «l’areale di progetto è parte di una più estesa area, in passato destinata ad edilizia popolare…tali edifici risultano poi essere stati demoliti tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni novanta»).
La circostanza che i materiali in questione provengono da demolizioni relativamente recenti non può che allontanare, sotto più profili, i materiali stessi dalla categoria delle matrici materiali di riporto.
Va, in tal senso, rammentato che, stando alla norma d’interpretazione autentica dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (l’art. 3 del D.L. 25.01.2012, e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa collocazione temporale dei riporti, si ricava da un’interpretazione complessiva della norma che essi debbono essere risalenti nel tempo, sì da costituire «un orizzonte stratigrafico specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che, utilizzato nel corso del tempo per la realizzazione di riempimenti, rilevati e reinterri, ha avuto modo di stratificarsi e sedimentarsi nel suolo, a profondità variabili, sino ad assestarsi e compattarsi con il terreno naturale, determinando per tale via un nuovo orizzonte stratigrafico.
Si spiega così l’orientamento della giurisprudenza, secondo cui
l'articolo da ultimo citato non si applica a tutti i materiali di riporto «ma solamente a quelli che compongono "un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito", ovverosia a quelli che -oramai risalenti nel tempo- si sono integrati fino a farne un tutt'uno con la matrice suolo preesistente» (cfr., TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, Sent., 04.10.2018, n. 2216; id., sentenza n. 1222/2016).
Anche la finalizzazione del materiale al riempimento, rilevato e reinterro, ben puntualizzata nella su richiamata norma, dà adeguatamente conto della rilevanza che l’origine del riporto assume a mente del legislatore, atteso che non ogni materiale rinvenuto nel sottosuolo può costituire MMR, ai sensi e per gli effetti di cui al succitato art. 3, ma solo quello ivi collocato in quanto utilizzato per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
14.2) Applicando le su esposte coordinate ermeneutiche al caso di specie si ricava che, l’avere stigmatizzato l’origine del materiale in esame, siccome proveniente dalla demolizione delle «case minime», avvenuta agli inizi degli anni 90, rappresenta una logica e coerente premessa al parere sfavorevole al progetto tanto da parte di ARPA quanto da parte di Città Metropolitana, non consentendo la stessa origine dei materiali presenti nel sito d’interesse della ricorrente la loro riconducibilità alla nozione di MMR.
La collocazione relativamente recente del materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono, in altri termini, due aspetti convergenti nel denotare la mancanza, nella fattispecie, di quell’orizzonte stratigrafico specifico richiesto dalla sopra specificata normativa per le MMR.
14.3) Ad abundantiam, si può solo accennare che, occupandosi della disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo –le quali, ai sensi dell’art. 186, comma 1, TUA possono, a determinate condizioni, essere «utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati»- il D.P.R. 13/06/2017 n. 120 lascia espressamente fuori dal suo ambito applicativo «i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152» (così, l’art. 3, comma 2, del DPR citato).
Tale previsione è coerente con la chiara classificazione come rifiuto speciale, ex art. 184, comma 3, TUA, dei «rifiuti derivanti dalle attività di demolizione».
14.4) Né si può trascurare il profilo, pure evidenziato negli atti dell’ARPA e della Città Metropolitana, delle caratteristiche merceologiche dei materiali de quibus, evidentemente da riferire alla circostanza che nei materiali in questione è presente l’amianto.
Come noto, la normativa specifica sull’amianto si occupa dei rimedi per arginare i rischi ad esso potenzialmente riconducibili fintanto che è in uso, mentre, nei casi in cui esso non assolve più all’uso a cui è preordinato, il legislatore si premura di qualificarlo come rifiuto speciale pericoloso, con tutte le conseguenze a ciò riconducibili.
Più in dettaglio, la legge 27/03/1992, n. 257, nel dettare le norme relative alla cessazione dell'uso dell'amianto e alla sua rimozione, classifica espressamente i rifiuti d’amianto «tra i rifiuti speciali, tossici e nocivi, ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10.09.1982, n. 915, in base alle caratteristiche fisiche che ne determinano la pericolosità, come la friabilità e la densità» (art. 12, comma 6).
A sua volta, l’art. 2 della medesima legge n. 257/1992 chiarisce cosa deve intendersi per «rifiuti di amianto», facendo riferimento, fra l’altro, a «qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3».
Si ricava da ciò che,
quando l’amianto perde la sua destinazione d'uso e rischia di disperdere fibre nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo stesso può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica (cfr. Cass. pen. Sez. III, Sent., 08.03.2016, n. 9458, secondo cui: «…Il ricorrente deduce l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3, D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica"
»).
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, laddove è indubbio che l’amianto presente sul sito ha perso la sua originaria destinazione, essendo state demolite le case di cui costituiva il rivestimento, se ne ricava come la stessa normativa speciale sull’amianto suggerisca la classificazione del materiale in parola come rifiuto speciale pericoloso, non assoggettabile a bonifica.
In siffatte evenienze, poi, si rivela del tutto inconferente la circostanza che il materiale del sito in questione sia risultato conforme al test di cessione, di cui all’art. 3 citato, atteso che il test presuppone che si sia in presenza, ciò che nella specie va escluso, di materiale qualificabile come matrice materiale di riporto.
Su tale aspetto va, poi, soggiunto che, sussistono seri dubbi sull’applicabilità, sotto il profilo tecnico ancora prima che giuridico, del predetto test di cessione al parametro amianto, tenuto conto che detto test è espressamente escluso per l’amianto presente allo stato naturale all'interno delle terre e rocce da scavo, dall’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 120/2017, che richiama invece il valore limite (di 1.000 mg/kg, di cui alla Tabella 1, in Allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.12.2019 n. 2691 – link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Sito contaminato da amianto.
Quando l’amianto perde la sua destinazione d'uso e rischia di disperdere fibre nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo stesso può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.12.2019 n. 2691 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
11) Preliminarmente, il Collegio ritiene utile tratteggiare il quadro normativo di riferimento, richiamando in primo luogo il D.Lgs. 03/04/2006, n. 152 (TUA) che, come noto, disciplina: «… nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati; …» (art. 1), «anche in attuazione delle direttive comunitarie, in particolare della direttiva 2008/98/CE, prevedendo misure volte a proteggere l'ambiente e la salute umana, prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell'uso delle risorse e migliorandone l'efficacia» (art. 177, comma 1).
È ben chiarito nel decreto (cfr. art. 185 TUA) come non rientri nel campo di applicazione della parte IV del TUA, per quanto qui d’interesse: «… b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati; …».
La disposizione in parola è stata oggetto d’interpretazione autentica, ad opera dell’art. 3 del D.L. 25/01/2012, n. 2, come sostituito dalla legge di conversione 24.03.2012, n. 28, poi modificato dall'art. 41, comma 3, lett. a), D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 09.08.2013, n. 98.
È stato, così, stabilito che: «i riferimenti al suolo», ivi contenuti, «si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri».
Sempre l’art. 3 del D.L. n. 2/2012, e ss.mm.ii., ha, poi, puntualizzato che le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione (ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente 05.02.1998) e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati (cfr. art. 3 citato, comma 2). In caso di non conformità ai limiti del test di cessione, le matrici predette sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente, utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute (cfr. art. 3 citato, comma 3).
È utile rammentare, ancora, come l’art. 183 del TUA ponga delle definizioni rilevanti, sempre ai fini della parte quarta del decreto, chiarendo cosa s’intenda, fra l’altro, per «rifiuto» («qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi»); per «rifiuto pericoloso» («rifiuto che presenta una o più caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto»); per «detentore» (il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso).
A seguire, l’art. 184 si occupa della classificazione dei rifiuti, che viene effettuata, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi (cfr. comma 1).
Viene, così, precisato che, sono rifiuti speciali: «…b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis; …» (comma 3) e che sono rifiuti pericolosi «quelli che recano le caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto» (comma 4), mentre l'allegato D alla parte quarta «include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose» (cfr. comma 5, che poi precisa trattarsi di elenco «vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi»).
11.1) Della «gestione dei rifiuti» si occupa, nello specifico, il Titolo I della parte IV, prevedendo, fra l’altro, che:
   - essa deve avvenire «senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare:
a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente
» (così, l’art. 177, comma 4);
   - detta gestione va «effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali» (così, l’art. 178);
   - ancora, detta gestione deve avvenire «nel rispetto della seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento
».
11.2) La stessa Parte IV, al successivo Titolo V si occupa della «Bonifica di siti contaminati», disciplinando gli interventi di bonifica e ripristino ambientale e definendo le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio «chi inquina paga» (cfr. art. 239, comma 1, TUA).
Nel delimitare il campo di applicazione della disciplina delle bonifiche il legislatore ha cura di precisare, fra l’altro, che: «Ferma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano:
   a) all'abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell'area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo; …
».
Quanto alle definizioni rilevanti, vi provvede, qui, l’art. 240, che stabilisce cosa deve intendersi, per quanto d’interesse ai fini del presente giudizio, per:
  «a) sito: l'area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti;

   o) messa in sicurezza permanente: l'insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d'uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici;
   p) bonifica: l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); …
».
11.3) La surriferita norma è stata oggetto di modifica ad opera del già citato art. 3 del D.L. 25/01/2012, n. 2, e ss.mm.ii., che, al comma 4, ha inserito al comma 1, lett. a), dell’art. 240 TUA, dopo la parola: «suolo», le seguenti: «, materiali di riporto».
11.4) E’ utile accennare, infine, al D.P.R. 13/06/2017, n. 120, con cui –nel dettare regole per la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo– si è avuto cura di precisare (all’art. 3, comma 2) come esso non si applichi ai rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione resta disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152.
...
13) Passando all’esame del merito, il Collegio ritiene utile, per comodità espositiva, scrutinare congiuntamente i suesposti motivi di ricorso, trattandosi delle stesse questioni di fondo o, comunque, di questioni strettamente connesse, come confermato dalla trattazione sostanzialmente unitaria dei motivi da parte dello stesso patrocinio ricorrente.
13.1) Seguendo l’impostazione di quest’ultimo, l’essenza del ricorso in epigrafe consisterebbe nella corretta individuazione della definizione e della estensione oggettiva dei materiali di riporto nonché nella corretta interpretazione del concetto di messa in sicurezza permanente (MISP).
13.1.1) Quanto al primo aspetto, ad avviso della ricorrente, la presenza dei materiali contenenti amianto (MCA), così come rinvenuti nel sito in esame, non determinerebbe alcuna variazione rispetto all’assimilazione dei materiali stessi al terreno, così come normativamente cristallizzata. Da tale assimilazione deriverebbe, poi, passando al secondo aspetto su indicato, l’assoggettamento del sito alla disciplina sulle bonifiche dei siti contaminati e, in particolare, l’applicazione della disciplina sulla messa in sicurezza permanente.
Da ciò l’illegittimità del diniego impugnato, in primo luogo, per contrasto con gli artt. 185 e 240, lett. a), TUA, per avere disatteso l’equiparazione dei materiali di riporto al terreno, operata a livello di normativa primaria, proprio al fine di risolvere il dubbio interpretativo che si era posto in relazione alla qualificazione giuridica di tali materiali, classificati secondo alcune amministrazioni come rifiuti. Ove si fosse seguita la predetta equiparazione, non si sarebbe potuta negare l’applicabilità nella fattispecie della disciplina sulle bonifiche anche ai materiali di riporto non scavati da mantenere in situ.
Ciò, tenuto conto che la società avrebbe già previsto che, mentre lo strato di materiali scavati e da rimuovere sarebbe stato gestito come rifiuto, il riporto rimanente in situ sarebbe stato assoggettato alla messa in sicurezza permanente, secondo la disciplina relativa alle bonifiche, richiamata e fatta salva tanto dall’art. 185 del TUA quanto dall’art. 3 del D.L. n. 2 del 2012, in quanto risultato conforme al test di cessione. Dall’esecuzione di quest’ultimo, precisa l’istante, sarebbe stato appurato che la matrice materiale di riporto attualmente esistente sul sito di Via ..., sia per l’Area A che per l’Area B, non sarebbe fonte di contaminazione, non comportando alcun superamento dei parametri normativi per l’uso residenziale.
In questi casi, si ribadisce, lo stesso art. 3 citato, al comma 2, prevedrebbe la conseguente necessaria applicazione delle norme sui siti contaminati che, nella fattispecie, consentirebbero di realizzare una MISP la quale, come riconosciuto dall’ATS in tutte le proprie note, consentirebbe il taglio dei percorsi espositivi, rendendo completamente utilizzabile il sito.
13.1.2) L’essenza delle due note, di ARPA e Città Metropolitana, che avrebbero di fatto inibito al Comune di concludere il procedimento, approvando il progetto della ricorrente, avrebbero continuato ad applicare la vecchia definizione di rifiuto ai riporti, ignorando completamente il dettato normativo sopra ricordato e, anzi, vanificandolo. L’interpretazione fornita dall’ARPA e dalla Città Metropolitana e fatta propria dal provvedimento impugnato, nel definire gli MCA rinvenuti nel suolo come rifiuto, isolandoli dal contesto del materiale di riporto, oltre ad essere contra legem, non incontrerebbe né i principi della tutela ambientale né quelli della tutela sanitaria, poiché imporrebbe una soluzione –quella del necessario scavo e movimentazione di materiale contenente amianto-, passibile di dispersione di fibre e che non taglierebbe affatto i percorsi espositivi.
13.1.3) Quanto alla circolare del MATT del 10.11.2017, n. 15786 -emanata a seguito della nuova disciplina in materia di terre e rocce da scavo, di cui al DPR 13.06.2017, n. 120- la stessa si occuperebbe esclusivamente dei riporti contenuti nelle terre e rocce prodotte dalle attività di scavo, ammettendo anche per essi, addirittura nel caso in cui non siano risultati conformi al test di cessione (cfr. part III pag. 5/8), la MISP.
Si richiama a tal riguardo la sentenza di questo TAR (sez. III, 14.12.2015, n. 2638, nel noto caso del condominio di Via ... - Milano) che avrebbe escluso che i riporti, anche ove non conformi, debbano essere trattati come rifiuti, potendosi applicare quindi la procedura di MISP persino nel caso in cui i medesimi siano fonti di contaminazione.
13.2) La difesa comunale, nelle proprie controdeduzioni, dopo avere premesso che gli MCA possono avere una duplice classificazione, potendo costituire rifiuti, qualora rinvenuti nella matrice ambientale del suolo naturale, o riporti, qualora rinvenuti in una miscela eterogenea di terreno e materiali antropici, ha evidenziato che, nella specie, l’ARPA e la Città Metropolitana di Milano avrebbero ripetutamente affermato che gli MCA rinvenuti nello strato di riporto dovrebbero essere configurati quali rifiuti ed assoggettati alla relativa normativa. Gli stessi Enti, prosegue il patrocinio comunale, avrebbero al contempo inquadrato la proposta della ricorrente quale messa in sicurezza permanente di rifiuti che, tuttavia, osserva il Comune, non sarebbe ammessa dalla normativa vigente.
Conseguentemente, il Comune di Milano non avrebbe potuto fare altro che prendere atto del parere sfavorevole degli Enti competenti, posto che, se i materiali presenti nell’area oggetto di intervento sono da considerare come rifiuti, non può trovare per essi applicazione la disciplina dei siti contaminati, in quanto l’art. 239 del TUA dispone che le norme in materia di bonifica non si applicano all’abbandono dei rifiuti.
Il Comune di Milano, quindi, in qualità di amministrazione procedente avrebbe concluso la conferenza di servizi sulla base della posizione prevalente, così come espressa dalla Città Metropolitana e dall’Arpa. La diversa posizione, manifestata dal Comune sin dalla seduta del 20.07.2018 e diretta a qualificare l’intervento come messa in sicurezza permanente, avrebbe richiesto, spiega sempre la difesa civica, l’adesione dell’ARPA e/o di Città Metropolitana alla tesi, ben diversa da quella da loro in concreto seguita, che ravvisa nella fattispecie non già rifiuti ma fonti inquinanti di matrici ambientali. Questo sarebbe stato, chiarisce ancora il Comune di Milano, il presupposto dell’intervento di bonifica del Nuovo Palazzo del Cinema e dei Congressi del Lido di Venezia, che avrebbe trattato gli MCA come riporti e non come rifiuti.
Né potrebbe poi sostenersi, come pure prospettato dalla Città Metropolitana, che il parere dell’ATS sulla gestione sanitaria dell’amianto potrebbe rappresentare la posizione prevalente della Conferenza di servizi, atteso che l’azienda sanitaria è chiamata ad esprimersi in ragione dei soli profili di sua competenza, in materia di tutela della salute e della sicurezza dei futuri utilizzatori del sito e dei lavoratori durante le fasi operative della bonifica e della messa in sicurezza. Detto altrimenti, l’Azienda sanitaria valuterebbe come l’intervento deve essere e non se l’intervento possa o meno essere attuato.
13.3) La Città Metropolitana, dal canto suo, ha ribadito che:
   - la campagna di analisi condotta nel 2017 avrebbe accertato la presenza, nei campioni compositi rappresentativi dell'intero sito, di fibre libere di amianto oltre i limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato 5 al Titolo V della parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, mentre non sarebbero stati rinvenuti altri superamenti delle CSC per gli altri parametri;
   - come comunicato sin dal 15.06.2018 (cfr. doc. n. 7 della produzione resistente), “I frammenti di MCA e la matrice che li ingloba sono da considerarsi rifiuti sia merceologicamente che come origine in quanto derivanti dalle attività di demolizione degli edifici di edilizia popolare, così come affermato da Metropolitana Milanese S.p.A. nella nota prot. DPRI 128 PG 0019894 del 21/02/2014 … E’ stata accertata la presenza di fibre libere, in concentrazioni pari a 4440 mg/Kg s. s. nel campione composito, sottoposto ad analisi; …»;
   - la presenza di concentrazioni così elevate di fibre libere in un campione composito di materiale terrigeno, contestualmente al quantitativo stimato di MCA intimamente frammisti al rifiuto da vagliare, renderebbe difficile ipotizzare qualsiasi trattamento diverso dalla semplice rimozione;
   - sarebbe stato necessario qualificare i materiali interrati quali rifiuti, in quanto non sarebbero soddisfatti né i requisiti di storicità (avuto riguardo all’origine del materiale, da interramento di residui di demolizione in anni in cui erano già vigenti norme specifiche di settore), né i requisiti merceologici per qualificare gli stessi come riporti, anche sulla base della Circolare n. 13338 del 14/05/2014 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare richiamata da parte avversa;
   - in base alle verifiche e alle misurazioni effettuate dalla stessa ricorrente la presenza di MCA distribuiti in maniera non uniforme non integrerebbe la definizione normativa di riporto;
   - in ogni caso, essa non avrebbe espresso alcuna valutazione negativa sull'intervento, rimettendosi alle indicazioni e alle prescrizioni di ATS, nonché, alla decisione dell'Amministrazione comunale, in veste di autorità procedente, sul procedimento da applicare per l'approvazione dell'intervento.
14) I motivi non sono fondati.
14.1) Il Collegio non ritiene di potere condividere l’impostazione di parte ricorrente, laddove, partendo dall’assunto che i materiali contenenti amianto (MCA) sono assimilabili alle matrici materiali di riporto (MMR), ne pretende l’assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche (Parte IV, Titolo V, TUA) anziché a quella sui rifiuti (Parte IV, Titolo I, TUA).
Il punto nodale della controversia, in verità, attiene proprio alla dimostrazione della riconducibilità degli MCA rinvenuti nelle aree per cui è causa alle matrici materiali di riporto, ciò di cui lo stesso ricorrente avrebbe dovuto farsi carico, poiché, ai sensi dell’art. 2697 c.c., onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, per cui chi agisce in giudizio ha l'onere di provare, in modo rigoroso, i fatti e gli elementi specifici che costituiscono il fondamento della domanda, trovandosi nella posizione migliore per poterlo fare, secondo la regola della cd. vicinanza della prova (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2017, n. 2184; id., Sez. IV, 30.06.2011, n. 3887; id., Sez. V, 13.06.2008, n. 2967).
Giova, al riguardo, rammentare che il processo amministrativo, pur contemplando alcuni poteri di acquisizione officiosa delle prove da parte del giudice, è fondato sul principio dispositivo dell'onere della prova (di cui all’art. 64 c.p.a), di talché spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, ogni volta che non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato che giustifica l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Tale ultimo principio, peraltro, "non può, comunque, mai ridursi ad un'assoluta e generale inversione dell'onere della prova e comunque non consente al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando la ricorrente non si trovi nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione" (Consiglio Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006; nello stesso senso, ex multis, TAR Lombardia, Milano, III, 09.05.2019, n. 1036; TAR Napoli, sez. IV, 13/02/2019, n. 799).
Ebbene, nella fattispecie in esame, il proponente addebita all’amministrazione una violazione o falsa applicazione del dettato normativo relativo alle matrici materiali di riporto senza, tuttavia, peritarsi di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato sul punto nelle note prodotte in conferenza di servizi da ARPA e Città Metropolitana, richiamate nel provvedimento comunale impugnato, i materiali rinvenuti nell’ambito oggetto della sua proposta siano sussumibili fra le predette matrici di riporto.
Sennonché, tale verifica preliminare logicamente s’impone, dal momento che lo stesso legislatore, nel delimitare il campo di applicazione della disciplina sulle bonifiche, all’inizio del Titolo ad esse relativo (il V), esclude da tale ambito le ipotesi di abbandono di rifiuti (cfr. art. 239, comma 2 citato).
Ora, contrariamente a quanto affermato dall’esponente, le note tecniche di ARPA e Città Metropolitana, pur non evidenziando un’aprioristica esclusione dalla bonifica dei materiali contenenti amianto, forniscono nondimeno gli elementi per motivare la non riconducibilità degli MCA rinvenuti nel sito per cui è causa fra le MMR, di cui agli artt. 185 e 240 del TUA.
Tali elementi fanno, del tutto legittimamente, leva sull’origine e sulle caratteristiche merceologiche degli MCA.
Quanto alla prima, si ricava dalle contestate note, e il fatto non è oggetto di specifica contestazione, che i materiali in questione provengono dalle «coperture degli edifici che insistevano in sito fino agli inizi degli anni ’90, ora demoliti», «coperture non più utilizzabili per il loro scopo originario e ridotte in pezzi…» (cfr. il parere ARPA contenente le osservazioni sul verbale della C.d.s. decisoria del 20.07.2018, allegato sub n. 13 della produzione comunale, nonché, nello stesso senso, la nota di Me.Mi. spa datata 21.02.2014, allegata sub n. 1 della produzione della C.M., ma anche lo stesso progetto di parte ricorrente, allegato sub n. 3, ove a pagina 7 riferisce che: «l’areale di progetto è parte di una più estesa area, in passato destinata ad edilizia popolare…tali edifici risultano poi essere stati demoliti tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni novanta»).
La circostanza che i materiali in questione provengono da demolizioni relativamente recenti non può che allontanare, sotto più profili, i materiali stessi dalla categoria delle matrici materiali di riporto.
Va, in tal senso, rammentato che, stando alla norma d’interpretazione autentica dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (l’art. 3 del D.L. 25.01.2012, e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa collocazione temporale dei riporti, si ricava da un’interpretazione complessiva della norma che essi debbono essere risalenti nel tempo, sì da costituire «un orizzonte stratigrafico specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che, utilizzato nel corso del tempo per la realizzazione di riempimenti, rilevati e reinterri, ha avuto modo di stratificarsi e sedimentarsi nel suolo, a profondità variabili, sino ad assestarsi e compattarsi con il terreno naturale, determinando per tale via un nuovo orizzonte stratigrafico.
Si spiega così l’orientamento della giurisprudenza, secondo cui l'articolo da ultimo citato non si applica a tutti i materiali di riporto «ma solamente a quelli che compongono "un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito", ovverosia a quelli che -oramai risalenti nel tempo- si sono integrati fino a farne un tutt'uno con la matrice suolo preesistente» (cfr., TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, Sent., 04.10.2018, n. 2216; id., sentenza n. 1222/2016).
Anche la finalizzazione del materiale al riempimento, rilevato e reinterro, ben puntualizzata nella su richiamata norma, dà adeguatamente conto della rilevanza che l’origine del riporto assume a mente del legislatore, atteso che non ogni materiale rinvenuto nel sottosuolo può costituire MMR, ai sensi e per gli effetti di cui al succitato art. 3, ma solo quello ivi collocato in quanto utilizzato per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
14.2) Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie si ricava che, l’avere stigmatizzato l’origine del materiale in esame, siccome proveniente dalla demolizione delle «case minime», avvenuta agli inizi degli anni 90, rappresenta una logica e coerente premessa al parere sfavorevole al progetto tanto da parte di ARPA quanto da parte di Città Metropolitana, non consentendo la stessa origine dei materiali presenti nel sito d’interesse della ricorrente la loro riconducibilità alla nozione di MMR.
La collocazione relativamente recente del materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono, in altri termini, due aspetti convergenti nel denotare la mancanza, nella fattispecie, di quell’orizzonte stratigrafico specifico richiesto dalla sopra specificata normativa per le MMR.
14.3) Ad abundantiam, si può solo accennare che, occupandosi della disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo –le quali, ai sensi dell’art. 186, comma 1, TUA possono, a determinate condizioni, essere «utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati»- il D.P.R. 13/06/2017 n. 120 lascia espressamente fuori dal suo ambito applicativo «i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152» (così, l’art. 3, comma 2, del DPR citato).
Tale previsione è coerente con la chiara classificazione come rifiuto speciale, ex art. 184, comma 3 TUA, dei «rifiuti derivanti dalle attività di demolizione».
14.4) Né si può trascurare il profilo, pure evidenziato negli atti dell’ARPA e della Città Metropolitana, delle caratteristiche merceologiche dei materiali de quibus, evidentemente da riferire alla circostanza che nei materiali in questione è presente l’amianto.
Come noto, la normativa specifica sull’amianto si occupa dei rimedi per arginare i rischi ad esso potenzialmente riconducibili fintanto che è in uso, mentre, nei casi in cui esso non assolve più all’uso a cui è preordinato, il legislatore si premura di qualificarlo come rifiuto speciale pericoloso, con tutte le conseguenze a ciò riconducibili.
Più in dettaglio, la legge 27/03/1992, n. 257, nel dettare le norme relative alla cessazione dell'uso dell'amianto e alla sua rimozione, classifica espressamente i rifiuti d’amianto «tra i rifiuti speciali, tossici e nocivi, ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10.09.1982, n. 915, in base alle caratteristiche fisiche che ne determinano la pericolosità, come la friabilità e la densità» (art. 12, comma 6).
A sua volta, l’art. 2 della medesima legge n. 257/1992 chiarisce cosa deve intendersi per «rifiuti di amianto», facendo riferimento, fra l’altro, a «qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3».
Si ricava da ciò che, quando l’amianto perde la sua destinazione d'uso e rischia di disperdere fibre nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo stesso può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica (cfr. Cass. pen. Sez. III, Sent., 08.03.2016, n. 9458, secondo cui: «…Il ricorrente deduce l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3, D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica"
»).
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, laddove è indubbio che l’amianto presente sul sito ha perso la sua originaria destinazione, essendo state demolite le case di cui costituiva il rivestimento, se ne ricava come la stessa normativa speciale sull’amianto suggerisca la classificazione del materiale in parola come rifiuto speciale pericoloso, non assoggettabile a bonifica.
In siffatte evenienze, poi, si rivela del tutto inconferente la circostanza che il materiale del sito in questione sia risultato conforme al test di cessione, di cui all’art. 3 citato, atteso che il test presuppone che si sia in presenza, ciò che nella specie va escluso, di materiale qualificabile come matrice materiale di riporto.
Su tale aspetto va, poi, soggiunto che, sussistono seri dubbi sull’applicabilità, sotto il profilo tecnico ancora prima che giuridico, del predetto test di cessione al parametro amianto, tenuto conto che detto test è espressamente escluso per l’amianto presente allo stato naturale all'interno delle terre e rocce da scavo, dall’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 120/2017, che richiama invece il valore limite (di 1.000 mg/kg, di cui alla Tabella 1, in Allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006).
14.5) È, altresì, inconferente il richiamo a quanto accaduto in occasione della realizzazione del nuovo Palazzo del Cinema al lido di Venezia, non disponendo il Collegio di elementi sufficienti per stabilire che, anche in quel caso, la fattispecie non fosse sussumibile nella previsione del più volte citato art. 3, dovendosi, anzi, presumere il contrario, stante la presunzione di legittimità dei provvedimenti amministrativi.
14.6) Risultano, poi, inammissibili per genericità, prima ancora che infondate, le censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 3-quater, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 152/2006 e di violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990.
Il rispetto del principio dello sviluppo sostenibile come pure del principio di proporzionalità intanto può essere imposto alla pubblica amministrazione in quanto si tratti di ambiti connotati da discrezionalità amministrativa e non anche, come pretenderebbe l’istante, di ambiti astretti al rispetto di leggi che racchiudono scelte già effettuate, a monte, dallo stesso legislatore.

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2019, "Bando per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o. 14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione secondo elenco di domande ammesse e non ammesse a finanziamento ed assunzione degli impegni di spesa" (decreto D.U.O. 27.11.2019 n. 17233).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sulla illegittimità dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente circa la rimozione e lo smaltimento delle lastre ondulate in eternit poste a copertura del fabbricato di proprietà.
Secondo la giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è legata alla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento.
Si è, inoltre, precisato che “i presupposti per l’adozione da parte del Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità”.
A ciò deve ancora aggiungersi che tale potere di ordinanza “presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale”.
...
Orbene, nel caso di specie il Sindaco ha emanato un’ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un’adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non fronteggiabile con i rimedi tipici predisposti dall’ordinamento.
Come già accennato in sede cautelare, infatti, l’ordinanza sindacale si basa sul giudizio di “non correttezza” e “inattendibilità” del piano di manutenzione e controllo della copertura in eternit esibito ai funzionari pubblici dall’esponente, ma non contiene alcun riferimento a verifiche e/o accertamenti tali da comprovare che vi fosse un rischio concreto di dispersione dell’amianto nell’aria. Né vi è alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal d.m. 06.09.1994, contenente le “normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie”.
Ancora, non è dato rinvenire, nel corpo dell’ordinanza, alcun cenno all’imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell’urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall’Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
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... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Vasto n. 646/2018, prot. n. 50105 del 18.09.2018, emessa ai sensi dell’art. 50, commi 4 e 5, T.U.E.L. e notificata alla ricorrente il 19.09.2018, nella parte in cui ha ingiunto alla sig.ra Mi. D’Or., quale proprietaria dell’immobile sito in Vasto, alla via ... n. 5, di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento delle lastre ondulate in eternit poste a copertura del fabbricato, presentando al Comune ed alla Azienda Sanitaria Locale il piano di lavoro, nonché di comunicare al Comune l’avvenuta esecuzione di quanto ordinato, al fine di consentire le opportune verifiche;
...
1. L’odierna ricorrente, sig.ra Mi. D’Or., espone di essere proprietaria di un immobile sito in Vasto, alla via ... n. 5 distinto in catasto al fg. n. 31, part.lla n. 538, sub. nn. 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 12. L’immobile è composto di due piani, ha natura residenziale e presenta sul tetto una copertura in eternit (materiale contenente amianto).
1.1. In ottemperanza agli obblighi di legge, l’esponente trasmetteva il 30.01.2018 al Comune di Vasto, al Corpo di Polizia Locale ed all’A.S.L. n. 2 Lanciano Vasto Chieti il piano di manutenzione e controllo del tetto in eternit insistente sul fabbricato di sua proprietà, redatto da un professionista incaricato: da tale piano si evince che la predetta copertura godrebbe di un buono stato manutentivo ed allo stato non necessiterebbe di interventi conservativi o di bonifica.
1.2. In data 06.07.2018 personale dell’A.S.L. n. 2 Lanciano Vasto Chieti e della Polizia Locale del Comune di Vasto effettuava un sopralluogo presso l’immobile della ricorrente, durante il quale veniva richiesta l’esibizione del programma di manutenzione e controllo della copertura, che, però, veniva ritenuto non corretto ed attendibile.
1.3. L’esponente contesta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui –dopo il sopralluogo– le sarebbero stati chiesti chiarimenti in relazione al contenuto del piano. In ogni caso, con nota del 21.08.2018 l’A.S.L. n. 2 richiedeva al Comune di Vasto l’emanazione di un’apposita ordinanza sindacale, finalizzata alla rimozione della copertura in eternit, onde scongiurare il pericolo di diffusione aerea delle fibre in amianto.
1.4. Detta richiesta veniva accolta e, per l’effetto, con ordinanza n. 646/2018, prot. n. 50105 del 18.09.2018, emessa ai sensi dell’art. 50, commi 4 e 5, T.U.E.L., il Sindaco di Vasto ingiungeva alla sig.ra D’Or. di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento delle lastre ondulate in eternit tramite una ditta specializzata iscritta all’Albo Nazionale gestori ambientali nell’apposita categoria, presentando al Comune (Ufficio Ecologia e Corpo P.M.) ed all’A.S.L. n. 2 il piano di lavoro, nonché di provvedere ad informare il Comune dell’avvenuta esecuzione dell’ordinanza, onde consentire le relative verifiche, mediante presentazione della seguente documentazione: a) certificazione attestante la classificazione dei rifiuti con assegnazione di idonei codici CER; b) certificazione comprovante il conferimento ad impianti di recupero/smaltimento.
2. Avverso l’ora vista ordinanza sindacale è insorta l’esponente, impugnandola con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
2.1. A supporto del gravame, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
   1) violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 (cd. T.U.E.L.), mancanza dei presupposti per l’emanazione dell’ordinanza contingibile ed urgente, atteso che nel caso di specie difetterebbero sia il requisito dell’urgenza sia quello della contingibilità, necessari per l’emissione dell’ordinanza, la quale sarebbe illegittima in quanto utilizzata per fronteggiare una situazione già conosciuta, del tutto prevedibile e permanente e per cui non vi sarebbe alcuna necessità di provvedere;
   2) violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, per non avere la P.A. effettuato la previa comunicazione di avvio del procedimento in difetto dei presupposti che consentono di ometterla;
   3) carenza e/o insufficienza e/o inadeguatezza dell’istruttoria svolta dalla P.A., atteso che l’ordinanza gravata non sarebbe sorretta dall’istruttoria necessaria a stabilire se l’amianto presente nel fabbricato della ricorrente sia effettivamente pericoloso;
   4) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per difetto e/o insufficienza della motivazione, giacché l’ordinanza impugnata avrebbe addotto a propria motivazione l’inattendibilità del piano di controllo e manutenzione della copertura in amianto dell’immobile, ma tale motivazione non sarebbe sufficiente, non risultando espletati gli accertamenti rivolti a stabilire l’effettivo stato di manutenzione della ridetta copertura;
   5) incongruità del provvedimento impugnato, in quanto la P.A. avrebbe dovuto valutare se il pericolo eventualmente accertato fosse tale da non poter essere contenuto con interventi di tipo conservativo, di incapsulamento o di confinamento, e solo in caso negativo disporre la rimozione e la conseguente bonifica.
...
3. Il ricorso è fondato e da accogliere per le medesime ragioni già sommariamente delineate in sede cautelare, dalle quali, pur al più approfondito esame proprio della fase di merito del processo, non si ravvisano elementi per discostarsi.
3.1. L’art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: “4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge.
   5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali
”.
3.2. In fase cautelare, il Tribunale ha giudicato sussistente il prescritto fumus boni juris, “quanto al difetto di istruttoria sul pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento di immissioni di polveri d’amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità” e, per l’effetto, ha accolto la domanda di sospensione dell’ordinanza sindacale, “fermo restando l’obbligo per la parte ricorrente di provvedere tempestivamente e senza ritardo alla predisposizione di un “corretto ed attendibile” piano di manutenzione” (così l’ordinanza n. 5/2019 cit.).
3.3. Tale motivazione va confermata nella presente fase di merito e porta ad un giudizio di fondatezza del primo, del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso.
4. Secondo la giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è legata alla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
4.1. Si è, inoltre, precisato che “i presupposti per l’adozione da parte del Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità” (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A ciò deve ancora aggiungersi che tale potere di ordinanza “presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale” (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
4.2. Orbene, nel caso di specie il Sindaco di Vasto ha emanato un’ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un’adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non fronteggiabile con i rimedi tipici predisposti dall’ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
Come già accennato in sede cautelare, infatti, l’ordinanza sindacale si basa sul giudizio di “non correttezza” e “inattendibilità” del piano di manutenzione e controllo della copertura in eternit esibito ai funzionari pubblici dall’esponente, ma non contiene alcun riferimento a verifiche e/o accertamenti tali da comprovare che vi fosse un rischio concreto di dispersione dell’amianto nell’aria. Né vi è alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal d.m. 06.09.1994, contenente le “normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie” (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Ancora, non è dato rinvenire, nel corpo dell’ordinanza, alcun cenno all’imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell’urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall’Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
4.3. Da quanto detto si evince la fondatezza del primo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria dai quali risulta affetto il provvedimento impugnato. Viene invece assorbito il secondo motivo, avente ad oggetto la censura formale di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, alla stregua della regola giurisprudenziale che consente di graduare l’esame dei motivi sulla base della loro consistenza oggettiva e cioè della radicalità del vizio con essi denunciato (cfr. C.d.S., A.P., 27.04.2015, n. 5, paragrafi 9.2 e 9.3).
5. In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere. Per conseguenza, va disposto l’annullamento del provvedimento con esso impugnato (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 28.11.2019 n. 290 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 26.11.2019, "Bando per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o. 14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione primo elenco di domande ammesse e non ammesse a finanziamento ed assunzione degli impegni di spesa" (decreto D.U.O. 21.11.2019 n. 16778).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 45 del 04.11.2019, "Bando per la rimozione del cemento amianto da parte di privati, approvato con d.d.u.o. n. 8615 del 14.06.2019 - Ulteriore finanziamento e modalità di approvazione elenco domande ammesse" (deliberazione G.R. 28.10.2019 n. 2328).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: RIFIUTI – Rovina e crollo di una copertura in eternit – Omessa comunicazione al Comune da parte del proprietario – Responsabilità ex artt. 242 e 257, d.lgs. n. 152/2006 – Configurabilità.
In materia di gestione dei rifiuti, il proprietario, informato dello stato dei luoghi, è tenuto a verificare le condizioni in cui si trova la copertura in eternit ed a comunicare al Comune nel cui territorio l’immobile insiste, l’esistenza della situazione potenzialmente inquinante.
L’omissione di tale comunicazione, avendo colpevolmente dimostrato un pieno disinteresse rispetto allo stato del manufatto di sua proprietà, pur sapendo che lo stesso era in parte realizzato con materiale altamente inquinante, configura la responsabilità per i reati di cui agli artt. 242 e 257, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.09.2019 n. 37460 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Eternit e omessa comunicazione al Comune: cosa rischia il proprietario?
Il proprietario, informato dello stato dei luoghi, è tenuto a verificare le condizioni in cui si trova la copertura in eternit e a comunicare al Comune, nel cui territorio l'immobile si trova, l’esistenza della situazione potenzialmente inquinante. Nel caso tale comunicazione non venga emessa e il proprietario abbia colpevolmente dimostrato il pieno disinteresse rispetto allo stato del manufatto di sua proprietà, pur sapendo che lo stesso era in parte realizzato con materiale altamente inquinante, potrà essere ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 242 e 257, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006 e punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro (massima tratta da www.tuttoambiente.it)
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21.06.2018 il Tribunale ci Crotone ha condannato Ba.Pa. alla pena di giustizia, avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 242 e 257, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006, per avere egli, in presenza di un evento potenzialmente inquinante, consistente nella rovina e nel crollo di una copertura in eternit presente in un immobile di sua proprietà, omesso di darne comunicazione alle autorità competenti.
Avverso la predetta decisione, ha interposto ricorso in appello il prevenuto, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo egli ha contestato la attribuzione a suo carico della responsabilità per la contravvenzione a lui contestata sulla base del solo dato costituito dal fatto che lo stesso era il proprietario dell'immobile ove si era verificato il crollo e, pertanto, l'evento potenzialmente inquinante.
Con il secondo motivo egli ha lamentato la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Sulla base di quanto accertato in sede di merito è risultato che il Ba. era ben consapevole della esistenza della copertura in eternit riferita al casolare di sua proprietà sito in Comune di Cotronei, località Trepidò, tanto da essersi attivato per acquisire dei preventivi di spesa per la realizzazione della bonifica del sito; egli, pertanto, nella qualità di proprietario, informato dello stato dei luoghi, era tenuto a verificare le condizioni in cui si trovava la predetta copertura ed a comunicare al Comune di Cotronei, nel cui territorio l'immobile insiste, la esistenza della situazione potenzialmente inquinante.
Posto che egli ha omesso tale comunicazione, avendo colpevolmente dimostrato un pieno disinteresse rispetto allo stato del manufatto di sua proprietà, pur sapendo che lo stesso era in parte realizzato con materiale altamente inquinante, a suo carico il Tribunale di Crotone ha correttamente ritenuto sussistere la responsabilità per il fatto contestatogli.
Riguardo alla mancata qualificazione del fatto entro l'ambito delle ipotesi di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen., si rileva, per un verso, che il ricorrente non ha formulato alcuna specifica istanza volta a far dichiarare la causa di non punibilità del fatto a lui contestato alla stregua della disposizione sopra citata, di tal che egli non può ora lamentare la stringatezza della motivazione con la quale il Tribunale ha escluso la ricorrenza della fattispecie in questione.
Per altro verso, si rileva anche che il Tribunale ha comunque escluso, con motivazione sostanzialmente congrua, che la condotta del Ba. avesse quel minimo grado di offensività che avrebbe giustificato l'applicazione della causa di non punibilità, posto che il detto giudice ha messo in luce sia la potenziale pericolosità dell'inquinamento da eternit, che ritenuto il prevenuto meritevole di una pena la quale, essendo superiore al minimo edittale, escludeva logicamente la possibilità di qualificare il fatto in termini di particolare lievità (sull'implicito rigetto della richiesta di qualificazione del fatto nell'ambito dell'art. 131-bis cod. pen. in caso di pena irrogata in misura superiore al minimo edittale, cfr.: Corte di cassazione, Sezione V penale, 10.10.2015, n. 39806) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.09.2019 n. 37460).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 36 del 04.09.2019, "Ordine del giorno concernente i contributi per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto" (deliberazione C.R. 26.07.2019 n. 589).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: RIFIUTI – Rimozione della copertura di amianto – Inottemperanza all’ordinanza sindacale – Art. 50 TU Enti Locali – Abbandono – Responsabilità – Artt. 183, 192 e 255, c. 3, d.L.vo n. 152/2006 – art. 452-terdecies cod. pen.
Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce “chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’ articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno”, sono l’esistenza di un’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 192 (codice dell’ambiente), e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell’ordinanza stessa.
Accanto al generale divieto di abbandono dei rifiuti e al correlato obbligo di rimozione in capo a colui che ha proceduto all’abbandono (ed alla posizione del proprietario “incolpevole”), si colloca l’ordinanza sindacale di rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi.
Tale ordinanza, emessa ex art. 192, comma 3, T.U.A., può essere emanata solo nei confronti dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti.
Rimanendo, comunque, ferma la possibilità di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno né responsabili dell’abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell’ordinanza per illegittimità (cioè per mancanza dei presupposti soggettivi).

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RIFIUTI – AMIANTO – Rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche sull’amianto – L. n. 257/1992 – Applicazione – Giurisprudenza.
In tema di rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche, la legge n. 257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell’impiego dell’amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento di amianto, e contempla fra i “rifiuti di amianto” qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d’uso e che possa disperdere fibre di amianto nell’ambiente in determinate concentrazioni applicabili; in tali casi si deve avere riguardo alla legge n. 257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3, n. 31398 del 10/07/2018; Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.07.2019 n. 31310 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti. Abbandono e responsabilità.
Mentre il comando di cui all'art. 14, comma 3 (ora art. 192, comma 3 d.lgs. 152/2006) è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato, il precetto dell'art. 50, comma 2 (ora art. 255, comma 3, d.lgs. 152/2006) è rivolto ai destinatari formali dell'ordinanza sindacale; di modo che spetta a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, di ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o -al limite- di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno né responsabili dell'abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell'ordinanza per illegittimità (cioè per mancanza dei presupposti soggettivi).
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La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nel considerare i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche, la legge n. 257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, e contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, e che in tali casi si deve avere riguardo alla legge n. 257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città con la quale Ge.Ez.Gi. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva, alla pena di mesi quattro di arresto, in ordine al reato di cui all'art. 255, comma 3, del d.lvo n. 152 del 2006 (diversamente qualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 452-terdecies cod. pen.), per avere, quale legale rappresentante della Im.No.Br. srl, non ottemperato all'ordinanza sindacale e relativa diffida, emanata dal Sindaco di Milano, ai sensi dell'art. 192, comma 3, del medesimo decreto, con la quale si intimava di rimuovere la copertura di amianto su un immobile di proprietà della medesima società. In Milano dal 20/05/2015 e tutt'ora permanente.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo due motivi di ricorso.
   - Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'erronea applicazione degli artt. 192 e 255, comma 3, del d.lvo n. 152 del 2006.
La corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto integrata la fattispecie penale sul mero dato dell'inottemperanza dell'ordinanza emessa ex art. 192 cit., senza verificare la legittimità di questa e senza verificare che l'omissione riguardasse un rifiuto ai sensi dell'art. 183 del medesimo decreto, e senza verificare la ricorrenza di una condotta di abbandono o deposito.
Non avrebbe poi considerato che il pignoramento immobiliare e la crisi economica in cui versava l'imputato gli avrebbero impedito qualunque intervento e dunque l'osservanza dell'ordinanza sindacale. Nel caso de quo non si potrebbe ravvisare il reato in assenza di abbandono del rifiuto, poiché si trattava di un tetto contenente amianto diventato potenzialmente pericoloso che non è stato dismesso per le ragioni evidenziate, sicché mancherebbe la volontà dismissiva di abbandono.
   - Vizio di motivazione in relazione alla manifesta illogicità e contraddittorietà e travisamento dell'esame dell'imputato con riguardo all'impossibilità di adempiere in ragione del pignoramento immobiliare e della crisi economica, circostanze che, ciascuna di esse, escludevano la volontà di non adempiere per oggettiva impossibilità.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione.
5. Secondo quanto risulta dalle conformi sentenze di merito, insindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione, era stata accertata l'omessa rimozione della copertura in amianto di un tetto di un immobile di proprietà della società di cui il Ge. è il legale rappresentante, a seguito di diffida del Sindaco del comune di Milano in data 16/10/2013, e successiva ordinanza, emessa il 02/07/2014 (notificata al Ge. il 07/07/2014), ex art. 50 TU Enti Locali, rimasta ineseguita alla data dell'accertamento il 29/05/2015.
Sulla scorta di tali elementi di fatto, i giudici del merito, diversamente qualificata l'originaria imputazione di violazione dell'art. 452- terdecies cod. pen., hanno condannato il Ge. per la contravvenzione di cui all'art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, per l'inottemperanza all'ordinanza di rimozione dei rifiuti emessa ai sensi dell'art. 192, comma 3, del medesimo decreto.
6. Occorre muovere dall'esegesi dalle norme giuridiche che regolano la materia e segnatamente dall'art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 1 e 3, del medesimo decreto.
Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui all'art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce "chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all' articolo 192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno", sono l'esistenza di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 192 cit., e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell'ordinanza stessa.
Come chiarito dalle sentenze di Questa Terza Sezione della Corte di cassazione Grispo e Viti,
trattasi -nonostante l'apparenza contraria indotta dal riferimento lessicale a "chiunque"- di un reato proprio, che può essere commesso solo dai destinatari formali dell'ordinanza (Sez. 3, n. 24724 del 15/05/2007, Grispo, Rv. 236954 - 01; Sez. 3, n. 31003 del 10/07/2002, P.M. in proc. Viti M ed altro, Rv. 222421).
In particolare, la pronuncia Grispo mette in luce i diversi destinatari dei diversi obblighi, inizialmente dettati dagli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto Ronchi), la cui disciplina è stata poi trasfusa nell'attuale d.lgs. n. 152 del 2006 che regola il settore.
L'art. 14 del Decreto Ronchi individuava il soggetto obbligato alla rimozione ed al ripristino nella persona che ha violato il divieto di abbandono, al quale è affiancato in solido il proprietario del sito (o il titolare di diritti di godimento sulla area) solo se la violazione gli sia imputabile "a titolo di dolo o di colpa".
Accanto al generale divieto di abbandono dei rifiuti e al correlato obbligo di rimozione in capo a colui che ha proceduto all'abbandono (ed alla posizione del proprietario "incolpevole"), si colloca l'ordinanza sindacale di rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi, prevista dall'art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22 del 1997, ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 3. In tale ambito si era, in particolare chiarito, che l'ordinanza emessa ex art. 14, comma 3, ora art. 192, comma 3 cit., può essere emanata solo nei confronti dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti.

Sempre la pronuncia Grispo si riallaccia e ripete i principi fissati dalla precedente sentenza (Sez. 3, n. 31003 del 10/07/2002, P.M. in proc. Viti ed altro, Rv. 222421), che evidenziava come,
mentre il comando di cui all'art. 14, comma 3, è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato, il precetto dell'art. 50, comma 2, è rivolto ai destinatari formali dell'ordinanza sindacale; di modo che spetta a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, di ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o -al limite- di provare in sede penale di non essere proprietari del terreno né responsabili dell'abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione dell'ordinanza per illegittimità (cioè per mancanza dei presupposti soggettivi).
Mentre onere dell'organo dell'accusa è solo quello di provare gli elementi essenziali del reato previsto dall'art. 50, comma 2, D.Lgs. 22/1997, oggi dall'art. 255, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, ossia, da una parte, l'esistenza dell'ordinanza sindacale, emessa ai sensi dell'art. 192 cit., assistita da presunzione di legittimità e, dall'altra, l'inottemperanza da parte dei suoi destinatari.
7. Ora, quanto al caso in scrutinio, la corte territoriale non ha adeguatamente chiarito se si trattava di un'ipotesi di abbandono costituente presupposto per l'adozione dell'ordinanza ex art. 193, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero di inottemperanza al dictum di un provvedimento amministrativo, legalmente dato ai sensi dell'art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, da cui la rilevanza della questione di diritto posta dal ricorrente, di configurazione della violazione dell'art. 650 cod. pen. E ciò in quanto solo l'inottemperanza all'ordinanza sindacale emessa ai sensi dell'art. 193, comma 3, cit., è assistita dalla sanzione penale ex art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
In tale ambito, incidentalmente rileva, il Collegio, che
la giurisprudenza di legittimità ha, ancora di recente, chiarito che, nel considerare i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche, ha affermato che la legge n. 257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, e contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, e che in tali casi si deve avere riguardo alla legge n. 257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3, n. 31398 del 10/07/2018; Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti, Rv. 222390, non massimata sul punto).
8. In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Milano. Resta assorbito il secondo motivo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.07.2019 n. 31310).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla illegittimità dell'ordinanza sindacale contingibile ed urgente per rimuovere l'amianto.
La giurisprudenza ha chiarito che <<la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento>>.
Si è inoltre precisato che i <<presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità; aggiungasi che tale potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale>>.
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A fronte di precisa e puntuale normativa tecnica, introdotta in attuazione della l. n. 257 del 1992, la legittima adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di amianto presuppone lo svolgimento di un’adeguata istruttoria e di una motivazione estremamente puntuale e dettagliata che dia conto di tutti gli elementi essenziali sopra ricordati previsti dal d.m. 06.09.1994.
Sul punto, deve ritenersi che la speciale competenza accordata dall’art. 12, l. n. 257 del 1992 alle USL, non faccia venire meno il potere extra ordinem riconosciuto dall’art. 50, d.lgs. n. 267 del 2000, in capo al Sindaco, essendo quest’ultimo finalizzato a operare in situazioni di pericolo dovuto ad una situazione di pericolo imprevedibile ed eccezionale, attuale ed urgente.
D’altronde, perché tale competenza eccezionale sia legittimamente esercitata occorre che nella motivazione del provvedimento sia dato conto in modo preciso e puntuale degli elementi peculiari della fattispecie che impongono un intervento contingibile ed urgente.
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Nel caso di specie, risulta che né l’ordinanza sindacale né i documenti tecnici da essa richiamati danno conto, tra l’altro:
   a) delle modalità e della procedura di campionamento e di analisi adottata e della puntuale compatibilità con i criteri previsti dal d.m. 06.09.1994;
   b) di una puntuale valutazione delle condizioni di rischio effettive e, in particolare, quali e quanti manufatti contenenti amianto occorra procedere a mettere in sicurezza, le dimensioni e caratteristiche degli stessi e se siano friabili o meno, e con quale grado di friabilità, in relazione anche alla maggiore o minore predisposizione al danneggiamento da parte di terzi;
   c) della gravità e rilevanza dell’estensione delle zone potenzialmente interessate;
   d) dei possibili fattori di pericolosità (manomissione) esterna dei manufatti in relazione alla consistenza degli stessi (ovvero se i beni interessati siano manomettibili e in che misura e con quale grado potenziale di rischio);
   e) del perché sia, quindi, necessaria proprio la bonifica, e quale modalità, tra quelle possibili, sia quella necessaria e sufficiente a mettere in sicurezza la zona.
L’omessa precisa e puntuale indicazione di tutti gli elementi sopra estesi non consente di comprendere se sussista o meno l’eccezionale urgenza e l’imprevedibilità del pericolo che solo giustifica l’intervento da parte del Sindaco.
Sul punto, deve ritenersi meramente ipotetico il pericolo connesso ad una possibile reiterazione di episodi di incendio, senza una puntuale descrizione e valutazione delle potenzialità di aerodispersione dell’amianto presente nei manufatti in relazione allo specifico grado di “fragilità” dei manufatti in contestazione in caso di incendio medesimo.
Peraltro, sempre con riferimento al pericolo di incendio, non è nemmeno esplicitato per quale motivo non sia possibile adottare, e, quindi, ordinare, l’adozione di misure diverse idonee a mettere adeguatamente in sicurezza l’intero sito dal rischio di incendi.
A conferma di tutto quanto sopra detto, si rammentano le pronunce giurisprudenziali che hanno sottolineato come <<è illegittimo l'ordine di rimuovere manufatti contenenti amianto che non è stato preceduto da un approfondimento tecnico-istruttorio in merito alla scelta del metodo di bonifica più opportuno tra le diverse modalità attuabili, essendo invece necessario un preventivo apprezzamento dei rischi connessi alla sua concreta attuazione>>.
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La particolarità della fattispecie in materia di amianto sia in termini di attività istruttoria che di motivazione del provvedimento, in particolare in caso di ordinanza contingibile e urgente, comporta, poi, di apprezzare diversamente la questione della “derogabilità” all’obbligo di preventiva comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti, è vero che è affermato il principio secondo il quale <<in caso di emanazione di un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente non occorre il rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7, l . 07.08.1990 n. 241, essendo queste incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo; in sostanza, la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco non può che essere di pregiudizio all'urgenza di provvedere>>.
D’altronde, la complessità istruttoria, argomentativa e anche decisoria che caratterizza i provvedimenti in materia di amianto, tali da comportare anche un rilevante esercizio di discrezionalità tecnica da parte della P.A., comporta che anche nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti, salvi casi di eccezionale urgenza e gravità adeguatamente indicati nella motivazione del provvedimento, il soggetto possibile destinatario di quest’ultimo deve essere messo nelle condizioni di contraddire e offrire anche il suo apporto tecnico alle valutazioni che la P.A. è chiamata ad adottare.
Poiché, come sopra visto, non è stato dato conto in modo adeguato e puntuale della sussistenza di una situazione di tale eccezionale urgenza e gravità, il Comune avrebbe dovuto procedere alla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti di parte ricorrente.
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... per l'annullamento, previa sospensione, dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 11 dell'11.05.2019, notificata a mezzo p.e.c. in pari data, avente ad oggetto l'ordine alla società di provvedere, entro 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza, alla bonifica completa della struttura dell'ex Villaggio Marino Europa, all'interno del quale “è stata accertata la presenza di amianto crisotilo”.
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Con ordinanza n. 11 datata 11.05.2019, il Sindaco del Comune di Riomaggiore ordinava alla società Vi.Ma.Eu. srl (d’ora in poi Vi.), proprietaria della struttura sita nell’ex Villaggio Europa, Località Spiaggione di Corniglia (Comune di Riomaggiore), in zona marino-costiera, di provvedere <<alla bonifica completa della struttura attualmente in essere nel sito dell’ex Villaggio Marino Europa, all’interno della quale è stata accertata la presenza di amianto crisotilo, secondo modalità e criteri stabiliti dalle normative vigenti>> e di comunicare al Comune il <<piano di lavoro>>.
...
1. Il provvedimento oggetto di impugnazione risulta essere stato adottato ai sensi dell’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, in forza del quale <<in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche>>.
Tale disposizione attribuisce al Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti tra l'altro "in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale".
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che <<la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento>> (TAR Piemonte, Sez. II, n. 903 del 2018; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 05/11/2018, n. 339).
Si è inoltre precisato che i <<presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità; aggiungasi che tale potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale>> (Cons. Stato, Sez. V, n. 774 del 2017).
Con riferimento, poi, alle fattispecie nelle quali viene in esame la pericolosità della presenza di “amianto” occorre rammentare che sussiste una specifica disciplina.
Il d.m. 06.09.1994 recante <<normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie>>, contiene una disciplina che si applica a strutture edilizie ad uso civile, commerciale o industriale aperte al pubblico o comunque di utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse.
Il documento contiene normative e metodologie tecniche riguardanti:
   - l'ispezione delle strutture edilizie, il campionamento e l'analisi dei materiali sospetti per l'identificazione dei materiali contenenti amianto;
   - il processo diagnostico per la valutazione del rischio e la scelta dei provvedimenti necessari per il contenimento o l'eliminazione del rischio stesso;
   - il controllo dei materiali contenenti amianto e le procedure per le attività di custodia e manutenzione in strutture edilizie contenenti materiali di amianto;
   - le misure di sicurezza per gli interventi di bonifica;
   - le metodologie tecniche per il campionamento e l'analisi delle fibre aerodisperse.
Il decreto precisa che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall'eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell'ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante da valutare in tal senso è rappresentato dalla friabilità dei materiali: si definiscono friabili i materiali che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere mediante la semplice pressione delle dita. I materiali friabili possono liberare fibre spontaneamente per la scarsa coesione interna (soprattutto se sottoposti a fattori di deterioramento quali vibrazioni, correnti d'aria, infiltrazioni di acqua) e possono essere facilmente danneggiati nel corso di interventi di manutenzione o da parte degli occupanti dell'edificio, se sono collocati in aree accessibili>>.
In base alla friabilità, i materiali contenenti amianto possono essere classificati come:
   - friabili: materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale;
   - compatti: materiali duri che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l'impiego di attrezzi meccanici (dischi abrasivi, frese, trapani, ecc.).
Quindi, <<una volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire, sarà opportuno, prima di procedere al campionamento dei materiali, articolare un finalizzato programma di ispezione, che si può così riassumere:
   1) ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile sull'edificio, per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per rintracciare, ove possibile, l'impresa edile appaltatrice;
   2) ispezione diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente contenenti fibre di amianto;
   3) verifica dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell'ambiente;
   4) campionamento dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;
   5) mappatura delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;
   6) registrazione di tutte le informazioni raccolte in apposite schede (allegato 5), da conservare come documentazione e da rilasciare anche ai responsabili dell'edificio
>>.
Il decreto, poi, indica analiticamente la procedura che il personale incaricato dell'ispezione e del campionamento deve seguire, indicando anche i criteri di selezione del materiale da campionare.
Il decreto chiarisce altresì che <<la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale>>.
Per la valutazione della potenziale esposizione a fibre di amianto del personale presente nell'edificio, poi, sono utilizzabili due tipi di criteri:
   - l'esame delle condizioni dell'installazione, al fine di stimare il pericolo di un rilascio di fibre dal materiale;
   - la misura della concentrazione delle fibre di amianto aerodisperse all'interno dell'edificio (monitoraggio ambientale).
Viene precisato, ancora, che il c.d. monitoraggio ambientale, non può rappresentare da solo un criterio adatto per valutare il rilascio, in quanto consente essenzialmente di misurare la concentrazione di fibre presente nell'aria al momento del campionamento, senza ottenere alcuna informazione sul pericolo che l'amianto possa deteriorarsi o essere danneggiato nel corso delle normali attività. In particolare, in caso di danneggiamenti, spontanei o accidentali, si possono verificare rilasci di elevata entità, che tuttavia, sono occasionali e di breve durata e che quindi non vengono rilevati in occasione del campionamento. In fase di ispezione visiva dell'installazione, devono essere, quindi, attentamente valutati:
   - il tipo e le condizioni dei materiali;
   - i fattori che possono determinare un futuro danneggiamento o degrado;
   - i fattori che influenzano la diffusione di fibre e l'esposizione degli individui.
Il decreto, quindi, precisa che deve essere compilata una scheda di sopralluogo, separatamente per ciascun'area dell'edificio in cui sono presenti materiali contenenti amianto.
I fattori considerati, pertanto, devono consentire di valutare l'eventuale danneggiamento o degrado del materiale e la possibilità che il materiale stesso possa deteriorarsi o essere danneggiato.
In base agli elementi raccolti per la valutazione possono, conseguentemente, delinearsi tre diversi tipi di situazioni:
a) Materiali integri non suscettibili di danneggiamento.
Sono situazioni nelle quali non esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto in atto o potenziale o di esposizione degli occupanti, come ad esempio:
   - materiali non accessibili per la presenza di un efficace confinamento;
   - materiali in buone condizioni, non confinati ma comunque difficilmente accessibili agli occupanti;
   - materiali in buone condizioni, accessibili ma difficilmente danneggiabili per le caratteristiche proprie del materiale (duro e compatto);
   - non esposizione degli occupanti in quanto l'amianto si trova in aree non occupate dell'edificio.
In questi casi non è necessario un intervento di bonifica. Occorre, invece, un controllo periodico delle condizioni dei materiali e il rispetto di idonee procedure per le operazioni di manutenzione e pulizia dello stabile, al fine di assicurare che le attività quotidiane dell'edificio siano condotte in modo da minimizzare il rilascio di fibre di amianto, secondo le indicazioni riportate nel capitolo 4.
b) Materiali integri suscettibili di danneggiamento
Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio potenziale di fibre di amianto, come ad esempio:
   - materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili dagli occupanti;
   - materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili in occasione di interventi manutentivi;
   - materiali in buone condizioni esposti a fattori di deterioramento (vibrazioni, correnti d'aria, ecc.).
In situazioni di questo tipo, in primo luogo, devono essere adottati provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di danneggiamento e quindi attuare un programma di controllo e manutenzione secondo le indicazioni riportate nel capitolo 4. Se non è possibile ridurre significativamente i rischi di danneggiamento dovrà essere preso in considerazione un intervento di bonifica da attuare a medio termine.
c) Materiali danneggiati
Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto con possibile esposizione degli occupanti, come ad esempio:
   - materiali a vista o comunque non confinati, in aree occupate dell'edificio, che si presentino:
   - danneggiati per azione degli occupanti o per interventi manutentivi;
   - deteriorati per effetto di fattori esterni (vibrazioni, infiltrazioni d'acqua, correnti d'aria, ecc.), deteriorati per degrado spontaneo;
   - materiali danneggiati o deteriorati o materiali friabili in prossimità dei sistemi di ventilazione.
Sono queste le situazioni in cui si determina la necessità di un'azione specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio in atto di fibre di amianto nell'ambiente.
I provvedimenti possibili possono essere:
   - restauro dei materiali: l'amianto viene lasciato in sede senza effettuare alcun intervento di bonifica vera e propria, ma limitandosi a riparare le zone danneggiate e/o ad eliminare le cause potenziali del danneggiamento (modifica del sistema di ventilazione in presenza di correnti d'aria che erodono il rivestimento, riparazione delle perdite di acqua, eliminazione delle fonti di vibrazioni, interventi atti ad evitare il danneggiamento da parte degli occupanti). È applicabile per materiali in buone condizioni che presentino zone di danneggiamento di scarsa estensione (inferiori al 10% della superficie di amianto presente nell'area interessata). È il provvedimento di elezione per rivestimenti di tubi e caldaie o per materiali poco friabili di tipo cementizio, che presentino danni circoscritti. Nel caso di materiali friabili è applicabile se la superficie integra presenta sufficiente coesione da non determinare un rilascio spontaneo di fibre;
   - intervento di bonifica mediante rimozione, incapsulamento o confinamento dell'amianto. La bonifica può riguardare l'intera installazione o essere circoscritta alle aree dell'edificio o alle zone dell'installazione in cui si determina un rilascio di fibre.
Quando si presentano situazioni di incerta classificazione è necessaria anche una indagine ambientale che misuri la concentrazione di fibre aerodisperse, con le tecniche indicate nel decreto.
Una volta che si accerti una situazione per la quale è necessaria la “bonifica”, il decreto indica le metodologie applicabili.
I metodi di bonifica che possono essere attuati, sia nel caso di interventi circoscritti ad aree limitate dell'edificio, sia nel caso di interventi generali, sono:
  
1) Rimozione dei materiali di amianto
È il procedimento più diffuso perché elimina ogni potenziale fonte di esposizione ed ogni necessità di attuare specifiche cautele per le attività che si svolgono nell'edificio. Comporta un rischio estremamente elevato per i lavoratori addetti e per la contaminazione dell'ambiente; produce notevoli quantitativi di rifiuti tossici e nocivi che devono essere correttamente smaltiti.
È la procedura che comporta i costi più elevati ed i più lunghi tempi di realizzazione. In genere richiede l'applicazione di un nuovo materiale, in sostituzione dell'amianto rimosso.
  
2) Incapsulamento
Consiste nel trattamento dell'amianto con prodotti penetranti o ricoprenti che (a seconda del tipo di prodotto usato) tendono ad inglobare le fibre di amianto, a ripristinare l'aderenza al supporto, a costituire una pellicola di protezione sulla superficie esposta. Costi e tempi dell'intervento risultano più contenuti. Non richiede la successiva applicazione di un prodotto sostitutivo e non produce rifiuti tossici. Il rischio per i lavoratori addetti e per l'inquinamento dell'ambiente è generalmente minore rispetto alla rimozione. È il trattamento di elezione per i materiali poco friabili di tipo cementizio.
Il principale inconveniente è rappresentato dalla permanenza nell'edificio del materiale di amianto e dalla conseguente necessità di mantenere un programma di controllo e manutenzione. Occorre inoltre verificare periodicamente l'efficacia dell'incapsulamento, che col tempo può alterarsi o essere danneggiato, ed eventualmente ripetere il trattamento. L'eventuale rimozione di un materiale di amianto precedentemente incapsulato è più complessa, per la difficoltà di bagnare il materiale a causa dell'effetto impermeabilizzante del trattamento. Inoltre, l'incapsulamento può alterare le proprietà antifiamma e fonoassorbenti del rivestimento di amianto.
  
3) Confinamento
Consiste nell'installazione di una barriera a tenuta che separi l'amianto dalle aree occupate dell'edificio. Se non viene associato ad un trattamento incapsulante, il rilascio di fibre continua all'interno del confinamento. Rispetto all'incapsulamento, presenta il vantaggio di realizzare una barriera resistente agli urti.
È indicato nel caso di materiali facilmente accessibili, in particolare per bonifica di aree circoscritte (ad es. una colonna). Non è indicato quando sia necessario accedere frequentemente nello spazio confinato. Il costo è contenuto, se l'intervento non comporta lo spostamento dell'impianto elettrico, termoidraulico, di ventilazione, ecc. Occorre sempre un programma di controllo e manutenzione, in quanto l'amianto rimane nell'edificio; inoltre la barriera installata per il confinamento deve essere mantenuta in buone condizioni.
Con riferimento, proprio alla scelta del metodo di bonifica, il decreto fornisce precise indicazioni:
   i) un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto; se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto;
   ii) materiali accessibili, soprattutto se facilmente danneggiabili, devono essere protetti da un idoneo confinamento;
   iii) prima di scegliere un intervento di incapsulaggio deve essere attentamente valutata l'idoneità del materiale di amianto a sopportare il peso dell'incapsulante.
In particolare trattamenti incapsulanti non sono indicati:
   - nel caso di materiali molto friabili o che presentano scarsa coesione interna o adesione al substrato, in quanto l'incapsulante aumenta il peso strutturale aggravando la tendenza del materiale a delaminarsi o a staccarsi dal substrato;
   - nel caso di materiali friabili di spessore elevato (maggiore di 2 cm), nei quali il trattamento non penetra molto in profondità e non riesce quindi a restituire l'adesione al supporto sottostante.
Per contro l'aumento di peso può facilitare il distacco dell'amianto:
   - nel caso di infiltrazioni di acqua: il trattamento impermeabilizza il materiale così che si possono formare internamente raccolte di acqua che appesantiscono il rivestimento e ne disciolgono i leganti, determinando il distacco;
   - nel caso di materiali facilmente accessibili, in quanto il trattamento forma una pellicola di protezione scarsamente resistente agli urti. Non dovrebbe essere mai effettuato su superfici che non siano almeno a 3 metri di altezza, in aree soggette a frequenti interventi di manutenzione o su superfici, a qualsiasi altezza, che possano essere danneggiate da attrezzi (es. soffitti delle palestre);
   - nel caso di installazioni soggette a vibrazioni (aeroporti, locali con macchinari pesanti, ecc.): le vibrazioni determinano rilascio di fibre anche se il materiale è stato incapsulato;
   iv) tutti i metodi di bonifica alternativi alla rimozione presentano costi minori a breve termine. A lungo termine, però il costo aumenta per la necessità di controlli periodici e di successivi interventi per mantenere l'efficacia e l'integrità del trattamento. Il risparmio economico (così come la maggiore rapidità di esecuzione), rispetto alla rimozione, dipende prevalentemente dal fatto che non occorre applicare un prodotto sostitutivo e che non vi sono rifiuti tossici da smaltire. Le misure di sicurezza da attuare sono, invece, per la maggior parte le stesse per tutti i metodi;
   v) interventi di ristrutturazione o demolizione di strutture rivestite di amianto devono sempre essere preceduti dalla rimozione dell'amianto stesso.
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A fronte della precisa e puntuale normativa tecnica sopra ricordata, introdotta in attuazione della l. n. 257 del 1992, la legittima adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di amianto presuppone lo svolgimento di un’adeguata istruttoria e di una motivazione estremamente puntuale e dettagliata che dia conto di tutti gli elementi essenziali sopra ricordati previsti dal d.m. 06.09.1994.
Sul punto, deve ritenersi che la speciale competenza accordata dall’art. 12, l. n. 257 del 1992 alle USL, non faccia venire meno il potere extra ordinem riconosciuto dall’art. 50, d.lgs. n. 267 del 2000, in capo al Sindaco, essendo quest’ultimo finalizzato a operare in situazioni di pericolo dovuto ad una situazione di pericolo imprevedibile ed eccezionale, attuale ed urgente.
D’altronde, perché tale competenza eccezionale sia legittimamente esercitata occorre che nella motivazione del provvedimento sia dato conto in modo preciso e puntuale, in aggiunta a quanto già sopra rilevato, degli elementi peculiari della fattispecie che impongono un intervento contingibile ed urgente.
Come accennato, il Comune ha ordinato la “bonifica” completa della struttura attualmente in essere nel sito, limitandosi a precisare “secondo le modalità e criteri stabiliti dalle norme vigenti”.
Il provvedimento risulta fondato:
   - sui rilievi operati dal Comando provinciale dei Vigili del Fuoco di La Spezia, di cui alla nota acquisita al protocollo comunale il 5.3.2019, nota che a sua volta richiama i risultati dei rapporti di prova dell’Arpal sul campione raccolto in data 21.02. u.s., “in corrispondenza della struttura” ancora in essere nell’Ex Villaggio Europa presso lo spiaggione di Corniglia, dai quali emergere la presenza di amianto crisotilo;
   - sul fatto che l’intera struttura si trova in stato di abbandono sicché <<non è esclusa la possibilità di ulteriori incendi, i quali a causa delle problematiche collegate alle difficoltà di raggiungimento del sito da parte dei vigili del fuoco, potrebbero risultare di difficile spegnimento, rappresentando un potenziale pericolo per la salute delle persone, i beni limitrofi e la salvaguardia della pubblica incolumità>>;
   - sulla nota dei vigili del fuoco che indica come <<indispensabile l’emissione da parte del Sindaco di un provvedimento amministrativo che obblighi la proprietà ad una messa in sicurezza dell’intero sito dell’Ex Villaggio Europa>>;
Per quanto concerne, poi, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, il Comune si è limitato ad asserire che <<le particolari esigenze di celerità del procedimento connesse all’urgenza e conseguente immediata esecutività del presente provvedimento, rendono impossibile l’effettuazione della comunicazione di avvio del procedimento prevista dalla legge 07.08.1990, n. 241>>.
Esaminiamo, quindi, la documentazione richiamata dal Comune.
Per quanto concerne la <<proposta di emissione di ordinanza per ripristino rete e chiusure presso l’ex villaggio Marino Europa>> emessa, in data 19.06.2019, dai Carabinieri, questi ultimi hanno segnalato sia la presenza irregolare di persone senza fissa dimora, sia il fatto che la presenza dei soggetti nell’area non è limitata solo ad avere un giaciglio dove trascorrere la notte, ma con l’estate il luogo riceve turisti amanti della natura che invadono il terreno privato, nuovamente privo di reti, limitazioni e cartelli segnalanti la chiusura; in talune occasioni, poi, il comportamento di alcuni degli occupanti ha avuto risalto delittuoso per discussioni alimentate anche dall’alcool e sfocianti con l’aggressione l’uno contro l’altro, nonché con l’accensione di fuochi pericolosi per il rischio incendio;
I carabinieri, quindi, per risolvere i problemi di cui sopra hanno proposto al Comune di adottare un’ordinanza per:
   - sensibilizzare la proprietà a reinstallare reti interdittive e a vigilare sull’efficienza di queste, già oggetto di precedente ordinanza;
   - ripristinare il cartello (anche in inglese) ad inizio sentiero, anche in lingua inglese per preavvisare coloro che vi accedono e per mettere in condizione la FFPP di contestare la violazione sindacale oltre a quelle di settore;
   - valutare la rimozione o l’abbattimento, mantenendo traccia dei manufatti delle poche baracche ancora integre che vengono puntualmente occupate abusivamente.
Nella relazione di intervento dei vigili del fuoco del 09.01.2019, poi, è stato dato conto del fatto che gli stessi si erano recati in loco perché stava bruciando <<l’ultima baracca lato Riomaggiore dell’abbandonato villaggio turistico “Europa”, ubicato sotto la stazione ferroviaria di Corniglia>>. E <<avendo sentore di probabile presenza di materiali M.C.A. si attuavano normali e importanti precauzioni anti-contaminazione tra cui porsi sopravento (forza vento alta) e bagnare tutta la zona circostante; si provvedeva, poi, ad attaccare l’incendio e a smassare per il minuto spegnimento>>.
Con riguardo ai provvedimenti di tutela adottati, veniva dato conto di: <<lavaggio d.p.i., prelievo campione di materiale con sospetto M.C.A. e consegnato a personale NBCR DEL comando>>.
Con atto del 05.03.2019 il Comando provinciale dei VV.FF. di La Spezia ha dato conto del fatto che in occasione dell’intervento del 09.01.2019 di cui sopra, era stata <<rilevata la presenza di materiale con sospetta presenza di amianto>> <<in matrice compatta, in coperture, serbatoi, tubazioni>>, e che era stato prelevato un campione di detto materiale consegnato ad Arpal, la quale in data in data 21.02.2019 aveva fatto pervenire rapporti di prova del campione dai quali emergeva la presenza di amianto crisotilo.
E’ stato, quindi, rilevato che <<l’intera struttura era in stato di abbandono e non si esclude la possibilità che si possano verificare in futuro ulteriori incendi e visto che la viabilità del sito non consente un facile accesso agli automezzi di soccorso, si ritiene necessario che codesta amministrazione comunale competente provveda a far eseguire gli interventi necessari per la messa in sicurezza del sito>>.
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Ebbene, alla luce di tutto quanto sin qui detto risulta evidente che né l’ordinanza, né i documenti tecnici da essa richiamati danno conto, tra l’altro:
   a) delle modalità e della procedura di campionamento e di analisi adottata e della puntuale compatibilità con i criteri previsti dal d.m. 06.09.1994;
   b) di una puntuale valutazione delle condizioni di rischio effettive e, in particolare, quali e quanti manufatti contenenti amianto occorra procedere a mettere in sicurezza, le dimensioni e caratteristiche degli stessi e se siano friabili o meno, e con quale grado di friabilità, in relazione anche alla maggiore o minore predisposizione al danneggiamento da parte di terzi;
   c) della gravità e rilevanza dell’estensione delle zone potenzialmente interessate;
   d) dei possibili fattori di pericolosità (manomissione) esterna dei manufatti in relazione alla consistenza degli stessi (ovvero se i beni interessati siano manomettibili e in che misura e con quale grado potenziale di rischio);
   e) del perché sia, quindi, necessaria proprio la bonifica, e quale modalità, tra quelle possibili, sia quella necessaria e sufficiente a mettere in sicurezza la zona.
L’omessa precisa e puntuale indicazione di tutti gli elementi sopra estesi non consente di comprendere se sussista o meno l’eccezionale urgenza e l’imprevedibilità del pericolo che solo giustifica l’intervento da parte del Sindaco.
Sul punto, deve ritenersi meramente ipotetico il pericolo connesso ad una possibile reiterazione di episodi di incendio, senza una puntuale descrizione e valutazione delle potenzialità di aerodispersione dell’amianto presente nei manufatti in relazione allo specifico grado di “fragilità” dei manufatti in contestazione in caso di incendio medesimo.
Peraltro, sempre con riferimento al pericolo di incendio, non è nemmeno esplicitato per quale motivo non sia possibile adottare, e, quindi, ordinare, l’adozione di misure diverse idonee a mettere adeguatamente in sicurezza l’intero sito dal rischio di incendi.
A conferma di tutto quanto sopra detto, si rammentano le pronunce giurisprudenziali che hanno sottolineato come <<è illegittimo l'ordine di rimuovere manufatti contenenti amianto che non è stato preceduto da un approfondimento tecnico-istruttorio in merito alla scelta del metodo di bonifica più opportuno tra le diverse modalità attuabili, essendo invece necessario un preventivo apprezzamento dei rischi connessi alla sua concreta attuazione>> (in tal senso, TAR, Ancona, sez. I, 07/10/2016, n. 545; conformemente, TAR Puglia, sez. dist. Lecce, sez. I, 06/02/2014, n. 337).
La particolarità della fattispecie in materia di amianto sia in termini di attività istruttoria che di motivazione del provvedimento, in particolare in caso di ordinanza contingibile e urgente, comporta, poi, di apprezzare diversamente la questione della “derogabilità” all’obbligo di preventiva comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti, è vero che è affermato il principio secondo il quale <<in caso di emanazione di un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente non occorre il rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7, l . 07.08.1990 n. 241, essendo queste incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo; in sostanza, la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco non può che essere di pregiudizio all'urgenza di provvedere>> (C. Stato, sez. V, 01/12/2014, n. 5919).
D’altronde, la complessità istruttoria, argomentativa e anche decisoria che caratterizza i provvedimenti in materia di amianto, tali da comportare anche un rilevante esercizio di discrezionalità tecnica da parte della P.A., comporta che anche nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti, salvi casi di eccezionale urgenza e gravità adeguatamente indicati nella motivazione del provvedimento, il soggetto possibile destinatario di quest’ultimo deve essere messo nelle condizioni di contraddire e offrire anche il suo apporto tecnico alle valutazioni che la P.A. è chiamata ad adottare.
Poiché, come sopra visto, non è stato dato conto in modo adeguato e puntuale della sussistenza di una situazione di tale eccezionale urgenza e gravità, il Comune avrebbe dovuto procedere alla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti di parte ricorrente.
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In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento impugnato deve essere annullato, nei limiti e per i motivi sopra esposti, per difetto di motivazione e omessa comunicazione dell’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.07.2019 n. 603 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAOggetto: Contributi regionali per la rimozione dell’amianto: approvazione Bando (ANCE di Bergamo, circolare 28.06.2019 n. 164).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 25 del 18.06.2019, "Approvazione del bando per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto da edifici privati" (decreto D.U.O. 14.06.2019 n. 8615).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Contributi regionali per la rimozione dell’amianto: approvazione dei criteri (ANCE di Bergamo, circolare 06.06.2019 n. 143).

AMBIENTE-ECOLOGIAE’ pacifico che il principio “chi inquina paga” non ammette forme di responsabilità a prescindere dalla materiale causazione del danno o del pericolo ambientale.
L’Amministrazione non può imporre, infatti, al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di siffatta area. Orientamento, questo, che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla responsabilità ambientale.
Per la giurisprudenza, ai sensi degli artt. 242, comma 1, e 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere, invero, imposti dalla Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili dell'inquinamento e cioè ai soggetti che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all'inquinamento da un preciso nesso di causalità, non essendo configurabile una responsabilità di mera posizione del proprietario del sito inquinato.
Unica eccezione è costituita dalle (mere) misure di precauzione che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppongono affatto l’accertamento del dolo o della colpa.
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... per l'annullamento, previa sospensione cautelare, dell'ordinanza sindacale del Comune di Spilimbergo n. 62 del 24.07.2018, per l'esecuzione di misure di prevenzione ai sensi dell'art. 240 c. 1, lett. i), del d.lgs. 152/2006 presso l'area industriale sita in Spilimbergo “Zona industriale Cosa”, Fg. 27 mapp. n. 335, nonché in merito alla presunta copertura in cemento-amianto dell'immobile (doc. 1);
...
La società UB.Le. S.p.A., proprietaria di una serie di immobili ed aree siti nel Comune di Spilimbergo (PN), Zona Industriale Cosa, contesta la legittimità, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, del provvedimento a firma congiunta del Sindaco e del Responsabile del Servizio Ambiente in epigrafe compiutamente indicato, laddove le è stato ordinato, quale proprietà dei mappali medesimi e, in particolare, di quelli interessati dallo stabilimento “ex Sintesi” ove insistono le vasche dell’impianto di trattamento (cromo e nichel) ancora parzialmente piene di prodotto, nonché le vasche di raccolta reflui e acque di processo del pari ancora piene, di provvedere ai sensi artt. 240, 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006:
   “- entro il termine perentorio di 10 giorni dal ricevimento della presente, a porre in essere tutte le necessarie misure di prevenzione finalizzate ad evitare che i materiali liquidi/rifiuti liquidi sopra indicati alle lett. a) e b) delle premesse della presente ordinanza, possano costituire potenziale sorgente attiva di contaminazione del suolo, del sottosuolo e della falda sotterranea: le misure di prevenzione dovranno consistere nella totale rimozione dei materiali/rifiuti liquidi sopra indicati e nel loro avvio a recupero/smaltimento nelle forme di legge, ed altresì nel successivo completo lavaggio e pulizia di tutte le vasche/cisterne di raccolta degli stessi;
   - di effettuare, entro 30 giorni dal ricevimento della presente, l’analisi di classificazione della copertura dell’immobile indicato in premessa, e ove risultasse composta da cemento-amianto (eternit), procedere, nei 30 giorni successivi, ai sensi del D.M 06/09/1994 <Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della Legge 27.02.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto>, attraverso ditta specializzata e/o tecnico qualificato, alla valutazione dello stato di degrado dei materiali contenti amianto sulla copertura del fabbricato, trasmettendola al Comune; in seguito alla valutazione dello stato di degrado o conservazione della copertura in cemento-amianto, effettuare altresì gli interventi di monitoraggio e controllo periodico o, se necessario, procedere, a seconda dello stato di degrado della copertura, con uno degli interventi di bonifica previsti dalla normativa vigente (D.M. 06.09.1994 rimozione, incapsulamento, confinamento)
”.
...
Il ricorso merita accoglimento.
Indiscussa, invero, la permanenza dell’interesse alla decisione nel merito in capo a parte ricorrente, atteso che, da quanto riferito da entrambe le parti, la medesima avrebbe solo dato avvio ai lavori di rimozione dei materiali/rifiuti liquidi presenti nel sito e manifestato l’intenzione di effettuare quelli di bonifica dell’eternit del pari presente nel sito, sicché –è evidente– il provvedimento gravato non ha, allo stato, ancora esaurito i propri effetti nei suoi confronti, il Collegio ritiene dirimenti i primi due motivi di gravame.
In disparte l’effettiva “perplessità” dell’adozione congiunta del provvedimento gravato da parte dell’organo politico di vertice dell’ente civico e di quello gestionale competente per materia, il Collegio ritiene, in effetti, che il provvedimento in questione fuoriesca, per il suo contenuto e la sua effettiva portata, dallo stretto perimetro delle cd. misure di prevenzione di cui all’art. 240, c. 1, lett. i), d.lgs. n. 152/2006 e, in particolare, che difetti degli stringenti presupposti stabiliti per l’emissione dei provvedimenti contingibili ed urgenti di competenza sindacale, dovendo, per converso, venire declinato secondo la procedura “ordinaria” di cui all’art. 244 d.lgs. citato, di spettanza dell’ente cui competono le funzioni amministrative in materia di ambiente.
Decisiva, nei sensi dell’illegittimità dell’ordinanza in questione laddove emessa nei confronti della ricorrente, è, in ogni caso, la circostanza che la stessa poggia sulla mera e acritica constatazione della titolarità in capo alla società Ub.Le. del bene su cui insiste l’inquinamento al quale, ancorché impropriamente, ha inteso ovviare, senza peritarsi di indagare in alcun modo se la situazione pregiudizievole per l’ambiente che è stata riscontrata le sia effettivamente ascrivibile.
E’ pacifico, però, che il principio “chi inquina paga” non ammette forme di responsabilità a prescindere dalla materiale causazione del danno o del pericolo ambientale.
L’Amministrazione non può imporre, infatti, al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di siffatta area (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2016, n. 4875). Orientamento, questo, che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla responsabilità ambientale (cfr. CGUE, Sez. III, 04.03.2015, causa C-534/13).
Per la giurisprudenza, ai sensi degli artt. 242, comma 1, e 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere, invero, imposti dalla Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili dell'inquinamento e cioè ai soggetti che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all'inquinamento da un preciso nesso di causalità, non essendo configurabile una responsabilità di mera posizione del proprietario del sito inquinato (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 25.09.2013, n. 21; Corte di giustizia, sez. III, 04.03.2015, C-534/13).
Unica eccezione è costituita dalle (mere) misure di precauzione, ipotesi che non ricorre, però, nel caso di specie, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppongono affatto l’accertamento del dolo o della colpa (Cons. Stato, V, 08.03.2017, n. 1089; in questi termini, Cons. Stato, sez. V, 14.04.2016, n. 1509; Cons. Stato, sez. VI, 15.07.2015, n. 3544).
In definitiva, i motivi scrutinati sono fondati (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 05.06.2019 n. 247 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI SERVIZIL’art. 212 del D.Lgs. n. 152/2006 (Norme in materia ambientale) al comma 5 così testualmente dispone: “L’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi”.
Sicché, partecipando ad una gara d'appalto ed in carenza di tale iscrizione, non può che conseguire l’esclusione dalla gara stessa per carenza di un requisito abilitativo per l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto rifiuti, rientrante nel novero dei requisiti speciali di idoneità professionale in relazione alle attività oggetto di appalto, che, come affermato dalla giurisprudenza e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, costituisce requisito di partecipazione alla gara (e, come tale, va posseduto già alla scadenza del termine di presentazione delle offerte), e non soltanto di esecuzione del servizio.
Pertanto, nel caso di appalto avente ad oggetto le attività di cui all’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006, anche a voler ritenere che la stazione appaltante non avesse previsto nella legge di gara tra i requisiti di partecipazione quello dell’iscrizione all’Albo in parola, la disciplina di gara, avuto riguardo allo specifico oggetto dell’appalto, dovrebbe ritenersi automaticamente etero-integrata dal diritto nazionale vigente, colmandosi le lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione secondo un meccanismo analogo a quello di cui agli artt. 1374 e 1339 c.c.
Sarebbe quindi irrilevante la collocazione nel Capitolato della richiesta del requisito che doveva essere posseduto anche a prescindere da una specifica previsione nella lex specialis.
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Il requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali è un requisito di natura soggettiva relativo alla idoneità professionale degli operatori a norma dell’art. 83, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, e costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporti dei rifiuti pericolosi e non, sì che “il relativo possesso determina quindi l’abilitazione soggettiva all’esercizio della professione e costituisce pertanto, un requisito che si pone a monte dell'attività di gestione dei rifiuti, pacificamente rientrando nell’ambito dei requisiti di partecipazione e non di esecuzione”, risultando poi la presenza soggettiva di siffatto requisito per poter concorrere a gare aventi ad oggetto dette attività “conforme all’immanente principio di ragionevolezza e di proporzionalità – in specie, quanto a necessarietà e adeguatezza”.
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5.1. Come esposto in narrativa l’appellante ripropone con l’odierno gravame solo le censure attinenti all’asserita carenza del requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali in capo al RTI aggiudicatario, impugnando le relative statuizioni della sentenza di prime cure che hanno respinto il motivo sul presupposto che venisse in rilievo un mero requisito di esecuzione ( richiesto “nell’ambito dell’appalto e delle attività relative alla gestione dei rifiuti in esso comprese”), non necessario ai fini della ammissione alla gara: ciò si ricaverebbe, ad avviso del primo giudice, dalla previsione del requisito in esame nel solo Capitolato, e dalla circostanza che la lex specialis, non impugnata sul punto dalla ricorrente, non lo indicasse espressamente tra quelli richiesti, a pena di esclusione, per la partecipazione alla gara; sotto altro concorrente profilo, sarebbe poi dirimente il riferimento contenuto nel Capitolato all’impresa appaltatrice (il che presupporrebbe appunto l’intervenuta aggiudicazione) e la possibilità di delega del servizio di trasporto dei rifiuti (per la quale era richiesta l’iscrizione all’Albo nella categorie 4F e 5F) ad un’impresa terza (di cui la ditta appaltatrice può appunto avvalersi).
5.2. L’appellante contesta una siffatta ricostruzione, rilevando anzitutto come la circostanza che oggetto dell’appalto in questione fosse, tra l’altro, anche l’attività di raccolta dei rifiuti e trasporto di essi presso gli impianti di smaltimento imponesse l’applicazione alla fattispecie dell’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale) che al comma 5 così testualmente dispone: “L’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi”.
5.3. Conformemente a tale previsione di legge, pertanto, il Capitolato, integrando sul punto il bando, ha richiesto che le concorrenti fossero in possesso del requisito minimo dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali categoria 2-bis, nonché 4F e 5F (pag. 65): in particolare l’operatore economico avrebbe dovuto essere in possesso della categoria 2-bis richiesta dal D.M. n. 120 del 03.06.2014 per il produttore di rifiuti (che è per l’appunto l’operatore economico affidatario della commessa), nonché delle ulteriori categorie 4F e 5F richieste per l’operatore economico che effettua l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi (categoria 4) e pericolosi (categoria 5); solo per tali ultime due categorie (4F e 5F) il Capitolato avrebbe consentito, sempre ad avviso dell’appellante, che, qualora l’attività di raccolta e trasporto rifiuti pericolosi fosse stata svolta in regime di subappalto, fosse il subappaltatore a possedere l’iscrizione, fermo restando l’obbligo in capo all’operatore economico concorrente di possedere (ai fini della partecipazione alla gara) comunque il requisito dell’iscrizione nell’Albo Gestori Ambientali per la categoria 2-bis.
5.4. Sennonché nella specie né la mandatari I.C. Se. né la mandante Il Ri. erano iscritte nell’Albo: da qui non poteva che conseguire, secondo La Lu., l’esclusione dalla gara per carenza di un requisito abilitativo per l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto rifiuti, rientrante nel novero dei requisiti speciali di idoneità professionale in relazione alle attività oggetto di appalto, che, come affermato dalla giurisprudenza (Cons. di Stato, Sez. V, 22.10.2018, n. 6032; id., V, 19.04.2017, n. 1825) e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (delibera ANAC del 28.03.2018, n 324), costituisce requisito di partecipazione alla gara (e, come tale, va posseduto già alla scadenza del termine di presentazione delle offerte), e non soltanto di esecuzione del servizio.
5.5. Pertanto, nel caso di appalto avente ad oggetto le attività di cui all’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006, anche a voler ritenere che la stazione appaltante non avesse previsto nella legge di gara tra i requisiti di partecipazione quello dell’iscrizione all’Albo in parola, la disciplina di gara, avuto riguardo allo specifico oggetto dell’appalto, dovrebbe ritenersi automaticamente etero-integrata dal diritto nazionale vigente, colmandosi le lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione secondo un meccanismo analogo a quello di cui agli artt. 1374 e 1339 c.c.
5.6. Sarebbe quindi irrilevante la collocazione nel Capitolato della richiesta del requisito che doveva essere posseduto anche a prescindere da una specifica previsione nella lex specialis.
...
6.1. Devono anzitutto richiamarsi le previsioni di cui all’art. 212, comma 5 e 6, del d.lgs. 152 del 2006 recante Norme in materia ambientale (di seguito “T.U.A.” o “Codice dell’ambiente”) in base alle quali: “L'iscrizione all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi, nonché di gestione di impianti di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi e di gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di rifiuti, nei limiti di cui all'articolo 208, comma 15. Sono esonerati dall'obbligo di cui al presente comma le organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, a condizione che dispongano di evidenze documentali o contabili che svolgano funzioni analoghe, fermi restando gli adempimenti documentali e contabili previsti a carico dei predetti soggetti dalle vigenti normative.
6. L'iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e costituisce titolo per l'esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti; per le altre attività l'iscrizione abilita alla gestione degli impianti il cui esercizio sia stato autorizzato o allo svolgimento delle attività soggette ad iscrizione
.”
6.2. Richiamate tali previsioni, giova in primo luogo evidenziare come vero è che, in base al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa che la Sezione condivide ed a cui intende dare continuità, il requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali è un requisito di natura soggettiva relativo alla idoneità professionale degli operatori a norma dell’art. 83, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, e costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporti dei rifiuti pericolosi e non, sì che “il relativo possesso determina quindi l’abilitazione soggettiva all’esercizio della professione e costituisce pertanto, un requisito che si pone a monte dell'attività di gestione dei rifiuti, pacificamente rientrando nell’ambito dei requisiti di partecipazione e non di esecuzione” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.10.2018, n. 6032), risultando poi la presenza soggettiva di siffatto requisito per poter concorrere a gare aventi ad oggetto dette attività “conforme all’immanente principio di ragionevolezza e di proporzionalità – in specie, quanto a necessarietà e adeguatezza” (Cons. di Stato, V, 19.04.2017, n. 1825)
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2019 n. 3727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 17.05.2019, "Criteri per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la rimozione di coperture e di altri manufatti in cemento-amianto da edifici privati" (deliberazione G.R. 15.05.2019 n. 1620).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Linea guida sull'applicazione della disciplina per l'utilizzo delle terre e rocce da scavo (Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, delibera 09.05.2019 n. 54/2019).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAOrdinanza sindacale di rimozione manto di copertura in lastre tipo eternit di fabbricati industriali.
Ai sensi della L. n. 257/1992 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), qualora sugli edifici si renda necessaria la rimozione dell’amianto, al ricorrere delle circostanze ivi previste, “il costo delle operazioni di rimozione dell’amianto è a carico dei proprietari degli immobili” (art. 12, c. 3).
La L.R. n. 45/2017 ha previsto che “L’Amministrazione regionale è autorizzata a concedere contributi per la realizzazione degli interventi sostitutivi di rimozione dell’amianto da edifici o manufatti di proprietà privata, nel caso di inottemperanza all’ordinanza contingibile e urgente emessa dal Sindaco nei confronti dei proprietari degli edifici e dei manufatti interessati”. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DPReg. n. 45/2019.

Il Comune riferisce di voler avviare il procedimento per la rimozione del manto di copertura in lastre tipo eternit di due fabbricati ad uso industriale, a seguito delle risultanze del sopralluogo effettuato dall’AAS competente per territorio per la verifica dello stato di conservazione di detta copertura.
Il Comune precisa che i privati proprietari dei fabbricati hanno concesso nel 2014, con atto pubblico, un diritto di superficie sulla “porzione immobiliare ad uso lastrico solare, costituente il piano copertura” ad una Società, che, in forza del contratto, avrebbe dovuto rimuovere le lastre tipo eternit ivi presenti e costruirvi e mantenervi quattro impianti fotovoltaici e quant’altro necessario per lo svolgimento dell’attività di produzione di energia elettrica.
Nel 2016 la Società è stata dichiarata fallita dal Tribunale competente ed il diritto di superficie è entrato nella procedura fallimentare
[1].
In tale contesto, il Comune chiede a chi vada notificata l’ordinanza di rimozione del manto di copertura con lastre tipo eternit dei fabbricati industriali di cui si tratta.
Si premette che l’attività di consulenza svolta da questo Servizio consta nel fornire elementi giuridici in generale sulle questioni poste, che possano essere di ausilio agli enti locali per la soluzione, in autonomia, dei casi concreti, senza alcuna ingerenza nella valutazione degli atti inerenti alle singole fattispecie.
Per cui, preso atto dell’intenzione dell’Ente di far rimuover le coperture in eternit degli immobili di cui si tratta, a seguito della verifica compiuta dall’AAS competente, con riferimento al quesito posto circa i soggetti cui notificare l’ordinanza di rimozione, si formulano alcune riflessioni, che l’Ente potrà utilizzare per addivenire alla soluzione più opportuna del caso di interesse.
Secondo la normativa di settore, di cui alla L. 27.03.1992, n. 257, “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, qualora sugli edifici si renda necessaria la rimozione dell’amianto al ricorrere delle circostanze ivi previste
[2], “il costo delle operazioni di rimozione dell’amianto è a carico dei proprietari degli immobili” (art. 12, c. 3).
La normativa richiamata, da prendere a riferimento da parte del Comune per il procedimento di rimozione dell’amianto, individua espressamente nei proprietari i soggetti tenuti a sostenerne i costi, a prescindere dai rapporti di natura contrattuale che questi possano aver instaurato con altri privati in relazione agli immobili e da cui siano sorti altri diritti sugli stessi.
Non vi è, invero, nell’art. 12 della L. n. 257/1992, alcun riferimento, per quanto concerne l’imputazione dei costi della rimozione dell’amianto, a soggetti titolari –sugli immobili di cui si tratta– di altri diritti diversi dal diritto di proprietà.
Sembra dunque potersi ritenere –venendo al caso di specie– che l’ordinanza sindacale di rimozione del manto di copertura in lastre eternit dei fabbricati industriali vada notificata –ai sensi della normativa di settore richiamata– ai proprietari di detti immobili, a prescindere dalle vicende giuridiche che li hanno interessati, in particolare dai rapporti inter partes tra i proprietari e la ditta concessionaria del diritto di superficie sul lastrico solare, che potranno essere da questi risolti nelle opportune sedi.
Con riferimento alla posizione del Comune –cui l’attività di consulenza di questo Servizio è rivolta– si informa che la L.R. 28.12.2017, n. 45 (Legge di stabilità 2018), ha previsto, all’art. 4, comma 27, che “L’Amministrazione regionale è autorizzata a concedere contributi ai Comuni per la realizzazione degli interventi sostitutivi di rimozione dell’amianto da edifici o manufatti di proprietà privata, nel caso di inottemperanza all’ordinanza contingibile e urgente emessa dal Sindaco nei confronti dei proprietari degli edifici e dei manufatti interessati”
[3].
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[1] Peraltro, il curatore fallimentare ha comunicato di essere stato autorizzato dal comitato dei creditori e con il visto del Giudice Delegato alla rinuncia alla liquidazione del diritto di superficie del manto di copertura di cui è questione, ai sensi dell’art. 104-ter, della legge fallimentare (R.D. n. 267/1942).
Viene altresì detto nel quesito che il diritto di superficie di cui si tratta è stato fatto oggetto nel 2015 di espropriazione immobiliare. In proposito, il Comune ha riferito che la procedura esecutiva nei confronti della Società è ancora in corso, ma il legale della ditta esecutrice ha fatto sapere che la sua assistita rinuncerà all’espropriazione immobiliare del diritto di superficie.
[2] Come osserva la Corte di Cassazione, la L. n. 257/1992 –posta a tutela dell’ambiente e della salut –ha vietato per il futuro la commercializzazione e l’utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento, ma non ha imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già esistenti al momento della sua entrata in vigore, prevedendo rispetto a tali costruzioni l’obbligo dei proprietari degli immobili di comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici (art. 12).
[3] In attuazione di tale disposizione, è stato emanato il DPReg. 28.03.2019, n. 54, recante: “Regolamento per la concessione dei contributi di cui all’articolo 4, comma 27 della legge regionale 28.12.2017, n. 45 (Legge di stabilità 2018) per la realizzazione da parte dei Comuni, di interventi sostitutivi di rimozione dell’amianto da edifici o manufatti di proprietà privata, nel caso di inottemperanza di ordinanze contingibili e urgenti”. Il Regolamento è pubblicato nel BUR Friuli Venezia Giulia n. 15 del 10.04.2019
 (15.04.2019 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Dev'essere operata la bonifica di un tetto in eternit, laddove ammalorato e -quindi- pregiudizievole per la salute pubblica, interessante un fabbricato suscettibile di "utilizzazione collettiva" a prescindere che si trovi, allo stato, inutilizzabile.
Va ricordato il d.m. 06.09.1994 (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il cui art. 1a) recita testualmente che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la friabilità dei materiali>>.
Nel caso di specie, onde evitare di operare la bonifica, risulta ininfluente il fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata siano ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr., premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si trovino, allo stato, inutilizzate.
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... per l’annullamento dell’ordinanza n. 1 del 30.11.2016 del Comune di Castel Giorgio (Area Tecnica), irritualmente notificata in allegato alla raccomandata n. 15230114710-2 il 17.04.2018, con cui si è disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) in località ... n. 13 in Contrada ... 13, nel Comune di Castel Giorgio (TR).
...
1. Con il ricorso in epigrafe si chiede l’annullamento del provvedimento con il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà della sig.ra Si.Le., odierna ricorrente.
2. L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi:
   I. Violazione di legge in relazione alla disciplina del combinato disposto delle norme di cui al D.M. 06.09.1994 in merito alle metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Riferisce la ricorrente che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza. Inoltre, le lastre di eternit non sono in materiale friabile, bensì compatto ed in quanto tali non possono subire danneggiamenti se non per opera vandalica dell’uomo o per eventi calamitosi naturali come accaduto ed al quale evento si è prontamente provveduto, peraltro senza richiedere indennizzi dalla comunità>>.
Ne conseguirebbe l’insussistenza di alcun rischio alla salute nei confronti di lavoratori e/o occupanti come richiesto dalla citata disciplina normativa.
   II. Violazione di legge in relazione al richiamato Titolo IX, capo 3° del D.Lgs. 81/2008, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Adduce la ricorrente che <<il campo di applicazione del decreto citato, infatti, riguarda esclusivamente le imprese ed i lavoratori che provvedono alla bonifica di siti contenenti amianto e, pertanto, la normativa esplicitamente richiamata non è antecedente logico, né giuridico dell’ordinanza contestata>>.
   III. Violazione di legge in relazione alla disciplina di cui agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, nonché alla ratio legis che ne sta a fondamento, per impedimento alla partecipazione del procedimento amministrativo e violazione del contraddittorio. Violazione art. 3 della Costituzione e art. 1 della Legge 241/1990 per sperequazione di trattamento di situazioni identiche.
Lamenta la ricorrente la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, non avendo <<mai ricevuto notizia, comunicazione o notifica di atti prodromici all’emissione del provvedimento impugnato>>, come pure del sopralluogo eseguito dalla U.S.L. il 04.05.2016, nonché degli esiti del medesimo.
   IV. Violazione di legge in relazione all’art. 10 della legge 265/1999 per irritualità della notificazione del provvedimento amministrativo.
Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato <<avrebbe dovuto essere notificato con l’apposita procedura e non portato a conoscenza della ricorrente con una semplice raccomandata postale, per giunta allegato ad una lettera, ingenerando confusione nella medesima>>.
   V. Violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 1, della legge 241/1990 per carenza di motivazione conseguente all’inesistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento.
...
1. È materia del contendere la legittimità del provvedimento con il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà dell’odierna ricorrente.
2. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto.
3. Dalle premesse del provvedimento impugnato risulta infatti che l’indice di degrado delle coperture in eternit dei fabbricati di parte ricorrente <<risulta pari a 30 e che tale indice prevede la messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione come descritto dalla D.G.R. n. 129 del 01/02/2010 entro il termine di 3 (tre) anni dall’accertamento>>.
4. Non colgono pertanto nel segno le doglianze (terzo e quinto motivo di ricorso) relative all’asserita violazione delle garanzie procedimentale ed al paventato difetto di motivazione e/o istruttoria del provvedimento impugnato, le cui risultanze appaiono invero coerenti con la disposta valutazione dello stato di conservazione delle coperture di cemento-amianto, la quale è stata correttamente condotta attraverso l’ispezione dei manufatti e l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D) di cui alla deliberazione della Giunta Regionale 01.02.2010, n. 129 (rimasta inoppugnata), il cui allegato A riporta l’algoritmo che la Regione Umbria ha deciso di adottare per la valutazione obbligatoria delle coperture esterne in cemento amianto.
5. E ciò coerentemente alla disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994 (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il cui art. 1a) recita testualmente che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la friabilità dei materiali>>.
6. Sempre per l’infondatezza, deve giungersi in ordine alla dedotta violazione della normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto (primo motivo di ricorso) in conseguenza del fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
7. Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr., premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si trovino, allo stato, inutilizzate.
8. Parimenti destituita di fondamento, è l’affermazione di parte ricorrente (secondo motivo), con cui si contesta l’applicazione al caso di specie della disciplina di cui al titolo IX, capo 3°, del d.lgs. 81/2008, trattandosi invero di normativa il cui ambito di applicazione concerne <<tutte le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate>> ed è quindi perfettamente attinente al caso di specie, in cui è stata ordinata <<la messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione>> delle coperture di cemento-amianto dei fabbricati di parte ricorrente, la quale dovrà essere effettuata dalle apposite ditte specializzate, coerentemente a detta disciplina normativa.
9. Sempre per l’infondatezza, deve infine concludersi in ordine all’asserita irritualità della notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di rilievo puramente formale insuscettibile di inficiare nella sostanza la legittimità delle valutazioni e determinazioni assunte dall’amministrazione intimata nei confronti dell’odierna ricorrente.
10. In conclusione il ricorso va rigettato siccome infondato (TAR Umbria, sentenza 18.02.2019 n. 75 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: RIFIUTI - AMIANTO – D.M. 06.09.1994 – Applicazione – Strutture suscettibili di utilizzazione collettiva – Utilizzazione in atto – Non è richiesta.
Circa la disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994 (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto) l'art. 1a) recita testualmente che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la friabilità dei materiali>>.
Sicché, risulta infondata la censura in ordine alla dedotta violazione della normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto in conseguenza del fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>>.
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... per l’annullamento dell’ordinanza n. 1 del 30.11.2016 del Comune di Castel Giorgio (Area Tecnica), irritualmente notificata in allegato alla raccomandata n. 15230114710-2 il 17.04.2018, con cui si è disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) in località ... n. 13 in Contrada ... 13, nel Comune di Castel Giorgio (TR).
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1. Con il ricorso in epigrafe si chiede l’annullamento del provvedimento con il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà della sig.ra Si.Le., odierna ricorrente.
2. L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi:
   I. Violazione di legge in relazione alla disciplina del combinato disposto delle norme di cui al D.M. 06.09.1994 in merito alle metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Riferisce la ricorrente che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza. Inoltre, le lastre di eternit non sono in materiale friabile, bensì compatto ed in quanto tali non possono subire danneggiamenti se non per opera vandalica dell’uomo o per eventi calamitosi naturali come accaduto ed al quale evento si è prontamente provveduto, peraltro senza richiedere indennizzi dalla comunità>>.
Ne conseguirebbe l’insussistenza di alcun rischio alla salute nei confronti di lavoratori e/o occupanti come richiesto dalla citata disciplina normativa.
   II. Violazione di legge in relazione al richiamato Titolo IX, capo 3° del D.Lgs. 81/2008, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Adduce la ricorrente che <<il campo di applicazione del decreto citato, infatti, riguarda esclusivamente le imprese ed i lavoratori che provvedono alla bonifica di siti contenenti amianto e, pertanto, la normativa esplicitamente richiamata non è antecedente logico, né giuridico dell’ordinanza contestata>>.
   III. Violazione di legge in relazione alla disciplina di cui agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, nonché alla ratio legis che ne sta a fondamento, per impedimento alla partecipazione del procedimento amministrativo e violazione del contraddittorio. Violazione art. 3 della Costituzione e art. 1 della Legge 241/1990 per sperequazione di trattamento di situazioni identiche.
Lamenta la ricorrente la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, non avendo <<mai ricevuto notizia, comunicazione o notifica di atti prodromici all’emissione del provvedimento impugnato>>, come pure del sopralluogo eseguito dalla U.S.L. il 04.05.2016, nonché degli esiti del medesimo.
   IV. Violazione di legge in relazione all’art. 10 della legge 265/1999 per irritualità della notificazione del provvedimento amministrativo.
Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato <<avrebbe dovuto essere notificato con l’apposita procedura e non portato a conoscenza della ricorrente con una semplice raccomandata postale, per giunta allegato ad una lettera, ingenerando confusione nella medesima>>.
   V. Violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 1, della legge 241/1990 per carenza di motivazione conseguente all’inesistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento.
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1. È materia del contendere la legittimità del provvedimento con il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà dell’odierna ricorrente.
2. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto.
3. Dalle premesse del provvedimento impugnato risulta infatti che l’indice di degrado delle coperture in eternit dei fabbricati di parte ricorrente <<risulta pari a 30 e che tale indice prevede la messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione come descritto dalla D.G.R. n. 129 del 01/02/2010 entro il termine di 3 (tre) anni dall’accertamento>>.
4. Non colgono pertanto nel segno le doglianze (terzo e quinto motivo di ricorso) relative all’asserita violazione delle garanzie procedimentale ed al paventato difetto di motivazione e/o istruttoria del provvedimento impugnato, le cui risultanze appaiono invero coerenti con la disposta valutazione dello stato di conservazione delle coperture di cemento-amianto, la quale è stata correttamente condotta attraverso l’ispezione dei manufatti e l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D) di cui alla deliberazione della Giunta Regionale 01.02.2010, n. 129 (rimasta inoppugnata), il cui allegato A riporta l’algoritmo che la Regione Umbria ha deciso di adottare per la valutazione obbligatoria delle coperture esterne in cemento amianto.
5. E ciò coerentemente alla disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994 (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6 comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il cui art. 1a) recita testualmente che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la friabilità dei materiali>>.
6. Sempre per l’infondatezza, deve giungersi in ordine alla dedotta violazione della normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto (primo motivo di ricorso) in conseguenza del fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
7. Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr., premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si trovino, allo stato, inutilizzate.
8. Parimenti destituita di fondamento, è l’affermazione di parte ricorrente (secondo motivo), con cui si contesta l’applicazione al caso di specie della disciplina di cui al titolo IX, capo 3°, del d.lgs. 81/2008, trattandosi invero di normativa il cui ambito di applicazione concerne <<tutte le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate>> ed è quindi perfettamente attinente al caso di specie, in cui è stata ordinata <<la messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione>> delle coperture di cemento-amianto dei fabbricati di parte ricorrente, la quale dovrà essere effettuata dalle apposite ditte specializzate, coerentemente a detta disciplina normativa.
9. Sempre per l’infondatezza, deve infine concludersi in ordine all’asserita irritualità della notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di rilievo puramente formale insuscettibile di inficiare nella sostanza la legittimità delle valutazioni e determinazioni assunte dall’amministrazione intimata nei confronti dell’odierna ricorrente.
10. In conclusione il ricorso va rigettato siccome infondato (TAR Umbria, sentenza 18.02.2019 n. 75 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: AMIANTO: relazione annuale tramite applicativo Ge.M.A. entro il 28 febbraio (ANCE di Bergamo, circolare 08.02.2019 n. 40).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Gli artt. 242 (“il responsabile dell'inquinamento mette in opera…”), 244 (co. 4: “Se il responsabile non sia individuabile…”), 250 (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano…”), 192 del d.lgs. 152/2006 evidenziano che le misure di bonifica gravano sui soggetti “ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”, per cui l’ordinanza che le impone presuppone necessariamente una valutazione autonoma dei fatti “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” (art. 192 cit.).
Le indagini degli organi “preposti al controllo” hanno dunque la natura di atti della fase istruttoria, sulla cui base il titolare del potere di ordinanza deve formare la sua motivata decisione individuando gli specifici fatti contestati ed esponendo l’iter logico che sostiene l’attribuzione della loro responsabilità.
La esplicita volontà di escludere ogni valutazione sulle specifiche responsabilità di per sé evidenzia la illegittimità dei provvedimenti, i quali risultano manifestamente carenti della chiara individuazione dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’esercizio del potere a carico dei destinatari
(massima tratta da www.lexambiente.it).
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1 – Con ordinanza del 29.01.2018 il Sindaco del Comune di San Vito Chietino, “riscontrate le responsabilità di BU.Al. e VE.Co.”, ha ordinato ai medesimi di provvedere alla “messa in sicurezza del sito”, nonché alla rimozione “dei rifiuti illecitamente giacenti sui fondi agricoli oggetto di sequestro” e ciò sulla base di nota del 24.11.2017 della Stazione Carabinieri Forestali di Lanciano, con cui si comunicava “l’attività di accertamento ambientale” esperita in data 07.11.2017 su fondi agricoli di proprietà della Sig.ra Na.El., al cui esito “venivano deferiti alla competente Procura della Repubblica di Lanciano” i Sigg.ri Ve. e Bu. “per le rispettive illecite condotte perpetrate, in funzione alle attività e responsabilità esercitate, in relazione alla presenza/gestione dei rifiuti in amianto”.
A seguito di contestazioni sollevate dai destinatari, che avevano sostenuto la illegittimità dell’atto in quanto assumeva che le loro responsabilità erano state “riscontrate”, il Sindaco ha quindi adottato provvedimento del 21.02.2018, con il quale ha integrato la precedente ordinanza includendo i sigg. Pa. e Al. tra i destinatari dell’ordine di ripristino e precisando che “il riscontro delle responsabilità non rientra nell’ambito delle competenze sindacali”.
Le due ordinanze sono state impugnate con distinti ricorsi dai sigg. Bu. e Ve. (nella loro rispettiva qualità di titolare della Ditta omonima e di Responsabile del Settore assetto del territorio dello stesso Comune di S. Vito Chietino), Pa. (dipendente del Comune) e Al. (dipendente della Ditta), che ne hanno dedotto la illegittimità per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 54 d.lgs. 267/2000 e 192 d.lgs. 152/2016, nonché eccesso di potere per travisamento, falsità dei presupposti e irragionevolezza.
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3 - Quanto al merito, i ricorsi sono manifestamente fondati.
È infatti del tutto evidente che l’ordinanza impugnata, così come successivamente rettificata, individua i suoi destinatari sulla base dell’unica circostanza che gli stessi sono “interessati dal procedimento penale”. Che non si sia inteso effettuare alcuna valutazione in ordine alle responsabilità è del resto espressamente precisato nell’atto di rettifica (“il riscontro delle responsabilità non rientra nell’ambito delle competenze sindacali”), per cui il provvedimento si è limitato a prendere atto dei nominativi deferiti all’autorità giudiziaria ingiungendo ad essi la bonifica dell’area.
Gli artt. 242 (“il responsabile dell'inquinamento mette in opera…”), 244 (co. 4: “Se il responsabile non sia individuabile…”), 250 (“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano…”), 192 del d.lgs. 152/2006, pur richiamati dall’ordinanza n. 1, al contrario evidenziano che le misure di bonifica gravano sui soggetti “ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”, per cui l’ordinanza che le impone presuppone necessariamente una valutazione autonoma dei fatti “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” (art. 192 cit.).
Le indagini degli organi “preposti al controllo” hanno dunque la natura di atti della fase istruttoria, sulla cui base il titolare del potere di ordinanza deve formare la sua motivata decisione individuando gli specifici fatti contestati ed esponendo l’iter logico che sostiene l’attribuzione della loro responsabilità.
La esplicita volontà di escludere ogni valutazione sulle specifiche responsabilità di per sé evidenzia la illegittimità dei provvedimenti, i quali risultano manifestamente carenti della chiara individuazione dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’esercizio del potere a carico dei destinatari.
Si trattava infatti di individuare, sulla base dei rapporti dei soggetti preposti al controllo, lo specifico comportamento illecito addebitabile a ciascun destinatario, e tale contestazione doveva essere nella fattispecie particolarmente accurata in considerazione dei diversi ruoli rivestiti dagli interessati (il titolare della ditta esecutrice, un dipendente della stessa, un dirigente e un dipendente dello stesso Comune), che imponevano la chiara indicazione della specifiche condotte imputabili a ciascuno.
L’ordinanza invece si limita alla generica evocazione di un concorso tra i destinatari “per le rispettive illecite condotte perpetrate, in funzione delle attività e responsabilità esercitate in relazione alla presenza/gestione dei rifiuti in amianto”, senza tuttavia chiarire quali fossero in concreto tali attività e responsabilità e dunque non specificando le condotte materiali od omissive che hanno concorso a causare la contaminazione ambientale.
Non risultano in particolare specificate le condotte attribuite ai dipendenti comunali, non essendo chiarito se si imputano ad essi le pregresse omissioni dell’Ente (indicate dalla citata nota dei Carabinieri: “il Comune di San Vito non ha recintato l’area oggetto di illecito abbandono ed attuato le procedure previste. E’ risultato inadempiente … agli obblighi di Legge e non ha neanche segnalato il potenziale pericolo, ovvero la presenza dei tubi in amianto, giacenti sul fondo … il Comune di San Vito Chietino nonostante il mandato conferito all’impresa Bu. … non ha avvisato/segnalato del pericolo”) oppure/anche condotte concomitanti o successive alla frantumazione del materiale inquinante (che non risultano dalla segnalazione e invece evocate nell’ordinanza n. 1, dove si assume –genericamente- che i destinatari, “successivamente all’illecito evento … non hanno attuato le procedure previste…”).
Le suddette carenze non possono essere del resto colmate da argomentazioni difensive, trattandosi di valutazioni che spettano esclusivamente al titolare del potere di ordinanza e che quindi devono essere necessariamente espresse nel provvedimento.
In accoglimento delle predette censure va pertanto disposto l’annullamento delle impugnate ordinanze, fatto salvo il rinnovato esercizio del potere  (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 05.02.2019 n. 27).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, l’onere va ai liquidatori. Prevale la prevenzione di rischi per salute ed eco-sistema. Il Tar Toscana interviene in materia di messa in sicurezza di residui di impresa inattiva.
Il curatore dell'azienda sottoposta a liquidazione e non più attiva può essere obbligato dalla p.a. alla messa in sicurezza dei rifiuti precedentemente prodotti dall'imprenditore ove emerga l'esigenza di prevenire danni a salute ed ambiente.
A evidenziare la preminenza del principio di precauzione sotteso al diritto ambientale nell'ambito delle procedure concorsuali è la sentenza 04.02.2019 n. 166 del TAR Toscana, Sez. II; e questo secondo una argomentazione logica che appare valida non solo sotto l'uscente disciplina fallimentare ex storico Rd 267/1942 ma (considerata la continuità normativa che accompagna alcune fattispecie) anche alla luce del neo dlgs 14/2019 sulla «liquidazione giudiziale» delle imprese (in vigore dal 16.03.2019).
La pronuncia del tribunale toscano consente di effettuare anche una ricognizione delle differenti ipotesi nelle quali al curatore dell'azienda congelata non può invece (in base al diverso principio del «chi inquina paga») essere imposto alcun onere gestorio per i rifiuti riconducibili alla precedente attività imprenditoriale.
La responsabilità per i rifiuti altrui. Per consolidata giurisprudenza il curatore non è rappresentante né successore del soggetto sottoposto a procedura concorsuale, ma terzo subentrante esclusivamente nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge.
Ciò comporta che in relazione a rifiuti già presenti sulle aree di pertinenza dell'azienda all'apertura della procedura concorsuale il curatore che non li acquisisce all'attivo è, in assenza di pericolo di danni per salute e ambiente, libero da oneri gestori poiché non rientra tra i soggetti obbligati ad agire ai sensi del Codice ambientale (dlgs 152/2006).
Infatti: in primo luogo il curatore non può essere considerato un «detentore» di rifiuti ai sensi dell'articolo 188 del dlgs 152/2006 e quindi destinatario degli obblighi di smaltimento o recupero ex Codice ambientale (come recentemente confermato dal Tribunale di Milano, sezione fallimentare, con decreto 08/06/2017); il secondo luogo il curatore non può neppure essere considerato ex articolo 192 del dlgs 152/2006 un «subentrante» della persona giuridica responsabile dell'eventuale abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti, e di conseguenza sfugge alla responsabilità solidale con quest'ultimo e quindi alla connessa ordinanza del sindaco per loro rimozione e avvio a smaltimento/recupero (Cassazione, sentenza 3274/2014).
L'obbligo delle misure di prevenzione. Diversa, come accennato, è però l'ipotesi in cui la presenza dei rifiuti genera rischi per salute ed eco-sistema. In questo caso l'obbligo di adottare le misure di prevenzione ambientale previste dall'articolo 240 del dlgs 152/2006 (quali iniziative finalizzate a impedire o minimizzare il realizzarsi di eventi minacciosi per persone e ambiente) può infatti essere imposto dal comune al curatore in virtù del generale potere di ordinanza conferitogli dall'articolo 50 del dlgs 267/2000 (T.u. Enti locali) al fine di eliminare gravi pericoli.
Il Tar Toscana con la sentenza 166/2019 ha così confermato la bontà dell'agire di un ente territoriale che con ordinanza contingibile e urgente aveva imposto alla curatela della liquidazione di una industria del settore edile la rimozione dell'amianto presente e la messa in sicurezza di rifiuti abbandonati in vista del loro successivo allontanamento dall'area di deposito, poco tempo prima interessata anche da un incendio.
Infatti, sebbene la curatela non sia chiamata a succedere in obblighi e responsabilità del fallito (e alla stessa non sia dunque imponibile la più onerosa e complessa bonifica del sito) essa è comunque tenuta all'adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene.
Il caso dell'autorizzazione integrata ambientale... La responsabilità della curatela in relazione alle misure preventive emerge ancor più chiaramente qualora i rifiuti abbandonati dalla pregressa attività industriale siano stati generati da un'impresa sottoposta alla stringente autorizzazione integrata ambientale prevista dal Codice ambientale.
In tal caso infatti, come da ultimo stabilito dal Consiglio di stato con sentenza 3672/2017, le prescrizioni a tutela dell'ambiente contenute nell'Aia devono, in virtù di quanto disposto dall'articolo 29-bis e seguenti del dlgs 152/2006, essere rispettate anche nella fase successiva alla cessazione dell'attività d'impresa.
Ragion per cui, emerge dalla pronuncia, la p.a. ben può (al fine di evitare pericoli per salute ed eco-sistema) imporre l'osservanza delle condizioni contenute nell'Aia anche ai gestori post chiusura dei siti interessati. Legittima è dunque l'ordinanza sindacale che sulla base della disciplina Aia impone al curatore la messa in sicurezza dei rifiuti presenti.
...e di bonifica. La legittimità dell'ordine di messa in sicurezza dei rifiuti non giustifica invece l'ulteriore pretesa della p.a. di procedere a bonifica del sito inquinato (Consiglio di stato, sentenza 5668/2017).
Con tale pronuncia il giudice amministrativo ha sottolineato come la messa in sicurezza costituisca (anche alla luce dei principi comunitari) misura di prevenzione dei danni rientrante nel genus delle precauzioni che gravano anche sul detentore del sito da cui possano scaturire danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone l'accertamento di dolo o colpa.
E questo a differenza delle misure con finalità sanzionatoria o ripristinatoria (recupero o risanamento, come la bonifica), che essendo fondate sul diverso principio «chi inquina paga» possono invece essere imposte solo a coloro che abbiano responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato (articolo ItaliaOggi Sette del 25.03.2019).

AMBIENTE-ECOLOGIABonifiche con lo sgravio del 65%. CREDITO D’IMPOSTA.
In arrivo un credito d'imposta del 65% per chi finanzia interventi di bonifica e prevenzione su edifici e terreni pubblici. Il bonus fiscale, aperto a persone fisiche, enti non commerciali e società, coprirà anche i lavori per la rimozione dell'amianto, per il risanamento del dissesto idrogeologico e per la realizzazione di parchi e aree verdi attrezzate.
È una delle novità contenute nella legge di Bilancio 2019. La misura recata dai commi 156-161 rientra in un più ampio pacchetto di norme finalizzate alla messa in sicurezza del territorio, con particolare attenzione anche alla cosiddetta «terra dei fuochi» (va precisato comunque che l'incentivo sarà operante in tutta Italia).
Il tax credit sarà riconosciuto a chi effettua, a partire dal 01.01.2019, erogazioni liberali in denaro per sostenere progetti di recupero presentati dagli enti proprietari dei fabbricati e/o delle aree inquinate o contaminate. L'incentivo, fruibile in tre quote annuali, potrà arrivare a un massimo del 20% del reddito imponibile per le persone fisiche e del 10 per mille dei ricavi annui per le imprese. Ciò significa che un privato cittadino che presenta un reddito di 30 mila euro potrà recuperare dall'Irpef fino a 6 mila euro in tre anni (che corrisponde a una donazione di circa 9.230 euro), mentre un'azienda che fattura un milione di euro potrà ottenere uno sgravio Ires di 10 mila euro (donandone 15.384).
Come già avvenuto lo scorso anno per lo sport bonus, le donazioni potranno essere effettuate anche a favore dei soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto degli interventi. Per garantire un regime di piena trasparenza, i beneficiari delle somme dovranno rendicontare mensilmente al ministero dell'ambiente gli importi ricevuti. Prevista anche la pubblicazione on-line delle informazioni sull'uso dei fondi in un apposito portale, gestito dall'Ambiente. A fissare le regole operative del credito d'imposta sarà un dpcm, entro il 01.04.2019. La misura è stata finanziata con un milione di euro per il 2019, 5 per il 2020 e 10 annui dal 2021
(articolo ItaliaOggi del 03.01.2019).

anno 2018

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Gestione di categorie particolari di rifiuti - Rifiuti di amianto - Raccordo della disciplina ordinaria con le discipline speciali - Sussistenza delle condizioni di legge - Onere della prova - Assenza di esecuzione di prove sul coefficiente di dispersione delle fibra - Artt. 183, 227, 256 e 265 d.Lgs. 152/2006.
In tema di rifiuti contenenti amianto, la disciplina generale dei rifiuti è applicabile in tutti i casi non disciplinati in modo specifico dalla legge.
L'applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (v., con riferimento al deposito temporaneo Sez. 3, n. 15680 del 03/03/2010, Abbatino; Sez. 3, n. 21587 del 17/03/2004, Marucci; Sez. 3, n. 30647del 15/06/2004, Dell'Angelo).
Inoltre, i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche, legge n. 257 del 1992, riguardano in via principale, la cessazione dell'impiego dell'amianto e si occupano dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, cosicché, viene contemplato fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, alle attività disciplinate dalla legge n. 257/1992 e non alla disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti).
RIFIUTI - Definizione di rifiuto - Eterogeneità dei rifiuti - Deposito incontrollato - SICUREZZA SUL LAVORO - Presidi di sicurezza in materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto - Abbandono dei rifiuti - Accorgimento tecnico-preventivo - Esclusione della configurabilità del deposito temporaneo - D.M. 29/07/2004, n. 248, D.M. Sanità 06/09/1994, D.M. Sanità 26/10/1995 e D.M. Sanità 20/08/1999.
Secondo quanto disposto dall'art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006, nella sua attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
La eterogeneità dei rifiuti e l'assenza di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni dell'integrità dell'ambiente sono dati fattuali certamente indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
Nel nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M. Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di sicurezza, determina l'abbandono dei rifiuti, escludendo la configurabilità del deposito temporaneo.
Fattispecie: deposito incontrollato di rifiuti pericolosi costituiti da materiale cementizio tipo "eternit": vasche, onduline e raccordi di tubo contenenti fibre di amianto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2018 n. 31398 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti contenenti amianto.
Con riferimento ai rifiuti contenenti amianto la disciplina generale dei rifiuti è applicabile in tutti i casi non disciplinati in modo specifico dalla legge.
La eterogeneità dei rifiuti e l'assenza di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni dell'integrità dell'ambiente sono dati fattuali certamente indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
L'applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione.

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La giurisprudenza di questa Corte nel considerare i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche ha affermato, tra l'altro, che la legge n. 257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, cosicché contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, però, alle attività disciplinate dalla legge n. 257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti.
Dunque nei casi in precedenza esaminati si tratta, come si è detto, di disposizioni speciali rispetto a quelle generali in materia di rifiuti, con la conseguenza che la disciplina generale sarà applicabile in tutti i casi non disciplinati in modo specifico.
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Nel nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M. Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di sicurezza, come adeguatamente accertato nel caso in esame dai Giudici del merito, determina l'abbandono dei rifiuti, escludendo la configurabilità del deposito temporaneo.
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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza dell'08/07/2016 ha parzialmente riformato la sentenza in data 18/05/2015 il Tribunale di Chieti, dichiarando l'imputato non punibile in riferimento ai fatti di cui ai punti B) e C) dell'imputazione ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen. e rideterminando la pena relativamente alla residua condotta, contestata al punto A) della medesima imputazione a Ro.CA. e concernente la violazione dell'art. 256, comma 1, lett. b), d.lgs. 152/2006, per avere effettuato in un sito di sua proprietà, quale titolare di un ditta artigianale, un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi costituiti da materiale cementizio tipo "eternit": vasche, onduline e raccordi di tubo contenenti fibre di amianto (fatto accertato in Guardiagrele, il 25/09/2012).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, affermando che la sentenza impugnata sarebbe fondata sull'erroneo presupposto che tutti i materiali contenenti amianto siano pericolosi, prescindendo da ogni accertamento tecnico, così configurandosi in ogni caso, con la mera detenzione o il deposito in un'area privata, un "deposito temporaneo di rifiuti pericolosi", soggetto alla relativa disciplina.
Aggiunge che la sentenza impugnata sarebbe stata assunta in violazione di plurime disposizioni di legge, poiché nessuna norma consentirebbe di qualificare, a priori, come pericoloso il materiale contenente amianto ed, inoltre, i dd.mm. 29/07/2004 n. 248, 26/10/1995 e 20/08/1999, sarebbero destinati agli operatori di settore e non anche ai privati, mentre la Corte di appello avrebbe dovuto considerare quanto disposto dal d.m. 06/09/1994.
Rileva che nella relazione dell'ARTA (allegata al ricorso) non vi sarebbe alcun riferimento alla esecuzione di prove destinate ad accertare il grado di conservazione dei materiali rinvenuti ed il coefficiente di dispersione delle fibra.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, osservando che la Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato il materiale rinvenuto come rifiuto, pur avendo egli contestato tale natura, ritenendone necessario lo smaltimento che, invece, in base a quanto disposto dall'art. 2 l. 257/1992 e dagli artt. 1 e 7 dell'Allegato 1 al d.m. 06/09/1994, sarebbe obbligatorio solo in caso di pericolo di dispersione delle relative fibre dovuto ad un cattivo stato di conservazione della sostanza o ad interventi di manutenzione.
Aggiunge che il materiale probatorio acquisito nel giudizio di merito non consentirebbe di supportare le conclusioni adottate dalla Corte di appello, non risultando eseguite le necessarie prove tecniche per attribuire al materiale rinvenuto la natura di rifiuto pericoloso.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, rilevando che la sentenza avrebbe erroneamente qualificato l'area oggetto di accertamento come aperta al pubblico ed il deposito del materiale quale deposito incontrollato.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nella sentenza impugnata viene data atto che, nell'appello, la difesa aveva dedotto, con riferimento ai beni contenenti amianto rinvenuti nell'area oggetto di controllo, che gli stessi, acquistati in precedenza dalla società dell'imputato "come beni in libera vendita", erano stati poi rinvenuti in locali originariamente destinati a magazzino e collocati all'esterno, su bancali di legno, in attesa che una società destinata al loro smaltimento ne curasse il ritiro.
Sulla base di tale premessa l'appellante osservava anche che, all'atto del controllo, non era ancora spirato il termine annuale di cui all'art. 183 d.lgs. 152/2006. 
2. Alla luce di tali premesse risulta, dunque, evidente che i materiali rinvenuti erano certamente rifiuti, emergendo, dalle affermazioni contenute nell'atto di appello, che il detentore aveva l'intenzione di disfarsene, tanto che li aveva destinati allo smaltimento rivolgendosi ad una società che avrebbe dovuto curarne il ritiro.
E' appena il caso di ricordare, infatti, che secondo quanto disposto dall'art. 183, comma 1, lettera a), d.lgs. 152/2006, nella sua attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disti o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
3. E' altrettanto evidente che l'appellante, richiamando l'art. 183 e riferendosi ad un termine annuale, aveva inteso riferirsi all'istituto del deposito temporaneo, all'epoca dei fatti definito, nel medesimo art. 183, alla lettera bb), come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci.
Il deposito temporaneo, sempre secondo la richiamata disposizione nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, era soggetto alle seguenti condizioni:
   - i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
   - i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti:con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
   - il "deposito temporaneo" deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
   - devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
   - per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.
4. A tali specifiche censure si è dunque riferita la Corte territoriale, la quale, seppure talvolta con termini non del tutto pertinenti alla materia trattata, ha chiaramente e motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per la sussistenza di un deposito temporaneo.
In particolare, i giudici del gravame hanno preso in considerazione il luogo ove i rifiuti erano depositati e le modalità di collocazione degli stessi e, affermando che i rifiuti erano in un'area aperta accessibile a tutti, in un posto che non era un "cantiere di lavoro", si riferiscono chiaramente al fatto che il raggruppamento era avvenuto in luogo diverso da quello di produzione del rifiuto e che le modalità di deposito non erano compatibili con quelle indicate dalla norma di riferimento, come meglio si intende successivamente, laddove si esclude espressamente la sussistenza dei presupposti per il deposito temporaneo, ritenendosi in definitiva configurabile, nella fattispecie, il deposito incontrollato di cui all'imputazione.
Invero,
la eterogeneità dei rifiuti e l'assenza di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni dell'integrità dell'ambiente sono dati fattuali certamente indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
Va peraltro osservato che, invocando l'applicazione, nel caso in esame, della disciplina del deposito temporaneo, l'imputato avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, poiché, come più volte affermato da questa Corte,
l'applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (v., con riferimento al deposito temporaneo Sez. 3, n. 15680 del 03/03/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/03/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647 del 15/06/2004, Dell'Angelo, non nnassimata).
5. Il ricorso, tuttavia, non prende in considerazione, se non in parte, gli argomenti sviluppati dalla Corte di appello e, continuando a negare la natura di rifiuto del materiale rinvenuto, natura che, però, come si è detto, nell'atto di appello aveva chiaramente riconosciuto, sposta l'attenzione sulla disciplina applicabile ai rifiuti contenenti amianto con le considerazioni sintetizzate in premessa e riferite al primo motivo di ricorso.
6. Va preliminarmente osservato, a tale proposito, che il Titolo Terzo della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006 si occupa, come è noto, della gestione di categorie particolari di rifiuti. Ciò, come si legge nella relazione illustrativa, ha lo scopo di costituire un raccordo con la legislazione comunitaria e nazionale intervenuta dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 22/1997, di introdurre nuove fattispecie sulla scorta dell'esperienza maturata nella prassi operativa sotto la vigenza del "decreto Ronchi" e di adeguare ai criteri direttivi dei sistemi di gestione anche i preesistenti consorzi obbligatori.
Si è così ricavato un sistema di norme che riguarda il raccordo con le discipline speciali, attinenti, tra l'altro, anche al recupero di rifiuti e beni contenenti amianto.
In particolare, l'articolo 227 del d.lgs. 152/2006, nello stabilire che restano ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie relative alle altre tipologie di rifiuti, menziona in particolare, per quel che qui rileva, al comma 1, lett. d), il d.m. 29.07.2004, n. 248 con riferimento al recupero dei rifiuti dei beni e prodotti contenenti amianto.
Tale decreto contiene il regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto e adotta, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 257/1992, i disciplinari tecnici sulle modalità per il trasporto ed il deposito dei rifiuti di amianto, nonché sul trattamento, sull'imballaggio e sulla ricopertura dei rifiuti medesimi nelle discariche (tra l'altro, nell'allegato A, al punto 3, relativo alla gestione dei rifiuti contenenti amianto, ai nn. 2 e 3 vi sono indicazioni specifiche per il loro deposito temporaneo).
La legge 27.03.1992, n. 257, recante "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto" riguarda, tra l'altro, l'utilizzazione in genere e lo smaltimento, nel territorio nazionale, dell'amianto e dei prodotti che lo contengono, la cessazione della sua utilizzazione e la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento da amianto.
L'articolo 12, comma 6, precisa, inoltre, che i rifiuti di amianto sono classificati tra i rifiuti speciali, tossici e nocivi in base alle caratteristiche fisiche che ne determinano la pericolosità, come la friabilità e la densità. Quanto alla natura del rifiuto, va ricordato che la legge si riferisce all'allora vigente d.P.R. 915/1982 e che il richiamo ai rifiuti tossico-nocivi deve intendersi ora riferito a quelli pericolosi, ai sensi dell'articolo 265, comma 1, del d.lgs. 152/2006.
È nota, poi, l'estrema pericolosità di tale sostanza, che ha capacità di indurre gravissime patologie la cui insorgenza è stata strettamente correlata dalla comunità scientifica all'esposizione alle fibre di amianto. Ciò ha determinato l'emanazione di numerose disposizioni normative finalizzate a ridurre l'uso dell'amianto ed i rischi conseguenti all'esposizione tanto nell'ambiente di lavoro che nell'ambiente esterno.
7.
La giurisprudenza di questa Corte, in una risalente pronuncia, cui può tuttavia farsi ancora riferimento, nel considerare i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme specifiche ha affermato, tra l'altro, che la legge n. 257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, cosicché contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, però, alle attività disciplinate dalla legge n. 257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti, Rv. 222390, non massimata sul punto).
8. Dunque
nei casi in precedenza esaminati si tratta, come si è detto, di disposizioni speciali rispetto a quelle generali in materia di rifiuti, con la conseguenza che la disciplina generale sarà applicabile in tutti i casi non disciplinati in modo specifico.
9. Ciò posto, va rilevato che, nella sentenza impugnata, la Corte del merito non è incorsa in una errata lettura delle disposizioni richiamate in ricorso, che ha chiaramente citato, evidentemente a titolo esemplificativo, laddove si riferisce, in generale, ai "presidi di sicurezza in materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto", specificando che degli stessi si occupano disposizioni diverse da quella generale contenuta nel d.lgs. 152/2006. Del resto, come osservato in ricorso, alcune disposizioni tra quelle richiamate riguardano materie del tutto estranee ai fatti per cui è processo.
Inoltre appare evidente che i giudici dell'appello, con il riferimento censurato, hanno testualmente richiamato quanto indicato in motivazione in un provvedimento in precedenza citato (Sez. 7, n. 17333 del 18/03/2016, Passarelli, Rv. 266911) ove, nel trattare un caso di abbandono di rifiuti contenenti amianto, si è appunto affermato che "
nel nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M. Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di sicurezza, come adeguatamente accertato nel caso in esame dai Giudici del merito, determina l'abbandono dei rifiuti, escludendo la configurabilità del deposito temporaneo."
Dunque quanto affermato in ricorso è privo di fondamento, poiché la Corte territoriale ha applicato, ai rifiuti di cui all'imputazione, la disciplina generale in base alla loro classificazione, limitandosi alla citazione di cui si è appena detto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2018 n. 31398).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: RIFIUTI - Fibre d’amianto - Operazioni di demolizione di un fabbricato - Ignoranza della presenza di amianto nei rifiuti - Obbligo supplementare di diligenza, monitoraggio e controllo - Artt. 256 e 259 d.Lgs. 152/2006 - SICUREZZA SUL LAVORO - Tutela della salute dei lavoratori - Accorgimento tecnico-preventivo - Art. 262, comma 2, d.Lgs. 81/2008.
Pur ipotizzandosi una ragionevole ignoranza della presenza di fibre d’amianto prima dell'inizio dei lavori di demolizione edilizie e relativo smaltimento dei rifiuti, deve ritenersi che, una volta avviati i lavori, il soggetto che vi abbia partecipato o che abbia diretto le operazioni sia in grado di rendersi conto del pericolo in corso e di gestire tali rifiuti secondo le prescrizioni di legge.
Pertanto, fuori da tali prescrizioni, per i lavori di demolizione di un manufatto con presenza di fibre d’amianto e rimozione dei rifiuti sono configurabile le fattispecie dei reati, di cui agli art. 256, comma 1, 2 e 5, d.Lgs. 152/2006 e 262, comma 2, d.Lgs. 81/2008, di trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi e omessa adozione delle misure preventive a tutela della salute dei lavoratori (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.05.2018 n. 23864 - link a
www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVORO: Il risarcimento del danno non è cumulabile con gli emolumenti di carattere indennitario (fattispecie concernente corresponsione di somme a titolo di risarcimento danni causati dall’esposizione prolungata all’amianto).
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Risarcimento danni – Quantificazione – Detrazione indennità versate da assicuratori privati – Vanno detratte.
La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario (1).
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   (1) La questione era stata rimessa da Cons. St., sez. IV, ordinanza 06.06.2017, n. 2719 [si legga anche: Alla Adunanza plenaria la possibilità di cumulo tra risarcimento del danno ed emolumenti di carattere indennitario. Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 06.06.2017, n. 2719:
  
Risarcimento danni – Quantificazione – Detrazione indennità versate da assicuratori privati – Dubbio in giurisprudenza – Devoluzione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
  
Va rimessa all’Adunanza plenaria la questione se sia possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie previdenziali].
Ha chiarito l’Alto Consesso che la soluzione della questione all’esame dell’Adunanza plenaria presuppone la previa individuazione dei titoli delle obbligazioni che vengono in rilievo e della loro natura, nonché dei soggetti del rapporto obbligatorio.
L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non possono essere cumulate.
Sul piano della struttura degli illeciti, la presenza di una condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente unitari che giustifica l’attribuzione di una, altrettanto unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare la sfera personale della parte lesa.
In questi casi, l’applicazione delle regole della causalità giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato, senza che le suddette attribuzioni possano cumularsi tra di esse.
Non si tratta, pertanto, di applicare la regola della compensatio nella sua versione “tradizionale”, che presuppone che la medesima condotta determini un “danno” e un “vantaggio”. Come già esposto, tale regola non ha una sua autonomia ed è riconducibile alle tecniche di determinazione del danno che, nella specie, trovano applicazione in modo ancora più lineare e diretto. In questo caso, infatti, la medesima condotta ha determinato solo “danni” e dunque effetti pregiudizievoli, con la conseguenza che occorre evitare il “cumulo di voci risarcitorie” e non “il cumulo di danno e di lucro”.
Sul piano della funzione degli illeciti, il riconoscimento del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva. L’esistenza, infatti, di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per esso l’obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo. Tale risultato, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato, non può ammettersi in quanto manca una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo e dunque che autorizzi un rimedio sovracompensativo e non sarebbe nemmeno configurabile una duplice causa dell’attribuzione patrimoniale.
In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 23.02.2018 n. 1 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: sanzioni amianto - ulteriore chiarimento lr n. 17/2003 (Regione Lombardia, nota 23.11.2017 n. 34480 di prot.).
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Ad integrazione della nota 13.11.2017 n. 33278 di prot. si ritiene chiarire (... continua).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: Amianto. Sanzioni e controlli. Legge regionale 29.09.2003, n. 17, art. 8-bis, co. 1 (Regione Lombardia, nota 13.11.2017 n. 33278 di prot.).
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La nota regionale scaturisce a fronte di interrogativi formulati da parte di un comune bergamasco siccome riportati nel prosieguo.
...
OGGETTO: L.R. 29.09.2003 n. 17 - Norme per il risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento dell’amianto. RICHIESTA CHIARIMENTI.
   La presente per chiedere chiarimenti applicativi per quanto citato in oggetto. Segnatamente, premesso:
   a) che l’art. 6, comma 1, così recita:
      1. Al fine di conseguire il censimento completo dell’amianto presente sul territorio regionale ai sensi dell’articolo 12 della legge 257/1992, i soggetti pubblici e i privati proprietari sono tenuti a:
         a) per edifici, impianti o luoghi nei quali vi è presenza di amianto o di materiali contenenti amianto, a comunicare tale presenza all’ASL competente per territorio, qualora non già effettuato;
         b) per mezzi di trasporto nei quali vi è presenza di amianto o di materiali contenenti amianto, a comunicare alla ASL competente per territorio ed alla amministrazione provinciale tale presenza;
         c) per impianti di smaltimento di amianto o di materiali contenenti amianto, a comunicare alla ASL competente per territorio ed alla amministrazione provinciale i quantitativi smaltiti, aggiornando l’informazione annualmente.

   b) che l’art. 8-bis, comma 1, della L.R. 29.09.2003 n. 17 così dispone:
“Art. 8-bis - Sanzioni e controlli
1. La mancata comunicazione di cui all’articolo 6, comma 1, comporta, a carico dei soggetti proprietari pubblici e privati inadempienti, l’applicazione di una sanzione amministrativa da € 100,00 a € 1.500,00.”;

   c) che l’art. 9, comma 2-bis, recita quanto segue:
“2-bis. All’introito delle somme provenienti alla Regione dalle sanzioni previste all’articolo 8-bis, si provvede con l’UPB 3.4.10 “Introiti diversi”, iscritta allo stato di previsione delle entrate del bilancio per l’esercizio finanziario 2012 e successivi.”,
lo scrivente Settore si trova a gestire un affare laddove il proprietario del manufatto, avente copertura in cemento-amianto, non ha provveduto alla comunicazione di cui alla precedente lett. a).
   Sicché, chi scrive -non comprendendo appieno il tenore letterale della norma- formula i seguenti interrogativi al fine di avere contezza circa il corretto modus operandi:
   1.
qual è il soggetto che deve irrogare la sanzione ex art. 8-bis? Detto altrimenti, la scrivente Amministrazione oppure l’ATS di Bergamo?
   2.
la sanzione da comminare parrebbe evincersi che la introiti la Regione, siccome deducibile “indirettamente” dalla lettura dell’art. 9, comma 2-bis? E’ corretta tale interpretazione? In caso affermativo
   3.
quali sono i riferimenti da indicare nell’ingiunzione di pagamento affinché il destinatario della medesima possa provvedere in merito?

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. del 27.07.2016, "Recepimento dell’accordo del 07.05.2015 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente la qualificazione dei laboratori pubblici e privati che effettuano attività di campionamento ed analisi sull’amianto sulla base dei programmi di controllo di qualità, di cui all’articolo 5 e all’allegato 5 del decreto 14.05.1996 e individuazione del centro di riferimento regionale" (deliberazione G.R. 18.07.2016 n. 5416).

PATRIMONIO: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 25 del 22.06.2017, "Approvazione del secondo bando «Criteri e procedure per concessione ai comuni di contributi una tantum a fondo perduto per la rimozione del cemento-amianto esistente in pubblici edifici»" (decreto D.S. 15.06.2017 n. 7112).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAPer lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto il legislatore ha dettato un regime speciale (d.P.R. 08.08.1994), derogativo delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la conseguenza che tale regime è rimasto in vigore nelle sue componenti essenziali anche dopo la riforma di cui al d.lgs. 05.02.1997 n. 22 e costituisce una regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere generale concernenti la competenza degli enti territoriali in materia anche ambientale.
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Ancora assai di recente la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che “la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali.
Pertanto, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino".
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4.1. Le riproposte censure sono condivisibili solo in parte.
4.1.1. Il Collegio non intende decampare dall’insegnamento della giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 11/05/2004, n. 2943) che, nell’esplorare i rapporti tra la legge n. 257/1992, e l’antevigente legislazione in materia ambientale con precipuo riferimento alla materia dello smaltimento dei rifiuti (d.Lgs. 05.02.1997 n. 22) è pervenuta al convincimento per cui “per lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto il legislatore ha dettato un regime speciale (d.P.R. 08.08.1994), derogativo delle norme ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la conseguenza che tale regime è rimasto in vigore nelle sue componenti essenziali anche dopo la riforma di cui al d.lgs. 05.02.1997 n. 22 e costituisce una regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere generale concernenti la competenza degli enti territoriali in materia anche ambientale. ”.
Detto insegnamento appare attuale anche alla luce della vigente legislazione (d.Lgs. n. 152/2006) e dal combinato disposto dell’art. 1 della citata Legge 27.03.1992, n. 257 (“1. La presente legge concerne l'estrazione, l'importazione, la lavorazione, l'utilizzazione, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, nonché l'esportazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono e detta norme per la dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell'estrazione, dell'importazione, dell'esportazione e dell'utilizzazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva e per il controllo sull'inquinamento da amianto.
2. Sono vietate l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto. Previa autorizzazione espressa d'intesa fra i Ministri dell'ambiente, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti di cui al presente articolo per una quantità massima di 800 chilogrammi e non oltre il 31.10.2000, per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili. Le imprese interessate presentano istanza al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato che dispone, con proprio provvedimento, la ripartizione pro-quota delle quantità sopra indicate, nonché determina le modalità operative conformandosi alle indicazioni della commissione di cui all'articolo 4
”) e 10 comma 1 e 2 lett. d) della legge medesima (“1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano, entro centottanta giorni dalla data di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 6, comma 5, piani di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto.
2. I piani di cui al comma 1 prevedono tra l'altro:
   a) il censimento dei siti interessati da attività di estrazione dell'amianto;
   b) il censimento delle imprese che utilizzano o abbiano utilizzato amianto nelle rispettive attività produttive, nonché delle imprese che operano nelle attività di smaltimento o di bonifica;
   c) la predisposizione di programmi per dismettere l'attività estrattiva dell'amianto e realizzare la relativa bonifica dei siti;
   d) l'individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l'attività di smaltimento dei rifiuti di amianto;
   e) il controllo delle condizioni di salubrità ambientale e di sicurezza del lavoro attraverso i presidi e i servizi di prevenzione delle unità sanitarie locali competenti per territorio;
   f) la rilevazione sistematica delle situazioni di pericolo derivanti dalla presenza di amianto;
   g) il controllo delle attività di smaltimento e di bonifica relative all'amianto;
   h) la predisposizione di specifici corsi di formazione professionale e il rilascio di titoli di abilitazione per gli addetti alle attività di rimozione e di smaltimento dell'amianto e di bonifica delle aree interessate, che è condizionato alla frequenza di tali corsi;
   i) l'assegnazione delle risorse finanziarie alle unità sanitarie locali per la dotazione della strumentazione necessaria per lo svolgimento delle attività di controllo previste dalla presente legge;
   l) il censimento degli edifici nei quali siano presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile, con priorità per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti.
3. I piani di cui al comma 1 devono armonizzarsi con i piani di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10.09.1982, n. 915, e successive modificazioni e integrazioni.
4. Qualora le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano non adottino il piano ai sensi del comma 1, il medesimo è adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e con il Ministro dell'ambiente, entro novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al medesimo comma 1.
”) dai quali si evince che la competenza in materia di individuazione dei siti che devono essere utilizzati per l'attività di smaltimento dei rifiuti di amianto pertiene alle Regioni.
4.1.2. Alla stregua di tale punto fermo, la contestata disposizione di cui all’art. 15 delle NTA del Piano Regionale stabilisce che non sarebbero ammissibili nuove volumetrie di discarica, ad eccezione dell’ipotesi in cui siano presenti discariche per un raggio di 10 Km, interpretata nel senso di ritenere che l’esistenza di qualsiasi discarica per rifiuti non pericolosi impedisca la realizzazione dell’impianto proposto da parte appellata non può essere censurata di illegittimità in quanto:
   a) la regione ha esercitato una potestà “propria”;
   b) come ancora di recente stabilito da questa Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 5340 del 16.12.2016) “ancora assai di recente (sentenza del 23/07/2015, n. 180) la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che “la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).
Pertanto, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino -sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007-» (sentenza n. 58 del 2015)” (si veda, in passato, anche la ricostruzione contenuta della condivisibile recente decisione del Consiglio di Stato sez. V, 26/01/2015 n. 313 da intendersi integralmente qui richiamata)
”;
   c) la norma impugnata non introduce certo una “soglia inferiore di tutela” ma, semmai, persegue “livelli di tutela più elevati” e detta prescrizione si lega ad una materia a competenza concorrente (quella della tutela della salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione- si veda in proposito, tra le altre Corte Costituzionale decisione n. 248 del 24.07.2009 considerando n. 2.1.), e la significativa affermazione secondo cui l’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa in senso sistematico, complessivo e non frazionato, è stata a più riprese ribadita dal Giudice delle leggi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale nn. 85/2013 e 264/2012) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.05.2017 n. 2305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIO: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 03.04.2017 "Criteri di finanziamento di interventi di rimozione amianto da strutture pubbliche. monitoraggio dell’attivazione dei servizi di rimozione e smaltimento amianto in matrice compatta proveniente da utenze domestiche" (deliberazione G.R. 13.03.2017 n. 6337).

PATRIMONIO: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 13 del 31.03.2017, "Approvazione del bando «Criteri e procedure per concessione ai comuni di contributi una tantum a fondo perduto per la rimozione del cemento-amianto esistente in pubblici edifici»" (decreto D.S. 17.03.2017 n. 2949).

AMBIENTE-ECOLOGIABonifica dell'area, non è competenza del curatore. Tar Trento.
Non è il curatore che deve bonificare dall'amianto l'area a rischio, un tempo occupata dalla società fallita. O meglio: non può essere il comune a ordinare d'urgenza all'organo concorsuale i lavori per rimuovere i materiali contenenti la fibra-killer.
E ciò perché vale il principio eurounitario «chi inquina paga» e manca la prova che sia avvenuto dopo la declaratoria di insolvenza della società il superamento dei limiti di concentrazione dell'asbesto previsti dalle tabelle della normativa. Non bisogna dimenticare, infatti, che la curatela non risulta autorizzata all'esercizio provvisorio dell'azienda ex articolo 104 l.fall.

Con sentenza 20.03.2017 n. 93 il TRGA Trentino Alto Adige-Trento ha accolto il ricorso della professionista che si vede intimare dal sindaco opere di messa in sicurezza per oltre 220 mila euro, non sostenibili in base all'attivo patrimoniale.
L'ordine di bonifica, in realtà, riguarda un'attività anteriore alla dichiarazione di fallimento, che non può essere in alcun modo ricondotta al curatore. L'amianto è presente in dosi massicce nel capannone a partire dalla copertura e si presume che l'accomandatario della sas fallita sia a conoscenza dei materiali impiegati nella costruzione della struttura: il socio, fra l'altro, è stato subito nominato custode della struttura dal tribunale e senza successo il comune ha tentato in primis di ottenere la bonifica dall'imprenditore.
Inutile dunque per l'amministrazione prendersela con il curatore senza accertare il profilo soggettivo del dolo o della colpa nella condotta commissiva o omissiva (articolo ItaliaOggi del 23.03.2017).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Esclusione dell’obbligo del curatore fallimentare di smaltire i rifiuti su immobile di proprietà del fallito.
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Inquinamento – Rifiuti – Rimozione e ripristino stato dei luoghi – Ingiunzione – Indirizzata al curatore fallimentare – Esclusione.
Il curatore fallimentare non è custode degli immobili di proprietà del fallito, con la conseguenza che non è assoggettabile agli obblighi previsti dall'art. 192, comma 4, d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (1).
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   (1) Il Tar ha richiamato precedenti del giudice di appello (sez. V, 30.06.2014, n. 3274; 16.06.2009, n. 3885; 12.06.2009, n. 3765) secondo cui “il fallimento non può essere reputato un subentrante, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio…e correlativamente il fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munuspubblico rivestito dagli organi della procedura (art. 31, r.d. 16.03.1942, n. 267: Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite)”.
E’ stato aggiunto dal Consiglio di Stato che “il fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il r.d. n. 267 del 1942, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito…poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell’espletamento della pubblica funzione non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono gli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né di quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale…”.
Conclusivamente “nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 192, comma 4, d.lgs. 03.04.2006, n. 152” (secondo cui “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 08.06.2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni) della legittimazione passiva che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o in colpa” (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 20.03.2017 n. 93 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
1. Le questioni sottoposte al vaglio del Collegio investono precipuamente la posizione della curatela fallimentare in riferimento ai beni del fallito -acquisiti dalla procedura- direttamente definibili rifiuti o comunque contenenti fattori di inquinamento ambientale tali da richiedere, secondo la normativa di settore, un intervento di bonifica.
2. Su tale delicato problema, involgente non solo la disamina della normativa (in primis contenuta nel d.lgs. n. 152/2016) di derivazione comunitaria che disciplina la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale, ma anche l’analisi della legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) e dei correlati doveri posti a carico del curatore, non sussiste un’univoca interpretazione giurisprudenziale.
3.
La questione è stata tuttavia affrontata in termini sistematici dal Consiglio di Stato (sez. V, 30.06.2014 n. 3274; 16.06.2009, n. 3885; 12.06.2009, n. 3765) che, in accoglimento dell’appello promosso da una curatela (non autorizzata alla prosecuzione dell’attività della società fallita) avverso ordinanze sindacali imponenti la rimozione, l’avvio a recupero o smaltimento di rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi, ne ha escluso la legittimazione passiva, atteso che “il fallimento non può essere reputato un subentrante, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio…e correlativamente il fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus pubblico rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite)”.
In specifico, nella medesima pronuncia viene affermato quanto segue: “
il fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16.03.1942 n. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito…poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell’espletamento della pubblica funzione non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono gli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né di quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale… ”. E conclusivamente: “Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit.” (da intendersi d.lgs. n. 152/2006), della legittimazione passiva che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o in colpa”.
3.1. Detto insegnamento è stato ripreso in termini del tutto condivisi in diverse pronunce del giudice di prime cure (cfr. Tar Campania Napoli n. 5203/2014; Tar Puglia Lecce n. 504/2014; Tar Toscana n. 774 e 118/2014).
4.
In precedenza (cfr. Cons. di Stato, sez. V, n. 3885/2009 e n. 4328/2003) il giudice d’appello aveva riscontrato che il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili richiedenti, per la presenza di fattori inquinanti, la bonifica, e che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore, a meno che non vi sia una prosecuzione nell’attività, da ciò conseguendo “che non può accettarsi che la legittimazione passiva sia del curatore (poiché ciò, inoltre, determinerebbe un sovvertimento del principio di matrice comunitaria del “chi inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento)”, nel mentre l’affermazione del predetto principio “consiste, in definitiva nell’imputazione dei costi ambientali …al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita”, rammentando infine che “nel caso di mancata individuazione del responsabile, o nell’assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 d.lgs. n. 152/2006) salvo, a fronte delle spese sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, destinato a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253)”.
5. Orbene: in stretta relazione al surriferito insegnamento, che condivide, il Collegio annota aggiuntivamente che, nella fattispecie in esame, da un lato è del tutto pacifico che la curatela ricorrente non sia stata autorizzata all’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 della legge fallimentare, e dall’altro, come si evince dalla documentazione versata in causa (doc. 11 fasc. ricorrente), che la custodia del compendio immobiliare -tra cui rientra il capannone sito in p.ed. 1214/1- risulta affidata ex art. 32 L.F., fin dal momento della redazione dell’inventario, al legale rappresentante della società fallita (An.Ce.), nei cui esclusivi confronti le prime ordinanze contingibili e urgenti adottate dell’autorità sindacale erano state in effetti rivolte.
6. Sulla scorta di quanto precede, attesa la ricostruzione sistematica del rapporto intercorrente fra la legislazione fallimentare (e del ruolo assunto nell’ambito della stessa dal curatore) e quella dettata dal legislatore in materia di tutela ambientale dai rifiuti, nonché le appena viste connotazioni che caratterizzano la procedura fallimentare in esame, le ragioni sostenute dalla ricorrente con i primi motivi dovrebbero trovare pacifico accoglimento.
7. Tuttavia, oltre al citato insegnamento deve riscontrarsi la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale diverso,
secondo cui sussisterebbe la legittimazione passiva della curatela fallimentare, rispetto agli obblighi connessi alla bonifica di inquinamenti ambientali, non solo nel caso di autorizzazione all’esercizio provvisorio, ma anche nelle ipotesi di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore nell’abbandono dei rifiuti (cfr. Tar Lombardia Brescia 09.01.2017 n. 38; Tar Toscana sez. II 19.03.2010 n. 700): detto orientamento ha trovato poi particolare applicazione nella materia dell’inquinamento derivato dalla presenza di amianto nei beni acquisiti dalla curatela, e nello sviluppo di questo filone va annoverata la pronuncia del Tar Friuli Venezia Giulia n. 441/2015 (conforme Tar Lombardia Brescia n. 669/2016), citata nell’ordinanza sindacale qui impugnata.
8. In base al ragionamento seguito in tali ultime pronunce “
l’eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe condizioni, il che implica una continua evoluzione della situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia presente l’amianto”, di talché “la continua sorveglianza imposta dalla legge e il fatto che l’amianto divenga pericoloso per l’ambiente e la salute solo a certe condizioni consentono di scindere le responsabilità e obbligano passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni per l’applicazione della normativa speciale”: in forza di quanto precede, nelle menzionate sentenze il giudice di prime cure è giunto ad affermare la legittimazione passiva del curatore fallimentare (“detentore attuale”) negli obblighi di sanificazione del sito inquinato.
9.
Il Collegio, a seguito del necessario riesame e approfondimento proprio della fase di merito, non ritiene condivisibile tale orientamento, e comunque non lo ritiene suscettibile di applicazione al caso di specie.
10. Sotto un primo profilo, infatti,
l’affermazione di tale principio condurrebbe ad affermare la legittimazione passiva della curatela oltre i limiti che contraddistinguono l’assolvimento del munus pubblico che la connota, individuato –come sopra visto- nella gestione dei beni del fallito sotto la vigilanza e direzione degli organi fallimentari, in primis del giudice delegato, ma solo ai fini della liquidazione del patrimonio secondo le regole stabilite dalla legge fallimentare volte alla soddisfazione paritetica dei creditori, e per il resto obnubilerebbe l’effettiva applicazione del principio di derivazione comunitaria del “chi inquina paga”, in quanto prescinderebbe dall’individuazione dell’effettivo responsabile dell’inquinamento.
11. In secondo luogo
non appare persuasiva l’affermazione secondo cui l’amianto, sostanza insidiosa anche per quel che riguarda la sua precisa identificazione ed individuazione nell’ambito di edifici variamente compositi, non costituisce di per sé un rifiuto ma lo diventa solo a seguito del superamento di determinati livelli di concentrazione nella struttura che lo contiene, posto che l’art. 2, co. 1 lett. c, della legge 27.03.1992 n. 257/1992 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) nella definizione di rifiuto ricomprende “qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d’uso e che possa disperdere fibre d’amianto nell’ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall’art. 3”, con ciò dovendosi ritenere che fin dall’origine della struttura contenente amianto sussista la pericolosità idonea alla qualificazione dello stesso come rifiuto.
11.1 Nella fattispecie in esame la copertura del capannone preesiste ovviamente al fallimento della società Ce.Pr. s.a.s, e quest’ultima è da presumersi, in assenza di qualsivoglia elemento contrario, soggetto costruttore ed a lungo utilizzatore (oltre che proprietario e come visto custode nella persona di Ce.An.) dell’edificio e della sua copertura, nonché a conoscenza -nelle persone del legale rappresentante e dei soci- dell’effettiva composizione della struttura dell’edificio e dei materiali impiegati, ivi compreso l’amianto, il che rileva anche in ordine al necessario riscontro dell’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento (“chi inquina paga”) e dell’accertamento del profilo soggettivo del dolo o della colpa nel comportamento commissivo o omissivo.
12. Infine, pur volendo aderire al predetto orientamento, deve osservarsi che non appare sufficiente rilevare come il mero accertamento dell’avvenuto superamento dei limiti di amianto tabellarmente consentiti sia stato effettuato in data successiva alla dichiarazione di fallimento, intervenuta nell’anno 2011, per poter validamente escludere che, nel corso dei pochi anni intercorsi, e non già prima, i limiti di tollerabilità fossero ecceduti: è proprio la contestuale affermazione, pure rinvenibile nell’orientamento da ultimo citato, secondo cui l’autonoma responsabilità del curatore andrebbe accertata secondo criteri di univocità e chiarezza, ad inficiare ulteriormente, qui sotto il profilo del difetto di motivazione, i presupposti dell’ordinanza impugnata.
12.1 Questa, infatti, sul punto in esame si limita a richiamare l’accertamento dell’indice di degrado operato dagli uffici dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, intervenuto in data successiva alla dichiarazione di fallimento, senza tuttavia che le amministrazioni interessate, in primis il Comune, abbiano condotto -in vista dell’emissione dell’ordinanza assunta nei confronti della curatela- alcuna indagine in ordine alla datazione dell’edificio e della sua copertura, nonché agli effetti del tempo trascorso dalla realizzazione sulla concentrazione dell’amianto poi computata.
13.
In conclusione, per le suesposte ragioni, l’orientamento giurisprudenziale da ultimo citato, posto alla base dell’ordinanza sindacale impugnata, per un verso non appare condivisibile e, sotto altro profilo, si rileva inapplicabile alla fattispecie in esame, dovendosi contrariamente aderire al qui condiviso e surriferito insegnamento proveniente dal giudice d’appello, ed alla conseguente affermazione, per la materia de qua, del difetto di legittimazione passiva della curatela fallimentare.
14. Il ricorso merita dunque accoglimento, essendo precipuamente fondati il primo motivo e la prima parte del secondo, con assorbimento delle ulteriori censure dedotte nel gravame, da ciò conseguendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
15. Per quanto riguarda la posizione sostanziale e processuale rivestita dal pure convenuto Ministero dell’interno, appare condivisibile quanto sostenuto nella memoria della difesa erariale, secondo cui l’ordinanza impugnata rientra, per la materia de qua (art. 32 TU delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni della Regione autonoma Trentino- Alto Adige), nelle competenze proprie del Sindaco quale rappresentante dell’ente comunale, e non nella qualità di ufficiale di governo (cfr. in termini Cons. di Stato, sez. V, 25.02.2016 n. 765), e da ciò deriva l’estromissione del Ministero dal presente giudizio.

PATRIMONIOFondo amianto al rush finale. Domande online entro il 30/3. Per il 2017 ci sono 6 mln. I chiarimenti del ministero dell'ambiente. Finanziamenti solo per gli edifici pubblici.
Gli incarichi di progettazione già conferiti non sono ammissibili, ciascun ente può presentare una sola domanda di finanziamento, la progettazione deve riferirsi ad edifici pubblici di proprietà e destinati allo svolgimento dell'attività dell'ente.

Sono questi alcuni dei chiarimenti che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fornito in merito alla procedura di accesso al finanziamento della progettazione preliminare e definitiva di interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto di cui all'art. 56, comma 7, della legge 28.12.2015, n. 221.
Il fondo ha una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di euro per l'anno 2016 e di 6,018 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, per uno stanziamento complessivo di oltre 17 milioni di euro. La procedura di accesso telematico al fondo rimarrà a disposizione sul sito www.amiantopa.minambiente.ancitel.it fino al 30.03.2017.
Accesso consentito alle pubbliche amministrazioni
Possono fare domanda di accesso al Fondo le amministrazioni pubbliche con riferimento ad interventi relativi ad edifici pubblici di proprietà e destinati allo svolgimento dell'attività dell'ente. Ciascun ente può presentare una sola domanda di partecipazione in ragione d'anno. La domanda può essere riferita anche ad interventi in uno o più edifici o unità locali.
La domanda di ammissione al finanziamento potrà essere riferita ad interventi relativi a singoli edifici, all'interno della stessa struttura, nonché più unità locali all'interno dello stesso edificio, purché rientranti nei requisiti di ammissibilità. Ciascun intervento riferito al singolo edificio o alla singola unità locale sarà autonomamente valutato ai fini dell'ammissione in graduatoria e, pertanto, la relativa richiesta di finanziamento dovrà essere inserita separatamente all'interno dell'applicativo.
Finanziabili i costi di progettazione fino a 15 mila euro
Il fondo è finalizzato a finanziare i costi per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica mediante rimozione e smaltimento dell'amianto e dei manufatti in cemento-amianto su edifici e strutture pubbliche insistenti nel territorio nazionale. Sono finanziabili i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi fino al limite massimo di 15 mila euro a domanda per singola pubblica amministrazione, anche se riferita a interventi relativi a più edifici o unità locali.
Per progettazione preliminare e definitiva si intendono i livelli di progettazione inferiori al progetto esecutivo e comunque finalizzati e necessari alla redazione dello stesso. Il finanziamento può coprire integralmente o parzialmente i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi. Non sono invece finanziabili gli eventuali costi relativi alla posa in opera del materiale sostitutivo.
Priorità a edifici collocati in aree sensibili
Sono considerati prioritari gli interventi relativi ad edifici pubblici collocati all'interno, nei pressi o comunque entro un raggio non superiore a 100 metri da asili, scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, impianti sportivi, nonché gli interventi relativi ad edifici pubblici per i quali esistono segnalazioni da parte di enti di controllo sanitario e/o di tutela ambientale e/o di altri enti e amministrazioni in merito alla presenza di amianto.
Avranno priorità anche gli interventi relativi ad edifici pubblici per i quali si prevede un progetto cantierabile in 12 mesi dall'erogazione del contributo, nonché gli interventi relativi ad edifici pubblici collocati all'interno di un Sito di interesse nazionale e/o inseriti nella mappatura dell'amianto ai sensi del decreto ministeriale n. 101 del 18.03.2003.
Domanda telematica entro il 30.03.2017
Gli enti interessati a ricevere il finanziamento devono registrarsi, compilare e presentare il modulo di domanda esclusivamente attraverso l'utilizzo dell'applicativo disponibile sul portale dedicato raggiungibile all'indirizzo www.amiantopa.minambiente.ancitel.it (articolo ItaliaOggi del 03.03.2017).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto, aiuti ma non per tutto. La bonifica agevolata taglia fuori progettazioni e materiali. I chiarimenti del ministero dell'ambiente per i lavori sugli edifici pubblici contaminati.
Non sono ammissibili al finanziamento della bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto la progettazione di interventi di ripristino, la realizzazione di manufatti sostitutivi e la loro messa in opera, le spese di acquisto di beni, mezzi e materiali sostitutivi e loro messa in opera, gli incarichi di progettazione preliminare e definitiva già conferiti al momento dell'ammissione al finanziamento e la progettazione di interventi realizzati prima della pubblicazione del bando o prima dell'ammissione al finanziamento.

Questi alcuni dei chiarimenti forniti dal ministero dell'ambiente in merito all'accesso ai finanziamenti per gli interventi di bonifica di beni contaminati degli edifici pubblici.
La dotazione finanziaria per l'anno 2016 è pari a 5,536 milioni di euro e di 6,018 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Non sono finanziabili nel caso di interventi di rimozione di coperture in cemento amianto, gli eventuali costi relativi alla posa in opera del materiale sostitutivo.
Presentazione domande. Le istanze di accesso possono essere presentate dal 30 gennaio al 30.03.2017 collegandosi al sito www.amiantopa.minambiente.ancitel.it. La domanda di ammissione al finanziamento potrà essere riferita a interventi relativi a singoli edifici, all'interno della stessa struttura, nonché più unità locali all'interno dello stesso edificio, purché rientranti nei requisiti di ammissibilità.
Ciascun intervento riferito al singolo edificio o alla singola unità locale sarà autonomamente valutato ai fini dell'ammissione in graduatoria e, pertanto, la relativa richiesta di finanziamento dovrà essere inserita separatamente all'interno dell'applicativo. Ciascun ente può presentare una sola domanda di partecipazione in ragione d'anno. La domanda può essere riferita anche ad interventi in uno o più edifici o unità locali.
Quali sono i costi ammissibili al finanziamento. Sono ammissibili al fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto gli interventi di rimozione dell'amianto e dei manufatti in cemento-amianto da edifici e strutture pubbliche e successivo smaltimento, anche previo trattamento, in impianti autorizzati, effettuati nel rispetto della normativa ambientale, edilizia e di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Sono finanziabili i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi fino al limite massimo di 15 mila euro a domanda per singola pubblica amministrazione, anche se riferita a interventi relativi a più edifici o unità locali. Il finanziamento può coprire integralmente o parzialmente i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi.
I costi di progettazione preliminare e definitiva sono determinati in conformità al decreto ministeriale 17.06.2016 recante «Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazione di progettazione adottato ai sensi dell'articolo 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016». Per progettazione preliminare e definitiva si intendono i livelli di progettazione inferiori al progetto esecutivo e comunque finalizzati e necessari alla redazione dello stesso (articolo ItaliaOggi dell'01.02.2017).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATABonifica amianto, 5 mln per gli edifici pubblici. Fondo per finanziare la progettazione. Richieste entro marzo.
Dal 30 gennaio al 30 marzo gli enti pubblici potranno fare richiesta di finanziamento per la progettazione di interventi di bonifica dall'amianto in edifici di loro proprietà; 5,5 milioni i fondi a disposizione e più di 6 ogni anno per il 2017 e il 2018; necessaria una relazione tecnica asseverata da un professionista.

Lo prevede il bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24.01.2017 con il quale viene avviata la procedura pubblica, destinata agli enti pubblici per il finanziamento della progettazione preliminare e definitiva di interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, in conformità a quanto disposto dal decreto del ministero dell'ambiente del 21.09.2016 (si veda l'anticipazione pubblicata su ItaliaOggi di giovedì 26.01.2016).
Si tratta del fondo di 5,536 milioni (6,018 milioni sono previsti per ciascun anno nel 2017 e nel 2018) che servirà a coprire i costi di progettazione fino a un massimo, per ogni intervento, di 15 mila euro, anche a copertura dei corrispettivi da porre a base di gara.
Gli interventi finanziabili saranno soltanto quelli concernenti edifici e strutture di proprietà degli enti pubblici e destinate allo svolgimento delle attività dell'ente o di attività di interesse pubblico. Il bando precisa che per progettazione preliminare e definitiva si intendono i livelli di progettazione inferiori al progetto esecutivo e comunque finalizzati e necessari alla redazione dello stesso.
Gli interventi finanziabili saranno quelli relativi ai lavori di rimozione dell'amianto e dei manufatti in cemento-amianto da edifici e strutture pubbliche, compreso lo smaltimento, anche previo trattamento in apposte strutture, da effettuarsi nel rispetto della normativa ambientale, edilizia e di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Alla richiesta di finanziamento dovrà essere allegata una relazione tecnica asseverata da professionista abilitato, trasmessa attraverso l'applicativo presente sul portale e adottata in conformità al modello di cui all'allegato A al bando stesso. In particolare, nella relazione devono essere specificati: la destinazione d'uso dei beni o dei siti sede dell'intervento, la localizzazione e la destinazione d'uso dei manufatti contenenti amianto, la tipologia, la quantità e lo stato di conservazione dei materiali; le modalità di intervento di bonifica proposto; la stima dei lavori da eseguire con dettaglio dei costi di progettazione soggetti a finanziamento; il cronoprogramma orientativo delle attività, incluse le fasi progettuali.
Ogni ente potrà presentare una sola richiesta di finanziamento per la progettazione di un singolo intervento, ma l'intervento potrà riguardare anche più edifici o unità locali, sempre nel rispetto del limite complessivo di 15 mila euro. Le domande dovranno essere presentate dal 30 gennaio al 30.03.2017 tramite l'applicativo presente nel portale del ministero dell'ambiente all'indirizzo www.amiantopa.minambiente.ancitel.it.
Priorità verrà data agli interventi relativi a edifici entro un raggio non superiore a 100 metri dalle scuole, parchi, ospedali e impianti sportivi (40 punti) ma 10 punti saranno previsti anche per interventi per i quali vi sia un progetto cantierabile in 12 mesi, o ad interventi in siti in cui sia stata già segnalata la presenza di amianto o collocati all'interno di un sito di interesse nazionale o inseriti nella mappatura dell'amianto in base al dm 101 del 2003 (articolo ItaliaOggi del 27.01.2017).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATABonifica amianto, aiuti fino a 15 mila euro.
Procedura pubblica per il finanziamento destinato a coprire, integralmente o parzialmente, i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto. Le agevolazioni economiche possono coprire costi fino ad un massimo, complessivamente inteso, di 15 mila euro. Le richieste di finanziamento potranno essere presentate dal 30.01.2017 fino al 30.03.2017.

È con il comunicato (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24.01.2017) che il ministero dell'ambiente dà notizia del bando per l'accesso alle agevolazioni per la bonifica degli edifici pubblici contaminati da amianto.
Le richieste di accesso alle agevolazioni dovranno essere necessariamente presentate tramite l'applicativo informatico disponibile sul sito del ministero dell'ambiente www.amiantopa.minambiente.ancitel.it. L'intervento presentato dovrà essere necessariamente essere corredato da:
• relazione tecnica asseverata da professionista abilitato in cui devono essere specificati: della destinazione d'uso dei beni o dei siti sede dell'intervento, la localizzazione e la destinazione d'uso dei manufatti contenenti amianto, la tipologia, la quantità e lo stato di conservazione dei materiali;
• le modalità di intervento di bonifica proposto;
• la stima dei lavori da eseguire con dettaglio dei costi di progettazione soggetti a finanziamento;
• il cronoprogramma orientativo delle attività, incluse le fasi progettuali.
Ciascun ente potrà presentare una sola richiesta di finanziamento per la progettazione di un singolo intervento ma l'intervento potrà riguardare anche più edifici o unità locali, sempre nel rispetto del limite complessivo di 15 mila euro. Dopo la presentazione delle domande, il ministero dell'ambiente, a seguito dell'istruttoria condotta dall'Ispra, disporrà di una graduatoria delle richieste ammesse al contributo. Il contributo è erogato con decreto del direttore generale del ministero ambiente a seguito dell'inclusione dell'intervento in graduatoria.
La liquidazione è accordata con le seguenti modalità: il 30% della somma al momento dell'ammissione al finanziamento e dell'impegno del soggetto beneficiario ad utilizzare esclusivamente le risorse per gli interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, il 40% delle somme ammesse al finanziamenti al momento dell'approvazione del progetto definitivo da parte dell'ente richiedente e il 30% della somma ammessa a finanziamento al momento della rendicontazione finale, operata attraverso la trasmissione all'ente erogante della documentazione di impegno e spese dell'intero ammontare (articolo ItaliaOggi del 26.01.2017).

anno 2016

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAiuti per le bonifiche di amianto. Credito d’imposta del 50% sulle spese sostenute per lo smaltimento.
Ambiente. Dal 16 novembre le imprese potranno prenotare l’incentivo attraverso il sito del ministero.

Scatta mercoledì 16 novembre il termine a decorrere dal quale le imprese potranno chiedere al ministero dell’Ambiente il credito d’imposta pari al 50% delle spese sostenute per le bonifiche di amianto effettuate nel 2016, come previsto dal Dm 15.06.2016.
I dati del Rapporto Ispra sui rifiuti speciali 2015 indicano una produzione di rifiuti contenenti amianti (Rca) pari a 340mila tonnellate di cui il 92,7% è dato da materiali da costruzione contenenti amianto. Rispetto al 2012, il trend appare in diminuzione (-36%). Tuttavia, poiché non esiste un censimento delle strutture contenenti amianto, il dato potrebbe anche riflettere una dispersione dei rifiuti. Il nuovo incentivo, però, può sicuramente aiutare la gestione legittima degli Rca derivanti da bonifica di amianto.
L’investimento nella bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto non può essere inferiore a 20.000 euro e sono agevolate le spese per la rimozione e lo smaltimento dell’amianto presente in coperture e manufatti di beni e strutture produttive.
L’agevolazione, prevista dall’articolo 56, legge “green economy” (n. 221/2015), trova il suo modulo organizzativo nel Dm 15.06.2016 che, in vigore dal 17 ottobre, individua: tipologie di interventi ammissibili; modalità e termini per la concessione del beneficio; disposizioni per il rispetto del limite massimo di spesa; determinazione dei casi di revoca e decadenza;
procedure di recupero in casi di utilizzo illegittimo del beneficio. Questo è alternativo e non cumulabile, per le medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione nazionale, regionale o comunitaria.
Il credito d’imposta è previsto a beneficio dei soggetti titolari di reddito d’impresa che effettuano interventi di bonifica dall’amianto, su beni e strutture produttive ubicate in Italia, dal 01.01.2016 al 31.12.2016. Natura giuridica, dimensioni aziendali e regime contabile sono ininfluenti.
Sono ammesse le spese per la rimozione e lo smaltimento, anche previo trattamento in impianti autorizzati, di lastre di amianto piane o ondulate; coperture in eternit;
tubi, canalizzazioni e contenitori per il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, ad uso civile e industriale in amianto; sistemi di coibentazione industriale in amianto.
Il credito d’imposta è riconosciuto nella misura del 50% di quanto sostenuto per gli interventi ammessi ed effettuati dal 01.01.2016 al 31.12.2016.
Per evitare di incorrere nei problemi relativi agli aiuti di Stato, il beneficio è concesso nel rispetto dei limiti di cui al regolamento (Ue) 1407/2013 relativo all’applicazione degli articolo 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione agli aiuti “de minimis”. La spesa complessiva sostenuta per ciascun progetto di bonifica, unitariamente considerato, non può essere inferiore a 20.000 euro.
I costi ammessi sono limitati a 400.000 euro per ciascuna impresa.
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Conta l’ordine di presentazione. La procedura. Lo stanziamento complessivo è pari a 17milioni di euro.
Dal 16.11.2016 al 31.03.2017 le imprese possono presentare domanda al ministero dell’Ambiente mediante accesso alla piattaforma informatica sul sito www.minambiente.it. La domanda va firmata dal legale rappresentante e indica il costo complessivo degli interventi; l’ammontare delle singole spese eleggibili e del credito d’imposta richiesto; il mancato fruire di altre agevolazioni per le medesime voci di spesa.
A pena di esclusione, la domanda va corredata da:
- piano di lavoro del progetto di bonifica unitariamente considerato presentato all’Asl competente; comunicazione alla Asl di avvenuta ultimazione dei lavori/attività di cui al piano di lavori già approvato comprensiva della documentazione attestante l’avvenuto smaltimento in discarica autorizzata e, nel caso di amianto friabile in ambienti confinati, anche la certificazione di restituibilità degli ambienti bonificati redatta da Asl;
- l’attestazione dell’effettività delle spese sostenute;
- la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per gli altri aiuti “de minimis” eventualmente fruiti durante l’esercizio finanziario in corso e nei due precedenti.
Il credito d’imposta è riconosciuto previa verifica da parte del ministero dell’ammissibilità in ordine al rispetto dei requisiti previsti, secondo l’ordine di presentazione delle domande e sino all’esaurimento del limite di spesa pari a 17 milioni.
Entro 90 giorni dalla data di presentazione delle domande il ministero comunica all’impresa il riconoscimento o il diniego del beneficio e, nel primo caso, l’importo spettante.
Il credito d’imposta è ripartito e utilizzato in tre quote annuali di pari importo ed è indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di riconoscimento del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta successivi fino a quello nel corso del quale se ne conclude l’utilizzo, a decorrere dalla dichiarazione relativa al periodo di imposta in corso al 31.12.2016. La prima quota è utilizzabile a decorrere dal 01.01.2017.
L’agevolazione viene revocata se: viene accertata l’insussistenza di uno dei requisiti previsti e la falsità delle dichiarazioni rese; la documentazione presentata contiene elementi non veritieri.
In tali casi, sono fatte salve le eventuali conseguenze di legge civile, penale e amministrativa e, in ogni caso, si provvede al recupero del beneficio indebitamente fruito
(articolo Il Sole 24 Ore dell'11.11.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto, scattano le bonifiche. Click day dal 16/11. A disposizione 17 mln in tre anni. Definite le modalità per usufruire del bonus del 50% per interventi sui capannoni.
Per il bonus del 50% sulla bonifica da amianto dei capannoni click day dal 16 novembre. Le imprese potranno comunque iniziare a registrarsi attraverso l'apposita piattaforma elettronica accessibile dal sito del ministero dell'ambiente www.minambiente.it già dal 27 ottobre. Il finanziamento complessivo è pari a 17 milioni di euro e l'agevolazione non spetta per investimenti di importo unitario inferiore a 20 mila euro. Entro 90 giorni dalla presentazione dell'istanza, il Ministero dell'ambiente comunicherà alle imprese il riconoscimento o il diniego dell'agevolazione.

Questo è quanto previsto dal decreto del 15.06.2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17.10.2016 n. 243) con il quale il ministero dell'ambiente ha definito le modalità di presentazione delle domande per usufruire del credito d'imposta per interventi di bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto.
Per garantire la massima trasparenza e la maggiore comprensione possibile del modulo di presentazione delle istanze, sono inoltre state redatte dal dicastero dell'ambiente, le linee guida alla predisposizione delle domande e le Faq. Le agevolazioni sono concesse nei limiti e nelle condizioni del regolamento europeo che prevede che il finanziamento pubblico alle imprese uniche non possa superare, nel triennio, 100 mila euro per le imprese di trasporto merci per conto terzi, e 200 mila euro per le altre.
Sono invece escluse le imprese di produzione primaria di prodotti agricoli, pesca e acquacoltura, e quelle che operano nei servizi di interesse economico generale, le cui agevolazioni sono disciplinate da altri regolamenti comunitari. Il credito d'imposta verrà concesso solo per interventi di rimozione e smaltimento dell'amianto, non per il semplice incapsulamento o confinamento. Saranno finanziati solo gli interventi conclusi, quelli di cui l'impresa può comprovare i pagamenti effettuati e l'avvenuto smaltimento in discarica dell'amianto entro il 31.12.2016.
Spese ammissibili. Sono ammissibili al credito d'imposta gli interventi di rimozione e smaltimento, anche previo trattamento in impianti autorizzati, dell'amianto presente in coperture e manufatti di beni e strutture produttive ubicati nel territorio nazionale effettuati nel rispetto della normativa ambientale e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono ammesse, inoltre, le spese di consulenze professionali e perizie tecniche nei limiti del 10% delle spese complessive sostenute e comunque non oltre l'ammontare di 10.000,00 euro per ciascun progetto di bonifica unitariamente considerato.
Sono considerate eleggibili le spese per la rimozione e lo smaltimento, anche previo trattamento in impianti autorizzati, di lastre di amianto piane o ondulate, coperture in eternit, tubi, canalizzazioni e contenitori per il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, a uso civile e industriale in amianto e sistemi di coibentazione industriale in amianto.
Soggetti interessati. Possono accedere ai contributi i soggetti titolari di reddito d'impresa, ai sensi dell'articolo 2195 del codice civile, purché si tratti di imprese le cui attività siano riconducibili alle attività ammissibili a contributo «de minimis» di cui al regolamento (Ue) n. 1407/2013 del 18.12.2013.
Di fatto, dunque, risultano escluse le imprese che operano nei settori riconducibili ai regolamenti (Ue) n. 360/2012 (servizi di interesse economico generale), n. 1408/2013 del 18.12.2013 (settore agricolo) e n. 717/2014 del 27.06.2014 (settore della pesca e dell'acquacoltura).
Ciascuna impresa, considerata come «Impresa unica» ai sensi del regolamento (Ue) n. 1407/2013 del 18.12.2013 (considerando n. 4 e articolo 2.2), può presentare tante domande di contributo quanti sono gli interventi di rimozione o smaltimento amianto effettuati nell'annualità 2016 sul territorio nazionale. Si ricorda che a ogni intervento deve essere associato un diverso piano di lavoro. All'agevolazione concessa deve essere applicato il limite di importo cui al regolamento 1407/2013.
In caso di più domande presentate singolarmente da imprese che risultino fra di loro collegate o associate secondo le definizioni del citato regolamento, si ricorda che queste devono essere considerate come «impresa unica» e il finanziamento totale non può eccedere i limiti imposti dal regolamento 1407/2013.
Ciascuna impresa unica può presentare domanda di contributo anche se ha già beneficiato a qualsiasi titolo aiuti di Stato concessi in regime «de minimis»; l'importo del contributo al quale avrà diritto, qualsiasi sia l'ammontare delle spese sostenute, sarà comunque commisurato al limite stabilito dal regolamento 1407/2013 nell'arco di tre anni, dunque:
- la differenza tra quanto già fruito nel triennio e 100.000 euro per le imprese esercenti il trasporto di merci su strada per conto terzi;
- la differenza tra quanto già fruito nel triennio e 200.000 euro per tutte le altre imprese.
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Come presentare domanda telematica.
La procedura per la presentazione della domanda di contributo è esclusivamente online, ossia avviene attraverso la compilazione di un modulo e il caricamento di informazioni e documenti mediante una piattaforma informatica, accessibile all'indirizzo web: www.minambienteamianto.ancitel.it
Per presentare la domanda l'azienda richiedente deve eseguire i seguenti step procedurali:
- dalla pagina web www.minambienteamianto.ancitel.it, l'impresa accede alla sezione «clicca qui per registrarti» all'interno della quale è necessario compilare i campi relativi alla sezione «dati anagrafici del richiedente», allegare documento di identità del dichiarante e (eventualmente) il titolo di rappresentanza posseduto per compilare la domanda per conto dell'impresa, dichiarare (con flag da apporre nel campo apposito) che i documenti allegati sono copia conforme all'originale, compilare i campi relativi alla sezione «dati dell'impresa», esprimere il consenso in merito al trattamento dei dati personali, (con due flag da apporre nei campi appositi) e terminare la registrazione attraverso il pulsante «registrati».
- con lo username e la password rilasciati dal sistema al termine della fase di registrazione, è possibile accedere all'area riservata, suddivisa in cinque sezioni da compilare in sequenza:
   - «domanda all'interno della quale» vengono riepilogati i dati identificativi dell'impresa, bisogna descrivere brevemente l'intervento e deve essere resa una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in merito alla tipologia dell'azienda richiedente, alle spese sostenute per l'intervento di bonifica e alla posizione dell'azienda riguardo agli aiuti di stato concessi a titolo di de minimis;
   - «dichiarazioni» - nella quale vengono rese dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sullo stato dell'impresa;
   - «fatture» al cui interno vanno inseriti alcuni dati identificativi dei documenti comprovanti le spese sostenute a supporto della domanda di contributo, e allegate le relative fatture commerciali quietanzate;
   - «allegati» – nella quale è possibile scaricare i format da utilizzare per le dichiarazioni da compilare, sottoscrivere e caricare in piattaforma (obbligatori - allegati 1 e 2) unitamente al piano di lavoro (obbligatorio) del progetto di bonifica, alla comunicazione alla Asl (obbligatoria) di avvenuta ultimazione dei lavori, alla certificazione (eventuale) relativa all'amianto friabile e alla certificazione Cccia (obbligatoria);
   - «certifica e invio» che consente la verifica di completezza dei contenuti della domanda prima della conclusione della procedura, con l'invio formale.
Nella domanda, sottoscritta dal legale rappresentante dell'impresa, dovrà essere specificato il costo complessivo degli interventi, l'ammontare delle singole spese eleggibili, l'ammontare del credito d'imposta richiesto e il non usufruire di altre agevolazioni per le medesime voci di spesa.
Il credito d'imposta è riconosciuto previa verifica, da parte del Ministero dell'ambiente dell'ammissibilità in ordine al rispetto dei requisiti previsti, secondo l'ordine di presentazione delle domande e sino all'esaurimento del limite di spesa complessivo pari a 17 milioni di euro (articolo ItaliaOggi Sette del 24.10.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Tetto in eternit-amianto ammalorato: chi deve provvedere?
Questo Tribunale ha già esaminato fattispecie analoghe, svolgendo le considerazioni che possono così essere riassunte:
   - la disciplina speciale che regola la materia per cui è causa (cessazione dell'impiego dell'amianto) contiene principi in parte diversi da quelli applicabili al settore dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale;
   - dalla Legge n. 257/1992 e dal D.M. 06.09.1994 emerge la circostanza per cui l’amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto;
   - nei casi di abbandono dei rifiuti o di inquinamento ambientale è possibile (anche se a volte molto difficoltoso) accertare chi sia stato il soggetto responsabile dell’inquinamento o, in negativo, se l’attuale proprietario del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o meno identificabile come responsabile della condotta illecita;
   - nel caso dell’amianto la situazione è diversa, perché l’eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe condizioni, il che implica una continua evoluzione della situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia presente la sostanza inquinante. Di conseguenza, l’obbligo di sorveglianza, di una situazione che può modificarsi nel tempo, consente di scindere le responsabilità e obbliga passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni (di pericolosità) per l’applicazione della normativa speciale.
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Circa la doglianza relativa alla pretesa applicabilità della disciplina sui rifiuti e all’impossibilità di coinvolgere il proprietario incolpevole, vanno richiamati i principi giurisprudenziali esposti in precedenza e condivisi anche dall’odierno Collegio.
Di conseguenza, è legittima l’ordinanza emessa rivolta all’attuale detentore del bene su cui grava l’onere di sorveglianza e di eliminazione del pericolo.
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... per l'annullamento
- dell’ordinanza sindacale 31.07.2015 n. 87 per interventi su struttura contenente amianto;
- degli atti connessi del procedimento.
...
1. Con ordinanza 31.07.2015 n. 87, adottata ai sensi della Legge n. 257/1992, del DM 06.09.1994, dell’art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000 e oggetto di gravame insieme agli atti presupposti e connessi del procedimento amministrativo, il Comune di Jesi disponeva, a carico della ricorrente, una pluralità di interventi urgenti proposti dall’ASUR Marche che rilevava possibili pericoli, per gli edifici residenziali nelle vicinanze, conseguenti allo stato di degrado della copertura in cemento-amianto dell’edificio sito in via Roma ... di proprietà della stessa ricorrente.
In particolare veniva ordinato:
- di eseguire, entro 45 giorni, interventi di incapsulamento conservativo e riparazione delle zone danneggiate con prodotti incapsulanti certificati ai sensi del DM 20.08.1999 mirati alle parti rotte della copertura. Entro lo stesso termine veniva ordinato anche di procedere alla pulizia delle gronde e alla rimozione delle eventuali lastre a terra;
- la rimozione, entro il 31.12.2015, della copertura in cemento-amianto dell’edificio.
Qualora la ricorrente avesse preferito effettuare la sollecita rimozione della copertura, avrebbe potuto (in alternativa alle predette misure), presentare al Comune e all’ASUR, entro 30 giorni, un piano di lavoro ai sensi dell’art. 256 del D.Lgs. n. 81/2008, da eseguire entro 45 giorni dal parere favorevole espresso dall’ASUR sul piano proposto.
Si è costituito il Comune di Jesi per contestare, nel merito, le deduzioni di parte ricorrente chiedendone il rigetto.
Si sono altresì costituiti, ad opponendum, i Sigg. Gi.Gi. e Cu.An., allegando di essere residenti a ridosso dell’edificio in questione e direttamente esposti ai pericoli derivanti dall’amianto presente nella relativa copertura.
2. Con un’unica ed articolata censura viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, degli artt. 192, 239 e ss. del D.Lgs. n. 152/2006, del DM 06.09.1994, del D.Lgs. n. 81/2008, della Legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere sotto svariati profili.
In particolare viene dedotto:
- che non sussistevano i presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente perché la situazione era nota dal 2013, era stato redatto un programma di manutenzione e controllo del materiale nell’ottobre 2014 con sopralluoghi dell’ASUR, la quale, nella relazione del dicembre 2014, non evidenziava ragioni di urgenza, mentre, nella relazione del 17.06.2015, proponeva la programmazione di un intervento di bonifica entro 12 mesi a fronte di un eventuale pericolo derivante dalla sola presenza di alcuni frammenti e danneggiamenti della copertura. Di conseguenza il Comune avrebbe dovuto esercitare i poteri ordinari di cui all’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006;
- che l’edificio è stato realizzato abusivamente dalla società Li. (che poi ha chiesto il condono nel 1986) e utilizzato dalla società MA.. La ricorrente è mera proprietaria del terreno e non era a conoscenza dell’edificazione, dovendosi pertanto considerare proprietario incolpevole. L’ordine avrebbe dovuto essere rivolto alla società Li. benché abbia cessato l’attività nel 1994 e sia stata posta in liquidazione, in quanto devono rispondere i soci fino alla concorrenza delle somme riscosse con il bilancio finale di liquidazione ai sensi dell’art. 2495 CC. C’è comunque responsabilità solidale degli amministratori ai sensi dell’art. 192, c. 4, del D.Lgs. n. 152/2006.
L’articolata censura non può trovare condivisione.
In via generale occorre premettere che questo Tribunale ha già esaminato fattispecie analoghe, svolgendo le considerazioni che possono così essere riassunte (cfr. TAR Marche, 05.06.2015 n. 467):
- la disciplina speciale che regola la materia per cui è causa (cessazione dell'impiego dell'amianto) contiene principi in parte diversi da quelli applicabili al settore dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale;
- dalla Legge n. 257/1992 e dal D.M. 06.09.1994 emerge la circostanza per cui l’amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto;
- nei casi di abbandono dei rifiuti o di inquinamento ambientale è possibile (anche se a volte molto difficoltoso) accertare chi sia stato il soggetto responsabile dell’inquinamento o, in negativo, se l’attuale proprietario del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o meno identificabile come responsabile della condotta illecita;
- nel caso dell’amianto la situazione è diversa, perché l’eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe condizioni, il che implica una continua evoluzione della situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia presente la sostanza inquinante. Di conseguenza, l’obbligo di sorveglianza, di una situazione che può modificarsi nel tempo, consente di scindere le responsabilità e obbliga passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni (di pericolosità) per l’applicazione della normativa speciale.
Poste tali premesse, va osservato che sussisteva l’urgenza di intervenire poiché, trattandosi di una situazione in evoluzione, gli accertamenti eseguiti dopo l’avvio del procedimento (avvenuto nel 2013) non potevano considerarsi definitivi e irripetibili, tanto è vero che l’ordinanza oggetto di gravame, sulla scorta degli accertamenti successivi, diversifica gli interventi a carico della proprietà, distinguendo tra quelli da eseguire entro 45 giorni (incapsulamento conservativo e riparazione mirati alle parti danneggiate della copertura) e quelli da eseguire entro il 31.12.2015 (rimozione della copertura), con possibilità di optare immediatamente per un intervento unitario previa elaborazione di un piano di lavoro.
Del resto anche parte ricorrente ammette l’esistenza di parti danneggiate della copertura, pur ritenendo che la sola presenza di alcuni frammenti e danneggiamenti escluda pericoli per l’incolumità, senza tuttavia fornire elementi tecnici a confutazione di quanto accertato dai competenti organismi pubblici e per ritenere che il pericolo possa considerarsi definitivamente superato attraverso meri interventi di riparazione di una copertura comunque in stato di degrado spontaneo dovuto al naturale invecchiamento delle lastre e che libera materiale friabile e polverulento rinvenuto depositato in gronda (cfr. relazione ASUR del 17.06.2015).
Per quanto concerne l’ulteriore doglianza, relativa alla pretesa applicabilità della disciplina sui rifiuti e all’impossibilità di coinvolgere il proprietario incolpevole, vanno richiamati i principi giurisprudenziali esposti in precedenza e condivisi anche dall’odierno Collegio. Di conseguenza l’ordinanza non poteva che essere rivolta all’attuale detentore del bene su cui grava l’onere di sorveglianza e di eliminazione del pericolo.
3. Il ricorso va conclusivamente respinto (TAR Marche, sentenza 19.10.2016 n. 571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATABonifica amianto, agevolazioni a novembre.
Dal 16 novembre le imprese possono presentare al ministero dell'ambiente attraverso l'apposita piattaforma elettronica accessibile sul sito www.minambiente.it la domanda per il riconoscimento del credito d'imposta per interventi di bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto. Le risorse a disposizione ammontano a 17 milioni di euro.
Possono beneficiare del credito d'imposta i soggetti titolari di reddito d'impresa, indipendentemente dalla natura giuridica assunta, dalle dimensioni aziendali e dal regime contabile adottato, che effettuano interventi di bonifica dall'amianto, su beni e strutture produttive ubicate nel territorio dello stato, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016.

È con il decreto del 15.06.2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17.10.2016 n. 243) con il quale il ministero dell'ambiente ha definito le modalità di presentazione delle domande per usufruire del credito d'imposta per interventi di bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto.
Sono ammissibili al credito d'imposta gli interventi di rimozione e smaltimento, anche previo trattamento in impianti autorizzati, dell'amianto presente in coperture e manufatti di beni e strutture produttive ubicati nel territorio nazionale effettuati nel rispetto della normativa ambientale e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono ammesse, inoltre, le spese di consulenze professionali e perizie tecniche nei limiti del 10% delle spese complessive sostenute e comunque non oltre l'ammontare di 10.000 euro per ciascun progetto di bonifica unitariamente considerato.
Sono considerate eleggibili le spese per la rimozione e lo smaltimento, anche previo trattamento in impianti autorizzati, di lastre di amianto piane o ondulate, coperture in eternit, tubi, canalizzazioni e contenitori per il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, a uso civile e industriale in amianto e sistemi di coibentazione industriale in amianto.
Nella domanda, sottoscritta dal legale rappresentante dell'impresa, dovrà essere specificato il costo complessivo degli interventi, l'ammontare delle singole spese eleggibili, l'ammontare del credito d'imposta richiesto e il non usufruire di altre agevolazioni per le medesime voci di spesa. Il credito d'imposta è riconosciuto previa verifica del rispetto dei requisiti da parte del ministero dell'ambiente, secondo l'ordine di presentazione delle domande (articolo ItaliaOggi del 19.10.2016).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATANel caso di smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate dal crollo di un tetto, risulta inapplicabile l'allegato 3 D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
Invero, tali soluzioni presuppongono l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in esame, la struttura incorporante.
In tal caso, infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica".
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3. Al fine di comprendere meglio la vicenda in esame è necessario ricostruirne -secondo quanto incontestabilmente risulta dal provvedimento impugnato e dalle stesse allegazioni difensive- i passaggi più importanti, che possono essere così sintetizzati:
   a) con ordinanza n. 53 del 08/11/2012 il Sindaco del Comune di Apecchio aveva ordinato alle società «La Ga. S.p.a.» e «El. S.r.l.» (e ad altre società) lo smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate dal crollo dei tetti dei relativi stabilimenti, crollo provocato dalle abbondanti nevicate di quell'anno;
   b) tale smaltimento avrebbe dovuto essere realizzato mediante la raccolta manuale delle lastre di eternit e il tombamento del residuo materiale, secondo modalità -si legge nell'ordinanza impugnata- stabilite dal Ca., ancorché non condivise dagli Enti componenti il tavolo tecnico che doveva occuparsi della vicenda, ed anzi ad esso contrarie (anche se, annota il Tribunale di Ancona, dell'adozione di tale ordinanza risponde il solo Sindaco di Apecchio e non anche il ricorrente);
   c) il NOE CC di Ancona accertò che, invece, la società «La Ga. S.p.a.» aveva interrato i rifiuti senza separarli dall'amianto, e sollecitò di conseguenza l'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 23 del 05/08/2013 con cui il Sindaco di Apecchio avrebbe poi ordinato alla «La Ga. S.p.a.» la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti;
   d) il successivo 26/08/2013, con un documento indirizzato alla Regione Marche e al Sindaco di Apecchio, il ricorrente (facendo leva -si legge nell'ordinanza impugnata- su riferimenti normativi imprecisi) aveva sollecitato la revoca o comunque la modifica dell'ordinanza sindacale.
Questo atto integra, a parere dei giudici cautelare, l'ipotizzato tentativo di abuso di ufficio.
3.1. Il ricorrente deduce l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3, D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica".
3.3. Il rilievo, dunque, è infondato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.03.2016 n. 9458).

anno 2015

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto, tre strade per la bonifica. Il materiale può essere incapsulato, confinato o rimosso da ditte iscritte all’Albo gestori.
Sicurezza. Obbligatorio comunicare alla Asl il piano di lavoro, che si intende approvato dopo 30 giorni con il silenzio-assenso.

Nelle abitazioni sono diversi i casi in cui ci si può imbattere nell'amianto: pannelli, pavimenti, rivestimenti di camini, tubazioni, lastre di copertura, canne fumarie, serbatoi idrici, guarnizioni stufe, intonaco.
Come afferma l’allegato sulla valutazione del rischio al Dm 06.09.1994, la presenza di materiali che contengono amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti: «Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto». Lo stesso allegato indica norme e metodologie tecniche di applicazione della legge 257/1992 che ha messo al bando questo materiale.
Le indicazioni del decreto si applicano a tutte le strutture edilizie: ad uso civile, commerciale o industriale.
Il proprietario dell’immobile -l’amministratore di condominio per le parti comuni, o il gestore dell’attività- deve sempre designare una figura responsabile del rischio amianto, con compiti di controllo e coordinamento dell’attività manutentiva, da cui passa la valutazione dell'eventuale bonifica. Il proprietario deve anche tenere i documenti relativi all’ubicazione dell’amianto, predisporre la segnaletica e le misure di sicurezza, fornire una corretta informazione agli occupanti dell’edificio sui rischi potenziali e i comportamenti da adottare.
A seconda del tipo di matrice, si predispone quindi un controllo visivo e strumentale periodico. «Il responsabile deve individuare la ditta qualificata e abilitata ad eseguire i lavori: cioè un’impresa iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali, in categoria 10, con coordinatore e operai specificamente formati», aggiunge Erminio Barbati, vicepresidente Aibam (Associazione imprese bonificatori amianto).
La ditta deve redigere un “piano di lavoro” da presentare all'Asl competente per territorio -tranne casi di urgenza- almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori. Dopo 30 giorni scatta il silenzio-assenso.
A seconda delle caratteristiche di installazione e dello stato di conservazione, la bonifica può esser fatta tramite incapsulamento (trattare con vernice che ricostruisce la superficie e impedisce la fuga del materiale), confinamento (“chiusura” dietro murature) o rimozione del materiale. Non sempre è possibile rimuovere il materiale, a causa di impedimenti strutturali dell’edificio. In ogni caso, una volta accertata la presenza dell’amianto, è necessario stilare almeno un programma di controllo e manutenzione, per prevenire il rilascio e la dispersione di fibre, e nel caso intervenire per rimuovere o mettere in sicurezza.
«Il rischio è rappresentato dalla friabilità dei materiali e dalla loro esposizione. L’amianto in matrice compatta, comunemente conosciuto come cemento-amianto (fibrocemento, o eternit, dal nome del più diffuso prodotto commerciale), è meno pericoloso di quello in matrice friabile, che ha fibre libere o debolmente legate. Ma va sottoposto alla valutazione periodica dell’indice di degrado», spiega Nicola Giovanni Grillo, presidente di Aibam. In ogni caso, i lavori non si effettuano mai in presenza di abitanti.
«Quanto alle autorizzazioni edilizie -aggiunge Grillo- dipendono dal tipo di intervento collegato: se rimuovo soltanto una parte, non necessito di alcun particolare documento; se tolgo il cemento-amianto e rimetto un’altra copertura, coibentata, dovrò fare una comunicazione di inizio lavori».
Una volta completata l’opera, il materiale rimosso va portato in un centro di stoccaggio o direttamente in discarica. «A farlo può essere la stessa ditta che ha eseguito i lavori, ma per il trasporto deve esser comunque iscritta all’Albo in categoria 5: tutto è indicato nel piano di lavoro inviato all’Asl, anche il tragitto compiuto per lo smaltimento», dice il presidente di Assoamianto, Sergio Clarelli.
«Al proprietario deve poi tornare entro 90 giorni una copia del Fir (formulario di identificazione rifiuti), che attesta il conferimento presso una discarica autorizzata. Questo documento si aggiunge al certificato di fine lavori, e all’eventuale copia del campionamento dell’aria successivo all’intervento».
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PERMESSI E NULLA OSTA
Il piano di lavoro predisposto dalla ditta abilitata alla bonifica va inviato alla Asl del proprio territorio 30 giorni prima dell’inizio delle opere. Se entro 30 giorni l’Asl non richiede integrazioni o modifiche, né dà prescrizioni, la ditta può eseguire le opere.
Le autorizzazioni edilizie dipendono dal tipo di intervento e dalle norme regionali o locali. In generale, in caso di sola rimozione di una parte di amianto, non serve alcun titolo abilitativo; se, ad esempio, si sostituisce una copertura in eternit con un altro manto coibentato, ci sarà bisogno di una Cila.
L’IMPRESA
L’impresa che effettua i lavori deve essere iscritta all'Albo nazionale gestori ambientali, in categoria 10: categoria 10A e/o 10B, a seconda che sia abilitata al trattamento dei soli materiali compatti (di solito cemento-amianto, eternit) o a tutti i tipi di bonifica.
La ditta deve avere dipendenti provvisti di patentino di abilitazione per coordinatore e operatori addetti alla bonifica. L’impresa che trasporta i materiali alla discarica –può essere anche la stessa che ha eseguito la rimozione– deve essere iscritta all’Albo in categoria 5.
AGEVOLAZIONI PER PERSONE FISICHE
Anche per le spese di rimozione dell’amianto su abitazioni e pertinenze (box, cantina, soffitta) si applica la detrazione Ipref del 50%, entro il limite di 96mila euro (articolo 16-bis del Dpr 917/1986). Per accedere ai benefici basta pagare le fatture con bonifico bancario o postale.
Se la rimozione dell’amianto è intervento di carattere condominiale sarà l’amministratore a provvedere al pagamento con bonifico in cui oltre alla partiva Iva dell’impresa esecutrice dei lavori indicherà anche il codice fiscale del condominio.
AGEVOLAZIONI PER LE SOCIETÀ
La detrazione del 50% non è applicabile per gli immobili posseduti da imprese e società nell’esercizio dell’attività commerciale. Ma le spese di rimozione amianto rientrano tra quelle detraibili quando si effettuano contestualmente gli interventi di risparmio energetico cui si applica la detrazione del 65 per cento.
Oltre agli edifici abitativi anche tutti gli edifici non residenziali e quelli a destinazione produttiva fruiscono di questa detrazione, se dotati di impianto di riscaldamento preesistente.
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Bonus del 50% anche per il 2016.
Persone fisiche. La detrazione confermata per gli immobili abitativi con il disegno di legge di Stabilità - In arrivo un credito di imposta per beni e strutture produttive.

Anche la leva fiscale può essere utilizzata per la rimozione di amianto/eternit presente nel patrimonio edilizio esistente in modo da ridurre significativamente i costi di questa operazione.
Gli sconti fiscali applicabili attualmente per le persone fisiche consentono la detrazione del 50% e, in taluni casi, del 65% per i contestuali interventi di risparmio energetico (si veda articolo in basso).
Si tratta di un’ottima opportunità di risparmio per chi vuole smaltire l’amianto. Ma come funziona l’incentivo? L’articolo 16-bis, comma 1, lettera l) del Dpr 917/1986, prevede espressamente, per gli interventi eseguiti su immobili abitativi e relative pertinenze (box, cantina, soffitta), la detraibilità dall’Irpef del 50% delle spese sostenute, entro il limite massimo di 96mila euro per gli interventi di bonifica dall’amianto.
La formulazione testuale della norma lascerebbe pensare che i benefici fiscali si possano applicare anche agli interventi eseguiti su immobili non abitativi, anche non pertinenziali, sempreché posseduti da persone fisiche, tenuto conto del carattere oggettivo della normativa che non limita espressamente alle abitazioni questa tipologia specifica di intervento. In pratica, se posseduto da una persona fisica l’edificio non residenziale (ufficio, negozio, capannone, ma anche tettoie, pollai e ricoveri di materiali), fruirebbe del bonus del 50% previsto per le abitazioni. Ma sul punto non sono mai arrivate conferme ufficiali.
Sino al 31.12.2015 (per ora ma la proroga al dicembre 2016 è contenuta nella legge di stabilità) l’importo della detrazione è pari al 50% delle spese sostenute sino a un ammontare massimo di 96mila euro, cioè 48mila euro da ripartirsi in dieci rate annuali fino a 4.800 euro ciascuna da recuperare con la presentazione della dichiarazione dei redditi. Perciò, chi spende 20mila euro per la bonifica dall’amianto potrà recuperare 10 mila euro in 10 quote annuali da mille euro.
A regime, invece, la detrazione sarà pari al 36% delle spese sostenute fino a un ammontare massimo di 48mila euro, cioè 17.280 euro da ripartirsi in dieci quote.
Per accedere ai benefici basta pagare le fatture con bonifico bancario o postale.
Nella maggior parte dei casi la rimozione dell’amianto è un intervento che interessa i condomini: in questo caso sarà l’amministratore a provvedere al pagamento con bonifico, in cui oltre alla partiva Iva dell’impresa esecutrice dei lavori indicherà anche il codice fiscale del condominio. Lo stesso amministratore poi rilascerà ai singoli condomini un’attestazione degli importi da ciascuno dei condomini detraibili sulla base della tabella millesimale.
Da ultimo nel Ddl «Collegato ambientale« (atto Senato 1676), è stato approvato un emendamento presentato dal Governo che prevede un credito di imposta del 50% delle spese sostenute nel 2016 per interventi di bonifica dell’amianto anche su beni e strutture produttive (con fondi pari a 5,6 milioni di euro per il triennio 2017-2019).
Il credito di imposta -quando entrerà in vigore- non si applicherà per investimenti di importo unitario inferiore a 20mila euro.
L’importo del credito sarà ripartito in tre quote di pari importo da recuperare in sede di dichiarazione dei redditi. Il credito non concorre alla determinazione del reddito né dell’imponibile Irap. Modalità e termini di applicazione del beneficio saranno rimesse a uno specifico decreto del Mef.
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Per le società abbinamento con il risparmio energetico
Persone giuridiche. Recuperabili al 65% i lavori connessi all’isolamento termico.

Per gli immobili posseduti da imprese e società nell’esercizio dell’attività commerciale la detrazione Irpef del 50% non è applicabile. Tuttavia, le spese di rimozione dell’amianto rientrano tra quelle detraibili quando si effettuano contestualmente gli interventi di risparmio energetico cui si applica la detrazione Irpef/Ires del 65% (prorogata al 2016 secondo il Ddl di stabilità).
In sostanza se l’intervento di rimozione dell’eternit è collegato a interventi sui serramenti, all’implementazione di un cappotto termico, all’installazione di pannelli solari termici, o caldaie a condensazione, all’aggiunta di un camino solare, o pompe di calore, allora la detrazione è pari al 65% della spesa sostenuta sino a un importo massimo di detrazione pari a 100mila euro per gli interventi di riqualificazione globale, ovvero 60mila per gli interventi sulle strutture opache orizzontali o verticali (cappotto, finestre o solai) o 30mila per gli interventi di sostituzione degli impianti termici.
Il perimetro
In pratica, mentre la detrazione del 65% non si applica di per sé alla sola rimozione dell’amianto, le spese complessive di riqualificazione energetica con contestuale rimozione dell’amianto, se non separatamente fatturate (altrimenti si perde il diritto al beneficio), fruiscono anche di questa maggiore detrazione.
Trattandosi di intervento di risparmio energetico non sussistono i limiti oggettivi previsti per la detrazione del 50%: quindi l’agevolazione vale sia per le abitazioni sia per tutti gli edifici non residenziali e quelli a destinazione produttiva. L’importante è che gli stessi siano accatastati prima dell’inizio dell’intervento e siano dotati di impianto di riscaldamento preesistente.
Anche sotto il profilo soggettivo, la detrazione del 65% non subisce i limiti previsto per il bonus fiscale per le ristrutturazioni edilizie e, quindi, si applica oltre che ai soggetti Irpef anche a imprese e società (soggetti Ires). In entrambi i casi, trattandosi di una detrazione è necessario che il soggetto che sostiene le spese abbia capienza di imposta, cioè Irpef o Ires da versare nell’anno di imposta da cui poter scomputare l’importo detraibile.
Facciamo un esempio: una società vuole rimuovere l’amianto e, contestualmente, coibentare il tetto per migliorare l’isolamento termico dell’edificio. Nell’ipotesi in cui al termine dei lavori di rifacimento del tetto si conseguano i prescritti valori di trasmittanza termica, tutte le spese sostenute, anche per la rimozione dell’amianto nel tetto, fruiscono dei benefici fiscali.
Se si tratta di intervento di risparmio energetico eseguito su immobile strumentale, la detrazione si applica senza problemi a prescindere dal fatto che le spese sostenute sono già elemento di costo nella determinazione del reddito di impresa o arti e professione (es. maggiore ammortamento per capitalizzazione dell’investimento ovvero abbattimento dal reddito imponibile). In sostanza, la spesa sostenuta rileva, sia nella determinazione del reddito che come detrazione dalle imposte sul reddito dovute sull’utile (Irpef o Ires). Fanno eccezione gli immobili non abitativi locati per i quali l’agenzia delle Entrate ha posto dei limiti all’applicazione del 65 per cento.
Per i titolari di reddito d’impresa (ditte individuali, società di persone o di capitali), infatti, la detrazione del 65% spetta solo se gli interventi di riqualificazione energetica sono eseguiti su fabbricati strumentali (per natura o destinazione) utilizzati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Sono pertanto esclusi gli immobili locati a terzi (risoluzione n. 340/E/2008) e gli altri immobili posseduti dalle imprese o società. Tuttavia, i più recenti orientamenti giurisprudenziali di merito non riconoscono legittima questa interpretazione (si veda Il Sole 24 Ore del 29 giugno scorso).
La procedura
Il contribuente deve, in primo luogo, acquisire l’asseverazione di un tecnico abilitato che certifichi il rispetto dei requisiti di trasmittanza termica. È necessario acquisire anche l’attestato di prestazione energetica dell’edificio e la scheda informativa dei lavori secondo lo schema contenuto nel Dm 19.02.2007.
Una volta ottenuta l’asseverazione, l’Ape e la scheda informativa, il contribuente deve inviarli all’Enea (tramite il programma informatico disponibile sul sito internet www.acs.enea.it) entro i 90 giorni successivi alla fine dell’intervento
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.11.2015).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Piano Regionale Amianto Lombardia (P.R.A.L.) (ASL di Bergamo, nota 01.04.2015 n. 38941 di prot.)

anno 2014

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAAmianto, il degrado obbliga alla bonifica. In base alla spesa maggioranze variabili per le delibere. Sicurezza. La valutazione del rischio deve essere affidata a tecnici abilitati.
L'amianto piaceva: le sue peculiari proprietà fonoassorbenti e termoisolanti e il basso costo hanno spinto al suo utilizzo per decenni anche negli edifici condominiali. Ma, dopo aver scoperto la sua pericolosità, dato che Comune e Asl non sono tenuti a effettuare sopralluoghi negli edifici privati, l'onere grava totalmente sul condominio e, quindi, sull'amministratore.
I doveri dell'amministratore
Va precisato che l'amianto è stato applicato in due forme diverse: l'amianto compatto e quello friabile.
La differenza è rilevante anche dal punto di vista giuridico e degli obblighi dell'amministratore. Il comma 5 dell'articolo 12 della legge 257/1992 stabilisce che «presso le unità sanitarie locali è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell'amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici».
I proprietari (quindi l'amministratore in caso di condomìni) devono comunicare alle Asl i dati relativi alla presenza di materiali. In caso di omessa comunicazione la legge 257 stabilisce la sanzione amministrativa da 2.582 a 5.164 euro
I lavori da eseguire
Per i materiali edilizi in cemento amianto presenti in forma compatta in edifici privati e in condomìni, qualora essi siano in buono stato, non è previsto alcun obbligo né di comunicazione alla Asl né di rimozione.
Se però il manufatto compatto manifesta condizioni di degrado l'amministratore deve far effettuare un'accurata ispezione e una valutazione del rischio rivolgendosi a un tecnico o a un'impresa abilitati e accuratamente selezionati, oppure far eseguire le analisi da un laboratorio in possesso dei requisiti previsti dall'allegato 5 del Dm del 14.05.1996. Sono poi necessari controlli periodici dopo il primo intervento.
Ma che succede se l'analisi accerta la necessità di intervenire sull'amianto? In tal caso è obbligatorio rivolgersi a una ditta specializzata iscritta all'albo nazionale gestori ambientali alla categoria 10 sub categoria 10A o 10B (articolo 26 del Dlgs 81/2008).
Sull'amministratore incombono anche responsabilità nei confronti di chi lavora nei condomìni : gli articoli da 246 al 261 del Tu sulla sicurezza regolamentano la protezione dai rischi connessi all'esposizione all'amianto.
Spese e maggioranze
La spesa va ripartita tra i condòmini (articolo 12, comma 3, della legge 257/1992), con possibilità di rivalersi nei confronti della ditta costruttrice solo se l'amianto sia stato installato successivamente alla data in cui la legge ne ha vietato l'uso.
Quanto alle maggioranze assembleari per deliberare gli interventi relativi all'amianto, dato che dovrebbero qualificarsi come manutenzione ordinaria poiché l'intervento è imposto dalla legge, sarebbe sufficiente la maggioranza prevista dal terzo comma dell'articolo 1136 del Codice civile (la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresenti almeno 1/3 dei millesimi e dei condòmini).
Invece, quando l'opera di bonifica è di rilevante entità, soprattutto economica, si ricade nella manutenzione straordinaria e quindi si applica la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136 del Codice civile (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500 millesimi) (articolo Il Sole 24 Ore del 26.08.2014).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere compatto o friabile della struttura (copertura) in amianto non rileva ai fini di stabilire se la stessa debba o meno essere bonificata, ma solo al fine di stabilire entro quale termine e con quali modalità debba esserlo.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 55, prot. n. 7265, emessa dal Comune di Tortona, Settore Territorio e Ambiente - Servizio Ambiente, in data 25.03.2013 e notificata alla ricorrente in pari data, con cui è stato ordinato alla ricorrente di provvedere alla bonifica del manufatto sito in Tortona (AL), Strada Statale per Voghera n. 42, tramite rimozione della relativa copertura di eternit.
...
Con un secondo profilo di censura, la ricorrente ha sostenuto che le valutazioni svolte dall’ARPA sarebbero contraddittorie, dal momento che la copertura del fabbricato di proprietà della ricorrente è stata giudicata “friabile” benché la stessa Agenzia abbia riconosciuto che il materiale “si spezza a fatica con le pinze”, il che significa che esso non è friabile ma “compatto”, con la conseguenza che esso non necessita di alcuna bonifica in base alla normativa di settore.
Anche tale censura non può essere condivisa.
Le valutazioni svolte nel caso di specie dall’ARPA non appaiono affatto contraddittorie, ma perfettamente coerenti con la normativa tecnica applicata.
Risulta dagli atti di causa (ci si riferisce, in particolare, alla relazione di servizio ARPA prodotta in giudizio dalla difesa comunale sub doc. 9) che le condizioni di degrado della copertura sono state valutate dall’Agenzia con riferimento a tutti i parametri previsti dal protocollo tecnico operativo “U.RP.T104”: età, spessore, consistenza (friabile/compatto), trattamenti superficiali, muschi e licheni, sfaldamenti e/o crepe superficiali, residui (stalattiti) a bordo lastra, residui di canali di gronda, affioramenti superficiali di fibre.
A ciascuno di tali parametri, in relazione allo stato del manufatto, è stato attribuito un punteggio nell’ambito del range individuato dal protocollo.
La somma di tali punteggi (42) ha consentito di determinare l’”indice di degrado” della struttura (0,52) attraverso l’applicazione di un determinato algoritmo previsto dal protocollo.
Quindi, dall’indice di degrado così determinato, l’Agenzia è pervenuta a determinare, attraverso un altro algoritmo, “l’indice di valutazione complessiva” (0,78).
Quest’ultimo è ricompreso dal protocollo tecnico nella fascia “0,60-0.89” che individua uno stato di conservazione della struttura qualificato “scadente”, in relazione quale si prevedono i seguenti “provvedimenti da adottare”: “Necessaria la bonifica dei manufatti da programmare nell’arco di uno/due anni. Predisposizione del programma di manutenzione e custodia ex D.M. 06/09/1994 ove applicabile”: esattamente quello il Comune ha imposto di fare alla ricorrente, sia con il provvedimento qui impugnato, sia con la precedente diffida del 17.02.2012.
Tali provvedimenti sono dunque coerenti rispetto agli accertamenti e agli adempimenti successivi previsti dalla normativa tecnica applicata.
E vero, quindi, che la struttura è stata giudicata sostanzialmente “compatta” perché “si spezza a fatica con le pinze”, ma tale circostanza è stata valutata correttamente dall’ARPA con l’attribuzione del punteggio più basso (2 punti) previsto dal protocollo tecnico proprio con riferimento a tale ipotesi, laddove se il materiale fosse stato giudicato mediamente friabile (“si spezza facilmente con le pinze”) sarebbe stato valutato con 5 punti, ovvero con 10 punti laddove fosse stato giudicato friabile (“si può spezzare senza l’uso degli attrezzi”).
In altre parole, il carattere compatto o friabile della struttura in amianto non rileva ai fini di stabilire se la stessa debba o meno essere bonificata, ma solo al fine di stabilire entro quale termine e con quali modalità debba esserlo
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 18.04.2014 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Attività di bonifica amianto: invio di notifiche e piani tramite applicativo Ge.M.A. (ANCE Bergamo, circolare 21.03.2014 n. 69).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Le ordinanze sindacali contingibili e d'urgenza in materia di igiene e sanità pubblica, ex art. 54 d.lgs. 267/2000, sono atti pacificamente rientranti nella competenza del sindaco e sottratti, in ragione del loro carattere cautelare e urgente, all’obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990.
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E' legittima l'adottata ordinanza sindacale (per la rimozione di una copertura in eternit) poiché sussistono in concreto i presupposti della contingibilità e urgenza, posto che l'accertato (da parte dell'Azienda Sanitaria) rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile allo stato di conservazione, alla friabilità e all'estensione dei pannelli, per di più collocati in area aperta al pubblico, assumeva i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza (intesa come impellente necessità di provvedere al fine di non pregiudicare l'interesse pubblico, che può essere definitivamente danneggiato con il trascorrere del tempo) richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per la legittima adozione del provvedimento contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente qualificata (come pure evincibile dalla valutazione specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla giurisprudenza, per cui le norme in materia di partecipazione procedimentale vanno interpretate non in senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi, allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
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Appare condivisibile, in termini più generali, l’indirizzo operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni tecnico-scientifiche, unicamente laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del manufatto.

Sul piano formale il provvedimento si sottrae a tutti i rilievi contenuti in ricorso inerenti la legittimità dell’iter procedimentale che ha condotto all’adozione dell’ordinanza contingibile.
Innanzitutto, vanno respinte le tre censure (a, d, e) riferite alla qualificazione giuridica dell’atto impugnato, alle garanzie partecipative che ad esso si correlano e alla competenza ad adottarlo da parte del sindaco.
Le deduzioni svolte sul punto dai ricorrenti, infatti, si pongono in termini dissonanti rispetto al pacifico orientamento giurisprudenziale che ascrive tale tipologia di provvedimenti alla categoria delle ordinanze sindacali contingibili e d'urgenza in materia di igiene e sanità pubblica, ex art. 54 d.lgs. 267/2000. Si tratta di atti pacificamente rientranti nella competenza del sindaco e sottratti, in ragione del loro carattere cautelare e urgente, all’obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990 (Cons. St, sez. II, 28.04.2004, n. 3444; TAR Pescara sez. I, 13.04.2010, n. 433; TAR Basilicata sez. I, 21.06.2012, n. 296; Cons. St., sez. V, 19.09.2012, n. 4968; TAR Bari sez. I, 01.08.2013, n. 1217).
Con specifico riguardo al caso in esame, la sussistenza in concreto del presupposto del danno grave e imminente per l’incolumità pubblica risulta esplicitata nel provvedimento, sia attraverso un diretto riferimento allo scadente stato di conservazione delle lastre, e quindi al livello medio di esposizione alla fibre di amianto; sia per relationem agli accertamenti tecnici condotti dall’ARPA.
Essa non è contraddetta, peraltro, dal fatto che siano stati concessi 12 mesi per l’esecuzione dell’intervento di rimozione. Nel calibrare i tempi di esecuzione, l’amministrazione ha infatti dovuto contemperare l’urgenza dell’opera di messa in sicurezza con la necessità di concedere un termine congruo e tecnicamente proporzionato ai tempi dell’autorizzazione e della realizzazione dell’intervento, tenuto anche conto dell’entità della superficie da bonificare (4500 mq) e dei necessari protocolli procedurali imposti dalla normativa vigente in materia.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, inoltre, sussistevano in concreto i presupposti della contingibilità e urgenza, posto che l'accertato (da parte dell'Azienda Sanitaria) rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile allo stato di conservazione, alla friabilità e all'estensione dei pannelli, per di più collocati in area aperta al pubblico, assumeva i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza (intesa come impellente necessità di provvedere al fine di non pregiudicare l'interesse pubblico, che può essere definitivamente danneggiato con il trascorrere del tempo) richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per la legittima adozione del provvedimento contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente qualificata (come pure evincibile dalla valutazione specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
A questo riguardo trova adeguati margini applicativi al caso di specie anche la disposizione di cui all'art. 21-octies della legge 241/1990, se solo si considera, per un verso, che le parti resistenti hanno fornito adeguata dimostrazione che il tenore dell’atto impugnato non sarebbe mutato in caso di regolare comunicazione dell'inizio del procedimento, stante l’inconferenza dei rilievi critici sollevati sul punto dei ricorrenti.
Per altro verso, l’affermazione secondo cui il contraddittorio con la parte privata avrebbe consentito di selezionare meglio la soluzione operativa da adottare, è contraddetta dal fatto che neppure in sede processuale i ricorrenti hanno allegato concreti elementi -inerenti il grado di efficacia e di onerosità dei diversi interventi contemplati dalla letteratura scientifica- dai quali possa desumersi l’effettiva maggiore vantaggiosità delle misure di bonifica tralasciate rispetto a quelle prescelte dall’amministrazione.
Pertanto, anche sotto il profilo della scelta (certamente connotata da margini di discrezionalità) dei rimedi da adottare al fine di scongiurare il temuto danno alla salute, la parte ricorrente non ha provato di aver risentito un concreto pregiudizio dall’omesso esercizio delle facoltà partecipative.
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla giurisprudenza, per cui le norme in materia di partecipazione procedimentale vanno interpretate non in senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi, allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. Stato Sez. IV, 29.01.2014, n. 449; 31.01.2012, n. 480).
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I ricorrenti assumono, ancora, la presunta violazione del principio di proporzionalità nella scelta dell'amministrazione di imporre l'intervento di bonifica "più oneroso" -la rimozione della copertura- "esistendo tecnicamente altre modalità di intervento egualmente idonee, in astratto, a tutelare l'interesse pubblico".
Tuttavia -al di là del fatto che, come già esposto, non è stato allegato alcun elemento di stima dei costi di interventi alternativi, in comparazione con quello qui contestato, dal quale possa desumersi l’effettiva maggiore gravosità della bonifica imposta- appare condivisibile, in termini più generali, l’indirizzo operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni tecnico-scientifiche, unicamente laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del manufatto.
Ebbene, nessuna di dette circostanze è stata riscontrata nel caso di specie, tenuto conto dell’accentuata condizione di danneggiamento della copertura e della sua considerevole superficie, fattori ai quali corrisponde -in misura proporzionale– un altrettanto elevato rischio di esposizione agli agenti atmosferici e di conseguente dispersione del materiale pernicioso per la salute.
In conclusione, tutte le considerazioni sin qui esposte denotano l’assenza di profili di irragionevolezza o illogicità nelle valutazioni espresse dagli organi consultivi compulsati ai fini dell'accertamento della sussistenza del pericolo per la salute pubblica e della conseguente individuazione degli opportuni rimedi.
Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 20.03.2014 n. 480 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 11 del 14.03.2014, "Trasmissione informatizzata della notifica e del piano per i lavori di bonifica dei manufatti contenenti amianto (artt. 250 e 256 d.lgs. 81/2008) e delle relazioni annuali (art. 9 l. 257/1992)" (decreto D.G. 04.03.2014 n. 1785).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: AMIANTO: relazione annuale entro il 31.03.2014 (ANCE Bergamo, circolare 28.02.2014 n. 58).

AMBIENTE-ECOLOGIA: E' illegittimo, per vizio di difetto di istruttoria, l'ordine di rimozione della copertura in eternit della chiesa.
La presenza (incontestata) di materiale contenente amianto sul tetto della chiesa costituisce fonte di pericolo per la privata e pubblica incolumità, così da giustificare l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente: tuttavia, la stessa non sfugge però alla necessità di un’adeguata istruttoria, dalla quale risultino quali specifiche prescrizioni debbano essere osservate, al fine di rimuovere la situazione pregiudizievole.
Nel caso di specie, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che <<un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto>>.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo, allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute pubblica.

... per l’annullamento dell’ordinanza contingibile e urgente n. 230 prot. n. 0020039 del 31/07/2007, notificata il 06/08/2007; di qualsiasi altro atto presupposto, comunque connesso e/o consequenziale, ivi compreso il rapporto e/o la relazione dell’Ufficio di Polizia Municipale del Comune di Grottaglie, redatta a seguito del sopralluogo effettuato in data 06/05/2007.
...
Con l’impugnata ordinanza contingibile ed urgente, sulla scorta del sopralluogo effettuato dal Comando di Polizia Municipale presso la Chiesa Matrice in Piazza Regina Margherita, è stato ingiunto di “provvedere ad horas a mettere in sicurezza l’immobile rimuovendo la copertura in eternit e trasporto della stessa presso una discarica autorizzata”.
...
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
Posto che la presenza (incontestata) di materiale contenente amianto sul tetto della Chiesa Madre di Grottaglie costituisce fonte di pericolo per la privata e pubblica incolumità, così da giustificare l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente, la stessa non sfugge però alla necessità di un’adeguata istruttoria, dalla quale risultino quali specifiche prescrizioni debbano essere osservate, al fine di rimuovere la situazione pregiudizievole.
Nel caso di specie, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che <<un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto>>.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo, allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute pubblica.
Il provvedimento è pertanto illegittimo, per il denunciato vizio di difetto di istruttoria, e va conseguentemente annullato (TAR Puglia-Lecce, I, sentenza 06.02.2014 n. 337 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - SICUREZZA LAVOROBonifica dell’amianto in comune: soggetti obbligati e idoneità dell’appaltatore.
La fattispecie appare di notevole rilievo: un dirigente comunale venne condannato per la violazione dell’art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, «perché, in relazione alla gestione di un’isola ecologica, non provvedeva, nell’affidamento di lavori di bonifica e smaltimento di materiali contenenti amianto, a verificare i requisiti tecnico-professionali delle ditte affidatarie
A sua discolpa, l’imputato sostiene che egli «era dirigente dell’ufficio tecnico comunale e tale ufficio era estraneo rispetto alla gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della bonifica delle aree e delle determinazione di spesa e liquidazione dei compensi alle ditte affidatarie, che erano state invece curate dall’ufficio patrimonio del comune, del quale era dirigente un soggetto diverso dall’imputato e nel quale vi era un funzionario non dotato di qualifica dirigenziale, responsabile del servizio ecologia
Nel respingere il ricorso proposto dall’imputato, la Sez. III prende atto che «le ditte affidatarie dei lavori di raccolta, trasporto smaltimento dei materiali contenenti amianto erano prive dell’autorizzazione ad effettuare i lavori di bonifica per detti materiali, in quanto non iscritte alla categoria 10 dell’albo nazionale smaltitori
Precisa che, «nell’ambito dell’affidamento di appalti pubblici, la qualifica di datore di lavoro ai fini della sicurezza sul lavoro può ben essere attribuita ad un dirigente o funzionario dell’amministrazione competente diverso da  quello che ha provveduto all’affidamento dell’incarico e che si occupa del pagamento dei relativi corrispettivi
Osserva che «questo è quanto è avvenuto nel caso di specie, in cui pacificamente l’incarico era stato conferito e i pagamenti dei compensi erano stati effettuati da un dirigente e da un funzionario appartenenti ad un ufficio diverso da quello diretto dall’imputato», e che «nondimeno, con deliberazione della giunta municipale, l’imputato, nella sua veste di responsabile dell’ufficio tecnico comunale, è stato individuato come datore di lavoro ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994, poi sostituito dal decreto legislativo n. 81 del 2008
Aggiunge che «ciò che conta, poi, ai fini dell’applicazione dell’art. 26, comma 1, dello stesso decreto legislativo è che il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e di forniture all’impresa appaltatrice, è tenuto a verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice stessa, attraverso l’acquisizione della necessaria documentazione, sempre che l’amministrazione abbia la disponibilità giuridica di luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo.» (sugli obblighi previsti dall’art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 v., anche sotto il profilo attinente alla verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi, Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza. Integrato con i commenti al Codice penale (artt. 434, 437, 449, 575, 582, 589, 590), V edizione, Milano, 2013, in ispecie 315 ss.) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.01.2014 n. 2862 - tratto da Igiene & Sicurezza del Lavoro n. 4/2014).

anno 2013

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: A. Scarcella, Dalla UE prospettive di eliminazione totale dell’amianto (Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 5/2013 - tratto da www.ispoa.it).

EDILIZIA PRIVATAAmianto nelle abitazioni: dove si nasconde, quali sono i rischi e come eliminarlo. Dal SUVA tour interattivo, opuscolo e video esplicativo.
Anche se bandito da anni, l'amianto continua a rappresentare un pericolo per la salute dei lavoratori.
Infatti, durante lavori di ristrutturazione, manutenzione o risanamento di edifici costruiti prima del 1992 (anno di entrata in vigore della Legge 27.03.1992, n. 257) capita spesso di entrare in contatto con prodotti e materiali realizzati in parte o del tutto con fibre di amianto.
In particolare, la presenza di amianto negli edifici può essere classificata secondo i seguenti criteri: ... (02.05.2013 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Discarica materiali di matrice cementizia contenenti amianto.
L’art. 1, comma 184, lettera c), della legge n. 296 del 2006, come modificato dall’art. 1, comma 166, della legge n. 244 del 2007, il quale prevede che la proroga delle autorizzazioni fino al 31.12.2008 non si applichi alle discariche di II categoria, tipo A, in cui si conferiscono materiali di matrice cementizia contenenti amianto, deve essere interpretato nel senso che l'esclusione della proroga dipende dal contenuto dell’autorizzazione e, cioè, dalla tipologia di discarica e non dai materiali concretamente conferiti nella stessa. La circostanza se una discarica autorizzata a ricevere materiali di matrice cementizia contenenti amianto abbia effettivamente ricevuto tali materiali risulta, dunque, irrilevante.
Diversamente opinando, del resto, la proroga dell’autorizzazione verrebbe fatta dipendere da un fattore estraneo al contenuto dell’autorizzazione stessa e di difficile accertamento, in quanto dipendente esclusivamente dal comportamento in concreto tenuto dal gestore della discarica (massima tratta da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.04.2013 n. 15782).

EDILIZIA PRIVATA: Gli aspetti riguardanti la sostenibilità statica dell’intervento e le cautele da adottare all’atto di manomissioni di manufatti in amianto, non costituiscono profili valutabili in sede di rilascio del titolo edilizio, il quale presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità dell’intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e, più in generale, della disciplina urbanistico–edilizia vigente.
Invero:
- le disposizioni contenute nel d.m. 14.01.2008, non impongono l’allegazione di uno studio di fattibilità, che certifichi la sostenibilità statica dell’intervento, all’istanza di rilascio del permesso di costruire.
I controlli di idoneità statica vanno invero compiuti in una fase successiva a quella di rilascio del permesso di costruire e, precisamente, in fase di rilascio del certificato di agibilità che, ai sensi dell’art. 25, comma primo, del d.P.R. n. 380/2001, deve attestare, fra l’altro, la sussistenza delle condizioni di sicurezza dell’edificio, valutate secondo quanto disposto dalla vigente normativa. Per ciò che concerne poi in particolare le opere composte da strutture in cemento armato, come quelle di cui è causa, è previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello stesso d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di agibilità venga rilasciato solo previo esperimento di collaudo statico, effettuato ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 380/2001; e che, comunque (cfr. art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima dell’inizio lavori, venga depositata presso lo sportello unico comunale una denuncia cui va allegata una relazione, firmata dal progettista incaricato, nella quale vengano riportati i calcoli che attestino l’idoneità statica dell’intervento;
- nessuna disposizione impone di allegare all’istanza di rilascio del titolo edilizio un piano di smaltimento dei materiali in fibrocemento; fermo restando ovviamente il potere delle competenti autorità di verificare il rispetto, in fase esecutiva, delle vigenti disposizioni in materia.

46. Con il quarto motivo, che sarà esaminato congiuntamente al quinto, viene dedotta la violazione dell’art. 8 del d.m. 14.01.2008, in quanto il progetto assentito non sarebbe corredato da adeguato studio di fattibilità che certifichi la sostenibilità statica dell’intervento.
47. Con il quinto motivo viene dedotto eccesso di potere per violazione del Piano Regionale Amianto Lombardia (PRAL), approvato con DGR 22.12.2005 n. VIII/1526, in quanto l’intervento assentito comporterebbe la manomissione di canne fumarie realizzate in fibrocemento (eternit), senza che siano state previste le misure di bonifica necessarie per scongiurare pericoli per la salute umana.
48. In proposito va osservato che, come messo in luce in sede cautelare, gli aspetti riguardanti la sostenibilità statica dell’intervento e le cautele da adottare all’atto di manomissioni di manufatti in amianto, non costituiscono profili valutabili in sede di rilascio del titolo edilizio, il quale presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità dell’intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e, più in generale, della disciplina urbanistico–edilizia vigente (cfr. TAR Sardegna, 30.12.1999 n. 1685)
49. In particolare, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, le disposizioni contenute nel d.m. 14.01.2008, non impongono l’allegazione di uno studio di fattibilità, che certifichi la sostenibilità statica dell’intervento, all’istanza di rilascio del permesso di costruire.
50. I controlli di idoneità statica vanno invero compiuti in una fase successiva a quella di rilascio del permesso di costruire e, precisamente, in fase di rilascio del certificato di agibilità che, ai sensi dell’art. 25, comma primo, del d.P.R. n. 380/2001, deve attestare, fra l’altro, la sussistenza delle condizioni di sicurezza dell’edificio, valutate secondo quanto disposto dalla vigente normativa. Per ciò che concerne poi in particolare le opere composte da strutture in cemento armato, come quelle di cui è causa, è previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello stesso d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di agibilità venga rilasciato solo previo esperimento di collaudo statico, effettuato ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 380/2001; e che, comunque (cfr. art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima dell’inizio lavori, venga depositata presso lo sportello unico comunale una denuncia cui va allegata una relazione, firmata dal progettista incaricato, nella quale vengano riportati i calcoli che attestino l’idoneità statica dell’intervento (Nel caso concreto queste prescrizioni sono state peraltro rispettate, avendo la controinteressata depositato presso gli uffici comunali, in data 4 ottobre 2010, e quindi prima dell’inizio lavori, la suddetta denuncia, nella quale viene attestata, dal progettista incaricato, l’idoneità statica del realizzando intervento, anche con riferimento ai riflessi sulla struttura sottostante).
51. Allo stesso modo, nessuna disposizione impone di allegare all’istanza di rilascio del titolo edilizio un piano di smaltimento dei materiali in fibrocemento; fermo restando ovviamente il potere delle competenti autorità di verificare il rispetto, in fase esecutiva, delle vigenti disposizioni in materia.
52. Anche il quarto ed il quinto motivo sono quindi infondati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2013 n. 847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICILombardia, 1 mln per bonificare edifici dall'amianto. Beneficiari i comuni.
Parte il sostegno per la bonifica ambientale negli edifici pubblici. È aperto lo sportello per l'erogazione di contributi a fondo perduto ai comuni lombardi per la bonifica del proprio patrimonio abitativo da manufatti contenenti amianto.
Il fondo di 1 milione di euro è gestito da Finlombarda spa. Possono presentare proposta di accesso al finanziamento a fondo perduto esclusivamente i comuni lombardi per interventi di rimozione dei materiali contenenti amianto presenti negli edifici destinati a edilizia residenziale pubblica. I contributi verranno concessi secondo la modalità «a sportello», vale a dire fino a esaurimento dello stanziamento assegnato.
Sono da considerarsi ammissibili i costi per spese tecniche di progettazione al massimo 8% del totale costi ammissibili, spese per l'allestimento del cantiere, ponteggi e sicurezza, limitatamente al periodo necessario per le operazioni di rimozione dei manufatti contenenti amianto, spese per rimozione, trasporto, conferimento e smaltimento dei materiali contenenti amianto presso gli impianti autorizzati. È ammessa la cumulabilità con eventuali altri contributi di provenienza regionale, nazionale ed europea previsti per la realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica e produzione di energia da fonte solare.
Il finanziamento a fondo perduto è concesso a copertura dei costi ammissibili dell'intervento nella misura massima del 100%, fino ad un massimo di 150 mila euro Iva inclusa. I comuni possono presentare anche più di una domanda, fino a una richiesta massima di 300 mila euro (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Aggiornamento su censimento presenza amianto edifici territorio lombardo (ASL di Bergamo, 20.02.2013).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2013, "Approvazione dell’invito a presentare proposte per l’accesso ai finanziamenti a fondo perduto del fondo costituito presso Finlombarda s.p.a. e riservato ad interventi di rimozione di manufatti contenenti amianto dal patrimonio di edilizia residenziale pubblica dei comuni lombardi" (decreto D.U.O. 05.02.2013 n. 782).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 dell'01.02.2013 "Definizione dei criteri per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 8-bis, comma 1, della legge regionale 29.09.2003 n. 17" (deliberazione G.R. 30.01.2013 n. 4777).
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Riguarda l’obbligo (non rispettato) per il proprietario di comunicare (entro il 31.01.2013) all’ASL territorialmente competente la presenza di manufatto in amianto.

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Censimento amianto entro il 30.01.2013 (ANCE Bergamo, circolare 18.01.2013 n. 19).

anno 2012

ATTI AMMINISTRATIVI: Le ordinanze contingibili e urgenti non debbono per forza avere sempre il carattere della provvisorietà, dato che il loro connotato essenziale è la necessaria idoneità delle relative misure ad eliminare la situazione di pericolo che costituisce il presupposto della loro adozione, e quindi le misure stesse possono essere provvisorie o definitive a seconda del tipo di rischio che intendono fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto del caso concreto e allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento sindacale.
La motivazione del ricorso allo strumento straordinario ben può evincersi dalla pluralità di elementi acquisiti al procedimento, se oggettivamente capaci di rivelare in sé le ragioni di urgenza che legittimano l'intervento eccezionale dell'Autorità sindacale.
Peraltro, la scelta dell'amministrazione di provvedere a porre rimedio a tale situazione con l'emanazione di un’ordinanza contingibile ed urgente a tutela dell'igiene e della sanità pubblica, nonché della sicurezza dei cittadini, in quanto concerne il merito dell'azione amministrativa sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, non risultando manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, oltre che da travisamento dei fatti.
Infine l'attualità della minaccia per l’incolumità pubblica e l'igiene esclude rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo. Del resto la giurisprudenza ha precisato più volte che presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente, a nulla rilevando neppure che la situazione di pericolo fosse, come parrebbe nel caso di specie, nota da tempo.

... per l'annullamento quanto al ricorso principale:
- delle Ordinanze sindacali contingibili ed urgenti -in materia di incolumità pubblica- n. 92 del 14/07/2011, nn. 78 e 88 del 06/07/2011, recanti ordine di lasciare libero da persone e cose i prefabbricati in Via Di Vittorio, ai fini della rimozione delle lastre di cemento-amianto poste a coperture dei prefabbricati stessi, nonché della nota sindacale prot. n. 9846/11 del 06/06/2011;
...In ordine alla possibilità da parte del Comune di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente per eliminare definitivamente la situazione di pericolo accertata, il Collegio rileva che nella fattispecie in esame gli effetti pregiudizievoli per la salute pubblica derivanti dal pericolo di dispersione di fibre di amianto palesano una situazione di concreta ed immediata minaccia per la sanità e l'incolumità pubbliche, indice della necessità di interventi solleciti e non più dilazionabili.
A tal riguardo il Collegio condivide l'orientamento secondo cui le ordinanze contingibili e urgenti non debbono per forza avere sempre il carattere della provvisorietà, dato che il loro connotato essenziale è la necessaria idoneità delle relative misure ad eliminare la situazione di pericolo che costituisce il presupposto della loro adozione, e quindi le misure stesse possono essere provvisorie o definitive a seconda del tipo di rischio che intendono fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto del caso concreto e allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento sindacale (cfr. TAR Veneto, III, 07.07.2010 n. 2887).
La motivazione del ricorso allo strumento straordinario ben può evincersi dalla pluralità di elementi acquisiti al procedimento, se oggettivamente capaci di rivelare in sé le ragioni di urgenza che legittimano l'intervento eccezionale dell'Autorità sindacale.
Peraltro, la scelta dell'amministrazione di provvedere a porre rimedio a tale situazione con l'emanazione di un’ordinanza contingibile ed urgente a tutela dell'igiene e della sanità pubblica, nonché della sicurezza dei cittadini, in quanto concerne il merito dell'azione amministrativa sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, non risultando manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, oltre che da travisamento dei fatti (cfr. Consiglio Stato,V, 28.09.2009, n. 5807).
Infine l'attualità della minaccia per l’incolumità pubblica e l'igiene esclude rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo. Del resto la giurisprudenza ha precisato più volte che presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente, a nulla rilevando neppure che la situazione di pericolo fosse, come parrebbe nel caso di specie, nota da tempo (cfr. Consiglio di Stato, V, 28.03.2008, n. 1322) (TAR Basilicata, sentenza 05.12.2012 n. 543 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale.
Infine, per quanto concerne la rimozione delle canne fumarie in eternit il Comune non indica i motivi per cui deve essere operata detta rimozione, atteso che le canne fumarie, per come affermato dai ricorrenti, non si troverebbero in stato di degrado.
Ciò che infatti non emerge dall’ordinanza è la motivazione su cui poggia la decisione dell’amministrazione di ordinare la demolizione delle contestate canne fumarie, non risultando alcuna verifica o valutazione effettuata al fine di evidenziare la pericolosità delle stesse per la salute pubblica. Secondo il D.M. del 06.09.1994 in tema di valutazione del rischio “La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale”.
Dall’ordinanza impugnata non emerge l’espletamento di alcuna attività di valutazione dell’effettivo rischio che le canne fumarie rappresentano per i cittadini.
In conclusione, l’atto impugnato risulta affetto anche da difetto di motivazione per non avere il Comune intimato evidenziato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno condotto l’amministrazione ad ordinare il ripristino dello stato dei luoghi (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2012 n. 1085 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn merito all'adozione di una ordinanza contingibile ed urgente, alla denunciata insussistenza dell’eccezionalità ed imprevedibilità del pericolo, per trattarsi di situazione risalente nel tempo, deve opporsi il consolidato indirizzo che, a fronte dell’attualità della minaccia per l’incolumità pubblica e l’igiene, esclude rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo.
Tali provvedimenti non devono necessariamente avere il carattere della provvisorietà e ciò in quanto, la provvisorietà o definitività è in funzione del tipo di rischio che si intende fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto e allo scopo perseguito attraverso il provvedimento sindacale.
Le ragioni dell’impiego di siffatto mezzo straordinario ben possono evincersi dalla sua giustificazione quindi dagli elementi acquisiti ed atti a manifestare i motivi di urgenza rapportati, nel caso, all’aggravamento delle condizioni ambientali che “proprio a causa dei crolli delle coperture collassate … sono notevolmente peggiorate”, dal che la conseguenza per la quale la “presenza di notevoli quantitativi di lastre di cemento di amianto spezzate a cielo aperto, oltre al fatto che la mancanza di elementi di copertura è causa della diretta esposizione agli agenti atmosferici di materiali friabili che prima si trovavano confinati all’interno della struttura”.

... per l’annullamento dell’ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco del Comune di Ferentino n. 48, prot. n. 13242, datata 22.06.2012 avente ad oggetto: “interventi urgenti di messa in sicurezza di emergenza sito “ex Cemamit”;
...
Considerato che il ricorso non merita accoglimento perché:
[a] alla denunciata insussistenza dell’eccezionalità ed imprevedibilità del pericolo, per trattarsi di situazione risalente nel tempo, deve opporsi il consolidato indirizzo che, a fronte dell’attualità della minaccia per l’incolumità pubblica e l’igiene, esclude rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo (Consiglio di Stato, V, 28.03.2008 n. 1322; 19.09.2012, n. 4968);
[b] il Collegio condivide l’orientamento per il quale, tali provvedimenti non devono necessariamente avere il carattere della provvisorietà e ciò in quanto, la provvisorietà o definitività è in funzione del tipo di rischio che si intende fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto e allo scopo perseguito attraverso il provvedimento sindacale (Tar Veneto, III, 07.07.2010 n. 2887);
[c] le ragioni dell’impiego di siffatto mezzo straordinario ben possono evincersi dalla sua giustificazione quindi dagli elementi acquisiti ed atti a manifestare i motivi di urgenza rapportati, nel caso, all’aggravamento delle condizioni ambientali che “proprio a causa dei crolli delle coperture collassate … sono notevolmente peggiorate”, dal che la conseguenza per la quale la “presenza di notevoli quantitativi di lastre di cemento di amianto spezzate a cielo aperto, oltre al fatto che la mancanza di elementi di copertura è causa della diretta esposizione agli agenti atmosferici di materiali friabili che prima si trovavano confinati all’interno della struttura”;
[d] non infine è fondato il dedotto eccesso di potere per contraddittorietà, perché le presupposte evenienze giustificano un provvedimento per definizione straordinario quindi diverso rispetto a quello eventualmente conclusivo del pendente, ordinario procedimento di cui al D.Lgs. 152/2006 (TAR Lazio-Latina, sentenza 18.10.2012 n. 781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATACome devono essere gestiti i rifiuti contenenti amianto derivanti dai crolli degli edifici in Emilia? (14.09.2012 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Modifiche alla legge regionale sull’amianto (ANCE Bergamo, circolare 03.08.2012 n. 208).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 03.08.2012, "Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29.04.2003, n. 17 (Norme per il risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento dell’amianto)" (L.R. 31.07.2012 n. 14).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sostanze pericolose. Amianto.
In caso di ritrovamento di amianto, è legittima l’ordinanza del Sindaco con la quale si dispone la caratterizzazione e la messa in sicurezza di aree inquinate da amianto, anche se la stessa non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti l’Amministrazione con tale procedimento intende porre rimedio ad una situazione di grave pericolo per la salute, così come consentito dal primo comma dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 ( TAR Veneto, Sez. III, sentenza 23.07.2012 n. 1031 - tratto da www.lexambiente.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAI materiali derivanti dal crollo degli edifici del sisma in Emilia se contenenti amianto ricadono nella deroga all’art. 184 del D.Lgs n. 152/2006? (29.06.2012 - link a www.ambientelegale.it).

SICUREZZA LAVOROLinee Guida Regionali per la Sorveglianza Sanitaria in Edilizia: aggiornamento del decreto Direttore Generale Giunta Regionale 31.10.2002 n. 20647 (decreto D.G. 19.06.2012 n. 5408).
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Regione Lombardia: ecco le Linee Guida per la sorveglianza sanitaria in edilizia.
Le malattie professionali in edilizia sono le più numerose tra quelle riconosciute dall’Inail, nonostante sia notoria la sottostima di tale fenomeno.
Al riguardo, la Regione Lombardia ha approvato le nuove “Linee Guida Regionali per la Sorveglianza Sanitaria in Edilizia”, con il Decreto n. 5408 del 19.06.2012.
Le linee guida, seppur di carattere regionale, offrono utili indicazioni a tutti gli operatori della prevenzione, pubblici e privati, ai medici competenti, ai medici delle ASL, ai datori di lavoro, ai RSPP, ai RLS e lavoratori del settore edile,
Il documento è così strutturato:
Parte 1
Þ Visita ed accertamenti sanitari periodici
Þ Visite di minori, apprendisti e studenti della scuola edile
Þ Accertamenti finalizzati ad escludere o identificare l’assunzione di sostanze stupefacenti
Þ Vaccinazioni
Parte 2
Þ Esami integrativi per i lavoratori esposti ad AMIANTO
Þ Esami integrativi per i lavoratori esposti a SILICE
Þ Esami integrativi per i lavoratori esposti a IPA
Þ Esami integrativi per i lavoratori che svolgono attività in quota in sospensione su funi
Parte 3
Þ Accertamenti sanitari a richiesta del lavoratore
Þ Accertamenti sanitari nel caso di cambio di mansione del lavoratore
Þ Accertamenti sanitari nel caso di ripresa del lavoro dopo assenza per motivi di salute di durata superiore ai 60 giorni
Þ Accertamenti sanitari a fine rapporto di lavoro
Þ
Titolari di impresa, artigiani e lavoratori autonomi del settore edile che svolgono attività a rischio come i lavoratori dipendenti (commento tratto da www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto, cos'è e come si smaltisce. Ecco una interessante guida su rischi, interventi di bonifica e smaltimento.
L'amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati molto comune in natura. La sua estrema resistenza al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura lo hanno reso un ottimo materiale per tessuti a prova di fuoco, per la coibentazione di edifici e per manufatti in cemento-amianto (eternit) quali tubazioni o lastre.
Tuttavia, l’inalazione delle sue polveri o delle sue fibre è nociva in quanto provoca malattie al sistema respiratorio di natura cancerogena.
L'amianto rappresenta un pericolo per la salute; il suo utilizzo è vietato dalla legge.
La Redazione di BibLus-net, a seguito di alcune richieste da parte dei propri lettori, propone un interessante opuscolo sull'amianto negli edifici a cura dell'ARPA Piemonte (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale).
La pubblicazione si propone come una guida per tutelarsi da eventuali rischi legati alla presenza di amianto negli edifici e fornisce risposte chiare a domande quali:
Cos’è l’amianto?
Quali sono i rischi di esposizione alle polveri di amianto?
Dove si trova l’amianto negli edifici e quali sono i materiali che possono contenerlo?
Quali sono gli interventi di bonifica e quando sono necessari?
Come smaltire i materiali contenenti amianto?
Quali sono le leggi di riferimento? (19.01.2012 - link a www.acca.it).

anno 2011

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Minacce alla salute pubblica o all’ambiente - Esigenza di autonoma protezione delle persone che vivono nell’area interessata - Vicinitas - Misura della legittimazione - Elasticità del criterio.
Premesso che, in materia di minacce alla salute pubblica o all’ambiente, va riconosciuta in linea di principio l’esigenza di autonoma protezione delle persone che vivono nell’area interessata dalla fonte di pericolo, occorre tuttavia (in una giurisdizione di tipo soggettivo e in mancanza di un’espressa previsione di azione popolare) individuare un criterio atto a differenziare e qualificare la posizione dei singoli che agiscono per la tutela del bene ambiente.
La giurisprudenza di primo grado e il Consiglio di Stato hanno da tempo valorizzato, in tal senso, il criterio della vicinitas (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. VI, 13.09.2010, n. 6554). Tale criterio, peraltro, non coincide con la proprietà o con la residenza in un’area immediatamente confinante con quella interessata dall’intervento contestato, ma deve essere inteso in senso elastico e va modulato, quindi, in proporzione alla rilevanza dell’intervento e alla sua capacità di incidere sulla qualità della vita dei soggetti che risiedono in un’area più o meno vasta.
Ciò comporta, in concreto, che la “misura” della legittimazione ad agire dei singoli in materia ambientale non sia univoca, variando in relazione all’ampiezza dell’area coinvolta dalla ipotizzata minaccia ambientale.
AMIANTO - Contaminazione da amianto - Fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva - Riutilizzo - Misure di risanamento - Art. 6, l.r. Piemonte n. 42/2000 - Principio comunitario di precauzione.
La grave situazione di contaminazione da amianto di un fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva impone, ai sensi dell’art. 6 della legge regione Piemonte 07.04.2000, n. 42 (ma anche in applicazione del principio comunitario di precauzione, direttamente cogente per tutte le amministrazioni pubbliche) l’effettuazione di preliminari indagini e la conseguente adozione di tutte le necessarie misure di risanamento atte a prevenire i pericoli per l’ambiente e la salute pubblica legati al riutilizzo di tale struttura (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.06.2011 n. 635 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: AMIANTO - Ordinanza di bonifica emessa ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 267/2000- Termine di sessanta giorni - Incongruità - Ragioni.
Deve ritenersi illegittimo l’ordine di rimozione e smaltimento, entro sessanta giorni, di tutto l’amianto presente in uno stabilimento amianto imposto, ex art. 54, comma secondo, del decreto legislativo 28.08.2000 n. 267.
A prescindere dalla sussistenza del presupposto della situazione di necessità grave e urgente, non appaiono infatti congrui i termini assegnati dall'ordinanza per la realizzazione della bonifica, che non tengono conto dei delicati passaggi procedurali, necessitati non solo dall'esigenza di prescegliere in modo ponderato e di pianificare attentamente le modalità delle operazioni (D.M. 06.09.1994), ma anche da quella di tutelare i lavoratori impiegati nella pericolosa attività a contatto con fibre di amianto (legge n. 257/1992; decreto legislativo n. 277/1991) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: AMIANTO - Diniego di sanatoria per la presenta di ondulati in cemento amianto - Illegittimità - Ragioni.
La circostanza che un manufatto sia composto da ondulati in cemento amianto non basta a giustificare il diniego di sanatoria, giacché l’attuale ordinamento vieta bensì di utilizzare ulteriormente tale materiale per nuove costruzioni, ma non ne impone senz’altro lo smaltimento controllato per le costruzioni civili esistenti (fatti salvi gli obblighi d’ incapsulamento, sovracopertura e rimozione in caso di rilascio di fibre d'amianto), che non sono dunque per ciò stesso incompatibili con il contesto in cui si trovano (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.04.2011 n. 673 - link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVOROAMIANTO - Prescrizioni vincolanti sullo svolgimento dei lavori di demolizione o rimozione - Potere dell’ASL - Attribuzione - d.lgs. n. 106/2009, art. 118, c. 1, lett. c) - Art. 256 d.lgs. n. 81/2008.
Il potere di impartire prescrizioni vincolanti sullo svolgimento dei lavori di demolizione o rimozione dell’amianto, è stato attribuito all’ASL solo con l’art. 118, comma 1, lettera c), del d.lgs. 03.08.2009 n. 106, in vigore dal 20 agosto successivo, che ha aggiunto un capoverso in tal senso al citato art. 256 d. lgs. 81/2008 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 549 - link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVORO: Guida pratica per la determinazione delle ESPOSIZIONI SPORADICHE E DI DEBOLE INTENSITÀ (ESEDI) all’amianto.
In attuazione alle disposizioni dell’art. 249 del D.lgs. 81/2008, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha pubblicato, con Lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 25.01.2011, degli orientamenti pratici circa la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all’amianto.
In particolare, le attività sporadiche e di debole intensità ricadono in quelle che prevedono:
- massimo di 60 ore di intervento all’anno;
- massimo 4 ore per singolo intervento;
- massimo di 2 interventi al mese;
- livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a 10 F/L (in 8 ore);
- numero massimo di addetti operanti contemporaneamente pari a 3 (se non possibile occorre limitare gli addetti al numero più basso possibile).
Inoltre, al fine di verificare se la propria attività rientri nella categoria delle ESEDI, è possibile consultare l’Allegato 1 delle Lettera Circolare, in cui sono riportate, sulla base delle attuali conoscenze, le attività di tipo ESEDI (03.02.2011 - link a www.acca.it).

anno 2010

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO - SALUTE - Amianto - Obbligo cogente e generalizzato di rimozione - Sussistenza - Esclusione - Parere tecnico in ordine allo stato di manutenzione - Competenza - ASL - Artt. 3 e 12 L. n. 257/1992.
Dalla lettura degli artt. 3, c. 1 e 12 della legge 27.03.1992, n. 257 non pare potersi evincere un obbligo cogente e generalizzato di rimuovere il materiale contenente amianto già utilizzato negli edifici privati prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1994, salvo che lo stato di manutenzione del medesimo ne renda evidente l'opportunità (TAR Campania, Napoli, sez. V, 07.06.2006, n. 6786); la competenza ad emettere il parere tecnico necessario è assegnata dalla legge agli uffici delle Aziende sanitarie locali e non all’Agenzia per la protezione dell’ambiente (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 11.12.2010 n. 6722 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Amianto nelle costruzioni: le indicazioni di SUVA.
Nella precedente edizione (newsletter n. 205) abbiamo parlato della presenza di amianto nelle costruzioni e dei rischi ad esso connessi.
Continuiamo ad occuparci di amianto presentando una pubblicazione realizzata da SUVA (il più grande assicuratore svizzero per gli infortuni sul lavoro).
Il documento "Amianto: come riconoscerlo e intervenire correttamente" illustra prodotti e manufatti nei quali può nascondersi l'amianto, come intervenire correttamente e quando è il caso di rivolgersi ad uno specialista (07.10.2010 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Amianto nelle costruzioni: rischio da esposizione, tipologia di interventi e normativa applicabile.
In greco la parola amianto significa immacolato e incorruttibile e asbesto significa perpetuo e inestinguibile.
L'amianto, chiamato perciò anche asbesto, è un minerale naturale a struttura microcristallina, di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.
La struttura fibrosa attribuisce all'amianto particolari caratteristiche:
- resiste al fuoco e al calore, all'azione di agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura (termica e meccanica);
- è facilmente filabile e può essere tessuto;
- è dotato inoltre di proprietà fonoassorbenti e termoisolanti;
- si lega facilmente con materiali da costruzione (calce, gesso, cemento) e con alcuni polimeri (gomma, PVC).
Tali caratteristiche spiegano il largo utilizzo che è stato fatto del materiale in campo edile.
L'amianto, tuttavia, è una sostanza cancerogena; la Legge n. 257 del 27/03/1992, per questa ragione, ha vietato l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti contenenti amianto. La Legge ha impedito qualsiasi ulteriore diffusione e aumento di prodotti contenenti amianto sul territorio nazionale, non prevedendo alcun obbligo di rimozione dagli edifici di materiali contenenti amianto. L'amianto rappresenta un pericolo per la salute solo quando esiste la possibilità che le fibre (costituenti la polvere) siano inalate.
La presenza di amianto in un edificio, pertanto, non presenta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti; se il materiale contenente amianto è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto.
Sul sito della Regione Campania sono disponibili alcuni documenti che illustrano normativa di riferimento, storia, tipologie di intervento possibili in presenza di amianto e protezione dai rischi connessi all'esposizione all'amianto.
Tutti i documenti sono aggiornati alle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 con le modifiche del D.Lgs.106/2009 (30.09.2010 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: PRAL - Quesiti circa le attività di censimento dell'amianto e di gestione degli esposti (Regione Lombardia, e-mail 04.05.2010).

SICUREZZA LAVORO: Le Linee guida per la rimozione dell’amianto dall'A.S.L. di Novara.
Il capo III del Titolo IX “Sostanze pericolose” del Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) fornisce precise indicazioni sui rischi connessi all’esposizione all’amianto e sugli obblighi connessi, in particolare nelle attività di demolizione o rimozione ... (11.02.2010 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Amianto - Doverosità della funzione pubblica - Attribuzione dell’interesse ambientale diffuso in capo a singoli portatori - Esclusione - Vincolo di prossimità - Diritto soggettivo o interesse legittimo pretensivo idonei a fondare la legittimazione processuale - Esclusione.
La doverosità della funzione pubblica di bonifica ambientale dei siti inquinati (nella specie, per la presenza di amianto) non si traduce ipso facto nell’attribuzione di una pretesa tutelata dalla legge direttamente in capo ai singoli portatori dell’interesse diffuso ambientale, come tale suscettibile di essere fatta valere in sede procedimentale o in un successivo giudizio, con domanda o azione individuale, uti singulus.
La tutela ambientale, anche allorché si traduca e si concretizzi in azioni dirette di bonifica di specifici siti contaminati, non determina, in capo ai soggetti che si trovino legati a quel territorio da un vincolo di prossimità, il sorgere di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo pretensivo, idonei a fondare una legittimazione procedimentale propria di tali soggetti, siccome distinti e qualificati, rispetto all’interesse (semplice o di fatto) diffuso tra i componenti la collettività locale in vario modo interessata.
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati da amianto - Azione verso il silenzio inadempimento della P.A. - Pretesa di buon andamento della funzione pubblica - Pretesa fondata su posizione qualificata e differenziata - Interessi generali e diffusi - Singolo individuo - Azionabilità - Esclusione.
L’azione avverso il silenzio-inadempimento della p.a. non può valere a tutelare nella forma dell’azione individuale domande, reclami e pretese che possono essere fatti valere uti civis, che attengono, cioè, al buon funzionamento della funzione pubblica e alla cura efficace della qualità ambientale e della salute umana.
Occorre sempre bene distinguere la pretesa di buon andamento della funzione e dei servizi pubblici, reclamabile nella sede civica e politica della partecipazione democratica, dalla pretesa di provvedimento specifico a sé favorevole fondata su di una posizione qualificata e differenziata che legittimi al procedimento, al provvedimento e, quindi, alla conseguente azione avverso il silenzio illegittimo dell’amministrazione. Una cosa sono i “propri diritti e interessi legittimi” contemplati dall’art. 24 della Costituzione e dall’art. 100 c.p.c., cui è data azione in giudizio, altra cosa sono gli interessi generali, diffusi, che appartengono alla collettività e al singolo cittadino, ma come parte della collettività, non come singolo individuo.
L’interesse alla bonifica dei siti contaminati dall’amianto è e resta pertanto un interesse generale, cui corrisponde, sì, un dovere funzionale delle amministrazioni competenti, ma non anche una pretesa differenziata e qualificata, suscettibile di tradursi in un’azione giudiziaria individuale, dei singoli soggetti prossimi allo specifico sito da bonificare (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 12.01.2010 n. 70 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2009

LAVORI PUBBLICI: Amianto (contratti pubblici).
L'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali è regolata dall’articolo 212 del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152. Per la specifica categoria 10, la disciplina contiene una serie di particolarità quanto alle garanzie economiche e di professionalità, giustificate dalla pericolosità di tale tipo di attività.
È infatti imposto (v. deliberazione 30.03.2004 n. 1 del Comitato nazionale dell’Albo) alle imprese il possesso (ovvero la “piena ed esclusiva disponibilità”) delle attrezzature minime, specificamente individuate nella tipologia e nel loro valore, e la presenza di responsabili tecnici con precisi requisiti professionali.
A norma del terzo comma dell’articolo 59-quaterdecies (“Formazione dei lavoratori”) del decreto legislativo 19.09.1994 n. 626, introdotto dall’articolo 2 del decreto legislativo 25.07.2006 n. 257 (“Attuazione della direttiva 2003/18/CE relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione all'amianto durante il lavoro"); inoltre, “Possono essere addetti alla rimozione e smaltimento dell'amianto e alla bonifica delle aree interessate i lavoratori che abbiano frequentato i corsi di formazione professionale di cui all'articolo 10, comma 2, lettera h), della legge 27.03.1992, n. 257”.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti pubblici, d’altro canto, bisogna ricordare che mentre la qualificazione SOA è normalmente oggetto di avvalimento, come risulta dagli articoli 49 e 50 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, altrettanto non può dirsi (nonostante la giurisprudenza parli senza troppi distinguo del carattere generale del meccanismo dell’avvalimento) per gli altri "sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture" per i quali le disposizioni dell'articolo 50 “si applicano, in quanto compatibili” (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.06.2009 n. 1379 - link a www.lexambiente.it).

anno 2008

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 15.12.2008, "Direzione Generale Sanità: d.d.g. n. 13237 del 18.11.2008 «Approvazione del «Protocollo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento amianto» e contestuale abrogazione dell'algoritmo per la valutazione delle coperture esterne in cemento amianto di cui alla d.g.r. n. 7/1439 del 04.10.2000" (avviso di rettifica n. 51/01-Se.O. 2008).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 09.12.2008, "Approvazione del «Protocollo per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in cemento amianto» e contestuale abrogazione dell'algoritmo per la valutazione delle coperture esterne in cemento amianto di cui alla d.g.r. n. 7/1439 del 04.10.2000" (decreto D.G. 18.11.2008 n. 13237).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuto. Particelle d’amianto.
Non possono farsi rientrare nella nozione di rifiuto le particelle di amianto che si sono staccate dalle lastre di copertura di un capannone per effetto del dilavamento dovuto alle acque piovane, trattandosi di un fenomeno estraneo alla volontà del detentore (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.06.2008 n. 22245 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARIFIUTI - Amianto - Natura di rifiuto pericoloso - Deposito incontrollato.
La presenza di una considerevole quantità di eternit, materiale contenente amianto, rinvenuta sul suolo all’interno di capannoni e nelle immediate vicinanze, in condizioni di corrosione e degrado, integra certamente la sussistenza di un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi. Non può infatti mettersi in dubbio che i frantumi di eternit, a causa dell’affioramento delle fibre di amianto, costituiscano tecnicamente “rifiuti pericolosi”, come peraltro costantemente affermato dalla Suprema Corte (ex pluribus, sentenza 26.10-29.11.2006, n. 39360, Lo Bello (rv 345464) e la recentissima decisione del 27.03.2007, n. sezionale 00959/2007, Bertuzzi ed altri, non ancora massimata). D’altro canto, ai fini della configurabilità del reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, è sufficiente che la contaminazione costituisca, in una valutazione che tenga conto del dato logico e dell'esperienza comune, una conseguenza inevitabile o altamente probabile, atteso che la disciplina di cui all’art. 14 del DLvo 22/1997 costituisce una norma di chiusura che persegue la finalità di impedire che per effetto della raccolta e dell'accumulo sul suolo di rifiuti possa derivare una danno all'ambiente (cfr. Cass. Sez. 3, n. 38689 del 09/07/2004). (Nella specie, i materiali provenienti crollo dei tetti in cemento amianto giacevano sul terreno lunghissimo tempo, per cui il deposito, avendo superato abbondantemente il periodo di un anno, non poteva qualificarsi come temporaneo ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. m).
RIFIUTI - Amianto - Art. 674 c.p. - Integrazione del reato - Superamento dei valori di cui al D.M. 06.09.1994 - Necessità - Esclusione - Ragioni.
In tema di amianto, quando la situazione di pericolosità è collegata ad un deposito irregolare, il reato previsto dall’art. 674 c.p. risulta integrato dalla prova che la dispersione di fibre di amianto vi sia stata, a nulla rilevando il mancato superamento dei valori di cui al D.M. 06.09.1994 o della normativa successivamente intervenuta. Tali valori, infatti, operando con riferimento al rispetto, da parte dell’imprenditore, dei limiti posti a tutela delle persone che vengono professionalmente a contatto l'amianto e le fibre di amianto, hanno riguardo esclusivamente allo svolgimento di attività autorizzate e regolamentante. Diverso è il discorso per la dispersione delle fibre nell'ambiente circostante, dispersione che assume carattere di incontrollata pericolosità e riguarda una platea non limitata di possibili destinatari.: le cautele previste dalle norme in questione, relative alla formazione delle persone che possono venire a contatto con l’amianto, la predisposizione di strumenti e di abbigliamento atti a ridurre il pericolo che le fibre possano venire respirate, la predisposizione di attività di decontaminazione, restano escluse nelle situazioni in cui difetti qualsivoglia autorizzazione ed in costanza di un pericolo rivolto alla generalità dei soggetti che abitano nelle vicinanze.
RIFIUTI - Sequestro dell'area - Intervenuto fallimento - Rapporti - Incompatibilità - Esclusione.
L’incompatibilità della misura del sequestro con l’intervenuto fallimento (cfr. Sezioni Unite, sent. n. 29951 del 2004) è correlata al fatto che il conseguente effetto di "spossessamento", comporta la sottrazione al fallito della disponibilità del proprio patrimonio e la sua devoluzione al pubblico ufficio fallimentare, privando il soggetto, in ipotesi autore del reato, della disponibilità della cosa. Tuttavia, il giudice - a fronte di una dichiarazione di fallimento - ben può disporre l'applicazione, il mantenimento o la revoca del sequestro previsto dal 1° comma dell'art. 321 c.p.p., senza essere vincolato dagli effetti di cui all'art. 42 L.F.; lo stesso giudice, nel discrezionale giudizio sulla pericolosità della res, dovrà effettuare una valutazione di bilanciamento (e darne conto con adeguata motivazione) del motivo della cautela e delle ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori, anche attraverso la considerazione dello svolgimento in concreto della procedura concorsuale. E’ ovvio che la misura non potrà essere revocata allorquando l’intervenuto fallimento (e spossessamento) è inidoneo a scongiurare comportamenti penalmente illeciti o reiterazioni di condotte criminose. (Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, nel confermare il provvedimento di sequestro, ha ritenuto prevalenti le esigenze di tutela della salute dei cittadini, a rischio per l’esposizione alle polveri dell’amianto, nel giudizio di bilanciamento con gli interessi meramente economici della massa dei creditori).
RIFIUTI - Deposito incontrollato - Intervenuto fallimento - Responsabilità del curatore fallimentare - Configurabilità.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la responsabilità penale per il reato di deposito incontrollato di rifiuti è configurabile sia nei confronti del soggetto cui compete la gestione diretta dell'area occupata dai rifiuti, sia nei confronti del soggetto che dispone dell’area, almeno sotto il profilo della "culpa in vigilando" (cfr. Cass. Sez. 3, n. 21677 del 26/01/2007) . Poiché l’articolo 31 della legge fallimentare attribuisce al curatore “l'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato”, ne deriva che il curatore, quale custode e amministratore dei beni, ha il dovere di interrompere il continuo accumularsi di rifiuti pericolosi contenenti amianto, protrattosi anche nel corso della amministrazione del compendio fallimentare. In altri termini, la violazione da parte dei privati delle norme in materia di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti non può perdere il carattere di illiceità sul presupposto che neppure le autorità e gli enti aventi competenza sul sito e sugli immobili hanno saputo riportare nell'ambito della legalità una situazione gravemente compromessa, cui i privati hanno dato origine: pur nella consapevolezza delle difficoltà che si collegano alla sanatoria di una realtà tanto complessa, quella prospettata dal curatore costituisce una vera inversione dei principi di responsabilità che non può essere in alcun modo condivisa (cfr. per un caso analogo, la recente sentenza della Suprema Corte n. 22826 del 2007, sul caso FIBRONIT) (Tribunale di Cosenza, Sez. II penale,
ordinanza 30.01.2008 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2007

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUE - Nozione di acque reflue industriali - Disciplina applicabile - Art. 2, lett. h) del d. lgs. n. 152/1999, come mod. dal d. l.vo n. 258/2000 ora art. 74, c. 1 lett. h) d. Lgs. n. 152/2006.
L'art. 2, lettera h) del d. lgs. n. 152/1999, come modificato dal decreto legislativo n. 258/2000, (ora trasfuso nell'art. 74, comma 1 lettera h) del d. Lgs. n. 152/2006) definisce "acque reflue industriali" qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche o di dilavamento. Il refluo deve essere considerato nell'inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici, immessi in un unico corpo recettore. [Cassazione Sezione III n. 13376/1998, 10/11/1998 - 18/12/1998, Brivio, RV. 212541]. Ne consegue che rientrano tra le acque reflue industriali quelle che possiedono qualità, necessariamente legate alla composizione chimica-fisica, diverse da quelle proprie delle acque metaboliche e domestiche.
ACQUE - Disciplina degli scarichi - Scarico discontinuo di reflui e scarico occasionale - Differenza.
In tema di disciplina degli scarichi, mentre lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai requisiti dell'irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo, trova la propria disciplina nel decreto legislativo 11.05.1999 n. 152, e successive modificazioni, lo scarico occasionale, sia se effettuato in difetto di autorizzazione che con superamento dei valori limite, è privo di sanzione a seguito della eliminazione, ad opera dell'art. 23 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 258, del riferimento alle immissioni occasionali precedentemente contenuto negli art. 54 e 59 del citato decreto n. 152" [Cassazione Sezione III n. 16720/2004, Todesco, RV.228208]. Quindi, quale che sia il suo carattere temporaneo, soltanto una condotta del tutto estranea alla nozione legislativa di scarico di acque reflue [le immissioni effettuate fuori dal ciclo produttivo senza il tramite di una condotta] non è soggetta alla preventiva autorizzazione perché ogni immissione diretta tramite un sistema di convogliabilità, ovvero tramite condotta, è sottoposta alla disciplina di cui al decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 [cfr. Cassazione Sezione III n. 14425/2004, Lecchi, RV. 227781 e n. 16717, Rossi, RV. 228027].
ACQUE - INQUINAMENTO - Nozione di acque reflue industriali - Fattispecie: versamento di sostanza chimica allo stato liquido destinata a fissare le fibre d'amianto che componevano la copertura di un capannone industriale.
Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi. [Cassazione Sezione III, n. 42932/2002, 24/10/2002 - 19/12/2002, Ribattoni, RV. 222966]. Nella specie deve escludersi il carattere occasionale dello scarico essendo stato accertato che lo stesso è avvenuto nel corso di un'attività rientrante nel ciclo di lavorazione dell'impresa richiedente l'impiego di liquidi inquinanti. In tal contesto è stata versata una sostanza chimica allo stato liquido destinata a fissare le fibre d'amianto che componevano la copertura di un capannone industriale (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.05.2007 n. 21119 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2006

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: protocollo operativo per la gestione delle segnalazioni di presenza d'amianto in edifici (Regione Lombardia e ARPA Lombardia, nota 07.08.2006 n. 37229 di prot.).

anno 2005

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia serie ordinaria n. 50 del 12.12.2005, pag. 4443, "Determinazioni in ordine alla realizzazione e la gestione delle discariche per rifiuti costituiti da materiali da costruzione contenenti amianto" (deliberazione G.R. 30.11.2005 n. 1266).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 3 del 17.01.2005, "Approvazione del «Piano Regionale Amianto Lombardia» (PRAL) di cui alla legge regionale 29.09.2003 n. 17" (deliberazione G.R. 22.12.2005 n. 1526).

anno 2004

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 05.10.2004 n. 234 "Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, decreto 29.07.2004 n. 248).

anno 1999

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 22.10.1999 n. 249 "Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'art. 5, comma 1, lettera f), della legge 27.03.1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto" (Ministero della Sanità, decreto 20.08.1999).

anno 1995

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 19.04.1995 n. 91 "Circolare esplicativa del decreto ministeriale 06.09.1994" (Ministero della Sanità, circolare 12.04.1995 n. 7).

anno 1994

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 10.12.1994 n. 288, suppl. ord., "Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto" (Ministero della Sanità, decreto 06.09.1994).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 20.09.1994 n. 220, suppl. ord., "Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto" (Ministero della Sanità, decreto 06.09.1994).