dossier AMIANTO |
anno 2023 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
V. Giampietro,
I requisiti ambientali in presenza di amianto nel D.P.R. n. 120/2017 (Ambiente
& Sviluppo n. 12/2017).
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Introduzione
In tempi recenti ci siamo soffermati sui requisiti ambientali delle terre e
rocce da scavo, all’esito del recente D.P.R. n. 120/2017, con particolare
riferimento ad alcuni profili critici, riguardanti i riporti.
Ci si era ripromessi di tornare sul tema dei citati requisiti, per
affrontare anche la questione amianto, argomento talmente complesso da
richiedere un esame autonomo. (...continua). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente
con specifico riferimento al difetto di istruttoria in
ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del
mancato accertamento, con puntuale riferimento al
prefabbricato in questione, di immissioni di polveri
d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica
incolumità.
Secondo il costante formante
giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento
dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54
T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo
concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con
strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze
sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale
ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per
l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non
fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati
dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per
l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile
ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile
ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti
fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei
suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non
è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed
urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti
o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come
assoluta necessità di porre in essere un intervento non
rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza
"presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla
legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione,
e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale
tipologia provvedimentale".
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Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex
art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria
che consentisse di evidenziare la sussistenza dei
presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in
particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di
pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al
prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i
rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla
rilevazione della presenza di cemento-amianto quale
componente dei materiali costruttivi delle suddette
pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento
alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di dispersione
dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa
effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994,
contenente le "normative e metodologie tecniche per la
valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la
bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle
strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell'ordinanza ex art. 50 TUEL n. 23
del 15/02/2023, notificata il 16.02.2023, con la quale
il Sindaco del Comune di Pozzuoli ha ordinato ai ricorrenti:
“di lasciare libero ad horas il manufatto sopra individuato
con espresso avvertimento che in caso di mancata
ottemperanza agli ordini impartiti entro e non oltre cinque
giorni dalla notifica del presente atto si provvederà
d'ufficio in maniera coattiva e che dell'eventuale
inottemperanza al presente provvedimento verrà data
comunicazione all'autorità competente, al fine
dell'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 650 del
codice penale ed eventualmente delle penalizzazioni previste
per gli occupanti senza titolo dall'art. 5, comma 1-bis,
della legge n. 80 del 23/05/2014 con l'abbandono volontario o
forzoso da parte degli occupanti dei prefabbricati” e di
ogni atto ad essa presupposto, connesso, collegato e
conseguente.
...
1.- Gli odierni ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza ex art. 50 TUEL in
epigrafe indicata, con cui il Comune di Pozzuoli aveva loro
ordinato l’immediato sgombero del container n. 5 sito alla
via ... n. 16, da essi adibito a sede dell’esercitata
attività imprenditoriale di tipografia, serigrafia e
grafica.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in
ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica
accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti
sopralluoghi che avevano accertato la presenza di fibre di
amianto nella composizione delle pannellature laterali
dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di
dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale sono insorti gli
esponenti, chiedendone l’annullamento, previa sospensione
dell’esecuzione.
A supporto del gravame, hanno dedotto le seguenti doglianze:
violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5, e
54, comma 4, del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa
applicazione del D.M. 06.09.1994, della l. 257/1992.
Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure
sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di
motivazione- illogicità contraddittorietà – illogicità –
erroneità dei presupposti. Violazione principi di
proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon
andamento della p.a.
...
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente
controversia può essere definita in forma semplificata, ex
art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio,
l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di
giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni
oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4.
Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli
quale autorità locale nelle materie previste da specifiche
disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di
emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti
sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della
comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal
sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in
relazione all'urgente necessità di interventi volti a
superare situazioni di grave incuria o degrado del
territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di
pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con
particolare riferimento alle esigenze di tutela della
tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo
in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di
somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.
Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi
compresa la costituzione di centri e organismi di referenza
o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione
della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale
interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate
censure, sollevata dai ricorrenti con specifico riferimento
al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di
pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento,
con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di
immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare
nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è
emerso, neppure in termini meramente probabilistici,
l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di
amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un
riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del
prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di
aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di
agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i
requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di
urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di
salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della
relazione istruttoria depositata dal resistente Comune,
peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le
conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della
condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a
tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana,
senza che risulti essere stato condotto un puntuale e
specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi,
onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di
effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la
possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza
contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è
condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che
imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre
rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile
di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e
la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I,
08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia,
05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per
l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile
ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile
ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti
fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei
suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non
è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed
urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti
o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come
assoluta necessità di porre in essere un intervento non
rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n.
3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza
"presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla
legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione,
e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale
tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n.
774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
2.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato
un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di
un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la
sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua
adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una
situazione di pericolo imminente ed imprevisto,
specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai
ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti
dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla
rilevazione della presenza di cemento-amianto quale
componente dei materiali costruttivi delle suddette
pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento
alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di dispersione
dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire
alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni
previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative
e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il
controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali
contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su
cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e
metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257,
relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra
la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del
materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di
bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione;
incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per
l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica,
precisando espressamente che “un intervento di rimozione
spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre
l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente
può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse,
aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da
amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di
istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di
sgombrare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i
pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio
del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione
fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire
il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza,
alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad
altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con
lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben
conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della
necessità assoluta di porre in essere un intervento non
rinviabile.
2.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo
motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema
sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di
istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento
impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del
denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere
conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori
provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione
mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo
stato di conservazione delle componenti di amianto del
prefabbricato occupato dalla ricorrente, sia ad individuare
con precisione le opere da realizzare per contenere
l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per
la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o
contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai
escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni
atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute
pubblica manufatti che fino a quel momento potevano
definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR
Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di
conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento
con esso impugnato, con salvezza delle successive
determinazioni amministrative da adottare all’esito degli
accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 07.04.2023 n. 2164 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente per la rimozione
di amianto ove difetti la prova della effettiva dispersione
nell’aria delle fibre di amianto.
Secondo il costante formante
giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento
dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è
condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che
imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem,
per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a
situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la
sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per
l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile
ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile
ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti
fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei
suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non
è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed
urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti
o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come
assoluta necessità di porre in essere un intervento non
rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza
"presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla
legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione,
e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale
tipologia provvedimentale".
...
Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex
art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria
che consentisse di evidenziare la sussistenza dei
presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in
particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di
pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al
prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i
rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla
rilevazione della presenza di cemento-amianto quale
componente dei materiali costruttivi delle suddette
pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento
alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di dispersione
dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire
alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni
previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative
e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il
controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali
contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell’ORDINANZA DEL SINDACO DEL COMUNE
DI POZZUOLI N. 25 DEL 15/02/2023 CON AD OGGETTO: ORDINANZA
DI SGOMBERO DI PREFABBRICATO CON PRESENZA DI MCA (MATERIALI
CONTENENTI AMIANTO) SITO IN VIA ... IN POZZUOLI (NA).
CONTAINER N. 7.
...
1.- L’odierno ricorrente ha impugnato l’ordinanza ex
art. 50 TUEL in epigrafe indicata, con cui il Comune di
Pozzuoli gli aveva intimato l’immediato sgombero del
container n. 7 sito alla via ... n. 16, adibito a sede
dell’esercitata attività imprenditoriale di ebanisteria e
falegnameria.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in
ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica
accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti
sopralluoghi che avevano riscontrato la presenza di fibre di
amianto nella composizione delle pannellature laterali
dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di
dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale è insorto
l’esponente, chiedendone l’annullamento, previa sospensione
dell’esecuzione.
A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti doglianze:
violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5 e
54, comma 4 del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa
applicazione del D.M. 6 settembre 1994, della l. 257/1992.
Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure
sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di
motivazione - illogicità contraddittorietà – illogicità –
erroneità dei presupposti. Violazione principi di
proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon
andamento della p.a.
...
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente
controversia può essere definita in forma semplificata, ex
art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio,
l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di
giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni
oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
3.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4.
Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli
quale autorità locale nelle materie previste da specifiche
disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di
emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti
sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della
comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal
sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in
relazione all'urgente necessità di interventi volti a
superare situazioni di grave incuria o degrado del
territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di
pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con
particolare riferimento alle esigenze di tutela della
tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo
in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di
somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.
Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi
compresa la costituzione di centri e organismi di referenza
o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione
della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale
interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate
censure, sollevata dal ricorrente con specifico riferimento
al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di
pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento,
con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di
immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare
nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è
emerso, neppure in termini meramente probabilistici,
l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di
amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un
riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del
prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di
aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di
agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i
requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di
urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di
salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della
relazione istruttoria depositata dal resistente Comune,
peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le
conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della
condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a
tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana,
senza che risulti essere stato condotto un puntuale e
specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi,
onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di
effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la
possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza
contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è
condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che
imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre
rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile
di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e
la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I,
08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia,
05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per
l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile
ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile
ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti
fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei
suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non
è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed
urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti
o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come
assoluta necessità di porre in essere un intervento non
rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n.
3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza
"presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla
legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere
suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione,
e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione
dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale
tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n.
774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
3.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato
un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di
un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la
sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua
adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una
situazione di pericolo imminente ed imprevisto,
specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai
ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti
dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla
rilevazione della presenza di cemento-amianto quale
componente dei materiali costruttivi delle suddette
pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento
alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di dispersione
dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire
alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni
previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative
e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il
controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali
contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su
cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e
metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257,
relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra
la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del
materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di
bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione;
incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per
l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica,
precisando espressamente che “un intervento di rimozione
spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre
l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente
può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse,
aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da
amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di
istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di
sgomberare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i
pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio
del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione
fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire
il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza,
alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad
altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con
lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben
conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della
necessità assoluta di porre in essere un intervento non
rinviabile.
3.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo
motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema
sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di
istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento
impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del
denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere
conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori
provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione
mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo
stato di conservazione delle componenti di amianto del
prefabbricato occupato dal ricorrente, sia ad individuare
con precisione le opere da realizzare per contenere
l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per
la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o
contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai
escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni
atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute
pubblica manufatti che fino a quel momento potevano
definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR
Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di
conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento
con esso impugnato, con salvezza delle successive
determinazioni amministrative da adottare all’esito degli
accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 07.04.2023 n. 2160 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA: La
DGR n. 265/2011, con la quale
la Regione Veneto ha predeterminato un criterio oggettivo di valutazione
dello stato conservativo del materiale contenente amianto mediante il
calcolo dell’Indice di Degrado, risulta applicabile in “presenza
di materiali contenenti amianto in edifici o manufatti in genere”
(Allegato A, par. 8), previsione di carattere generale, che prescrive un
obbligo di verifica, in capo al proprietario, delle condizioni dei materiali
contenenti amianto negli edifici e non solo ove si svolge attività
lavorativa.
In ogni caso, anche a voler ritenere la disposizione relativa ai soli
edifici in cui è svolta attività lavorativa, va confermata l’applicabilità della disciplina normativa di cui al
D.M. 06.09.1994, trattandosi di struttura suscettibile di “utilizzazione
collettiva”, ovvero nella quale operano più personale per lo svolgimento di
attività lavorativa.
Sotto distinto profilo, si rileva che il citato D.M. 06.09.1994 stabilisce che “Dal momento in cui viene rilevata
la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che
sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di
ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti. Tale programma implica
mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il
rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire correttamente
quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei
materiali contenenti amianto” (art. 4).
Inoltre, per quanto riguarda i
metodi di bonifica che possono essere attuati, sia nel caso di interventi
circoscritti ad aree limitate dell’edificio, sia nel caso di interventi
generali, sono previsti la “rimozione dei materiali di amianto”, “incapsulamento”
e il “confinamento” (art. 3).
La disciplina richiamata nell’ordinanza impugnata, dunque, appare non solo
pienamente applicabile al caso in esame, ma legittima, altresì, l’ordine di
rimozione dei materiali contenenti amianto.
---------------
L’ordinanza impugnata (dirigenziale) non costituisce un provvedimento contingibile e
urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 Tuel, con la conseguenza che la
competenza in ordine alla sua assunzione non appartiene al Sindaco; ben
diversamente, trattasi di un provvedimento ordinario rientrante nella
generale competenza dirigenziale ex art. 107 Tuel.
Giova ricordare che il potere extra ordinem presuppone la necessità
di provvedere, con immediatezza, in presenza di situazioni di natura
eccezionale ed imprevedibile, che non possano essere fronteggiate con gli
strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento e richiede altresì la
sussistenza di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che
accada un evento dannoso, nel caso in cui l’Amministrazione non intervenga
prontamente: nel caso in esame, invero, non sussistono i presupposti per
l’adozione di un atto extra ordinem, atteso che
l’Amministrazione aveva a disposizione ordinari (e specifici) mezzi e
strumenti per far fronte alla situazione evidenziata nella Relazione tecnica
redatta dalla società incaricata dalla ditta ricorrente.
---------------
L’Appendice 2.I -“protocollo
per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto (ambiente esterno)” - dell’Allegato A alla DGR 265/2011
ha lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello
stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto, utile ad
indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a
carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che
vi si svolge, ai sensi del D.M. 06.09.1994.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.)
ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto; il risultato
dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a cui corrispondono azioni
conseguenti che il proprietario dovrà attuare.
Il calcolo dell’Indice di Degrado è fondato sulla combinazione di nove
parametri –A) grado di consistenza del materiale; B) presenza di
fessurazioni/sfaldamenti/crepe; C) presenza di stalattiti ai punti di
gocciolamento; D) friabilità/sgretolamento; E) ventilazione; F) luogo di
vita/lavoro; G) distanza da finestre/balconi/terrazze; H) aree sensibili; I)
vetustà (in anni) fattore moltiplicatore-, laddove il parametro della
vetustà rappresenta un criterio oggettivo, ragionevolmente giustificato dal
fatto che maggiore è il tempo di esposizione agli agenti atmosferici,
maggiore è la probabilità che il manufatto sia logorato e quindi
potenzialmente suscettibile di disperdere fibre di amianto, con conseguente
potenziale pericolo.
Tali criteri, coerenti con le disposizioni di cui al D.M. 06.09.1994, non si
pongono in contrasto con l’art. 23 della Costituzione.
---------------
... per l'annullamento:
- dell'ordinanza n. 1 del 26.02.2015 del Comune di San Martino Buon
Albergo con cui si intima di provvedere entro 120 giorni all'esecuzione
della bonifica della copertura in cemento amianto di un capannone avicolo;
- della nota del Responsabile del Settore Ambiente Ecologia prot.
8800 del 17.04.2015 di rigetto dell’istanza di autotutela;
- della Delibera di Giunta Regionale 5455 del 03.12.1996 e
dell’allegato A della Delibera di Giunta Regionale 265 del 15.03.2011 nella
parte in cui collega l’obbligo di bonifica all’età del cemento amianto;
- della nota di ARPAV Dipartimento Provinciale di Verona, prot.
37361 del 14.04.2015 con cui si conferma l’obbligo di smaltimento, nonché
della nota prot. 88502 del 28.07.2011 della medesima ARPAV.
...
Con ricorso depositato in data 21.05.2015, la società Ag. di Be.En. e C. Snc
(di seguito solo Ag.) impugnava –oltre agli ulteriori atti indicati in
epigrafe –l’ordinanza dirigenziale n. 1 del 26.02.2015 con la quale il
Comune di San Martino Buon Albergo ordinava alla ricorrente, in qualità di
proprietaria dell’immobile in questione, di provvedere, entro 120 giorni,
alla bonifica (secondo le modalità di cui al D.M. 06.09.1994, punto 3) della
copertura in cemento amianto del capannone adibito ad allevamento avicolo
ivi individuato, nel rispetto delle procedure edilizie, sanitarie e
ambientali.
Nel detto provvedimento l’Amministrazione specificava:
- che, a seguito di procedura di verifica, con nota Arpav del
02.08.2011 si comunicava che, alla luce del rilevato valore ID (indice di
degrado), era previsto che la ditta Ag., proprietaria di un capannone
zootecnico, dovesse procedere alla bonifica entro 3 anni dell’immobile sito
in località “Sc.”;
- che il cronoprogramma presentato dalla ditta prevedeva il
completamento degli interventi di rimozione della copertura entro marzo 2014
ma che, a seguito di sopralluogo e conseguente verbale di accertamento di
infrazione della Polizia Locale del 15.12.2014, era stata verificata la
mancata esecuzione dei suddetti lavori.
La ricorrente denunciava i seguenti vizi: “I Motivo: Violazione legge
27.03.1992, n. 257 e DM 06.09.1994, Inapplicabilità della D.G.R.V. n. 265
del 15/03/2011 – Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti;
difetto di istruttoria e di motivazione; II Motivo: Eccesso di potere per
incompetenza; III. Motivo: Eccesso di potere per invalidità derivata”.
...
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Con il primo motivo, Ag., in sintesi, lamenta che l’ordinanza
impugnata indica normativa (L. n. 257/1992 e D.M. 06.09.1994) e deliberazioni
di Giunta Regionale (D.G.R. n. 5455/1996 e n. 265/2011) che non sarebbero
applicabili al caso in esame e non consentirebbero, comunque, di imporre la
bonifica in assenza di pericolo per l’uomo, che non sussisterebbe stante il
buono stato di conservazione e l’integrità della copertura.
La censura non è condivisibile.
Giova premettere che, con DGR n. 265 del 2011, Regione Veneto aveva
approvato le linee interpretative per la sorveglianza sulle attività
lavorative con esposizione all’amianto, stabilendo, tra l’altro,
- nell’Allegato A che “la presenza di materiali contenenti
amianto in edifici o manufatti in genere, comporta per il proprietario
l’obbligo di verifica delle condizioni di integrità dei materiali stessi e
di attivarsi di conseguenza per la bonifica in caso di precarietà e
pericolosità dei materiali. (…..) Premesso che i lavori di bonifica
contenuti e di limitata entità potranno essere valutati in funzione di
quanto indicato per le attività ESEDI, i metodi di bonifica previsti dalla
normativa (DM 1994) sono la sovracopertura, l’incapsulamento e la rimozione
(DM 06/09/1994 e DM 20/08/1999)”;
- nell’Appendice 2.I. dell’Allegato A -recante “Protocollo per
la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto (ambiente esterno)”- è previsto che “Il protocollo ha
lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello stato
di conservazione delle coperture in cemento-amianto ed è utile al fine di
indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a
carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che
vi si svolge.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.)
ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto.
Se il manufatto presenta una superficie danneggiata –ovvero quando sono
presenti danni evidenti ed indiscutibili come ad esempio crepe, fessure
evidenti e rotture– in misura superiore al 10% della sua estensione, si
procede alla bonifica come indicato dal D.M. 06.09.1994, privilegiando
l’intervento di rimozione.
Se il danno è meno evidente e la superficie della copertura in
cemento-amianto appare integra all’ispezione visiva, è necessario
quantificare lo stato di conservazione attraverso l’applicazione dell’Indice
di Degrado. Il risultato dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a
cui corrispondono azioni conseguenti che il proprietario dell’immobile e/o
il responsabile dell’attività che vi si svolge, dovrà attuare”.
Sulla base dei parametri ivi indicati e della vetustà dell’immobile, quale
fattore moltiplicatore, viene riportato il seguente risultato: “1) I.D.
INFERIORE O UGUALE A 25: Nessun intervento di bonifica. E’ prevista la
rivalutazione dell’indice di degrado con frequenza biennale; 2) I.D.
COMPRESO TRA 25 e 44: Esecuzione della bonifica entro 3 anni; 3) I.D. UGUALE
O MAGGIORE A 45: Rimozione della copertura entro i successivi 12 mesi”.
Tale risultato, dunque, è correlato, in maniera oggettiva, alla data di
installazione della copertura in esame.
A seguito di espressa richiesta dell’Amministrazione Comunale di produrre
una relazione, redatta da tecnico abilitato, sullo stato di manutenzione
della copertura in cemento-amianto del capannone in oggetto in applicazione
dei parametri indicati dalla Regione Veneto con la ricordata DGR n.
265/2011, la società F.I., su specifico incarico della società
ricorrente, redigeva in data 02.05.2011 un elaborato tecnico (prodotto
all’Amministrazione Comunale) in cui era individuato un Indice di Degrado
pari a 32, valore che -come sopra visto- era tale da richiedere la bonifica
obbligatoria entro 3 anni.
La relazione era trasmessa, per osservazioni, ad Arpav la quale, con nota
del 28.07.2011, ribadito che il valore I.D. individuato dal tecnico (pari a
32) determinava la necessità di bonifica entro 3 anni, evidenziava che “il
personale addetto alle lavorazioni all’interno del capannone è stato
debitamente informato del rischio amianto” e consigliava l’acquisizione
“di un cronoprogramma, redatto dalla proprietà dell’immobile, riportante
con maggior precisione tempi e modalità di esecuzione della bonifica stessa”.
In data 12.09.2011, la società F.I., sempre su incarico della ditta
ricorrente, predisponeva il cronoprogramma -sottoscritto dallo stesso legale
rappresentante della società ricorrente- che prevedeva la totale rimozione
della copertura in cemento amianto entro il mese di marzo 2014, rimozione
che, però, non veniva effettuata, come accertato dalla Polizia Locale con
sopralluogo del 15.12.2014.
Dunque, alla luce di tutto quanto sopra emerge, sotto un primo profilo, che
–a differenza di quanto sostenuto in ricorso– la
DGR n. 265/2011, con la quale
la Regione Veneto ha predeterminato un criterio oggettivo di valutazione
dello stato conservativo del materiale contenente amianto mediante il
calcolo dell’Indice di Degrado, risulta applicabile in “presenza
di materiali contenenti amianto in edifici o manufatti in genere”
(Allegato A, par. 8), previsione di carattere generale, che prescrive un
obbligo di verifica, in capo al proprietario, delle condizioni dei materiali
contenenti amianto negli edifici e non solo ove si svolge attività
lavorativa.
In ogni caso, anche a voler ritenere la disposizione relativa ai soli
edifici in cui è svolta attività lavorativa, si rileva che la stessa
Relazione tecnica redatta (da F.I.) per conto della società ricorrente
specificava che “Il personale addetto alle lavorazioni all’interno del
capannone è stato debitamente formato ed informato sul rischio amianto”,
con ciò confermando l’applicabilità della disciplina normativa di cui al
D.M. 06.09.1994, trattandosi di struttura suscettibile di “utilizzazione
collettiva”, ovvero nella quale operano più personale per lo svolgimento
di attività lavorativa (TAR Umbria, sez. I, 18.02.2019, n. 75).
Sotto distinto profilo, si rileva che il citato D.M. 06.09.1994 –richiamato
nell’ordinanza gravata– stabilisce che “Dal momento in cui viene rilevata
la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che
sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di
ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti. Tale programma implica
mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il
rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire correttamente
quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei
materiali contenenti amianto” (art. 4); inoltre, per quanto riguarda i
metodi di bonifica che possono essere attuati, sia nel caso di interventi
circoscritti ad aree limitate dell’edificio, sia nel caso di interventi
generali, sono previsti la “rimozione dei materiali di amianto”, “incapsulamento”
e il “confinamento” (art. 3).
La disciplina richiamata nell’ordinanza impugnata, dunque, appare non solo
pienamente applicabile al caso in esame, ma legittima, altresì, l’ordine di
rimozione dei materiali contenenti amianto.
Peraltro, la stessa ricorrente, sottoscrivendo il cronoprogramma redatto
dalla società incaricata, ha confermato di condividere (facendone
acquiescenza) le conclusioni ivi esposte, la disciplina applicata e la
necessità di dover provvedere alla bonifica dell’immobile tramite rimozione
della copertura del capannone, salvo poi decidere di non effettuare la
bonifica che si era obbligata a compiere entro il mese di marzo 2014.
In definitiva, le censure di cui al primo motivo sono infondate.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta il vizio di
incompetenza, rientrando l’atto impugnato nella competenza del Sindaco ex
artt. 50 e 54 Tuel.
La censura è infondata.
L’ordinanza impugnata non costituisce un provvedimento contingibile e
urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 Tuel, con la conseguenza che la
competenza in ordine alla sua assunzione non appartiene al Sindaco; ben
diversamente, trattasi di un provvedimento ordinario rientrante nella
generale competenza dirigenziale ex art. 107 Tuel.
Giova ricordare che il potere extra ordinem presuppone la necessità
di provvedere, con immediatezza, in presenza di situazioni di natura
eccezionale ed imprevedibile, che non possano essere fronteggiate con gli
strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento e richiede altresì la
sussistenza di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che
accada un evento dannoso, nel caso in cui l’Amministrazione non intervenga
prontamente: nel caso in esame, invero, non sussistono i presupposti per
l’adozione di un atto extra ordinem, atteso che –come sopra esposto-
l’Amministrazione aveva a disposizione ordinari (e specifici) mezzi e
strumenti per far fronte alla situazione evidenziata nella Relazione tecnica
redatta dalla società incaricata dalla ditta ricorrente.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’invalidità derivata per
invalidità della
DGR 265/2011, nella parte in cui attribuisce rilevanza alla
data di realizzazione della copertura imponendo una prestazione
personale/patrimoniale, per violazione dell’art. 23 Cost., della legge n.
257/1992 e del DM 06.09.1994.
La censura appare irricevibile per tardività.
Come sopra già evidenziato, la ditta ricorrente, per il tramite della
propria incaricata F.I., aveva predisposto, nel corso dell’anno 2011, un
cronoprogramma di intervento -sottoscritto dal legale rappresentante della
stessa società ricorrente- con cui si aderiva ai principi e criteri
stabiliti dalla Regione Veneto con la DGR n. 265/2011, e si individuava, per
il capannone in questione, un Indice di Degrado pari a 32, valore tale da
determinare la rimozione della copertura entro 3 anni, come proposto dallo
stesso tecnico della ricorrente.
Dunque, ogni censura formulata nei confronti della DGR n. 265/2011 risulta
tardiva.
In ogni caso, la doglianza appare infondata anche nel merito.
Come evidenziato dalle amministrazioni resistenti, l’Appendice 2.I -“protocollo
per la valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto (ambiente esterno)” - dell’Allegato A alla DGR 265/2011
ha lo scopo di fornire uno strumento operativo per la valutazione dello
stato di conservazione delle coperture in cemento-amianto, utile ad
indirizzare le conseguenti azioni di monitoraggio e/o di bonifica che sono a
carico del proprietario dell’immobile e/o del responsabile dell’attività che
vi si svolge, ai sensi del D.M. 06.09.1994.
La valutazione dello stato di conservazione delle coperture in
cemento-amianto è effettuata tramite l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D.)
ed è condotta attraverso l’ispezione del manufatto; il risultato
dell’applicazione dell’I.D. è un valore numerico a cui corrispondono azioni
conseguenti che il proprietario dovrà attuare.
Il calcolo dell’Indice di Degrado è fondato sulla combinazione di nove
parametri –A) grado di consistenza del materiale; B) presenza di
fessurazioni/sfaldamenti/crepe; C) presenza di stalattiti ai punti di
gocciolamento; D) friabilità/sgretolamento; E) ventilazione; F) luogo di
vita/lavoro; G) distanza da finestre/balconi/terrazze; H) aree sensibili; I)
vetustà (in anni) fattore moltiplicatore-, laddove il parametro della
vetustà rappresenta un criterio oggettivo, ragionevolmente giustificato dal
fatto che maggiore è il tempo di esposizione agli agenti atmosferici,
maggiore è la probabilità che il manufatto sia logorato e quindi
potenzialmente suscettibile di disperdere fibre di amianto, con conseguente
potenziale pericolo.
Tali criteri, coerenti con le disposizioni di cui al D.M. 06.09.1994, non si
pongono in contrasto con l’art. 23 della Costituzione.
In conclusione, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto
(TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 10.06.2021 n. 790 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima un’ordinanza contingibile e urgente emessa nei confronti del
curatore fallimentare per la rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato
in un immobile appartenente alla massa fallimentare.
Il curatore di un fallimento non può essere destinatario
dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e
smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa
fallimentare se non vi sia stato esercizio
dell’impresa.
Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si
ha che:
- se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile
alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile
dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il
programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e
manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
- se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare,
quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di
comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità
competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto
dalla normativa speciale;
Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi
strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne
i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia
l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della
legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo
alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa
come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ.,
Sez. III, 22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del
custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione
delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in
ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a
terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba
procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi
oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista
in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari
comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed
alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela
fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di
monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d.
rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via
sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi
sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della
contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal
presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne' il
proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253
riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile
interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei
costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto
responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora
non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i
risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei
materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo
delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”)
consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo
di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e
qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture
inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con
addebito dei costi “ai proprietari degli immobili”.
---------------
... per l'annullamento dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Cerisano del
17.02.2020, n. 6, con la quale, ai sensi dell'art. 54, comma 4, d.lgs.
18.08.2000, n. 267, è stato ordinato al Curatore del Fallimento di
Ma.Pi. -proprietario del lotto di terreno sito in Cerisano alla
località ..., riportato in catasto al fol. 7, particelle n. 248,
483, 484, 485, 528, 529, 531 3 532 e degli immobili (già adibiti a
falegnameria) e relative tettoie su di essi insistenti, le cui coperture
sono costituite da lastre in cemento amianto (eternit)- di provvedere alla
bonifica di dette coperture mediante rimozione e smaltimento di detti
materiali presso discarica autorizzata nel termine di 180 giorni dalla sua
notifica.
...
1. – Con l’ordinanza oggetto di impugnativa, il Sindaco del Comune di
Cerisano ha ordinato al curatore del Fallimento di Ma.Pi. -proprietario del lotto di terreno sito in Cerisano alla località
..., riportato in catasto al fol. 7, particelle n. 248, 483, 484, 485,
528, 529, 531 3 532 e degli immobili (già adibiti a falegnameria) e relative
tettoie su di essi insistenti, le cui coperture sono costituite da lastre in
cemento amianto (eternit)- di provvedere alla bonifica di dette coperture
mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica
autorizzata nel termine di 180 giorni dalla sua notifica.
2. – Il Curatore si è rivolto a questo Tribunale Amministrativo Regionale
per chiedere l’annullamento del provvedimento, in quanto:
I) Non sussisterebbe in capo al curatore fallimentare un obbligo di
bonifica o smaltimento del sito inquinato rientrante nel patrimonio
fallimentare;
II) Non sussisterebbero quei presupposti di urgenza che
consentirebbero l’adozione di un’ordinanza ai sensi degli artt. 50 e 54
d.lgs. 18.08.2000, n. 267;
III) Il provvedimento sarebbe stato adottato in assenza di
contraddittorio, in mancanza di un’adeguata istruttoria da parte di Asp e
ARPACAL, che sole hanno le competenze per verificare la sussistenza del
pericolo da amianto, basandosi su un parere tecnico scientificamente
inconsistente.
3. – Costituitasi l’amministrazione intimata, con ordinanza del 30.07.2020, n. 400, è stata sospesa l’efficacia del provvedimento impugnato.
Nondimeno, la curatela fallimentare, debitamente autorizzata dal giudice
delegato, ha provveduto alla rimozione delle coperture in amianto-cemento
presenti sulle tettoie.
4. – Il ricorso è stato quindi trattato in data 27.01.2021 ai sensi
dell’art. 25, comma 2 d.l. 28.10.2020, n. 137.
5. – Persiste l’interesse alla decisione, posto che la rimozione delle
coperture in amianto-cemento, peraltro avvenuta indipendentemente dal
provvedimento sindacale, non esaurisce l’oggetto dell’ordinanza contingibile
e urgente impugnata.
6. – Come illustrato in una recente, ampia e condivisibile pronuncia del
Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2020, n. 1759, di cui si
riportano di seguito stralci motivazionali) il curatore di un fallimento non
può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e
smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa
fallimentare, se non vi sia stato, come nel caso di specie, esercizio
dell’impresa.
6.1. – Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si
ha che:
- se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile
alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile
dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il
programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e
manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
- se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare,
quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di
comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità
competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto
dalla normativa speciale;
6.2. – Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi
strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne
i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia
l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della
legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo
alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa
come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ.,
Sez. III, 22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del
custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione
delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in
ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a
terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba
procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi
oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista
in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari
comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed
alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela
fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di
monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d.
rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
6.3. – Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via
sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi
sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della
contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal
presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne' il
proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253
riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile
interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei
costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto
responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora
non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i
risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei
materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo
delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”)
consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo
di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e
qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture
inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con
addebito dei costi “ai proprietari degli immobili” (cfr. per
l’estensione anche a tale fattispecie degli strumenti di cui al d.lgs. n.
152 del 2006, Corte Cost., ord. 28.01.2014, n. 14).
7. – Così ricostruita la disciplina, è evidente che nel caso di specie il
provvedimento impugnato non resiste alla censura secondo cui è stato imposto
al curatore fallimentare un’attività non doverosa.
8. – Il provvedimento impugnato va dunque annullato in accoglimento del
ricorso, salva la possibilità per il Comune di Cerisano di adottare gli
opportuni provvedimenti, anche di natura sostitutiva nei termini illustrati
al § 6.2., a tutela della salute umana
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 08.02.2021 n. 261 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rischio
amianto: quali doveri in capo al curatore fallimentare?
In caso di ordinanza contingibile e urgente ai sensi
dell’art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000, il Sindaco non può ordinare al
curatore fallimentare di provvedere alla bonifica delle coperture in amianto
mediante rimozione e smaltimento di detti materiali presso discarica
autorizzata.
Infatti, è escluso che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere
di adottare comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli
immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti. Dunque, di
regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi
di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio
strutturale connesso al c.d. rischio amianto. Tuttavia, alla rimozione del
pericolo può procedere in via sostitutiva l’amministrazione comunale.
--------------
Il curatore di un fallimento non può essere destinatario
dell’ordinanza contingibile e urgente di rimozione e smaltimento
dell’amianto utilizzato in un immobile appartenente alla massa fallimentare,
se non vi sia stato esercizio dell’impresa.
Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si ha
che:
- se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile
alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile
dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il
programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e
manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
- se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare,
quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di
comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità
competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto
dalla normativa speciale.
Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali
sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne i costi, si
deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia
l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della
legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo
alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa
come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili, ai fini
dell’utile liquidazione in ambito concorsuale, nonché gli oneri
indispensabili per evitare danni a terzi causati da situazioni di pericolo
imminente, ma non anche che debba procedere all’eliminazione dei vizi
intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al
miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista
in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari
comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed
alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela
fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di
monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d.
rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via sostitutiva
l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi
sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della
contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal
presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il
proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253
riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile interessato
dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei costi da parte
dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto responsabile-
l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora non si possa
ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del
processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei materiali
contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo delle
operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”) consente
-per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo di
diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e
qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture
inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con
addebito dei costi “ai proprietari degli immobili”.
---------------
1. – Con l’ordinanza oggetto di impugnativa, il Sindaco del Comune di
Cerisano ha ordinato al curatore del Fallimento di Ma.Pi. -proprietario del
lotto di terreno sito in Cerisano alla località ..., riportato in catasto al
fol. 7, particelle n. 248, 483, 484, 485, 528, 529, 531 3 532 e degli
immobili (già adibiti a falegnameria) e relative tettoie su di essi
insistenti, le cui coperture sono costituite da lastre in cemento amianto (eternit)-
di provvedere alla bonifica di dette coperture mediante rimozione e
smaltimento di detti materiali presso discarica autorizzata nel termine di
180 giorni dalla sua notifica.
2. – Il Curatore si è rivolto a questo Tribunale Amministrativo Regionale
per chiedere l’annullamento del provvedimento, in quanto:
I) Non sussisterebbe in capo al curatore fallimentare un obbligo di
bonifica o smaltimento del sito inquinato rientrante nel patrimonio
fallimentare;
II) Non sussisterebbero quei presupposti di urgenza che
consentirebbero l’adozione di un’ordinanza ai sensi degli artt. 50 e 54
d.lgs. 18.08.2000, n. 267;
III) Il provvedimento sarebbe stato adottato in assenza di
contraddittorio, in mancanza di un’adeguata istruttoria da parte di Asp e
ARPACAL, che sole hanno le competenze per verificare la sussistenza del
pericolo da amianto, basandosi su un parere tecnico scientificamente
inconsistente.
...
6. – Come illustrato in una recente, ampia e condivisibile
pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2020, n. 1759,
di cui si riportano di seguito stralci motivazionali) il curatore di un
fallimento non può essere destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente
di rimozione e smaltimento dell’amianto utilizzato in un immobile
appartenente alla massa fallimentare, se non vi sia stato, come nel caso di
specie, esercizio dell’impresa.
6.1. – Infatti, con riguardo alla riferita disciplina in tema di amianto, si
ha che:
- se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile
alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile
dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il
programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e
manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato;
- se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare,
quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato, degli oneri di
comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità
competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto
dalla normativa speciale.
6.2. – Relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi
strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare o di sopportarne
i costi, si deve osservare come il fatto che il curatore fallimentare abbia
l’amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi dell’art. 31 della
legge fallimentare comporti, di regola, che sia tenuto ad assumere in capo
alla procedura gli oneri necessari ad assicurare la conservazione, intesa
come mantenimento dell’esistenza fisica, dei beni immobili (cfr. Cass. Civ.,
Sez. III,
22.06.2016, n. 12877, in riferimento all’analoga situazione del
custode nominato nella procedura esecutiva individuale, con anticipazione
delle spese a carico dei creditori), ai fini dell’utile liquidazione in
ambito concorsuale, nonché gli oneri indispensabili per evitare danni a
terzi causati da situazioni di pericolo imminente, ma non anche che debba
procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi
oneri economici funzionali al miglioramento dei beni.
Coerentemente, la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista
in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari
comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed
alla definitiva bonifica da fattori inquinanti.
Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela
fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di
monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d.
rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura.
6.3. – Alla rimozione del pericolo, peraltro, può procedere in via
sostitutiva l’amministrazione comunale.
Infatti, sebbene non vi sia un apparato normativo coincidente con quello del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152 –che all’art. 250 disciplina gli interventi
sostitutivi dell’amministrazione (“Qualora i soggetti responsabili della
contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal
presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il
proprietario del sito né altri soggetti interessati […]”) e all’art. 253
riconosce “Oneri reali e privilegi speciali” sul bene immobile
interessato dall’intervento sostitutivo, onde garantire il recupero dei
costi da parte dell’amministrazione intervenuta in sostituzione del soggetto
responsabile- l’art. 12, comma 3, della legge 27.03.1992, n. 257 (“Qualora
non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i
risultati del processo diagnostico la rendano necessaria, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano dispongono la rimozione dei
materiali contenenti amianto, sia floccato che in matrice friabile. Il costo
delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili”)
consente -per la rimozione delle strutture in amianto, in caso di pericolo
di diffusione delle fibre e rischio per l’ambiente e la salute pubblica e
qualora i soggetti tenuti non possano o non vogliano rimuovere le strutture
inquinanti- l’intervento sostitutivo delle amministrazioni competenti con
addebito dei costi “ai proprietari degli immobili” (cfr. per
l’estensione anche a tale fattispecie degli strumenti di cui al d.lgs. n.
152 del 2006, Corte Cost., ord. 28.01.2014, n. 14).
7. – Così ricostruita la disciplina, è evidente che nel caso di specie il
provvedimento impugnato non resiste alla censura secondo cui è stato imposto
al curatore fallimentare un’attività non doverosa.
8. – Il provvedimento impugnato va dunque annullato in accoglimento del
ricorso, salva la possibilità per il Comune di Cerisano di adottare gli
opportuni provvedimenti, anche di natura sostitutiva nei termini illustrati
al § 6.2., a tutela della salute umana
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 08.02.2021 n. 261 - link a
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anno 2020 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Comune
e provincia – Comune – Tetto in eternit (cemento e amianto) – Rimozione –
Ordinanza contingibile e urgente del Sindaco – Artt. 50 e 54, d.lgs. n.
267/2000 – Legittimità – Fattispecie
E’ legittima l’ordinanza contingibile e urgente
attraverso la quale, ai sensi degli artt. 50 e 54, d.lgs. n. 267/2000, il
sindaco dispone la rimozione della copertura in eternit (cemento e amianto)
di un immobile privato motivandola con lo scopo di prevenire la diffusione
nell’aria di fibre di amianto e richiamando l’accertamento svolto dall’A.R.P.A.
e dalla competente A.S.L. che hanno preventivamente accertato l’oggettivo
degrado del predetto tetto in eternit con il conseguente rischio della
diffusione di polveri di amianto pericolose per la salute pubblica.
Nella fattispecie, il sindaco del Comune di Trivero adottava un’ordinanza
contingibile e urgente con la quale disponeva la bonifica della copertura in
eternit di un vecchio stabilimento industriale, ora dismesso, prefissando
una specifica data entro la quale procedere all’adempimento
(massima tratta da https://arsg.it).
---------------
1. Viene all’esame del Collegio l’impugnativa dell’ordinanza sindacale
contingibile e urgente n. 61 del 02.10.2018 con cui il Comune di Trivero
ordina alla Fl. s.r.l. di procedere alla bonifica della copertura in eternit
(cemento armato) entro il 19.07.2019, ponendo in atto altresì le operazioni
previste dal programma di controllo di cui al punto 4 del decreto
ministeriale del Ministero della sanità 06.09.1994.
2. La ricorrente grava l’ordinanza sindacale del Comune di Trivero
articolando tre motivi di ricorso.
2.1. Con i due primi motivi di impugnazione, esaminabili
unitariamente per affinità di censure, si denuncia l’illegittimità
dell’ordinanza sindacale in quanto viziata da eccesso di potere per difetto
di istruttoria e di motivazione in quanto il primo campionamento avrebbe
prelevato solo due frammenti non rappresentativi dell’intera copertura del
fabbricato (avente un’estensione di circa 5000 mq), indi non risulterebbe
ragionevolmente motivato l’ordine di bonifica esteso all’intero
stabilimento.
Si stigmatizza, altresì, la supposta violazione delle disposizioni del
decreto ministeriale 06.09.1994 che non imporrebbero affatto un obbligo
generalizzato di procedere alla rimozione dei manufatti contenenti amianto.
2.2. Le censure si presentano prive di pregio alla luce delle risultanze del
supplemento istruttorio espletato da Arpa Piemonte mediante prelevamento di
un numero complessivo di 8 campioni –in aggiunta ai due campionamenti del
primo sopralluogo del 29.05.2018- relativi alle coperture n. 5, 6 e 7 e
ampia documentazione fotografica delle altre coperture (nn. 2, 3 e 4) e del
complesso dei fabbricati.
Più specificamente, con riferimento alle coperture nn. 2 e 3 le risultanze
della verifica di Arpa collimano con il giudizio di Co. s.r.l., società
incaricata dalla Proprietà, corrispondente ad un indice di degrado “scadente”.
Quanto alle coperture nn. 5, 6 e 7 gli indici di degrado sono ampiamente
collocati nel range del giudizio “scadente”.
Il giudizio inerente alla copertura 4 è formulato senza l’ausilio di una
verifica ravvicinata, ma sulla scorta della documentazione fotografica da
cui si evince che lo stato di conservazione è comparabile con la copertura
n. 5, indi i tecnici Arpa hanno ascritto cautelativamente lo stesso valore
dell’indice di degrado corrispondente a “scadente”.
Mette conto di rilevare che la risultanza della verifica di parte da parte
di Co. s.r.l. in relazione alla copertura n. 4 attesta l’indice di degrado
al valore di 0.58, in prossimità della soglia fissata al valore 0.59 che
delimita l’indice “discreto” dall’indice “scadente”.
2.3. Il supplemento istruttorio ha, dunque, confermato che le valutazioni
iniziali erano effettivamente rappresentative dello stato di degrado
complessivo delle coperture dello stabilimento di tal ché appaiono
destituite di fondamento le censure di difetto di istruttoria e di
motivazione appuntate sul provvedimento sindacale. Mutatis mutandis,
la determinazione sindacale appare correttamente motivata per relationem
con riferimento alle note tecniche di Arpa Piemonte, inerenti all’indice di
degrado, e all’ASL Biella relativa all’indice di esposizione.
Peraltro, mette conto di rilevare che sia l’Agenzia regionale sia l’Azienda
sanitaria si sono scrupolosamente attenute alle “Linee guida regionali
per la valutazione del rischio di esposizione da coperture in
cemento-amianto in Piemonte” adottate con Delibera della Giunta
Regionale della Regione Piemonte del 18.12.2012, n. 40-5094, ove si
procedimentalizza la gestione di esposti/segnalazioni relativi alla presenza
di coperture in cemento- amianto negli edifici e si impartiscono –partendo
dal decreto ministeriale 06.09.1994- indirizzi tecnico-operativi volti a
semplificare ed uniformare il giudizio sullo stato di conservazione delle
coperture (c.d. indice di degrado) e sulla valutazione del rischio per la
salute, che si compongono, oltre che della valutazione dello stato di
conservazione dei materiali contenenti amianto e della conseguente
probabilità di rilascio di fibre, anche di indicatori di esposizione
(contemplanti variabili che identifichino il numero di soggetti esposti, le
caratteristiche ed il tempo con cui gli individui, in una determinata area,
possono venire a contatto con fibre disperse dai MCA) della popolazione,
ovvero dei lavoratori, e forniscono indicazioni sulle azioni conseguenti da
adottare
2.4. Non coglie, tanto meno, nel segno la ricorrente allorché allega la
violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni del decreto del
Ministero della sanità 06.09.1994, nonché delle disposizioni della legge
27.03.1992, n. 257.
La ricorrente, invero, pare travisare il tenore letterale del provvedimento
sindacale che ordina il procedersi alla bonifica della copertura in eternit
e non già, in via esclusiva, la rimozione dei manufatti, come sembrerebbe
evincersi dal ricorso introduttivo. A rigore, la disciplina posta dal citato
decreto ministeriale individua tre metodi di bonifica, segnatamente
consistenti nel confinamento, nell’incapsulamento e, infine, nella
rimozione, e fornisce dipoi indicazioni operative volte ad orientare gli
operatori nell’individuazione del metodo di bonifica più consentaneo al
manufatto.
Conseguentemente, la società intimata non era tenuta a procedere
tassativamente alla rimozione, bensì doveva valutare gli interventi da
adottare nell’ambito della gamma testé richiamata.
A riprova di tale esegesi basti por mente alla tabella allegata alla
delibera di Giunta regionale richiamata in precedenza ove si correla la
stima del rischio al tipo di azioni da intraprendersi: ebbene, salta
all’occhio dell’osservatore che per l’indice di degrado scadente possono
scattare obblighi di generica bonifica in corrispondenza di indici di
esposizione medio bassi (come nel caso sottoposto all’esame del Collegio),
mentre sorge in capo al prevenuto l’obbligo espresso di rimozione della
copertura nel caso di indice di esposizione elevato.
Ciò posto, si presenta assolutamente inconferente anche questo profilo di
censura.
3. L’ultimo motivo censura la falsa applicazione della disposizione
di cui all’art. 50 d.lgs. 267/2000, attributiva del potere di ordinanza
contingibile e urgente al Sindaco in qualità di rappresentante della
comunità locale in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a
carattere esclusivamente locale.
Si revoca in dubbio la sussistenza del presupposto di urgenza che
legittimerebbe l’emanazione del provvedimento extra ordinem da parte
del Sindaco, nonché la carenza del concreto riferimento al pericolo attuale
che deriverebbe dalle coperture in cemento-amianto.
3.1. Il Collegio non ritiene di poter aderire all’impianto impugnatorio del
motivo svolto dalla ricorrente, dovendo piuttosto accedere ad un’esegesi
complessiva del provvedimento sindacale unitamente alle valutazioni
esternate dall’ARPA Piemonte e dall’ASL Biella, nel contesto della ben
delineata procedimentalizzazione delle metodologie tecniche per la
valutazione del rischio di materiali contenenti amianto nelle strutture
edilizie recata dal Decreto ministeriale 06.09.1994 e dalle Linee guida
regionali stabilite con la citata Delibera di Giunta regionale 18.12.2012.
3.2. Orbene, a mente delle disposizioni ministeriali, la potenziale
pericolosità dei materiali di amianto dipende dall'eventualità che siano
rilasciate fibre aerodisperse nell'ambiente che possono venire inalate dagli
occupanti. Segnatamente, il decreto ministeriale specifica che, “se il
materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni
dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono
causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale”,
sicché il rischio di aerodispersione è correlato in via presuntiva allo
stato di degrado del materiale.
Come visto dianzi, la Regione Piemonte ha ritenuto opportuno, partendo dai
criteri fissati dal D.M. suddetto, definire specifiche linee guida per
semplificare ed uniformare il giudizio sullo stato di conservazione delle
coperture (c.d. indice di degrado) e sulla valutazione del rischio per la
salute, che si compongono, oltre che della valutazione dello stato di
conservazione dei materiali contenenti amianto e della conseguente
probabilità di rilascio di fibre, anche di indicatori di esposizione della
popolazione. Nel caso in esame, non vi è discordanza tra le verifiche
tecniche in punto di commisurazione dell’indice di esposizione, bensì si
revoca in dubbio la portata dell’indice di degrado “scadente”
formulato dall’Arpa.
La compiuta classificazione delle scale di indicatori e la coerente
correlazione con gli schemi di intervento recata dalle linee guida operative
regionali non lasciano spazio a margini di ragionevole censurabilità circa
l’operato del Sindaco. Una volta acclarato, infatti, che lo stato di degrado
delle coperture in eternit è valutabile come scadente, appare corroborato il
sillogismo inferenziale che correla siffatto stato di degrado al rischio
significativo di aerodispersione di fibre di amianto tale da legittimare
l’adozione del provvedimento sindacale contingibile e urgente: in buona
sostanza, l’esito delle valutazioni tecniche fa sorgere l’obbligo di
intervento con provvedimento di sanità pubblica, sicché si può ritenere che
l’apparato motivazionale del provvedimento si appoggi proprio sugli apporti
valutativi assicurati da ARPA e ASL, in armonia con il protocollo regionale
approvato con la citata delibera.
Segnatamente, nell’apparato motivazionale il Sindaco richiama
significativamente le valutazioni dell’indice di degrado (“scadente”)
e dell’indice di esposizione (“medio”), richiamando implicitamente i
parametri classificatori e di giudizio posti dalla delibera al fine di
orientare razionalmente e uniformemente la discrezionalità valutativa delle
Amministrazioni comunali poste di fronte ai rischi derivanti dai manufatti
contenenti amianto-cemento.
4. Alla luce di ciò, non appare censurabile la determinazione concretamente
assunta dal Sindaco, né la scelta dello strumento extra ordinem
stante il riconosciuto pericolo per la salute pubblica che impone
l’esecuzione di solleciti interventi di bonifica del sito – interventi, come
già chiarito, non necessariamente riducibili alla rimozione dei manufatti.
5. Tutto ciò premesso e conclusivamente, il ricorso deve essere respinto
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.11.2020 n. 660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
----------------
Al riguardo si legga anche:
●
Ordinanza
di bonifica eternit: accertamento tecnico della pericolosità
(04.11.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
...
La I Sez. del TAR Piemonte, con
la sentenza 02.11.2020 n. 660 (Est. Cerroni) conferma la piena legittimità
di un’ordinanza sindacale di rimozione di “eternit” da un immobile, intimata
al proprietario in via precauzionale al fine di tutelare la salute pubblica
dal pericolo di contaminazione. (...continua). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Sull’illegittimità
di una ordinanza sindacale intimante la
rimozione della copertura in “eternit”
onde scongiurare il pericolo di diffusione
nell’aria delle fibre in amianto.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la
possibilità di ricorrere allo strumento
dell'ordinanza contingibile e urgente ex
artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla
sussistenza di un pericolo concreto, che
imponga di provvedere in via d'urgenza, con
strumenti extra ordinem, per fronteggiare
emergenze sanitarie o porre rimedio a
situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile di pericolo attuale e
imminente per l'incolumità pubblica e la
sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli
strumenti ordinari apprestati
dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i
presupposti per l'adozione da parte del
Sindaco dell'ordinanza contingibile ed
urgente sono la sussistenza di un pericolo
irreparabile ed imminente per la pubblica
incolumità, non altrimenti fronteggiabile
con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la
temporaneità dei suoi effetti, nella
proporzionalità del provvedimento; non è,
quindi, legittimo adottare ordinanze
contingibili ed urgenti per fronteggiare
situazioni prevedibili e permanenti o quando
non vi sia urgenza di provvedere, intesa
come assoluta necessità di porre in essere
un intervento non rinviabile, a tutela della
pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di
ordinanza "presuppone necessariamente
situazioni non tipizzate dalla legge di
pericolo effettivo, la cui sussistenza deve
essere suffragata da istruttoria adeguata e
da congrua motivazione, e in ragione di tali
situazioni si giustifica la deviazione dal
principio di tipicità degli atti
amministrativi e la possibilità di derogare
alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura,
di tale tipologia provvedimentale".
---------------
Nel caso di specie il Sindaco ha emanato
un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in
mancanza di un'adeguata istruttoria che
consentisse di evidenziare la sussistenza
dei presupposti previsti dalla legge per la
sua adozione e, in particolare, la necessità
di fronteggiare una situazione di pericolo
imminente ed imprevisto, non contenibile con
i rimedi tipici predisposti
dall'ordinamento.
Infatti, l'ordinanza sindacale si basa
esclusivamente sulla rilevazione della
presenza di cemento-amianto quale componente
dei materiali costruttivi della copertura di
entrambi i capannoni di proprietà della
società ricorrente, senza tuttavia contenere
alcun riferimento alle verifiche e/o
accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di
dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun
richiamo alla previa effettuazione delle
operazioni previste dal D.M. 06.09.1994,
contenente le "normative e metodologie
tecniche per la valutazione del rischio, il
controllo, la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nelle
strutture edilizie".
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994
(“Normative e metodologie tecniche di
applicazione dell’art. 6, comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge
27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione
dell’impiego dell’amianto”) mostra la
necessità di avere riguardo all’effettiva
consistenza del materiale, dovendo dipendere
da esso la scelta del metodo di bonifica,
tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione;
incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le
indicazioni per l’accertamento e la scelta
del metodo di bonifica, precisando
espressamente che “un intervento di
rimozione spesso non costituisce la migliore
soluzione per ridurre l’esposizione ad
amianto. Se viene condotto impropriamente
può elevare la concentrazione di fibre
aerodisperse, aumentando, invece di ridurre,
il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata,
priva di istruttoria e di motivazione anche
in ordine alla scelta di rimuovere la
copertura, palesa un’ulteriore inesatta
modalità di esercizio del potere, non avendo
valutato se l’intimata rimozione fosse
concretamente idonea ad eliminare ovvero a
prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo
dell'ordinanza, alcun cenno
all'imprevedibilità della situazione e/o ad
altri fattori giustificativi dell'urgenza di
provvedere con lo strumento extra ordinem, a
fronte di una situazione ben conosciuta
dall'Amministrazione, né alcuna prova della
necessità assoluta di porre in essere un
intervento non rinviabile.
---------------
Il provvedimento sindacale è,
pertanto, illegittimo, in ragione del
denunciato vizio di difetto di istruttoria,
e deve essere conseguentemente annullato con
salvezza degli ulteriori provvedimenti
adottabili dalla competente amministrazione,
atteso che la sorveglianza sui manufatti in
amianto o contenenti amianto va svolta di
continuo, non potendosi mai escludere del
tutto che nel corso del tempo i fenomeni
atmosferici e naturali rendano pericolosi
per la salute pubblica manufatti che fino a
quel momento potevano definirsi sicuri ai
sensi della legge n. 257/1992.
---------------
1.- L’odierna ricorrente espone di essere
proprietaria di un compendio immobiliare,
con destinazione produttiva, sito nel comune
di Carinola, composto da due capannoni il
cui tetto di copertura era stato realizzato
in “eternit” (materiale contenente
amianto).
In data 04.06.2019 il personale addetto
della locale A.S.L. n. 2 aveva eseguito un
sopralluogo presso il succitato immobile,
conclusosi con la richiesta di esibizione
dei dati analitici relativi alla
aerodispersione delle fibre di amianto.
Nonostante l’impegno assunto a trasmettere
alla competente autorità la richiesta
documentazione attestante le commissionate
rilevazioni, all’esito di un successivo
sopralluogo condotto dai tecnici comunali,
il Comune di Carinola aveva adottato
l’ordinanza sindacale oggetto dell’odierno
gravame, intimante la rimozione della
contestata copertura in “eternit”,
onde scongiurare il pericolo di diffusione
nell’aria delle fibre in amianto.
Avverso la predetta ordinanza sindacale
insorge l’esponente, chiedendone
l’annullamento, previa sospensione
dell’esecuzione.
A supporto del gravame, la ricorrente ha
dedotto le seguenti doglianze:
...
2.- Il ricorso è fondato e merita
accoglimento per le medesime ragioni già
sommariamente delineate in sede cautelare,
da cui, pur alla luce del più approfondito
esame riservato alla presente fase di
merito, non si ravvisano elementi per
discostarsi.
2.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L.
così recita: "4. Il sindaco esercita
altresì le altre funzioni attribuitegli
quale autorità locale nelle materie previste
da specifiche disposizioni di legge.
5. In particolare, in caso di emergenze
sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale le ordinanze
contingibili e urgenti sono adottate dal
sindaco, quale rappresentante della comunità
locale. Le medesime ordinanze sono adottate
dal sindaco, quale rappresentante della
comunità locale, in relazione all'urgente
necessità di interventi volti a superare
situazioni di grave incuria o degrado del
territorio, dell'ambiente e del patrimonio
culturale o di pregiudizio del decoro e
della vivibilità urbana, con particolare
riferimento alle esigenze di tutela della
tranquillità e del riposo dei residenti,
anche intervenendo in materia di orari di
vendita, anche per asporto, e di
somministrazione di bevande alcoliche e
superalcoliche. Negli altri casi l'adozione
dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la
costituzione di centri e organismi di
referenza o assistenza, spetta allo Stato o
alle regioni in ragione della dimensione
dell'emergenza e dell'eventuale
interessamento di più ambiti territoriali
regionali".
In fase cautelare, il Tribunale ha giudicato
sussistente il prescritto fumus boni
juris, con specifico riferimento al
difetto di istruttoria in ordine al pericolo
di pregiudizio prospettato in ragione del
mancato accertamento di immissioni di
polveri d'amianto suscettibili di arrecare
nocumento alla pubblica incolumità (così
l'ordinanza n. 1701/2019).
Tale motivazione va confermata nella
presente fase di merito, conducendo ad un
giudizio di fondatezza del primo motivo di
ricorso.
Invero, dalla disamina dei condotti atti
istruttori non è emerso, neppure in termini
meramente probabilistici, l’accertamento del
rischio di dispersione delle fibre di
amianto nell'ambiente, eziologicamente
riconducibile ad un riscontrato stato di
degrado della contestata copertura nonché la
concreta possibilità di aggravamento della
situazione anche a causa dell'azione di
agenti atmosferici, tale da indurre a
ritenere sussistenti i requisiti di
imprevedibilità, eccezionalità nonché di
urgenza richiesti dalla legge nel preminente
interesse di salvaguardia della salute
pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il
contenuto della nota redatta dagli ispettori
della competente ASL all’esito del
sopralluogo condotto in data 04.06.2019 con
cui era richiesto all’amministrazione
comunale di attivarsi esclusivamente al fine
di reperire dalla società ricorrente la
documentazione necessaria per comprovare lo
stato di manutenzione e conservazione della
copertura de qua.
Parimenti, alcun positivo riscontro in
ordine al discusso profilo di pericolo per
la salute e l’incolumità pubblica risulta
essere stato accertato a seguito
dell’ispezione condotta, in data 07.06.2019,
dai tecnici comunali, non avendo questi
ultimi compiuto gli esami necessari al fine
di verificare l’effettiva dispersione di
fibre.
Orbene, secondo il costante formante
giurisprudenza, la possibilità di ricorrere
allo strumento dell'ordinanza contingibile e
urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è
condizionata dalla sussistenza di un
pericolo concreto, che imponga di provvedere
in via d'urgenza, con strumenti extra
ordinem, per fronteggiare emergenze
sanitarie o porre rimedio a situazioni di
natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per
l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana,
non fronteggiabili con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.:
TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR
Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 05.11.2018,
n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018,
n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i
presupposti per l'adozione da parte del
Sindaco dell'ordinanza contingibile ed
urgente sono la sussistenza di un pericolo
irreparabile ed imminente per la pubblica
incolumità, non altrimenti fronteggiabile
con i mezzi ordinari apprestati
dall'ordinamento, e la provvisorietà e la
temporaneità dei suoi effetti, nella
proporzionalità del provvedimento; non è,
quindi, legittimo adottare ordinanze
contingibili ed urgenti per fronteggiare
situazioni prevedibili e permanenti o quando
non vi sia urgenza di provvedere, intesa
come assoluta necessità di porre in essere
un intervento non rinviabile, a tutela della
pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez.
V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n.
3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di
ordinanza "presuppone necessariamente
situazioni non tipizzate dalla legge di
pericolo effettivo, la cui sussistenza deve
essere suffragata da istruttoria adeguata e
da congrua motivazione, e in ragione di tali
situazioni si giustifica la deviazione dal
principio di tipicità degli atti
amministrativi e la possibilità di derogare
alla disciplina vigente, stante la
configurazione residuale, quasi di chiusura,
di tale tipologia provvedimentale" (cfr.
C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id.,
22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n.
4499).
2.2.- Nel caso di specie il Sindaco di
Carinola ha emanato un'ordinanza ex art. 50
T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata
istruttoria che consentisse di evidenziare
la sussistenza dei presupposti previsti
dalla legge per la sua adozione e, in
particolare, la necessità di fronteggiare
una situazione di pericolo imminente ed
imprevisto, non contenibile con i rimedi
tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR
Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n.
905).
Come già accennato in sede cautelare,
infatti, l'ordinanza sindacale si basa
esclusivamente sulla rilevazione della
presenza di cemento-amianto quale componente
dei materiali costruttivi della copertura di
entrambi i capannoni di proprietà della
società ricorrente, senza tuttavia contenere
alcun riferimento alle verifiche e/o
accertamenti svolti onde comprovare
l’esistenza di un rischio concreto di
dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun
richiamo alla previa effettuazione delle
operazioni previste dal D.M. 06.09.1994,
contenente le "normative e metodologie
tecniche per la valutazione del rischio, il
controllo, la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nelle
strutture edilizie" (su cui TAR Liguria,
Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative
e metodologie tecniche di applicazione
dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma
2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa
alla cessazione dell’impiego dell’amianto”)
mostra la necessità di avere riguardo
all’effettiva consistenza del materiale,
dovendo dipendere da esso la scelta del
metodo di bonifica, tra quelli indicati
all’art. 6 (rimozione; incapsulamento;
confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le
indicazioni per l’accertamento e la scelta
del metodo di bonifica, precisando
espressamente che “un intervento di
rimozione spesso non costituisce la migliore
soluzione per ridurre l’esposizione ad
amianto. Se viene condotto impropriamente
può elevare la concentrazione di fibre
aerodisperse, aumentando, invece di ridurre,
il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata,
priva di istruttoria e di motivazione anche
in ordine alla scelta di rimuovere la
copertura, palesa un’ulteriore inesatta
modalità di esercizio del potere, non avendo
valutato se l’intimata rimozione fosse
concretamente idonea ad eliminare ovvero a
prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo
dell'ordinanza, alcun cenno
all'imprevedibilità della situazione e/o ad
altri fattori giustificativi dell'urgenza di
provvedere con lo strumento extra ordinem,
a fronte di una situazione ben conosciuta
dall'Amministrazione, né alcuna prova della
necessità assoluta di porre in essere un
intervento non rinviabile.
2.3.- Da quanto detto si evince la
fondatezza del primo motivo di ricorso, le
cui doglianze possono, in estrema sintesi,
essere riassunte nel difetto di motivazione
e di istruttoria da cui risulta affetto il
provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo,
in ragione del denunciato vizio di difetto
di istruttoria, e deve essere
conseguentemente annullato con salvezza
degli ulteriori provvedimenti adottabili
dalla competente amministrazione, atteso che
la sorveglianza sui manufatti in amianto o
contenenti amianto va svolta di continuo,
non potendosi mai escludere del tutto che
nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e
naturali rendano pericolosi per la salute
pubblica manufatti che fino a quel momento
potevano definirsi sicuri ai sensi della
legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato,
sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte,
06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da
accogliere e, di conseguenza, va disposto
l'annullamento del provvedimento con esso
impugnato (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 01.06.2020 n. 2087 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Al riguardo si legga anche:
● Ordinanza
eternit, verifica della pericolosità ed
esercizio di poteri straordinari
(04.06.2020 - link a
www.mauriziolucca.com).
...
La sez. V Napoli del TAR Campania, con la sentenza 01.06.2020 n. 2087,
conferma l’obbligo motivazionale, e prima
istruttorio, al fine di procedere
legittimamente con il potere di ordinanza,
non potendo imporre obblighi di facere senza
un adeguato riscontro della pericolosità
acclamata e del connesso potere extra
ordinem di disporre limiti puntuali agli
interessati (i destinatari dell’ordinanza)
in ragione del primario interesse
all’incolumità pubblica. (...continua). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: MATERIALI
DI RIPORTO.
Sono titolare di un’impresa edile che ha presentato al
Comune un progetto che prevede la demolizione di alcuni vecchi edifici e la
costruzione di una serie di villette, con la previsione della realizzazione
di opere di urbanizzazione primaria a scomputo degli oneri anche su un
terreno di proprietà del Comune.
Sennonché, ho scoperto che su tale terreno esiste una contaminazione storica
in relazione al parametro amianto; inoltre è stata accertata la presenza
saltuaria di piccoli frammenti contenenti amianto in matrice compatta. Ho
quindi presentato un progetto di bonifica del terreno, ma il Comune l’ha
respinto.
Come mai?
La questione è spinosa, e non conoscendo altri dati dalla vicenda (se non
che esiste una “contaminazione storica” non meglio precisata) posso
dirle quanto segue.
Partiamo dal quadro normativo.
Il Codice dell’ambiente disciplina, nella Parte Quarta, la gestione dei
rifiuti e la bonifica dei siti contaminati.
L’art. 185, in particolare, esclude dall’applicazione della normativa sui
rifiuti:
- “il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non
scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando
quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti
contaminate” nonché
- “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato
naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che
esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello
stesso sito in cui è stato escavato”.
La disposizione in parola è stata oggetto d’interpretazione autentica, in
base alla quale “i riferimenti al suolo” ivi contenuti “si
interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui
all’Allegato 2 alla Parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da
una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e
scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte
stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e
stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per
la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.
Inoltre, l’art. 183 TUA pone delle definizioni rilevanti, sempre ai fini
dell’applicazione della normativa sui rifiuti, chiarendo tra l’altro che
sono da considerarsi rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività
di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di
scavo”.
Alla luce di questo quadro normativo, il punto fondamentale per risolvere la
questione è se sia o meno possibile ricondurre l’amianto presente nel suolo
ai materiali di riporto e, quindi, assoggettarli all’intervento di bonifica
(e non alla disciplina dei rifiuti che ne imporrebbe lo smaltimento).
Secondo una recente sentenza del TAR Milano (n. 2691/2019) il fatto che i
materiali contenenti amianto (MCA) siano ex lege assimilabili alle
matrici materiali di riporto (MMR) non comporta l’automatico assoggettamento
alla disciplina sulle bonifiche, dovendo essere dimostrata, caso per caso,
la riconducibilità in concreto dei residui di amianto a tale categoria di
materiali: deve esserci una prova, a valle di un’indagine sull’origine e
sulle caratteristiche merceologiche dei materiali in questione.
A mero titolo di esempio, l’accatastamento del materiale e la sua
provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono due aspetti che,
secondo la giurisprudenza, fanno propendere per l’inquadramento dei MCA come
rifiuti.
Inoltre, a parere della giurisprudenza, quando l’amianto perde la sua
destinazione d’uso e rischia di disperdere fibre nell’ambiente in
concentrazioni superiori a quelle ammesse dall’art. 3, Legge n. 257/1992 può
essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica.
È necessario, pertanto, valutare caso per caso e verificare, in concreto, la
riconducibilità dei MCA ai materiali di riporto, anche attraverso un’analisi
dei “paletti” che la giurisprudenza ha messo nel tempo
(Ambiente & Sicurezza n. 5/2020). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: ETERNIT,
INERZIA DEL SINDACO, OMISSIONE ATTI D’UFFICIO.
Sono anni che segnalo al Sindaco la presenza nel cortile
del mio vicino di lastre di eternit già sgretolate ed in pessime condizioni,
ma il Comune non si è mai mosso.
Il Sindaco non è tenuto a fare qualcosa?
Assolutamente sì, specie in casi nei quali sono investiti aspetti sanitari.
Il Sindaco risponde infatti del reato di omissione di atti d’ufficio (art.
328 cod. pen.) se, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché
di privati cittadini, omette di assumere qualunque iniziativa atta ad
imporre al proprietario dell’amianto lo smaltimento dello stesso.
Il Sindaco avrebbe dovuto (dovrebbe ... non so se sia già stato indagato)
emettere un’ordinanza contingibile e urgente per imporre al proprietario di
intervenire con un progetto di rimozione e smaltimento, al fine di
determinare la cessazione del pericolo di contaminazione delle aree
territoriali limitrofe.
Ed è indubbia la sussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica: la
pericolosità dell’amianto consiste, infatti, come noto, nella capacità dei
materiali da esso composti di rilasciare fibre potenzialmente inalabili,
laddove contenute in materiali friabili.
Sostanzialmente in questi termini si è espressa, di recente la Corte di
cassazione penale (sentenza n. 1657/2019), relativa ad un caso analogo a
quello da lei sinteticamente delineato nel suo quesito, riguardante lastre
di eternit accatastate alla rinfusa, all’aperto, su un terreno privato.
La Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la condanna ribadendo che
trattasi di reato a consumazione istantanea che può, tuttavia, palesarsi
sotto forma di rifiuto implicito, ovvero di persistente inerzia omissiva,
senza che quindi lo si possa inquadrare come reato permanente.
In definitiva, in caso di mancata adozione da parte del Sindaco di atti del
suo ufficio in situazioni “potenzialmente pregiudizievoli per l’igiene e
la salute pubblica è opportuno affermare con nettezza che il reato è
consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di
formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare
situazione concreta”
(Ambiente & Sicurezza n. 5/2020). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Il
grave pericolo legittima l'ordinanza contingibile e urgente.
Nell’ipotesi di rischio di dispersione di fibre di
amianto nell’ambiente a causa del degrado di una ex fabbrica e della
concreta possibilità di aggravarsi della situazione, anche a causa
dell’azione degli agenti atmosferici, sussistono i requisiti di
imprevedibilità, eccezionalità ed urgenza per l’emissione dell’ordinanza
contingibile ed urgente di cui all’articolo 54 Dlgs n. 267 del 2000.
-----------------
4.5. Il Collegio rileva che la controversia ha ad oggetto l’ordinanza ex
art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, con la quale il Sindaco del Comune di
Pontassieve, sulla base degli accertamenti tecnici e dei sopralluoghi
compiuti dall’ARPA Toscana e dal Comando Polizia Municipale Arno-Sieve, ha
imposto alle Curatele appellanti una serie di interventi per la messa in
sicurezza dell’area ex Br..
Le parti ricorrenti essenzialmente contestano la sussistenza dei presupposti
di urgenza e di pericolo per la pubblica incolumità individuati dall’art. 54
del D.lgs. n. 267/2000 e deducono l’incompetenza del Sindaco del Comune di
Pontassieve ad adottare il provvedimento, dovendo questo inquadrarsi tra gli
atti di pura gestione, con conseguente applicazione della normativa del
Codice dell’Ambiente.
4.6. Al riguardo, va osservato che con l’ordinanza n. 82/2018,
l’Amministrazione comunale ha ordinato alla Br. S.r.l. in
liquidazione di provvedere:
- all’immediata attuazione di misure atte ad impedire l’accesso
all’area, mediante il ripristino della funzionalità della ricezione
perimetrale;
- alla realizzazione di interventi ritenuti idonei allo scopo al
fine di impedire per quanto possibile ad estranei l’accesso e l’utilizzo
degli immobili risultati soggetti ad occupazione abusiva;
- alla rimozione delle bombole di gas propano liquido presenti
nell’area dell’ex fabbrica, con contestuale presentazione al Comando di
Polizia Municipale Arno-Sieve della documentazione attestante l’avvenuto
regolare smaltimento.
Con la successiva ordinanza n. 96 del 23.02.2018, il Comune di Pontassieve ha ordinato sia al Curatore fallimentare di Br. S.r.l.,
che al Curatore fallimentare di Br.In. S.r.l. in
liquidazione, di provvedere:
- alla presentazione presso l’USL (avvalendosi di un’impresa
abilitata a smaltire materiale contenente amianto) il Piano di Lavoro
preordinato alla rimozione di tutto l’amianto presente nell’area ex
Br. (con particolare riferimento alle coperture degli immobili in
fibrocemento contenente amianto; ai frammenti delle coperture contenenti
amianto caduti a terra e sparsi sia all’interno dei locali che sui vialetti
esterni; agli altri rifiuti contenenti amianto provenienti dallo smontaggio
di macchinari);
- a bonificare tramite rimozione, entro 90 giorni dall’approvazione
del Piano di Lavoro, tutti i materiali (coperture, coibentante e rifiuti)
contenenti amianto presenti nell’area industriale in oggetto;
- ad eseguire la messa in sicurezza di tutti i rifiuti abbandonati
ancora presenti nell’area;
- a rimuovere e smaltire i rifiuti di cui al punto precedente
mediante una ditta specializzata.
La sussistenza in concreto del presupposto del danno grave ed imminente per
la salute pubblica risulta esplicitata nell’ordinanza n. 96/2018, con la
quale si fa riferimento alle criticità riscontrate con nota prot. n.
3236/2018 del Responsabile del Dipartimento ARPAT di Firenze (acquisita al
protocollo comunale con n. 1309 del 16.01.2018) e cioè:
a) la presenza di coperture del tetto del capannone facente parte
dello stabilimento industriale in fibrocemento contenente amianto;
b) frammenti di coperture dispersi sia all’interno del capannone
che nelle aree esterne circostanti, e necessità di verificare la presenza di
amianto negli altri rifiuti rinvenuti nell’area;
c) immediata messa in sicurezza e successivo allontanamento di
tutti i rifiuti abbandonati tutt’ora presenti nell’area;
d) adozione di misure atte ad impedire l’accesso abusivo all’area,
sia per motivi di sicurezza che per evitare atti di vandalismo che
potrebbero ulteriormente aggravare i rischi ambientali.
In relazione a tali criticità -risultanti anche dalla nota del Corpo Polizia
Municipale Arno-Sieve del 25.01.2017 (rectius 2018) prot. n.
2332/2018-, l’ARPAT di Firenze, con la sopra citata nota, ha rappresentato
la necessità e l’urgenza di emanare provvedimenti volti a mettere in
sicurezza l’area dell’ex fabbrica.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT Fl.01.17.31/68.11 (con allegata
documentazione fotografica) emerge, quanto segue: “Vista la datazione
dell’edificio ed il contenuto di varie comunicazioni intercorse fra la
proprietà ed il Comune è pressoché certa la presenza di amianto nelle
coperture mentre non si può escludere che lo stesso materiale sia tuttora
presente come materiale coibente sia dei forni ancora presenti che nelle
macerie presenti all’interno di alcuni edifici e presumibilmente derivanti
dalla rimozione, fatta in maniera approssimativa, dei macchinari. Materiale
in fiocco è stato inoltre rinvenuto in alcune scatole poste all’interno di
uno dei capannoni”.
Secondo il Collegio, quindi, nella fattispecie
sussistevano tutti i
presupposti utili per adottare, ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n.
267/2000, l’ordinanza contingibile ed urgente in luogo dell’ordinanza
prevista dal codice dell’ambiente.
Infatti, il rischio di dispersione delle fibre di amianto nell’ambiente,
eziologicamente riconducibile all’accertato stato di degrado dell’ex
fabbrica, e la concreta possibilità di aggravarsi della situazione anche a
causa dell’azione di agenti atmosferici inducono a ritenere sussistenti i
requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti
dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
4.7. In considerazione di quanto sopra, il Collegio ritiene di condividere
le statuizioni del TAR per la Toscana (censurate dalle parti appellanti con
il primo, secondo, terzo e settimo dei motivi di appello), atteso che
l’Amministrazione comunale ha ordinato alle Curatele di adottare misure atte
a prevenire eventi dannosi per la salute e l’incolumità pubblica.
Infatti, lo stato di contaminazione dei terreni in oggetto non può ritenersi
identico a quello accertato con ordinanza n. 355/2012, considerato che in
tale ordinanza non si è dato atto della presenza di amianto. A differenza di
quanto affermato dalle appellanti, l’attuale stato di inquinamento è
radicalmente diverso rispetto a quello contestato con ordinanza n. 355/2012.
Peraltro, dalla nota dell’ARPAT - Area Vasta Centro - Dipartimento di
Firenze Fl.01.17.31/68.11, si evince che l’ordinanza n. 355/2012 è stata
ottemperata solo in parte, considerato che non risultano essere stati
presentati:
- il piano di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti speciali
e non pericolosi, con l’indicazione del cronoprogramma dei lavori, redatto
conformemente al Piano di Sicurezza e Coordinamento;
- il censimento e la
classificazione dei rifiuti;
- non sono stati rimossi e smaltiti tutti i
rifiuti presenti all’interno ed all’esterno dei fabbricati dello
stabilimento industriale, come emerso dai sopralluoghi espletati il 09.01.2018 ed il 28.02.2018.
Pertanto, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado,
il potere
di ordinanza esercitato dal Sindaco
di Pontassieve
trova fondamento
nell’articolo 54, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale l’organo
comunale deve adottare provvedimenti anche in via contingibile e urgente
laddove si verifichino gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica o
la sicurezza urbana, presupposti che ricorrono nel caso di specie.
Relativamente alla circostanza che il Comune di Pontassieve ha indicato come
base normativa del provvedimento l’art. 50 del D.lgs. n. 267/2000, si
osserva che tale riferimento, come correttamente rilevato dal giudice di
primo grado, non è vincolante in sede giudiziaria, essendo invece
determinante il contenuto ed i presupposti sostanziali sui quali esso si
fonda.
5. Con il quarto motivo di appello, le appellanti hanno contestato la
sentenza impugnata in quanto il TAR per la Toscana non avrebbe esaminato un
altro profilo segnalato dalla IV Sez. di questo Consiglio di Stato
con ordinanze n. 3495/2018 e n. 3493/2018, cioè, la necessità di verificare
“l’imputabilità alla Curatela fallimentare, ai fini della responsabilità,
del compimento dell’attività intimata, pur in mancanza della prosecuzione
dell’impresa”.
In particolare, si afferma che i rifiuti presenti nell’area de qua sarebbero
da ricondursi all’esercizio dell’attività produttiva svolta antecedentemente
alla nomina dei Curatori fallimentari (come attesterebbe anche la relazione
dell’ARPAT).
Pertanto, le Curatele fallimentari non potrebbero essere destinatarie, a
titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze dirette alla tutela
dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento (omissivo o
commissivo) delle imprese fallite, né potrebbe essere ascritta una tale
responsabilità ai Curatori ai sensi del comma 3 dell’art. 192 D.lgs. n.
152/2006.
5.1. Sul punto, il Collegio ritiene condivisibile quanto affermato dal
giudice di primo grado con la sentenza impugnata, e cioè che l’attuazione di
misure volte a mettere in sicurezza il sito è stata imposta alle Curatele
fallimentari, “poiché
se la curatela non è chiamata a succedere in
obblighi o responsabilità del fallito, è tuttavia tenuta all'adempimento
degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla
sua situazione di attuale possessore o detentore del bene
(TAR Friuli
Venezia Giulia I, 24.09.2018 n. 305)”.
Infatti,
nel caso di presenza di amianto l’attività che si richiede al
detentore attuale del bene è di mera sorveglianza ed è, quindi, attività che
si può esigere anche da colui che risulti possessore nel momento in cui
vengono rilevate le problematiche di cui alla legge n. 257/1992 e relativo
regolamento attuativo.
Infatti,
la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va
svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del
tempo i fenomeni atmosferici e naturali (come nel caso in esame, dove è
stata presumibilmente l’azione del vento a strappare via una parte delle
coperture del tetto contenenti amianto) rendano pericolosi per la salute
pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai
sensi della legge n. 257/1992
(cfr. sentenza del TAR per il Piemonte, 06.03.2014, n. 480)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.03.2020 n. 1961
- link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
ATTI AMMINISTRATIVI: L’esecuzione
spontanea di un’ordinanza contingibile e urgente (in specie riguardante la
messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone principale) non può
spiegare alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e, quindi,
sulla legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza
contingibile e urgente, riguardante altri beni ed altri oneri.
La mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si è prestata
acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il provvedimento
successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la decisione di
primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della difesa comunale-
allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi effetti con riguardo
al singolo provvedimento (anche se in ipotesi illegittimo), non può certo
valere come rinuncia preventiva all’impugnazione di futuri provvedimenti.
---------------
L’obbligo di rimozione della copertura di cemento-amianto del capannone
industriale, così come imposto con l’ordinanza contingibile e urgente qui impugnata,
è illegittimo poiché quest'ultima è stata adottata non in presenza dei
presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria.
Invero:
- l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore fallimentare,
esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in
sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
- l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi
dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco
il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze
sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali
fattispecie legittimanti;
- né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente
necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal
testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la
presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal
tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di
maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
- infine, manca anche l’indicazione di una situazione di
eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari
previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi
individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi
nei termini sopra detti.
---------------
... per la riforma della sentenza n. 467/2015 del Tribunale Amministrativo
Regionale per le Marche, Sez. I, resa tra le parti.
...
1. La curatela del Fallimento Be. s.r.l., nella persona del curatore, ha
impugnato l’ordinanza contingibile e urgente n. 31 del 22.07.2014 (nonché la
successiva ordinanza confermativa n. 34 del 07.08.2014 e il provvedimento
con cui l’amministrazione ha ritenuto di non annullare in autotutela i
suddetti provvedimenti), limitatamente alla parte con la quale il sindaco
del Comune di Maltignano ha imposto al curatore l’esecuzione del seguente
intervento, dichiaratamente finalizzato a prevenire possibili rischi per la
salute e l’incolumità pubbliche:
- adottare tutti gli adempimenti necessari ed urgenti per la
messa in sicurezza delle parti della copertura danneggiate, oltre ai
restanti adempimenti di cui alla relazione ispettiva del 03.06.2014
(richiamata a formare parte integrante del provvedimento).
Gli adempimenti predetti riguardano la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nella struttura edilizia di copertura
di un capannone industriale, ricadente alla via ... n. 2 del territorio di
Maltignano, nel quale la fallita società Be. aveva svolto la propria
attività d’impresa fino al 2001 e per il quale -dopo la dichiarazione di
fallimento intervenuta nel 2007 ed in pendenza di un’esecuzione individuale,
intrapresa da un creditore fondiario nel 2010, avente ad oggetto il medesimo
compendio immobiliare- l’organo tecnico competente aveva rilevato il rischio
di “potenziale dispersione di fibre cancerogene nell’ambiente circostante”
(come da relazione dell’ASUR del 03.06.2014).
...
3. Col primo motivo si censura la sentenza nella parte in cui, in
riferimento all’acquiescenza prestata dalla curatela all’ordinanza del 2013,
ha affermato che ciò “costituisce un primo elemento a sfavore della tesi
di parte ricorrente, non potendosi ritenere che la legittimazione passiva
rispetto ad un provvedimento del tenore di quello impugnato sia legata
all’entità della spesa necessaria ad adempire l’ordine di bonifica […]”.
3.1. Il motivo è fondato laddove sostiene che l’esecuzione spontanea di
un’ordinanza contingibile e urgente (in specie, quella del 04.06.2013
riguardante la messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone
principale, oggetto invece delle ordinanze qui impugnate) non può spiegare
alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e quindi sulla
legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza
contingibile e urgente (in specie, quella del 22.07.2014), riguardante altri
beni ed altri oneri.
3.2. Così come la mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si
è prestata acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il
provvedimento successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la
decisione di primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della
difesa comunale- allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi
effetti con riguardo al singolo provvedimento (anche se in ipotesi
illegittimo), non può certo valere come rinuncia preventiva all’impugnazione
di futuri provvedimenti (cfr. Cons. Stato, IV, 22.11.2013, n. 5557).
...
10. Occorre pertanto verificare se sia riconducibile a tale ultima
fattispecie l’obbligo di rimozione della copertura interna di
cemento-amianto del capannone industriale, così come imposto con l’ordinanza
contingibile e urgente qui impugnata, e se questa e gli atti successivi (di
conferma e di diniego di autotutela) siano stati adottati in presenza dei
presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria, di cui si sia dato
conto in motivazione.
10.1. La risposta è negativa, come dedotto con i su riportati motivi di
appello, atteso che:
- l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore,
esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in
sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
- l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi
dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco
il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze
sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali
fattispecie legittimanti;
- né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente
necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal
testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la
presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal
tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di
maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
- infine, manca anche l’indicazione di una situazione di
eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari
previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi
individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi
nei termini sopra detti.
11. L’appello va quindi accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza
di primo grado, va accolto il ricorso proposto dal Fallimento Be. s.r.l. e
vanno annullati gli atti impugnati (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.03.2020 n. 1759 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2020 "Ordine
del giorno concernente gli incentivi per la rimozione
dell’amianto negli ex capannoni industriali in disuso" (deliberazione
C.R. 17.12.2019 n. 884). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI – Divieto di impiego di prodotti contenenti amianto
a partire dalla l. 257/1992 – Qualificazione dei materiali
come rifiuti abbandonati – Riferimento al momento della
scoperta.
La circostanza che l’impiego di prodotti
di amianto o contenenti amianto risulti vietato a partire
dalla legge 257/1992 non modifica la qualificazione dei
materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la
qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la
condizione giuridica dei rifiuti deve essere riferita al
momento della scoperta, ossia al presente.
...
RIFIUTI – Ordine di rimozione associato a un ordine di
caratterizzazione – Legittimità – Art. 239, c. 1-a, d.lgs.
n. 152/2006.
La scelta di associare all’ordine di
rimozione dei rifiuti abbandonati un ordine di
caratterizzazione dell’area interessata dall’abbandono dei
rifiuti, deve ritenersi legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra
la fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente
collocata nell’immediatezza della scoperta, e la fase
successiva ed eventuale di bonifica dell’area.
La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale veicolo
di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali,
e dunque nel momento in cui si effettua la rimozione occorre
accertare se vi siano situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art. 239, comma
1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da
svolgere a seguito della rimozione dei rifiuti.
...
RIFIUTI – Rimozione dei rifiuti abbandonati – Continuità con
l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali –
Coordinamento tra amministrazioni competenti sui rifiuti e
sulla bonifica.
La bonifica riguarda operazioni distinte
dalla rimozione dei rifiuti abbandonati, e si fonda sul
diverso presupposto del superamento delle concentrazioni
soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione
del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla
bonifica, rientra nella competenza della Provincia (v. art.
242-244 del Dlgs. 152/2006).
In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione
dei rifiuti abbandonati e l’analisi della contaminazione
delle matrici ambientali. I rifiuti non controllati devono
infatti essere presi in esame come potenziali cause di
superamento delle CSC, o come fattori di un rischio
imminente di contaminazione.
È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni
che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno
competenza sulla bonifica. In questo quadro, è legittimo che
l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato
a un ordine di caratterizzazione. Si tratta evidentemente di
una prima caratterizzazione, i cui risultati devono essere
discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi
sia effettivamente una situazione di contaminazione, o se
siano necessari nuovi campionamenti.
I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto
dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura
di analisi del rischio sito specifica per la determinazione
delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Una volta
fissate le CSR, la conferenza di servizi decide sulla
necessità e sul contenuto della bonifica (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 07.02.2020 n. 114 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Per
quanto riguarda la competenza del sindaco, espressamente prevista dell’art.
192, comma 3, del Dlgs. 152/2006 in relazione all’ordine di
rimozione e avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti abbandonati, la
giurisprudenza ritiene che questa norma, in quanto disposizione speciale
sopravvenuta, prevalga sul principio di devoluzione dei compiti gestionali
ai responsabili degli uffici previsto dall’art. 107, comma 5, del Dlgs.
267/2000.
---------------
In base all’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006, la rimozione dei
rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, può essere
imposta al proprietario dell’area qualora l’abbandono sia imputabile a
titolo di dolo o colpa.
---------------
La circostanza che l’impiego di prodotti di amianto o contenenti amianto
risulti vietato a partire dalla legge 257/1992 non modifica la
qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la
qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la condizione giuridica
dei rifiuti deve essere riferita al momento della scoperta, ossia al
presente.
Non è quindi rilevante quello che il proprietario dell’area poteva fare in
passato con l’amianto. Rileva unicamente che nella sfera di controllo del
proprietario dell’area si trovino attualmente dei rifiuti contenenti
amianto, e dunque pericolosi.
In proposito, occorre richiamare anche la normativa comunitaria, la
quale (v. art. 3 par. 1.6 della Dir. 19.11.2008 n. 2008/98/CE, nonché i
successivi art. 14 e 15) impone l’obbligo di rimozione e smaltimento non
solo al produttore storico dei rifiuti ma anche al detentore attuale, inteso
come la persona fisica o giuridica nel possesso degli stessi.
---------------
Per quanto riguarda la scelta di associare all’ordine di rimozione dei
rifiuti abbandonati un ordine di caratterizzazione dell’area interessata
dall’abbandono dei rifiuti, si può ritenere che tale combinazione sia
legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra la
fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente collocata
nell’immediatezza della scoperta, e la fase successiva ed eventuale di
bonifica dell’area. La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale
veicolo di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali, e dunque
nel momento in cui si effettua la rimozione occorre accertare se vi siano
situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art.
239, comma 1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da svolgere
a seguito della rimozione dei rifiuti.
---------------
La bonifica riguarda operazioni distinte dalla rimozione dei rifiuti
abbandonati, e si fonda sul diverso presupposto del superamento delle
concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione
del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla bonifica,
rientra nella competenza della Provincia (v. art. 242-244 del Dlgs.
152/2006).
In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione dei rifiuti
abbandonati e l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali. I
rifiuti non controllati devono infatti essere presi in esame come potenziali
cause di superamento delle CSC, o come fattori di un rischio imminente di
contaminazione. È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni
che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno competenza sulla
bonifica. In questo quadro, è legittimo, come si è visto sopra, che l’ordine
di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato a un ordine di
caratterizzazione.
Si tratta evidentemente di una prima caratterizzazione, i cui risultati
devono essere discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi sia
effettivamente una situazione di contaminazione, o se siano necessari nuovi
campionamenti. I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto
dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura di analisi del
rischio sitospecifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di
rischio (CSR). Una volta fissate le CSR, la conferenza di servizi decide
sulla necessità e sul contenuto della bonifica.
---------------
15. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le
seguenti considerazioni.
Sulla competenza del sindaco
16. Per quanto riguarda la competenza del sindaco, espressamente prevista
dell’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006 in relazione all’ordine di
rimozione e avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti abbandonati, la
giurisprudenza ritiene che questa norma, in quanto disposizione speciale
sopravvenuta, prevalga sul principio di devoluzione dei compiti gestionali
ai responsabili degli uffici previsto dall’art. 107, comma 5, del Dlgs.
267/2000 (v. recentemente CS Sez. V 08.07.2019 n. 4781).
17. È vero che il provvedimento impugnato è esteso anche all’attività di
bonifica, la quale rientra invece nella regola generale della competenza
dirigenziale, ma si tratta di una questione da risolvere in via
interpretativa, coordinando i vari ordini impartiti alla ricorrente.
18. Risulta infatti legittimo che il sindaco disponga la rimozione dei
rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, e
contestualmente anticipi uno degli esiti possibili del seguito della
procedura, ossia l’obbligo di bonifica per l’ipotesi di accertamento della
contaminazione delle matrici ambientali. In questo modo, il sindaco non si
appropria di competenze dirigenziali, ma fornisce al destinatario
dell’ordinanza un quadro degli adempimenti che potrebbero subentrare una
volta rimossi i rifiuti ed effettuata la caratterizzazione dell’area.
Sulla responsabilità dell’abbandono dei rifiuti
19. In base all’art. 192, comma 3, del Dlgs. 152/2006, la rimozione dei
rifiuti abbandonati, ai fini dell’avvio a recupero o smaltimento, può essere
imposta al proprietario dell’area qualora l’abbandono sia imputabile a
titolo di dolo o colpa.
20. Nello specifico, l’elemento soggettivo emerge in modo evidente dalla
doppia posizione della ricorrente, non solo proprietaria dell’area ma anche
titolare dell’attività produttiva. L’utilizzazione a scopi produttivi
implica un controllo effettivo ed esclusivo tanto dell’area quanto delle
operazioni svolte sulla stessa. Non vi è dunque spazio per un ragionevole
dubbio circa interferenze di soggetti terzi sfuggite alla vigilanza della
ricorrente.
21. La circostanza che l’impiego di prodotti di amianto o contenenti amianto
risulti vietato a partire dalla legge 257/1992 non modifica la
qualificazione dei materiali come rifiuti abbandonati, e neppure la
qualificazione come rifiuti pericolosi, in quanto la condizione giuridica
dei rifiuti deve essere riferita al momento della scoperta, ossia al
presente. Non è quindi rilevante quello che il proprietario dell’area poteva
fare in passato con l’amianto. Rileva unicamente che nella sfera di
controllo del proprietario dell’area si trovino attualmente dei rifiuti
contenenti amianto, e dunque pericolosi.
22. In proposito, occorre richiamare anche la normativa comunitaria, la
quale (v. art. 3 par. 1.6 della Dir. 19.11.2008 n. 2008/98/CE, nonché i
successivi art. 14 e 15) impone l’obbligo di rimozione e smaltimento non
solo al produttore storico dei rifiuti ma anche al detentore attuale, inteso
come la persona fisica o giuridica nel possesso degli stessi. Questo
parametro identifica ancora la ricorrente, che è proprietaria dell’area da
molti anni, ed esercita sulla stessa, attualmente come in passato, un pieno
controllo, coincidente con la nozione comunitaria di possesso.
Sull’obbligo di caratterizzazione
23. Per quanto riguarda la scelta di associare all’ordine di rimozione dei
rifiuti abbandonati un ordine di caratterizzazione dell’area interessata
dall’abbandono dei rifiuti, si può ritenere che tale combinazione sia
legittima.
La caratterizzazione è infatti il punto di congiunzione tra la
fase di allontanamento dei rifiuti, necessariamente collocata
nell’immediatezza della scoperta, e la fase successiva ed eventuale di
bonifica dell’area. La presenza di rifiuti incontrollati è un potenziale
veicolo di trasferimento degli inquinanti nelle matrici ambientali, e dunque
nel momento in cui si effettua la rimozione occorre accertare se vi siano
situazioni di contaminazione.
In questo senso può essere interpretato l’art.
239, comma 1-a, del Dlgs. 152/2006, che disciplina le verifiche da svolgere
a seguito della rimozione dei rifiuti.
24. Sul problema dell’estensione dell’area da sottoporre a caratterizzazione
era stato disposto, attraverso le ordinanze cautelari sopra indicate, un
confronto tra la ricorrente e il Comune. Tale confronto aveva lo scopo di
raggiungere per gradi, e nel contraddittorio della conferenza di servizi,
una più precisa localizzazione dei rifiuti abbandonati, e conseguentemente
dei punti da sottoporre a caratterizzazione. L’ordinanza n. 471/2018 ha
sottolineato la necessità di leale collaborazione tra tutti i soggetti
coinvolti, con la riserva di valutare il comportamento delle parti come
argomento di prova ai sensi dell’art. 64, comma 4 cpa.
25. Come si è visto sopra, le indicazioni propulsive formulate in sede
cautelare non hanno prodotto risultati, a causa del rifiuto della ricorrente
di eseguire le analisi sulla propria aliquota di materiale prelevato il
24.05.2018. Senza la validazione dei risultati sui contaminanti non vi sono
elementi sicuri che consentano di riproporzionare le aree da caratterizzare.
L’obbligo a carico della ricorrente rimane quindi riferito all’intero
mappale n. 220, secondo le direttive che saranno formulate dall’ARPA sulla
base dei dati a disposizione della stessa.
Sul rapporto tra rimozione dei rifiuti e bonifica
26. La bonifica riguarda operazioni distinte dalla rimozione dei rifiuti
abbandonati, e si fonda sul diverso presupposto del superamento delle
concentrazioni soglia di contaminazione (CSC). Oltretutto, l’individuazione
del responsabile della contaminazione, soggetto tenuto alla bonifica,
rientra nella competenza della Provincia (v. art. 242-244 del Dlgs.
152/2006).
27. In concreto, tuttavia, esiste continuità tra la rimozione dei rifiuti
abbandonati e l’analisi della contaminazione delle matrici ambientali. I
rifiuti non controllati devono infatti essere presi in esame come potenziali
cause di superamento delle CSC, o come fattori di un rischio imminente di
contaminazione. È quindi necessario un coordinamento tra le amministrazioni
che hanno competenza sui rifiuti e quelle che hanno competenza sulla
bonifica. In questo quadro, è legittimo, come si è visto sopra, che l’ordine
di rimozione dei rifiuti abbandonati sia associato a un ordine di
caratterizzazione.
28. Si tratta evidentemente di una prima caratterizzazione, i cui risultati
devono essere discussi nella conferenza di servizi, per stabilire se vi sia
effettivamente una situazione di contaminazione, o se siano necessari nuovi
campionamenti. I risultati ottenuti confluiscono poi, come previsto
dall’art. 242, comma 4, del Dlgs. 152/2006, nella procedura di analisi del
rischio sitospecifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di
rischio (CSR). Una volta fissate le CSR, la conferenza di servizi decide
sulla necessità e sul contenuto della bonifica.
29. Il Comune, attraverso l’ordinanza n. 80/2017, ha delineato questo
percorso, ma evidentemente non ha anticipato, né avrebbe potuto anticipare,
le valutazioni proprie dei passaggi successivi, nei quali dovranno essere
coinvolte altre amministrazioni, e in particolare l’ARPA e la Provincia.
Di conseguenza, il suddetto provvedimento, letto in collegamento con la nota
del NOE di Brescia del 20.03.2017, risulta legittimo, in quanto
interpretabile come un ordine riferito all’immediata rimozione dei rifiuti
abbandonati e alla prima caratterizzazione dell’area, in vista di un
successivo intervento di bonifica da valutare con il concorso di tutte le
amministrazioni competenti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 07.02.2020 n. 114 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: F.
Vanetti,
La complessa identificazione del materiale di riporto. analisi e proposte
per un nuovo approccio alla tematica - commento a
TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.12.2019 n.
2691 (febbraio 2020
- link a http://rgaonline.it).
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MASSIMA:
- La collocazione relativamente recente del
materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti
sono due aspetti convergenti nell’evidenziare la mancanza, nella
fattispecie, dell’orizzonte stratigrafico richiesto dalla normativa ai fini
della qualificazione del materiale di riporto.
- Nel caso in cui l’amianto perda la sua originaria destinazione
(essendo state demolite le case di cui costituiva il rivestimento), la
classificazione del materiale in questione deve essere di rifiuto speciale
pericoloso, non assoggettabile a bonifica. |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco che non si occupa dello
smaltimento dell'amianto.
Rifiuto di atti d'ufficio per il sindaco pro-tempore che non si attiva per
far smaltire le lastre di eternit accatastate alla rinfusa sul terreno di un
privato.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con
la
sentenza 16.01.2020 n. 1657 in linea con i
precedenti gradi di giudizio.
La vicenda si incardina sulla decisone della Corte d'appello di Milano che
aveva ribadito la responsabilità, affermata in primo grado dal Tribunale di
Pavia, in ordine al reato di rifiuto di atti d'ufficio (articolo 328 del
codice penale) per il sindaco pro tempore di un Comune.
L'uomo, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati
cittadini, in un arco temporale di alcuni anni (maggio 2010-marzo 2014),
aveva omesso di assumere qualunque iniziativa atta a imporre al proprietario
dell'area lo smaltimento del materiale di amianto accatastato alla rinfusa e
all'aperto su un terreno. Iniziativa, invece, immediatamente assunta dal
sindaco a lui subentrato con un'ordinanza contingibile e urgente che aveva
risolto il problema ed evitato il pericolo di contaminazione delle aree
limitrofe.
Contro questa sentenza, il sindaco imputato ha proposto ricorso per
cassazione. La Suprema corte ha confermato quanto deciso nei precedenti
gradi di giudizio. Il reato di rifiuto, esplicito 0 implicito, di un atto
d'ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge
(giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può
manifestarsi come reato continuato quando -come si legge nella sentenza- «a
fronte di formali sollecitazioni a agire rivolte al pubblico ufficiale e
rimaste senta esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui a
esplicare i suoi effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia
suscettibile di farla cessare».
La precisazione dei giudici è, poi, che nella fattispecie considerata, il
reato si è consumato ogni volta che l'imputato ha rifiutato di intervenire a
fronte di tutti i solleciti ricevuti che rendevano indifferibile l'adozione
dell'atto d'ufficio (nella specie, un'ordinanza contingibile e urgente)
imposto da esigenze di protezione sanitaria (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
17.01.2020).
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MASSIMA
3. Possono ora essere esaminati congiuntamente il secondo, il
terzo e parzialmente il quarto motivo di ricorso che, al di là
dell'impropria individuazione dei bersagli oggetto di censura, investono
tutti la questione centrale del presente giudizio e vale a dire la struttura
dell'illecito penale contestato al ricorrente ai sensi dell'art. 328 cod.
pen.
Dalla lettura coordinata della sentenza impugnata e degli atti delle parti
private si ricava che a seguito del rigetto dell'iniziale richiesta di
archiviazione e della imposizione coattiva di procedere ex art. 409, comma
5, cod. proc. pen., il PM ha configurato il delitto di cui all'art. 328 cod.
pen. come reato permanente a partire dalla prima segnalazione dell'esistenza
del problema sanitario (l'abbandono a cielo aperto di rifiuti contaminati da
amianto in un'area privata) da parte del Corpo Forestale dello Stato nel
maggio 2010 fino al marzo 2014, epoca in cui ancora una volta lo stesso
Corpo segnalava la persistenza della situazione pericolosa.
Nella motivazione della sentenza impugnata, la Corte d'Appello dà conto di
sei inviti formali rivolti al Sindaco, il primo il 21/05/2010 e l'ultimo il
21/03/2014 da parte di organi pubblici o da privati cittadini, tra cui la
parte offesa Gi.Al. nonché lo stesso proprietario dell'area su cui era stata
riscontrata la presenza dei rifiuti (Gu.Gi.), tutti rimasti senza effetto,
tanto che la vicenda avrebbe trovato soluzione solo con l'insediamento del
nuovo Sindaco che, non appena insediato, emanava ordinanza urgente, tra
l'altro prontamente ottemperata dall'interessato, di provvedere allo
smaltimento controllato dei rifiuti in questione.
Ciò premesso riguardo alla ricostruzione della fattispecie concreta, vanno
svolte le seguenti considerazioni in diritto.
Risultano infondate le doglianze concernenti la presunta genericità ed
imprecisione del capo d'imputazione nonché la violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza.
Come anticipato, la mancata indicazione nel capo d'imputazione delle
specifiche sollecitazioni a dispetto delle quali il ricorrente omise di
adottare atti del suo ufficio non ha inciso affatto sul nucleo fondamentale
dell'accusa, rappresentata per l'appunto dalla mancata adozione di
provvedimenti al configurarsi di quella particolare situazione di fatto da
cui scaturiva l'obbligo giuridico di agire.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità, infatti,
ha più volte affermato il principio che il delitto di cui all'art. 328,
comma 1, cod. pen. è integrato, ogni qualvolta si configuri una situazione
di fatto che qualifichi l'atto omesso come dovuto
(v. oltre per la giurisprudenza).
Risulta, inoltre, infondata anche la doglianza relativa alla mancata
correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che l'imputazione è rimasta
anche formalmente inalterata e le specifiche occasioni prese in
considerazione dalla Corte di merito per valutare la sussistenza
dell'omissione penalmente rilevante (pag. 7 sent.) erano tutte a conoscenza
dell'imputato fin dalla fase successiva all'articolazione formale
dell'accusa e da cui ha potuto ampiamente difendersi.
E' noto, infatti, che una o meglio la ragione fondamentale che sostanzia il
principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen. è quella di consentire
all'imputato il pieno dispiegarsi del suo diritto a difendersi, che sarebbe
vanificato ove la condanna intervenisse per un fatto non contestato e su cui
non si è instaurato contraddittorio nel corso del giudizio (ex pluribus
v. Sez. 2, sent. n. 11459 del 10/03/2015, Tribuzio, Rv. 263306; Sez. 3, sent.
n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 6, sent. n. 34879 del
10/01/2007, Sartori e altri, Rv. 237415).
Come parimenti anticipato, il tema che viene veramente in
rilievo riguarda la struttura del reato di cui all'art. 328, comma 1 cod.
pen. di rifiuto di atti d'ufficio.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è ferma nel
ritenerlo reato a consumazione istantanea
(Sez. 6, sent. n. 43903 del 13/07/2018, Mango, Rv. 274574; Sez. 6, sent. n.
27044 del 19/02/2008, Mascia, Rv. 240979; Sez. 6, sent. n. 35837 del
26/04/2007, Civisca, Rv. 237706; Sez. 6, sent. n. 12238 del 27/01/2004, PG
in proc. Bruno ed altri, Rv. 228277), che può, tuttavia,
palesarsi sotto forma di rifiuto implicito ovvero di persistente inerzia
omissiva (Sez. 6, sent. n. 47531
del 20/11/2012, Cambria, Rv. 254039; Sez. 6, n. 10051 del 20/11/2012, dep.
2013, Nolè, Rv. 255717; Sez. 6, sent. n. 7766 del 09/12/2002, dep. 2003, PM
in proc. Masi, Rv. 223955) a fronte di un'urgenza
sostanziale (Sez. 4, sent. n.
17069 del 16/02/2012, Ranasinghe Arachchige Samudri e altri, Rv. 253067)
o di una situazione che qualifichi l'atto omesso come dovuto
(Sez. 6, n. 33857/2014 cit.; Sez. 6, n. 13519 del 29/01/2009, Gardali e
altri, Rv. 243684).
Non v'è dubbio, tuttavia, che l'affermazione dell'eguale rilevanza
penalistica della persistente inerzia omissiva rispetto al rifiuto formale
può suscitare incertezze interpretative circa la struttura dell'illecito
penale, con la possibilità per taluni di consideralo reato eventualmente
permanente, atteso che solo la relativamente recente Sez. 6 sent. n.
43903/2018 cit. ha espressamente stabilito che esso rimane istantaneo anche
ove si palesi sotto forma di inerzia omissiva.
Questa è verosimilmente una delle ragioni che ha indotto il Pubblico
Ministero, a fronte dell'ordine di formulazione coattiva dell'imputazione da
parte del GIP, a contestare il reato come permanente, ferma restando, però,
la primaria esigenza di fotografare con l'imputazione la peculiare
fattispecie emersa dalle indagini.
Tanto premesso, il Collegio non intende discostarsi dalla
concezione e dalla affermazione giurisprudenziale tradizionali che quello di
cui all'art. 328, comma 1, cod. pen. costituisce reato di natura istantanea,
ma deve confrontarsi con la fattispecie in esame che ha visto il pubblico
ufficiale reiteratamente e formalmente sollecitato ad adottare un atto del
proprio ufficio, da intendersi come atto dovuto per le più volte segnalate
esigenze di tutela sanitaria.
Pur essendovi, dunque, la possibilità di rifarsi a specifici precedenti
giurisprudenziali circa la configurabilità del reato in caso di mancata
adozione da parte del Sindaco di atti del suo ufficio in situazioni <potenzialmente
pregiudizievoli per l'igiene e la salute pubblica> (Sez. 6, sent. n.
12147 del 12/02/2009, Sodano, Rv. 242937; Sez. 6, n. 13519/2009, Gardali e
altri cit.), sembra opportuno affermare con nettezza che
nella fattispecie considerata il reato si è consumato ogni volta che
l'imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni
prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta (la
presenza di rifiuti di amianto accatastati a cielo aperto in prossimità di
abitazioni limitrofe) che rendeva indifferibile l'adozione dell'atto
d'ufficio (nella specie: ordinanza contingibile e urgente) imposto dalle più
volte ricordate esigenze di protezione sanitaria.
Conclusivamente il reato istantaneo di rifiuto, esplicito o
implicito, di un atto dell'ufficio, imposto da una delle ragioni
espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine
pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato (concorso
materiale omogeneo) quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire
rivolti al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione
potenzialmente pericolosa continui ad esplicare i suoi effetti negativi e
l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare.
Alla luce delle precedenti considerazioni, deve escludersi che la Corte
territoriale abbia ravvisato la sussistenza di una pluralità di reati,
limitandosi unicamente a precisare le modalità di manifestazione del reato.
La qualificazione come reato continuato comporterebbe a rigore, ai sensi
dello art. 158, comma 1, cod. pen., la necessità di dichiararne la
prescrizione in relazione alle condotte omissive manifestatesi prima del
12/05/2012 (termine di prescrizione massima: la data odierna del 12/11/2019)
e concretamente al rifiuto implicito maturato dopo la prima segnalazione
dell'abbandono all'aperto delle lastre di eternit da parte del Corpo
Forestale dello Stato del 21/05/2010, ma l'irrogazione della pena minima di
quattro mesi di reclusione rende priva di effetto sul piano sanzionatorio
tale pur doverosa precisazione. |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Vivoli, LE
RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN CASO DI ABBANDONO RIFIUTI:
Sentenze contrastanti o diversi valori costituzionali in
gioco? (gennaio 2020 - tratto da
www.ambientediritto.it).
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ABSTRACT: Nel
contributo vengono analizzate le posizioni che la
giurisprudenza ha assunto nei confronti del curatore
fallimentare in caso di abbandono rifiuti derivanti dalla
precedente attività dell’impresa fallita; rispetto a
posizioni oscillanti della giurisprudenza, il contributo
cerca di offrire una prospettiva più ampia che si fonda sui
diversi valori costituzionali che possono e in alcuni casi
impongono posizioni differenziate.
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SOMMARIO: 1. Introduzione e delimitazione
dell’analisi giuridica; 2. Le peculiarità della figura del
curatore nella giurisprudenza ordinaria; 3. Il curatore come
soggetto subentrante; 4. Il curatore come soggetto detentore
dei rifiuti; 5. Il caso dell’amianto; 6. Conclusioni. |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia,
supplemento n. 53
del 30.12.2019
"Disposizioni per
l’attuazione della programmazione economico - finanziaria
regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della l.r. 31.03.1978,
n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul
bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2020" (L.R.
30.12.2019 n. 23).
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Di particolare
interesse si leggano:
● Art. 1 - (Disposizioni
in materia di personale delle province e della Città
metropolitana di Milano impiegato per l’esercizio di
funzioni confermate in capo alle stesse)
● Art. 2 - (Sostituzione
dell’articolo 20-ter della l.r. 19/2008)
1. L’articolo 20-ter della legge regionale 27.06.2008, n. 19
(Riordino delle Comunità montane della Lombardia, disciplina
delle unioni di comuni lombardi e sostegno all’esercizio
associato di funzioni e servizi comunali) è sostituito dal
seguente: (...continua)
● Art. 22 - (Modifica
dell’art. 13 della l.r. 4/2016)
1. Al comma 1 dell’articolo 13 della legge regionale
15.03.2016, n. 4 (Revisione della normativa regionale in
materia di difesa del suolo, di prevenzione e mitigazione
del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d’acqua)
sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: (...continua)
● Art. 30 - (Modifiche
alla l.r. 17/2003)
1. Alla legge regionale 29.09.2003, n. 17 (Norme per il
risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento
dell’amianto) sono apportate le seguenti modifiche: (...continua) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 24.12.2019, "Bando
per L’assegnazione di contributi ai cittadini per la
rimozione di coperture e di altri manufatti in
cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o.
14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione Terzo ed ultimo elenco
di domande ammesse e non ammesse a finanziamento ed
assunzione degli impegni di spesa" (decreto
D.U.O. 18.12.2019 n. 18680). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Amianto
oscillante tra rifiuto e bonifica
Amianto non sempre assoggettato alla disciplina sulle bonifiche, bensì a
quella sui rifiuti.
I chiarimenti giungono dal TAR Lombardia-Milano (Sez. III) con la
sentenza 18.12.2019 n. 2691.
Il punto nodale della controversia concerne proprio la dimostrazione della
riconducibilità degli Mca, rinvenuti in alcune aree della città di Milano
oggetto di un investimento immobiliare, alle matrici materiali di riporto.
Nella sentenza in oggetto il collegio non ritiene di potere condividere
l'impostazione secondo la quale, partendo dall'assunto che i materiali
contenenti amianto (Mca) sono assimilabili alle matrici materiali di riporto
(Mmr), ne pretende l'assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche (Parte
IV, Tit. V, Tua) anziché a quella sui rifiuti (Parte IV, Tit. I, Tua).
I
giudici, pur non evidenziando un'aprioristica esclusione dalla bonifica dei
materiali contenenti amianto, rileva gli elementi per motivare la non riconducibilità degli Mca rinvenuti nel terreno fra le Mmr, di cui agli art.
185 e 240 del Tua. Tali elementi fanno leva sull'origine e sulle
caratteristiche merceologiche degli Mca.
La circostanza, ad esempio, che i
materiali in questione provengano da demolizioni relativamente recenti non
può che allontanare, sotto più profili, i materiali stessi dalla categoria
delle matrici materiali di riporto. Va, in tal senso, rammentato che, stando
alla norma d'interpretazione autentica dell'art. 185 del dlgs 152 del 2006
(l'art. 3 del dl 25/01/2012, e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica,
quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone
un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche
geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e
utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa collocazione temporale dei riporti, si
ricava da un'interpretazione complessiva della norma che essi debbono essere
risalenti nel tempo, sì da costituire «un orizzonte stratigrafico
specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che, utilizzato nel corso
del tempo per la realizzazione di riempimenti, rilevati e reinterri, ha
avuto modo di stratificarsi e sedimentarsi nel suolo, a profondità
variabili, sino ad assestarsi e compattarsi con il terreno naturale,
determinando per tale via un nuovo orizzonte stratigrafico
(articolo ItaliaOggi Sette del 13.01.2020).
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SENTENZA
13) Passando all’esame del merito, il Collegio ritiene
utile, per comodità espositiva, scrutinare congiuntamente i
suesposti motivi di ricorso, trattandosi delle stesse
questioni di fondo o, comunque, di questioni strettamente
connesse, come confermato dalla trattazione sostanzialmente
unitaria dei motivi da parte dello stesso patrocinio
ricorrente.
13.1) Seguendo l’impostazione di quest’ultimo, l’essenza del
ricorso in epigrafe consisterebbe nella corretta
individuazione della definizione e della estensione
oggettiva dei materiali di riporto nonché nella corretta
interpretazione del concetto di messa in sicurezza
permanente (MISP).
13.1.1) Quanto al primo aspetto, ad avviso della ricorrente,
la presenza dei materiali contenenti amianto (MCA), così
come rinvenuti nel sito in esame, non determinerebbe alcuna
variazione rispetto all’assimilazione dei materiali stessi
al terreno, così come normativamente cristallizzata. Da tale
assimilazione deriverebbe, poi, passando al secondo aspetto
su indicato, l’assoggettamento del sito alla disciplina
sulle bonifiche dei siti contaminati e, in particolare,
l’applicazione della disciplina sulla messa in sicurezza
permanente.
Da ciò l’illegittimità del diniego impugnato, in primo
luogo, per contrasto con gli artt. 185 e 240, lett. a), TUA,
per avere disatteso l’equiparazione dei materiali di riporto
al terreno, operata a livello di normativa primaria, proprio
al fine di risolvere il dubbio interpretativo che si era
posto in relazione alla qualificazione giuridica di tali
materiali, classificati secondo alcune amministrazioni come
rifiuti. Ove si fosse seguita la predetta equiparazione, non
si sarebbe potuta negare l’applicabilità nella fattispecie
della disciplina sulle bonifiche anche ai materiali di
riporto non scavati da mantenere in situ.
Ciò, tenuto conto che la società avrebbe già previsto che,
mentre lo strato di materiali scavati e da rimuovere sarebbe
stato gestito come rifiuto, il riporto rimanente in situ
sarebbe stato assoggettato alla messa in sicurezza
permanente, secondo la disciplina relativa alle bonifiche,
richiamata e fatta salva tanto dall’art. 185 del TUA quanto
dall’art. 3 del D.L. n. 2 del 2012, in quanto risultato
conforme al test di cessione. Dall’esecuzione di quest’ultimo,
precisa l’istante, sarebbe stato appurato che la matrice
materiale di riporto attualmente esistente sul sito di Via
Novate, sia per l’Area A che per l’Area B, non sarebbe fonte
di contaminazione, non comportando alcun superamento dei
parametri normativi per l’uso residenziale.
In questi casi, si ribadisce, lo stesso art. 3 citato, al
comma 2 prevedrebbe la conseguente necessaria applicazione
delle norme sui siti contaminati che, nella fattispecie,
consentirebbero di realizzare una MISP la quale, come
riconosciuto dall’ATS in tutte le proprie note,
consentirebbe il taglio dei percorsi espositivi, rendendo
completamente utilizzabile il sito.
13.1.2) L’essenza delle due note, di ARPA e Città
Metropolitana, che avrebbero di fatto inibito al Comune di
concludere il procedimento, approvando il progetto della
ricorrente, avrebbero continuato ad applicare la vecchia
definizione di rifiuto ai riporti, ignorando completamente
il dettato normativo sopra ricordato e, anzi, vanificandolo.
L’interpretazione fornita dall’ARPA e dalla Città
Metropolitana e fatta propria dal provvedimento impugnato,
nel definire gli MCA rinvenuti nel suolo come rifiuto,
isolandoli dal contesto del materiale di riporto, oltre ad
essere contra legem, non incontrerebbe né i principii
della tutela ambientale né quelli della tutela sanitaria,
poiché imporrebbe una soluzione –quella del necessario scavo
e movimentazione di materiale contenente amianto-, passibile
di dispersione di fibre e che non taglierebbe affatto i
percorsi espositivi.
13.1.3) Quanto alla circolare del MATT del 10.11.2017, n.
15786 -emanata a seguito della nuova disciplina in materia
di terre e rocce da scavo, di cui al DPR 13.06.2017, n. 120-
la stessa si occuperebbe esclusivamente dei riporti
contenuti nelle terre e rocce prodotte dalle attività di
scavo, ammettendo anche per essi, addirittura nel caso in
cui non siano risultati conformi al test di cessione (cfr.
part III pag. 5/8), la MISP.
Si richiama a tal riguardo la sentenza di questo TAR (sez.
III, 14.12.2015, n. 2638, nel noto caso del condominio di
Via Savona - Milano) che avrebbe escluso che i riporti,
anche ove non conformi, debbano essere trattati come
rifiuti, potendosi applicare quindi la procedura di MISP
persino nel caso in cui i medesimi siano fonti di
contaminazione.
13.2) La difesa comunale, nelle proprie controdeduzioni,
dopo avere premesso che gli MCA possono avere una duplice
classificazione, potendo costituire rifiuti, qualora
rinvenuti nella matrice ambientale del suolo naturale, o
riporti, qualora rinvenuti in una miscela eterogenea di
terreno e materiali antropici, ha evidenziato che, nella
specie, l’ARPA e la Città Metropolitana di Milano avrebbero
ripetutamente affermato che gli MCA rinvenuti nello strato
di riporto dovrebbero essere configurati quali rifiuti ed
assoggettati alla relativa normativa. Gli stessi Enti,
prosegue il patrocinio comunale, avrebbero al contempo
inquadrato la proposta della ricorrente quale messa in
sicurezza permanente di rifiuti che, tuttavia, osserva il
Comune, non sarebbe ammessa dalla normativa vigente.
Conseguentemente, il Comune di Milano non avrebbe potuto
fare altro che prendere atto del parere sfavorevole degli
Enti competenti, posto che, se i materiali presenti
nell’area oggetto di intervento sono da considerare come
rifiuti, non può trovare per essi applicazione la disciplina
dei siti contaminati, in quanto l’art. 239 del TUA dispone
che le norme in materia di bonifica non si applicano
all’abbandono dei rifiuti.
Il Comune di Milano, quindi, in qualità di amministrazione
procedente avrebbe concluso la conferenza di servizi sulla
base della posizione prevalente, così come espressa dalla
Città Metropolitana e dall’Arpa. La diversa posizione,
manifestata dal Comune sin dalla seduta del 20.07.2018 e
diretta a qualificare l’intervento come messa in sicurezza
permanente, avrebbe richiesto, spiega sempre la difesa
civica, l’adesione dell’ARPA e/o di Città Metropolitana alla
tesi, ben diversa da quella da loro in concreto seguita, che
ravvisa nella fattispecie non già rifiuti ma fonti
inquinanti di matrici ambientali. Questo sarebbe stato,
chiarisce ancora il Comune di Milano, il presupposto
dell’intervento di bonifica del Nuovo Palazzo del Cinema e
dei Congressi del Lido di Venezia, che avrebbe trattato gli
MCA come riporti e non come rifiuti.
Né potrebbe poi sostenersi, come pure prospettato dalla
Città Metropolitana, che il parere dell’ATS sulla gestione
sanitaria dell’amianto potrebbe rappresentare la posizione
prevalente della Conferenza di servizi, atteso che l’azienda
sanitaria è chiamata ad esprimersi in ragione dei soli
profili di sua competenza, in materia di tutela della salute
e della sicurezza dei futuri utilizzatori del sito e dei
lavoratori durante le fasi operative della bonifica e della
messa in sicurezza. Detto altrimenti, l’Azienda sanitaria
valuterebbe come l’intervento deve essere e non se
l’intervento possa o meno essere attuato.
13.3) La Città Metropolitana, dal canto suo, ha ribadito
che:
- la campagna di analisi condotta nel 2017 avrebbe accertato la
presenza, nei campioni compositi rappresentativi dell'intero
sito, di fibre libere di amianto oltre i limiti di cui alla
tabella 1 dell’allegato 5 al Titolo V della parte Quarta del
D.Lgs. n. 152/2006, mentre non sarebbero stati rinvenuti
altri superamenti delle CSC per gli altri parametri;
- come comunicato sin dal 15.06.2018 (cfr. doc. n. 7 della
produzione resistente), “I frammenti di MCA e la matrice
che li ingloba sono da considerarsi rifiuti sia
merceologicamente che come origine in quanto derivanti dalle
attività di demolizione degli edifici di edilizia popolare,
così come affermato da Metropolitana Milanese S.p.A. nella
nota prot. DPRI 128 PG 0019894 del 21/02/2014 … E’ stata
accertata la presenza di fibre libere, in concentrazioni
pari a 4440 mg/Kg s. s. nel campione composito, sottoposto
ad analisi;…»;
- la presenza di concentrazioni così elevate di fibre libere in un
campione composito di materiale terrigeno, contestualmente
al quantitativo stimato di MCA intimamente frammisti al
rifiuto da vagliare, renderebbe difficile ipotizzare
qualsiasi trattamento diverso dalla semplice rimozione;
- sarebbe stato necessario qualificare i materiali interrati quali
rifiuti, in quanto non sarebbero soddisfatti né i requisiti
di storicità (avuto riguardo all’origine del materiale, da
interramento di residui di demolizione in anni in cui erano
già vigenti norme specifiche di settore), né i requisiti
merceologici per qualificare gli stessi come riporti, anche
sulla base della Circolare n. 13338 del 14/05/2014 del
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare richiamata da parte avversa;
- in base alle verifiche e alle misurazioni effettuate dalla stessa
ricorrente la presenza di MCA distribuiti in maniera non
uniforme non integrerebbe la definizione normativa di
riporto;
- in ogni caso, essa non avrebbe espresso alcuna valutazione
negativa sull'intervento, rimettendosi alle indicazioni e
alle prescrizioni di ATS, nonché, alla decisione
dell'Amministrazione comunale, in veste di autorità
procedente, sul procedimento da applicare per l'approvazione
dell'intervento.
14) I motivi non sono fondati.
14.1) Il Collegio non ritiene di potere
condividere l’impostazione di parte ricorrente, laddove,
partendo dall’assunto che i materiali contenenti amianto (MCA)
sono assimilabili alle matrici materiali di riporto (MMR),
ne pretende l’assoggettamento alla disciplina sulle
bonifiche (Parte IV, Titolo V, TUA) anziché a quella sui
rifiuti (Parte IV, Titolo I, TUA).
Il punto nodale della controversia,
in verità, attiene proprio alla
dimostrazione della riconducibilità degli MCA rinvenuti
nelle aree per cui è causa alle matrici materiali di
riporto, ciò di cui lo stesso ricorrente avrebbe dovuto
farsi carico, poiché, ai sensi dell’art. 2697 c.c., onus
probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, per cui
chi agisce in giudizio ha l'onere di provare, in modo
rigoroso, i fatti e gli elementi specifici che costituiscono
il fondamento della domanda, trovandosi nella posizione
migliore per poterlo fare, secondo la regola della cd.
vicinanza della prova
(cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2017, n.
2184; id., Sez. IV, 30.06.2011, n. 3887; id., Sez. V,
13.06.2008, n. 2967).
Giova, al riguardo, rammentare che il processo
amministrativo, pur contemplando alcuni poteri di
acquisizione officiosa delle prove da parte del giudice, è
fondato sul principio dispositivo dell'onere della prova (di
cui all’art. 64 c.p.a.), di talché spetta a chi agisce in
giudizio indicare e provare i fatti, ogni volta che non
ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra
Amministrazione e privato che giustifica l'applicazione del
principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Tale ultimo principio, peraltro, "non può, comunque, mai
ridursi ad un'assoluta e generale inversione dell'onere
della prova e comunque non consente al giudice
amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando la
ricorrente non si trovi nell'impossibilità di provare il
fatto posto a base della sua azione" (Consiglio Stato,
sez. V, 10.11.2010, n. 8006; nello stesso senso, ex
multis, TAR Lombardia, Milano, III, 09.05.2019, n. 1036;
TAR Napoli, sez. IV, 13/02/2019, n. 799).
Ebbene, nella fattispecie in esame, il proponente addebita
all’amministrazione una violazione o falsa applicazione del
dettato normativo relativo alle matrici materiali di riporto
senza, tuttavia, peritarsi di dimostrare che, contrariamente
a quanto affermato sul punto nelle note prodotte in
conferenza di servizi da ARPA e Città Metropolitana,
richiamate nel provvedimento comunale impugnato, i materiali
rinvenuti nell’ambito oggetto della sua proposta siano
sussumibili fra le predette matrici di riporto.
Sennonché, tale verifica preliminare logicamente s’impone,
dal momento che lo stesso legislatore, nel
delimitare il campo di applicazione della disciplina sulle
bonifiche, all’inizio del Titolo ad esse relativo (il V),
esclude da tale ambito le ipotesi di abbandono di rifiuti (cfr.
art. 239, comma 2 citato).
Ora, contrariamente a quanto affermato dall’esponente,
le note tecniche di ARPA e Città Metropolitana,
pur non evidenziando un’aprioristica esclusione dalla
bonifica dei materiali contenenti amianto,
forniscono nondimeno gli elementi per motivare la non
riconducibilità degli MCA rinvenuti nel sito per cui è causa
fra le MMR, di cui agli artt. 185 e 240 del TUA.
Tali elementi fanno, del tutto
legittimamente, leva sull’origine e sulle caratteristiche
merceologiche degli MCA.
Quanto alla prima, si ricava dalle
contestate note, e
il fatto non è oggetto di specifica contestazione,
che i materiali in questione provengono dalle «coperture
degli edifici che insistevano in sito fino agli inizi degli
anni ’90, ora demoliti», «coperture
non più utilizzabili per il loro scopo originario e ridotte
in pezzi…» (cfr.
il parere ARPA contenente le osservazioni sul verbale della
C.d.s. decisoria del 20.07.2018, allegato sub n. 13 della
produzione comunale, nonché, nello stesso senso, la nota di
Metropolitana Milanese spa datata 21.02.2014, allegata sub
n. 1 della produzione della C.M., ma anche lo stesso
progetto di parte ricorrente, allegato sub n. 3, ove a
pagina 7 riferisce che: «l’areale di progetto è parte di
una più estesa area, in passato destinata ad edilizia
popolare…tali edifici risultano poi essere stati demoliti
tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni novanta»).
La circostanza che i materiali in
questione provengono da demolizioni relativamente recenti
non può che allontanare, sotto più profili, i materiali
stessi dalla categoria delle matrici materiali di riporto.
Va, in tal senso, rammentato che, stando
alla norma d’interpretazione autentica dell'articolo 185 del
decreto legislativo n. 152 del 2006 (l’art. 3 del D.L.
25.01.2012, e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite
da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica,
quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di
terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico
rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche
naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate
per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di
reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa
collocazione temporale dei riporti, si ricava da
un’interpretazione complessiva della norma che essi debbono
essere risalenti nel tempo, sì da costituire «un
orizzonte stratigrafico specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che,
utilizzato nel corso del tempo per la realizzazione di
riempimenti, rilevati e reinterri, ha avuto modo di
stratificarsi e sedimentarsi nel suolo, a profondità
variabili, sino ad assestarsi e compattarsi con il terreno
naturale, determinando per tale via un nuovo orizzonte
stratigrafico.
Si spiega così l’orientamento della giurisprudenza, secondo
cui l'articolo da ultimo citato non si
applica a tutti i materiali di riporto «ma solamente a
quelli che compongono "un orizzonte stratigrafico specifico
rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche
naturali del terreno in un determinato sito", ovverosia a
quelli che -oramai risalenti nel tempo- si sono integrati
fino a farne un tutt'uno con la matrice suolo preesistente»
(cfr., TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, Sent., 04.10.2018, n.
2216; id., sentenza n. 1222/2016).
Anche la finalizzazione del materiale al
riempimento, rilevato e reinterro, ben puntualizzata nella
su richiamata norma, dà adeguatamente conto della rilevanza
che l’origine del riporto assume a mente del legislatore,
atteso che non ogni materiale rinvenuto nel sottosuolo può
costituire MMR, ai sensi e per gli effetti di cui al
succitato art. 3, ma solo quello ivi collocato in quanto
utilizzato per la realizzazione di riempimenti, di rilevati
e di reinterri.
14.2) Applicando le su esposte coordinate ermeneutiche al
caso di specie si ricava che, l’avere stigmatizzato
l’origine del materiale in esame, siccome proveniente dalla
demolizione delle «case minime», avvenuta agli inizi
degli anni 90, rappresenta una logica e coerente premessa al
parere sfavorevole al progetto tanto da parte di ARPA quanto
da parte di Città Metropolitana, non consentendo la stessa
origine dei materiali presenti nel sito d’interesse della
ricorrente la loro riconducibilità alla nozione di MMR.
La collocazione relativamente recente del
materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case
preesistenti sono, in altri termini, due aspetti convergenti
nel denotare la mancanza, nella fattispecie, di quell’orizzonte
stratigrafico specifico richiesto dalla sopra specificata
normativa per le MMR.
14.3) Ad abundantiam, si può solo accennare che,
occupandosi della disciplina della gestione delle terre e
rocce da scavo –le quali, ai sensi dell’art. 186, comma 1,
TUA possono, a determinate condizioni, essere «utilizzate
per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati»-
il D.P.R. 13/06/2017 n. 120 lascia espressamente fuori dal
suo ambito applicativo «i rifiuti provenienti
direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di
edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è
disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo
03.04.2006, n. 152» (così, l’art. 3, comma 2, del DPR
citato).
Tale previsione è coerente con la chiara classificazione
come rifiuto speciale, ex art. 184, comma 3, TUA, dei «rifiuti
derivanti dalle attività di demolizione».
14.4) Né si può trascurare il profilo, pure evidenziato
negli atti dell’ARPA e della Città Metropolitana, delle
caratteristiche merceologiche dei materiali de quibus,
evidentemente da riferire alla circostanza che nei materiali
in questione è presente l’amianto.
Come noto, la normativa specifica sull’amianto si occupa dei
rimedi per arginare i rischi ad esso potenzialmente
riconducibili fintanto che è in uso, mentre, nei casi in cui
esso non assolve più all’uso a cui è preordinato, il
legislatore si premura di qualificarlo come rifiuto speciale
pericoloso, con tutte le conseguenze a ciò riconducibili.
Più in dettaglio, la legge 27/03/1992, n. 257, nel dettare
le norme relative alla cessazione dell'uso dell'amianto e
alla sua rimozione, classifica espressamente i rifiuti
d’amianto «tra i rifiuti speciali, tossici e nocivi, ai
sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della
Repubblica 10.09.1982, n. 915, in base alle caratteristiche
fisiche che ne determinano la pericolosità, come la
friabilità e la densità» (art. 12, comma 6).
A sua volta, l’art. 2 della medesima legge n. 257/1992
chiarisce cosa deve intendersi per «rifiuti di amianto»,
facendo riferimento, fra l’altro, a «qualsiasi sostanza o
qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua
destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto
nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse
dall'articolo 3».
Si ricava da ciò che, quando l’amianto
perde la sua destinazione d'uso e rischia di disperdere
fibre nell'ambiente in concentrazioni superiori a quelle
ammesse dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo stesso
può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di
bonifica (cfr.
Cass. pen. Sez. III, Sent., 08.03.2016, n. 9458, secondo
cui: «…Il ricorrente deduce
l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3, D.M. Min.
Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica
dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al
confinamento) e fornisce le indicazioni per la scelta del
metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono
l'incorporazione dell'amianto nella struttura fissa da
bonificare e non si applicano ai casi in cui non vi sia più
nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel
caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso,
infatti, l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso,
soggetto solo a smaltimento e non più a "bonifica"»).
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso
di specie, laddove è indubbio che l’amianto presente sul
sito ha perso la sua originaria destinazione, essendo state
demolite le case di cui costituiva il rivestimento, se ne
ricava come la stessa normativa speciale sull’amianto
suggerisca la classificazione del materiale in parola come
rifiuto speciale pericoloso, non assoggettabile a bonifica.
In siffatte evenienze, poi, si rivela del tutto inconferente
la circostanza che il materiale del sito in questione sia
risultato conforme al test di cessione, di cui all’art. 3
citato, atteso che il test presuppone che si sia in
presenza, ciò che nella specie va escluso, di materiale
qualificabile come matrice materiale di riporto.
Su tale aspetto va, poi, soggiunto che, sussistono seri
dubbi sull’applicabilità, sotto il profilo tecnico ancora
prima che giuridico, del predetto test di cessione al
parametro amianto, tenuto conto che detto test è
espressamente escluso per l’amianto presente allo stato
naturale all'interno delle terre e rocce da scavo, dall’art.
4, comma 4, del D.P.R. n. 120/2017, che richiama invece il
valore limite (di 1.000 mg/kg, di cui alla Tabella 1, in
Allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.12.2019 n. 2691
– link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Sito
contaminato da amianto.
Quando l’amianto perde
la sua destinazione d'uso e rischia di
disperdere fibre nell'ambiente in
concentrazioni superiori a quelle ammesse
dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo
stesso può essere oggetto soltanto di
smaltimento e non più di bonifica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.12.2019 n. 2691 -
commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
11) Preliminarmente, il Collegio ritiene
utile tratteggiare il quadro normativo di
riferimento, richiamando in primo luogo il
D.Lgs. 03/04/2006, n. 152 (TUA) che, come
noto, disciplina: «… nella parte quarta,
la gestione dei rifiuti e la bonifica dei
siti contaminati; …» (art. 1), «anche
in attuazione delle direttive comunitarie,
in particolare della direttiva 2008/98/CE,
prevedendo misure volte a proteggere
l'ambiente e la salute umana, prevenendo o
riducendo gli impatti negativi della
produzione e della gestione dei rifiuti,
riducendo gli impatti complessivi dell'uso
delle risorse e migliorandone l'efficacia»
(art. 177, comma 1).
È ben chiarito nel decreto (cfr. art. 185
TUA) come non rientri nel campo di
applicazione della parte IV del TUA, per
quanto qui d’interesse: «… b) il terreno
(in situ), inclusi il suolo contaminato non
scavato e gli edifici collegati
permanentemente al terreno, fermo restando
quanto previsto dagli artt. 239 e ss.
relativamente alla bonifica di siti
contaminati; …».
La disposizione in parola è stata oggetto
d’interpretazione autentica, ad opera
dell’art. 3 del D.L. 25/01/2012, n. 2, come
sostituito dalla legge di conversione
24.03.2012, n. 28, poi modificato dall'art.
41, comma 3, lett. a), D.L. 21.06.2013, n.
69, convertito con modificazioni dalla L.
09.08.2013, n. 98.
È stato, così, stabilito che: «i
riferimenti al suolo», ivi contenuti, «si
interpretano come riferiti anche alle
matrici materiali di riporto di cui
all'allegato 2 alla parte IV del medesimo
decreto legislativo, costituite da una
miscela eterogenea di materiale di origine
antropica, quali residui e scarti di
produzione e di consumo, e di terreno, che
compone un orizzonte stratigrafico specifico
rispetto alle caratteristiche geologiche e
stratigrafiche naturali del terreno in un
determinato sito, e utilizzate per la
realizzazione di riempimenti, di rilevati e
di reinterri».
Sempre l’art. 3 del D.L. n. 2/2012, e
ss.mm.ii., ha, poi, puntualizzato che le
matrici materiali di riporto devono essere
sottoposte a test di cessione (ai sensi
dell'articolo 9 del decreto del Ministro
dell'ambiente 05.02.1998) e, ove conformi ai
limiti del test di cessione, devono
rispettare quanto previsto dalla
legislazione vigente in materia di bonifica
dei siti contaminati (cfr. art. 3 citato,
comma 2). In caso di non conformità ai
limiti del test di cessione, le matrici
predette sono fonti di contaminazione e come
tali devono essere rimosse o devono essere
rese conformi ai limiti del test di cessione
tramite operazioni di trattamento che
rimuovano i contaminanti o devono essere
sottoposte a messa in sicurezza permanente,
utilizzando le migliori tecniche disponibili
e a costi sostenibili che consentano di
utilizzare l'area secondo la destinazione
urbanistica senza rischi per la salute (cfr.
art. 3 citato, comma 3).
È utile rammentare, ancora, come l’art. 183
del TUA ponga delle definizioni rilevanti,
sempre ai fini della parte quarta del
decreto, chiarendo cosa s’intenda, fra
l’altro, per «rifiuto» («qualsiasi
sostanza od oggetto di cui il detentore si
disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo
di disfarsi»); per «rifiuto
pericoloso» («rifiuto che presenta
una o più caratteristiche di cui
all'allegato I della parte quarta del
presente decreto»); per «detentore»
(il produttore dei rifiuti o la persona
fisica o giuridica che ne è in possesso).
A seguire, l’art. 184 si occupa della
classificazione dei rifiuti, che viene
effettuata, secondo l'origine, in rifiuti
urbani e rifiuti speciali e, secondo le
caratteristiche di pericolosità, in rifiuti
pericolosi e non pericolosi (cfr. comma 1).
Viene, così, precisato che, sono rifiuti
speciali: «…b) i rifiuti derivanti dalle
attività di demolizione, costruzione, nonché
i rifiuti che derivano dalle attività di
scavo, fermo restando quanto disposto
dall'articolo 184-bis; …» (comma 3) e
che sono rifiuti pericolosi «quelli che
recano le caratteristiche di cui
all'allegato I della parte quarta del
presente decreto» (comma 4), mentre
l'allegato D alla parte quarta «include i
rifiuti pericolosi e tiene conto
dell'origine e della composizione dei
rifiuti e, ove necessario, dei valori limite
di concentrazione delle sostanze pericolose»
(cfr. comma 5, che poi precisa trattarsi di
elenco «vincolante per quanto concerne la
determinazione dei rifiuti da considerare
pericolosi»).
11.1) Della «gestione dei rifiuti» si
occupa, nello specifico, il Titolo I della
parte IV, prevedendo, fra l’altro, che:
- essa deve avvenire «senza pericolo per la salute dell'uomo e
senza usare procedimenti o metodi che
potrebbero recare pregiudizio all'ambiente
e, in particolare:
a) senza determinare rischi per l'acqua,
l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la
flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori o
odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti
di particolare interesse, tutelati in base
alla normativa vigente» (così, l’art.
177, comma 4);
- detta gestione va «effettuata conformemente ai principi di
precauzione, di prevenzione, di
sostenibilità, di proporzionalità, di
responsabilizzazione e di cooperazione di
tutti i soggetti coinvolti nella produzione,
nella distribuzione, nell'utilizzo e nel
consumo di beni da cui originano i rifiuti,
nonché del principio chi inquina paga. A
tale fine la gestione dei rifiuti è
effettuata secondo criteri di efficacia,
efficienza, economicità, trasparenza,
fattibilità tecnica ed economica, nonché nel
rispetto delle norme vigenti in materia di
partecipazione e di accesso alle
informazioni ambientali» (così, l’art.
178);
- ancora, detta gestione deve avvenire «nel rispetto della
seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il
recupero di energia;
e) smaltimento».
11.2) La stessa Parte IV, al successivo
Titolo V si occupa della «Bonifica di
siti contaminati», disciplinando gli
interventi di bonifica e ripristino
ambientale e definendo le procedure, i
criteri e le modalità per lo svolgimento
delle operazioni necessarie per
l'eliminazione delle sorgenti
dell'inquinamento e per la riduzione delle
concentrazioni di sostanze inquinanti, in
armonia con i principi e le norme
comunitari, con particolare riferimento al
principio «chi inquina paga» (cfr.
art. 239, comma 1, TUA).
Nel delimitare il campo di applicazione
della disciplina delle bonifiche il
legislatore ha cura di precisare, fra
l’altro, che: «Ferma restando la
disciplina dettata dal titolo I della parte
quarta del presente decreto, le disposizioni
del presente titolo non si applicano:
a) all'abbandono dei rifiuti
disciplinato dalla parte quarta del presente
decreto. In tal caso qualora, a seguito
della rimozione, avvio a recupero,
smaltimento dei rifiuti abbandonati o
depositati in modo incontrollato, si accerti
il superamento dei valori di attenzione, si
dovrà procedere alla caratterizzazione
dell'area ai fini degli eventuali interventi
di bonifica e ripristino ambientale da
effettuare ai sensi del presente titolo; …».
Quanto alle definizioni rilevanti, vi
provvede, qui, l’art. 240, che stabilisce
cosa deve intendersi, per quanto d’interesse
ai fini del presente giudizio, per:
«a) sito: l'area o porzione di
territorio, geograficamente definita e
determinata, intesa nelle diverse matrici
ambientali (suolo, materiali di riporto,
sottosuolo ed acque sotterranee) e
comprensiva delle eventuali strutture
edilizie e impiantistiche presenti;
…
o) messa in sicurezza permanente: l'insieme degli interventi atti a
isolare in modo definitivo le fonti
inquinanti rispetto alle matrici ambientali
circostanti e a garantire un elevato e
definitivo livello di sicurezza per le
persone e per l'ambiente. In tali casi
devono essere previsti piani di monitoraggio
e controllo e limitazioni d'uso rispetto
alle previsioni degli strumenti urbanistici;
p) bonifica: l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti
di inquinamento e le sostanze inquinanti o a
ridurre le concentrazioni delle stesse
presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle
acque sotterranee ad un livello uguale o
inferiore ai valori delle concentrazioni
soglia di rischio (CSR); …».
11.3) La surriferita norma è stata oggetto
di modifica ad opera del già citato art. 3
del D.L. 25/01/2012, n. 2, e ss.mm.ii., che,
al comma 4, ha inserito al comma 1, lett.
a), dell’art. 240 TUA, dopo la parola: «suolo»,
le seguenti: «, materiali di riporto».
11.4) E’ utile accennare, infine, al D.P.R.
13/06/2017, n. 120, con cui –nel dettare
regole per la disciplina semplificata della
gestione delle terre e rocce da scavo– si è
avuto cura di precisare (all’art. 3, comma
2) come esso non si applichi ai rifiuti
provenienti direttamente dall'esecuzione di
interventi di demolizione di edifici o di
altri manufatti preesistenti, la cui
gestione resta disciplinata ai sensi della
Parte IV del decreto legislativo 03.04.2006,
n. 152.
...
13) Passando all’esame del merito, il
Collegio ritiene utile, per comodità
espositiva, scrutinare congiuntamente i
suesposti motivi di ricorso, trattandosi
delle stesse questioni di fondo o, comunque,
di questioni strettamente connesse, come
confermato dalla trattazione sostanzialmente
unitaria dei motivi da parte dello stesso
patrocinio ricorrente.
13.1) Seguendo l’impostazione di quest’ultimo,
l’essenza del ricorso in epigrafe
consisterebbe nella corretta individuazione
della definizione e della estensione
oggettiva dei materiali di riporto nonché
nella corretta interpretazione del concetto
di messa in sicurezza permanente (MISP).
13.1.1) Quanto al primo aspetto, ad
avviso della ricorrente, la presenza dei
materiali contenenti amianto (MCA), così
come rinvenuti nel sito in esame, non
determinerebbe alcuna variazione rispetto
all’assimilazione dei materiali stessi al
terreno, così come normativamente
cristallizzata. Da tale assimilazione
deriverebbe, poi, passando al secondo
aspetto su indicato, l’assoggettamento del
sito alla disciplina sulle bonifiche dei
siti contaminati e, in particolare,
l’applicazione della disciplina sulla messa
in sicurezza permanente.
Da ciò l’illegittimità del diniego
impugnato, in primo luogo, per contrasto con
gli artt. 185 e 240, lett. a), TUA, per
avere disatteso l’equiparazione dei
materiali di riporto al terreno, operata a
livello di normativa primaria, proprio al
fine di risolvere il dubbio interpretativo
che si era posto in relazione alla
qualificazione giuridica di tali materiali,
classificati secondo alcune amministrazioni
come rifiuti. Ove si fosse seguita la
predetta equiparazione, non si sarebbe
potuta negare l’applicabilità nella
fattispecie della disciplina sulle bonifiche
anche ai materiali di riporto non scavati da
mantenere in situ.
Ciò, tenuto conto che la società avrebbe già
previsto che, mentre lo strato di materiali
scavati e da rimuovere sarebbe stato gestito
come rifiuto, il riporto rimanente in
situ sarebbe stato assoggettato alla
messa in sicurezza permanente, secondo la
disciplina relativa alle bonifiche,
richiamata e fatta salva tanto dall’art. 185
del TUA quanto dall’art. 3 del D.L. n. 2 del
2012, in quanto risultato conforme al test
di cessione. Dall’esecuzione di quest’ultimo,
precisa l’istante, sarebbe stato appurato
che la matrice materiale di riporto
attualmente esistente sul sito di Via ...,
sia per l’Area A che per l’Area B, non
sarebbe fonte di contaminazione, non
comportando alcun superamento dei parametri
normativi per l’uso residenziale.
In questi casi, si ribadisce, lo stesso art.
3 citato, al comma 2, prevedrebbe la
conseguente necessaria applicazione delle
norme sui siti contaminati che, nella
fattispecie, consentirebbero di realizzare
una MISP la quale, come riconosciuto
dall’ATS in tutte le proprie note,
consentirebbe il taglio dei percorsi
espositivi, rendendo completamente
utilizzabile il sito.
13.1.2) L’essenza delle due note, di ARPA e
Città Metropolitana, che avrebbero di fatto
inibito al Comune di concludere il
procedimento, approvando il progetto della
ricorrente, avrebbero continuato ad
applicare la vecchia definizione di rifiuto
ai riporti, ignorando completamente il
dettato normativo sopra ricordato e, anzi,
vanificandolo. L’interpretazione fornita
dall’ARPA e dalla Città Metropolitana e
fatta propria dal provvedimento impugnato,
nel definire gli MCA rinvenuti nel suolo
come rifiuto, isolandoli dal contesto del
materiale di riporto, oltre ad essere
contra legem, non incontrerebbe né i
principi della tutela ambientale né quelli
della tutela sanitaria, poiché imporrebbe
una soluzione –quella del necessario scavo e
movimentazione di materiale contenente
amianto-, passibile di dispersione di fibre
e che non taglierebbe affatto i percorsi
espositivi.
13.1.3) Quanto alla circolare del MATT del
10.11.2017, n. 15786 -emanata a seguito
della nuova disciplina in materia di terre e
rocce da scavo, di cui al DPR 13.06.2017, n.
120- la stessa si occuperebbe esclusivamente
dei riporti contenuti nelle terre e rocce
prodotte dalle attività di scavo, ammettendo
anche per essi, addirittura nel caso in cui
non siano risultati conformi al test di
cessione (cfr. part III pag. 5/8), la MISP.
Si richiama a tal riguardo la sentenza di
questo TAR (sez. III, 14.12.2015, n. 2638,
nel noto caso del condominio di Via ... -
Milano) che avrebbe escluso che i riporti,
anche ove non conformi, debbano essere
trattati come rifiuti, potendosi applicare
quindi la procedura di MISP persino nel caso
in cui i medesimi siano fonti di
contaminazione.
13.2) La difesa comunale, nelle proprie
controdeduzioni, dopo avere premesso che gli
MCA possono avere una duplice
classificazione, potendo costituire rifiuti,
qualora rinvenuti nella matrice ambientale
del suolo naturale, o riporti, qualora
rinvenuti in una miscela eterogenea di
terreno e materiali antropici, ha
evidenziato che, nella specie, l’ARPA e la
Città Metropolitana di Milano avrebbero
ripetutamente affermato che gli MCA
rinvenuti nello strato di riporto dovrebbero
essere configurati quali rifiuti ed
assoggettati alla relativa normativa. Gli
stessi Enti, prosegue il patrocinio
comunale, avrebbero al contempo inquadrato
la proposta della ricorrente quale messa in
sicurezza permanente di rifiuti che,
tuttavia, osserva il Comune, non sarebbe
ammessa dalla normativa vigente.
Conseguentemente, il Comune di Milano non
avrebbe potuto fare altro che prendere atto
del parere sfavorevole degli Enti
competenti, posto che, se i materiali
presenti nell’area oggetto di intervento
sono da considerare come rifiuti, non può
trovare per essi applicazione la disciplina
dei siti contaminati, in quanto l’art. 239
del TUA dispone che le norme in materia di
bonifica non si applicano all’abbandono dei
rifiuti.
Il Comune di Milano, quindi, in qualità di
amministrazione procedente avrebbe concluso
la conferenza di servizi sulla base della
posizione prevalente, così come espressa
dalla Città Metropolitana e dall’Arpa. La
diversa posizione, manifestata dal Comune
sin dalla seduta del 20.07.2018 e diretta a
qualificare l’intervento come messa in
sicurezza permanente, avrebbe richiesto,
spiega sempre la difesa civica, l’adesione
dell’ARPA e/o di Città Metropolitana alla
tesi, ben diversa da quella da loro in
concreto seguita, che ravvisa nella
fattispecie non già rifiuti ma fonti
inquinanti di matrici ambientali. Questo
sarebbe stato, chiarisce ancora il Comune di
Milano, il presupposto dell’intervento di
bonifica del Nuovo Palazzo del Cinema e dei
Congressi del Lido di Venezia, che avrebbe
trattato gli MCA come riporti e non come
rifiuti.
Né potrebbe poi sostenersi, come pure
prospettato dalla Città Metropolitana, che
il parere dell’ATS sulla gestione sanitaria
dell’amianto potrebbe rappresentare la
posizione prevalente della Conferenza di
servizi, atteso che l’azienda sanitaria è
chiamata ad esprimersi in ragione dei soli
profili di sua competenza, in materia di
tutela della salute e della sicurezza dei
futuri utilizzatori del sito e dei
lavoratori durante le fasi operative della
bonifica e della messa in sicurezza. Detto
altrimenti, l’Azienda sanitaria valuterebbe
come l’intervento deve essere e non se
l’intervento possa o meno essere attuato.
13.3) La Città Metropolitana, dal canto suo,
ha ribadito che:
- la campagna di analisi condotta nel 2017 avrebbe accertato la
presenza, nei campioni compositi
rappresentativi dell'intero sito, di fibre
libere di amianto oltre i limiti di cui alla
tabella 1 dell’allegato 5 al Titolo V della
parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, mentre
non sarebbero stati rinvenuti altri
superamenti delle CSC per gli altri
parametri;
- come comunicato sin dal 15.06.2018 (cfr. doc. n. 7 della
produzione resistente), “I frammenti di
MCA e la matrice che li ingloba sono da
considerarsi rifiuti sia merceologicamente
che come origine in quanto derivanti dalle
attività di demolizione degli edifici di
edilizia popolare, così come affermato da
Metropolitana Milanese S.p.A. nella nota
prot. DPRI 128 PG 0019894 del 21/02/2014 …
E’ stata accertata la presenza di fibre
libere, in concentrazioni pari a 4440 mg/Kg
s. s. nel campione composito, sottoposto ad
analisi; …»;
- la presenza di concentrazioni così elevate di fibre libere in un
campione composito di materiale terrigeno,
contestualmente al quantitativo stimato di
MCA intimamente frammisti al rifiuto da
vagliare, renderebbe difficile ipotizzare
qualsiasi trattamento diverso dalla semplice
rimozione;
- sarebbe stato necessario qualificare i materiali interrati quali
rifiuti, in quanto non sarebbero soddisfatti
né i requisiti di storicità (avuto riguardo
all’origine del materiale, da interramento
di residui di demolizione in anni in cui
erano già vigenti norme specifiche di
settore), né i requisiti merceologici per
qualificare gli stessi come riporti, anche
sulla base della Circolare n. 13338 del
14/05/2014 del Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare
richiamata da parte avversa;
- in base alle verifiche e alle misurazioni effettuate dalla stessa
ricorrente la presenza di MCA distribuiti in
maniera non uniforme non integrerebbe la
definizione normativa di riporto;
- in ogni caso, essa non avrebbe espresso alcuna valutazione
negativa sull'intervento, rimettendosi alle
indicazioni e alle prescrizioni di ATS,
nonché, alla decisione dell'Amministrazione
comunale, in veste di autorità procedente,
sul procedimento da applicare per
l'approvazione dell'intervento.
14) I motivi non sono fondati.
14.1) Il Collegio non ritiene di potere
condividere l’impostazione di parte
ricorrente, laddove, partendo dall’assunto
che i materiali contenenti amianto (MCA)
sono assimilabili alle matrici materiali di
riporto (MMR), ne pretende l’assoggettamento
alla disciplina sulle bonifiche (Parte IV,
Titolo V, TUA) anziché a quella sui rifiuti
(Parte IV, Titolo I, TUA).
Il punto nodale della controversia, in
verità, attiene proprio alla dimostrazione
della riconducibilità degli MCA rinvenuti
nelle aree per cui è causa alle matrici
materiali di riporto, ciò di cui lo stesso
ricorrente avrebbe dovuto farsi carico,
poiché, ai sensi dell’art. 2697 c.c.,
onus probandi incumbit ei qui dicit non ei
qui negat, per cui chi agisce in
giudizio ha l'onere di provare, in modo
rigoroso, i fatti e gli elementi specifici
che costituiscono il fondamento della
domanda, trovandosi nella posizione migliore
per poterlo fare, secondo la regola della
cd. vicinanza della prova (cfr., fra le
tante, Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2017, n.
2184; id., Sez. IV, 30.06.2011, n. 3887; id.,
Sez. V, 13.06.2008, n. 2967).
Giova, al riguardo, rammentare che il
processo amministrativo, pur contemplando
alcuni poteri di acquisizione officiosa
delle prove da parte del giudice, è fondato
sul principio dispositivo dell'onere della
prova (di cui all’art. 64 c.p.a), di talché
spetta a chi agisce in giudizio indicare e
provare i fatti, ogni volta che non ricorra
quella disuguaglianza di posizioni tra
Amministrazione e privato che giustifica
l'applicazione del principio dispositivo con
metodo acquisitivo.
Tale ultimo principio, peraltro, "non
può, comunque, mai ridursi ad un'assoluta e
generale inversione dell'onere della prova e
comunque non consente al giudice
amministrativo di sostituirsi alla parte
onerata quando la ricorrente non si trovi
nell'impossibilità di provare il fatto posto
a base della sua azione" (Consiglio
Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006; nello
stesso senso, ex multis, TAR
Lombardia, Milano, III, 09.05.2019, n. 1036;
TAR Napoli, sez. IV, 13/02/2019, n. 799).
Ebbene, nella fattispecie in esame, il
proponente addebita all’amministrazione una
violazione o falsa applicazione del dettato
normativo relativo alle matrici materiali di
riporto senza, tuttavia, peritarsi di
dimostrare che, contrariamente a quanto
affermato sul punto nelle note prodotte in
conferenza di servizi da ARPA e Città
Metropolitana, richiamate nel provvedimento
comunale impugnato, i materiali rinvenuti
nell’ambito oggetto della sua proposta siano
sussumibili fra le predette matrici di
riporto.
Sennonché, tale verifica preliminare
logicamente s’impone, dal momento che lo
stesso legislatore, nel delimitare il campo
di applicazione della disciplina sulle
bonifiche, all’inizio del Titolo ad esse
relativo (il V), esclude da tale ambito le
ipotesi di abbandono di rifiuti (cfr. art.
239, comma 2 citato).
Ora, contrariamente a quanto affermato
dall’esponente, le note tecniche di ARPA e
Città Metropolitana, pur non evidenziando
un’aprioristica esclusione dalla bonifica
dei materiali contenenti amianto, forniscono
nondimeno gli elementi per motivare la non
riconducibilità degli MCA rinvenuti nel sito
per cui è causa fra le MMR, di cui agli artt.
185 e 240 del TUA.
Tali elementi fanno, del tutto
legittimamente, leva sull’origine e sulle
caratteristiche merceologiche degli MCA.
Quanto alla prima, si ricava dalle
contestate note, e il fatto non è oggetto di
specifica contestazione, che i materiali in
questione provengono dalle «coperture
degli edifici che insistevano in sito fino
agli inizi degli anni ’90, ora demoliti»,
«coperture non più utilizzabili per il
loro scopo originario e ridotte in pezzi…»
(cfr. il parere ARPA contenente le
osservazioni sul verbale della C.d.s.
decisoria del 20.07.2018, allegato sub n. 13
della produzione comunale, nonché, nello
stesso senso, la nota di Me.Mi. spa datata
21.02.2014, allegata sub n. 1 della
produzione della C.M., ma anche lo stesso
progetto di parte ricorrente, allegato sub
n. 3, ove a pagina 7 riferisce che: «l’areale
di progetto è parte di una più estesa area,
in passato destinata ad edilizia
popolare…tali edifici risultano poi essere
stati demoliti tra la fine degli anni 80 e
l’inizio degli anni novanta»).
La circostanza che i materiali in questione
provengono da demolizioni relativamente
recenti non può che allontanare, sotto più
profili, i materiali stessi dalla categoria
delle matrici materiali di riporto.
Va, in tal senso, rammentato che, stando
alla norma d’interpretazione autentica
dell'articolo 185 del decreto legislativo n.
152 del 2006 (l’art. 3 del D.L. 25.01.2012,
e ss.mm.ii.), le matrici suddette sono «costituite
da una miscela eterogenea di materiale di
origine antropica, quali residui e scarti di
produzione e di consumo, e di terreno, che
compone un orizzonte stratigrafico specifico
rispetto alle caratteristiche geologiche e
stratigrafiche naturali del terreno in un
determinato sito, e utilizzate per la
realizzazione di riempimenti, di rilevati e
di reinterri».
Pur non essendo indicata una precisa
collocazione temporale dei riporti, si
ricava da un’interpretazione complessiva
della norma che essi debbono essere
risalenti nel tempo, sì da costituire «un
orizzonte stratigrafico specifico».
Si deve, cioè, trattare di materiale che,
utilizzato nel corso del tempo per la
realizzazione di riempimenti, rilevati e
reinterri, ha avuto modo di stratificarsi e
sedimentarsi nel suolo, a profondità
variabili, sino ad assestarsi e compattarsi
con il terreno naturale, determinando per
tale via un nuovo orizzonte stratigrafico.
Si spiega così l’orientamento della
giurisprudenza, secondo cui l'articolo da
ultimo citato non si applica a tutti i
materiali di riporto «ma solamente a
quelli che compongono "un orizzonte
stratigrafico specifico rispetto alle
caratteristiche geologiche e stratigrafiche
naturali del terreno in un determinato
sito", ovverosia a quelli che -oramai
risalenti nel tempo- si sono integrati fino
a farne un tutt'uno con la matrice suolo
preesistente» (cfr., TAR Lombardia,
Milano, Sez. IV, Sent., 04.10.2018, n. 2216;
id., sentenza n. 1222/2016).
Anche la finalizzazione del materiale al
riempimento, rilevato e reinterro, ben
puntualizzata nella su richiamata norma, dà
adeguatamente conto della rilevanza che
l’origine del riporto assume a mente del
legislatore, atteso che non ogni materiale
rinvenuto nel sottosuolo può costituire MMR,
ai sensi e per gli effetti di cui al
succitato art. 3, ma solo quello ivi
collocato in quanto utilizzato per la
realizzazione di riempimenti, di rilevati e
di reinterri.
14.2) Applicando le suesposte coordinate
ermeneutiche al caso di specie si ricava
che, l’avere stigmatizzato l’origine del
materiale in esame, siccome proveniente
dalla demolizione delle «case minime»,
avvenuta agli inizi degli anni 90,
rappresenta una logica e coerente premessa
al parere sfavorevole al progetto tanto da
parte di ARPA quanto da parte di Città
Metropolitana, non consentendo la stessa
origine dei materiali presenti nel sito
d’interesse della ricorrente la loro
riconducibilità alla nozione di MMR.
La collocazione relativamente recente del
materiale e la sua provenienza dalla
demolizione delle case preesistenti sono, in
altri termini, due aspetti convergenti nel
denotare la mancanza, nella fattispecie, di
quell’orizzonte stratigrafico specifico
richiesto dalla sopra specificata normativa
per le MMR.
14.3) Ad abundantiam, si può solo
accennare che, occupandosi della disciplina
della gestione delle terre e rocce da scavo
–le quali, ai sensi dell’art. 186, comma 1,
TUA possono, a determinate condizioni,
essere «utilizzate per reinterri,
riempimenti, rimodellazioni e rilevati»-
il D.P.R. 13/06/2017 n. 120 lascia
espressamente fuori dal suo ambito
applicativo «i rifiuti provenienti
direttamente dall'esecuzione di interventi
di demolizione di edifici o di altri
manufatti preesistenti, la cui gestione è
disciplinata ai sensi della Parte IV del
decreto legislativo 03.04.2006, n. 152»
(così, l’art. 3, comma 2, del DPR citato).
Tale previsione è coerente con la chiara
classificazione come rifiuto speciale, ex
art. 184, comma 3 TUA, dei «rifiuti
derivanti dalle attività di demolizione».
14.4) Né si può trascurare il profilo, pure
evidenziato negli atti dell’ARPA e della
Città Metropolitana, delle caratteristiche
merceologiche dei materiali de quibus,
evidentemente da riferire alla circostanza
che nei materiali in questione è presente
l’amianto.
Come noto, la normativa specifica
sull’amianto si occupa dei rimedi per
arginare i rischi ad esso potenzialmente
riconducibili fintanto che è in uso, mentre,
nei casi in cui esso non assolve più all’uso
a cui è preordinato, il legislatore si
premura di qualificarlo come rifiuto
speciale pericoloso, con tutte le
conseguenze a ciò riconducibili.
Più in dettaglio, la legge 27/03/1992, n.
257, nel dettare le norme relative alla
cessazione dell'uso dell'amianto e alla sua
rimozione, classifica espressamente i
rifiuti d’amianto «tra i rifiuti
speciali, tossici e nocivi, ai sensi
dell'articolo 2 del decreto del Presidente
della Repubblica 10.09.1982, n. 915, in base
alle caratteristiche fisiche che ne
determinano la pericolosità, come la
friabilità e la densità» (art. 12, comma
6).
A sua volta, l’art. 2 della medesima legge
n. 257/1992 chiarisce cosa deve intendersi
per «rifiuti di amianto», facendo
riferimento, fra l’altro, a «qualsiasi
sostanza o qualsiasi oggetto contenente
amianto che abbia perso la sua destinazione
d'uso e che possa disperdere fibre di
amianto nell'ambiente in concentrazioni
superiori a quelle ammesse dall'articolo 3».
Si ricava da ciò che, quando l’amianto perde
la sua destinazione d'uso e rischia di
disperdere fibre nell'ambiente in
concentrazioni superiori a quelle ammesse
dall'articolo 3 della legge n. 257/1992, lo
stesso può essere oggetto soltanto di
smaltimento e non più di bonifica (cfr.
Cass. pen. Sez. III, Sent., 08.03.2016, n.
9458, secondo cui: «…Il ricorrente deduce
l'applicabilità alla fattispecie
dell'allegato 3, D.M. Min. Sanità 06.09.1994
che descrive le tecniche di bonifica
dell'amianto (dalla sua rimozione,
all'incapsulamento, al confinamento) e
fornisce le indicazioni per la scelta del
metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni
presuppongono l'incorporazione dell'amianto
nella struttura fissa da bonificare e non si
applicano ai casi in cui non vi sia più
nulla da bonificare per essere andata
distrutta, come nel caso in esame, la
struttura incorporante. In tal caso,
infatti, l'amianto costituisce rifiuto
speciale pericoloso, soggetto solo a
smaltimento e non più a "bonifica"»).
Facendo applicazione di tali coordinate
ermeneutiche al caso di specie, laddove è
indubbio che l’amianto presente sul sito ha
perso la sua originaria destinazione,
essendo state demolite le case di cui
costituiva il rivestimento, se ne ricava
come la stessa normativa speciale
sull’amianto suggerisca la classificazione
del materiale in parola come rifiuto
speciale pericoloso, non assoggettabile a
bonifica.
In siffatte evenienze, poi, si rivela del
tutto inconferente la circostanza che il
materiale del sito in questione sia
risultato conforme al test di cessione, di
cui all’art. 3 citato, atteso che il test
presuppone che si sia in presenza, ciò che
nella specie va escluso, di materiale
qualificabile come matrice materiale di
riporto.
Su tale aspetto va, poi, soggiunto che,
sussistono seri dubbi sull’applicabilità,
sotto il profilo tecnico ancora prima che
giuridico, del predetto test di cessione al
parametro amianto, tenuto conto che detto
test è espressamente escluso per l’amianto
presente allo stato naturale all'interno
delle terre e rocce da scavo, dall’art. 4,
comma 4, del D.P.R. n. 120/2017, che
richiama invece il valore limite (di 1.000
mg/kg, di cui alla Tabella 1, in Allegato 5
alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006).
14.5) È, altresì, inconferente il richiamo a
quanto accaduto in occasione della
realizzazione del nuovo Palazzo del Cinema
al lido di Venezia, non disponendo il
Collegio di elementi sufficienti per
stabilire che, anche in quel caso, la
fattispecie non fosse sussumibile nella
previsione del più volte citato art. 3,
dovendosi, anzi, presumere il contrario,
stante la presunzione di legittimità dei
provvedimenti amministrativi.
14.6) Risultano, poi, inammissibili per
genericità, prima ancora che infondate, le
censure di violazione e falsa applicazione
dell’art. 3-quater, commi 3 e 4, del D.Lgs.
n. 152/2006 e di violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 della legge n.
241/1990.
Il rispetto del principio dello sviluppo
sostenibile come pure del principio di
proporzionalità intanto può essere imposto
alla pubblica amministrazione in quanto si
tratti di ambiti connotati da
discrezionalità amministrativa e non anche,
come pretenderebbe l’istante, di ambiti
astretti al rispetto di leggi che
racchiudono scelte già effettuate, a monte,
dallo stesso legislatore. |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2019, "Bando
per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la
rimozione di coperture e di altri manufatti in
cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o.
14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione secondo elenco di
domande ammesse e non ammesse a finanziamento ed assunzione
degli impegni di spesa" (decreto
D.U.O. 27.11.2019 n. 17233). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Sulla
illegittimità dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente circa
la rimozione e lo smaltimento delle lastre ondulate in eternit poste a
copertura del fabbricato di proprietà.
Secondo la giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento
dell’ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è legata
alla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via
d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie
o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza
urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati
dall’ordinamento.
Si è, inoltre, precisato che “i presupposti per l’adozione da parte del
Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un
pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non
altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento,
e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità
del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili
ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non
vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in
essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità”.
A
ciò deve ancora aggiungersi che tale potere di ordinanza “presuppone
necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo,
la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da
congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la
deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione
residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale”.
...
Orbene, nel caso di specie il Sindaco ha emanato un’ordinanza
ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un’adeguata istruttoria che
consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla
legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare
una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non fronteggiabile con i
rimedi tipici predisposti dall’ordinamento.
Come già accennato in sede cautelare,
infatti, l’ordinanza sindacale si basa sul giudizio di “non correttezza” e
“inattendibilità” del piano di manutenzione e controllo della copertura in eternit esibito ai funzionari pubblici dall’esponente, ma non contiene alcun
riferimento a verifiche e/o accertamenti tali da comprovare che vi fosse un
rischio concreto di dispersione dell’amianto nell’aria. Né vi è alcun
richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal d.m. 06.09.1994, contenente le “normative e metodologie tecniche per la
valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie”.
Ancora, non è dato rinvenire,
nel corpo dell’ordinanza, alcun cenno all’imprevedibilità della situazione
e/o ad altri fattori giustificativi dell’urgenza di provvedere con lo
strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta
dall’Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in
essere un intervento non rinviabile.
---------------
... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dell’ordinanza
del Sindaco del Comune di Vasto n. 646/2018, prot. n. 50105 del 18.09.2018, emessa ai sensi dell’art. 50, commi 4 e 5, T.U.E.L. e notificata alla
ricorrente il 19.09.2018, nella parte in cui ha ingiunto alla sig.ra
Mi. D’Or., quale proprietaria dell’immobile sito in Vasto, alla via
... n. 5, di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento delle lastre
ondulate in eternit poste a copertura del fabbricato, presentando al Comune
ed alla Azienda Sanitaria Locale il piano di lavoro, nonché di comunicare al
Comune l’avvenuta esecuzione di quanto ordinato, al fine di consentire le
opportune verifiche;
...
1. L’odierna ricorrente, sig.ra Mi. D’Or., espone di essere
proprietaria di un immobile sito in Vasto, alla via ... n. 5 distinto
in catasto al fg. n. 31, part.lla n. 538, sub. nn. 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e
12. L’immobile è composto di due piani, ha natura residenziale e presenta
sul tetto una copertura in eternit (materiale contenente amianto).
1.1. In ottemperanza agli obblighi di legge, l’esponente trasmetteva il 30.01.2018 al Comune di Vasto, al Corpo di Polizia Locale ed all’A.S.L. n.
2 Lanciano Vasto Chieti il piano di manutenzione e controllo del tetto in
eternit insistente sul fabbricato di sua proprietà, redatto da un
professionista incaricato: da tale piano si evince che la predetta copertura
godrebbe di un buono stato manutentivo ed allo stato non necessiterebbe di
interventi conservativi o di bonifica.
1.2. In data 06.07.2018 personale dell’A.S.L. n. 2 Lanciano Vasto Chieti
e della Polizia Locale del Comune di Vasto effettuava un sopralluogo presso
l’immobile della ricorrente, durante il quale veniva richiesta l’esibizione
del programma di manutenzione e controllo della copertura, che, però, veniva
ritenuto non corretto ed attendibile.
1.3. L’esponente contesta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata,
secondo cui –dopo il sopralluogo– le sarebbero stati chiesti chiarimenti
in relazione al contenuto del piano. In ogni caso, con nota del 21.08.2018 l’A.S.L. n. 2 richiedeva al Comune di Vasto l’emanazione di un’apposita
ordinanza sindacale, finalizzata alla rimozione della copertura in eternit,
onde scongiurare il pericolo di diffusione aerea delle fibre in amianto.
1.4. Detta richiesta veniva accolta e, per l’effetto, con ordinanza n.
646/2018, prot. n. 50105 del 18.09.2018, emessa ai sensi dell’art.
50, commi 4 e 5, T.U.E.L., il Sindaco di Vasto ingiungeva alla sig.ra D’Or.
di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento delle lastre ondulate in
eternit tramite una ditta specializzata iscritta all’Albo Nazionale gestori
ambientali nell’apposita categoria, presentando al Comune (Ufficio Ecologia
e Corpo P.M.) ed all’A.S.L. n. 2 il piano di lavoro, nonché di provvedere ad
informare il Comune dell’avvenuta esecuzione dell’ordinanza, onde consentire
le relative verifiche, mediante presentazione della seguente documentazione:
a) certificazione attestante la classificazione dei rifiuti con assegnazione
di idonei codici CER; b) certificazione comprovante il conferimento ad
impianti di recupero/smaltimento.
2. Avverso l’ora vista ordinanza sindacale è insorta l’esponente,
impugnandola con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone
l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
2.1. A supporto del gravame, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
1) violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 (cd. T.U.E.L.),
mancanza dei presupposti per l’emanazione dell’ordinanza contingibile ed
urgente, atteso che nel caso di specie difetterebbero sia il requisito
dell’urgenza sia quello della contingibilità, necessari per l’emissione
dell’ordinanza, la quale sarebbe illegittima in quanto utilizzata per
fronteggiare una situazione già conosciuta, del tutto prevedibile e
permanente e per cui non vi sarebbe alcuna necessità di provvedere;
2) violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, per non avere la P.A.
effettuato la previa comunicazione di avvio del procedimento in difetto dei
presupposti che consentono di ometterla;
3) carenza e/o insufficienza e/o inadeguatezza dell’istruttoria svolta dalla
P.A., atteso che l’ordinanza gravata non sarebbe sorretta dall’istruttoria
necessaria a stabilire se l’amianto presente nel fabbricato della ricorrente
sia effettivamente pericoloso;
4) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per
difetto e/o insufficienza della motivazione, giacché l’ordinanza impugnata
avrebbe addotto a propria motivazione l’inattendibilità del piano di
controllo e manutenzione della copertura in amianto dell’immobile, ma tale
motivazione non sarebbe sufficiente, non risultando espletati gli
accertamenti rivolti a stabilire l’effettivo stato di manutenzione della
ridetta copertura;
5) incongruità del provvedimento impugnato, in quanto la P.A. avrebbe dovuto
valutare se il pericolo eventualmente accertato fosse tale da non poter
essere contenuto con interventi di tipo conservativo, di incapsulamento o di
confinamento, e solo in caso negativo disporre la rimozione e la conseguente
bonifica.
...
3. Il ricorso è fondato e da accogliere per le medesime ragioni già
sommariamente delineate in sede cautelare, dalle quali, pur al più
approfondito esame proprio della fase di merito del processo, non si
ravvisano elementi per discostarsi.
3.1. L’art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: “4. Il sindaco
esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle
materie previste da specifiche disposizioni di legge.
5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a
carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono
adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le
medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della
comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a
superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente
e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità
urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della
tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di
orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande
alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti
d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o
assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione
dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali
regionali”.
3.2. In fase cautelare, il Tribunale ha giudicato sussistente il prescritto
fumus boni juris, “quanto al difetto di istruttoria sul pericolo di
pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento di immissioni di
polveri d’amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica
incolumità” e, per l’effetto, ha accolto la domanda di sospensione
dell’ordinanza sindacale, “fermo restando l’obbligo per la parte ricorrente
di provvedere tempestivamente e senza ritardo alla predisposizione di un
“corretto ed attendibile” piano di manutenzione” (così l’ordinanza n. 5/2019 cit.).
3.3. Tale motivazione va confermata nella presente fase di merito e porta ad
un giudizio di fondatezza del primo, del terzo, del quarto e del
quinto
motivo di ricorso.
4. Secondo la giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento
dell’ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è legata
alla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via
d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie
o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza
urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati
dall’ordinamento (TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR
Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
4.1. Si è, inoltre, precisato che “i presupposti per l’adozione da parte del
Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un
pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non
altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento,
e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità
del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili
ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non
vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in
essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità” (cfr.
C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A
ciò deve ancora aggiungersi che tale potere di ordinanza “presuppone
necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo,
la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da
congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la
deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione
residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale” (cfr. C.d.S.,
Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
4.2. Orbene, nel caso di specie il Sindaco di Vasto ha emanato un’ordinanza
ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un’adeguata istruttoria che
consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla
legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare
una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non fronteggiabile con i
rimedi tipici predisposti dall’ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
Come già accennato in sede cautelare,
infatti, l’ordinanza sindacale si basa sul giudizio di “non correttezza” e
“inattendibilità” del piano di manutenzione e controllo della copertura in eternit esibito ai funzionari pubblici dall’esponente, ma non contiene alcun
riferimento a verifiche e/o accertamenti tali da comprovare che vi fosse un
rischio concreto di dispersione dell’amianto nell’aria. Né vi è alcun
richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal d.m. 06.09.1994, contenente le “normative e metodologie tecniche per la
valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie” (su cui
TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Ancora, non è dato rinvenire,
nel corpo dell’ordinanza, alcun cenno all’imprevedibilità della situazione
e/o ad altri fattori giustificativi dell’urgenza di provvedere con lo
strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta
dall’Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in
essere un intervento non rinviabile.
4.3. Da quanto detto si evince la fondatezza del primo, terzo,
quarto e
quinto motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi,
essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria dai quali
risulta affetto il provvedimento impugnato. Viene invece assorbito il
secondo motivo, avente ad oggetto la censura formale di omessa comunicazione
dell’avvio del procedimento, alla stregua della regola giurisprudenziale che
consente di graduare l’esame dei motivi sulla base della loro consistenza
oggettiva e cioè della radicalità del vizio con essi denunciato (cfr. C.d.S.,
A.P., 27.04.2015, n. 5, paragrafi 9.2 e 9.3).
5. In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere. Per conseguenza, va
disposto l’annullamento del provvedimento con esso impugnato
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 28.11.2019 n. 290 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 26.11.2019, "Bando
per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la
rimozione di coperture e di altri manufatti in
cemento-amianto da edifici privati approvato con d.d.u.o.
14.06.2019, n. XI/8615. Approvazione primo elenco di domande
ammesse e non ammesse a finanziamento ed assunzione degli
impegni di spesa" (decreto
D.U.O. 21.11.2019 n. 16778). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 45 del 04.11.2019, "Bando
per la rimozione del cemento amianto da parte di privati,
approvato con d.d.u.o. n. 8615 del 14.06.2019 - Ulteriore
finanziamento e modalità di approvazione elenco domande
ammesse" (deliberazione
G.R. 28.10.2019 n. 2328). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
RIFIUTI – Rovina e crollo di una copertura in eternit –
Omessa comunicazione al Comune da parte del proprietario –
Responsabilità ex artt. 242 e 257, d.lgs. n. 152/2006 –
Configurabilità.
In materia di gestione dei rifiuti, il
proprietario, informato dello stato dei luoghi, è tenuto a
verificare le condizioni in cui si trova la copertura in
eternit ed a comunicare al Comune nel cui territorio
l’immobile insiste, l’esistenza della situazione
potenzialmente inquinante.
L’omissione di tale comunicazione, avendo colpevolmente
dimostrato un pieno disinteresse rispetto allo stato del
manufatto di sua proprietà, pur sapendo che lo stesso era in
parte realizzato con materiale altamente inquinante,
configura la responsabilità per i reati di cui
agli artt. 242 e
257, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006 (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.09.2019 n. 37460 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Eternit
e omessa comunicazione al Comune: cosa rischia il proprietario?
Il proprietario, informato dello stato dei luoghi, è
tenuto a verificare le condizioni in cui si trova la copertura in eternit e
a comunicare al Comune, nel cui territorio l'immobile si trova, l’esistenza
della situazione potenzialmente inquinante. Nel caso tale comunicazione non
venga emessa e il proprietario abbia colpevolmente dimostrato il pieno
disinteresse rispetto allo stato del manufatto di sua proprietà, pur sapendo
che lo stesso era in parte realizzato con materiale altamente inquinante,
potrà essere ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 242 e 257,
comma 1, del D.L.vo n. 152/2006 e punito con la pena dell'arresto da tre
mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro
(massima tratta da
www.tuttoambiente.it)
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21.06.2018 il Tribunale ci Crotone ha condannato Ba.Pa.
alla pena di giustizia, avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui
agli
artt. 242 e
257, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006, per avere egli, in presenza di
un evento potenzialmente inquinante, consistente nella rovina e nel crollo
di una copertura in eternit presente in un immobile di sua proprietà, omesso
di darne comunicazione alle autorità competenti.
Avverso la predetta decisione, ha interposto ricorso in appello il
prevenuto, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo egli ha contestato la attribuzione a suo carico della
responsabilità per la contravvenzione a lui contestata sulla base del solo
dato costituito dal fatto che lo stesso era il proprietario dell'immobile
ove si era verificato il crollo e, pertanto, l'evento potenzialmente
inquinante.
Con il secondo motivo egli ha lamentato la mancata applicazione della causa
di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Sulla base di quanto accertato in sede di merito è risultato che il Ba. era
ben consapevole della esistenza della copertura in eternit riferita al
casolare di sua proprietà sito in Comune di Cotronei, località Trepidò,
tanto da essersi attivato per acquisire dei preventivi di spesa per la
realizzazione della bonifica del sito; egli, pertanto, nella qualità di
proprietario, informato dello stato dei luoghi, era tenuto a verificare le
condizioni in cui si trovava la predetta copertura ed a comunicare al Comune
di Cotronei, nel cui territorio l'immobile insiste, la esistenza della
situazione potenzialmente inquinante.
Posto che egli ha omesso tale comunicazione, avendo colpevolmente dimostrato
un pieno disinteresse rispetto allo stato del manufatto di sua proprietà,
pur sapendo che lo stesso era in parte realizzato con materiale altamente
inquinante, a suo carico il Tribunale di Crotone ha correttamente ritenuto
sussistere la responsabilità per il fatto contestatogli.
Riguardo alla mancata qualificazione del fatto entro l'ambito delle ipotesi
di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen., si rileva, per un verso,
che il ricorrente non ha formulato alcuna specifica istanza volta a far
dichiarare la causa di non punibilità del fatto a lui contestato alla
stregua della disposizione sopra citata, di tal che egli non può ora
lamentare la stringatezza della motivazione con la quale il Tribunale ha
escluso la ricorrenza della fattispecie in questione.
Per altro verso, si rileva anche che il Tribunale ha comunque
escluso, con motivazione sostanzialmente congrua, che la condotta del Ba.
avesse quel minimo grado di offensività che avrebbe giustificato
l'applicazione della causa di non punibilità, posto che il detto giudice ha
messo in luce sia la potenziale pericolosità dell'inquinamento da eternit,
che ritenuto il prevenuto meritevole di una pena la quale, essendo superiore
al minimo edittale, escludeva logicamente la possibilità di qualificare il
fatto in termini di particolare lievità (sull'implicito rigetto della
richiesta di qualificazione del fatto nell'ambito dell'art. 131-bis cod.
pen. in caso di pena irrogata in misura superiore al minimo edittale, cfr.:
Corte di cassazione, Sezione V penale, 10.10.2015, n. 39806)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
10.09.2019 n. 37460). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 36 del 04.09.2019, "Ordine
del giorno concernente i contributi per la rimozione di
coperture e di altri manufatti in cemento-amianto" (deliberazione
C.R. 26.07.2019 n. 589). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
RIFIUTI – Rimozione della copertura di amianto –
Inottemperanza all’ordinanza sindacale – Art. 50 TU Enti
Locali – Abbandono – Responsabilità – Artt. 183, 192 e 255,
c. 3, d.L.vo n. 152/2006 – art. 452-terdecies cod. pen.
Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui
all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce
“chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui
all’ articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui
all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto
fino ad un anno”, sono l’esistenza di un’ordinanza sindacale
di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 192 (codice
dell’ambiente), e la condotta di inottemperanza da parte dei
destinatari dell’ordinanza stessa.
Accanto al generale
divieto di abbandono dei rifiuti e al correlato obbligo di
rimozione in capo a colui che ha proceduto all’abbandono (ed
alla posizione del proprietario “incolpevole”), si colloca
l’ordinanza sindacale di rimozione, smaltimento e ripristino
dei luoghi.
Tale ordinanza, emessa ex art. 192, comma 3, T.U.A., può essere emanata solo nei confronti dei soggetti
che hanno abbandonato i rifiuti.
Rimanendo, comunque, ferma
la possibilità di provare in sede penale di non essere
proprietari del terreno né responsabili dell’abbandono, al
fine di ottenere dal giudice penale la disapplicazione
dell’ordinanza per illegittimità (cioè per mancanza dei
presupposti soggettivi).
...
RIFIUTI – AMIANTO – Rapporti tra la disciplina generale dei
rifiuti e quella contenuta in norme specifiche sull’amianto
– L. n. 257/1992 – Applicazione – Giurisprudenza.
In tema di rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e
quella contenuta in norme specifiche, la legge n. 257 del
1992 riguarda, in via principale, la cessazione dell’impiego
dell’amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate dall’inquinamento di amianto, e
contempla fra i “rifiuti di amianto” qualsiasi sostanza o
qualsiasi oggetto che abbia perso la sua destinazione d’uso
e che possa disperdere fibre di amianto nell’ambiente in
determinate concentrazioni applicabili; in tali casi si deve
avere riguardo alla legge n. 257 medesima e non alla
disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3, n. 31398 del
10/07/2018; Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.07.2019 n. 31310 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Rifiuti. Abbandono e responsabilità.
Mentre il comando di cui all'art. 14, comma 3
(ora art. 192, comma 3 d.lgs. 152/2006) è rivolto ai
responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del
terreno inquinato, il precetto dell'art. 50, comma 2 (ora
art. 255, comma 3, d.lgs. 152/2006) è rivolto ai destinatari
formali dell'ordinanza sindacale; di modo che spetta a
costoro, per evitare di rendersi responsabili
dell'inottemperanza, di ottenere l'annullamento
dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via
giurisdizionale, o -al limite- di provare in sede penale di
non essere proprietari del terreno né responsabili
dell'abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale la
disapplicazione dell'ordinanza per illegittimità (cioè per
mancanza dei presupposti soggettivi).
---------------
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nel considerare i rapporti tra la
disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme
specifiche, la legge n. 257 del 1992
riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego
dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, e
contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi
sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua
destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto
nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, e
che in tali casi si deve avere riguardo alla legge n. 257
medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti.
---------------
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di
Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della
medesima città con la quale Ge.Ez.Gi. era stato condannato,
previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
in misura equivalente alla recidiva, alla pena di mesi
quattro di arresto, in ordine al reato di cui all'art. 255,
comma 3, del d.lvo n. 152 del 2006 (diversamente qualificata
l'originaria imputazione di cui all'art. 452-terdecies cod.
pen.), per avere, quale legale rappresentante della
Im.No.Br. srl, non ottemperato all'ordinanza sindacale e
relativa diffida, emanata dal Sindaco di Milano, ai sensi
dell'art. 192, comma 3, del medesimo decreto, con la quale
si intimava di rimuovere la copertura di amianto su un
immobile di proprietà della medesima società. In Milano dal
20/05/2015 e tutt'ora permanente.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a
mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto
l'annullamento deducendo due motivi di ricorso.
- Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in
relazione all'erronea applicazione degli artt. 192 e 255,
comma 3, del d.lvo n. 152 del 2006.
La corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto
integrata la fattispecie penale sul mero dato
dell'inottemperanza dell'ordinanza emessa ex art. 192 cit.,
senza verificare la legittimità di questa e senza verificare
che l'omissione riguardasse un rifiuto ai sensi dell'art.
183 del medesimo decreto, e senza verificare la ricorrenza
di una condotta di abbandono o deposito.
Non avrebbe poi considerato che il pignoramento immobiliare
e la crisi economica in cui versava l'imputato gli avrebbero
impedito qualunque intervento e dunque l'osservanza
dell'ordinanza sindacale. Nel caso de quo non si
potrebbe ravvisare il reato in assenza di abbandono del
rifiuto, poiché si trattava di un tetto contenente amianto
diventato potenzialmente pericoloso che non è stato dismesso
per le ragioni evidenziate, sicché mancherebbe la volontà
dismissiva di abbandono.
- Vizio di motivazione in relazione alla manifesta illogicità e
contraddittorietà e travisamento dell'esame dell'imputato
con riguardo all'impossibilità di adempiere in ragione del
pignoramento immobiliare e della crisi economica,
circostanze che, ciascuna di esse, escludevano la volontà di
non adempiere per oggettiva impossibilità.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto
l'annullamento con rinvio della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di cui
in motivazione.
5. Secondo quanto risulta dalle conformi sentenze di merito,
insindacabile in questa sede in presenza di congrua
motivazione, era stata accertata l'omessa rimozione della
copertura in amianto di un tetto di un immobile di proprietà
della società di cui il Ge. è il legale rappresentante, a
seguito di diffida del Sindaco del comune di Milano in data
16/10/2013, e successiva ordinanza, emessa il 02/07/2014
(notificata al Ge. il 07/07/2014), ex art. 50 TU Enti
Locali, rimasta ineseguita alla data dell'accertamento il
29/05/2015.
Sulla scorta di tali elementi di fatto, i giudici del
merito, diversamente qualificata l'originaria imputazione di
violazione dell'art. 452- terdecies cod. pen., hanno
condannato il Ge. per la contravvenzione di cui all'art.
255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, per l'inottemperanza
all'ordinanza di rimozione dei rifiuti emessa ai sensi
dell'art. 192, comma 3, del medesimo decreto.
6. Occorre muovere dall'esegesi dalle norme giuridiche che
regolano la materia e segnatamente dall'art. 255, comma 3,
del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 1 e 3, del
medesimo decreto.
Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui
all'art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che
punisce "chiunque non ottempera all'ordinanza del
Sindaco, di cui all' articolo 192, comma 3, o non adempie
all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con
la pena dell'arresto fino ad un anno", sono l'esistenza
di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa
ex art. 192 cit., e la condotta di inottemperanza da parte
dei destinatari dell'ordinanza stessa.
Come chiarito dalle sentenze di Questa Terza Sezione della
Corte di cassazione Grispo e Viti,
trattasi -nonostante
l'apparenza contraria indotta dal riferimento lessicale a "chiunque"-
di un reato proprio, che può essere commesso solo dai
destinatari formali dell'ordinanza (Sez. 3, n. 24724 del
15/05/2007, Grispo, Rv. 236954 - 01; Sez. 3, n. 31003 del
10/07/2002, P.M. in proc. Viti M ed altro, Rv. 222421).
In particolare, la pronuncia Grispo mette in luce i diversi
destinatari dei diversi obblighi, inizialmente dettati dagli
artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto
Ronchi), la cui disciplina è stata poi trasfusa nell'attuale
d.lgs. n. 152 del 2006 che regola il settore.
L'art. 14 del Decreto Ronchi individuava il soggetto
obbligato alla rimozione ed al ripristino nella persona che
ha violato il divieto di abbandono, al quale è affiancato in
solido il proprietario del sito (o il titolare di diritti di
godimento sulla area) solo se la violazione gli sia
imputabile "a titolo di dolo o di colpa".
Accanto al generale divieto di abbandono dei rifiuti e al
correlato obbligo di rimozione in capo a colui che ha
proceduto all'abbandono (ed alla posizione del proprietario
"incolpevole"), si colloca l'ordinanza sindacale di
rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi, prevista
dall'art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22 del 1997, ora D.Lgs.
n. 152 del 2006, art. 192, comma 3. In tale ambito si era,
in particolare chiarito, che l'ordinanza emessa ex art. 14,
comma 3, ora art. 192, comma 3 cit., può essere emanata solo
nei confronti dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti.
Sempre la pronuncia Grispo si riallaccia e ripete i principi
fissati dalla precedente sentenza (Sez. 3, n. 31003 del
10/07/2002, P.M. in proc. Viti ed altro, Rv. 222421), che
evidenziava come,
mentre il comando di cui all'art. 14,
comma 3, è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti
e ai proprietari del terreno inquinato, il precetto
dell'art. 50, comma 2, è rivolto ai destinatari formali
dell'ordinanza sindacale; di modo che spetta a costoro, per
evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, di
ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via
amministrativa o per via giurisdizionale, o -al limite- di
provare in sede penale di non essere proprietari del terreno
né responsabili dell'abbandono, al fine di ottenere dal
giudice penale la disapplicazione dell'ordinanza per
illegittimità (cioè per mancanza dei presupposti
soggettivi).
Mentre onere dell'organo dell'accusa è solo
quello di provare gli elementi essenziali del reato previsto
dall'art. 50, comma 2, D.Lgs. 22/1997, oggi dall'art. 255,
comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, ossia, da una parte,
l'esistenza dell'ordinanza sindacale, emessa ai sensi
dell'art. 192 cit., assistita da presunzione di legittimità
e, dall'altra, l'inottemperanza da parte dei suoi
destinatari.
7. Ora, quanto al caso in scrutinio, la corte territoriale
non ha adeguatamente chiarito se si trattava di un'ipotesi
di abbandono costituente presupposto per l'adozione
dell'ordinanza ex art. 193, comma 3, del d.lgs. n. 152 del
2006, ovvero di inottemperanza al dictum di un
provvedimento amministrativo, legalmente dato ai sensi
dell'art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, da cui
la rilevanza della questione di diritto posta dal
ricorrente, di configurazione della violazione dell'art. 650
cod. pen. E ciò in quanto solo l'inottemperanza
all'ordinanza sindacale emessa ai sensi dell'art. 193, comma
3, cit., è assistita dalla sanzione penale ex art. 255,
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
In tale ambito, incidentalmente rileva, il Collegio, che
la giurisprudenza di legittimità ha, ancora di
recente, chiarito che, nel considerare i rapporti tra la
disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in norme
specifiche, ha affermato che la legge n. 257 del 1992
riguarda, in via principale, la cessazione dell'impiego
dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate dall'inquinamento di amianto, e
contempla fra i "rifiuti di amianto" qualsiasi
sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la sua
destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di amianto
nell'ambiente in determinate concentrazioni applicabili, e
che in tali casi si deve avere riguardo alla legge n. 257
medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti
(Sez. 3, n. 31398 del 10/07/2018; Sez. 3, n. 31011 del
18/06/2002, Zatti, Rv. 222390, non massimata sul punto).
8. In accoglimento del primo motivo di ricorso, la
sentenza va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra
Sezione della Corte d'appello di Milano. Resta assorbito il
secondo motivo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.07.2019 n. 31310). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
illegittimità dell'ordinanza sindacale contingibile ed urgente per rimuovere
l'amianto.
La giurisprudenza ha chiarito che <<la possibilità di
ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla
sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via
d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie
o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza
urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento>>.
Si è inoltre precisato che i <<presupposti per l'adozione da parte del
Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un
pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non
altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento,
e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità
del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili
ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non
vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in
essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità;
aggiungasi che tale potere di ordinanza presuppone necessariamente
situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui
sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua
motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal
principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare
alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di
chiusura, di tale tipologia provvedimentale>>.
---------------
A fronte di precisa e puntuale normativa tecnica,
introdotta in attuazione della
l. n. 257 del 1992, la legittima adozione di
un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di amianto presuppone lo
svolgimento di un’adeguata istruttoria e di una motivazione estremamente
puntuale e dettagliata che dia conto di tutti gli elementi essenziali sopra
ricordati previsti dal
d.m.
06.09.1994.
Sul punto, deve ritenersi che la speciale competenza accordata dall’art. 12,
l. n. 257 del 1992 alle USL, non faccia venire meno il potere extra ordinem
riconosciuto dall’art. 50, d.lgs. n. 267 del 2000, in capo al Sindaco,
essendo quest’ultimo finalizzato a operare in situazioni di pericolo dovuto
ad una situazione di pericolo imprevedibile ed eccezionale, attuale ed
urgente.
D’altronde, perché tale competenza eccezionale sia legittimamente esercitata
occorre che nella motivazione del provvedimento sia dato conto in modo
preciso e puntuale degli elementi
peculiari della fattispecie che impongono un intervento contingibile ed
urgente.
---------------
Nel caso di specie, risulta che né
l’ordinanza sindacale né i documenti tecnici da essa richiamati danno conto, tra
l’altro:
a) delle modalità e della procedura di campionamento e di analisi
adottata e della puntuale compatibilità con i criteri previsti dal d.m. 06.09.1994;
b) di una puntuale valutazione delle condizioni di rischio
effettive e, in particolare, quali e quanti manufatti contenenti amianto
occorra procedere a mettere in sicurezza, le dimensioni e caratteristiche
degli stessi e se siano friabili o meno, e con quale grado di friabilità, in
relazione anche alla maggiore o minore predisposizione al danneggiamento da
parte di terzi;
c) della gravità e rilevanza dell’estensione delle zone
potenzialmente interessate;
d) dei possibili fattori di pericolosità (manomissione) esterna dei
manufatti in relazione alla consistenza degli stessi (ovvero se i beni
interessati siano manomettibili e in che misura e con quale grado potenziale
di rischio);
e) del perché sia, quindi, necessaria proprio la bonifica, e quale
modalità, tra quelle possibili, sia quella necessaria e sufficiente a
mettere in sicurezza la zona.
L’omessa precisa e puntuale indicazione di tutti gli elementi sopra estesi
non consente di comprendere se sussista o meno l’eccezionale urgenza e
l’imprevedibilità del pericolo che solo giustifica l’intervento da parte del
Sindaco.
Sul punto, deve ritenersi meramente ipotetico il pericolo connesso ad una
possibile reiterazione di episodi di incendio, senza una puntuale
descrizione e valutazione delle potenzialità di aerodispersione dell’amianto
presente nei manufatti in relazione allo specifico grado di “fragilità” dei
manufatti in contestazione in caso di incendio medesimo.
Peraltro, sempre con riferimento al pericolo di incendio, non è nemmeno
esplicitato per quale motivo non sia possibile adottare, e, quindi,
ordinare, l’adozione di misure diverse idonee a mettere adeguatamente in
sicurezza l’intero sito dal rischio di incendi.
A conferma di tutto quanto sopra detto, si rammentano le pronunce
giurisprudenziali che hanno sottolineato come <<è illegittimo l'ordine di
rimuovere manufatti contenenti amianto che non è stato preceduto da un
approfondimento tecnico-istruttorio in merito alla scelta del metodo di
bonifica più opportuno tra le diverse modalità attuabili, essendo invece
necessario un preventivo apprezzamento dei rischi connessi alla sua concreta
attuazione>>.
---------------
La particolarità della fattispecie in materia di amianto sia in termini di
attività istruttoria che di motivazione del provvedimento, in particolare in
caso di ordinanza contingibile e urgente, comporta, poi, di apprezzare
diversamente la questione della “derogabilità” all’obbligo di preventiva
comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti, è vero che è affermato il principio secondo il quale <<in caso di
emanazione di un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente non occorre il
rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione
del privato, ex art. 7, l . 07.08.1990 n. 241, essendo queste
incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante
attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del
tempo; in sostanza, la comunicazione di avvio del procedimento nelle
ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco non può che essere di
pregiudizio all'urgenza di provvedere>>.
D’altronde, la complessità istruttoria, argomentativa e anche decisoria che
caratterizza i provvedimenti in materia di amianto, tali da comportare anche
un rilevante esercizio di discrezionalità tecnica da parte della P.A.,
comporta che anche nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti, salvi casi
di eccezionale urgenza e gravità adeguatamente indicati nella motivazione
del provvedimento, il soggetto possibile destinatario di quest’ultimo deve
essere messo nelle condizioni di contraddire e offrire anche il suo apporto
tecnico alle valutazioni che la P.A. è chiamata ad adottare.
Poiché, come sopra visto, non è stato dato conto in modo adeguato e puntuale
della sussistenza di una situazione di tale eccezionale urgenza e gravità,
il Comune avrebbe dovuto procedere alla comunicazione di avvio del
procedimento nei confronti di parte ricorrente.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione, dell'ordinanza contingibile ed
urgente n. 11 dell'11.05.2019, notificata a mezzo p.e.c. in pari data,
avente ad oggetto l'ordine alla società di provvedere, entro 30 giorni dalla
notifica dell'ordinanza, alla bonifica completa della struttura dell'ex
Villaggio Marino Europa, all'interno del quale “è stata accertata la
presenza di amianto crisotilo”.
...
Con ordinanza n. 11 datata 11.05.2019, il Sindaco del Comune di Riomaggiore
ordinava alla società Vi.Ma.Eu. srl (d’ora in poi Vi.), proprietaria
della struttura sita nell’ex Villaggio Europa, Località Spiaggione di
Corniglia (Comune di Riomaggiore), in zona marino-costiera, di provvedere <<alla
bonifica completa della struttura attualmente in essere nel sito dell’ex
Villaggio Marino Europa, all’interno della quale è stata accertata la
presenza di amianto crisotilo, secondo modalità e criteri stabiliti dalle
normative vigenti>> e di comunicare al Comune il <<piano di lavoro>>.
...
1. Il provvedimento oggetto di impugnazione risulta essere stato adottato ai
sensi dell’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000, in forza del quale <<in
caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente
locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale
rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate
dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione
all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave
incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o
di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare
riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei
residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per
asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche>>.
Tale disposizione attribuisce al Sindaco, quale rappresentante della
comunità locale, il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti tra
l'altro "in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale".
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che <<la possibilità di
ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla
sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via
d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie
o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di
pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza
urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento>>
(TAR Piemonte, Sez. II, n. 903 del 2018; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I,
05/11/2018, n. 339).
Si è inoltre precisato che i <<presupposti per l'adozione da parte del
Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un
pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non
altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento,
e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità
del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili
ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non
vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in
essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità;
aggiungasi che tale potere di ordinanza presuppone necessariamente
situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui
sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua
motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal
principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare
alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di
chiusura, di tale tipologia provvedimentale>> (Cons. Stato, Sez. V, n.
774 del 2017).
Con riferimento, poi, alle fattispecie nelle quali viene in esame la
pericolosità della presenza di “amianto” occorre rammentare che
sussiste una specifica disciplina.
Il
d.m.
06.09.1994 recante <<normative e metodologie tecniche per la
valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di
materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie>>,
contiene una disciplina che si applica a strutture edilizie ad uso civile,
commerciale o industriale aperte al pubblico o comunque di utilizzazione
collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto
dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse.
Il documento contiene normative e metodologie tecniche riguardanti:
- l'ispezione delle strutture edilizie, il campionamento e
l'analisi dei materiali sospetti per l'identificazione dei materiali
contenenti amianto;
- il processo diagnostico per la valutazione del rischio e la
scelta dei provvedimenti necessari per il contenimento o l'eliminazione del
rischio stesso;
- il controllo dei materiali contenenti amianto e le procedure per
le attività di custodia e manutenzione in strutture edilizie contenenti
materiali di amianto;
- le misure di sicurezza per gli interventi di bonifica;
- le metodologie tecniche per il campionamento e l'analisi delle
fibre aerodisperse.
Il decreto precisa che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto
dipende dall'eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse
nell'ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più
importante da valutare in tal senso è rappresentato dalla friabilità dei
materiali: si definiscono friabili i materiali che possono essere
sbriciolati o ridotti in polvere mediante la semplice pressione delle dita.
I materiali friabili possono liberare fibre spontaneamente per la scarsa
coesione interna (soprattutto se sottoposti a fattori di deterioramento
quali vibrazioni, correnti d'aria, infiltrazioni di acqua) e possono essere
facilmente danneggiati nel corso di interventi di manutenzione o da parte
degli occupanti dell'edificio, se sono collocati in aree accessibili>>.
In base alla friabilità, i materiali contenenti amianto possono essere
classificati come:
- friabili: materiali che possono essere facilmente sbriciolati o
ridotti in polvere con la semplice pressione manuale;
- compatti: materiali duri che possono essere sbriciolati o ridotti
in polvere solo con l'impiego di attrezzi meccanici (dischi abrasivi, frese,
trapani, ecc.).
Quindi, <<una volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire,
sarà opportuno, prima di procedere al campionamento dei materiali,
articolare un finalizzato programma di ispezione, che si può così
riassumere:
1) ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile
sull'edificio, per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua
costruzione, e per rintracciare, ove possibile, l'impresa edile
appaltatrice;
2) ispezione diretta dei materiali per identificare quelli friabili
e potenzialmente contenenti fibre di amianto;
3) verifica dello stato di conservazione dei materiali friabili,
per fornire una prima valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio
di fibre nell'ambiente;
4) campionamento dei materiali friabili sospetti, e invio presso un
centro attrezzato, per la conferma analitica della presenza e del contenuto
di amianto;
5) mappatura delle zone in cui sono presenti materiali contenenti
amianto;
6) registrazione di tutte le informazioni raccolte in apposite
schede (allegato 5), da conservare come documentazione e da rilasciare anche
ai responsabili dell'edificio>>.
Il decreto, poi, indica analiticamente la procedura che il personale
incaricato dell'ispezione e del campionamento deve seguire, indicando anche
i criteri di selezione del materiale da campionare.
Il decreto chiarisce altresì che <<la presenza di materiali contenenti
amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute
degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene
manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di
rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per
interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di
fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è
in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni
dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono
causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale>>.
Per la valutazione della potenziale esposizione a fibre di amianto del
personale presente nell'edificio, poi, sono utilizzabili due tipi di
criteri:
- l'esame delle condizioni dell'installazione, al fine di stimare
il pericolo di un rilascio di fibre dal materiale;
- la misura della concentrazione delle fibre di amianto
aerodisperse all'interno dell'edificio (monitoraggio ambientale).
Viene precisato, ancora, che il c.d. monitoraggio ambientale, non può
rappresentare da solo un criterio adatto per valutare il rilascio, in quanto
consente essenzialmente di misurare la concentrazione di fibre presente
nell'aria al momento del campionamento, senza ottenere alcuna informazione
sul pericolo che l'amianto possa deteriorarsi o essere danneggiato nel corso
delle normali attività. In particolare, in caso di danneggiamenti, spontanei
o accidentali, si possono verificare rilasci di elevata entità, che
tuttavia, sono occasionali e di breve durata e che quindi non vengono
rilevati in occasione del campionamento. In fase di ispezione visiva
dell'installazione, devono essere, quindi, attentamente valutati:
- il tipo e le condizioni dei materiali;
- i fattori che possono determinare un futuro danneggiamento o
degrado;
- i fattori che influenzano la diffusione di fibre e l'esposizione
degli individui.
Il decreto, quindi, precisa che deve essere compilata una scheda di
sopralluogo, separatamente per ciascun'area dell'edificio in cui sono
presenti materiali contenenti amianto.
I fattori considerati, pertanto, devono consentire di valutare l'eventuale
danneggiamento o degrado del materiale e la possibilità che il materiale
stesso possa deteriorarsi o essere danneggiato.
In base agli elementi raccolti per la valutazione possono, conseguentemente,
delinearsi tre diversi tipi di situazioni:
a) Materiali integri non suscettibili di danneggiamento.
Sono situazioni nelle quali non esiste pericolo di rilascio di fibre di
amianto in atto o potenziale o di esposizione degli occupanti, come ad
esempio:
- materiali non accessibili per la presenza di un efficace
confinamento;
- materiali in buone condizioni, non confinati ma comunque
difficilmente accessibili agli occupanti;
- materiali in buone condizioni, accessibili ma difficilmente
danneggiabili per le caratteristiche proprie del materiale (duro e
compatto);
- non esposizione degli occupanti in quanto l'amianto si trova in
aree non occupate dell'edificio.
In questi casi non è necessario un intervento di bonifica. Occorre, invece,
un controllo periodico delle condizioni dei materiali e il rispetto di
idonee procedure per le operazioni di manutenzione e pulizia dello stabile,
al fine di assicurare che le attività quotidiane dell'edificio siano
condotte in modo da minimizzare il rilascio di fibre di amianto, secondo le
indicazioni riportate nel capitolo 4.
b) Materiali integri suscettibili di danneggiamento
Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio potenziale di fibre
di amianto, come ad esempio:
- materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili dagli
occupanti;
- materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili in
occasione di interventi manutentivi;
- materiali in buone condizioni esposti a fattori di deterioramento
(vibrazioni, correnti d'aria, ecc.).
In situazioni di questo tipo, in primo luogo, devono essere adottati
provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di danneggiamento e quindi
attuare un programma di controllo e manutenzione secondo le indicazioni
riportate nel capitolo 4. Se non è possibile ridurre significativamente i
rischi di danneggiamento dovrà essere preso in considerazione un intervento
di bonifica da attuare a medio termine.
c) Materiali danneggiati
Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto
con possibile esposizione degli occupanti, come ad esempio:
- materiali a vista o comunque non confinati, in aree occupate
dell'edificio, che si presentino:
- danneggiati per azione degli occupanti o per interventi
manutentivi;
- deteriorati per effetto di fattori esterni (vibrazioni,
infiltrazioni d'acqua, correnti d'aria, ecc.), deteriorati per degrado
spontaneo;
- materiali danneggiati o deteriorati o materiali friabili in
prossimità dei sistemi di ventilazione.
Sono queste le situazioni in cui si determina la necessità di un'azione
specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio in atto di
fibre di amianto nell'ambiente.
I provvedimenti possibili possono essere:
- restauro dei materiali: l'amianto viene lasciato in sede senza
effettuare alcun intervento di bonifica vera e propria, ma limitandosi a
riparare le zone danneggiate e/o ad eliminare le cause potenziali del
danneggiamento (modifica del sistema di ventilazione in presenza di correnti
d'aria che erodono il rivestimento, riparazione delle perdite di acqua,
eliminazione delle fonti di vibrazioni, interventi atti ad evitare il
danneggiamento da parte degli occupanti). È applicabile per materiali in
buone condizioni che presentino zone di danneggiamento di scarsa estensione
(inferiori al 10% della superficie di amianto presente nell'area
interessata). È il provvedimento di elezione per rivestimenti di tubi e
caldaie o per materiali poco friabili di tipo cementizio, che presentino
danni circoscritti. Nel caso di materiali friabili è applicabile se la
superficie integra presenta sufficiente coesione da non determinare un
rilascio spontaneo di fibre;
- intervento di bonifica mediante rimozione, incapsulamento o
confinamento dell'amianto. La bonifica può riguardare l'intera installazione
o essere circoscritta alle aree dell'edificio o alle zone dell'installazione
in cui si determina un rilascio di fibre.
Quando si presentano situazioni di incerta classificazione è necessaria
anche una indagine ambientale che misuri la concentrazione di fibre
aerodisperse, con le tecniche indicate nel decreto.
Una volta che si accerti una situazione per la quale è necessaria la
“bonifica”, il decreto indica le metodologie applicabili.
I metodi di bonifica
che possono essere attuati, sia nel caso di interventi circoscritti ad aree
limitate dell'edificio, sia nel caso di interventi generali,
sono:
1) Rimozione dei materiali di amianto
È il procedimento più diffuso perché elimina ogni potenziale fonte di
esposizione ed ogni necessità di attuare specifiche cautele per le attività
che si svolgono nell'edificio. Comporta un rischio estremamente elevato per
i lavoratori addetti e per la contaminazione dell'ambiente; produce notevoli
quantitativi di rifiuti tossici e nocivi che devono essere correttamente
smaltiti.
È la procedura che comporta i costi più elevati ed i più lunghi
tempi di realizzazione. In genere richiede l'applicazione di un nuovo
materiale, in sostituzione dell'amianto rimosso.
2) Incapsulamento
Consiste nel trattamento dell'amianto con prodotti penetranti o ricoprenti
che (a seconda del tipo di prodotto usato) tendono ad inglobare le fibre di
amianto, a ripristinare l'aderenza al supporto, a costituire una pellicola
di protezione sulla superficie esposta. Costi e tempi dell'intervento
risultano più contenuti. Non richiede la successiva applicazione di un
prodotto sostitutivo e non produce rifiuti tossici. Il rischio per i
lavoratori addetti e per l'inquinamento dell'ambiente è generalmente minore
rispetto alla rimozione. È il trattamento di elezione per i materiali poco
friabili di tipo cementizio.
Il principale inconveniente è rappresentato
dalla permanenza nell'edificio del materiale di amianto e dalla conseguente
necessità di mantenere un programma di controllo e manutenzione. Occorre
inoltre verificare periodicamente l'efficacia dell'incapsulamento, che col
tempo può alterarsi o essere danneggiato, ed eventualmente ripetere il
trattamento. L'eventuale rimozione di un materiale di amianto
precedentemente incapsulato è più complessa, per la difficoltà di bagnare il
materiale a causa dell'effetto impermeabilizzante del trattamento. Inoltre,
l'incapsulamento può alterare le proprietà antifiamma e fonoassorbenti del
rivestimento di amianto.
3) Confinamento
Consiste nell'installazione di una barriera a tenuta che separi l'amianto
dalle aree occupate dell'edificio. Se non viene associato ad un trattamento
incapsulante, il rilascio di fibre continua all'interno del confinamento.
Rispetto all'incapsulamento, presenta il vantaggio di realizzare una
barriera resistente agli urti.
È indicato nel caso di materiali facilmente
accessibili, in particolare per bonifica di aree circoscritte (ad es. una
colonna). Non è indicato quando sia necessario accedere frequentemente nello
spazio confinato. Il costo è contenuto, se l'intervento non comporta lo
spostamento dell'impianto elettrico, termoidraulico, di ventilazione, ecc.
Occorre sempre un programma di controllo e manutenzione, in quanto l'amianto
rimane nell'edificio; inoltre la barriera installata per il confinamento
deve essere mantenuta in buone condizioni.
Con riferimento, proprio alla scelta del metodo di bonifica, il decreto
fornisce precise indicazioni:
i) un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore
soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto; se viene condotto
impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse,
aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto;
ii) materiali accessibili, soprattutto se facilmente danneggiabili,
devono essere protetti da un idoneo confinamento;
iii) prima di scegliere un intervento di incapsulaggio deve essere
attentamente valutata l'idoneità del materiale di amianto a sopportare il
peso dell'incapsulante.
In particolare trattamenti incapsulanti non sono indicati:
- nel caso di materiali molto friabili o che presentano scarsa
coesione interna o adesione al substrato, in quanto l'incapsulante aumenta
il peso strutturale aggravando la tendenza del materiale a delaminarsi o a
staccarsi dal substrato;
- nel caso di materiali friabili di spessore elevato (maggiore di 2
cm), nei quali il trattamento non penetra molto in profondità e non riesce
quindi a restituire l'adesione al supporto sottostante.
Per contro l'aumento di peso può facilitare il distacco dell'amianto:
- nel caso di infiltrazioni di acqua: il trattamento
impermeabilizza il materiale così che si possono formare internamente
raccolte di acqua che appesantiscono il rivestimento e ne disciolgono i
leganti, determinando il distacco;
- nel caso di materiali facilmente accessibili, in quanto il
trattamento forma una pellicola di protezione scarsamente resistente agli
urti. Non dovrebbe essere mai effettuato su superfici che non siano almeno a
3 metri di altezza, in aree soggette a frequenti interventi di manutenzione
o su superfici, a qualsiasi altezza, che possano essere danneggiate da
attrezzi (es. soffitti delle palestre);
- nel caso di installazioni soggette a vibrazioni (aeroporti,
locali con macchinari pesanti, ecc.): le vibrazioni determinano rilascio di
fibre anche se il materiale è stato incapsulato;
iv) tutti i metodi di bonifica alternativi alla rimozione
presentano costi minori a breve termine. A lungo termine, però il costo
aumenta per la necessità di controlli periodici e di successivi interventi
per mantenere l'efficacia e l'integrità del trattamento. Il risparmio
economico (così come la maggiore rapidità di esecuzione), rispetto alla
rimozione, dipende prevalentemente dal fatto che non occorre applicare un
prodotto sostitutivo e che non vi sono rifiuti tossici da smaltire. Le
misure di sicurezza da attuare sono, invece, per la maggior parte le stesse
per tutti i metodi;
v) interventi di ristrutturazione o demolizione di strutture
rivestite di amianto devono sempre essere preceduti dalla rimozione
dell'amianto stesso.
*********
A fronte della precisa e puntuale normativa tecnica sopra ricordata,
introdotta in attuazione della
l. n. 257 del 1992, la legittima adozione di
un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di amianto presuppone lo
svolgimento di un’adeguata istruttoria e di una motivazione estremamente
puntuale e dettagliata che dia conto di tutti gli elementi essenziali sopra
ricordati previsti dal d.m. 06.09.1994.
Sul punto, deve ritenersi che la speciale competenza accordata dall’art. 12,
l. n. 257 del 1992 alle USL, non faccia venire meno il potere extra ordinem
riconosciuto dall’art. 50, d.lgs. n. 267 del 2000, in capo al Sindaco,
essendo quest’ultimo finalizzato a operare in situazioni di pericolo dovuto
ad una situazione di pericolo imprevedibile ed eccezionale, attuale ed
urgente.
D’altronde, perché tale competenza eccezionale sia legittimamente esercitata
occorre che nella motivazione del provvedimento sia dato conto in modo
preciso e puntuale, in aggiunta a quanto già sopra rilevato, degli elementi
peculiari della fattispecie che impongono un intervento contingibile ed
urgente.
Come accennato, il Comune ha ordinato la “bonifica” completa della struttura
attualmente in essere nel sito, limitandosi a precisare “secondo le modalità
e criteri stabiliti dalle norme vigenti”.
Il provvedimento risulta fondato:
- sui rilievi operati dal Comando provinciale dei Vigili del Fuoco
di La Spezia, di cui alla nota acquisita al protocollo comunale il 5.3.2019,
nota che a sua volta richiama i risultati dei rapporti di prova dell’Arpal
sul campione raccolto in data 21.02. u.s., “in corrispondenza della
struttura” ancora in essere nell’Ex Villaggio Europa presso lo spiaggione di
Corniglia, dai quali emergere la presenza di amianto crisotilo;
- sul fatto che l’intera struttura si trova in stato di abbandono
sicché <<non è esclusa la possibilità di ulteriori incendi, i quali a causa
delle problematiche collegate alle difficoltà di raggiungimento del sito da
parte dei vigili del fuoco, potrebbero risultare di difficile spegnimento,
rappresentando un potenziale pericolo per la salute delle persone, i beni
limitrofi e la salvaguardia della pubblica incolumità>>;
- sulla nota dei vigili del fuoco che indica come <<indispensabile
l’emissione da parte del Sindaco di un provvedimento amministrativo che
obblighi la proprietà ad una messa in sicurezza dell’intero sito dell’Ex
Villaggio Europa>>;
Per quanto concerne, poi, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento,
il Comune si è limitato ad asserire che <<le particolari esigenze di
celerità del procedimento connesse all’urgenza e conseguente immediata
esecutività del presente provvedimento, rendono impossibile l’effettuazione
della comunicazione di avvio del procedimento prevista dalla legge 07.08.1990, n. 241>>.
Esaminiamo, quindi, la documentazione richiamata dal Comune.
Per quanto concerne la <<proposta di emissione di ordinanza per ripristino
rete e chiusure presso l’ex villaggio Marino Europa>> emessa, in data
19.06.2019, dai Carabinieri, questi ultimi hanno segnalato sia la presenza
irregolare di persone senza fissa dimora, sia il fatto che la presenza dei
soggetti nell’area non è limitata solo ad avere un giaciglio dove
trascorrere la notte, ma con l’estate il luogo riceve turisti amanti della
natura che invadono il terreno privato, nuovamente privo di reti,
limitazioni e cartelli segnalanti la chiusura; in talune occasioni, poi, il
comportamento di alcuni degli occupanti ha avuto risalto delittuoso per
discussioni alimentate anche dall’alcool e sfocianti con l’aggressione l’uno
contro l’altro, nonché con l’accensione di fuochi pericolosi per il rischio
incendio;
I carabinieri, quindi, per risolvere i problemi di cui sopra hanno proposto
al Comune di adottare un’ordinanza per:
- sensibilizzare la proprietà a reinstallare reti interdittive e a
vigilare sull’efficienza di queste, già oggetto di precedente ordinanza;
- ripristinare il cartello (anche in inglese) ad inizio sentiero,
anche in lingua inglese per preavvisare coloro che vi accedono e per mettere
in condizione la FFPP di contestare la violazione sindacale oltre a quelle
di settore;
- valutare la rimozione o l’abbattimento, mantenendo traccia dei
manufatti delle poche baracche ancora integre che vengono puntualmente
occupate abusivamente.
Nella relazione di intervento dei vigili del fuoco del 09.01.2019, poi, è
stato dato conto del fatto che gli stessi si erano recati in loco perché
stava bruciando <<l’ultima baracca lato Riomaggiore dell’abbandonato
villaggio turistico “Europa”, ubicato sotto la stazione ferroviaria di
Corniglia>>. E <<avendo sentore di probabile presenza di materiali M.C.A. si
attuavano normali e importanti precauzioni anti-contaminazione tra cui porsi
sopravento (forza vento alta) e bagnare tutta la zona circostante; si
provvedeva, poi, ad attaccare l’incendio e a smassare per il minuto
spegnimento>>.
Con riguardo ai provvedimenti di tutela adottati, veniva dato conto di:
<<lavaggio d.p.i., prelievo campione di materiale con sospetto M.C.A. e
consegnato a personale NBCR DEL comando>>.
Con atto del 05.03.2019 il Comando provinciale dei VV.FF. di La Spezia ha dato
conto del fatto che in occasione dell’intervento del 09.01.2019 di cui sopra,
era stata <<rilevata la presenza di materiale con sospetta presenza di
amianto>> <<in matrice compatta, in coperture, serbatoi, tubazioni>>, e che
era stato prelevato un campione di detto materiale consegnato ad Arpal, la
quale in data in data 21.02.2019 aveva fatto pervenire rapporti di prova del
campione dai quali emergeva la presenza di amianto crisotilo.
E’ stato, quindi, rilevato che <<l’intera struttura era in stato di
abbandono e non si esclude la possibilità che si possano verificare in
futuro ulteriori incendi e visto che la viabilità del sito non consente un
facile accesso agli automezzi di soccorso, si ritiene necessario che codesta
amministrazione comunale competente provveda a far eseguire gli interventi
necessari per la messa in sicurezza del sito>>.
***********
Ebbene, alla luce di tutto quanto sin qui detto risulta evidente che né
l’ordinanza, né i documenti tecnici da essa richiamati danno conto, tra
l’altro:
a) delle modalità e della procedura di campionamento e di analisi
adottata e della puntuale compatibilità con i criteri previsti dal d.m. 06.09.1994;
b) di una puntuale valutazione delle condizioni di rischio
effettive e, in particolare, quali e quanti manufatti contenenti amianto
occorra procedere a mettere in sicurezza, le dimensioni e caratteristiche
degli stessi e se siano friabili o meno, e con quale grado di friabilità, in
relazione anche alla maggiore o minore predisposizione al danneggiamento da
parte di terzi;
c) della gravità e rilevanza dell’estensione delle zone
potenzialmente interessate;
d) dei possibili fattori di pericolosità (manomissione) esterna dei
manufatti in relazione alla consistenza degli stessi (ovvero se i beni
interessati siano manomettibili e in che misura e con quale grado potenziale
di rischio);
e) del perché sia, quindi, necessaria proprio la bonifica, e quale
modalità, tra quelle possibili, sia quella necessaria e sufficiente a
mettere in sicurezza la zona.
L’omessa precisa e puntuale indicazione di tutti gli elementi sopra estesi
non consente di comprendere se sussista o meno l’eccezionale urgenza e
l’imprevedibilità del pericolo che solo giustifica l’intervento da parte del
Sindaco.
Sul punto, deve ritenersi meramente ipotetico il pericolo connesso ad una
possibile reiterazione di episodi di incendio, senza una puntuale
descrizione e valutazione delle potenzialità di aerodispersione dell’amianto
presente nei manufatti in relazione allo specifico grado di “fragilità” dei
manufatti in contestazione in caso di incendio medesimo.
Peraltro, sempre con riferimento al pericolo di incendio, non è nemmeno
esplicitato per quale motivo non sia possibile adottare, e, quindi,
ordinare, l’adozione di misure diverse idonee a mettere adeguatamente in
sicurezza l’intero sito dal rischio di incendi.
A conferma di tutto quanto sopra detto, si rammentano le pronunce
giurisprudenziali che hanno sottolineato come <<è illegittimo l'ordine di
rimuovere manufatti contenenti amianto che non è stato preceduto da un
approfondimento tecnico-istruttorio in merito alla scelta del metodo di
bonifica più opportuno tra le diverse modalità attuabili, essendo invece
necessario un preventivo apprezzamento dei rischi connessi alla sua concreta
attuazione>> (in tal senso, TAR, Ancona, sez. I, 07/10/2016, n. 545;
conformemente, TAR Puglia, sez. dist. Lecce, sez. I, 06/02/2014, n. 337).
La particolarità della fattispecie in materia di amianto sia in termini di
attività istruttoria che di motivazione del provvedimento, in particolare in
caso di ordinanza contingibile e urgente, comporta, poi, di apprezzare
diversamente la questione della “derogabilità” all’obbligo di preventiva
comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti, è vero che è affermato il principio secondo il quale <<in caso di
emanazione di un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente non occorre il
rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione
del privato, ex art. 7, l . 07.08.1990 n. 241, essendo queste
incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante
attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del
tempo; in sostanza, la comunicazione di avvio del procedimento nelle
ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco non può che essere di
pregiudizio all'urgenza di provvedere>> (C. Stato, sez. V, 01/12/2014, n.
5919).
D’altronde, la complessità istruttoria, argomentativa e anche decisoria che
caratterizza i provvedimenti in materia di amianto, tali da comportare anche
un rilevante esercizio di discrezionalità tecnica da parte della P.A.,
comporta che anche nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti, salvi casi
di eccezionale urgenza e gravità adeguatamente indicati nella motivazione
del provvedimento, il soggetto possibile destinatario di quest’ultimo deve
essere messo nelle condizioni di contraddire e offrire anche il suo apporto
tecnico alle valutazioni che la P.A. è chiamata ad adottare.
Poiché, come sopra visto, non è stato dato conto in modo adeguato e puntuale
della sussistenza di una situazione di tale eccezionale urgenza e gravità,
il Comune avrebbe dovuto procedere alla comunicazione di avvio del
procedimento nei confronti di parte ricorrente.
*********
In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento
impugnato deve essere annullato, nei limiti e per i motivi sopra esposti,
per difetto di motivazione e omessa comunicazione dell’avvio del
procedimento
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 08.07.2019 n. 603 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Contributi regionali per la rimozione dell’amianto:
approvazione Bando (ANCE di Bergamo,
circolare 28.06.2019 n. 164). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 25 del 18.06.2019, "Approvazione
del bando per l’assegnazione di contributi ai cittadini per
la rimozione di coperture e di altri manufatti in
cemento-amianto da edifici privati" (decreto
D.U.O. 14.06.2019 n. 8615). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Contributi regionali per la rimozione
dell’amianto: approvazione dei criteri (ANCE di Bergamo,
circolare 06.06.2019 n. 143). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: E’
pacifico che il principio “chi inquina paga” non ammette
forme di responsabilità a prescindere dalla materiale
causazione del danno o del pericolo ambientale.
L’Amministrazione non può imporre, infatti, al proprietario
di un’area contaminata, il quale non sia l’autore
dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di
siffatta area. Orientamento, questo, che la Corte di
Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa
comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla
responsabilità ambientale.
Per la giurisprudenza, ai sensi degli artt. 242, comma 1, e
244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, una volta
riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un
sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in
sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di
ripristino ambientale possono essere, invero, imposti dalla
Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili
dell'inquinamento e cioè ai soggetti che abbiano in tutto o
in parte generato la contaminazione tramite un proprio
comportamento commissivo od omissivo, legato
all'inquinamento da un preciso nesso di causalità, non
essendo configurabile una responsabilità di mera posizione
del proprietario del sito inquinato.
Unica eccezione è costituita dalle (mere) misure di
precauzione che gravano sul proprietario o detentore del
sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non
avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non
presuppongono affatto l’accertamento del dolo o della colpa.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione cautelare,
dell'ordinanza sindacale del Comune di Spilimbergo n. 62 del
24.07.2018, per l'esecuzione di misure di prevenzione ai
sensi dell'art. 240 c. 1, lett. i), del d.lgs. 152/2006
presso l'area industriale sita in Spilimbergo “Zona
industriale Cosa”, Fg. 27 mapp. n. 335, nonché in merito
alla presunta copertura in cemento-amianto dell'immobile
(doc. 1);
...
La società UB.Le. S.p.A., proprietaria di una serie di
immobili ed aree siti nel Comune di Spilimbergo (PN), Zona
Industriale Cosa, contesta la legittimità, invocandone
l’annullamento, previa sospensione cautelare, del
provvedimento a firma congiunta del Sindaco e del
Responsabile del Servizio Ambiente in epigrafe compiutamente
indicato, laddove le è stato ordinato, quale proprietà dei
mappali medesimi e, in particolare, di quelli interessati
dallo stabilimento “ex Sintesi” ove insistono le
vasche dell’impianto di trattamento (cromo e nichel) ancora
parzialmente piene di prodotto, nonché le vasche di raccolta
reflui e acque di processo del pari ancora piene, di
provvedere ai sensi artt. 240, 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006:
“- entro il termine perentorio di 10 giorni dal
ricevimento della presente, a porre in essere tutte le
necessarie misure di prevenzione finalizzate ad evitare che
i materiali liquidi/rifiuti liquidi sopra indicati alle
lett. a) e b) delle premesse della presente ordinanza,
possano costituire potenziale sorgente attiva di
contaminazione del suolo, del sottosuolo e della falda
sotterranea: le misure di prevenzione dovranno consistere
nella totale rimozione dei materiali/rifiuti liquidi sopra
indicati e nel loro avvio a recupero/smaltimento nelle forme
di legge, ed altresì nel successivo completo lavaggio e
pulizia di tutte le vasche/cisterne di raccolta degli
stessi;
- di effettuare, entro 30 giorni dal ricevimento della
presente, l’analisi di classificazione della copertura
dell’immobile indicato in premessa, e ove risultasse
composta da cemento-amianto (eternit), procedere, nei 30
giorni successivi, ai sensi del D.M 06/09/1994 <Normative e
metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e
dell'art. 12, comma 2, della Legge 27.02.1992 n. 257,
relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto>,
attraverso ditta specializzata e/o tecnico qualificato, alla
valutazione dello stato di degrado dei materiali contenti
amianto sulla copertura del fabbricato, trasmettendola al
Comune; in seguito alla valutazione dello stato di degrado o
conservazione della copertura in cemento-amianto, effettuare
altresì gli interventi di monitoraggio e controllo periodico
o, se necessario, procedere, a seconda dello stato di
degrado della copertura, con uno degli interventi di
bonifica previsti dalla normativa vigente (D.M. 06.09.1994
rimozione, incapsulamento, confinamento)”.
...
Il ricorso merita accoglimento.
Indiscussa, invero, la permanenza dell’interesse alla
decisione nel merito in capo a parte ricorrente, atteso che,
da quanto riferito da entrambe le parti, la medesima avrebbe
solo dato avvio ai lavori di rimozione dei materiali/rifiuti
liquidi presenti nel sito e manifestato l’intenzione di
effettuare quelli di bonifica dell’eternit del pari presente
nel sito, sicché –è evidente– il provvedimento gravato non
ha, allo stato, ancora esaurito i propri effetti nei suoi
confronti, il Collegio ritiene dirimenti i primi due motivi
di gravame.
In disparte l’effettiva “perplessità” dell’adozione
congiunta del provvedimento gravato da parte dell’organo
politico di vertice dell’ente civico e di quello gestionale
competente per materia, il Collegio ritiene, in effetti, che
il provvedimento in questione fuoriesca, per il suo
contenuto e la sua effettiva portata, dallo stretto
perimetro delle cd. misure di prevenzione di cui all’art.
240, c. 1, lett. i), d.lgs. n. 152/2006 e, in particolare,
che difetti degli stringenti presupposti stabiliti per
l’emissione dei provvedimenti contingibili ed urgenti di
competenza sindacale, dovendo, per converso, venire
declinato secondo la procedura “ordinaria” di cui
all’art. 244 d.lgs. citato, di spettanza dell’ente cui
competono le funzioni amministrative in materia di ambiente.
Decisiva, nei sensi dell’illegittimità dell’ordinanza in
questione laddove emessa nei confronti della ricorrente, è,
in ogni caso, la circostanza che la stessa poggia sulla mera
e acritica constatazione della titolarità in capo alla
società Ub.Le. del bene su cui insiste l’inquinamento al
quale, ancorché impropriamente, ha inteso ovviare, senza
peritarsi di indagare in alcun modo se la situazione
pregiudizievole per l’ambiente che è stata riscontrata le
sia effettivamente ascrivibile.
E’ pacifico, però, che il principio “chi inquina paga”
non ammette forme di responsabilità a prescindere dalla
materiale causazione del danno o del pericolo ambientale.
L’Amministrazione non può imporre, infatti, al proprietario
di un’area contaminata, il quale non sia l’autore
dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di
siffatta area (ex multis, Cons. Stato, Sez. V,
21.11.2016, n. 4875). Orientamento, questo, che la Corte di
Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa
comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla
responsabilità ambientale (cfr. CGUE, Sez. III, 04.03.2015,
causa C-534/13).
Per la giurisprudenza, ai sensi degli artt. 242, comma 1, e
244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, una volta
riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un
sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in
sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di
ripristino ambientale possono essere, invero, imposti dalla
Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili
dell'inquinamento e cioè ai soggetti che abbiano in tutto o
in parte generato la contaminazione tramite un proprio
comportamento commissivo od omissivo, legato
all'inquinamento da un preciso nesso di causalità, non
essendo configurabile una responsabilità di mera posizione
del proprietario del sito inquinato (cfr. Cons. Stato, Ad.
plen. 25.09.2013, n. 21; Corte di giustizia, sez. III,
04.03.2015, C-534/13).
Unica eccezione è costituita dalle (mere) misure di
precauzione, ipotesi che non ricorre, però, nel caso di
specie, che gravano sul proprietario o detentore del sito da
cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo
finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppongono
affatto l’accertamento del dolo o della colpa (Cons. Stato,
V, 08.03.2017, n. 1089; in questi termini, Cons. Stato, sez.
V, 14.04.2016, n. 1509; Cons. Stato, sez. VI, 15.07.2015, n.
3544).
In definitiva, i motivi scrutinati sono fondati (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 05.06.2019 n. 247 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI SERVIZI: L’art.
212 del D.Lgs. n. 152/2006 (Norme in materia ambientale) al
comma 5 così testualmente dispone: “L’iscrizione all’Albo è
requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e
trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei
beni contenenti amianto, di commercio e di intermediazione
dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi”.
Sicché, partecipando ad una gara d'appalto ed in carenza di
tale iscrizione, non può che conseguire l’esclusione dalla
gara stessa per carenza di un requisito abilitativo per
l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto rifiuti,
rientrante nel novero dei requisiti speciali di idoneità
professionale in relazione alle attività oggetto di appalto,
che, come affermato dalla giurisprudenza e dall’Autorità
Nazionale Anticorruzione, costituisce requisito di
partecipazione alla gara (e, come tale, va posseduto già
alla scadenza del termine di presentazione delle offerte), e
non soltanto di esecuzione del servizio.
Pertanto, nel caso di appalto avente ad oggetto le attività
di cui all’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006, anche a
voler ritenere che la stazione appaltante non avesse
previsto nella legge di gara tra i requisiti di
partecipazione quello dell’iscrizione all’Albo in parola, la
disciplina di gara, avuto riguardo allo specifico oggetto
dell’appalto, dovrebbe ritenersi automaticamente
etero-integrata dal diritto nazionale vigente, colmandosi le
lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica
Amministrazione secondo un meccanismo analogo a quello di
cui agli artt. 1374 e 1339 c.c.
Sarebbe quindi irrilevante la collocazione nel Capitolato
della richiesta del requisito che doveva essere posseduto
anche a prescindere da una specifica previsione nella lex
specialis.
---------------
Il requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali
è un requisito di natura soggettiva relativo alla idoneità
professionale degli operatori a norma dell’art. 83, comma 1,
lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, e costituisce titolo
autorizzatorio per l’esercizio dell’attività di raccolta e
trasporti dei rifiuti pericolosi e non, sì che “il relativo
possesso determina quindi l’abilitazione soggettiva
all’esercizio della professione e costituisce pertanto, un
requisito che si pone a monte dell'attività di gestione dei
rifiuti, pacificamente rientrando nell’ambito dei requisiti
di partecipazione e non di esecuzione”, risultando poi la
presenza soggettiva di siffatto requisito per poter
concorrere a gare aventi ad oggetto dette attività “conforme
all’immanente principio di ragionevolezza e di
proporzionalità – in specie, quanto a necessarietà e
adeguatezza”.
---------------
5.1. Come esposto in narrativa l’appellante ripropone con
l’odierno gravame solo le censure attinenti all’asserita
carenza del requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori
Ambientali in capo al RTI aggiudicatario, impugnando le
relative statuizioni della sentenza di prime cure che hanno
respinto il motivo sul presupposto che venisse in rilievo un
mero requisito di esecuzione ( richiesto “nell’ambito
dell’appalto e delle attività relative alla gestione dei
rifiuti in esso comprese”), non necessario ai fini della
ammissione alla gara: ciò si ricaverebbe, ad avviso del
primo giudice, dalla previsione del requisito in esame nel
solo Capitolato, e dalla circostanza che la lex specialis,
non impugnata sul punto dalla ricorrente, non lo indicasse
espressamente tra quelli richiesti, a pena di esclusione,
per la partecipazione alla gara; sotto altro concorrente
profilo, sarebbe poi dirimente il riferimento contenuto nel
Capitolato all’impresa appaltatrice (il che presupporrebbe
appunto l’intervenuta aggiudicazione) e la possibilità di
delega del servizio di trasporto dei rifiuti (per la quale
era richiesta l’iscrizione all’Albo nella categorie 4F e 5F)
ad un’impresa terza (di cui la ditta appaltatrice può
appunto avvalersi).
5.2. L’appellante contesta una siffatta ricostruzione,
rilevando anzitutto come la circostanza che oggetto
dell’appalto in questione fosse, tra l’altro, anche
l’attività di raccolta dei rifiuti e trasporto di essi
presso gli impianti di smaltimento imponesse l’applicazione
alla fattispecie dell’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006
(Norme in materia ambientale) che al comma 5 così
testualmente dispone: “L’iscrizione all’Albo è requisito
per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di
rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni
contenenti amianto, di commercio e di intermediazione dei
rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi”.
5.3. Conformemente a tale previsione di legge, pertanto, il
Capitolato, integrando sul punto il bando, ha richiesto che
le concorrenti fossero in possesso del requisito minimo
dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali categoria
2-bis, nonché 4F e 5F (pag. 65): in particolare l’operatore
economico avrebbe dovuto essere in possesso della categoria
2-bis richiesta dal D.M. n. 120 del 03.06.2014 per il
produttore di rifiuti (che è per l’appunto l’operatore
economico affidatario della commessa), nonché delle
ulteriori categorie 4F e 5F richieste per l’operatore
economico che effettua l’attività di raccolta e trasporto
dei rifiuti non pericolosi (categoria 4) e pericolosi
(categoria 5); solo per tali ultime due categorie (4F e 5F)
il Capitolato avrebbe consentito, sempre ad avviso
dell’appellante, che, qualora l’attività di raccolta e
trasporto rifiuti pericolosi fosse stata svolta in regime di
subappalto, fosse il subappaltatore a possedere
l’iscrizione, fermo restando l’obbligo in capo all’operatore
economico concorrente di possedere (ai fini della
partecipazione alla gara) comunque il requisito
dell’iscrizione nell’Albo Gestori Ambientali per la
categoria 2-bis.
5.4. Sennonché nella specie né la mandatari I.C. Se. né la
mandante Il Ri. erano iscritte nell’Albo: da qui non poteva
che conseguire, secondo La Lu., l’esclusione dalla gara per
carenza di un requisito abilitativo per l’esercizio
dell’attività di raccolta e trasporto rifiuti, rientrante
nel novero dei requisiti speciali di idoneità professionale
in relazione alle attività oggetto di appalto, che, come
affermato dalla giurisprudenza (Cons. di Stato, Sez. V,
22.10.2018, n. 6032; id., V, 19.04.2017, n. 1825) e
dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (delibera ANAC del
28.03.2018, n 324), costituisce requisito di partecipazione
alla gara (e, come tale, va posseduto già alla scadenza del
termine di presentazione delle offerte), e non soltanto di
esecuzione del servizio.
5.5. Pertanto, nel caso di appalto avente ad oggetto le
attività di cui all’art. 212 del D.Lgs. n. 152 del 2006,
anche a voler ritenere che la stazione appaltante non avesse
previsto nella legge di gara tra i requisiti di
partecipazione quello dell’iscrizione all’Albo in parola, la
disciplina di gara, avuto riguardo allo specifico oggetto
dell’appalto, dovrebbe ritenersi automaticamente
etero-integrata dal diritto nazionale vigente, colmandosi le
lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica
Amministrazione secondo un meccanismo analogo a quello di
cui agli artt. 1374 e 1339 c.c.
5.6. Sarebbe quindi irrilevante la collocazione nel
Capitolato della richiesta del requisito che doveva essere
posseduto anche a prescindere da una specifica previsione
nella lex specialis.
...
6.1. Devono
anzitutto richiamarsi le previsioni di cui all’art. 212,
comma 5 e 6, del d.lgs. 152 del 2006 recante Norme in
materia ambientale (di seguito “T.U.A.” o “Codice
dell’ambiente”) in base alle quali: “L'iscrizione
all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di
raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da
terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di
bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto,
di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione
dei rifiuti stessi, nonché di gestione di impianti di
smaltimento e di recupero di titolarità di terzi e di
gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di
rifiuti, nei limiti di cui all'articolo 208, comma 15. Sono
esonerati dall'obbligo di cui al presente comma le
organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a)
e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, a condizione che
dispongano di evidenze documentali o contabili che svolgano
funzioni analoghe, fermi restando gli adempimenti
documentali e contabili previsti a carico dei predetti
soggetti dalle vigenti normative.
6. L'iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e
costituisce titolo per l'esercizio delle attività di
raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione
dei rifiuti; per le altre attività l'iscrizione abilita alla
gestione degli impianti il cui esercizio sia stato
autorizzato o allo svolgimento delle attività soggette ad
iscrizione.”
6.2. Richiamate tali previsioni, giova in primo luogo
evidenziare come vero è che, in base al consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa che la
Sezione condivide ed a cui intende dare continuità, il
requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali è
un requisito di natura soggettiva relativo alla idoneità
professionale degli operatori a norma dell’art. 83, comma 1,
lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, e costituisce titolo
autorizzatorio per l’esercizio dell’attività di raccolta e
trasporti dei rifiuti pericolosi e non, sì che “il
relativo possesso determina quindi l’abilitazione soggettiva
all’esercizio della professione e costituisce pertanto, un
requisito che si pone a monte dell'attività di gestione dei
rifiuti, pacificamente rientrando nell’ambito dei requisiti
di partecipazione e non di esecuzione” (Consiglio di
Stato, Sez. V, 22.10.2018, n. 6032), risultando poi la
presenza soggettiva di siffatto requisito per poter
concorrere a gare aventi ad oggetto dette attività “conforme
all’immanente principio di ragionevolezza e di
proporzionalità – in specie, quanto a necessarietà e
adeguatezza” (Cons. di Stato, V, 19.04.2017, n. 1825)
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.06.2019 n. 3727 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 17.05.2019, "Criteri
per l’assegnazione di contributi ai cittadini per la
rimozione di coperture e di altri manufatti in
cemento-amianto da edifici privati" (deliberazione
G.R. 15.05.2019 n. 1620). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Linea guida sull'applicazione della disciplina per
l'utilizzo delle terre e rocce da scavo (Sistema
Nazionale per la Protezione dell'Ambiente,
delibera 09.05.2019 n. 54/2019). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza
sindacale di rimozione manto di copertura in lastre tipo eternit di
fabbricati industriali.
Ai sensi della L. n. 257/1992 (Norme relative alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), qualora sugli edifici si renda
necessaria la rimozione dell’amianto, al ricorrere delle circostanze ivi
previste, “il costo delle operazioni di rimozione dell’amianto è a carico
dei proprietari degli immobili” (art. 12, c. 3).
La L.R. n. 45/2017 ha previsto che “L’Amministrazione regionale è
autorizzata a concedere contributi per la realizzazione degli interventi
sostitutivi di rimozione dell’amianto da edifici o manufatti di proprietà
privata, nel caso di inottemperanza all’ordinanza contingibile e urgente
emessa dal Sindaco nei confronti dei proprietari degli edifici e dei
manufatti interessati”. In attuazione di tale disposizione è stato emanato
il DPReg. n. 45/2019.
Il Comune riferisce di voler avviare il procedimento per la rimozione del
manto di copertura in lastre tipo eternit di due fabbricati ad uso
industriale, a seguito delle risultanze del sopralluogo effettuato dall’AAS
competente per territorio per la verifica dello stato di conservazione di
detta copertura.
Il Comune precisa che i privati proprietari dei fabbricati hanno concesso
nel 2014, con atto pubblico, un diritto di superficie sulla “porzione
immobiliare ad uso lastrico solare, costituente il piano copertura” ad
una Società, che, in forza del contratto, avrebbe dovuto rimuovere le lastre
tipo eternit ivi presenti e costruirvi e mantenervi quattro impianti
fotovoltaici e quant’altro necessario per lo svolgimento dell’attività di
produzione di energia elettrica.
Nel 2016 la Società è stata dichiarata fallita dal Tribunale competente ed
il diritto di superficie è entrato nella procedura fallimentare
[1].
In tale contesto, il Comune chiede a chi vada notificata l’ordinanza di
rimozione del manto di copertura con lastre tipo eternit dei fabbricati
industriali di cui si tratta.
Si premette che l’attività di consulenza svolta da questo Servizio consta
nel fornire elementi giuridici in generale sulle questioni poste, che
possano essere di ausilio agli enti locali per la soluzione, in autonomia,
dei casi concreti, senza alcuna ingerenza nella valutazione degli atti
inerenti alle singole fattispecie.
Per cui, preso atto dell’intenzione dell’Ente di far rimuover le coperture
in eternit degli immobili di cui si tratta, a seguito della verifica
compiuta dall’AAS competente, con riferimento al quesito posto circa i
soggetti cui notificare l’ordinanza di rimozione, si formulano alcune
riflessioni, che l’Ente potrà utilizzare per addivenire alla soluzione più
opportuna del caso di interesse.
Secondo la normativa di settore, di cui alla L. 27.03.1992, n. 257, “Norme
relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, qualora sugli
edifici si renda necessaria la rimozione dell’amianto al ricorrere delle
circostanze ivi previste [2],
“il costo delle operazioni di rimozione dell’amianto è a carico dei
proprietari degli immobili” (art. 12, c. 3).
La normativa richiamata, da prendere a riferimento da parte del Comune per
il procedimento di rimozione dell’amianto, individua espressamente nei
proprietari i soggetti tenuti a sostenerne i costi, a prescindere dai
rapporti di natura contrattuale che questi possano aver instaurato con altri
privati in relazione agli immobili e da cui siano sorti altri diritti sugli
stessi.
Non vi è, invero, nell’art. 12 della L. n. 257/1992, alcun riferimento, per
quanto concerne l’imputazione dei costi della rimozione dell’amianto, a
soggetti titolari –sugli immobili di cui si tratta– di altri diritti diversi
dal diritto di proprietà.
Sembra dunque potersi ritenere –venendo al caso di specie– che l’ordinanza
sindacale di rimozione del manto di copertura in lastre eternit dei
fabbricati industriali vada notificata –ai sensi della normativa di settore
richiamata– ai proprietari di detti immobili, a prescindere dalle vicende
giuridiche che li hanno interessati, in particolare dai rapporti inter
partes tra i proprietari e la ditta concessionaria del diritto di
superficie sul lastrico solare, che potranno essere da questi risolti nelle
opportune sedi.
Con riferimento alla posizione del Comune –cui l’attività di consulenza di
questo Servizio è rivolta– si informa che la L.R. 28.12.2017, n. 45 (Legge
di stabilità 2018), ha previsto, all’art. 4, comma 27, che “L’Amministrazione
regionale è autorizzata a concedere contributi ai Comuni per la
realizzazione degli interventi sostitutivi di rimozione dell’amianto da
edifici o manufatti di proprietà privata, nel caso di inottemperanza
all’ordinanza contingibile e urgente emessa dal Sindaco nei confronti dei
proprietari degli edifici e dei manufatti interessati”
[3].
---------------
[1] Peraltro, il curatore fallimentare ha comunicato di essere stato
autorizzato dal comitato dei creditori e con il visto del Giudice Delegato
alla rinuncia alla liquidazione del diritto di superficie del manto di
copertura di cui è questione, ai sensi dell’art. 104-ter, della legge
fallimentare (R.D. n. 267/1942).
Viene altresì detto nel quesito che il diritto di superficie di cui si
tratta è stato fatto oggetto nel 2015 di espropriazione immobiliare. In
proposito, il Comune ha riferito che la procedura esecutiva nei confronti
della Società è ancora in corso, ma il legale della ditta esecutrice ha
fatto sapere che la sua assistita rinuncerà all’espropriazione immobiliare
del diritto di superficie.
[2] Come osserva la Corte di Cassazione, la L. n. 257/1992 –posta a tutela
dell’ambiente e della salut –ha vietato per il futuro la commercializzazione
e l’utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento, ma non ha
imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già
esistenti al momento della sua entrata in vigore, prevedendo rispetto a tali
costruzioni l’obbligo dei proprietari degli immobili di comunicare agli
organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli
edifici (art. 12).
[3] In attuazione di tale disposizione, è stato emanato il DPReg.
28.03.2019, n. 54, recante: “Regolamento per la concessione dei contributi
di cui all’articolo 4, comma 27 della legge regionale 28.12.2017, n. 45
(Legge di stabilità 2018) per la realizzazione da parte dei Comuni, di
interventi sostitutivi di rimozione dell’amianto da edifici o manufatti di
proprietà privata, nel caso di inottemperanza di ordinanze contingibili e
urgenti”. Il Regolamento è pubblicato nel BUR Friuli Venezia Giulia n. 15
del 10.04.2019 (15.04.2019
- link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Dev'essere
operata la bonifica di un tetto in eternit, laddove ammalorato e -quindi-
pregiudizievole per la salute pubblica, interessante un fabbricato
suscettibile di "utilizzazione collettiva" a prescindere che si
trovi, allo stato, inutilizzabile.
Va ricordato il d.m. 06.09.1994 (Normative e metodologie tecniche di
applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge
27.03.1992 n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il
cui art. 1a) recita testualmente che <<la potenziale pericolosità dei
materiali di amianto dipende dall’eventualità che siano rilasciate fibre
aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate dagli occupanti. Il
criterio più importante è la friabilità dei materiali>>.
Nel caso di specie, onde evitare di operare la bonifica, risulta ininfluente
il fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto
dell’ordinanza impugnata siano ubicati in una tenuta agricola di notevole
estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze
persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e
lucchetti di sicurezza>>.
Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa
è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione
collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto
dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr.,
premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si
trovino, allo stato, inutilizzate.
---------------
... per l’annullamento dell’ordinanza n. 1 del 30.11.2016 del Comune di
Castel Giorgio (Area Tecnica), irritualmente notificata in allegato alla
raccomandata n. 15230114710-2 il 17.04.2018, con cui si è disposto la messa
in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) in località ... n. 13
in Contrada ... 13, nel Comune di Castel Giorgio (TR).
...
1. Con il ricorso in epigrafe si chiede l’annullamento del provvedimento con
il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di
coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà
della sig.ra Si.Le., odierna ricorrente.
2. L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi:
I. Violazione di legge in relazione alla disciplina del combinato
disposto delle norme di cui al D.M. 06.09.1994 in merito alle metodologie
tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2,
della legge 27.03.1992 n. 257, per errata interpretazione ed applicazione
normativa.
Riferisce la ricorrente che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit
oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di
notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da
terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con
cancelli e lucchetti di sicurezza. Inoltre, le lastre di eternit non sono in
materiale friabile, bensì compatto ed in quanto tali non possono subire
danneggiamenti se non per opera vandalica dell’uomo o per eventi calamitosi
naturali come accaduto ed al quale evento si è prontamente provveduto,
peraltro senza richiedere indennizzi dalla comunità>>.
Ne conseguirebbe l’insussistenza di alcun rischio alla salute nei confronti
di lavoratori e/o occupanti come richiesto dalla citata disciplina
normativa.
II. Violazione di legge in relazione al richiamato Titolo IX, capo
3° del D.Lgs. 81/2008, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Adduce la ricorrente che <<il campo di applicazione del decreto citato,
infatti, riguarda esclusivamente le imprese ed i lavoratori che provvedono
alla bonifica di siti contenenti amianto e, pertanto, la normativa
esplicitamente richiamata non è antecedente logico, né giuridico
dell’ordinanza contestata>>.
III. Violazione di legge in relazione alla disciplina di cui agli
artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, nonché alla ratio legis che ne
sta a fondamento, per impedimento alla partecipazione del procedimento
amministrativo e violazione del contraddittorio. Violazione art. 3 della
Costituzione e art. 1 della Legge 241/1990 per sperequazione di trattamento
di situazioni identiche.
Lamenta la ricorrente la violazione delle garanzie procedimentali di cui
agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, non avendo <<mai ricevuto
notizia, comunicazione o notifica di atti prodromici all’emissione del
provvedimento impugnato>>, come pure del sopralluogo eseguito dalla
U.S.L. il 04.05.2016, nonché degli esiti del medesimo.
IV. Violazione di legge in relazione all’art. 10 della legge
265/1999 per irritualità della notificazione del provvedimento
amministrativo.
Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato <<avrebbe dovuto
essere notificato con l’apposita procedura e non portato a conoscenza della
ricorrente con una semplice raccomandata postale, per giunta allegato ad una
lettera, ingenerando confusione nella medesima>>.
V. Violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 1, della
legge 241/1990 per carenza di motivazione conseguente all’inesistenza dei
presupposti per l’adozione del provvedimento.
...
1. È materia del contendere la legittimità del provvedimento con il quale il
Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in
cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà dell’odierna
ricorrente.
2. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto.
3. Dalle premesse del provvedimento impugnato risulta infatti che l’indice
di degrado delle coperture in eternit dei fabbricati di parte ricorrente <<risulta
pari a 30 e che tale indice prevede la messa in sicurezza mediante
sopracopertura, incapsulamento o rimozione come descritto dalla D.G.R. n.
129 del 01/02/2010 entro il termine di 3 (tre) anni dall’accertamento>>.
4. Non colgono pertanto nel segno le doglianze (terzo e quinto
motivo di ricorso) relative all’asserita violazione delle garanzie
procedimentale ed al paventato difetto di motivazione e/o istruttoria del
provvedimento impugnato, le cui risultanze appaiono invero coerenti con la
disposta valutazione dello stato di conservazione delle coperture di
cemento-amianto, la quale è stata correttamente condotta attraverso
l’ispezione dei manufatti e l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D) di
cui alla deliberazione della Giunta Regionale 01.02.2010, n. 129 (rimasta
inoppugnata), il cui allegato A riporta l’algoritmo che la Regione Umbria ha
deciso di adottare per la valutazione obbligatoria delle coperture esterne
in cemento amianto.
5. E ciò coerentemente alla disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994
(Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), il cui art. 1a) recita testualmente
che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende
dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che
possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la
friabilità dei materiali>>.
6. Sempre per l’infondatezza, deve giungersi in ordine alla dedotta
violazione della normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto (primo
motivo di ricorso) in conseguenza del fatto che <<i capannoni coperti
dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una
tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata,
inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono
chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
7. Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata
normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione
collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto
dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr.,
premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si
trovino, allo stato, inutilizzate.
8. Parimenti destituita di fondamento, è l’affermazione di parte ricorrente
(secondo motivo), con cui si contesta l’applicazione al caso di
specie della disciplina di cui al titolo IX, capo 3°, del d.lgs. 81/2008,
trattandosi invero di normativa il cui ambito di applicazione concerne <<tutte
le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori,
un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei
materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi
rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate>> ed è quindi
perfettamente attinente al caso di specie, in cui è stata ordinata <<la
messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione>>
delle coperture di cemento-amianto dei fabbricati di parte ricorrente, la
quale dovrà essere effettuata dalle apposite ditte specializzate,
coerentemente a detta disciplina normativa.
9. Sempre per l’infondatezza, deve infine concludersi in ordine all’asserita
irritualità della notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di
rilievo puramente formale insuscettibile di inficiare nella sostanza la
legittimità delle valutazioni e determinazioni assunte dall’amministrazione
intimata nei confronti dell’odierna ricorrente.
10. In conclusione il ricorso va rigettato siccome infondato (TAR Umbria,
sentenza 18.02.2019 n. 75 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
RIFIUTI - AMIANTO – D.M. 06.09.1994 – Applicazione – Strutture suscettibili
di utilizzazione collettiva – Utilizzazione in atto – Non è richiesta.
Circa la disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994
(Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla
cessazione dell’impiego dell’amianto) l'art. 1a) recita testualmente che
<<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende
dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che
possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la
friabilità dei materiali>>.
Sicché, risulta infondata la censura in ordine alla dedotta violazione della
normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto in conseguenza del
fatto che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit oggetto
dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di notevole
estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da terze
persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con cancelli e
lucchetti di sicurezza>>.
Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata normativa
è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione
collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto
dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>>.
---------------
... per l’annullamento dell’ordinanza n. 1 del 30.11.2016 del Comune di
Castel Giorgio (Area Tecnica), irritualmente notificata in allegato alla
raccomandata n. 15230114710-2 il 17.04.2018, con cui si è disposto la messa
in sicurezza di coperture in cemento amianto (eternit) in località ... n. 13
in Contrada ... 13, nel Comune di Castel Giorgio (TR).
...
1. Con il ricorso in epigrafe si chiede l’annullamento del provvedimento con
il quale il Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di
coperture in cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà
della sig.ra Si.Le., odierna ricorrente.
2. L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi:
I. Violazione di legge in relazione alla disciplina del combinato
disposto delle norme di cui al D.M. 06.09.1994 in merito alle metodologie
tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2,
della legge 27.03.1992 n. 257, per errata interpretazione ed applicazione
normativa.
Riferisce la ricorrente che <<i capannoni coperti dalle lastre in eternit
oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una tenuta agricola di
notevole estensione (14 ettari), interamente recintata, inaccessibile da
terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono chiusi con
cancelli e lucchetti di sicurezza. Inoltre, le lastre di eternit non sono in
materiale friabile, bensì compatto ed in quanto tali non possono subire
danneggiamenti se non per opera vandalica dell’uomo o per eventi calamitosi
naturali come accaduto ed al quale evento si è prontamente provveduto,
peraltro senza richiedere indennizzi dalla comunità>>.
Ne conseguirebbe l’insussistenza di alcun rischio alla salute nei confronti
di lavoratori e/o occupanti come richiesto dalla citata disciplina
normativa.
II. Violazione di legge in relazione al richiamato Titolo IX, capo
3° del D.Lgs. 81/2008, per errata interpretazione ed applicazione normativa.
Adduce la ricorrente che <<il campo di applicazione del decreto citato,
infatti, riguarda esclusivamente le imprese ed i lavoratori che provvedono
alla bonifica di siti contenenti amianto e, pertanto, la normativa
esplicitamente richiamata non è antecedente logico, né giuridico
dell’ordinanza contestata>>.
III. Violazione di legge in relazione alla disciplina di cui agli
artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, nonché alla ratio legis che ne
sta a fondamento, per impedimento alla partecipazione del procedimento
amministrativo e violazione del contraddittorio. Violazione art. 3 della
Costituzione e art. 1 della Legge 241/1990 per sperequazione di trattamento
di situazioni identiche.
Lamenta la ricorrente la violazione delle garanzie procedimentali di cui
agli artt. 7, 8 e 10 della legge 241/1990, non avendo <<mai ricevuto
notizia, comunicazione o notifica di atti prodromici all’emissione del
provvedimento impugnato>>, come pure del sopralluogo eseguito dalla
U.S.L. il 04.05.2016, nonché degli esiti del medesimo.
IV. Violazione di legge in relazione all’art. 10 della legge
265/1999 per irritualità della notificazione del provvedimento
amministrativo.
Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato <<avrebbe dovuto
essere notificato con l’apposita procedura e non portato a conoscenza della
ricorrente con una semplice raccomandata postale, per giunta allegato ad una
lettera, ingenerando confusione nella medesima>>.
V. Violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 1, della
legge 241/1990 per carenza di motivazione conseguente all’inesistenza dei
presupposti per l’adozione del provvedimento.
...
1. È materia del contendere la legittimità del provvedimento con il quale il
Comune di Castel Giorgio ha disposto la messa in sicurezza di coperture in
cemento amianto (eternit) di alcuni manufatti di proprietà dell’odierna
ricorrente.
2. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto.
3. Dalle premesse del provvedimento impugnato risulta infatti che l’indice
di degrado delle coperture in eternit dei fabbricati di parte ricorrente <<risulta
pari a 30 e che tale indice prevede la messa in sicurezza mediante
sopracopertura, incapsulamento o rimozione come descritto dalla D.G.R. n.
129 del 01/02/2010 entro il termine di 3 (tre) anni dall’accertamento>>.
4. Non colgono pertanto nel segno le doglianze (terzo e quinto
motivo di ricorso) relative all’asserita violazione delle garanzie
procedimentale ed al paventato difetto di motivazione e/o istruttoria del
provvedimento impugnato, le cui risultanze appaiono invero coerenti con la
disposta valutazione dello stato di conservazione delle coperture di
cemento-amianto, la quale è stata correttamente condotta attraverso
l’ispezione dei manufatti e l’applicazione dell’Indice di Degrado (I.D) di
cui alla deliberazione della Giunta Regionale 01.02.2010, n. 129 (rimasta
inoppugnata), il cui allegato A riporta l’algoritmo che la Regione Umbria ha
deciso di adottare per la valutazione obbligatoria delle coperture esterne
in cemento amianto.
5. E ciò coerentemente alla disciplina di cui di cui al d.m. 06.09.1994
(Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6 comma 3, e
dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992 n. 257, relativa alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), il cui art. 1a) recita testualmente
che <<la potenziale pericolosità dei materiali di amianto dipende
dall’eventualità che siano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che
possono venire inalate dagli occupanti. Il criterio più importante è la
friabilità dei materiali>>.
6. Sempre per l’infondatezza, deve giungersi in ordine alla dedotta
violazione della normativa in tema cessazione dell’impiego dell’amianto (primo
motivo di ricorso) in conseguenza del fatto che <<i capannoni coperti
dalle lastre in eternit oggetto dell’ordinanza impugnata sono ubicati in una
tenuta agricola di notevole estensione (14 ettari), interamente recintata,
inaccessibile da terze persone, in una zona disabitata ed i fabbricati sono
chiusi con cancelli e lucchetti di sicurezza>>.
7. Ciò che infatti rileva ai fini dell’applicazione della su indicata
normativa è che si tratti comunque di strutture suscettibili di <<utilizzazione
collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto
dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse>> (cfr.,
premesse al d.m. 06.09.1994), indipendentemente dal fatto che esse si
trovino, allo stato, inutilizzate.
8. Parimenti destituita di fondamento, è l’affermazione di parte ricorrente
(secondo motivo), con cui si contesta l’applicazione al caso di
specie della disciplina di cui al titolo IX, capo 3°, del d.lgs. 81/2008,
trattandosi invero di normativa il cui ambito di applicazione concerne <<tutte
le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori,
un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei
materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi
rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate>> ed è quindi
perfettamente attinente al caso di specie, in cui è stata ordinata <<la
messa in sicurezza mediante sopracopertura, incapsulamento o rimozione>>
delle coperture di cemento-amianto dei fabbricati di parte ricorrente, la
quale dovrà essere effettuata dalle apposite ditte specializzate,
coerentemente a detta disciplina normativa.
9. Sempre per l’infondatezza, deve infine concludersi in ordine all’asserita
irritualità della notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di
rilievo puramente formale insuscettibile di inficiare nella sostanza la
legittimità delle valutazioni e determinazioni assunte dall’amministrazione
intimata nei confronti dell’odierna ricorrente.
10. In conclusione il ricorso va rigettato siccome infondato
(TAR Umbria,
sentenza 18.02.2019 n. 75 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: AMIANTO: relazione annuale tramite applicativo
Ge.M.A. entro il 28 febbraio (ANCE di Bergamo,
circolare 08.02.2019 n. 40). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Gli artt. 242 (“il responsabile
dell'inquinamento mette in opera…”), 244 (co. 4: “Se il
responsabile non sia individuabile…”), 250 (“Qualora i
soggetti responsabili della contaminazione non
provvedano…”), 192 del d.lgs. 152/2006 evidenziano che le
misure di bonifica gravano sui soggetti “ai quali tale
violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”, per cui
l’ordinanza che le impone presuppone necessariamente una
valutazione autonoma dei fatti “in base agli accertamenti
effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati,
dai soggetti preposti al controllo” (art. 192 cit.).
Le indagini degli organi “preposti al controllo” hanno
dunque la natura di atti della fase istruttoria, sulla cui
base il titolare del potere di ordinanza deve formare la sua
motivata decisione individuando gli specifici fatti
contestati ed esponendo l’iter logico che sostiene
l’attribuzione della loro responsabilità.
La esplicita volontà di escludere ogni valutazione sulle
specifiche responsabilità di per sé evidenzia la
illegittimità dei provvedimenti, i quali risultano
manifestamente carenti della chiara individuazione dei
presupposti di fatto e di diritto che giustificano
l’esercizio del potere a carico dei destinatari
(massima tratta da www.lexambiente.it).
---------------
1 – Con ordinanza del 29.01.2018 il Sindaco del Comune di
San Vito Chietino, “riscontrate le responsabilità di
BU.Al. e VE.Co.”, ha ordinato ai medesimi di provvedere
alla “messa in sicurezza del sito”, nonché alla
rimozione “dei rifiuti illecitamente giacenti sui fondi
agricoli oggetto di sequestro” e ciò sulla base di nota
del 24.11.2017 della Stazione Carabinieri Forestali di
Lanciano, con cui si comunicava “l’attività di
accertamento ambientale” esperita in data 07.11.2017 su
fondi agricoli di proprietà della Sig.ra Na.El., al cui
esito “venivano deferiti alla competente Procura della
Repubblica di Lanciano” i Sigg.ri Ve. e Bu. “per le
rispettive illecite condotte perpetrate, in funzione alle
attività e responsabilità esercitate, in relazione alla
presenza/gestione dei rifiuti in amianto”.
A seguito di contestazioni sollevate dai destinatari, che
avevano sostenuto la illegittimità dell’atto in quanto
assumeva che le loro responsabilità erano state “riscontrate”,
il Sindaco ha quindi adottato provvedimento del 21.02.2018,
con il quale ha integrato la precedente ordinanza includendo
i sigg. Pa. e Al. tra i destinatari dell’ordine di
ripristino e precisando che “il riscontro delle
responsabilità non rientra nell’ambito delle competenze
sindacali”.
Le due ordinanze sono state impugnate con distinti ricorsi
dai sigg. Bu. e Ve. (nella loro rispettiva qualità di
titolare della Ditta omonima e di Responsabile del Settore
assetto del territorio dello stesso Comune di S. Vito
Chietino), Pa. (dipendente del Comune) e Al. (dipendente
della Ditta), che ne hanno dedotto la illegittimità per
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 54 d.lgs.
267/2000 e 192 d.lgs. 152/2016, nonché eccesso di potere per
travisamento, falsità dei presupposti e irragionevolezza.
...
3 - Quanto al merito, i ricorsi sono manifestamente fondati.
È infatti del tutto evidente che l’ordinanza impugnata, così
come successivamente rettificata, individua i suoi
destinatari sulla base dell’unica circostanza che gli stessi
sono “interessati dal procedimento penale”. Che non
si sia inteso effettuare alcuna valutazione in ordine alle
responsabilità è del resto espressamente precisato nell’atto
di rettifica (“il riscontro delle responsabilità non
rientra nell’ambito delle competenze sindacali”), per
cui il provvedimento si è limitato a prendere atto dei
nominativi deferiti all’autorità giudiziaria ingiungendo ad
essi la bonifica dell’area.
Gli artt. 242 (“il responsabile dell'inquinamento mette
in opera…”), 244 (co. 4: “Se il responsabile non sia
individuabile…”), 250 (“Qualora i soggetti
responsabili della contaminazione non provvedano…”), 192
del d.lgs. 152/2006, pur richiamati dall’ordinanza n. 1, al
contrario evidenziano che le misure di bonifica gravano sui
soggetti “ai quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa”, per cui l’ordinanza che le
impone presuppone necessariamente una valutazione autonoma
dei fatti “in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo” (art. 192 cit.).
Le indagini degli organi “preposti al controllo”
hanno dunque la natura di atti della fase istruttoria, sulla
cui base il titolare del potere di ordinanza deve formare la
sua motivata decisione individuando gli specifici fatti
contestati ed esponendo l’iter logico che sostiene
l’attribuzione della loro responsabilità.
La esplicita volontà di escludere ogni valutazione sulle
specifiche responsabilità di per sé evidenzia la
illegittimità dei provvedimenti, i quali risultano
manifestamente carenti della chiara individuazione dei
presupposti di fatto e di diritto che giustificano
l’esercizio del potere a carico dei destinatari.
Si trattava infatti di individuare, sulla base dei rapporti
dei soggetti preposti al controllo, lo specifico
comportamento illecito addebitabile a ciascun destinatario,
e tale contestazione doveva essere nella fattispecie
particolarmente accurata in considerazione dei diversi ruoli
rivestiti dagli interessati (il titolare della ditta
esecutrice, un dipendente della stessa, un dirigente e un
dipendente dello stesso Comune), che imponevano la chiara
indicazione della specifiche condotte imputabili a ciascuno.
L’ordinanza invece si limita alla generica evocazione di un
concorso tra i destinatari “per le rispettive illecite
condotte perpetrate, in funzione delle attività e
responsabilità esercitate in relazione alla
presenza/gestione dei rifiuti in amianto”, senza
tuttavia chiarire quali fossero in concreto tali attività e
responsabilità e dunque non specificando le condotte
materiali od omissive che hanno concorso a causare la
contaminazione ambientale.
Non risultano in particolare specificate le condotte
attribuite ai dipendenti comunali, non essendo chiarito se
si imputano ad essi le pregresse omissioni dell’Ente
(indicate dalla citata nota dei Carabinieri: “il Comune
di San Vito non ha recintato l’area oggetto di illecito
abbandono ed attuato le procedure previste. E’ risultato
inadempiente … agli obblighi di Legge e non ha neanche
segnalato il potenziale pericolo, ovvero la presenza dei
tubi in amianto, giacenti sul fondo … il Comune di San Vito
Chietino nonostante il mandato conferito all’impresa Bu. …
non ha avvisato/segnalato del pericolo”) oppure/anche
condotte concomitanti o successive alla frantumazione del
materiale inquinante (che non risultano dalla segnalazione e
invece evocate nell’ordinanza n. 1, dove si assume
–genericamente- che i destinatari, “successivamente
all’illecito evento … non hanno attuato le procedure
previste…”).
Le suddette carenze non possono essere del resto colmate da
argomentazioni difensive, trattandosi di valutazioni che
spettano esclusivamente al titolare del potere di ordinanza
e che quindi devono essere necessariamente espresse nel
provvedimento.
In accoglimento delle predette censure va pertanto disposto
l’annullamento delle impugnate ordinanze, fatto salvo il
rinnovato esercizio del potere (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 05.02.2019 n. 27). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti,
l’onere va ai liquidatori. Prevale la prevenzione di rischi
per salute ed eco-sistema. Il Tar
Toscana interviene in materia di messa in sicurezza di
residui di impresa inattiva.
Il curatore dell'azienda sottoposta a
liquidazione e non più attiva può essere obbligato dalla
p.a. alla messa in sicurezza dei rifiuti precedentemente
prodotti dall'imprenditore ove emerga l'esigenza di
prevenire danni a salute ed ambiente.
A evidenziare la preminenza del principio di precauzione
sotteso al diritto ambientale nell'ambito delle procedure
concorsuali è la
sentenza 04.02.2019 n. 166 del TAR Toscana, Sez. II;
e questo secondo una argomentazione logica che appare valida
non solo sotto l'uscente disciplina fallimentare ex storico
Rd 267/1942 ma (considerata la continuità normativa che
accompagna alcune fattispecie) anche alla luce del neo dlgs
14/2019 sulla «liquidazione giudiziale» delle imprese
(in vigore dal 16.03.2019).
La pronuncia del tribunale toscano consente di effettuare
anche una ricognizione delle differenti ipotesi nelle quali
al curatore dell'azienda congelata non può invece (in base
al diverso principio del «chi inquina paga») essere
imposto alcun onere gestorio per i rifiuti riconducibili
alla precedente attività imprenditoriale.
La responsabilità per i rifiuti altrui.
Per consolidata giurisprudenza il curatore non è
rappresentante né successore del soggetto sottoposto a
procedura concorsuale, ma terzo subentrante esclusivamente
nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di
poteri conferitigli dalla legge.
Ciò comporta che in relazione a rifiuti già presenti sulle
aree di pertinenza dell'azienda all'apertura della procedura
concorsuale il curatore che non li acquisisce all'attivo è,
in assenza di pericolo di danni per salute e ambiente,
libero da oneri gestori poiché non rientra tra i soggetti
obbligati ad agire ai sensi del Codice ambientale (dlgs
152/2006).
Infatti: in primo luogo il curatore non può essere
considerato un «detentore» di rifiuti ai sensi
dell'articolo 188 del dlgs 152/2006 e quindi destinatario
degli obblighi di smaltimento o recupero ex Codice
ambientale (come recentemente confermato dal Tribunale di
Milano, sezione fallimentare, con decreto 08/06/2017); il
secondo luogo il curatore non può neppure essere considerato
ex articolo 192 del dlgs 152/2006 un «subentrante»
della persona giuridica responsabile dell'eventuale
abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti, e di
conseguenza sfugge alla responsabilità solidale con quest'ultimo
e quindi alla connessa ordinanza del sindaco per loro
rimozione e avvio a smaltimento/recupero (Cassazione,
sentenza 3274/2014).
L'obbligo delle misure di prevenzione.
Diversa, come accennato, è però l'ipotesi in cui la presenza
dei rifiuti genera rischi per salute ed eco-sistema. In
questo caso l'obbligo di adottare le misure di prevenzione
ambientale previste dall'articolo 240 del dlgs 152/2006
(quali iniziative finalizzate a impedire o minimizzare il
realizzarsi di eventi minacciosi per persone e ambiente) può
infatti essere imposto dal comune al curatore in virtù del
generale potere di ordinanza conferitogli dall'articolo 50
del dlgs 267/2000 (T.u. Enti locali) al fine di eliminare
gravi pericoli.
Il Tar Toscana con la sentenza 166/2019 ha così confermato
la bontà dell'agire di un ente territoriale che con
ordinanza contingibile e urgente aveva imposto alla curatela
della liquidazione di una industria del settore edile la
rimozione dell'amianto presente e la messa in sicurezza di
rifiuti abbandonati in vista del loro successivo
allontanamento dall'area di deposito, poco tempo prima
interessata anche da un incendio.
Infatti, sebbene la curatela non sia chiamata a succedere in
obblighi e responsabilità del fallito (e alla stessa non sia
dunque imponibile la più onerosa e complessa bonifica del
sito) essa è comunque tenuta all'adempimento degli obblighi
di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati
alla sua situazione di attuale possessore o detentore del
bene.
Il caso dell'autorizzazione integrata
ambientale... La
responsabilità della curatela in relazione alle misure
preventive emerge ancor più chiaramente qualora i rifiuti
abbandonati dalla pregressa attività industriale siano stati
generati da un'impresa sottoposta alla stringente
autorizzazione integrata ambientale prevista dal Codice
ambientale.
In tal caso infatti, come da ultimo stabilito dal Consiglio
di stato con sentenza 3672/2017, le prescrizioni a tutela
dell'ambiente contenute nell'Aia devono, in virtù di quanto
disposto dall'articolo 29-bis e seguenti del dlgs 152/2006,
essere rispettate anche nella fase successiva alla
cessazione dell'attività d'impresa.
Ragion per cui, emerge dalla pronuncia, la p.a. ben può (al
fine di evitare pericoli per salute ed eco-sistema) imporre
l'osservanza delle condizioni contenute nell'Aia anche ai
gestori post chiusura dei siti interessati. Legittima è
dunque l'ordinanza sindacale che sulla base della disciplina
Aia impone al curatore la messa in sicurezza dei rifiuti
presenti.
...e di bonifica.
La legittimità dell'ordine di messa in sicurezza dei rifiuti
non giustifica invece l'ulteriore pretesa della p.a. di
procedere a bonifica del sito inquinato (Consiglio di stato,
sentenza 5668/2017).
Con tale pronuncia il giudice amministrativo ha sottolineato
come la messa in sicurezza costituisca (anche alla luce dei
principi comunitari) misura di prevenzione dei danni
rientrante nel genus delle precauzioni che gravano
anche sul detentore del sito da cui possano scaturire danni
all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o
ripristinatoria, non presuppone l'accertamento di dolo o
colpa.
E questo a differenza delle misure con finalità
sanzionatoria o ripristinatoria (recupero o risanamento,
come la bonifica), che essendo fondate sul diverso principio
«chi inquina paga» possono invece essere imposte solo
a coloro che abbiano responsabilità diretta sull'origine del
fenomeno contestato (articolo
ItaliaOggi Sette del 25.03.2019). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifiche
con lo sgravio del 65%. CREDITO D’IMPOSTA.
In arrivo un credito d'imposta del
65% per chi finanzia interventi di bonifica e prevenzione su
edifici e terreni pubblici. Il bonus fiscale, aperto a
persone fisiche, enti non commerciali e società, coprirà
anche i lavori per la rimozione dell'amianto, per il
risanamento del dissesto idrogeologico e per la
realizzazione di parchi e aree verdi attrezzate.
È una delle novità
contenute nella legge di Bilancio 2019. La misura recata dai
commi 156-161 rientra in un più ampio pacchetto di norme
finalizzate alla messa in sicurezza del territorio, con
particolare attenzione anche alla cosiddetta «terra dei
fuochi» (va precisato comunque che l'incentivo sarà
operante in tutta Italia).
Il tax credit sarà riconosciuto a chi effettua, a partire
dal 01.01.2019, erogazioni liberali in denaro per sostenere
progetti di recupero presentati dagli enti proprietari dei
fabbricati e/o delle aree inquinate o contaminate.
L'incentivo, fruibile in tre quote annuali, potrà arrivare a
un massimo del 20% del reddito imponibile per le persone
fisiche e del 10 per mille dei ricavi annui per le imprese.
Ciò significa che un privato cittadino che presenta un
reddito di 30 mila euro potrà recuperare dall'Irpef fino a 6
mila euro in tre anni (che corrisponde a una donazione di
circa 9.230 euro), mentre un'azienda che fattura un milione
di euro potrà ottenere uno sgravio Ires di 10 mila euro
(donandone 15.384).
Come già avvenuto lo scorso anno per lo sport bonus, le
donazioni potranno essere effettuate anche a favore dei
soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto degli
interventi. Per garantire un regime di piena trasparenza, i
beneficiari delle somme dovranno rendicontare mensilmente al
ministero dell'ambiente gli importi ricevuti. Prevista anche
la pubblicazione on-line delle informazioni sull'uso dei
fondi in un apposito portale, gestito dall'Ambiente. A
fissare le regole operative del credito d'imposta sarà un
dpcm, entro il 01.04.2019. La misura è stata finanziata con
un milione di euro per il 2019, 5 per il 2020 e 10 annui dal
2021
(articolo ItaliaOggi del
03.01.2019). |
anno 2018 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Gestione di categorie
particolari di rifiuti - Rifiuti di amianto - Raccordo della
disciplina ordinaria con le discipline speciali -
Sussistenza delle condizioni di legge - Onere della prova -
Assenza di esecuzione di prove sul coefficiente di
dispersione delle fibra - Artt. 183, 227, 256 e 265 d.Lgs.
152/2006.
In tema di rifiuti contenenti amianto, la disciplina
generale dei rifiuti è applicabile in tutti i casi non
disciplinati in modo specifico dalla legge.
L'applicazione di norme aventi natura eccezionale e
derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di
rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza
delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che
ne richiede l'applicazione (v., con riferimento al deposito
temporaneo Sez. 3, n. 15680 del 03/03/2010, Abbatino; Sez.
3, n. 21587 del 17/03/2004, Marucci; Sez. 3, n. 30647del
15/06/2004, Dell'Angelo).
Inoltre, i rapporti tra la disciplina generale dei rifiuti e
quella contenuta in norme specifiche, legge n. 257 del 1992,
riguardano in via principale, la cessazione dell'impiego
dell'amianto e si occupano dei rifiuti di amianto per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate dall'inquinamento di amianto,
cosicché, viene contemplato fra i "rifiuti di amianto"
qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la
sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di
amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni
applicabili, alle attività disciplinate dalla legge n.
257/1992 e non alla disciplina generale dei rifiuti (Sez. 3,
n. 31011 del 18/06/2002, Zatti).
RIFIUTI - Definizione di rifiuto -
Eterogeneità dei rifiuti - Deposito incontrollato -
SICUREZZA SUL LAVORO - Presidi di sicurezza in materia di
rifiuti pericolosi contenenti amianto - Abbandono dei
rifiuti - Accorgimento tecnico-preventivo - Esclusione della
configurabilità del deposito temporaneo - D.M. 29/07/2004,
n. 248, D.M. Sanità 06/09/1994, D.M. Sanità 26/10/1995 e
D.M. Sanità 20/08/1999.
Secondo quanto
disposto dall'art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006,
nella sua attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi
sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
La eterogeneità dei rifiuti e l'assenza di cautele volte ad
impedire pericoli o lesioni dell'integrità dell'ambiente
sono dati fattuali certamente indicativi della presenza di
un deposito incontrollato.
Nel nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di
rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente
previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del
D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli
del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M.
Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di
sicurezza, determina l'abbandono dei rifiuti, escludendo la
configurabilità del deposito temporaneo.
Fattispecie: deposito incontrollato di rifiuti pericolosi
costituiti da materiale cementizio tipo "eternit":
vasche, onduline e raccordi di tubo contenenti fibre di
amianto (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2018 n. 31398 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti
contenenti amianto.
Con riferimento ai rifiuti contenenti amianto la disciplina
generale dei rifiuti è applicabile in tutti i casi non
disciplinati in modo specifico dalla legge.
La eterogeneità dei rifiuti e l'assenza
di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni
dell'integrità dell'ambiente sono dati fattuali certamente
indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
L'applicazione di norme aventi natura eccezionale e
derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di
rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza
delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che
ne richiede l'applicazione.
---------------
La giurisprudenza di questa Corte nel considerare i rapporti
tra la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in
norme specifiche ha affermato, tra l'altro, che la legge n.
257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione
dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto
per la realizzazione di misure di decontaminazione e di
bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di
amianto, cosicché contempla fra i "rifiuti di amianto"
qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la
sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di
amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni
applicabili, però, alle attività disciplinate dalla legge n.
257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti.
Dunque nei casi in precedenza esaminati si tratta, come si è
detto, di disposizioni speciali rispetto a quelle generali
in materia di rifiuti, con la conseguenza che la disciplina
generale sarà applicabile in tutti i casi non disciplinati
in modo specifico.
----------------
Nel nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di
rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente
previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del
D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli
del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M.
Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di
sicurezza, come adeguatamente accertato nel caso in esame
dai Giudici del merito, determina l'abbandono dei rifiuti,
escludendo la configurabilità del deposito temporaneo.
---------------
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza
dell'08/07/2016 ha parzialmente riformato la sentenza in
data 18/05/2015 il Tribunale di Chieti, dichiarando
l'imputato non punibile in riferimento ai fatti di cui ai
punti B) e C) dell'imputazione ai sensi dell'art. 649 cod.
proc. pen. e rideterminando la pena relativamente alla
residua condotta, contestata al punto A) della medesima
imputazione a Ro.CA. e concernente la violazione dell'art.
256, comma 1, lett. b), d.lgs. 152/2006, per avere
effettuato in un sito di sua proprietà, quale titolare di un
ditta artigianale, un deposito incontrollato di rifiuti
pericolosi costituiti da materiale cementizio tipo "eternit":
vasche, onduline e raccordi di tubo contenenti fibre di
amianto (fatto accertato in Guardiagrele, il 25/09/2012).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per
cassazione tramite il proprio difensore di fiducia,
deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, ai sensi
dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la
violazione di legge, affermando che la sentenza impugnata
sarebbe fondata sull'erroneo presupposto che tutti i
materiali contenenti amianto siano pericolosi, prescindendo
da ogni accertamento tecnico, così configurandosi in ogni
caso, con la mera detenzione o il deposito in un'area
privata, un "deposito temporaneo di rifiuti pericolosi",
soggetto alla relativa disciplina.
Aggiunge che la sentenza impugnata sarebbe stata assunta in
violazione di plurime disposizioni di legge, poiché nessuna
norma consentirebbe di qualificare, a priori, come
pericoloso il materiale contenente amianto ed, inoltre, i
dd.mm. 29/07/2004 n. 248, 26/10/1995 e 20/08/1999, sarebbero
destinati agli operatori di settore e non anche ai privati,
mentre la Corte di appello avrebbe dovuto considerare quanto
disposto dal d.m. 06/09/1994.
Rileva che nella relazione dell'ARTA (allegata al ricorso)
non vi sarebbe alcun riferimento alla esecuzione di prove
destinate ad accertare il grado di conservazione dei
materiali rinvenuti ed il coefficiente di dispersione delle
fibra.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la
violazione di legge, osservando che la Corte di appello
avrebbe erroneamente qualificato il materiale rinvenuto come
rifiuto, pur avendo egli contestato tale natura, ritenendone
necessario lo smaltimento che, invece, in base a quanto
disposto dall'art. 2 l. 257/1992 e dagli artt. 1 e 7
dell'Allegato 1 al d.m. 06/09/1994, sarebbe obbligatorio
solo in caso di pericolo di dispersione delle relative fibre
dovuto ad un cattivo stato di conservazione della sostanza o
ad interventi di manutenzione.
Aggiunge che il materiale probatorio acquisito nel giudizio
di merito non consentirebbe di supportare le conclusioni
adottate dalla Corte di appello, non risultando eseguite le
necessarie prove tecniche per attribuire al materiale
rinvenuto la natura di rifiuto pericoloso.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di
motivazione, rilevando che la sentenza avrebbe erroneamente
qualificato l'area oggetto di accertamento come aperta al
pubblico ed il deposito del materiale quale deposito
incontrollato.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nella sentenza impugnata viene data atto che, nell'appello,
la difesa aveva dedotto, con riferimento ai beni contenenti
amianto rinvenuti nell'area oggetto di controllo, che gli
stessi, acquistati in precedenza dalla società dell'imputato
"come beni in libera vendita", erano stati poi
rinvenuti in locali originariamente destinati a magazzino e
collocati all'esterno, su bancali di legno, in attesa che
una società destinata al loro smaltimento ne curasse il
ritiro.
Sulla base di tale premessa l'appellante osservava anche
che, all'atto del controllo, non era ancora spirato il
termine annuale di cui all'art. 183 d.lgs. 152/2006.
2. Alla luce di tali premesse risulta, dunque, evidente che
i materiali rinvenuti erano certamente rifiuti, emergendo,
dalle affermazioni contenute nell'atto di appello, che il
detentore aveva l'intenzione di disfarsene, tanto che li
aveva destinati allo smaltimento rivolgendosi ad una società
che avrebbe dovuto curarne il ritiro.
E' appena il caso di ricordare, infatti, che secondo quanto
disposto dall'art. 183, comma 1, lettera a), d.lgs.
152/2006, nella sua attuale formulazione, deve ritenersi
rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il
detentore si disti o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di
disfarsi».
3. E' altrettanto evidente che l'appellante, richiamando
l'art. 183 e riferendosi ad un termine annuale, aveva inteso
riferirsi all'istituto del deposito temporaneo, all'epoca
dei fatti definito, nel medesimo art. 183, alla lettera bb),
come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della
raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per
gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del
codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità
giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i
consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci.
Il deposito temporaneo, sempre secondo la richiamata
disposizione nella formulazione vigente all'epoca dei fatti,
era soggetto alle seguenti condizioni:
- i rifiuti contenenti gli inquinanti organici
persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e
successive modificazioni, devono essere depositati nel
rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e
l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e
gestiti conformemente al suddetto regolamento;
- i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle
operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle
seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei
rifiuti:con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente
dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di
rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri
cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi.
In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi
il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può
avere durata superiore ad un anno;
- il "deposito temporaneo" deve essere effettuato
per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle
relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi,
nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle
sostanze pericolose in essi contenute;
- devono essere rispettate le norme che disciplinano
l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
- per alcune categorie di rifiuto, individuate con
decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo
sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del
deposito temporaneo.
4. A tali specifiche censure si è dunque riferita la Corte
territoriale, la quale, seppure talvolta con termini non del
tutto pertinenti alla materia trattata, ha chiaramente e
motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per la
sussistenza di un deposito temporaneo.
In particolare, i giudici del gravame hanno preso in
considerazione il luogo ove i rifiuti erano depositati e le
modalità di collocazione degli stessi e, affermando che i
rifiuti erano in un'area aperta accessibile a tutti, in un
posto che non era un "cantiere di lavoro", si
riferiscono chiaramente al fatto che il raggruppamento era
avvenuto in luogo diverso da quello di produzione del
rifiuto e che le modalità di deposito non erano compatibili
con quelle indicate dalla norma di riferimento, come meglio
si intende successivamente, laddove si esclude espressamente
la sussistenza dei presupposti per il deposito temporaneo,
ritenendosi in definitiva configurabile, nella fattispecie,
il deposito incontrollato di cui all'imputazione.
Invero, la eterogeneità dei rifiuti e
l'assenza di cautele volte ad impedire pericoli o lesioni
dell'integrità dell'ambiente sono dati fattuali certamente
indicativi della presenza di un deposito incontrollato.
Va peraltro osservato che, invocando l'applicazione, nel
caso in esame, della disciplina del deposito temporaneo,
l'imputato avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei
requisiti richiesti dalla legge, poiché, come più volte
affermato da questa Corte, l'applicazione
di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto
alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti fa sì che
l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di
legge debba essere assolto da colui che ne richiede
l'applicazione
(v., con riferimento al deposito temporaneo Sez. 3, n. 15680
del 03/03/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587
del 17/03/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647 del
15/06/2004, Dell'Angelo, non nnassimata).
5. Il ricorso, tuttavia, non prende in considerazione, se
non in parte, gli argomenti sviluppati dalla Corte di
appello e, continuando a negare la natura di rifiuto del
materiale rinvenuto, natura che, però, come si è detto,
nell'atto di appello aveva chiaramente riconosciuto, sposta
l'attenzione sulla disciplina applicabile ai rifiuti
contenenti amianto con le considerazioni sintetizzate in
premessa e riferite al primo motivo di ricorso.
6. Va preliminarmente osservato, a tale proposito, che il
Titolo Terzo della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006 si
occupa, come è noto, della gestione di categorie particolari
di rifiuti. Ciò, come si legge nella relazione illustrativa,
ha lo scopo di costituire un raccordo con la legislazione
comunitaria e nazionale intervenuta dopo l'entrata in vigore
del d.lgs. 22/1997, di introdurre nuove fattispecie sulla
scorta dell'esperienza maturata nella prassi operativa sotto
la vigenza del "decreto Ronchi" e di adeguare ai
criteri direttivi dei sistemi di gestione anche i
preesistenti consorzi obbligatori.
Si è così ricavato un sistema di norme che riguarda il
raccordo con le discipline speciali, attinenti, tra l'altro,
anche al recupero di rifiuti e beni contenenti amianto.
In particolare, l'articolo 227 del d.lgs. 152/2006, nello
stabilire che restano ferme le disposizioni speciali,
nazionali e comunitarie relative alle altre tipologie di
rifiuti, menziona in particolare, per quel che qui rileva,
al comma 1, lett. d), il d.m. 29.07.2004, n. 248 con
riferimento al recupero dei rifiuti dei beni e prodotti
contenenti amianto.
Tale decreto contiene il regolamento relativo alla
determinazione e disciplina delle attività di recupero dei
prodotti e beni di amianto e contenenti amianto e adotta, ai
sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 257/1992, i
disciplinari tecnici sulle modalità per il trasporto ed il
deposito dei rifiuti di amianto, nonché sul trattamento,
sull'imballaggio e sulla ricopertura dei rifiuti medesimi
nelle discariche (tra l'altro, nell'allegato A, al punto 3,
relativo alla gestione dei rifiuti contenenti amianto, ai nn.
2 e 3 vi sono indicazioni specifiche per il loro deposito
temporaneo).
La legge 27.03.1992, n. 257, recante "Norme relative alla
cessazione dell'impiego dell'amianto" riguarda, tra
l'altro, l'utilizzazione in genere e lo smaltimento, nel
territorio nazionale, dell'amianto e dei prodotti che lo
contengono, la cessazione della sua utilizzazione e la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate dall'inquinamento da amianto.
L'articolo 12, comma 6, precisa, inoltre, che i rifiuti di
amianto sono classificati tra i rifiuti speciali, tossici e
nocivi in base alle caratteristiche fisiche che ne
determinano la pericolosità, come la friabilità e la
densità. Quanto alla natura del rifiuto, va ricordato che la
legge si riferisce all'allora vigente d.P.R. 915/1982 e che
il richiamo ai rifiuti tossico-nocivi deve intendersi ora
riferito a quelli pericolosi, ai sensi dell'articolo 265,
comma 1, del d.lgs. 152/2006.
È nota, poi, l'estrema pericolosità di tale sostanza, che ha
capacità di indurre gravissime patologie la cui insorgenza è
stata strettamente correlata dalla comunità scientifica
all'esposizione alle fibre di amianto. Ciò ha determinato
l'emanazione di numerose disposizioni normative finalizzate
a ridurre l'uso dell'amianto ed i rischi conseguenti
all'esposizione tanto nell'ambiente di lavoro che
nell'ambiente esterno.
7. La giurisprudenza di questa Corte,
in una risalente pronuncia, cui può tuttavia farsi ancora
riferimento, nel considerare i rapporti tra
la disciplina generale dei rifiuti e quella contenuta in
norme specifiche ha affermato, tra l'altro, che la legge n.
257 del 1992 riguarda, in via principale, la cessazione
dell'impiego dell'amianto e si occupa dei rifiuti di amianto
per la realizzazione di misure di decontaminazione e di
bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di
amianto, cosicché contempla fra i "rifiuti di amianto"
qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto che abbia perso la
sua destinazione d'uso e che possa disperdere fibre di
amianto nell'ambiente in determinate concentrazioni
applicabili, però, alle attività disciplinate dalla legge n.
257 medesima e non alla disciplina generale dei rifiuti
(Sez. 3, n. 31011 del 18/06/2002, Zatti, Rv. 222390, non
massimata sul punto).
8. Dunque nei casi in precedenza esaminati
si tratta, come si è detto, di disposizioni speciali
rispetto a quelle generali in materia di rifiuti, con la
conseguenza che la disciplina generale sarà applicabile in
tutti i casi non disciplinati in modo specifico.
9. Ciò posto, va rilevato che, nella sentenza impugnata, la
Corte del merito non è incorsa in una errata lettura delle
disposizioni richiamate in ricorso, che ha chiaramente
citato, evidentemente a titolo esemplificativo, laddove si
riferisce, in generale, ai "presidi di sicurezza in
materia di rifiuti pericolosi contenenti amianto",
specificando che degli stessi si occupano disposizioni
diverse da quella generale contenuta nel d.lgs. 152/2006.
Del resto, come osservato in ricorso, alcune disposizioni
tra quelle richiamate riguardano materie del tutto estranee
ai fatti per cui è processo.
Inoltre appare evidente che i giudici dell'appello, con il
riferimento censurato, hanno testualmente richiamato quanto
indicato in motivazione in un provvedimento in precedenza
citato (Sez. 7, n. 17333 del 18/03/2016, Passarelli, Rv.
266911) ove, nel trattare un caso di abbandono di rifiuti
contenenti amianto, si è appunto affermato che "nel
nostro ordinamento, i presidi di sicurezza in materia di
rifiuti pericolosi contenenti amianto sono specificamente
previsti non solo dalla norma generale dell'art. 183 del
D.Lgs. cit. ma anche dal D.M. 29.07.2004, n. 248 e da quelli
del D.M. Sanità 06.09.1994, D.M. Sanità 26.10.1995 e D.M.
Sanità 20.08.1999, sicché anche la mancanza di presidi di
sicurezza, come adeguatamente accertato nel caso in esame
dai Giudici del merito, determina l'abbandono dei rifiuti,
escludendo la configurabilità del deposito temporaneo."
Dunque quanto affermato in ricorso è privo di fondamento,
poiché la Corte territoriale ha applicato, ai rifiuti di cui
all'imputazione, la disciplina generale in base alla loro
classificazione, limitandosi alla citazione di cui si è
appena detto (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2018 n. 31398). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
RIFIUTI - Fibre d’amianto - Operazioni
di demolizione di un fabbricato - Ignoranza della presenza
di amianto nei rifiuti - Obbligo supplementare di diligenza,
monitoraggio e controllo - Artt. 256 e 259 d.Lgs. 152/2006 -
SICUREZZA SUL LAVORO - Tutela della salute dei lavoratori -
Accorgimento tecnico-preventivo - Art. 262, comma 2, d.Lgs.
81/2008.
Pur ipotizzandosi una ragionevole ignoranza della presenza
di fibre d’amianto prima dell'inizio dei lavori di
demolizione edilizie e relativo smaltimento dei rifiuti,
deve ritenersi che, una volta avviati i lavori, il soggetto
che vi abbia partecipato o che abbia diretto le operazioni
sia in grado di rendersi conto del pericolo in corso e di
gestire tali rifiuti secondo le prescrizioni di legge.
Pertanto, fuori da tali prescrizioni, per i lavori di
demolizione di un manufatto con presenza di fibre d’amianto
e rimozione dei rifiuti sono configurabile le fattispecie
dei reati, di cui agli art. 256, comma 1, 2 e 5, d.Lgs.
152/2006 e 262, comma 2, d.Lgs. 81/2008, di trasporto non
autorizzato di rifiuti pericolosi e omessa adozione delle
misure preventive a tutela della salute dei lavoratori
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.05.2018 n. 23864 - link a
www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il risarcimento del danno non è cumulabile con gli
emolumenti di carattere indennitario (fattispecie
concernente corresponsione di somme a titolo di risarcimento
danni causati dall’esposizione prolungata all’amianto).
---------------
Risarcimento danni – Quantificazione – Detrazione
indennità versate da assicuratori privati – Vanno detratte.
La presenza di un’unica condotta
responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto
illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli
diversi aventi la medesima finalità compensativa del
pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto,
determina la costituzione di un rapporto obbligatorio
sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione
della regola della causalità giuridica e in coerenza con la
funzione compensativa e non punitiva della responsabilità,
il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre
dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno
contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario (1).
---------------
(1) La questione era stata rimessa da
Cons. St., sez. IV, ordinanza 06.06.2017, n. 2719
[si legga anche:
Alla Adunanza plenaria la possibilità di cumulo tra
risarcimento del danno ed emolumenti di carattere
indennitario. Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.06.2017, n. 2719:
●
Risarcimento danni –
Quantificazione – Detrazione indennità versate da
assicuratori privati – Dubbio in giurisprudenza –
Devoluzione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
●
Va rimessa all’Adunanza plenaria la questione se sia
possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al
danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli
emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori
privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie
previdenziali].
Ha chiarito l’Alto Consesso che la soluzione della questione
all’esame dell’Adunanza plenaria presuppone la previa
individuazione dei titoli delle obbligazioni che vengono in
rilievo e della loro natura, nonché dei soggetti del
rapporto obbligatorio.
L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi
ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in
rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non
possono essere cumulate.
Sul piano della struttura degli illeciti, la presenza di una
condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni
da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del
medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto
determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente
unitari che giustifica l’attribuzione di una, altrettanto
unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare
la sfera personale della parte lesa.
In questi casi, l’applicazione delle regole della causalità
giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto
il danno effettivamente subito dal danneggiato, senza che le
suddette attribuzioni possano cumularsi tra di esse.
Non si tratta, pertanto, di applicare la regola della
compensatio nella sua versione “tradizionale”,
che presuppone che la medesima condotta determini un “danno”
e un “vantaggio”. Come già esposto, tale regola non
ha una sua autonomia ed è riconducibile alle tecniche di
determinazione del danno che, nella specie, trovano
applicazione in modo ancora più lineare e diretto. In questo
caso, infatti, la medesima condotta ha determinato solo
“danni” e dunque effetti pregiudizievoli, con la conseguenza
che occorre evitare il “cumulo di voci risarcitorie”
e non “il cumulo di danno e di lucro”.
Sul piano della funzione degli illeciti, il riconoscimento
del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilità
contrattuale di una funzione punitiva. L’esistenza, infatti,
di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe
per esso l’obbligo di corrispondere una somma superiore a
quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato
con ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo.
Tale risultato, contrariamente a quanto sostenuto
dall’appellato, non può ammettersi in quanto manca una
espressa previsione legislativa che contempli un illecito
punitivo e dunque che autorizzi un rimedio sovracompensativo
e non sarebbe nemmeno configurabile una duplice causa
dell’attribuzione patrimoniale.
In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata
finalità compensativa di entrambi i titoli delle
obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo
risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le
possibili complicazioni ricostruttive connesse al
funzionamento della surrogazione, impedisce che possa
operare il cumulo tra danno e indennità (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria,
sentenza 23.02.2018 n. 1 - commento tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: sanzioni amianto - ulteriore chiarimento lr n.
17/2003 (Regione Lombardia,
nota 23.11.2017 n. 34480 di prot.).
---------------
Ad integrazione della nota 13.11.2017 n. 33278 di prot.
si ritiene chiarire (... continua). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Amianto. Sanzioni e controlli. Legge regionale
29.09.2003, n. 17, art. 8-bis, co. 1 (Regione Lombardia,
nota 13.11.2017 n. 33278 di prot.).
---------------
La nota regionale scaturisce a fronte di interrogativi
formulati da parte di un comune bergamasco siccome riportati
nel prosieguo.
...
OGGETTO:
L.R. 29.09.2003 n. 17 - Norme per il risanamento
dell’ambiente, bonifica e smaltimento dell’amianto.
RICHIESTA CHIARIMENTI.
La presente per chiedere chiarimenti applicativi per quanto citato
in oggetto. Segnatamente,
premesso:
a) che l’art. 6, comma 1, così recita:
1. Al fine di conseguire
il censimento completo dell’amianto presente sul territorio
regionale ai sensi dell’articolo 12 della legge 257/1992, i
soggetti pubblici e i privati proprietari sono tenuti a:
a) per edifici, impianti o
luoghi nei quali vi è presenza di amianto o di materiali
contenenti amianto, a comunicare tale presenza all’ASL
competente per territorio, qualora non già effettuato;
b) per mezzi di trasporto nei
quali vi è presenza di amianto o di materiali contenenti
amianto, a comunicare alla ASL competente per territorio ed
alla amministrazione provinciale tale presenza;
c) per impianti di smaltimento
di amianto o di materiali contenenti amianto, a comunicare
alla ASL competente per territorio ed alla amministrazione
provinciale i quantitativi smaltiti, aggiornando
l’informazione annualmente.
b) che l’art. 8-bis, comma 1, della L.R. 29.09.2003 n. 17 così
dispone:
“Art. 8-bis - Sanzioni e controlli
1. La mancata comunicazione di cui all’articolo 6, comma 1,
comporta, a carico dei soggetti proprietari pubblici e
privati inadempienti, l’applicazione di una sanzione
amministrativa da € 100,00 a € 1.500,00.”;
c) che l’art. 9, comma 2-bis, recita quanto segue:
“2-bis. All’introito delle somme provenienti alla Regione
dalle sanzioni previste all’articolo 8-bis, si provvede con
l’UPB 3.4.10 “Introiti diversi”, iscritta allo stato di
previsione delle entrate del bilancio per l’esercizio
finanziario 2012 e successivi.”,
lo scrivente Settore si trova a gestire un affare laddove il
proprietario del manufatto, avente copertura in
cemento-amianto, non ha provveduto alla comunicazione di cui
alla precedente lett. a).
Sicché, chi scrive -non comprendendo appieno il tenore letterale
della norma- formula i seguenti interrogativi al fine di
avere contezza circa il corretto modus operandi:
1. qual è il soggetto che deve irrogare la
sanzione ex art. 8-bis? Detto altrimenti, la scrivente
Amministrazione oppure l’ATS di Bergamo?
2. la sanzione da comminare parrebbe evincersi che
la introiti la Regione, siccome deducibile “indirettamente”
dalla lettura dell’art. 9, comma 2-bis? E’ corretta tale
interpretazione?
In caso affermativo
3. quali sono i riferimenti da indicare
nell’ingiunzione di pagamento affinché il destinatario della
medesima possa provvedere in merito? |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. del 27.07.2016,
"Recepimento dell’accordo del 07.05.2015 tra il Governo,
le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
concernente la qualificazione dei laboratori pubblici e
privati che effettuano attività di campionamento ed analisi
sull’amianto sulla base dei programmi di controllo di
qualità, di cui all’articolo 5 e all’allegato 5 del decreto
14.05.1996 e individuazione del centro di riferimento
regionale" (deliberazione
G.R. 18.07.2016 n. 5416). |
PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 25 del 22.06.2017, "Approvazione
del secondo bando «Criteri e procedure per concessione ai
comuni di contributi una tantum a fondo perduto per la
rimozione del cemento-amianto esistente in pubblici edifici»"
(decreto
D.S. 15.06.2017 n. 7112). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Per
lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto il legislatore
ha dettato un regime speciale (d.P.R. 08.08.1994),
derogativo delle norme ordinarie in materia di gestione dei
rifiuti, con la conseguenza che tale regime è rimasto in
vigore nelle sue componenti essenziali anche dopo la riforma
di cui al d.lgs. 05.02.1997 n. 22 e costituisce una
regolamentazione specifica della materia rispetto alla quale
non determinano modifiche o integrazioni le disposizioni di
carattere generale concernenti la competenza degli enti
territoriali in materia anche ambientale.
---------------
Ancora assai di recente la Corte Costituzionale ha avuto
modo di precisare che “la disciplina dei rifiuti è
riconducibile alla materia «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se
interferisce con altri interessi e competenze, di modo che
deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare
livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale,
ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di
interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali.
Pertanto, la disciplina statale «costituisce, anche in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela
uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come
un limite alla disciplina che le Regioni e le Province
autonome dettano in altre materie di loro competenza, per
evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale
stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino".
---------------
4.1. Le riproposte censure sono condivisibili solo in parte.
4.1.1. Il Collegio non intende decampare dall’insegnamento
della giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V,
11/05/2004, n. 2943) che, nell’esplorare i rapporti tra la
legge n. 257/1992, e l’antevigente legislazione in materia
ambientale con precipuo riferimento alla materia dello
smaltimento dei rifiuti (d.Lgs. 05.02.1997 n. 22) è
pervenuta al convincimento per cui “per lo smaltimento di
rifiuti contenenti amianto il legislatore ha dettato un
regime speciale (d.P.R. 08.08.1994), derogativo delle norme
ordinarie in materia di gestione dei rifiuti, con la
conseguenza che tale regime è rimasto in vigore nelle sue
componenti essenziali anche dopo la riforma di cui al d.lgs.
05.02.1997 n. 22 e costituisce una regolamentazione
specifica della materia rispetto alla quale non determinano
modifiche o integrazioni le disposizioni di carattere
generale concernenti la competenza degli enti territoriali
in materia anche ambientale. ”.
Detto insegnamento appare attuale anche alla luce della
vigente legislazione (d.Lgs. n. 152/2006) e dal combinato
disposto dell’art. 1 della citata Legge 27.03.1992, n. 257
(“1. La presente legge concerne l'estrazione,
l'importazione, la lavorazione, l'utilizzazione, la
commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel
territorio nazionale, nonché l'esportazione dell'amianto e
dei prodotti che lo contengono e detta norme per la
dismissione dalla produzione e dal commercio, per la
cessazione dell'estrazione, dell'importazione,
dell'esportazione e dell'utilizzazione dell'amianto e dei
prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure
di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate
dall'inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata
alla individuazione di materiali sostitutivi e alla
riconversione produttiva e per il controllo
sull'inquinamento da amianto.
2. Sono vietate l'estrazione, l'importazione,
l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di
amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti
amianto. Previa autorizzazione espressa d'intesa fra i
Ministri dell'ambiente, dell'industria, del commercio e
dell'artigianato e della sanità, è ammessa la deroga ai
divieti di cui al presente articolo per una quantità massima
di 800 chilogrammi e non oltre il 31.10.2000, per amianto
sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non
sostituibile con prodotti equivalenti disponibili. Le
imprese interessate presentano istanza al Ministero
dell'industria, del commercio e dell'artigianato che
dispone, con proprio provvedimento, la ripartizione
pro-quota delle quantità sopra indicate, nonché determina le
modalità operative conformandosi alle indicazioni della
commissione di cui all'articolo 4”) e 10 comma 1 e 2
lett. d) della legge medesima (“1. Le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano adottano, entro
centottanta giorni dalla data di emanazione del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 6,
comma 5, piani di protezione dell'ambiente, di
decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della
difesa dai pericoli derivanti dall'amianto.
2. I piani di cui al comma 1 prevedono tra l'altro:
a) il censimento dei siti interessati da attività di
estrazione dell'amianto;
b) il censimento delle imprese che utilizzano o abbiano
utilizzato amianto nelle rispettive attività produttive,
nonché delle imprese che operano nelle attività di
smaltimento o di bonifica;
c) la predisposizione di programmi per dismettere
l'attività estrattiva dell'amianto e realizzare la relativa
bonifica dei siti;
d) l'individuazione dei siti che devono essere utilizzati
per l'attività di smaltimento dei rifiuti di amianto;
e) il controllo delle condizioni di salubrità ambientale
e di sicurezza del lavoro attraverso i presidi e i servizi
di prevenzione delle unità sanitarie locali competenti per
territorio;
f) la rilevazione sistematica delle situazioni di
pericolo derivanti dalla presenza di amianto;
g) il controllo delle attività di smaltimento e di
bonifica relative all'amianto;
h) la predisposizione di specifici corsi di formazione
professionale e il rilascio di titoli di abilitazione per
gli addetti alle attività di rimozione e di smaltimento
dell'amianto e di bonifica delle aree interessate, che è
condizionato alla frequenza di tali corsi;
i) l'assegnazione delle risorse finanziarie alle unità
sanitarie locali per la dotazione della strumentazione
necessaria per lo svolgimento delle attività di controllo
previste dalla presente legge;
l) il censimento degli edifici nei quali siano presenti
materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice
friabile, con priorità per gli edifici pubblici, per i
locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva e
per i blocchi di appartamenti.
3. I piani di cui al comma 1 devono armonizzarsi con i piani
di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 10.09.1982,
n. 915, e successive modificazioni e integrazioni.
4. Qualora le regioni o le province autonome di Trento e di
Bolzano non adottino il piano ai sensi del comma 1, il
medesimo è adottato con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri su proposta del Ministro della sanità, di
concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e
dell'artigianato e con il Ministro dell'ambiente, entro
novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al medesimo
comma 1.”) dai quali si evince che la competenza in
materia di individuazione dei siti che devono essere
utilizzati per l'attività di smaltimento dei rifiuti di
amianto pertiene alle Regioni.
4.1.2. Alla stregua di tale punto fermo, la contestata
disposizione di cui all’art. 15 delle NTA del Piano
Regionale stabilisce che non sarebbero ammissibili nuove
volumetrie di discarica, ad eccezione dell’ipotesi in cui
siano presenti discariche per un raggio di 10 Km,
interpretata nel senso di ritenere che l’esistenza di
qualsiasi discarica per rifiuti non pericolosi impedisca la
realizzazione dell’impianto proposto da parte appellata non
può essere censurata di illegittimità in quanto:
a) la regione ha esercitato una potestà “propria”;
b) come ancora di recente stabilito da questa Sezione del
Consiglio di Stato (sentenza n. 5340 del 16.12.2016) “ancora
assai di recente (sentenza del 23/07/2015, n. 180) la Corte
Costituzionale ha avuto modo di precisare che “la disciplina
dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», di competenza esclusiva
statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., anche se interferisce con altri interessi e
competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato
il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero
territorio nazionale, ferma restando la competenza delle
Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con
quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67
del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011,
n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).
Pertanto, la disciplina statale «costituisce, anche in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela
uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come
un limite alla disciplina che le Regioni e le Province
autonome dettano in altre materie di loro competenza, per
evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale
stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino -sentenze n. 314
del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007-» (sentenza n. 58
del 2015)” (si veda, in passato, anche la ricostruzione
contenuta della condivisibile recente decisione del
Consiglio di Stato sez. V, 26/01/2015 n. 313 da intendersi
integralmente qui richiamata)”;
c) la norma impugnata non introduce certo una “soglia
inferiore di tutela” ma, semmai, persegue “livelli di
tutela più elevati” e detta prescrizione si lega ad una
materia a competenza concorrente (quella della tutela della
salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della
Costituzione- si veda in proposito, tra le altre Corte
Costituzionale decisione n. 248 del 24.07.2009 considerando
n. 2.1.), e la significativa affermazione secondo cui
l’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del
commercio con quelle di una maggiore tutela della salute,
del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere
intesa in senso sistematico, complessivo e non frazionato, è
stata a più riprese ribadita dal Giudice delle leggi (si
vedano le sentenze della Corte Costituzionale nn. 85/2013 e
264/2012) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.05.2017 n. 2305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 03.04.2017 "Criteri
di finanziamento di interventi di rimozione amianto da
strutture pubbliche. monitoraggio dell’attivazione dei
servizi di rimozione e smaltimento amianto in matrice
compatta proveniente da utenze domestiche" (deliberazione
G.R. 13.03.2017 n. 6337). |
PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 13 del 31.03.2017, "Approvazione
del bando «Criteri e procedure per concessione ai comuni di
contributi una tantum a fondo perduto per la rimozione del
cemento-amianto esistente in pubblici edifici»" (decreto
D.S. 17.03.2017 n. 2949). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifica
dell'area, non è competenza del curatore. Tar Trento.
Non è il curatore che deve bonificare dall'amianto l'area a
rischio, un tempo occupata dalla società fallita. O meglio:
non può essere il comune a ordinare d'urgenza all'organo
concorsuale i lavori per rimuovere i materiali contenenti la
fibra-killer.
E ciò perché vale il principio eurounitario «chi inquina
paga» e manca la prova che sia avvenuto dopo la declaratoria
di insolvenza della società il superamento dei limiti di
concentrazione dell'asbesto previsti dalle tabelle della
normativa. Non bisogna dimenticare, infatti, che la curatela
non risulta autorizzata all'esercizio provvisorio
dell'azienda ex articolo 104 l.fall.
Con
sentenza 20.03.2017 n. 93 il TRGA Trentino Alto
Adige-Trento ha accolto il ricorso della professionista che
si vede intimare dal sindaco opere di messa in sicurezza per
oltre 220 mila euro, non sostenibili in base all'attivo
patrimoniale.
L'ordine di bonifica, in realtà, riguarda un'attività
anteriore alla dichiarazione di fallimento, che non può
essere in alcun modo ricondotta al curatore. L'amianto è
presente in dosi massicce nel capannone a partire dalla
copertura e si presume che l'accomandatario della sas
fallita sia a conoscenza dei materiali impiegati nella
costruzione della struttura: il socio, fra l'altro, è stato
subito nominato custode della struttura dal tribunale e
senza successo il comune ha tentato in primis di ottenere la
bonifica dall'imprenditore.
Inutile dunque per l'amministrazione prendersela con il
curatore senza accertare il profilo soggettivo del dolo o
della colpa nella condotta commissiva o omissiva (articolo
ItaliaOggi del 23.03.2017). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Esclusione dell’obbligo del curatore fallimentare di
smaltire i rifiuti su immobile di proprietà del fallito.
---------------
Inquinamento – Rifiuti – Rimozione e ripristino stato dei
luoghi – Ingiunzione – Indirizzata al curatore fallimentare
– Esclusione.
Il curatore fallimentare non è
custode degli immobili di proprietà del fallito, con la
conseguenza che non è assoggettabile agli obblighi previsti
dall'art. 192, comma 4, d.lgs. 03.04.2006, n. 152 (1).
---------------
(1) Il Tar ha richiamato precedenti del giudice di
appello (sez.
V, 30.06.2014, n. 3274;
16.06.2009, n. 3885; 12.06.2009, n. 3765) secondo
cui “il fallimento non può essere reputato un
subentrante, ossia un successore, dell’impresa sottoposta
alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita,
invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane
titolare del proprio patrimonio…e correlativamente il
fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni ma ne è
solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove
quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi
diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul
munuspubblico rivestito dagli organi della procedura (art.
31, r.d. 16.03.1942, n. 267: Il curatore ha
l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte
le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice
delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle
funzioni ad esso attribuite)”.
E’ stato aggiunto dal Consiglio di Stato che “il fatto
che alla curatela sia affidata l’amministrazione del
patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti
alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione
paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul
curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico
originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a
rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura
concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la
legge (sia esso il r.d. n. 267 del 1942, siano esse leggi
speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun
obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche
passive di cui era onerato il fallito…poiché in linea
generale, come ricordato, il curatore, nell’espletamento
della pubblica funzione non si pone come successore o
sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono
gli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per
colpa, né di quelli che lo stesso non sia stato in grado di
adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale…”.
Conclusivamente “nei confronti del Fallimento non è
ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo
potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto
dall’art. 192, comma 4, d.lgs. 03.04.2006, n. 152”
(secondo cui “Qualora la responsabilità del fatto
illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti
di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3,
sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che
siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo
le previsioni del decreto legislativo 08.06.2001, n. 231, in
materia di responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni) della
legittimazione passiva che l’articolo stesso pone in prima
battuta a carico del responsabile e del proprietario
versante in dolo o in colpa” (TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 20.03.2017 n. 93 - commento tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
1. Le questioni sottoposte al vaglio del Collegio
investono precipuamente la posizione della curatela
fallimentare in riferimento ai beni del fallito -acquisiti
dalla procedura- direttamente definibili rifiuti o comunque
contenenti fattori di inquinamento ambientale tali da
richiedere, secondo la normativa di settore, un intervento
di bonifica.
2. Su tale delicato problema, involgente non solo la
disamina della normativa (in primis contenuta nel
d.lgs. n. 152/2016) di derivazione comunitaria che
disciplina la messa in sicurezza, la bonifica ed il
ripristino ambientale, ma anche l’analisi della legge
fallimentare (r.d. n. 267/1942) e dei correlati doveri posti
a carico del curatore, non sussiste un’univoca
interpretazione giurisprudenziale.
3. La questione è stata tuttavia affrontata
in termini sistematici dal Consiglio di Stato
(sez. V, 30.06.2014 n. 3274; 16.06.2009, n. 3885;
12.06.2009, n. 3765) che, in accoglimento
dell’appello promosso da una curatela (non autorizzata alla
prosecuzione dell’attività della società fallita) avverso
ordinanze sindacali imponenti la rimozione, l’avvio a
recupero o smaltimento di rifiuti ed il ripristino dello
stato dei luoghi, ne ha escluso la legittimazione passiva,
atteso che “il fallimento non può essere reputato un
subentrante, ossia un successore, dell’impresa sottoposta
alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita,
invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane
titolare del proprio patrimonio…e correlativamente il
fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni ma ne è
solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove
quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi
diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul
munus pubblico rivestito dagli organi della procedura (art.
31 R.D. n. 267/1942: Il curatore ha l’amministrazione del
patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della
procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del
comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso
attribuite)”.
In specifico, nella medesima pronuncia viene affermato
quanto segue: “il fatto che alla
curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del
fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione
dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori,
non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento
di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore,
ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio
della procedura concorsuale. Al curatore competono gli
adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16.03.1942 n.
267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi
non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle
situazioni giuridiche passive di cui era onerato il
fallito…poiché in linea generale, come ricordato, il
curatore, nell’espletamento della pubblica funzione non si
pone come successore o sostituto necessario del fallito, su
di lui non incombono gli obblighi del fallito inadempiuti
volontariamente o per colpa, né di quelli che lo stesso non
sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della
procedura concorsuale… ”. E conclusivamente: “Per quanto
esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è
ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo
potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto
dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit.” (da intendersi d.lgs.
n. 152/2006), della legittimazione passiva che l’articolo
stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del
proprietario versante in dolo o in colpa”.
3.1. Detto insegnamento è stato ripreso in termini del tutto
condivisi in diverse pronunce del giudice di prime cure (cfr.
Tar Campania Napoli n. 5203/2014; Tar Puglia Lecce n.
504/2014; Tar Toscana n. 774 e 118/2014).
4. In precedenza
(cfr. Cons. di Stato, sez. V, n. 3885/2009 e n. 4328/2003)
il giudice d’appello aveva riscontrato che
il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari non
comporta necessariamente il dovere di adottare particolari
comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli
immobili richiedenti, per la presenza di fattori inquinanti,
la bonifica, e che la curatela fallimentare non subentra
negli obblighi più strettamente correlati alla
responsabilità dell’imprenditore, a meno che non vi sia una
prosecuzione nell’attività, da ciò conseguendo “che non
può accettarsi che la legittimazione passiva sia del
curatore (poiché ciò, inoltre, determinerebbe un
sovvertimento del principio di matrice comunitaria del “chi
inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non
presentano alcun collegamento con l’inquinamento)”, nel
mentre l’affermazione del predetto principio “consiste,
in definitiva nell’imputazione dei costi ambientali …al
soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita”,
rammentando infine che “nel caso di mancata
individuazione del responsabile, o nell’assenza di
interventi volontari, le opere di bonifica saranno
realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 d.lgs.
n. 152/2006) salvo, a fronte delle spese sostenute,
l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo,
a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione
degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso,
destinato a trasmettersi unitamente alla proprietà del
terreno (art. 253)”.
5. Orbene: in stretta relazione al surriferito insegnamento,
che condivide, il Collegio annota aggiuntivamente che, nella
fattispecie in esame, da un lato è del tutto pacifico
che la curatela ricorrente non sia stata autorizzata
all’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 della legge
fallimentare, e dall’altro, come si evince dalla
documentazione versata in causa (doc. 11 fasc. ricorrente),
che la custodia del compendio immobiliare -tra cui rientra
il capannone sito in p.ed. 1214/1- risulta affidata ex art.
32 L.F., fin dal momento della redazione dell’inventario, al
legale rappresentante della società fallita (An.Ce.), nei
cui esclusivi confronti le prime ordinanze contingibili e
urgenti adottate dell’autorità sindacale erano state in
effetti rivolte.
6. Sulla scorta di quanto precede, attesa la ricostruzione
sistematica del rapporto intercorrente fra la legislazione
fallimentare (e del ruolo assunto nell’ambito della stessa
dal curatore) e quella dettata dal legislatore in materia di
tutela ambientale dai rifiuti, nonché le appena viste
connotazioni che caratterizzano la procedura fallimentare in
esame, le ragioni sostenute dalla ricorrente con i primi
motivi dovrebbero trovare pacifico accoglimento.
7. Tuttavia, oltre al citato insegnamento deve riscontrarsi
la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale
diverso, secondo cui sussisterebbe la
legittimazione passiva della curatela fallimentare, rispetto
agli obblighi connessi alla bonifica di inquinamenti
ambientali, non solo nel caso di autorizzazione
all’esercizio provvisorio, ma anche nelle ipotesi di
univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore
nell’abbandono dei rifiuti
(cfr. Tar Lombardia Brescia 09.01.2017 n. 38; Tar Toscana
sez. II 19.03.2010 n. 700): detto
orientamento ha trovato poi particolare applicazione nella
materia dell’inquinamento derivato dalla presenza di amianto
nei beni acquisiti dalla curatela,
e nello sviluppo di questo filone va annoverata la pronuncia
del Tar Friuli Venezia Giulia n. 441/2015 (conforme Tar
Lombardia Brescia n. 669/2016), citata nell’ordinanza
sindacale qui impugnata.
8. In base al ragionamento seguito in tali ultime pronunce “l’eternit
diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe
condizioni, il che implica una continua evoluzione della
situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità
fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia
presente l’amianto”,
di talché “la continua
sorveglianza imposta dalla legge e il fatto che l’amianto
divenga pericoloso per l’ambiente e la salute solo a certe
condizioni consentono di scindere le responsabilità e
obbligano passivamente il soggetto che detiene il bene nel
momento in cui si verificano le condizioni per
l’applicazione della normativa speciale”:
in forza di quanto precede, nelle menzionate sentenze il
giudice di prime cure è giunto ad affermare la
legittimazione passiva del curatore fallimentare (“detentore
attuale”) negli obblighi di sanificazione del sito
inquinato.
9. Il Collegio, a seguito del necessario
riesame e approfondimento proprio della fase di merito, non
ritiene condivisibile tale orientamento, e comunque non lo
ritiene suscettibile di applicazione al caso di specie.
10. Sotto un primo profilo, infatti,
l’affermazione di tale principio condurrebbe ad
affermare la legittimazione passiva della curatela oltre i
limiti che contraddistinguono l’assolvimento del munus
pubblico che la connota, individuato –come sopra visto-
nella gestione dei beni del fallito sotto la vigilanza e
direzione degli organi fallimentari, in primis del
giudice delegato, ma solo ai fini della liquidazione del
patrimonio secondo le regole stabilite dalla legge
fallimentare volte alla soddisfazione paritetica dei
creditori, e per il resto obnubilerebbe l’effettiva
applicazione del principio di derivazione comunitaria del “chi
inquina paga”, in quanto prescinderebbe
dall’individuazione dell’effettivo responsabile
dell’inquinamento.
11. In secondo luogo non appare
persuasiva l’affermazione secondo cui l’amianto, sostanza
insidiosa anche per quel che riguarda la sua precisa
identificazione ed individuazione nell’ambito di edifici
variamente compositi, non costituisce di per sé un rifiuto
ma lo diventa solo a seguito del superamento di determinati
livelli di concentrazione nella struttura che lo contiene,
posto che l’art. 2, co. 1 lett. c, della legge 27.03.1992 n.
257/1992 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto”) nella definizione di rifiuto ricomprende
“qualsiasi sostanza o qualsiasi oggetto contenente
amianto che abbia perso la sua destinazione d’uso e che
possa disperdere fibre d’amianto nell’ambiente in
concentrazioni superiori a quelle ammesse dall’art. 3”,
con ciò dovendosi ritenere che fin dall’origine della
struttura contenente amianto sussista la pericolosità idonea
alla qualificazione dello stesso come rifiuto.
11.1 Nella fattispecie in esame la copertura del capannone
preesiste ovviamente al fallimento della società Ce.Pr.
s.a.s, e quest’ultima è da presumersi, in assenza di
qualsivoglia elemento contrario, soggetto costruttore ed a
lungo utilizzatore (oltre che proprietario e come visto
custode nella persona di Ce.An.) dell’edificio e della sua
copertura, nonché a conoscenza -nelle persone del legale
rappresentante e dei soci- dell’effettiva composizione della
struttura dell’edificio e dei materiali impiegati, ivi
compreso l’amianto, il che rileva anche in ordine al
necessario riscontro dell’individuazione del soggetto
responsabile dell’inquinamento (“chi inquina paga”) e
dell’accertamento del profilo soggettivo del dolo o della
colpa nel comportamento commissivo o omissivo.
12. Infine, pur volendo aderire al predetto orientamento,
deve osservarsi che non appare sufficiente rilevare come il
mero accertamento dell’avvenuto superamento dei limiti di
amianto tabellarmente consentiti sia stato effettuato in
data successiva alla dichiarazione di fallimento,
intervenuta nell’anno 2011, per poter validamente escludere
che, nel corso dei pochi anni intercorsi, e non già prima, i
limiti di tollerabilità fossero ecceduti: è proprio la
contestuale affermazione, pure rinvenibile nell’orientamento
da ultimo citato, secondo cui l’autonoma responsabilità del
curatore andrebbe accertata secondo criteri di univocità e
chiarezza, ad inficiare ulteriormente, qui sotto il profilo
del difetto di motivazione, i presupposti dell’ordinanza
impugnata.
12.1 Questa, infatti, sul punto in esame si limita a
richiamare l’accertamento dell’indice di degrado operato
dagli uffici dell’Azienda provinciale per i servizi
sanitari, intervenuto in data successiva alla dichiarazione
di fallimento, senza tuttavia che le amministrazioni
interessate, in primis il Comune, abbiano condotto
-in vista dell’emissione dell’ordinanza assunta nei
confronti della curatela- alcuna indagine in ordine alla
datazione dell’edificio e della sua copertura, nonché agli
effetti del tempo trascorso dalla realizzazione sulla
concentrazione dell’amianto poi computata.
13. In conclusione,
per le suesposte ragioni, l’orientamento
giurisprudenziale da ultimo citato, posto alla base
dell’ordinanza sindacale impugnata, per un verso non appare
condivisibile e, sotto altro profilo, si rileva
inapplicabile alla fattispecie in esame, dovendosi
contrariamente aderire al qui condiviso e surriferito
insegnamento proveniente dal giudice d’appello, ed alla
conseguente affermazione, per la materia de qua, del
difetto di legittimazione passiva della curatela
fallimentare.
14. Il ricorso merita dunque accoglimento, essendo
precipuamente fondati il primo motivo e la prima parte del
secondo, con assorbimento delle ulteriori censure dedotte
nel gravame, da ciò conseguendo l’annullamento
dell’ordinanza impugnata.
15. Per quanto riguarda la posizione sostanziale e
processuale rivestita dal pure convenuto Ministero
dell’interno, appare condivisibile quanto sostenuto nella
memoria della difesa erariale, secondo cui l’ordinanza
impugnata rientra, per la materia de qua (art. 32 TU
delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni della
Regione autonoma Trentino- Alto Adige), nelle competenze
proprie del Sindaco quale rappresentante dell’ente comunale,
e non nella qualità di ufficiale di governo (cfr. in termini
Cons. di Stato, sez. V, 25.02.2016 n. 765), e da ciò deriva
l’estromissione del Ministero dal presente giudizio.
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PATRIMONIO: Fondo
amianto al rush finale. Domande online entro il 30/3. Per il
2017 ci sono 6 mln. I chiarimenti del ministero
dell'ambiente. Finanziamenti solo per gli edifici pubblici.
Gli incarichi di progettazione già conferiti non sono
ammissibili, ciascun ente può presentare una sola domanda di
finanziamento, la progettazione deve riferirsi ad edifici
pubblici di proprietà e destinati allo svolgimento
dell'attività dell'ente.
Sono questi alcuni dei chiarimenti che il ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
fornito in merito alla procedura di accesso al finanziamento
della progettazione preliminare e definitiva di interventi
di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto di
cui all'art. 56, comma 7, della legge 28.12.2015, n. 221.
Il fondo ha una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di
euro per l'anno 2016 e di 6,018 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2017 e 2018, per uno stanziamento complessivo di
oltre 17 milioni di euro. La procedura di accesso telematico
al fondo rimarrà a disposizione sul sito
www.amiantopa.minambiente.ancitel.it fino al 30.03.2017.
Accesso consentito alle pubbliche
amministrazioni
Possono fare domanda di accesso al Fondo le amministrazioni
pubbliche con riferimento ad interventi relativi ad edifici
pubblici di proprietà e destinati allo svolgimento
dell'attività dell'ente. Ciascun ente può presentare una
sola domanda di partecipazione in ragione d'anno. La domanda
può essere riferita anche ad interventi in uno o più edifici
o unità locali.
La domanda di ammissione al finanziamento potrà essere
riferita ad interventi relativi a singoli edifici,
all'interno della stessa struttura, nonché più unità locali
all'interno dello stesso edificio, purché rientranti nei
requisiti di ammissibilità. Ciascun intervento riferito al
singolo edificio o alla singola unità locale sarà
autonomamente valutato ai fini dell'ammissione in
graduatoria e, pertanto, la relativa richiesta di
finanziamento dovrà essere inserita separatamente
all'interno dell'applicativo.
Finanziabili i costi di progettazione fino
a 15 mila euro
Il fondo è finalizzato a finanziare i costi per la
progettazione preliminare e definitiva degli interventi di
bonifica mediante rimozione e smaltimento dell'amianto e dei
manufatti in cemento-amianto su edifici e strutture
pubbliche insistenti nel territorio nazionale. Sono
finanziabili i costi di progettazione preliminare e
definitiva degli interventi fino al limite massimo di 15
mila euro a domanda per singola pubblica amministrazione,
anche se riferita a interventi relativi a più edifici o
unità locali.
Per progettazione preliminare e definitiva si intendono i
livelli di progettazione inferiori al progetto esecutivo e
comunque finalizzati e necessari alla redazione dello
stesso. Il finanziamento può coprire integralmente o
parzialmente i costi di progettazione preliminare e
definitiva degli interventi. Non sono invece finanziabili
gli eventuali costi relativi alla posa in opera del
materiale sostitutivo.
Priorità a edifici collocati in aree
sensibili
Sono considerati prioritari gli interventi relativi ad
edifici pubblici collocati all'interno, nei pressi o
comunque entro un raggio non superiore a 100 metri da asili,
scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza
socio-assistenziali, ospedali, impianti sportivi, nonché gli
interventi relativi ad edifici pubblici per i quali esistono
segnalazioni da parte di enti di controllo sanitario e/o di
tutela ambientale e/o di altri enti e amministrazioni in
merito alla presenza di amianto.
Avranno priorità anche gli interventi relativi ad edifici
pubblici per i quali si prevede un progetto cantierabile in
12 mesi dall'erogazione del contributo, nonché gli
interventi relativi ad edifici pubblici collocati
all'interno di un Sito di interesse nazionale e/o inseriti
nella mappatura dell'amianto ai sensi del decreto
ministeriale n. 101 del 18.03.2003.
Domanda telematica entro il 30.03.2017
Gli enti interessati a ricevere il finanziamento devono
registrarsi, compilare e presentare il modulo di domanda
esclusivamente attraverso l'utilizzo dell'applicativo
disponibile sul portale dedicato raggiungibile all'indirizzo
www.amiantopa.minambiente.ancitel.it (articolo
ItaliaOggi del 03.03.2017). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Amianto,
aiuti ma non per tutto. La bonifica agevolata taglia fuori
progettazioni e materiali. I chiarimenti del ministero
dell'ambiente per i lavori sugli edifici pubblici
contaminati.
Non sono ammissibili al finanziamento della bonifica di
edifici pubblici contaminati da amianto la progettazione di
interventi di ripristino, la realizzazione di manufatti
sostitutivi e la loro messa in opera, le spese di acquisto
di beni, mezzi e materiali sostitutivi e loro messa in
opera, gli incarichi di progettazione preliminare e
definitiva già conferiti al momento dell'ammissione al
finanziamento e la progettazione di interventi realizzati
prima della pubblicazione del bando o prima dell'ammissione
al finanziamento.
Questi alcuni dei
chiarimenti forniti dal ministero dell'ambiente
in merito all'accesso ai finanziamenti per gli interventi di
bonifica di beni contaminati degli edifici pubblici.
La dotazione finanziaria per l'anno 2016 è pari a 5,536
milioni di euro e di 6,018 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2017 e 2018. Non sono finanziabili nel caso di
interventi di rimozione di coperture in cemento amianto, gli
eventuali costi relativi alla posa in opera del materiale
sostitutivo.
Presentazione domande.
Le istanze di accesso possono essere presentate dal 30
gennaio al 30.03.2017 collegandosi al sito
www.amiantopa.minambiente.ancitel.it. La domanda di
ammissione al finanziamento potrà essere riferita a
interventi relativi a singoli edifici, all'interno della
stessa struttura, nonché più unità locali all'interno dello
stesso edificio, purché rientranti nei requisiti di
ammissibilità.
Ciascun intervento riferito al singolo edificio o alla
singola unità locale sarà autonomamente valutato ai fini
dell'ammissione in graduatoria e, pertanto, la relativa
richiesta di finanziamento dovrà essere inserita
separatamente all'interno dell'applicativo. Ciascun ente può
presentare una sola domanda di partecipazione in ragione
d'anno. La domanda può essere riferita anche ad interventi
in uno o più edifici o unità locali.
Quali sono i costi ammissibili al
finanziamento.
Sono ammissibili al fondo per la progettazione preliminare e
definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati
da amianto gli interventi di rimozione dell'amianto e dei
manufatti in cemento-amianto da edifici e strutture
pubbliche e successivo smaltimento, anche previo
trattamento, in impianti autorizzati, effettuati nel
rispetto della normativa ambientale, edilizia e di sicurezza
nei luoghi di lavoro.
Sono finanziabili i costi di progettazione preliminare e
definitiva degli interventi fino al limite massimo di 15
mila euro a domanda per singola pubblica amministrazione,
anche se riferita a interventi relativi a più edifici o
unità locali. Il finanziamento può coprire integralmente o
parzialmente i costi di progettazione preliminare e
definitiva degli interventi.
I costi di progettazione preliminare e definitiva sono
determinati in conformità al decreto ministeriale 17.06.2016
recante «Approvazione delle tabelle dei corrispettivi
commisurati al livello qualitativo delle prestazione di
progettazione adottato ai sensi dell'articolo 24, comma 8,
del decreto legislativo n. 50 del 2016». Per
progettazione preliminare e definitiva si intendono i
livelli di progettazione inferiori al progetto esecutivo e
comunque finalizzati e necessari alla redazione dello stesso
(articolo ItaliaOggi dell'01.02.2017). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Bonifica
amianto, 5 mln per gli edifici pubblici.
Fondo per finanziare la progettazione. Richieste
entro marzo.
Dal 30 gennaio al 30 marzo gli enti pubblici potranno fare
richiesta di finanziamento per la progettazione di
interventi di bonifica dall'amianto in edifici di loro
proprietà; 5,5 milioni i fondi a disposizione e più di 6
ogni anno per il 2017 e il 2018; necessaria una relazione
tecnica asseverata da un professionista.
Lo prevede il bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
19 del 24.01.2017 con il quale viene avviata la procedura
pubblica, destinata agli enti pubblici per il finanziamento
della progettazione preliminare e definitiva di interventi
di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, in
conformità a quanto disposto dal decreto del ministero
dell'ambiente del 21.09.2016 (si veda l'anticipazione
pubblicata su ItaliaOggi di giovedì 26.01.2016).
Si tratta del fondo di 5,536 milioni (6,018 milioni sono
previsti per ciascun anno nel 2017 e nel 2018) che servirà a
coprire i costi di progettazione fino a un massimo, per ogni
intervento, di 15 mila euro, anche a copertura dei
corrispettivi da porre a base di gara.
Gli interventi finanziabili saranno soltanto quelli
concernenti edifici e strutture di proprietà degli enti
pubblici e destinate allo svolgimento delle attività
dell'ente o di attività di interesse pubblico. Il bando
precisa che per progettazione preliminare e definitiva si
intendono i livelli di progettazione inferiori al progetto
esecutivo e comunque finalizzati e necessari alla redazione
dello stesso.
Gli interventi finanziabili saranno quelli relativi ai
lavori di rimozione dell'amianto e dei manufatti in
cemento-amianto da edifici e strutture pubbliche, compreso
lo smaltimento, anche previo trattamento in apposte
strutture, da effettuarsi nel rispetto della normativa
ambientale, edilizia e di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Alla richiesta di finanziamento dovrà essere allegata una
relazione tecnica asseverata da professionista abilitato,
trasmessa attraverso l'applicativo presente sul portale e
adottata in conformità al modello di cui all'allegato A al
bando stesso. In particolare, nella relazione devono essere
specificati: la destinazione d'uso dei beni o dei siti sede
dell'intervento, la localizzazione e la destinazione d'uso
dei manufatti contenenti amianto, la tipologia, la quantità
e lo stato di conservazione dei materiali; le modalità di
intervento di bonifica proposto; la stima dei lavori da
eseguire con dettaglio dei costi di progettazione soggetti a
finanziamento; il cronoprogramma orientativo delle attività,
incluse le fasi progettuali.
Ogni ente potrà presentare una sola richiesta di
finanziamento per la progettazione di un singolo intervento,
ma l'intervento potrà riguardare anche più edifici o unità
locali, sempre nel rispetto del limite complessivo di 15
mila euro. Le domande dovranno essere presentate dal 30
gennaio al 30.03.2017 tramite l'applicativo presente nel
portale del ministero dell'ambiente all'indirizzo
www.amiantopa.minambiente.ancitel.it.
Priorità verrà data agli interventi relativi a edifici entro
un raggio non superiore a 100 metri dalle scuole, parchi,
ospedali e impianti sportivi (40 punti) ma 10 punti saranno
previsti anche per interventi per i quali vi sia un progetto
cantierabile in 12 mesi, o ad interventi in siti in cui sia
stata già segnalata la presenza di amianto o collocati
all'interno di un sito di interesse nazionale o inseriti
nella mappatura dell'amianto in base al dm 101 del 2003 (articolo
ItaliaOggi del 27.01.2017). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Bonifica
amianto, aiuti fino a 15 mila euro.
Procedura pubblica per il finanziamento destinato a coprire,
integralmente o parzialmente, i costi di progettazione
preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di
edifici pubblici contaminati da amianto. Le agevolazioni
economiche possono coprire costi fino ad un massimo,
complessivamente inteso, di 15 mila euro. Le richieste di
finanziamento potranno essere presentate dal 30.01.2017 fino
al 30.03.2017.
È con il comunicato (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
19 del 24.01.2017) che il ministero dell'ambiente dà notizia
del bando per l'accesso alle agevolazioni per la bonifica
degli edifici pubblici contaminati da amianto.
Le richieste di accesso alle agevolazioni dovranno essere
necessariamente presentate tramite l'applicativo informatico
disponibile sul sito del ministero dell'ambiente
www.amiantopa.minambiente.ancitel.it. L'intervento
presentato dovrà essere necessariamente essere corredato da:
• relazione tecnica asseverata da professionista abilitato
in cui devono essere specificati: della destinazione d'uso
dei beni o dei siti sede dell'intervento, la localizzazione
e la destinazione d'uso dei manufatti contenenti amianto, la
tipologia, la quantità e lo stato di conservazione dei
materiali;
• le modalità di intervento di bonifica proposto;
• la stima dei lavori da eseguire con dettaglio dei costi di
progettazione soggetti a finanziamento;
• il cronoprogramma orientativo delle attività, incluse le
fasi progettuali.
Ciascun ente potrà presentare una sola richiesta di
finanziamento per la progettazione di un singolo intervento
ma l'intervento potrà riguardare anche più edifici o unità
locali, sempre nel rispetto del limite complessivo di 15
mila euro. Dopo la presentazione delle domande, il ministero
dell'ambiente, a seguito dell'istruttoria condotta dall'Ispra,
disporrà di una graduatoria delle richieste ammesse al
contributo. Il contributo è erogato con decreto del
direttore generale del ministero ambiente a seguito
dell'inclusione dell'intervento in graduatoria.
La liquidazione è accordata con le seguenti modalità: il 30%
della somma al momento dell'ammissione al finanziamento e
dell'impegno del soggetto beneficiario ad utilizzare
esclusivamente le risorse per gli interventi di bonifica di
edifici pubblici contaminati da amianto, il 40% delle somme
ammesse al finanziamenti al momento dell'approvazione del
progetto definitivo da parte dell'ente richiedente e il 30%
della somma ammessa a finanziamento al momento della
rendicontazione finale, operata attraverso la trasmissione
all'ente erogante della documentazione di impegno e spese
dell'intero ammontare (articolo ItaliaOggi del 26.01.2017). |
anno 2016 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Aiuti
per le bonifiche di amianto. Credito d’imposta del 50% sulle
spese sostenute per lo smaltimento.
Ambiente. Dal 16 novembre le imprese potranno prenotare
l’incentivo attraverso il sito del ministero.
Scatta mercoledì 16 novembre il termine a decorrere dal
quale le imprese potranno chiedere al ministero
dell’Ambiente il credito d’imposta pari al 50% delle spese
sostenute per le bonifiche di amianto effettuate nel 2016,
come previsto dal Dm 15.06.2016.
I dati del Rapporto Ispra sui rifiuti speciali 2015 indicano
una produzione di rifiuti contenenti amianti (Rca) pari a
340mila tonnellate di cui il 92,7% è dato da materiali da
costruzione contenenti amianto. Rispetto al 2012, il trend
appare in diminuzione (-36%). Tuttavia, poiché non esiste un
censimento delle strutture contenenti amianto, il dato
potrebbe anche riflettere una dispersione dei rifiuti. Il
nuovo incentivo, però, può sicuramente aiutare la gestione
legittima degli Rca derivanti da bonifica di amianto.
L’investimento nella bonifica dei beni e delle aree
contenenti amianto non può essere inferiore a 20.000 euro e
sono agevolate le spese per la rimozione e lo smaltimento
dell’amianto presente in coperture e manufatti di beni e
strutture produttive.
L’agevolazione, prevista dall’articolo 56, legge “green
economy” (n. 221/2015), trova il suo modulo
organizzativo nel Dm 15.06.2016 che, in vigore dal 17
ottobre, individua: tipologie di interventi ammissibili;
modalità e termini per la concessione del beneficio;
disposizioni per il rispetto del limite massimo di spesa;
determinazione dei casi di revoca e decadenza;
procedure di recupero in casi di utilizzo illegittimo del
beneficio. Questo è alternativo e non cumulabile, per le
medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione
nazionale, regionale o comunitaria.
Il credito d’imposta è previsto a beneficio dei soggetti
titolari di reddito d’impresa che effettuano interventi di
bonifica dall’amianto, su beni e strutture produttive
ubicate in Italia, dal 01.01.2016 al 31.12.2016. Natura
giuridica, dimensioni aziendali e regime contabile sono
ininfluenti.
Sono ammesse le spese per la rimozione e lo smaltimento,
anche previo trattamento in impianti autorizzati, di lastre
di amianto piane o ondulate; coperture in eternit;
tubi, canalizzazioni e contenitori per il trasporto e lo
stoccaggio di fluidi, ad uso civile e industriale in
amianto; sistemi di coibentazione industriale in amianto.
Il credito d’imposta è riconosciuto nella misura del 50% di
quanto sostenuto per gli interventi ammessi ed effettuati
dal 01.01.2016 al 31.12.2016.
Per evitare di incorrere nei problemi relativi agli aiuti di
Stato, il beneficio è concesso nel rispetto dei limiti di
cui al regolamento (Ue) 1407/2013 relativo all’applicazione
degli articolo 107 e 108 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione agli aiuti “de minimis”. La spesa
complessiva sostenuta per ciascun progetto di bonifica,
unitariamente considerato, non può essere inferiore a 20.000
euro.
I costi ammessi sono limitati a 400.000 euro per ciascuna
impresa.
---------------
Conta l’ordine di presentazione. La
procedura. Lo stanziamento complessivo è pari a 17milioni di
euro.
Dal 16.11.2016 al
31.03.2017 le imprese possono presentare domanda al
ministero dell’Ambiente mediante accesso alla piattaforma
informatica sul sito www.minambiente.it. La domanda va
firmata dal legale rappresentante e indica il costo
complessivo degli interventi; l’ammontare delle singole
spese eleggibili e del credito d’imposta richiesto; il
mancato fruire di altre agevolazioni per le medesime voci di
spesa.
A pena di esclusione, la domanda va corredata da:
- piano di lavoro del progetto di bonifica unitariamente
considerato presentato all’Asl competente; comunicazione
alla Asl di avvenuta ultimazione dei lavori/attività di cui
al piano di lavori già approvato comprensiva della
documentazione attestante l’avvenuto smaltimento in
discarica autorizzata e, nel caso di amianto friabile in
ambienti confinati, anche la certificazione di
restituibilità degli ambienti bonificati redatta da Asl;
- l’attestazione dell’effettività delle spese sostenute;
- la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per gli
altri aiuti “de minimis” eventualmente fruiti durante
l’esercizio finanziario in corso e nei due precedenti.
Il credito d’imposta è riconosciuto previa verifica da parte
del ministero dell’ammissibilità in ordine al rispetto dei
requisiti previsti, secondo l’ordine di presentazione delle
domande e sino all’esaurimento del limite di spesa pari a 17
milioni.
Entro 90 giorni dalla data di presentazione delle domande il
ministero comunica all’impresa il riconoscimento o il
diniego del beneficio e, nel primo caso, l’importo
spettante.
Il credito d’imposta è ripartito e utilizzato in tre quote
annuali di pari importo ed è indicato nella dichiarazione
dei redditi relativa al periodo di imposta di riconoscimento
del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai
periodi di imposta successivi fino a quello nel corso del
quale se ne conclude l’utilizzo, a decorrere dalla
dichiarazione relativa al periodo di imposta in corso al
31.12.2016. La prima quota è utilizzabile a decorrere dal
01.01.2017.
L’agevolazione viene revocata se: viene accertata
l’insussistenza di uno dei requisiti previsti e la falsità
delle dichiarazioni rese; la documentazione presentata
contiene elementi non veritieri.
In tali casi, sono fatte salve le eventuali conseguenze di
legge civile, penale e amministrativa e, in ogni caso, si
provvede al recupero del beneficio indebitamente fruito
(articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.11.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Amianto,
scattano le bonifiche. Click day dal 16/11. A disposizione
17 mln in tre anni. Definite le
modalità per usufruire del bonus del 50% per interventi sui
capannoni.
Per il bonus del 50% sulla bonifica da amianto dei capannoni
click day dal 16 novembre. Le imprese potranno comunque
iniziare a registrarsi attraverso l'apposita piattaforma
elettronica accessibile dal sito del ministero dell'ambiente
www.minambiente.it già dal 27 ottobre. Il finanziamento
complessivo è pari a 17 milioni di euro e l'agevolazione non
spetta per investimenti di importo unitario inferiore a 20
mila euro. Entro 90 giorni dalla presentazione dell'istanza,
il Ministero dell'ambiente comunicherà alle imprese il
riconoscimento o il diniego dell'agevolazione.
Questo è quanto previsto dal decreto del 15.06.2016
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17.10.2016 n. 243)
con il quale il ministero dell'ambiente ha definito le
modalità di presentazione delle domande per usufruire del
credito d'imposta per interventi di bonifica dei beni e
delle aree contenenti amianto.
Per garantire la massima trasparenza e la maggiore
comprensione possibile del modulo di presentazione delle
istanze, sono inoltre state redatte dal dicastero
dell'ambiente, le linee guida alla predisposizione delle
domande e le Faq. Le agevolazioni sono concesse nei limiti e
nelle condizioni del regolamento europeo che prevede che il
finanziamento pubblico alle imprese uniche non possa
superare, nel triennio, 100 mila euro per le imprese di
trasporto merci per conto terzi, e 200 mila euro per le
altre.
Sono invece escluse le imprese di produzione primaria di
prodotti agricoli, pesca e acquacoltura, e quelle che
operano nei servizi di interesse economico generale, le cui
agevolazioni sono disciplinate da altri regolamenti
comunitari. Il credito d'imposta verrà concesso solo per
interventi di rimozione e smaltimento dell'amianto, non per
il semplice incapsulamento o confinamento. Saranno
finanziati solo gli interventi conclusi, quelli di cui
l'impresa può comprovare i pagamenti effettuati e l'avvenuto
smaltimento in discarica dell'amianto entro il 31.12.2016.
Spese ammissibili.
Sono ammissibili al credito d'imposta gli interventi di
rimozione e smaltimento, anche previo trattamento in
impianti autorizzati, dell'amianto presente in coperture e
manufatti di beni e strutture produttive ubicati nel
territorio nazionale effettuati nel rispetto della normativa
ambientale e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono
ammesse, inoltre, le spese di consulenze professionali e
perizie tecniche nei limiti del 10% delle spese complessive
sostenute e comunque non oltre l'ammontare di 10.000,00 euro
per ciascun progetto di bonifica unitariamente considerato.
Sono considerate eleggibili le spese per la rimozione e lo
smaltimento, anche previo trattamento in impianti
autorizzati, di lastre di amianto piane o ondulate,
coperture in eternit, tubi, canalizzazioni e contenitori per
il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, a uso civile e
industriale in amianto e sistemi di coibentazione
industriale in amianto.
Soggetti interessati.
Possono accedere ai contributi i soggetti titolari di
reddito d'impresa, ai sensi dell'articolo 2195 del codice
civile, purché si tratti di imprese le cui attività siano
riconducibili alle attività ammissibili a contributo «de
minimis» di cui al regolamento (Ue) n. 1407/2013 del
18.12.2013.
Di fatto, dunque, risultano escluse le imprese che operano
nei settori riconducibili ai regolamenti (Ue) n. 360/2012
(servizi di interesse economico generale), n. 1408/2013 del
18.12.2013 (settore agricolo) e n. 717/2014 del 27.06.2014
(settore della pesca e dell'acquacoltura).
Ciascuna impresa, considerata come «Impresa unica» ai sensi
del regolamento (Ue) n. 1407/2013 del 18.12.2013
(considerando n. 4 e articolo 2.2), può presentare tante
domande di contributo quanti sono gli interventi di
rimozione o smaltimento amianto effettuati nell'annualità
2016 sul territorio nazionale. Si ricorda che a ogni
intervento deve essere associato un diverso piano di lavoro.
All'agevolazione concessa deve essere applicato il limite di
importo cui al regolamento 1407/2013.
In caso di più domande presentate singolarmente da imprese
che risultino fra di loro collegate o associate secondo le
definizioni del citato regolamento, si ricorda che queste
devono essere considerate come «impresa unica» e il
finanziamento totale non può eccedere i limiti imposti dal
regolamento 1407/2013.
Ciascuna impresa unica può presentare domanda di contributo
anche se ha già beneficiato a qualsiasi titolo aiuti di
Stato concessi in regime «de minimis»; l'importo del
contributo al quale avrà diritto, qualsiasi sia l'ammontare
delle spese sostenute, sarà comunque commisurato al limite
stabilito dal regolamento 1407/2013 nell'arco di tre anni,
dunque:
- la differenza tra quanto già fruito nel triennio e 100.000
euro per le imprese esercenti il trasporto di merci su
strada per conto terzi;
- la differenza tra quanto già fruito nel triennio e 200.000
euro per tutte le altre imprese.
---------------
Come presentare domanda telematica.
La procedura per la presentazione della domanda di
contributo è esclusivamente online, ossia avviene attraverso
la compilazione di un modulo e il caricamento di
informazioni e documenti mediante una piattaforma
informatica, accessibile all'indirizzo web:
www.minambienteamianto.ancitel.it
Per presentare la domanda l'azienda richiedente deve
eseguire i seguenti step procedurali:
- dalla pagina web www.minambienteamianto.ancitel.it,
l'impresa accede alla sezione «clicca qui per registrarti»
all'interno della quale è necessario compilare i campi
relativi alla sezione «dati anagrafici del richiedente»,
allegare documento di identità del dichiarante e
(eventualmente) il titolo di rappresentanza posseduto per
compilare la domanda per conto dell'impresa, dichiarare (con
flag da apporre nel campo apposito) che i documenti allegati
sono copia conforme all'originale, compilare i campi
relativi alla sezione «dati dell'impresa», esprimere il
consenso in merito al trattamento dei dati personali, (con
due flag da apporre nei campi appositi) e terminare la
registrazione attraverso il pulsante «registrati».
- con lo username e la password rilasciati dal sistema al
termine della fase di registrazione, è possibile accedere
all'area riservata, suddivisa in cinque sezioni da compilare
in sequenza:
- «domanda all'interno della quale» vengono riepilogati i
dati identificativi dell'impresa, bisogna descrivere
brevemente l'intervento e deve essere resa una dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà in merito alla tipologia
dell'azienda richiedente, alle spese sostenute per
l'intervento di bonifica e alla posizione dell'azienda
riguardo agli aiuti di stato concessi a titolo di de minimis;
- «dichiarazioni» - nella quale vengono rese
dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sullo stato
dell'impresa;
- «fatture» al cui interno vanno inseriti alcuni dati
identificativi dei documenti comprovanti le spese sostenute
a supporto della domanda di contributo, e allegate le
relative fatture commerciali quietanzate;
- «allegati» – nella quale è possibile scaricare i format
da utilizzare per le dichiarazioni da compilare,
sottoscrivere e caricare in piattaforma (obbligatori -
allegati 1 e 2) unitamente al piano di lavoro (obbligatorio)
del progetto di bonifica, alla comunicazione alla Asl
(obbligatoria) di avvenuta ultimazione dei lavori, alla
certificazione (eventuale) relativa all'amianto friabile e
alla certificazione Cccia (obbligatoria);
- «certifica e invio» che consente la verifica di
completezza dei contenuti della domanda prima della
conclusione della procedura, con l'invio formale.
Nella domanda, sottoscritta dal legale rappresentante
dell'impresa, dovrà essere specificato il costo complessivo
degli interventi, l'ammontare delle singole spese
eleggibili, l'ammontare del credito d'imposta richiesto e il
non usufruire di altre agevolazioni per le medesime voci di
spesa.
Il credito d'imposta è riconosciuto previa verifica, da
parte del Ministero dell'ambiente dell'ammissibilità in
ordine al rispetto dei requisiti previsti, secondo l'ordine
di presentazione delle domande e sino all'esaurimento del
limite di spesa complessivo pari a 17 milioni di euro (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.10.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Tetto in eternit-amianto ammalorato: chi deve provvedere?
Questo Tribunale ha già esaminato fattispecie analoghe,
svolgendo le considerazioni che possono così essere
riassunte:
- la disciplina speciale che regola la materia per cui è
causa (cessazione dell'impiego dell'amianto) contiene
principi in parte diversi da quelli applicabili al settore
dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale;
- dalla Legge n. 257/1992 e dal D.M. 06.09.1994 emerge la
circostanza per cui l’amianto non è di per sé qualificabile
come un rifiuto;
- nei casi di abbandono dei rifiuti o di inquinamento
ambientale è possibile (anche se a volte molto difficoltoso)
accertare chi sia stato il soggetto responsabile
dell’inquinamento o, in negativo, se l’attuale proprietario
del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o
meno identificabile come responsabile della condotta
illecita;
- nel caso dell’amianto la situazione è diversa, perché
l’eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a
certe condizioni, il che implica una continua evoluzione
della situazione e quindi anche il passaggio delle
responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili
in cui sia presente la sostanza inquinante. Di conseguenza,
l’obbligo di sorveglianza, di una situazione che può
modificarsi nel tempo, consente di scindere le
responsabilità e obbliga passivamente il soggetto che
detiene il bene nel momento in cui si verificano le
condizioni (di pericolosità) per l’applicazione della
normativa speciale.
---------------
Circa la doglianza relativa alla pretesa applicabilità della
disciplina sui rifiuti e all’impossibilità di coinvolgere il
proprietario incolpevole, vanno richiamati i principi
giurisprudenziali esposti in precedenza e condivisi anche
dall’odierno Collegio.
Di conseguenza, è legittima l’ordinanza emessa rivolta
all’attuale detentore del bene su cui grava l’onere di
sorveglianza e di eliminazione del pericolo.
---------------
... per l'annullamento
- dell’ordinanza sindacale 31.07.2015 n. 87 per interventi
su struttura contenente amianto;
- degli atti connessi del procedimento.
...
1. Con ordinanza 31.07.2015 n. 87, adottata ai sensi della
Legge n. 257/1992, del DM 06.09.1994, dell’art. 54 del D.Lgs.
n. 267/2000 e oggetto di gravame insieme agli atti
presupposti e connessi del procedimento amministrativo, il
Comune di Jesi disponeva, a carico della ricorrente, una
pluralità di interventi urgenti proposti dall’ASUR Marche
che rilevava possibili pericoli, per gli edifici
residenziali nelle vicinanze, conseguenti allo stato di
degrado della copertura in cemento-amianto dell’edificio
sito in via Roma ... di proprietà della stessa ricorrente.
In particolare veniva ordinato:
- di eseguire, entro 45 giorni, interventi di incapsulamento
conservativo e riparazione delle zone danneggiate con
prodotti incapsulanti certificati ai sensi del DM 20.08.1999
mirati alle parti rotte della copertura. Entro lo stesso
termine veniva ordinato anche di procedere alla pulizia
delle gronde e alla rimozione delle eventuali lastre a
terra;
- la rimozione, entro il 31.12.2015, della copertura in
cemento-amianto dell’edificio.
Qualora la ricorrente avesse preferito effettuare la
sollecita rimozione della copertura, avrebbe potuto (in
alternativa alle predette misure), presentare al Comune e
all’ASUR, entro 30 giorni, un piano di lavoro ai sensi
dell’art. 256 del D.Lgs. n. 81/2008, da eseguire entro 45
giorni dal parere favorevole espresso dall’ASUR sul piano
proposto.
Si è costituito il Comune di Jesi per contestare, nel
merito, le deduzioni di parte ricorrente chiedendone il
rigetto.
Si sono altresì costituiti, ad opponendum, i Sigg.
Gi.Gi. e Cu.An., allegando di essere residenti a ridosso
dell’edificio in questione e direttamente esposti ai
pericoli derivanti dall’amianto presente nella relativa
copertura.
2. Con un’unica ed articolata censura viene dedotta
violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del
D.Lgs. n. 267/2000, degli artt. 192, 239 e ss. del D.Lgs. n.
152/2006, del DM 06.09.1994, del D.Lgs. n. 81/2008, della
Legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere sotto svariati
profili.
In particolare viene dedotto:
- che non sussistevano i presupposti per l’adozione di
un’ordinanza contingibile ed urgente perché la situazione
era nota dal 2013, era stato redatto un programma di
manutenzione e controllo del materiale nell’ottobre 2014 con
sopralluoghi dell’ASUR, la quale, nella relazione del
dicembre 2014, non evidenziava ragioni di urgenza, mentre,
nella relazione del 17.06.2015, proponeva la programmazione
di un intervento di bonifica entro 12 mesi a fronte di un
eventuale pericolo derivante dalla sola presenza di alcuni
frammenti e danneggiamenti della copertura. Di conseguenza
il Comune avrebbe dovuto esercitare i poteri ordinari di cui
all’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006;
- che l’edificio è stato realizzato abusivamente dalla
società Li. (che poi ha chiesto il condono nel 1986) e
utilizzato dalla società MA.. La ricorrente è mera
proprietaria del terreno e non era a conoscenza
dell’edificazione, dovendosi pertanto considerare
proprietario incolpevole. L’ordine avrebbe dovuto essere
rivolto alla società Li. benché abbia cessato l’attività nel
1994 e sia stata posta in liquidazione, in quanto devono
rispondere i soci fino alla concorrenza delle somme riscosse
con il bilancio finale di liquidazione ai sensi dell’art.
2495 CC. C’è comunque responsabilità solidale degli
amministratori ai sensi dell’art. 192, c. 4, del D.Lgs. n.
152/2006.
L’articolata censura non può trovare condivisione.
In via generale occorre premettere che questo Tribunale ha
già esaminato fattispecie analoghe, svolgendo le
considerazioni che possono così essere riassunte (cfr. TAR
Marche, 05.06.2015 n. 467):
- la disciplina speciale che regola la materia per cui è
causa (cessazione dell'impiego dell'amianto) contiene
principi in parte diversi da quelli applicabili al settore
dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale;
- dalla Legge n. 257/1992 e dal D.M. 06.09.1994 emerge la
circostanza per cui l’amianto non è di per sé qualificabile
come un rifiuto;
- nei casi di abbandono dei rifiuti o di inquinamento
ambientale è possibile (anche se a volte molto difficoltoso)
accertare chi sia stato il soggetto responsabile
dell’inquinamento o, in negativo, se l’attuale proprietario
del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o
meno identificabile come responsabile della condotta
illecita;
- nel caso dell’amianto la situazione è diversa, perché l’eternit
diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe
condizioni, il che implica una continua evoluzione della
situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità
fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia
presente la sostanza inquinante. Di conseguenza, l’obbligo
di sorveglianza, di una situazione che può modificarsi nel
tempo, consente di scindere le responsabilità e obbliga
passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in
cui si verificano le condizioni (di pericolosità) per
l’applicazione della normativa speciale.
Poste tali premesse, va osservato che sussisteva l’urgenza
di intervenire poiché, trattandosi di una situazione in
evoluzione, gli accertamenti eseguiti dopo l’avvio del
procedimento (avvenuto nel 2013) non potevano considerarsi
definitivi e irripetibili, tanto è vero che l’ordinanza
oggetto di gravame, sulla scorta degli accertamenti
successivi, diversifica gli interventi a carico della
proprietà, distinguendo tra quelli da eseguire entro 45
giorni (incapsulamento conservativo e riparazione mirati
alle parti danneggiate della copertura) e quelli da
eseguire entro il 31.12.2015 (rimozione della
copertura), con possibilità di optare immediatamente per un
intervento unitario previa elaborazione di un piano di
lavoro.
Del resto anche parte ricorrente ammette l’esistenza di
parti danneggiate della copertura, pur ritenendo che la sola
presenza di alcuni frammenti e danneggiamenti escluda
pericoli per l’incolumità, senza tuttavia fornire elementi
tecnici a confutazione di quanto accertato dai competenti
organismi pubblici e per ritenere che il pericolo possa
considerarsi definitivamente superato attraverso meri
interventi di riparazione di una copertura comunque in stato
di degrado spontaneo dovuto al naturale invecchiamento delle
lastre e che libera materiale friabile e polverulento
rinvenuto depositato in gronda (cfr. relazione ASUR del
17.06.2015).
Per quanto concerne l’ulteriore doglianza, relativa alla
pretesa applicabilità della disciplina sui rifiuti e
all’impossibilità di coinvolgere il proprietario
incolpevole, vanno richiamati i principi giurisprudenziali
esposti in precedenza e condivisi anche dall’odierno
Collegio. Di conseguenza l’ordinanza non poteva che essere
rivolta all’attuale detentore del bene su cui grava l’onere
di sorveglianza e di eliminazione del pericolo.
3. Il ricorso va conclusivamente respinto (TAR Marche,
sentenza 19.10.2016 n. 571 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Bonifica
amianto, agevolazioni a novembre.
Dal 16 novembre le imprese possono presentare al ministero
dell'ambiente attraverso l'apposita piattaforma elettronica
accessibile sul sito www.minambiente.it la domanda per il
riconoscimento del credito d'imposta per interventi di
bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto. Le
risorse a disposizione ammontano a 17 milioni di euro.
Possono beneficiare del credito d'imposta i soggetti
titolari di reddito d'impresa, indipendentemente dalla
natura giuridica assunta, dalle dimensioni aziendali e dal
regime contabile adottato, che effettuano interventi di
bonifica dall'amianto, su beni e strutture produttive
ubicate nel territorio dello stato, dal 1° gennaio 2016 al
31 dicembre 2016.
È con il decreto del 15.06.2016 (pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 17.10.2016 n. 243) con il quale il ministero
dell'ambiente ha definito le modalità di presentazione delle
domande per usufruire del credito d'imposta per interventi
di bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto.
Sono ammissibili al credito d'imposta gli interventi di
rimozione e smaltimento, anche previo trattamento in
impianti autorizzati, dell'amianto presente in coperture e
manufatti di beni e strutture produttive ubicati nel
territorio nazionale effettuati nel rispetto della normativa
ambientale e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono
ammesse, inoltre, le spese di consulenze professionali e
perizie tecniche nei limiti del 10% delle spese complessive
sostenute e comunque non oltre l'ammontare di 10.000 euro
per ciascun progetto di bonifica unitariamente considerato.
Sono considerate eleggibili le spese per la rimozione e lo
smaltimento, anche previo trattamento in impianti
autorizzati, di lastre di amianto piane o ondulate,
coperture in eternit, tubi, canalizzazioni e contenitori per
il trasporto e lo stoccaggio di fluidi, a uso civile e
industriale in amianto e sistemi di coibentazione
industriale in amianto.
Nella domanda, sottoscritta dal legale rappresentante
dell'impresa, dovrà essere specificato il costo complessivo
degli interventi, l'ammontare delle singole spese
eleggibili, l'ammontare del credito d'imposta richiesto e il
non usufruire di altre agevolazioni per le medesime voci di
spesa. Il credito d'imposta è riconosciuto previa verifica
del rispetto dei requisiti da parte del ministero
dell'ambiente, secondo l'ordine di presentazione delle
domande (articolo ItaliaOggi del 19.10.2016). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate dal crollo
di un tetto, risulta inapplicabile l'allegato 3 D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica
dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e
fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
Invero, tali soluzioni presuppongono l'incorporazione
dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi
in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come
nel caso in esame, la struttura incorporante.
In tal caso, infatti,
l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a
smaltimento e non più a "bonifica".
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3. Al fine di comprendere meglio la vicenda in esame è necessario
ricostruirne -secondo quanto incontestabilmente risulta dal provvedimento
impugnato e dalle stesse allegazioni difensive- i passaggi più importanti,
che possono essere così sintetizzati:
a) con ordinanza n. 53 del 08/11/2012 il Sindaco del Comune di
Apecchio aveva ordinato alle società «La Ga. S.p.a.» e «El. S.r.l.» (e ad
altre società) lo smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate
dal crollo dei tetti dei relativi stabilimenti, crollo provocato dalle
abbondanti nevicate di quell'anno;
b) tale smaltimento avrebbe dovuto essere realizzato mediante la
raccolta manuale delle lastre di eternit e il tombamento del residuo
materiale, secondo modalità -si legge nell'ordinanza impugnata- stabilite
dal Ca., ancorché non condivise dagli Enti componenti il tavolo
tecnico che doveva occuparsi della vicenda, ed anzi ad esso contrarie (anche
se, annota il Tribunale di Ancona, dell'adozione di tale ordinanza risponde
il solo Sindaco di Apecchio e non anche il ricorrente);
c) il NOE CC di Ancona accertò che, invece, la società «La Ga.
S.p.a.» aveva interrato i rifiuti senza separarli dall'amianto, e sollecitò
di conseguenza l'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 23 del
05/08/2013 con cui il Sindaco di Apecchio avrebbe poi ordinato alla «La Ga.
S.p.a.» la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti;
d) il successivo 26/08/2013, con un documento indirizzato alla
Regione Marche e al Sindaco di Apecchio, il ricorrente (facendo leva -si
legge nell'ordinanza impugnata- su riferimenti normativi imprecisi) aveva
sollecitato la revoca o comunque la modifica dell'ordinanza sindacale.
Questo atto integra, a parere dei giudici cautelare, l'ipotizzato tentativo
di abuso di ufficio.
3.1. Il ricorrente deduce l'applicabilità alla fattispecie dell'allegato 3,
D.M. Min. Sanità 06.09.1994 che descrive le tecniche di bonifica
dell'amianto (dalla sua rimozione, all'incapsulamento, al confinamento) e
fornisce le indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
3.2. Osserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l'incorporazione
dell'amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi
in cui non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come
nel caso in esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti,
l'amianto costituisce rifiuto speciale pericoloso, soggetto solo a
smaltimento e non più a "bonifica".
3.3. Il rilievo, dunque, è infondato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
08.03.2016 n. 9458). |
anno 2015 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Amianto, tre strade per la bonifica.
Il materiale può essere incapsulato, confinato o rimosso da
ditte iscritte all’Albo gestori.
Sicurezza. Obbligatorio comunicare alla Asl il piano di
lavoro, che si intende approvato dopo 30 giorni con il
silenzio-assenso.
Nelle
abitazioni sono diversi i casi in cui ci si può imbattere
nell'amianto: pannelli, pavimenti, rivestimenti di camini,
tubazioni, lastre di copertura, canne fumarie, serbatoi
idrici, guarnizioni stufe, intonaco.
Come afferma l’allegato
sulla valutazione del rischio al Dm 06.09.1994, la
presenza di materiali che contengono amianto in un edificio
non comporta di per sé un pericolo per la salute degli
occupanti: «Se il materiale è in buone condizioni e non
viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un
pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto». Lo
stesso allegato indica norme e metodologie tecniche di
applicazione della legge 257/1992 che ha messo al bando
questo materiale.
Le indicazioni del decreto si applicano a tutte le strutture
edilizie: ad uso civile, commerciale o industriale.
Il proprietario dell’immobile -l’amministratore di
condominio per le parti comuni, o il gestore dell’attività-
deve sempre designare una figura responsabile del rischio
amianto, con compiti di controllo e coordinamento
dell’attività manutentiva, da cui passa la valutazione
dell'eventuale bonifica. Il proprietario deve anche tenere i
documenti relativi all’ubicazione dell’amianto, predisporre
la segnaletica e le misure di sicurezza, fornire una
corretta informazione agli occupanti dell’edificio sui
rischi potenziali e i comportamenti da adottare.
A seconda del tipo di matrice, si predispone quindi un
controllo visivo e strumentale periodico. «Il responsabile
deve individuare la ditta qualificata e abilitata ad
eseguire i lavori: cioè un’impresa iscritta all’Albo
nazionale gestori ambientali, in categoria 10, con
coordinatore e operai specificamente formati», aggiunge
Erminio Barbati, vicepresidente Aibam (Associazione imprese
bonificatori amianto).
La ditta deve redigere un “piano di lavoro” da presentare
all'Asl competente per territorio -tranne casi di urgenza-
almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori. Dopo 30
giorni scatta il silenzio-assenso.
A seconda delle caratteristiche di installazione e dello
stato di conservazione, la bonifica può esser fatta tramite
incapsulamento (trattare con vernice che ricostruisce la
superficie e impedisce la fuga del materiale), confinamento
(“chiusura” dietro murature) o rimozione del materiale. Non
sempre è possibile rimuovere il materiale, a causa di
impedimenti strutturali dell’edificio. In ogni caso, una
volta accertata la presenza dell’amianto, è necessario
stilare almeno un programma di controllo e manutenzione, per
prevenire il rilascio e la dispersione di fibre, e nel caso
intervenire per rimuovere o mettere in sicurezza.
«Il rischio è rappresentato dalla friabilità dei materiali e
dalla loro esposizione. L’amianto in matrice compatta,
comunemente conosciuto come cemento-amianto (fibrocemento, o
eternit, dal nome del più diffuso prodotto commerciale), è
meno pericoloso di quello in matrice friabile, che ha fibre
libere o debolmente legate. Ma va sottoposto alla
valutazione periodica dell’indice di degrado», spiega Nicola
Giovanni Grillo, presidente di Aibam. In ogni caso, i lavori
non si effettuano mai in presenza di abitanti.
«Quanto alle autorizzazioni edilizie -aggiunge Grillo-
dipendono dal tipo di intervento collegato: se rimuovo
soltanto una parte, non necessito di alcun particolare
documento; se tolgo il cemento-amianto e rimetto un’altra
copertura, coibentata, dovrò fare una comunicazione di
inizio lavori».
Una volta completata l’opera, il materiale rimosso va
portato in un centro di stoccaggio o direttamente in
discarica. «A farlo può essere la stessa ditta che ha
eseguito i lavori, ma per il trasporto deve esser comunque
iscritta all’Albo in categoria 5: tutto è indicato nel piano
di lavoro inviato all’Asl, anche il tragitto compiuto per lo
smaltimento», dice il presidente di Assoamianto, Sergio
Clarelli.
«Al proprietario deve poi tornare entro 90 giorni
una copia del Fir (formulario di identificazione rifiuti),
che attesta il conferimento presso una discarica
autorizzata. Questo documento si aggiunge al certificato di
fine lavori, e all’eventuale copia del campionamento
dell’aria successivo all’intervento».
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PERMESSI E NULLA OSTA
Il piano di lavoro predisposto dalla ditta abilitata alla
bonifica va inviato alla Asl del proprio territorio 30
giorni prima dell’inizio delle opere. Se entro 30 giorni
l’Asl non richiede integrazioni o modifiche, né dà
prescrizioni, la ditta può eseguire le opere.
Le autorizzazioni edilizie dipendono dal tipo di intervento
e dalle norme regionali o locali. In generale, in caso di
sola rimozione di una parte di amianto, non serve alcun
titolo abilitativo; se, ad esempio, si sostituisce una
copertura in eternit con un altro manto coibentato, ci sarà
bisogno di una Cila.
L’IMPRESA
L’impresa che effettua i lavori deve essere iscritta
all'Albo nazionale gestori ambientali, in categoria 10:
categoria 10A e/o 10B, a seconda che sia abilitata al
trattamento dei soli materiali compatti (di solito
cemento-amianto, eternit) o a tutti i tipi di bonifica.
La
ditta deve avere dipendenti provvisti di patentino di
abilitazione per coordinatore e operatori addetti alla
bonifica. L’impresa che trasporta i materiali alla discarica
–può essere anche la stessa che ha eseguito la rimozione–
deve essere iscritta all’Albo in categoria 5.
AGEVOLAZIONI PER PERSONE FISICHE
Anche per le spese di rimozione dell’amianto su abitazioni e
pertinenze (box, cantina, soffitta) si applica la detrazione
Ipref del 50%, entro il limite di 96mila euro (articolo 16-bis del Dpr 917/1986). Per accedere ai benefici basta pagare
le fatture con bonifico bancario o postale.
Se la rimozione
dell’amianto è intervento di carattere condominiale sarà
l’amministratore a provvedere
al pagamento con bonifico in cui oltre alla partiva Iva
dell’impresa esecutrice dei lavori indicherà anche il codice
fiscale del condominio.
AGEVOLAZIONI PER LE SOCIETÀ
La detrazione del 50% non è applicabile per gli immobili
posseduti da imprese e società nell’esercizio dell’attività
commerciale. Ma le spese di rimozione amianto rientrano tra
quelle detraibili quando si effettuano contestualmente gli
interventi di risparmio energetico cui si applica la
detrazione del 65 per cento.
Oltre agli edifici abitativi
anche tutti gli edifici non residenziali e quelli a
destinazione produttiva fruiscono di questa detrazione, se
dotati di impianto di riscaldamento preesistente.
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Bonus del 50% anche per il 2016.
Persone fisiche. La detrazione confermata per gli immobili
abitativi con il disegno di legge di Stabilità - In arrivo
un credito di imposta per beni e strutture produttive.
Anche la leva
fiscale può essere utilizzata per la rimozione di
amianto/eternit presente nel patrimonio edilizio esistente
in modo da ridurre significativamente i costi di questa
operazione.
Gli sconti fiscali applicabili attualmente per le persone
fisiche consentono la detrazione del 50% e, in taluni casi,
del 65% per i contestuali interventi di risparmio energetico
(si veda articolo in basso).
Si tratta di un’ottima opportunità di risparmio per chi
vuole smaltire l’amianto. Ma come funziona l’incentivo?
L’articolo 16-bis, comma 1, lettera l) del Dpr 917/1986,
prevede espressamente, per gli interventi eseguiti su
immobili abitativi e relative pertinenze (box, cantina,
soffitta), la detraibilità dall’Irpef del 50% delle spese
sostenute, entro il limite massimo di 96mila euro per gli
interventi di bonifica dall’amianto.
La formulazione testuale della norma lascerebbe pensare che
i benefici fiscali si possano applicare anche agli
interventi eseguiti su immobili non abitativi, anche non
pertinenziali, sempreché posseduti da persone fisiche,
tenuto conto del carattere oggettivo della normativa che non
limita espressamente alle abitazioni questa tipologia
specifica di intervento. In pratica, se posseduto da una
persona fisica l’edificio non residenziale (ufficio,
negozio, capannone, ma anche tettoie, pollai e ricoveri di
materiali), fruirebbe del bonus del 50% previsto per le
abitazioni. Ma sul punto non sono mai arrivate conferme
ufficiali.
Sino al 31.12.2015 (per ora ma la proroga al dicembre
2016 è contenuta nella legge di stabilità) l’importo della
detrazione è pari al 50% delle spese sostenute sino a un
ammontare massimo di 96mila euro, cioè 48mila euro da
ripartirsi in dieci rate annuali fino a 4.800 euro ciascuna
da recuperare con la presentazione della dichiarazione dei
redditi. Perciò, chi spende 20mila euro per la bonifica
dall’amianto potrà recuperare 10 mila euro in 10 quote
annuali da mille euro.
A regime, invece, la detrazione sarà pari al 36% delle spese
sostenute fino a un ammontare massimo di 48mila euro, cioè
17.280 euro da ripartirsi in dieci quote.
Per accedere ai benefici basta pagare le fatture con
bonifico bancario o postale.
Nella maggior parte dei casi la rimozione dell’amianto è un
intervento che interessa i condomini: in questo caso sarà
l’amministratore a provvedere al pagamento con bonifico, in
cui oltre alla partiva Iva dell’impresa esecutrice dei
lavori indicherà anche il codice fiscale del condominio. Lo
stesso amministratore poi rilascerà ai singoli condomini
un’attestazione degli importi da ciascuno dei condomini
detraibili sulla base della tabella millesimale.
Da ultimo nel Ddl «Collegato ambientale« (atto Senato 1676),
è stato approvato un emendamento presentato dal Governo che
prevede un credito di imposta del 50% delle spese sostenute
nel 2016 per interventi di bonifica dell’amianto anche su
beni e strutture produttive (con fondi pari a 5,6 milioni di
euro per il triennio 2017-2019).
Il credito di imposta -quando entrerà in vigore- non si
applicherà per investimenti di importo unitario inferiore a
20mila euro.
L’importo del credito sarà ripartito in tre
quote di pari importo da recuperare in sede di dichiarazione
dei redditi. Il credito non concorre alla determinazione del
reddito né dell’imponibile Irap. Modalità e termini di
applicazione del beneficio saranno rimesse a uno specifico
decreto del Mef.
---------------
Per le società abbinamento con il risparmio energetico
Persone giuridiche. Recuperabili al 65% i lavori connessi
all’isolamento termico.
Per gli
immobili posseduti da imprese e società nell’esercizio
dell’attività commerciale la detrazione Irpef del 50% non è
applicabile. Tuttavia, le spese di rimozione dell’amianto
rientrano tra quelle detraibili quando si effettuano
contestualmente gli interventi di risparmio energetico cui
si applica la detrazione Irpef/Ires del 65% (prorogata al
2016 secondo il Ddl di stabilità).
In sostanza se
l’intervento di rimozione dell’eternit è collegato a
interventi sui serramenti, all’implementazione di un
cappotto termico, all’installazione di pannelli solari
termici, o caldaie a condensazione, all’aggiunta di un
camino solare, o pompe di calore, allora la detrazione è
pari al 65% della spesa sostenuta sino a un importo massimo
di detrazione pari a 100mila euro per gli interventi di
riqualificazione globale, ovvero 60mila per gli interventi
sulle strutture opache orizzontali o verticali (cappotto,
finestre o solai) o 30mila per gli interventi di
sostituzione degli impianti termici.
Il perimetro
In pratica, mentre la detrazione del 65% non si applica di
per sé alla sola rimozione dell’amianto, le spese
complessive di riqualificazione energetica con contestuale
rimozione dell’amianto, se non separatamente fatturate
(altrimenti si perde il diritto al beneficio), fruiscono
anche di questa maggiore detrazione.
Trattandosi di intervento di risparmio energetico non
sussistono i limiti oggettivi previsti per la detrazione del
50%: quindi l’agevolazione vale sia per le abitazioni sia
per tutti gli edifici non residenziali e quelli a
destinazione produttiva. L’importante è che gli stessi siano
accatastati prima dell’inizio dell’intervento e siano dotati
di impianto di riscaldamento preesistente.
Anche sotto il
profilo soggettivo, la detrazione del 65% non subisce i
limiti previsto per il bonus fiscale per le ristrutturazioni
edilizie e, quindi, si applica oltre che ai soggetti Irpef
anche a imprese e società (soggetti Ires). In entrambi i
casi, trattandosi di una detrazione è necessario che il
soggetto che sostiene le spese abbia capienza di imposta,
cioè Irpef o Ires da versare nell’anno di imposta da cui
poter scomputare l’importo detraibile.
Facciamo un esempio: una società vuole rimuovere l’amianto
e, contestualmente, coibentare il tetto per migliorare
l’isolamento termico dell’edificio. Nell’ipotesi in cui al
termine dei lavori di rifacimento del tetto si conseguano i
prescritti valori di trasmittanza termica, tutte le spese
sostenute, anche per la rimozione dell’amianto nel tetto,
fruiscono dei benefici fiscali.
Se si tratta di intervento
di risparmio energetico eseguito su immobile strumentale, la
detrazione si applica senza problemi a prescindere dal fatto
che le spese sostenute sono già elemento di costo nella
determinazione del reddito di impresa o arti e professione
(es. maggiore ammortamento per capitalizzazione
dell’investimento ovvero abbattimento dal reddito
imponibile). In sostanza, la spesa sostenuta rileva, sia
nella determinazione del reddito che come detrazione dalle
imposte sul reddito dovute sull’utile (Irpef o Ires). Fanno
eccezione gli immobili non abitativi locati per i quali
l’agenzia delle Entrate ha posto dei limiti all’applicazione
del 65 per cento.
Per i titolari di reddito d’impresa (ditte individuali,
società di persone o di capitali), infatti, la detrazione
del 65% spetta solo se gli interventi di riqualificazione
energetica sono eseguiti su fabbricati strumentali (per
natura o destinazione) utilizzati nell’esercizio
dell’attività imprenditoriale. Sono pertanto esclusi gli
immobili locati a terzi (risoluzione n. 340/E/2008) e gli
altri immobili posseduti dalle imprese o società. Tuttavia, i
più recenti orientamenti giurisprudenziali di merito non
riconoscono legittima questa interpretazione (si veda Il
Sole 24 Ore del 29 giugno scorso).
La procedura
Il contribuente deve, in primo luogo, acquisire
l’asseverazione di un tecnico abilitato che certifichi il
rispetto dei requisiti di trasmittanza termica. È necessario
acquisire anche l’attestato di prestazione energetica
dell’edificio e la scheda informativa dei lavori secondo lo
schema contenuto nel Dm 19.02.2007.
Una volta ottenuta l’asseverazione, l’Ape e la scheda
informativa, il contribuente deve inviarli all’Enea (tramite
il programma informatico disponibile sul sito internet
www.acs.enea.it) entro i 90 giorni successivi alla fine
dell’intervento (articolo Il Sole 24 Ore del 02.11.2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Piano Regionale Amianto Lombardia (P.R.A.L.)
(ASL di Bergamo,
nota 01.04.2015 n. 38941 di prot.) |
anno 2014 |
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CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Amianto,
il degrado obbliga alla bonifica. In base alla spesa
maggioranze variabili per le delibere. Sicurezza. La
valutazione del rischio deve essere affidata a tecnici
abilitati.
L'amianto piaceva: le sue peculiari proprietà fonoassorbenti
e termoisolanti e il basso costo hanno spinto al suo
utilizzo per decenni anche negli edifici condominiali. Ma,
dopo aver scoperto la sua pericolosità, dato che Comune e
Asl non sono tenuti a effettuare sopralluoghi negli edifici
privati, l'onere grava totalmente sul condominio e, quindi,
sull'amministratore.
I doveri dell'amministratore
Va precisato che l'amianto è stato applicato in due forme
diverse: l'amianto compatto e quello friabile.
La differenza è rilevante anche dal punto di vista giuridico
e degli obblighi dell'amministratore. Il comma 5
dell'articolo 12 della legge 257/1992 stabilisce che «presso
le unità sanitarie locali è istituito un registro nel quale
è indicata la localizzazione dell'amianto floccato o in
matrice friabile presente negli edifici».
I proprietari (quindi l'amministratore in caso di condomìni)
devono comunicare alle Asl i dati relativi alla presenza di
materiali. In caso di omessa comunicazione la legge 257
stabilisce la sanzione amministrativa da 2.582 a 5.164 euro
I lavori da eseguire
Per i materiali edilizi in cemento amianto presenti in forma
compatta in edifici privati e in condomìni, qualora essi
siano in buono stato, non è previsto alcun obbligo né di
comunicazione alla Asl né di rimozione.
Se però il manufatto compatto manifesta condizioni di
degrado l'amministratore deve far effettuare un'accurata
ispezione e una valutazione del rischio rivolgendosi a un
tecnico o a un'impresa abilitati e accuratamente
selezionati, oppure far eseguire le analisi da un
laboratorio in possesso dei requisiti previsti dall'allegato
5 del Dm del 14.05.1996. Sono poi necessari controlli
periodici dopo il primo intervento.
Ma che succede se l'analisi accerta la necessità di
intervenire sull'amianto? In tal caso è obbligatorio
rivolgersi a una ditta specializzata iscritta all'albo
nazionale gestori ambientali alla categoria 10 sub categoria
10A o 10B (articolo 26 del Dlgs 81/2008).
Sull'amministratore incombono anche responsabilità nei
confronti di chi lavora nei condomìni : gli articoli da 246
al 261 del Tu sulla sicurezza regolamentano la protezione
dai rischi connessi all'esposizione all'amianto.
Spese e maggioranze
La spesa va ripartita tra i condòmini (articolo 12, comma 3,
della legge 257/1992), con possibilità di rivalersi nei
confronti della ditta costruttrice solo se l'amianto sia
stato installato successivamente alla data in cui la legge
ne ha vietato l'uso.
Quanto alle maggioranze assembleari per deliberare gli
interventi relativi all'amianto, dato che dovrebbero
qualificarsi come manutenzione ordinaria poiché l'intervento
è imposto dalla legge, sarebbe sufficiente la maggioranza
prevista dal terzo comma dell'articolo 1136 del Codice
civile (la maggioranza degli intervenuti in assemblea che
rappresenti almeno 1/3 dei millesimi e dei condòmini).
Invece, quando l'opera di bonifica è di rilevante entità,
soprattutto economica, si ricade nella manutenzione
straordinaria e quindi si applica la maggioranza prevista
dal secondo comma dell'articolo 1136 del Codice civile
(maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500
millesimi) (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.08.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
carattere compatto o friabile della struttura (copertura) in
amianto non rileva ai fini di stabilire se la stessa debba o
meno essere bonificata, ma solo al fine di stabilire entro
quale termine e con quali modalità debba esserlo.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 55, prot. n. 7265,
emessa dal Comune di Tortona, Settore Territorio e Ambiente
- Servizio Ambiente, in data 25.03.2013 e notificata alla
ricorrente in pari data, con cui è stato ordinato alla
ricorrente di provvedere alla bonifica del manufatto sito in
Tortona (AL), Strada Statale per Voghera n. 42, tramite
rimozione della relativa copertura di eternit.
...
Con un secondo profilo di
censura, la ricorrente ha sostenuto che le valutazioni
svolte dall’ARPA sarebbero contraddittorie, dal momento che
la copertura del fabbricato di proprietà della ricorrente è
stata giudicata “friabile” benché la stessa Agenzia
abbia riconosciuto che il materiale “si spezza a fatica
con le pinze”, il che significa che esso non è friabile
ma “compatto”, con la conseguenza che esso non
necessita di alcuna bonifica in base alla normativa di
settore.
Anche tale censura non può essere condivisa.
Le valutazioni svolte nel caso di specie dall’ARPA non
appaiono affatto contraddittorie, ma perfettamente coerenti
con la normativa tecnica applicata.
Risulta dagli atti di causa (ci si riferisce, in
particolare, alla relazione di servizio ARPA prodotta in
giudizio dalla difesa comunale sub doc. 9) che le condizioni
di degrado della copertura sono state valutate dall’Agenzia
con riferimento a tutti i parametri previsti dal protocollo
tecnico operativo “U.RP.T104”: età, spessore,
consistenza (friabile/compatto), trattamenti superficiali,
muschi e licheni, sfaldamenti e/o crepe superficiali,
residui (stalattiti) a bordo lastra, residui di canali di
gronda, affioramenti superficiali di fibre.
A ciascuno di tali parametri, in relazione allo stato del
manufatto, è stato attribuito un punteggio nell’ambito del
range individuato dal protocollo.
La somma di tali punteggi (42) ha consentito di determinare
l’”indice di degrado” della struttura (0,52)
attraverso l’applicazione di un determinato algoritmo
previsto dal protocollo.
Quindi, dall’indice di degrado così determinato, l’Agenzia è
pervenuta a determinare, attraverso un altro algoritmo, “l’indice
di valutazione complessiva” (0,78).
Quest’ultimo è ricompreso dal protocollo tecnico nella
fascia “0,60-0.89” che individua uno stato di
conservazione della struttura qualificato “scadente”,
in relazione quale si prevedono i seguenti “provvedimenti
da adottare”: “Necessaria la bonifica dei manufatti
da programmare nell’arco di uno/due anni. Predisposizione
del programma di manutenzione e custodia ex D.M. 06/09/1994
ove applicabile”: esattamente quello il Comune ha
imposto di fare alla ricorrente, sia con il provvedimento
qui impugnato, sia con la precedente diffida del 17.02.2012.
Tali provvedimenti sono dunque coerenti rispetto agli
accertamenti e agli adempimenti successivi previsti dalla
normativa tecnica applicata.
E vero, quindi, che la struttura è stata giudicata
sostanzialmente “compatta” perché “si spezza a
fatica con le pinze”, ma tale circostanza è stata
valutata correttamente dall’ARPA con l’attribuzione del
punteggio più basso (2 punti) previsto dal protocollo
tecnico proprio con riferimento a tale ipotesi, laddove se
il materiale fosse stato giudicato mediamente friabile (“si
spezza facilmente con le pinze”) sarebbe stato valutato con
5 punti, ovvero con 10 punti laddove fosse stato giudicato
friabile (“si può spezzare senza l’uso degli attrezzi”).
In altre parole, il carattere compatto o friabile della
struttura in amianto non rileva ai fini di stabilire se la
stessa debba o meno essere bonificata, ma solo al fine di
stabilire entro quale termine e con quali modalità debba
esserlo
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 18.04.2014 n. 688 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: Attività di bonifica amianto: invio di notifiche
e piani tramite applicativo Ge.M.A. (ANCE Bergamo,
circolare 21.03.2014 n. 69). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Le ordinanze sindacali contingibili e
d'urgenza in materia di igiene e sanità pubblica, ex art. 54
d.lgs. 267/2000, sono atti pacificamente rientranti nella
competenza del sindaco e sottratti, in ragione del loro
carattere cautelare e urgente, all’obbligo della previa
comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n.
241 del 1990.
---------------
E' legittima l'adottata ordinanza sindacale (per la
rimozione di una copertura in eternit) poiché sussistono in
concreto i presupposti della contingibilità e urgenza, posto
che l'accertato (da parte dell'Azienda Sanitaria) rischio di
dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente,
eziologicamente riconducibile allo stato di conservazione,
alla friabilità e all'estensione dei pannelli, per di più
collocati in area aperta al pubblico, assumeva i requisiti
di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza (intesa
come impellente necessità di provvedere al fine di non
pregiudicare l'interesse pubblico, che può essere
definitivamente danneggiato con il trascorrere del tempo)
richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per la
legittima adozione del provvedimento contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da
considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente
qualificata (come pure evincibile dalla valutazione
specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto
impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere
dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche
dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di
cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata
alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla
giurisprudenza, per cui le norme in materia di
partecipazione procedimentale vanno interpretate non in
senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e
oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al
rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non
può annullare il provvedimento per vizi formali che non
abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi,
allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato.
---------------
Appare condivisibile, in termini più generali, l’indirizzo
operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia
con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale
chiaramente orientato all'obiettivo primario della
progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il
quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in
eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di
accurate valutazioni tecnico-scientifiche, unicamente
laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti
atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona
manutenzione del manufatto.
Sul piano formale il provvedimento si sottrae a tutti i
rilievi contenuti in ricorso inerenti la legittimità
dell’iter procedimentale che ha condotto all’adozione
dell’ordinanza contingibile.
Innanzitutto, vanno respinte le tre censure (a, d, e)
riferite alla qualificazione giuridica dell’atto impugnato,
alle garanzie partecipative che ad esso si correlano e alla
competenza ad adottarlo da parte del sindaco.
Le deduzioni svolte sul punto dai ricorrenti, infatti, si
pongono in termini dissonanti rispetto al pacifico
orientamento giurisprudenziale che ascrive tale tipologia di
provvedimenti alla categoria delle ordinanze sindacali
contingibili e d'urgenza in materia di igiene e sanità
pubblica, ex art. 54 d.lgs. 267/2000. Si tratta di atti
pacificamente rientranti nella competenza del sindaco e
sottratti, in ragione del loro carattere cautelare e
urgente, all’obbligo della previa comunicazione di avvio del
procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990 (Cons. St, sez.
II, 28.04.2004, n. 3444; TAR Pescara sez. I, 13.04.2010, n.
433; TAR Basilicata sez. I, 21.06.2012, n. 296; Cons. St.,
sez. V, 19.09.2012, n. 4968; TAR Bari sez. I, 01.08.2013, n.
1217).
Con specifico riguardo al caso in esame, la sussistenza in
concreto del presupposto del danno grave e imminente per
l’incolumità pubblica risulta esplicitata nel provvedimento,
sia attraverso un diretto riferimento allo scadente stato di
conservazione delle lastre, e quindi al livello medio di
esposizione alla fibre di amianto; sia per relationem
agli accertamenti tecnici condotti dall’ARPA.
Essa non è contraddetta, peraltro, dal fatto che siano stati
concessi 12 mesi per l’esecuzione dell’intervento di
rimozione. Nel calibrare i tempi di esecuzione,
l’amministrazione ha infatti dovuto contemperare l’urgenza
dell’opera di messa in sicurezza con la necessità di
concedere un termine congruo e tecnicamente proporzionato ai
tempi dell’autorizzazione e della realizzazione
dell’intervento, tenuto anche conto dell’entità della
superficie da bonificare (4500 mq) e dei necessari
protocolli procedurali imposti dalla normativa vigente in
materia.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, inoltre,
sussistevano in concreto i presupposti della contingibilità
e urgenza, posto che l'accertato (da parte dell'Azienda
Sanitaria) rischio di dispersione delle fibre di amianto
nell'ambiente, eziologicamente riconducibile allo stato di
conservazione, alla friabilità e all'estensione dei
pannelli, per di più collocati in area aperta al pubblico,
assumeva i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità
nonché di urgenza (intesa come impellente necessità di
provvedere al fine di non pregiudicare l'interesse pubblico,
che può essere definitivamente danneggiato con il
trascorrere del tempo) richiesti dalla legge e dalla
giurisprudenza per la legittima adozione del provvedimento
contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da
considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente
qualificata (come pure evincibile dalla valutazione
specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto
impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere
dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche
dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di
cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
A questo riguardo trova adeguati margini applicativi al caso
di specie anche la disposizione di cui all'art. 21-octies
della legge 241/1990, se solo si considera, per un verso,
che le parti resistenti hanno fornito adeguata dimostrazione
che il tenore dell’atto impugnato non sarebbe mutato in caso
di regolare comunicazione dell'inizio del procedimento,
stante l’inconferenza dei rilievi critici sollevati sul
punto dei ricorrenti.
Per altro verso, l’affermazione secondo cui il
contraddittorio con la parte privata avrebbe consentito di
selezionare meglio la soluzione operativa da adottare, è
contraddetta dal fatto che neppure in sede processuale i
ricorrenti hanno allegato concreti elementi -inerenti il
grado di efficacia e di onerosità dei diversi interventi
contemplati dalla letteratura scientifica- dai quali possa
desumersi l’effettiva maggiore vantaggiosità delle misure di
bonifica tralasciate rispetto a quelle prescelte
dall’amministrazione.
Pertanto, anche sotto il profilo della scelta (certamente
connotata da margini di discrezionalità) dei rimedi da
adottare al fine di scongiurare il temuto danno alla salute,
la parte ricorrente non ha provato di aver risentito un
concreto pregiudizio dall’omesso esercizio delle facoltà
partecipative.
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata
alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla
giurisprudenza, per cui le norme in materia di
partecipazione procedimentale vanno interpretate non in
senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e
oggettivo vulnus che la parte possa subire in
relazione al rapporto controverso; dal che consegue che il
giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali
che non abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e,
quindi, allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato (Cons. Stato Sez. IV,
29.01.2014, n. 449; 31.01.2012, n. 480).
---------------
I ricorrenti assumono, ancora,
la presunta violazione del principio di proporzionalità
nella scelta dell'amministrazione di imporre l'intervento di
bonifica "più oneroso" -la rimozione della copertura-
"esistendo tecnicamente altre modalità di intervento
egualmente idonee, in astratto, a tutelare l'interesse
pubblico".
Tuttavia -al di là del fatto che, come già esposto, non è
stato allegato alcun elemento di stima dei costi di
interventi alternativi, in comparazione con quello qui
contestato, dal quale possa desumersi l’effettiva maggiore
gravosità della bonifica imposta- appare condivisibile, in
termini più generali, l’indirizzo operativo fatto proprio
dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro
legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato
all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del
materiale amianto, secondo il quale la conservazione di
alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi
tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni
tecnico-scientifiche, unicamente laddove sussista una
contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni
aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del
manufatto.
Ebbene, nessuna di dette circostanze è stata riscontrata nel
caso di specie, tenuto conto dell’accentuata condizione di
danneggiamento della copertura e della sua considerevole
superficie, fattori ai quali corrisponde -in misura
proporzionale– un altrettanto elevato rischio di esposizione
agli agenti atmosferici e di conseguente dispersione del
materiale pernicioso per la salute.
In conclusione, tutte le considerazioni sin qui esposte
denotano l’assenza di profili di irragionevolezza o
illogicità nelle valutazioni espresse dagli organi
consultivi compulsati ai fini dell'accertamento della
sussistenza del pericolo per la salute pubblica e della
conseguente individuazione degli opportuni rimedi.
Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 20.03.2014 n. 480 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 11 del 14.03.2014, "Trasmissione
informatizzata della notifica e del piano per i lavori di
bonifica dei manufatti contenenti amianto (artt. 250 e 256
d.lgs. 81/2008) e delle relazioni annuali (art. 9 l.
257/1992)" (decreto
D.G. 04.03.2014 n. 1785). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: AMIANTO: relazione annuale entro il 31.03.2014
(ANCE Bergamo,
circolare 28.02.2014 n. 58). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
E' illegittimo, per vizio di difetto di istruttoria,
l'ordine di rimozione della copertura in eternit della
chiesa.
La presenza
(incontestata) di materiale contenente amianto sul tetto
della chiesa costituisce fonte di pericolo per la privata e
pubblica incolumità, così da giustificare l’emissione
dell’ordinanza contingibile ed urgente: tuttavia, la stessa
non sfugge però alla necessità di un’adeguata istruttoria,
dalla quale risultino quali specifiche prescrizioni debbano
essere osservate, al fine di rimuovere la situazione
pregiudizievole.
Nel caso di specie, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative
e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3,
e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257,
relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”) mostra
la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del
materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di
bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione;
incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la
scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che
<<un intervento di rimozione spesso non costituisce la
migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se
viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione
di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il
rischio di malattie da amianto>>.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di
istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di
rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta
modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per
quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo,
allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una
cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute
pubblica.
... per l’annullamento dell’ordinanza contingibile e urgente
n. 230 prot. n. 0020039 del 31/07/2007, notificata il
06/08/2007; di qualsiasi altro atto presupposto, comunque
connesso e/o consequenziale, ivi compreso il rapporto e/o la
relazione dell’Ufficio di Polizia Municipale del Comune di
Grottaglie, redatta a seguito del sopralluogo effettuato in
data 06/05/2007.
...
Con l’impugnata ordinanza contingibile ed urgente, sulla
scorta del sopralluogo effettuato dal Comando di Polizia
Municipale presso la Chiesa Matrice in Piazza Regina
Margherita, è stato ingiunto di “provvedere ad horas a
mettere in sicurezza l’immobile rimuovendo la copertura in
eternit e trasporto della stessa presso una discarica
autorizzata”.
...
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
Posto che la presenza (incontestata) di materiale contenente
amianto sul tetto della Chiesa Madre di Grottaglie
costituisce fonte di pericolo per la privata e pubblica
incolumità, così da giustificare l’emissione dell’ordinanza
contingibile ed urgente, la stessa non sfugge però alla
necessità di un’adeguata istruttoria, dalla quale risultino
quali specifiche prescrizioni debbano essere osservate, al
fine di rimuovere la situazione pregiudizievole.
Nel caso di specie, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative
e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3,
e dell'art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257,
relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”)
mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva
consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la
scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art.
6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la
scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che
<<un intervento di rimozione spesso non costituisce la
migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se
viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione
di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il
rischio di malattie da amianto>>.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di
istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di
rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta
modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per
quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo,
allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una
cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute
pubblica.
Il provvedimento è pertanto illegittimo, per il denunciato
vizio di difetto di istruttoria, e va conseguentemente
annullato (TAR Puglia-Lecce, I,
sentenza 06.02.2014 n. 337 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - SICUREZZA LAVORO: Bonifica
dell’amianto in comune: soggetti obbligati e idoneità
dell’appaltatore.
La fattispecie appare di notevole rilievo: un dirigente
comunale venne condannato per la violazione dell’art. 26,
comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, «perché, in relazione alla
gestione di un’isola ecologica, non provvedeva,
nell’affidamento di lavori di bonifica e smaltimento di
materiali contenenti amianto, a verificare i requisiti
tecnico-professionali delle ditte affidatarie.»
A sua discolpa, l’imputato sostiene che egli «era
dirigente dell’ufficio tecnico comunale e tale ufficio era
estraneo rispetto alla gestione della raccolta e smaltimento
dei rifiuti, della bonifica delle aree e delle
determinazione di spesa e liquidazione dei compensi alle
ditte affidatarie, che erano state invece curate
dall’ufficio patrimonio del comune, del quale era dirigente
un soggetto diverso dall’imputato e nel quale vi era un
funzionario non dotato di qualifica dirigenziale,
responsabile del servizio ecologia.»
Nel respingere il ricorso proposto dall’imputato, la Sez.
III prende atto che «le ditte affidatarie dei lavori di
raccolta, trasporto smaltimento dei materiali contenenti
amianto erano prive dell’autorizzazione ad effettuare i
lavori di bonifica per detti materiali, in quanto non
iscritte alla categoria 10 dell’albo nazionale smaltitori.»
Precisa che, «nell’ambito dell’affidamento di appalti
pubblici, la qualifica di datore di lavoro ai fini della
sicurezza sul lavoro può ben essere attribuita ad un
dirigente o funzionario dell’amministrazione competente
diverso da quello che ha provveduto all’affidamento
dell’incarico e che si occupa del pagamento dei relativi
corrispettivi.»
Osserva che «questo è quanto è avvenuto nel caso di
specie, in cui pacificamente l’incarico era stato conferito
e i pagamenti dei compensi erano stati effettuati da un
dirigente e da un funzionario appartenenti ad un ufficio
diverso da quello diretto dall’imputato», e che «nondimeno,
con deliberazione della giunta municipale, l’imputato, nella
sua veste di responsabile dell’ufficio tecnico comunale, è
stato individuato come datore di lavoro ai sensi e per gli
effetti delle disposizioni di cui al decreto legislativo n.
626 del 1994, poi sostituito dal decreto legislativo n. 81
del 2008.»
Aggiunge che «ciò che conta, poi, ai fini
dell’applicazione dell’art. 26, comma 1, dello stesso
decreto legislativo è che il datore di lavoro, in caso di
affidamento di lavori, servizi e di forniture all’impresa
appaltatrice, è tenuto a verificare l’idoneità tecnico
professionale dell’impresa appaltatrice stessa, attraverso
l’acquisizione della necessaria documentazione, sempre che
l’amministrazione abbia la disponibilità giuridica di luoghi
in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro
autonomo.» (sugli obblighi previsti dall’art. 26 D.Lgs.
n. 81/2008 v., anche sotto il profilo attinente alla
verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese
appaltatrici e dei lavoratori autonomi, Guariniello, Il T.U.
Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza.
Integrato con i commenti al Codice penale (artt. 434, 437,
449, 575, 582, 589, 590), V edizione, Milano, 2013, in
ispecie 315 ss.) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.01.2014 n. 2862 - tratto da Igiene &
Sicurezza del Lavoro n. 4/2014). |
anno 2013 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
A. Scarcella,
Dalla UE prospettive di eliminazione totale dell’amianto
(Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 5/2013 - tratto da
www.ispoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Amianto
nelle abitazioni: dove si nasconde, quali sono i rischi e
come eliminarlo. Dal SUVA tour interattivo, opuscolo e video
esplicativo.
Anche se bandito da anni, l'amianto continua a rappresentare
un pericolo per la salute dei lavoratori.
Infatti, durante lavori di ristrutturazione, manutenzione o
risanamento di edifici costruiti prima del 1992 (anno di
entrata in vigore della Legge 27.03.1992, n. 257) capita
spesso di entrare in contatto con prodotti e materiali
realizzati in parte o del tutto con fibre di amianto.
In particolare, la presenza di amianto negli edifici può
essere classificata secondo i seguenti criteri: ... (02.05.2013
- link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti.
Discarica materiali di matrice cementizia contenenti
amianto.
L’art. 1,
comma 184, lettera c), della legge n. 296 del 2006, come
modificato dall’art. 1, comma 166, della legge n. 244 del
2007, il quale prevede che la proroga delle autorizzazioni
fino al 31.12.2008 non si applichi alle discariche di II
categoria, tipo A, in cui si conferiscono materiali di
matrice cementizia contenenti amianto, deve essere
interpretato nel senso che l'esclusione della proroga
dipende dal contenuto dell’autorizzazione e, cioè, dalla
tipologia di discarica e non dai materiali concretamente
conferiti nella stessa. La circostanza se una discarica
autorizzata a ricevere materiali di matrice cementizia
contenenti amianto abbia effettivamente ricevuto tali
materiali risulta, dunque, irrilevante.
Diversamente opinando, del resto, la proroga
dell’autorizzazione verrebbe fatta dipendere da un fattore
estraneo al contenuto dell’autorizzazione stessa e di
difficile accertamento, in quanto dipendente esclusivamente
dal comportamento in concreto tenuto dal gestore della
discarica (massima tratta da www.lexambiente.it - Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.04.2013 n. 15782). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli aspetti riguardanti la sostenibilità
statica dell’intervento e le cautele da adottare all’atto di
manomissioni di manufatti in amianto, non costituiscono
profili valutabili in sede di rilascio del titolo edilizio,
il quale presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità
dell’intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici,
dei regolamenti edilizi e, più in generale, della disciplina
urbanistico–edilizia vigente.
Invero:
- le disposizioni contenute nel d.m. 14.01.2008, non
impongono l’allegazione di uno studio di fattibilità, che
certifichi la sostenibilità statica dell’intervento,
all’istanza di rilascio del permesso di costruire.
I controlli di idoneità statica vanno invero compiuti in una
fase successiva a quella di rilascio del permesso di
costruire e, precisamente, in fase di rilascio del
certificato di agibilità che, ai sensi dell’art. 25, comma
primo, del d.P.R. n. 380/2001, deve attestare, fra l’altro,
la sussistenza delle condizioni di sicurezza dell’edificio,
valutate secondo quanto disposto dalla vigente normativa.
Per ciò che concerne poi in particolare le opere composte da
strutture in cemento armato, come quelle di cui è causa, è
previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello stesso
d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di agibilità venga
rilasciato solo previo esperimento di collaudo statico,
effettuato ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 380/2001; e
che, comunque (cfr. art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima
dell’inizio lavori, venga depositata presso lo sportello
unico comunale una denuncia cui va allegata una relazione,
firmata dal progettista incaricato, nella quale vengano
riportati i calcoli che attestino l’idoneità statica
dell’intervento;
- nessuna disposizione impone di allegare all’istanza di
rilascio del titolo edilizio un piano di smaltimento dei
materiali in fibrocemento; fermo restando ovviamente il
potere delle competenti autorità di verificare il rispetto,
in fase esecutiva, delle vigenti disposizioni in materia.
46. Con il quarto motivo, che sarà esaminato
congiuntamente al quinto, viene dedotta la violazione
dell’art. 8 del d.m. 14.01.2008, in quanto il progetto
assentito non sarebbe corredato da adeguato studio di
fattibilità che certifichi la sostenibilità statica
dell’intervento.
47. Con il quinto motivo viene dedotto eccesso di
potere per violazione del Piano Regionale Amianto Lombardia
(PRAL), approvato con DGR 22.12.2005 n. VIII/1526, in quanto
l’intervento assentito comporterebbe la manomissione di
canne fumarie realizzate in fibrocemento (eternit), senza
che siano state previste le misure di bonifica necessarie
per scongiurare pericoli per la salute umana.
48. In proposito va osservato che, come messo in luce in
sede cautelare, gli aspetti riguardanti la sostenibilità
statica dell’intervento e le cautele da adottare all’atto di
manomissioni di manufatti in amianto, non costituiscono
profili valutabili in sede di rilascio del titolo edilizio,
il quale presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità
dell’intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici,
dei regolamenti edilizi e, più in generale, della disciplina
urbanistico–edilizia vigente (cfr. TAR Sardegna, 30.12.1999
n. 1685)
49. In particolare, contrariamente a quanto sostenuto dai
ricorrenti, le disposizioni contenute nel d.m. 14.01.2008,
non impongono l’allegazione di uno studio di fattibilità,
che certifichi la sostenibilità statica dell’intervento,
all’istanza di rilascio del permesso di costruire.
50. I controlli di idoneità statica vanno invero compiuti in
una fase successiva a quella di rilascio del permesso di
costruire e, precisamente, in fase di rilascio del
certificato di agibilità che, ai sensi dell’art. 25, comma
primo, del d.P.R. n. 380/2001, deve attestare, fra l’altro,
la sussistenza delle condizioni di sicurezza dell’edificio,
valutate secondo quanto disposto dalla vigente normativa.
Per ciò che concerne poi in particolare le opere composte da
strutture in cemento armato, come quelle di cui è causa, è
previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello stesso
d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di agibilità venga
rilasciato solo previo esperimento di collaudo statico,
effettuato ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 380/2001; e
che, comunque (cfr. art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima
dell’inizio lavori, venga depositata presso lo sportello
unico comunale una denuncia cui va allegata una relazione,
firmata dal progettista incaricato, nella quale vengano
riportati i calcoli che attestino l’idoneità statica
dell’intervento (Nel caso concreto queste prescrizioni sono
state peraltro rispettate, avendo la controinteressata
depositato presso gli uffici comunali, in data 4 ottobre
2010, e quindi prima dell’inizio lavori, la suddetta
denuncia, nella quale viene attestata, dal progettista
incaricato, l’idoneità statica del realizzando intervento,
anche con riferimento ai riflessi sulla struttura
sottostante).
51. Allo stesso modo, nessuna disposizione impone di
allegare all’istanza di rilascio del titolo edilizio un
piano di smaltimento dei materiali in fibrocemento; fermo
restando ovviamente il potere delle competenti autorità di
verificare il rispetto, in fase esecutiva, delle vigenti
disposizioni in materia.
52. Anche il quarto ed il quinto motivo sono quindi
infondati
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.04.2013 n. 847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Lombardia,
1 mln per bonificare edifici dall'amianto. Beneficiari i
comuni.
Parte il sostegno per la bonifica
ambientale negli edifici pubblici. È aperto lo sportello per
l'erogazione di contributi a fondo perduto ai comuni
lombardi per la bonifica del proprio patrimonio abitativo da
manufatti contenenti amianto.
Il fondo di 1 milione di euro è gestito da Finlombarda spa.
Possono presentare proposta di accesso al finanziamento a
fondo perduto esclusivamente i comuni lombardi per
interventi di rimozione dei materiali contenenti amianto
presenti negli edifici destinati a edilizia residenziale
pubblica. I contributi verranno concessi secondo la modalità
«a sportello», vale a dire fino a esaurimento dello
stanziamento assegnato.
Sono da considerarsi ammissibili i costi per spese tecniche
di progettazione al massimo 8% del totale costi ammissibili,
spese per l'allestimento del cantiere, ponteggi e sicurezza,
limitatamente al periodo necessario per le operazioni di
rimozione dei manufatti contenenti amianto, spese per
rimozione, trasporto, conferimento e smaltimento dei
materiali contenenti amianto presso gli impianti
autorizzati. È ammessa la cumulabilità con eventuali altri
contributi di provenienza regionale, nazionale ed europea
previsti per la realizzazione degli interventi di
riqualificazione energetica e produzione di energia da fonte
solare.
Il finanziamento a fondo perduto è concesso a copertura dei
costi ammissibili dell'intervento nella misura massima del
100%, fino ad un massimo di 150 mila euro Iva inclusa. I
comuni possono presentare anche più di una domanda, fino a
una richiesta massima di 300 mila euro (articolo
ItaliaOggi del 22.02.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Aggiornamento su censimento presenza amianto edifici
territorio lombardo (ASL di Bergamo, 20.02.2013). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2013, "Approvazione
dell’invito a presentare proposte per l’accesso ai
finanziamenti a fondo perduto del fondo costituito presso
Finlombarda s.p.a. e riservato ad interventi di rimozione di
manufatti contenenti amianto dal patrimonio di edilizia
residenziale pubblica dei comuni lombardi" (decreto
D.U.O. 05.02.2013 n. 782). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 dell'01.02.2013 "Definizione
dei criteri per l’applicazione delle sanzioni di cui
all’art. 8-bis, comma 1, della legge regionale 29.09.2003 n.
17" (deliberazione
G.R. 30.01.2013 n. 4777).
----------------
Riguarda l’obbligo (non rispettato) per il proprietario
di comunicare (entro il 31.01.2013) all’ASL territorialmente
competente la presenza di manufatto in amianto. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: Censimento amianto entro il 30.01.2013 (ANCE
Bergamo,
circolare 18.01.2013 n. 19). |
anno 2012 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Le ordinanze contingibili e urgenti non
debbono per forza avere sempre il carattere della
provvisorietà, dato che il loro connotato essenziale è la
necessaria idoneità delle relative misure ad eliminare la
situazione di pericolo che costituisce il presupposto della
loro adozione, e quindi le misure stesse possono essere
provvisorie o definitive a seconda del tipo di rischio che
intendono fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo
alle specifiche circostanze di fatto del caso concreto e
allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento
sindacale.
La motivazione del ricorso allo strumento straordinario ben
può evincersi dalla pluralità di elementi acquisiti al
procedimento, se oggettivamente capaci di rivelare in sé le
ragioni di urgenza che legittimano l'intervento eccezionale
dell'Autorità sindacale.
Peraltro, la scelta dell'amministrazione di provvedere a
porre rimedio a tale situazione con l'emanazione di
un’ordinanza contingibile ed urgente a tutela dell'igiene e
della sanità pubblica, nonché della sicurezza dei cittadini,
in quanto concerne il merito dell'azione amministrativa
sfugge al sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, non risultando manifestamente inficiata da
illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, oltre che da
travisamento dei fatti.
Infine l'attualità della minaccia per l’incolumità pubblica
e l'igiene esclude rilevanza al fatto che la situazione di
pericolo fosse nota da tempo. Del resto la giurisprudenza ha
precisato più volte che presupposto per l'adozione
dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità
del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e
imminente, a nulla rilevando neppure che la situazione di
pericolo fosse, come parrebbe nel caso di specie, nota da
tempo.
... per l'annullamento quanto al ricorso principale:
- delle Ordinanze sindacali contingibili ed urgenti -in
materia di incolumità pubblica- n. 92 del 14/07/2011, nn. 78
e 88 del 06/07/2011, recanti ordine di lasciare libero da
persone e cose i prefabbricati in Via Di Vittorio, ai fini
della rimozione delle lastre di cemento-amianto poste a
coperture dei prefabbricati stessi, nonché della nota
sindacale prot. n. 9846/11 del 06/06/2011;
...In ordine alla possibilità da parte del Comune di
ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e
urgente per eliminare definitivamente la situazione di
pericolo accertata, il Collegio rileva che nella fattispecie
in esame gli effetti pregiudizievoli per la salute pubblica
derivanti dal pericolo di dispersione di fibre di amianto
palesano una situazione di concreta ed immediata minaccia
per la sanità e l'incolumità pubbliche, indice della
necessità di interventi solleciti e non più dilazionabili.
A tal riguardo il Collegio condivide l'orientamento secondo
cui le ordinanze contingibili e urgenti non debbono per
forza avere sempre il carattere della provvisorietà, dato
che il loro connotato essenziale è la necessaria idoneità
delle relative misure ad eliminare la situazione di pericolo
che costituisce il presupposto della loro adozione, e quindi
le misure stesse possono essere provvisorie o definitive a
seconda del tipo di rischio che intendono fronteggiare, nel
senso che occorre avere riguardo alle specifiche circostanze
di fatto del caso concreto e allo scopo pratico perseguito
attraverso il provvedimento sindacale (cfr. TAR Veneto, III,
07.07.2010 n. 2887).
La motivazione del ricorso allo strumento straordinario ben
può evincersi dalla pluralità di elementi acquisiti al
procedimento, se oggettivamente capaci di rivelare in sé le
ragioni di urgenza che legittimano l'intervento eccezionale
dell'Autorità sindacale.
Peraltro, la scelta dell'amministrazione di provvedere a
porre rimedio a tale situazione con l'emanazione di
un’ordinanza contingibile ed urgente a tutela dell'igiene e
della sanità pubblica, nonché della sicurezza dei cittadini,
in quanto concerne il merito dell'azione amministrativa
sfugge al sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, non risultando manifestamente inficiata da
illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, oltre che da
travisamento dei fatti (cfr. Consiglio Stato,V, 28.09.2009,
n. 5807).
Infine l'attualità della minaccia per l’incolumità pubblica
e l'igiene esclude rilevanza al fatto che la situazione di
pericolo fosse nota da tempo. Del resto la giurisprudenza ha
precisato più volte che presupposto per l'adozione
dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità
del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e
imminente, a nulla rilevando neppure che la situazione di
pericolo fosse, come parrebbe nel caso di specie, nota da
tempo (cfr. Consiglio di Stato, V, 28.03.2008, n. 1322) (TAR
Basilicata,
sentenza 05.12.2012 n. 543 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La presenza di materiali contenenti
amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo
per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone
condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile
che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di
amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per
interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un
rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale.
Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è
altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti
di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il
distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale.
Infine, per quanto concerne la rimozione delle canne fumarie
in eternit il Comune non indica i motivi per cui deve essere
operata detta rimozione, atteso che le canne fumarie, per
come affermato dai ricorrenti, non si troverebbero in stato
di degrado.
Ciò che infatti non emerge dall’ordinanza è la motivazione
su cui poggia la decisione dell’amministrazione di ordinare
la demolizione delle contestate canne fumarie, non
risultando alcuna verifica o valutazione effettuata al fine
di evidenziare la pericolosità delle stesse per la salute
pubblica. Secondo il D.M. del 06.09.1994 in tema di
valutazione del rischio “La presenza di materiali
contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un
pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in
buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente
improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio
di fibre di amianto. Se invece il materiale viene
danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo,
si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio
potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive
condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni
dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le
correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate
debolmente al resto del materiale”.
Dall’ordinanza impugnata non emerge l’espletamento di alcuna
attività di valutazione dell’effettivo rischio che le canne
fumarie rappresentano per i cittadini.
In conclusione, l’atto impugnato risulta affetto anche da
difetto di motivazione per non avere il Comune intimato
evidenziato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
che hanno condotto l’amministrazione ad ordinare il
ripristino dello stato dei luoghi (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1085 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: In
merito all'adozione di una ordinanza contingibile ed
urgente, alla denunciata
insussistenza dell’eccezionalità ed imprevedibilità del
pericolo, per trattarsi di situazione risalente nel tempo,
deve opporsi il consolidato indirizzo che, a fronte
dell’attualità della minaccia per l’incolumità pubblica e
l’igiene, esclude rilevanza al fatto che la situazione di
pericolo fosse nota da tempo.
Tali provvedimenti non devono necessariamente avere il
carattere della provvisorietà e ciò in quanto, la
provvisorietà o definitività è in funzione del tipo di
rischio che si intende fronteggiare, nel senso che occorre
avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto e allo
scopo perseguito attraverso il provvedimento sindacale.
Le ragioni dell’impiego di siffatto mezzo straordinario ben
possono evincersi dalla sua giustificazione quindi dagli
elementi acquisiti ed atti a manifestare i motivi di urgenza
rapportati, nel caso, all’aggravamento delle condizioni
ambientali che “proprio a causa dei crolli delle coperture
collassate … sono notevolmente peggiorate”, dal che la
conseguenza per la quale la “presenza di notevoli
quantitativi di lastre di cemento di amianto spezzate a
cielo aperto, oltre al fatto che la mancanza di elementi di
copertura è causa della diretta esposizione agli agenti
atmosferici di materiali friabili che prima si trovavano
confinati all’interno della struttura”.
... per l’annullamento dell’ordinanza contingibile ed
urgente del Sindaco del Comune di Ferentino n. 48, prot. n.
13242, datata 22.06.2012 avente ad oggetto: “interventi
urgenti di messa in sicurezza di emergenza sito “ex Cemamit”;
...
Considerato che il ricorso non merita accoglimento perché:
[a] alla denunciata insussistenza dell’eccezionalità ed
imprevedibilità del pericolo, per trattarsi di situazione
risalente nel tempo, deve opporsi il consolidato indirizzo
che, a fronte dell’attualità della minaccia per l’incolumità
pubblica e l’igiene, esclude rilevanza al fatto che la
situazione di pericolo fosse nota da tempo (Consiglio di
Stato, V, 28.03.2008 n. 1322; 19.09.2012, n. 4968);
[b] il Collegio condivide l’orientamento per il quale, tali
provvedimenti non devono necessariamente avere il carattere
della provvisorietà e ciò in quanto, la provvisorietà o
definitività è in funzione del tipo di rischio che si
intende fronteggiare, nel senso che occorre avere riguardo
alle specifiche circostanze di fatto e allo scopo perseguito
attraverso il provvedimento sindacale (Tar Veneto, III,
07.07.2010 n. 2887);
[c] le ragioni dell’impiego di siffatto mezzo straordinario
ben possono evincersi dalla sua giustificazione quindi dagli
elementi acquisiti ed atti a manifestare i motivi di urgenza
rapportati, nel caso, all’aggravamento delle condizioni
ambientali che “proprio a causa dei crolli delle
coperture collassate … sono notevolmente peggiorate”,
dal che la conseguenza per la quale la “presenza di
notevoli quantitativi di lastre di cemento di amianto
spezzate a cielo aperto, oltre al fatto che la mancanza di
elementi di copertura è causa della diretta esposizione agli
agenti atmosferici di materiali friabili che prima si
trovavano confinati all’interno della struttura”;
[d] non infine è fondato il dedotto eccesso di potere per
contraddittorietà, perché le presupposte evenienze
giustificano un provvedimento per definizione straordinario
quindi diverso rispetto a quello eventualmente conclusivo
del pendente, ordinario procedimento di cui al D.Lgs.
152/2006 (TAR Lazio-Latina,
sentenza 18.10.2012 n. 781 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Come
devono essere gestiti i rifiuti contenenti amianto derivanti
dai crolli degli edifici in Emilia? (14.09.2012 -
link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Modifiche alla legge regionale sull’amianto
(ANCE Bergamo,
circolare 03.08.2012 n. 208). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 03.08.2012, "Modifiche
e integrazioni alla legge regionale 29.04.2003, n. 17 (Norme
per il risanamento dell’ambiente, bonifica e smaltimento
dell’amianto)" (L.R.
31.07.2012 n. 14). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Sostanze pericolose. Amianto.
In caso di
ritrovamento di amianto, è legittima l’ordinanza del Sindaco
con la quale si dispone la caratterizzazione e la messa in
sicurezza di aree inquinate da amianto, anche se la stessa
non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento.
Infatti l’Amministrazione con tale procedimento intende
porre rimedio ad una situazione di grave pericolo per la
salute, così come consentito dal primo comma dell’art. 7
della legge n. 241 del 1990 ( TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 23.07.2012 n. 1031 - tratto da
www.lexambiente.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: I
materiali derivanti dal crollo degli edifici del sisma in
Emilia se contenenti amianto ricadono nella deroga all’art.
184 del D.Lgs n. 152/2006? (29.06.2012 - link a
www.ambientelegale.it). |
SICUREZZA
LAVORO: Linee
Guida Regionali per la Sorveglianza Sanitaria in Edilizia:
aggiornamento del decreto Direttore Generale Giunta
Regionale 31.10.2002 n. 20647 (decreto
D.G. 19.06.2012 n. 5408).
---------------
Regione Lombardia: ecco le Linee Guida
per la sorveglianza sanitaria in edilizia.
Le malattie professionali in edilizia sono le più numerose
tra quelle riconosciute dall’Inail, nonostante sia notoria
la sottostima di tale fenomeno.
Al riguardo, la Regione Lombardia ha approvato le nuove
“Linee Guida Regionali per la Sorveglianza Sanitaria in
Edilizia”, con il Decreto n. 5408 del 19.06.2012.
Le linee guida, seppur di carattere regionale, offrono utili
indicazioni a tutti gli operatori della prevenzione,
pubblici e privati, ai medici competenti, ai medici delle
ASL, ai datori di lavoro, ai RSPP, ai RLS e lavoratori del
settore edile,
Il documento è così strutturato:
Parte 1
Þ
Visita ed accertamenti sanitari
periodici
Þ
Visite di minori, apprendisti e
studenti della scuola edile
Þ
Accertamenti finalizzati ad
escludere o identificare l’assunzione di sostanze
stupefacenti
Þ
Vaccinazioni
Parte 2
Þ
Esami integrativi per i
lavoratori esposti ad AMIANTO
Þ
Esami integrativi per i
lavoratori esposti a SILICE
Þ
Esami integrativi per i
lavoratori esposti a IPA
Þ
Esami integrativi per i
lavoratori che svolgono attività in quota in sospensione su
funi
Parte 3
Þ
Accertamenti sanitari a
richiesta del lavoratore
Þ
Accertamenti sanitari nel
caso di cambio di mansione del lavoratore
Þ
Accertamenti sanitari nel
caso di ripresa del lavoro dopo assenza per motivi di salute
di durata superiore ai 60 giorni
Þ
Accertamenti sanitari a
fine rapporto di lavoro
Þ
Titolari di impresa,
artigiani e lavoratori autonomi del settore edile che
svolgono attività a rischio come i lavoratori dipendenti
(commento tratto da www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Amianto,
cos'è e come si smaltisce. Ecco una interessante guida su
rischi, interventi di bonifica e smaltimento.
L'amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati
molto comune in natura. La sua estrema resistenza al calore,
all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e
all’usura lo hanno reso un ottimo materiale per tessuti a
prova di fuoco, per la coibentazione di edifici e per
manufatti in cemento-amianto (eternit) quali tubazioni o
lastre.
Tuttavia, l’inalazione delle sue polveri o delle sue fibre è
nociva in quanto provoca malattie al sistema respiratorio di
natura cancerogena.
L'amianto rappresenta un pericolo per la salute; il suo
utilizzo è vietato dalla legge.
La Redazione di BibLus-net, a seguito di alcune richieste da
parte dei propri lettori, propone un interessante opuscolo
sull'amianto negli edifici a cura dell'ARPA Piemonte
(Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale).
La pubblicazione si propone come una guida per tutelarsi da
eventuali rischi legati alla presenza di amianto negli
edifici e fornisce risposte chiare a domande quali:
►
Cos’è l’amianto?
►
Quali sono i rischi di
esposizione alle polveri di amianto?
►
Dove si trova l’amianto negli
edifici e quali sono i materiali che possono contenerlo?
►
Quali sono gli interventi di
bonifica e quando sono necessari?
►
Come smaltire i materiali
contenenti amianto?
►
Quali sono le leggi di
riferimento? (19.01.2012 - link a www.acca.it). |
anno 2011 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Minacce alla salute
pubblica o all’ambiente - Esigenza di autonoma protezione
delle persone che vivono nell’area interessata - Vicinitas -
Misura della legittimazione - Elasticità del criterio.
Premesso che, in materia di minacce alla salute pubblica o
all’ambiente, va riconosciuta in linea di principio
l’esigenza di autonoma protezione delle persone che vivono
nell’area interessata dalla fonte di pericolo, occorre
tuttavia (in una giurisdizione di tipo soggettivo e in
mancanza di un’espressa previsione di azione popolare)
individuare un criterio atto a differenziare e qualificare
la posizione dei singoli che agiscono per la tutela del bene
ambiente.
La giurisprudenza di primo grado e il Consiglio di Stato
hanno da tempo valorizzato, in tal senso, il criterio della
vicinitas (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. VI,
13.09.2010, n. 6554). Tale criterio, peraltro, non coincide
con la proprietà o con la residenza in un’area
immediatamente confinante con quella interessata
dall’intervento contestato, ma deve essere inteso in senso
elastico e va modulato, quindi, in proporzione alla
rilevanza dell’intervento e alla sua capacità di incidere
sulla qualità della vita dei soggetti che risiedono in
un’area più o meno vasta.
Ciò comporta, in concreto, che la “misura” della
legittimazione ad agire dei singoli in materia ambientale
non sia univoca, variando in relazione all’ampiezza
dell’area coinvolta dalla ipotizzata minaccia ambientale.
AMIANTO - Contaminazione da amianto -
Fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva -
Riutilizzo - Misure di risanamento - Art. 6, l.r. Piemonte
n. 42/2000 - Principio comunitario di precauzione.
La grave situazione di contaminazione da amianto di un
fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva
impone, ai sensi dell’art. 6 della legge regione Piemonte
07.04.2000, n. 42 (ma anche in applicazione del principio
comunitario di precauzione, direttamente cogente per tutte
le amministrazioni pubbliche) l’effettuazione di preliminari
indagini e la conseguente adozione di tutte le necessarie
misure di risanamento atte a prevenire i pericoli per
l’ambiente e la salute pubblica legati al riutilizzo di tale
struttura (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.06.2011 n. 635 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
AMIANTO - Ordinanza di bonifica emessa
ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 267/2000- Termine di
sessanta giorni - Incongruità - Ragioni.
Deve ritenersi illegittimo l’ordine di rimozione e
smaltimento, entro sessanta giorni, di tutto l’amianto
presente in uno stabilimento amianto imposto, ex art. 54,
comma secondo, del decreto legislativo 28.08.2000 n. 267.
A prescindere dalla sussistenza del presupposto della
situazione di necessità grave e urgente, non appaiono
infatti congrui i termini assegnati dall'ordinanza per la
realizzazione della bonifica, che non tengono conto dei
delicati passaggi procedurali, necessitati non solo
dall'esigenza di prescegliere in modo ponderato e di
pianificare attentamente le modalità delle operazioni (D.M.
06.09.1994), ma anche da quella di tutelare i lavoratori
impiegati nella pericolosa attività a contatto con fibre di
amianto (legge n. 257/1992; decreto legislativo n. 277/1991)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
AMIANTO - Diniego di sanatoria per la
presenta di ondulati in cemento amianto - Illegittimità -
Ragioni.
La circostanza che un manufatto sia composto da ondulati in
cemento amianto non basta a giustificare il diniego di
sanatoria, giacché l’attuale ordinamento vieta bensì di
utilizzare ulteriormente tale materiale per nuove
costruzioni, ma non ne impone senz’altro lo smaltimento
controllato per le costruzioni civili esistenti (fatti salvi
gli obblighi d’ incapsulamento, sovracopertura e rimozione
in caso di rilascio di fibre d'amianto), che non sono dunque
per ciò stesso incompatibili con il contesto in cui si
trovano (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.04.2011 n. 673 - link a
www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA
LAVORO: AMIANTO
- Prescrizioni vincolanti sullo svolgimento dei lavori di
demolizione o rimozione - Potere dell’ASL - Attribuzione -
d.lgs. n. 106/2009, art. 118, c. 1, lett. c) - Art. 256
d.lgs. n. 81/2008.
Il potere di impartire prescrizioni vincolanti sullo
svolgimento dei lavori di demolizione o rimozione
dell’amianto, è stato attribuito all’ASL solo con l’art.
118, comma 1, lettera c), del d.lgs. 03.08.2009 n. 106, in
vigore dal 20 agosto successivo, che ha aggiunto un
capoverso in tal senso al citato art. 256 d. lgs. 81/2008
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n. 549 - link a
www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA
LAVORO:
Guida pratica per la determinazione delle ESPOSIZIONI
SPORADICHE E DI DEBOLE INTENSITÀ (ESEDI) all’amianto.
In attuazione alle disposizioni dell’art. 249 del D.lgs.
81/2008, la Commissione consultiva permanente per la salute
e sicurezza sul lavoro ha pubblicato, con Lettera Circolare
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del
25.01.2011, degli orientamenti pratici circa la
determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole
intensità (ESEDI) all’amianto.
In particolare, le attività sporadiche e di debole intensità
ricadono in quelle che prevedono:
- massimo di 60 ore di intervento all’anno;
- massimo 4 ore per singolo intervento;
- massimo di 2 interventi al mese;
- livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a
10 F/L (in 8 ore);
- numero massimo di addetti operanti contemporaneamente pari
a 3 (se non possibile occorre limitare gli addetti al numero
più basso possibile).
Inoltre, al fine di verificare se la propria attività
rientri nella categoria delle ESEDI, è possibile consultare
l’Allegato 1 delle Lettera Circolare, in cui sono riportate,
sulla base delle attuali conoscenze, le attività di tipo
ESEDI (03.02.2011 - link a www.acca.it). |
anno 2010 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO - SALUTE - Amianto -
Obbligo cogente e generalizzato di rimozione - Sussistenza -
Esclusione - Parere tecnico in ordine allo stato di
manutenzione - Competenza - ASL - Artt. 3 e 12 L. n.
257/1992.
Dalla lettura degli artt. 3, c. 1 e 12 della legge
27.03.1992, n. 257 non pare potersi evincere un obbligo
cogente e generalizzato di rimuovere il materiale contenente
amianto già utilizzato negli edifici privati prima
dell'entrata in vigore della legge n. 257/1994, salvo che lo
stato di manutenzione del medesimo ne renda evidente
l'opportunità (TAR Campania, Napoli, sez. V, 07.06.2006, n.
6786); la competenza ad emettere il parere tecnico
necessario è assegnata dalla legge agli uffici delle Aziende
sanitarie locali e non all’Agenzia per la protezione
dell’ambiente (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 11.12.2010 n. 6722 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Amianto nelle costruzioni: le indicazioni di SUVA.
Nella precedente edizione (newsletter n. 205) abbiamo
parlato della presenza di amianto nelle costruzioni e dei
rischi ad esso connessi.
Continuiamo ad occuparci di amianto presentando una
pubblicazione realizzata da SUVA (il più grande assicuratore
svizzero per gli infortuni sul lavoro).
Il documento "Amianto: come riconoscerlo e intervenire
correttamente" illustra prodotti e manufatti nei quali
può nascondersi l'amianto, come intervenire correttamente e
quando è il caso di rivolgersi ad uno specialista (07.10.2010
- link a www.acca.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Amianto nelle costruzioni: rischio da esposizione, tipologia
di interventi e normativa applicabile.
In greco la parola amianto significa immacolato e
incorruttibile e asbesto significa perpetuo e
inestinguibile.
L'amianto, chiamato perciò anche asbesto, è un minerale
naturale a struttura microcristallina, di aspetto fibroso
appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie
mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.
La struttura fibrosa attribuisce all'amianto particolari
caratteristiche:
- resiste al fuoco e al calore, all'azione di agenti chimici
e biologici, all'abrasione e all'usura (termica e
meccanica);
- è facilmente filabile e può essere tessuto;
- è dotato inoltre di proprietà fonoassorbenti e
termoisolanti;
- si lega facilmente con materiali da costruzione (calce,
gesso, cemento) e con alcuni polimeri (gomma, PVC).
Tali caratteristiche spiegano il largo utilizzo che è stato
fatto del materiale in campo edile.
L'amianto, tuttavia, è una sostanza cancerogena; la Legge n.
257 del 27/03/1992, per questa ragione, ha vietato
l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti
contenenti amianto. La Legge ha impedito qualsiasi ulteriore
diffusione e aumento di prodotti contenenti amianto sul
territorio nazionale, non prevedendo alcun obbligo di
rimozione dagli edifici di materiali contenenti amianto.
L'amianto rappresenta un pericolo per la salute solo quando
esiste la possibilità che le fibre (costituenti la polvere)
siano inalate.
La presenza di amianto in un edificio, pertanto, non
presenta di per sé un pericolo per la salute degli
occupanti; se il materiale contenente amianto è in buone
condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile
che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di
amianto.
Sul sito della Regione Campania sono disponibili alcuni
documenti che illustrano normativa di riferimento, storia,
tipologie di intervento possibili in presenza di amianto e
protezione dai rischi connessi all'esposizione all'amianto.
Tutti i documenti sono aggiornati alle disposizioni del
D.Lgs. 81/2008 con le modifiche del D.Lgs.106/2009 (30.09.2010
- link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
PRAL - Quesiti circa le attività di censimento
dell'amianto e di gestione degli esposti (Regione
Lombardia,
e-mail 04.05.2010). |
SICUREZZA
LAVORO:
Le Linee guida per la rimozione dell’amianto dall'A.S.L. di
Novara.
Il capo III del Titolo IX “Sostanze pericolose” del
Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) fornisce
precise indicazioni sui rischi connessi all’esposizione
all’amianto e sugli obblighi connessi, in particolare nelle
attività di demolizione o rimozione ... (11.02.2010 -
link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Amianto - Doverosità della
funzione pubblica - Attribuzione dell’interesse ambientale
diffuso in capo a singoli portatori - Esclusione - Vincolo
di prossimità - Diritto soggettivo o interesse legittimo
pretensivo idonei a fondare la legittimazione processuale -
Esclusione.
La doverosità della funzione pubblica di bonifica ambientale
dei siti inquinati (nella specie, per la presenza di
amianto) non si traduce ipso facto nell’attribuzione di una
pretesa tutelata dalla legge direttamente in capo ai singoli
portatori dell’interesse diffuso ambientale, come tale
suscettibile di essere fatta valere in sede procedimentale o
in un successivo giudizio, con domanda o azione individuale,
uti singulus.
La tutela ambientale, anche allorché si traduca e si
concretizzi in azioni dirette di bonifica di specifici siti
contaminati, non determina, in capo ai soggetti che si
trovino legati a quel territorio da un vincolo di
prossimità, il sorgere di un diritto soggettivo o di un
interesse legittimo pretensivo, idonei a fondare una
legittimazione procedimentale propria di tali soggetti,
siccome distinti e qualificati, rispetto all’interesse
(semplice o di fatto) diffuso tra i componenti la
collettività locale in vario modo interessata.
INQUINAMENTO - Bonifica di siti
contaminati da amianto - Azione verso il silenzio
inadempimento della P.A. - Pretesa di buon andamento della
funzione pubblica - Pretesa fondata su posizione qualificata
e differenziata - Interessi generali e diffusi - Singolo
individuo - Azionabilità - Esclusione.
L’azione avverso il silenzio-inadempimento della p.a. non
può valere a tutelare nella forma dell’azione individuale
domande, reclami e pretese che possono essere fatti valere
uti civis, che attengono, cioè, al buon funzionamento
della funzione pubblica e alla cura efficace della qualità
ambientale e della salute umana.
Occorre sempre bene distinguere la pretesa di buon andamento
della funzione e dei servizi pubblici, reclamabile nella
sede civica e politica della partecipazione democratica,
dalla pretesa di provvedimento specifico a sé favorevole
fondata su di una posizione qualificata e differenziata che
legittimi al procedimento, al provvedimento e, quindi, alla
conseguente azione avverso il silenzio illegittimo
dell’amministrazione. Una cosa sono i “propri diritti e
interessi legittimi” contemplati dall’art. 24 della
Costituzione e dall’art. 100 c.p.c., cui è data azione in
giudizio, altra cosa sono gli interessi generali, diffusi,
che appartengono alla collettività e al singolo cittadino,
ma come parte della collettività, non come singolo
individuo.
L’interesse alla bonifica dei siti contaminati dall’amianto
è e resta pertanto un interesse generale, cui corrisponde,
sì, un dovere funzionale delle amministrazioni competenti,
ma non anche una pretesa differenziata e qualificata,
suscettibile di tradursi in un’azione giudiziaria
individuale, dei singoli soggetti prossimi allo specifico
sito da bonificare (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 12.01.2010 n. 70 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2009 |
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LAVORI PUBBLICI:
Amianto (contratti pubblici).
L'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali è
regolata dall’articolo 212 del decreto legislativo
03.04.2006 n. 152. Per la specifica categoria 10, la
disciplina contiene una serie di particolarità quanto alle
garanzie economiche e di professionalità, giustificate dalla
pericolosità di tale tipo di attività.
È infatti imposto (v. deliberazione 30.03.2004 n. 1 del
Comitato nazionale dell’Albo) alle imprese il possesso
(ovvero la “piena ed esclusiva disponibilità”) delle
attrezzature minime, specificamente individuate nella
tipologia e nel loro valore, e la presenza di responsabili
tecnici con precisi requisiti professionali.
A norma del terzo comma dell’articolo 59-quaterdecies (“Formazione
dei lavoratori”) del decreto legislativo 19.09.1994 n.
626, introdotto dall’articolo 2 del decreto legislativo
25.07.2006 n. 257 (“Attuazione della direttiva 2003/18/CE
relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti
dall'esposizione all'amianto durante il lavoro");
inoltre, “Possono essere addetti alla rimozione e
smaltimento dell'amianto e alla bonifica delle aree
interessate i lavoratori che abbiano frequentato i corsi di
formazione professionale di cui all'articolo 10, comma 2,
lettera h), della legge 27.03.1992, n. 257”.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti pubblici,
d’altro canto, bisogna ricordare che mentre la
qualificazione SOA è normalmente oggetto di avvalimento,
come risulta dagli articoli 49 e 50 del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163, altrettanto non può dirsi (nonostante la
giurisprudenza parli senza troppi distinguo del carattere
generale del meccanismo dell’avvalimento) per gli altri "sistemi
legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei
servizi e forniture" per i quali le disposizioni
dell'articolo 50 “si applicano, in quanto compatibili”
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.06.2009 n. 1379 - link a
www.lexambiente.it). |
anno 2008 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 15.12.2008, "Direzione
Generale Sanità: d.d.g. n. 13237 del 18.11.2008
«Approvazione del «Protocollo per la valutazione dello stato
di conservazione delle coperture in cemento amianto» e
contestuale abrogazione dell'algoritmo per la valutazione
delle coperture esterne in cemento amianto di cui alla
d.g.r. n. 7/1439 del 04.10.2000" (avviso
di rettifica n. 51/01-Se.O. 2008). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 09.12.2008, "Approvazione
del «Protocollo per la valutazione dello stato di
conservazione delle coperture in cemento amianto» e
contestuale abrogazione dell'algoritmo per la valutazione
delle coperture esterne in cemento amianto di cui alla
d.g.r. n. 7/1439 del 04.10.2000" (decreto
D.G. 18.11.2008 n. 13237). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuto.
Particelle d’amianto.
Non possono farsi rientrare nella nozione di rifiuto le
particelle di amianto che si sono staccate dalle lastre di
copertura di un capannone per effetto del dilavamento dovuto
alle acque piovane, trattandosi di un fenomeno estraneo alla
volontà del detentore (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.06.2008 n. 22245
- link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI
- Amianto - Natura di rifiuto pericoloso - Deposito
incontrollato.
La presenza di una considerevole quantità di eternit,
materiale contenente amianto, rinvenuta sul suolo
all’interno di capannoni e nelle immediate vicinanze, in
condizioni di corrosione e degrado, integra certamente la
sussistenza di un deposito incontrollato di rifiuti
pericolosi. Non può infatti mettersi in dubbio che i
frantumi di eternit, a causa dell’affioramento delle fibre
di amianto, costituiscano tecnicamente “rifiuti pericolosi”,
come peraltro costantemente affermato dalla Suprema Corte
(ex pluribus, sentenza 26.10-29.11.2006, n. 39360, Lo Bello
(rv 345464) e la recentissima decisione del 27.03.2007, n.
sezionale 00959/2007, Bertuzzi ed altri, non ancora
massimata). D’altro canto, ai fini della configurabilità del
reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul
suolo, è sufficiente che la contaminazione costituisca, in
una valutazione che tenga conto del dato logico e
dell'esperienza comune, una conseguenza inevitabile o
altamente probabile, atteso che la disciplina di cui
all’art. 14 del DLvo 22/1997 costituisce una norma di
chiusura che persegue la finalità di impedire che per
effetto della raccolta e dell'accumulo sul suolo di rifiuti
possa derivare una danno all'ambiente (cfr. Cass. Sez. 3, n.
38689 del 09/07/2004). (Nella specie, i materiali
provenienti crollo dei tetti in cemento amianto giacevano
sul terreno lunghissimo tempo, per cui il deposito, avendo
superato abbondantemente il periodo di un anno, non poteva
qualificarsi come temporaneo ai sensi del D.Lgs. n. 22 del
1997, art. 6, comma 1, lett. m).
RIFIUTI - Amianto - Art. 674 c.p. - Integrazione del
reato - Superamento dei valori di cui al D.M. 06.09.1994 -
Necessità - Esclusione - Ragioni.
In tema di amianto, quando la situazione di pericolosità è
collegata ad un deposito irregolare, il reato previsto
dall’art. 674 c.p. risulta integrato dalla prova che la
dispersione di fibre di amianto vi sia stata, a nulla
rilevando il mancato superamento dei valori di cui al D.M.
06.09.1994 o della normativa successivamente intervenuta.
Tali valori, infatti, operando con riferimento al rispetto,
da parte dell’imprenditore, dei limiti posti a tutela delle
persone che vengono professionalmente a contatto l'amianto e
le fibre di amianto, hanno riguardo esclusivamente allo
svolgimento di attività autorizzate e regolamentante.
Diverso è il discorso per la dispersione delle fibre
nell'ambiente circostante, dispersione che assume carattere
di incontrollata pericolosità e riguarda una platea non
limitata di possibili destinatari.: le cautele previste
dalle norme in questione, relative alla formazione delle
persone che possono venire a contatto con l’amianto, la
predisposizione di strumenti e di abbigliamento atti a
ridurre il pericolo che le fibre possano venire respirate,
la predisposizione di attività di decontaminazione, restano
escluse nelle situazioni in cui difetti qualsivoglia
autorizzazione ed in costanza di un pericolo rivolto alla
generalità dei soggetti che abitano nelle vicinanze.
RIFIUTI - Sequestro dell'area - Intervenuto fallimento
- Rapporti - Incompatibilità - Esclusione.
L’incompatibilità della misura del sequestro con
l’intervenuto fallimento (cfr. Sezioni Unite, sent. n. 29951
del 2004) è correlata al fatto che il conseguente effetto di
"spossessamento", comporta la sottrazione al fallito della
disponibilità del proprio patrimonio e la sua devoluzione al
pubblico ufficio fallimentare, privando il soggetto, in
ipotesi autore del reato, della disponibilità della cosa.
Tuttavia, il giudice - a fronte di una dichiarazione di
fallimento - ben può disporre l'applicazione, il
mantenimento o la revoca del sequestro previsto dal 1° comma
dell'art. 321 c.p.p., senza essere vincolato dagli effetti
di cui all'art. 42 L.F.; lo stesso giudice, nel
discrezionale giudizio sulla pericolosità della res, dovrà
effettuare una valutazione di bilanciamento (e darne conto
con adeguata motivazione) del motivo della cautela e delle
ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei
creditori, anche attraverso la considerazione dello
svolgimento in concreto della procedura concorsuale. E’
ovvio che la misura non potrà essere revocata allorquando
l’intervenuto fallimento (e spossessamento) è inidoneo a
scongiurare comportamenti penalmente illeciti o reiterazioni
di condotte criminose. (Nel caso di specie, il Tribunale del
riesame, nel confermare il provvedimento di sequestro, ha
ritenuto prevalenti le esigenze di tutela della salute dei
cittadini, a rischio per l’esposizione alle polveri
dell’amianto, nel giudizio di bilanciamento con gli
interessi meramente economici della massa dei creditori).
RIFIUTI - Deposito incontrollato - Intervenuto
fallimento - Responsabilità del curatore fallimentare -
Configurabilità.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la
responsabilità penale per il reato di deposito incontrollato
di rifiuti è configurabile sia nei confronti del soggetto
cui compete la gestione diretta dell'area occupata dai
rifiuti, sia nei confronti del soggetto che dispone
dell’area, almeno sotto il profilo della "culpa in
vigilando" (cfr. Cass. Sez. 3, n. 21677 del 26/01/2007) .
Poiché l’articolo 31 della legge fallimentare attribuisce al
curatore “l'amministrazione del patrimonio fallimentare
sotto la direzione del giudice delegato”, ne deriva che il
curatore, quale custode e amministratore dei beni, ha il
dovere di interrompere il continuo accumularsi di rifiuti
pericolosi contenenti amianto, protrattosi anche nel corso
della amministrazione del compendio fallimentare. In altri
termini, la violazione da parte dei privati delle norme in
materia di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti non
può perdere il carattere di illiceità sul presupposto che
neppure le autorità e gli enti aventi competenza sul sito e
sugli immobili hanno saputo riportare nell'ambito della
legalità una situazione gravemente compromessa, cui i
privati hanno dato origine: pur nella consapevolezza delle
difficoltà che si collegano alla sanatoria di una realtà
tanto complessa, quella prospettata dal curatore costituisce
una vera inversione dei principi di responsabilità che non
può essere in alcun modo condivisa (cfr. per un caso
analogo, la recente sentenza della Suprema Corte n. 22826
del 2007, sul caso FIBRONIT) (Tribunale di Cosenza, Sez. II
penale,
ordinanza 30.01.2008
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2007 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUE - Nozione di acque reflue industriali -
Disciplina applicabile - Art. 2, lett. h) del d. lgs. n.
152/1999, come mod. dal d. l.vo n. 258/2000 ora art. 74, c.
1 lett. h) d. Lgs. n. 152/2006.
L'art. 2, lettera h) del d. lgs. n. 152/1999, come
modificato dal decreto legislativo n. 258/2000, (ora
trasfuso nell'art. 74, comma 1 lettera h) del d. Lgs. n.
152/2006) definisce "acque reflue industriali" qualsiasi
tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni
in cui si svolgono attività commerciali o di produzioni di
beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque
meteoriche o di dilavamento. Il refluo deve essere
considerato nell'inscindibile composizione dei suoi
elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta
di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo,
come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici,
immessi in un unico corpo recettore. [Cassazione Sezione III
n. 13376/1998, 10/11/1998 - 18/12/1998, Brivio, RV. 212541].
Ne consegue che rientrano tra le acque reflue industriali
quelle che possiedono qualità, necessariamente legate alla
composizione chimica-fisica, diverse da quelle proprie delle
acque metaboliche e domestiche.
ACQUE - Disciplina degli scarichi - Scarico
discontinuo di reflui e scarico occasionale - Differenza.
In tema di disciplina degli scarichi, mentre lo scarico
discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai requisiti
dell'irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato
ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere
non continuativo, trova la propria disciplina nel decreto
legislativo 11.05.1999 n. 152, e successive modificazioni,
lo scarico occasionale, sia se effettuato in difetto di
autorizzazione che con superamento dei valori limite, è
privo di sanzione a seguito della eliminazione, ad opera
dell'art. 23 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 258, del
riferimento alle immissioni occasionali precedentemente
contenuto negli art. 54 e 59 del citato decreto n. 152"
[Cassazione Sezione III n. 16720/2004, Todesco, RV.228208].
Quindi, quale che sia il suo carattere temporaneo, soltanto
una condotta del tutto estranea alla nozione legislativa di
scarico di acque reflue [le immissioni effettuate fuori dal
ciclo produttivo senza il tramite di una condotta] non è
soggetta alla preventiva autorizzazione perché ogni
immissione diretta tramite un sistema di convogliabilità,
ovvero tramite condotta, è sottoposta alla disciplina di cui
al decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 [cfr.
Cassazione Sezione III n. 14425/2004, Lecchi, RV. 227781 e
n. 16717, Rossi, RV. 228027].
ACQUE - INQUINAMENTO - Nozione di acque reflue
industriali - Fattispecie: versamento di sostanza chimica
allo stato liquido destinata a fissare le fibre d'amianto
che componevano la copertura di un capannone industriale.
Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i
reflui derivanti da attività che non attengono strettamente
al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche,
atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo
rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano
tra le acque reflue industriali quelle provenienti da
attività artigianali e da prestazioni di servizi.
[Cassazione Sezione III, n. 42932/2002, 24/10/2002 -
19/12/2002, Ribattoni, RV. 222966]. Nella specie deve
escludersi il carattere occasionale dello scarico essendo
stato accertato che lo stesso è avvenuto nel corso di
un'attività rientrante nel ciclo di lavorazione dell'impresa
richiedente l'impiego di liquidi inquinanti. In tal contesto
è stata versata una sostanza chimica allo stato liquido
destinata a fissare le fibre d'amianto che componevano la
copertura di un capannone industriale (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 29.05.2007 n. 21119
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2006 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: protocollo operativo per la
gestione delle segnalazioni di presenza
d'amianto in edifici (Regione Lombardia
e ARPA Lombardia,
nota 07.08.2006 n. 37229 di prot.). |
anno 2005 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia serie ordinaria n. 50 del 12.12.2005, pag.
4443, "Determinazioni in ordine alla realizzazione e la
gestione delle discariche per rifiuti costituiti da
materiali da costruzione contenenti amianto" (deliberazione
G.R. 30.11.2005 n. 1266). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 3 del 17.01.2005,
"Approvazione del «Piano Regionale Amianto Lombardia» (PRAL)
di cui alla legge regionale 29.09.2003 n. 17" (deliberazione
G.R. 22.12.2005 n. 1526). |
anno 2004 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 05.10.2004 n. 234 "Regolamento
relativo alla determinazione e disciplina
delle attività di recupero dei prodotti e
beni di amianto e contenenti amianto"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio,
decreto 29.07.2004 n. 248). |
anno 1999 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
22.10.1999 n. 249 "Ampliamento delle normative e delle metodologie
tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere
innocuo l'amianto, previsti dall'art. 5, comma 1, lettera f), della
legge 27.03.1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto" (Ministero della Sanità,
decreto 20.08.1999). |
anno 1995 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 19.04.1995 n. 91 "Circolare esplicativa del decreto ministeriale
06.09.1994"
(Ministero della Sanità,
circolare 12.04.1995 n. 7). |
anno 1994 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
10.12.1994 n. 288, suppl. ord., "Normative
e metodologie tecniche di applicazione
dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma
2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa
alla cessazione dell'impiego dell'amianto"
(Ministero della Sanità,
decreto 06.09.1994). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
20.09.1994 n. 220, suppl. ord., "Normative
e metodologie tecniche di applicazione
dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma
2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa
alla cessazione dell'impiego dell'amianto"
(Ministero della Sanità,
decreto 06.09.1994). |
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