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52-DISTANZA dai CONFINI
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54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
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107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
110-SUAP
111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
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114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
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dossier PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
anno 2024

EDILIZIA PRIVATA: La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 e non una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere considerata pertinenza la realizzazione della piscina, considerato che la stessa comporta una "durevole trasformazione del territorio" la quale, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla nozione di pertinenza urbanistica secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione".
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2. Con il secondo motivo di appello l’appellante deduce erronea motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà.
Evidenzia che la seconda doglianza era stata respinta dall’adito Tribunale in ragione del fatto che le piscine “sono assoggettate a contribuzione dall’art. 7 del D.M. 801/1977 e non sono sempre pertinenziali dal punto di vista urbanistico, ma solo a certe condizioni, di cui occorre dare la prova”, mentre la piscina privata, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, è sempre una pertinenza, ed in quanto tale non è soggetta a titolo abilitativo oneroso.
Il motivo non è fondato.
La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 e non, come sostenuto dall'appellante, una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere considerata pertinenza la realizzazione della piscina, considerato che la stessa comporta una "durevole trasformazione del territorio" la quale, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2019, n. 8192; id., 04.01.2016, n. 19; 24.07.2014, n. 3952; sez. V, 12.02.2013, n. 817; sez. VI, n. 100/2020) sulla nozione di pertinenza urbanistica, che questo Collegio condivide, secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione".
L’art. 7 del D.M. 10.05.1977, n. 801, in materia di determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici prevede che, in seguito alla realizzazione di una piscina coperta o scoperta quando sia a servizio di uno o più edifici comprendenti meno di 15 unità immobiliari, è previsto un incremento del costo di costruzione del 10%, pertanto il provvedimento impugnato si sottrae alla censura.
L’appello deve essere, conseguentemente, respinto (Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza 02.01.2024 n. 44 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2023

EDILIZIA PRIVATA: Le opere di costruzione di una «piscina prefabbricata a pianta ovoidale, interrata, costituita da una struttura metallica e pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una volumetria di mc. 49,00 circa"  sostanziano una nuova costruzione poiché stabilmente ancorate al suolo, che comportato una alterazione permanente dei luoghi con aumento di superficie e di volumetria, e che, pertanto, necessita(va)no di essere assentite con un permesso di costruire.
Peraltro, la piscina interrata ha dimensioni tutt’altro che esigue, pari a circa 49,00 mc. Sicché deve essere esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è connotata da una propria autonomia strutturale, economica e funzionale.
Invero, «la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire; tale criterio è stato applicato anche con specifico riguardo alla realizzazione di una piscina nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio al quale accede, non è pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico.
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente nel caso concreto».
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2. Il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo richiama l’accertamento delle seguenti difformità urbanistiche: «piscina prefabbricata a pianta ovoidale, ultimata ed in uso, interrata, costituita da una struttura metallica e pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una volumetria di mc. 49,00 circa.
Tale piscina interrata insiste su un’area terrazzata, delimitata per tre lati da un passamano in pali in legno di castagno, di superficie di mq. 92,00 circa, pavimentata in quadroni in c.l.s., sorretta da una muratura in pietre in tufo, il cui lato maggiore presenta una nicchia per alloggio pompa di riciclo delle acque.
Ad essa si accede dai terrazzamenti sottostanti, a mezzo di due scale in muratura, delimitate da passamano in legno, una di larghezza m. 0,75 circa, l’altra di larghezza m. 1,00 circa, quest’ultima presenta antistante area di superficie mq. 20,00 pavimentata in quadroni in c.l.s., apposti a secco sul terreno
».
Ciò premesso, con una prima doglianza contenuta nel ricorso introduttivo, il ricorrente ha lamentato che erroneamente l’amministrazione ha ritenuto che le opere necessitassero di permesso di costruire, non essendo applicabile l’art. 31 D.P.R. 380/2001 in quanto gli interventi non avrebbero determinato una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio; piuttosto, secondo il ricorrente, gli interventi rientrerebbero nell’ambito dell’attività edilizia libera in applicazione dell’art. 6-bis DPR 380/2001.
La censura è tuttavia infondata, in quanto gli interventi per cui è causa, la cui descrizione è contenuta nell’ordinanza impugnata, integrano opere di nuova costruzione, stabilmente ancorate al suolo, che hanno comportato una alterazione permanente dei luoghi con aumento di superficie e di volumetria, e che, pertanto, necessitavano di essere assentite con un permesso di costruire.
Peraltro, la piscina interrata, contrariamente all’assunto del ricorrente, ha dimensioni tutt’altro che esigue, in quanto dall’accertamento tecnico compiuto in data 26.09.2018 è emerso che essa misura circa 49,00 mc.
Inoltre deve essere esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è connotata da una propria autonomia strutturale, economica e funzionale.
Sul punto, il Collegio infatti aderisce all’orientamento secondo cui «la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr., ex multis, TAR Catania n. 4564/2010), sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.05.2018, n. 3115); tale criterio è stato applicato anche con specifico riguardo alla realizzazione di una piscina nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio al quale accede, non è pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico (TAR Campania, Napoli sez. III, 30.03.2018 n. 2033; TAR Campania, Napoli, sez. III, 11.01.2018, n. 194; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503).
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente nel caso concreto
» (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 30.05.2018, n. 3569) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 08.05.2023 n. 2780 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2022

EDILIZIA PRIVATALa pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico, sicché il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale.
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E' da escludere che una piscina, specie quando risulti di rilevanti dimensioni, possa essere considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con diversa destinazione ed uso del suolo>>.
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... per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di condono edilizio prot. n. 13867 del 27.04.2004, presentata dal sig. Cr.Gi. ai sensi dell’art. 32 del d.l. 269/2003, relativa all’immobile del sig. Cr.Ca., adottato dal Comune di Frascati l’08.11.2006;
...
1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 09.03.2007 e depositato il successivo 05.04.2007, i ricorrenti impugnano il provvedimento meglio indicato in epigrafe, chiedendone l’annullamento.
In particolare, i ricorrenti espongono quanto segue:
   - con istanza inoltrata in data 27.04.2004 dal sig. Cr.Gi., veniva chiesto il rilascio di concessione in sanatoria per una “piscina prefabbricata in metallo, di circa metri sette per quattordici”;
   - tale istanza era respinta con il provvedimento di cui sopra, poiché l’opera ricade “in area vincolata, per tutela paesistico ambientale” e “poiché la stessa opera, realizzata senza titolo abilitativo, risulta non conforme alle norme urbanistiche vigenti, contrastando con l’art. 3 delle NTA della variante stralcio al PRG per le zone agricole”.
...
Per esigenze di completezza, determinate dal rilievo che i ricorrenti –seppure non abbiano mai richiamato e/o invocato la sussistenza di un rapporto pertinenziale tra le opere di cui sopra e altre costruzioni- hanno affermato che si tratta di un intervento che non ha “determinato la creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” (cfr. pag. 1 dell’atto introduttivo del giudizio) e hanno, ancora, evidenziato l’ampiezza del lotto (tre ettari) nonché l’insistenza su di esso di una “vasta casa padronale e numerose e ampie dipendenze”, preme aggiungere che:
   - la pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (cfr. Cons. St. sez. VI, 29/01/2015, n. 406; Cons. St. sez. VI, 05/01/2015, n. 13), sicché il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale (cfr. Cons. St. sez. IV, 17/05/2010, n. 3127);
   - invero, è da escludere che una piscina, specie quando –come nell’ipotesi in trattazione– risulti di rilevanti dimensioni, possa essere considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con diversa destinazione ed uso del suolo ….. (TAR Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 12.01.2011, n. 110)>> (TAR Campania, n. 1293 del 2020) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio, sentenza 21.06.2022 n. 8325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUn’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire.
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Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano co-essenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.
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"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
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Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti per le ragioni di seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta dirimente per il Collegio, ai fini del decidere, identificare l’esatta natura (pertinenziale o meno) della piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id., Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768; inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07/01/2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 18/04/2019, n. 642; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 30/03/2018, n. 2033; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 19/02/2018, n. 1087; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018, n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012, n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel novero di quelle considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo deve essere respinto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Non possono essere qualificati come pertinenziali ex art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. n. 380/2001 gli interventi che consistono in ampliamenti volumetrici e/o parti integranti di fabbricati, mentre le pertinenze urbanistiche sono manufatti accessori e preordinati ad una oggettiva esigenza del fabbricato principale, che perciò hanno una propria individualità fisica e strutturale, anche se destinati a servizio e/o ornamento del preesistente immobile principale”.
Peraltro, non appare ultroneo rilevare che “L'art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 include tra le nuove costruzioni, soggette a permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
In definitiva, “Ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del permesso di costruire, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e poiché occupano aree e volumi diversi”.

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V.2.4. Correlativamente, e per le medesime ragioni che si richiamano a fini motivazionali, come già rilevato dalla sezione in sede cautelare, “la natura e la consistenza degli abusi commessi sono tali da non potersi configurare quali mere pertinenze del manufatto preesistente” (ordinanza n. 972 del 05.07.2017).
Ed invero, “Non possono essere qualificati come pertinenziali ex art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. n. 380 del 2001 gli interventi che consistono in ampliamenti volumetrici e/o parti integranti di fabbricati, mentre le pertinenze urbanistiche sono manufatti accessori e preordinati ad una oggettiva esigenza del fabbricato principale, che perciò hanno una propria individualità fisica e strutturale, anche se destinati a servizio e/o ornamento del preesistente immobile principale” (TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 10/07/2019, n. 575).
Peraltro, non appare ultroneo rilevare che “L'art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 include tra le nuove costruzioni, soggette a permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale” (TAR Lazio, Roma, sez. II, 06/12/2017, n. 12096; Cons. di St., sez. II, 24/06/2019, n. 4304).
In definitiva, “Ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del permesso di costruire, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e poiché occupano aree e volumi diversi” (TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 24/11/2017, n. 941).
Ora, la mancata conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente, tra cui la sagoma, comporta che l'intervento fuoriesca dalle categorie della manutenzione edilizia e della pertinenza, configurando sostanzialmente una nuova costruzione.
Ne consegue allora la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione gravata adottata ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001, rilevandosi un complessivo intervento assimilabile a nuova costruzione e, come tale, necessitante di permesso di costruire -nel caso di specie, assente-, non ascrivibile, nemmeno in parte, ad opere meramente pertinenziali che, di contro, per dimensioni, vincoli e funzionalità, concretano, nella globalità e non in via atomistica, uno stabile e permanente rimodellamento della morfologia del terreno (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 26.08.2021 n. 5628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una piscina è nuova costruzione e necessita del permesso di costruire.
Non v’è dubbio che sia bisognevole del permesso di costruire la realizzazione di una piscina in quanto, come chiarito dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
E la stessa non è qualificabile come pertinenza.
Invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e, dunque, non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
In tal senso, si è chiarito che finanche gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
Ebbene, nel caso di specie, rispetto alla piscina, va rilevato che essa, oltre a costituire una permanente modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto inteso come principale.
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1.1. Con il ricorso principale, la ricorrente GU.Li., contesta l’ordinanza n. 92 dell’08.05.2018 con cui il Comune di Napoli ha ingiunto, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, la demolizione delle opere realizzate abusivamente in via ... n. 2 consistenti in:
   - "un manufatto in muratura e vetri occupante una superficie di mq 65,00;
   - una piscina interrata di mq 12,50;
   - un piano seminterrato di mq 170 circa costituito in parte da locale deposito e parte da locale composto da cucina, ambiente letto e w.c.
”.
...
2.1. Nel merito, occorre, innanzitutto, qualificare le opere sopra indicate che costituiscono nuove costruzioni ai sensi dell’art. 3, lett. e), del D.P.R. 380/2001.
In particolare, non v’è dubbio che siano bisognevoli del permesso di costruire il “manufatto in muratura e vetri occupante una superficie di mq 65,00” e la costruzione del piano seminterrato (170 mq). Tali opere, infatti, implicano la creazione di nuova volumetria con ampliamento del manufatto esistente al di là della sagoma (lett. e.1 art. 3 lett. e del D.P.R. 380/2001, cit.).
Parimenti è a dirsi per la piscina in quanto, come chiarito dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
2.2. Diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, nessuna di tali opere è qualificabile come pertinenza.
In proposito, giova rammentare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3127).
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento, che finanche gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
Ebbene, nel caso di specie, le opere sono ben più consistenti rispetto alle mere tettoie in quanto sono valutabili in termini di cubatura e non possono, quindi, essere ritenute, in senso urbanistico, ‘assorbite’ nel manufatto principale o qualificate come meramente accessorie (TAR Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492; TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999; v. pure i precedenti di TAR Campania, IV sez., n. 831/2015 e 2717/2017).
Con maggiore impegno esplicativo, rispetto alla piscina, va rilevato che essa, oltre a costituire una permanente modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto inteso come principale (TAR Napoli, sez. VII, 17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642; Cassazione penale sez. III, 20/12/2018, n. 1913).
3. Tutte le opere sono, quindi, nuove costruzioni e, in quanto tali, necessitano del permesso di costruire. Tanto dimostra la infondatezza delle censure che si appuntano su una diversa qualificazione dell’opera o sulla legittimità del manufatto (censure VI e IX) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.01.2021 n. 527 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una piscina non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
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8.3 - Quanto infine alla piscina, in disparte la questione della anteriorità della sua realizzazione rispetto alla data di presentazione della s.c.i.a. (secondo quanto riportato nella nota comunale n. 1493/2014, all. 10 produzione Comune), va precisato che il fatto che trattasi di piscina interrata che non incide sui parametri urbanistici non implica, come ritenuto dalla ricorrente, che la stessa sia legittimabile tramite s.c.i.a.
Giova richiamare sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa secondo cui “la realizzazione di una piscina non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642)” – da ultimo, ex multis, Tar Campania, Napoli, sez. VII. Sent. 17/09/2020 (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 21.12.2020 n. 6324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura pertinenziale, o meno, di una piscina fuori terra.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili.
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Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che esse non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio a cui accede.
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
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Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED, che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi, sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di “pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e “modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di essa possa farsene.
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1. Con ricorso notificato il 15.10.2019, il sig. Gi.Mi. ha impugnato il provvedimento prot. 9558 del 19.07.2019 con il quale il Settore Gestione del Territorio del Comune di San Sebastiano al Vesuvio ha concluso con esito negativo la SCIA alternativa al P.d.C. (art. 23 TUED) prot. 1856 del 12.02.2019 presentata dal ricorrente e relativa a un intervento da eseguirsi nell’immobile di proprietà sito in territorio comunale alla via ..., consistente nella modifica dei prospetti dell’edificio correlata all’installazione di una piscina fuori terra su di un lotto di terreno in zona agricola, appoggiata al suolo e a carattere pertinenziale rispetto all’immobile.
In base al combinato disposto degli artt. 23, 10, co. 1, lett. c), e 3, co. 1, lett. e.6), del d.P.R. 380/2001 (in seguito anche: TUED), il ricorrente ha sostenuto che l’intervento in questione rientrasse nella categoria della ristrutturazione edilizia (art. 10, co. 1, lett. c), TUED) e non della nuova costruzione (art. 10, co. 1, lett. e) TUED), quindi perfettamente realizzabile mediante SCIA sostituiva del permesso di costruire, in quanto la piscina non avrebbe superato il limite del venti per cento rispetto alla volumetria dell’immobile di cui rappresentava pertinenza.
...
11. Si passa ora all’esame delle censure di tipo sostanziale.
Vanno, in primo luogo, riprodotte le norme di riferimento, anche se già se ne è fatta menzione nella parte in fatto.
Il ricorrente ha richiesto una SCIA alternativa al permesso di costruire disciplinata dal comma 1 dell’art. 23 TUED: “In alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lett. c).”.
Questi ultimi sono “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Alla disciplina dell’art. 10 va aggiunta quella dell’art. 3 TUED sugli “interventi edilizi”.
Oltre a quelli del comma 1 lett. d), che riguarda specificamente gli interventi di ristrutturazione edilizia, è necessario considerare la lett. e), sugli “interventi di nuova costruzione", che sono “quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
   -e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6)
”.
La lett. e.6) annovera tra gli interventi di nuova costruzione:
   - "gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
Pertanto, ragionando a contrario, sono da annoverare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, e quindi nel perimetro applicativo dell’art. 10, co. 1, lett. c), TUED, realizzabili con SCIA alternativa al permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume NON superiore al 20% del volume dell'edificio principale.
12. Entrambi i primi due motivi di ricorso sono inquadrabili nell’ambito del combinato disposto delle disposizioni sopra illustrate, e quindi esaminabili in ragione di dette disposizioni, anche se ciascuno nella propria individualità.
Si tratta di stabilire da un lato se la piscina che il ricorrente intende costruire previa SCIA in luogo del permesso di costruire sia un intervento di ristrutturazione edilizia per le ragioni sopra esposte, in quanto volumetricamente compatibile con il disposto normativo, dall’altro se sia o meno una pertinenza.
Il venir meno di uno solo di questi due requisiti comporta l’inapplicabilità della disciplina sopra richiamata, in quanto la lett. e.6) dell’art. 3 TUED riguarda comunque opere di tipo “pertinenziale”.
Un’opera volumetricamente corretta ma non pertinenziale non può essere considerata alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia, assentibile con SCIA in luogo del permesso di costruire.
13. In ragione di quanto detto, risulta dirimente, ai fini del decidere, il rigetto del secondo motivo relativo alla natura non pertinenziale della piscina in questione.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce (ex multis, Cons. St., sez. VI, 13.01.2020; id., sez. II, 22.07.2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (Cons. St., sez. VI, 10.01.2019, n. 260; id., 01.04.2016 n. 1291).
13.1. Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che esse non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio (TAR Campania Napoli, sez. III, 03.02.2020, n. 483).
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio a cui accede (TAR Lazio, sez. II-bis, 07.10.2019, n. 11586).
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (così, TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642, che rimanda, ex multis, a Cons. St., sez. IV, 08.01.2016, n. 35; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 20.09.2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503; sez. II, 30.05.2018, n. 3569; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 30.01.2018, n. 248).
13.2. Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED, che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi, sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di “pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e “modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di essa possa farsene.
13.3. Le suddette considerazioni valgono ad escludere che la piscina oggetto della SCIA del 12.02.2019 possa essere considerata alla stregua di opera pertinenziale.
Ciò in quanto di dimensioni per nulla modeste (118 mq con una altezza di 1,60 m), suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto alla struttura cui accede poiché non vi è alcun collegamento funzionale tra una piscina e un bar ristorante, quale quello presente nell’edificio di proprietà del Migliaccio, nel senso che il bar può esistere senza la piscina, e la piscina può esistere senza bar, e l’utilità che essi possono reciprocamente scambiarsi non è di tipo oggettivo ma soggettivo, a discrezione del proprietario, che potrebbe benissimo destinarla all’uso personale o della sua famiglia.
Va altresì rilevato che accedono alla piscina anche una pedana in legno posta sul perimetro della piscina larga 2 metri con superficie di 90 mq e una vasca di compenso di dimensioni pari a metri 4 x 4, per una profondità di 1,5 metri.
In tutto, l’apparato piscina occupa oltre 200 mq di terreno agricolo, e a prescindere dalla circostanza che il d.l. 9/1982, all’art. 7, co. 2, consenta le opere pertinenziali in aree agricole, resta il fatto che non si ravvisa, nel caso di specie, alcun nesso di pertinenzialità in senso funzionale (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 09.09.2020 n. 3730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica … a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un ‘nuovo volume’.
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’.
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
E, a quest’ultimo proposito, è appena il caso di rammentare che la modifica della sagoma e dei prospetti dell’edificio originario è da intendersi, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001, subordinata al previo rilascio del permesso di costruire o, comunque, alla c.d. super-SCIA alternativa e che, quindi, un simile intervento, ascrivibile alla categoria della ristrutturazione edilizia –e non dell’attività edilizia libera–, qualora eseguito sine titulo, rimane, comunque, sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria ai sensi del successivo art. 33.
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8.3. Neppure giova alla difesa attorea l’accento posto sulla natura asseritamente pertinenziale degli interventi superfetativi in esame.
In argomento, si è statuito che: «La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico-edilizi. La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 02.01.2018, n. 24, 02.02.2017, n. 694, 04.01.2016, n. 19, 11.03.2014, n. 3952; sez. V, n. 817/2013; sez. IV, n. 615/2012) … a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un ‘nuovo volume’ (v. Cons. Stato, sez. IV, 02.02.2012, n. 615).
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Cons. stato, sez. VI, 24.07.2014, n. 3952).
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma
» (Cons. Stato, sez. VI, n. 904/2019; sul punto, cfr. anche, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 19/2016; n. 1155/2017; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 471/2015; TAR Umbria, Perugia, n. 377/2015; TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 1816/2016; Napoli, sez. VI, n. 732/2017; sez. VII, n. 2967/2018; Salerno, sez. II, n. 1/2019).
E, a quest’ultimo proposito, è appena il caso di rammentare che la modifica della sagoma e dei prospetti dell’edificio originario è da intendersi, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001, subordinata al previo rilascio del permesso di costruire o, comunque, alla c.d. super-SCIA alternativa e che, quindi, un simile intervento, ascrivibile alla categoria della ristrutturazione edilizia –e non dell’attività edilizia libera, come, invece, inferito da parte ricorrente–, qualora eseguito sine titulo, rimane, comunque, sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria ai sensi del successivo art. 33 (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 28.07.2020 n. 951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio non sottace che sin dall’epoca della vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al servizio dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare rispetto alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede nell'edificio stesso.
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce pertinenza di un’abitazione agricola.
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è necessario per realizzarla (permesso di costruire per le nuove costruzioni; denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le pertinenze
: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001, già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno: e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per la sua realizzazione e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non assumere valenza pure per le
piscine, ancorché prefabbricate.
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1.1. L’attuale appellante, Sig. Ro. Di Mo., espone di essere imprenditore agricolo e coltivatore diretto.
Egli è proprietario di un terreno ubicato nel territorio comunale di Napoli (NA), situato in prossimità del Casale ..., segnatamente al ... nn. 18 19 destinato a zona F – agricola dalla vigente strumentazione urbanistica e rientrante nel perimetro del Parco metropolitano delle Colline di Napoli, costituito con decreto del Presidente della Regione Campania n. 492 dd. 14.07.2004 previa deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 855 dd. 10.06.2004.
Tale terreno, acquisito dall’appellante nel corso del 1999 a seguito di un’aggiudicazione fallimentare, è coltivato a vitigno e su di esso insistono un fabbricato rurale su due livelli, una casa colonica e un ulteriore fabbricato.
L’appellante riferisce di aver investito consistenti risorse economiche al fine della valorizzazione e dello sviluppo della proprietà, intraprendendo ivi un’attività turistico-ricreativa.
A tale riguardo il Di Mo. espone quindi di aver provveduto, mediante denuncia d’inizio di attività Prot. n. 124 dd. 10.03.2005 presentata al Comune di Napoli e ad una susseguente variante presentata il 03.06.2005, alla realizzazione di opere da lui definite “di manutenzione straordinaria”, ovvero “pertinenziali funzionali al migliore sfruttamento del terreno agricolo” (così a pag. 2 dell’atto d’appello).
Tali opere consisterebbero, a detta dell’appellante, in “un
gazebo in legno di modestissime dimensioni, funzionalmente necessario allo svolgimento delle attività turistico-ricreative connesse all’attività agricola, ed ospitante un punto vendita dei prodotti ortofrutticoli”, nella “realizzazione di tre muri per il contenimento del terreno”, nonché, in corso d’opera, essendosi resi necessari “ulteriori interventi di sistemazione del terreno … sul penultimo terrazzamento prospiciente l’abitazione principale veniva posizionata una vasca – impropriamente definita piscina – per la raccolta delle acque meteoriche” (cfr. ibidem).
Con provvedimento n. 3671 dd. 21.06.2005 la Direzione Centrale IV Lavori Pubblici del Comune di Napoli, S.T.C. Vomero-Arenella ha chiesto la produzione di ulteriore documentazione e ha interinalmente disposto la sospensione dei lavori, a’ sensi dell’art. 2, comma 60, della l. 23.12.1996 n. 662 e successive modifiche, nonché a’ sensi degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 e successive modifiche, evidenziando comunque che “la tipologia di intervento non è consentita”.
In data 03.08.2008 la Polizia Municipale ha provveduto al sequestro preventivo dell’area.
Con susseguente provvedimento posizione dirigenziale n. 1047 dd. 31.08.2005 il Dirigente preposto alla Direzione Centrale VI del Comune di Napoli – Riqualificazione urbana edilizia periferie – Servizio antiabusivismo edilizio, in base a verbale redatto dalla polizia municipale in data 04.08.2005, ha rilevato che “senza il prescritto permesso di costruire”, in area inserita nella zona C dello strumento di pianificazione del Parco Regionale delle Colline di Napoli ed “assoggettata al vincolo paesaggistico di cui all’art. 142, lett. f), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42” erano state realizzate le seguenti opere:
   - “livellamento del suolo mediante sbancamento di terrapieno per ml. 150,00 x 1,50 h;
   - collegamento tra aree terrazzate mediante sbancamento di m. 20,00 x una larghezza di m. 3,00;
   - manufatto in legno di mq. 25,00, alto m. 3,00 su platea in calcestruzzo, muri e panche in muratura;
   - piscina prefabbricata fuori terra di mq. 80,00 in telo plasticato sorretto da tubolari in ferro, completa di docce, lavapiedi e motori;
   - ampliamento di un preesistente terrazzamento di circa ml. 100,00 x ml. 7,00 di larghezza
”.
Contestualmente il medesimo Dirigente ha disposto la demolizione dei sopradescritti manufatti, a’ sensi 27, comma 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
...
4.2. 1. Con il primo motivo d’appello il Di Mo., al di là della corposa sua rubrica, si limita di fatto a contestare l’asserita violazione dell’art. 39, commi 4 e 6, delle norme tecniche di attuazione della variante al Piano regolatore generale del Comune di Napoli, nonché dell’art. 35, comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, pur con riflessi anche sulla presupposta disciplina di fonte legislativa statuale citata nella rubrica anzidetta.
Secondo l’appellante, le opere qui in contestazione –ossia la realizzazione di
tre muri di contenimento, di un gazebo e di una piscina prefabbricata fuori terra- risulterebbero tutte legittimamente realizzate mediante la denuncia d’inizio di attività da lui presentata,
In tal senso l’appellante rimarca che il comma 4 dell’art. 39 esplicitamente prevede la realizzazione di “interventi di consolidamento di pendici mediante la realizzazione di strutture di contenimento”, nel mentre il susseguente comma 6 ammette per gli insediamenti rurali “interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento conservativo”, nonché “la ristrutturazione edilizia …ai soli fini della realizzazione di attività di cui al comma 1, lettera b), dell’articolo 21” delle medesime norme tecniche, ossia per le seguenti esigenze “abitazioni agricole; attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti agricoli all’origine e relative funzioni di servizio; attività ricettive di tipo agrituristico e relative funzioni di servizio”.
A sua volta l’art. 35, comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, secondo l’appellante, letteralmente consentirebbe la realizzazione, in regime di denuncia d’inizio di attività, di “giardini, opere di arredo, vasche, pergolati grillages e gazebo”, nonché la “realizzazione e consolidamento di muri o di sistemi di contenimento dei terreni
Il Collegio, per il vero, nell’esaminare il testo di tale Regolamento edilizio così come vigente all’epoca dei fatti di causa, non riscontra la sussistenza dei surriportati riferimenti testuali alla realizzazione di vasche, gazebo e opere murarie destinate al contenimento dei terreni; né riscontra nel testo medesimo corrispondente all’art. 35 la stessa esistenza di un suo comma 6.
Comunque sia, risulta indubbio dagli stessi atti di causa che il Di Mo. non aveva realizzato una “vasca”, ma una “piscina”, e cioè un’opera che la stessa fonte regolamentare comunale, ove anche considerata nel testo da lui citato, certamente di per sé non assoggettava al regime della denuncia d’inizio di attività (e comunque, all’evidenza non finalizzata ad alcun utilizzo agricolo).
Altra cosa è, dunque, quanto poi fatto dal medesimo appellante, che dapprima ha  per l’appunto– realizzato senza un titolo edilizio idoneo una piscina –come eloquentemente comprovato dal verbale di accertamento dell’abuso- per poi chiedere al riguardo, soltanto dopo aver ricevuto l’ingiunzione a demolire, l’accertamento di conformità, a’ sensi dell’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380; ma tutto ciò -per l’appunto- con riguardo ad un’opera strutturalmente e funzionalmente del tutto diversa, e cioè una vasca di raccolta per le acque meteoriche, per la cui effettiva realizzazione dovevano essere per certo apportate delle modificazioni rispetto a quanto precedentemente costruito: operazione, questa, per certo incompatibile con l’istituto dell’accertamento di conformità, che implica soltanto il mero riconoscimento della rispondenza di quanto realizzato alla disciplina urbanistica vigente sia all’epoca della perpetrazione dell’abuso, sia all’epoca della sanatoria richiesta, senza necessità di apportare modifiche al manufatto in questione.
4.2.2. Posto ciò, il Collegio non sottace che sin dall’epoca della vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al servizio dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare rispetto alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede nell'edificio stesso (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 13.10.1993, n. 1041).
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa in opera di una
piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce pertinenza di un’abitazione agricola (cfr. sul punto Cons. Stato Sez. V, 13.10.1993, n. 1041).
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è necessario per realizzarla (permesso di costruire per le
nuove costruzioni; denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le pertinenze: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001, già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno: e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per la sua realizzazione (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 28.09.2018, n. 5090) e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non assumere valenza pure per le
piscine, ancorché prefabbricate.
Posto ciò, per il caso di specie assume rilievo dirimente –e, quindi, assorbente nei confronti di tutte le contestazioni formulate dalla parte appellante- la circostanza che la piscina in questione non poteva comunque essere realizzata, a ciò ostandovi il combinato disposto degli artt. 46, comma 6, e 41, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Napoli, che nella sottozona Fa -nella quale, per l’appunto, ricade la piscina– ammette la realizzazione di “interventi di nuova edificazione” –e, quindi, assoggettati al rilascio del permesso di costruire, e non già a mera denuncia d’inizio di attività- “a fini agricoli di cui all’articolo 40” della medesima variante (e non è dunque questo per certo il caso della piscina in questione; semmai della vasca), ovvero anche “attrezzature sportive scoperte, ammissibili solo in sede di pianificazione urbanistica esecutiva”, e comunque “ai fini del conseguimento della fruizione pubblica dei fondi”.
In concreto –quindi– se il Di Mo. avesse voluto costruire –come sostiene– una vasca di raccolta per l’acqua piovana, avrebbe potuto realizzare tale manufatto, di per sé coerente con l’utilizzo a fini agricoli dell’area, ma soltanto previo rilascio del permesso di costruire, in quanto provvedimento il cui rilascio è inderogabilmente imposto in via generale dalla strumentazione urbanistica ivi vigente.
Se –viceversa– avesse voluto realizzare una piscina, ciò sarebbe stato parimenti possibile, ma soltanto previa predisposizione a propria cura di una strumentazione urbanistica attuativa e –comunque, ed ancora una volta– mediante il susseguente rilascio del permesso di costruire, in quanto la “fruizione pubblica” imposta per tale manufatto dalla strumentazione urbanistica ivi vigente risulta ex se incompatibile con l’asserita pertinenzialità dello stesso.
Tertium non datur.
Per inciso, la presenza nel fascicolo di causa relativo al primo grado di giudizio di una relazione illustrativa depositata in data 19.11.2008 a cura del patrocinio della stessa parte ivi ricorrente fa ragionevolmente presumere che il Di Mo. abbia da ultimo optato proprio per tale possibilità, progettando –tra l’altro– la realizzazione non più di una piscina prefabbricata da contingentemente ”trasformare” –al bisogno, per così dire, “burocratico”– in una vasca per la raccolta delle acque meteoriche, ma di “una piscina ludico-relax costituita da due vasche poste a quote differenti in modo da creare un salto d’acqua” (cfr. ivi a pag. 8: e ciò senza sottacere che la complessiva lettura del piano medesimo offre la netta impressione che l’attuale appellante si sia con esso discostato dall’originaria connotazione agricola dell’azienda privilegiando un’attività marcatamente ricettiva se non addirittura ludico-ricreativa, tanto da suscitare anche un dubbio non evanescente circa l’effettiva permanenza, nella specie, di un suo effettivo interesse alla coltivazione della presente causa).
Ad ogni buon conto, quindi, anche per il caso di specie va ribadito che dalla realizzazione di opere edilizia in assenza del permesso di costruire, discende –sempre e comunque– la sanzione della demolizione delle opere medesime, a’ sensi dell’art. 31 del t.u. 06.06.2001, n. 380.,
Ma –soprattutto– va considerato che la realizzazione della piscina ora in questione era ed è materialmente inibita sia dall’art. 21, comma 3, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che, con disposizione oltremodo commendevole, fa divieto di completare le opere abusive realizzate nello stesso suolo, sia dall’art. 24 della variante anzidetta, che al comma 2 dispone a sua volta nel senso che “nelle zone riportate nella tavola 12 con instabilità media e alta” –tra le quali rientra anche il sedime su cui è stata eretta la piscina in questione- “è vietata la realizzazione di qualsiasi tipo di costruzione”: disposizioni, anche queste, che naturalmente implicano la necessità della demolizione del manufatto in questione (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Reati edilizi - Ampliamento di un fabbricato - Concetto urbanistico di pertinenza - Giurisprudenza - Manufatto distinto e separato da quello principale - Asservimento - Fattispecie: costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione - Permesso di costruire - Art. 3, 10, 36, 44, 45, 71 e ss. 83, 93, 95, d.P.R. 380/2001 (T.U.E.).
In materia di reati edilizi, l'ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (Sez. 3, n. 4139/2018).
La pertinenza, richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui è asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell'edificio che, laddove avvenga «all'esterno della sagoma esistente» è da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.1), T.U.E., assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, comma 1, lett. a). Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande (Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa), di tettoie realizzate sul lastrico solare (Sez. 3, n. 21351/2010, Savino), di porticato addossato ad un fabbricato (Sez. 3, n. 33657/2006, Rossi).
Nella specie, l'ampliamento dell'edificio residenziale in questione con costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla preesistente abitazione -vano che al momento del sopralluogo era destinato a cucina- esclude la possibilità di invocare il concetto urbanistico di pertinenza
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.05.2019 n. 19196 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica.
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume".
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un "manufatto edilizio".
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
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Nemmeno può poi trovare accoglimento la deduzione secondo la quale, nel caso in esame, circa il deposito attrezzi, la legnaia e la tettoia, verrebbero in considerazione opere di natura pertinenziale.
Vengono invece in rilievo manufatti che, per consistenza e tipologia, hanno comportato una trasformazione del territorio e del suolo non irrilevante e che in modo corretto sono stati fatti ricadere nella categoria degli interventi che richiedono il permesso di costruire ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In proposito, più volte questo Consiglio di Stato ha rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand'anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.
La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 02.01.2018, n. 24, 02.02.2017, n. 694, 04.01.2016, n. 19, 11.03.2014, n. 3952; Sez. V, n. 817 del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume" (Cons. Stato, Sez. IV, 02.02.2012, n. 615, cit.).
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un "manufatto edilizio" (cfr. Sez. VI, 24.07.2014, n. 3952). Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
Esaminando da vicino la fattispecie, anche alla luce della documentazione in atti, il carattere pertinenziale delle opere sembra escluso proprio in ragione delle caratteristiche dei manufatti e della considerazione e valutazione degli stessi compiuta in maniera globale e unitaria dalla pubblica autorità.
Evidente, poi, la trasformazione del territorio e, comunque, l’alterazione dello stato dei luoghi legata alla realizzazione di strada, marciapiedi e piazzale.
Di qui, la correttezza della decisione comunale, avallata nelle sentenze impugnate, di applicare la sanzione della demolizione di cui all’art. 31 del t.u. n. 380 del 2001 (a differenza di quanto sostiene la parte appellante, la quale invoca, implicitamente ma non per questo meno sicuramente, la irrogazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del t.u. dell’edilizia, considerando inapplicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del t.u. medesimo) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.02.2019 n. 902 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno, pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
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Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico.

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7 – Con un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7 della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione della tettoia e del box-container non necessitavano della concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10 della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi, come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun elemento concreto dal quale desumere che le opere in questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato come la realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento), pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e di repressione degli abusi
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il locale studio e il locale w.c. abusivamente realizzati non sono qualificabili come pertinenze del fabbricato, ma consistono ampliamenti al di fuori della sagoma originaria.
Tali opere non hanno portato, infatti, alla realizzazione di manufatti meramente accessori e serventi all’edificio, privi di incidenza sul carico urbanistico, ma costituiscono vani aggiunti all’originario edificio, con corrispondente incremento della relativa superficie lorda di pavimento.
Né potrebbe ritenersi, in senso contrario, che la natura pertinenziale di tali locali discenda dalle loro modeste dimensioni e dal fatto che non siano autonomi rispetto al fabbricato preesistente.
A ben vedere, infatti, i ricorrenti distorcono la nozione di pertinenza –che presuppone, per sua natura, la realizzazione di un manufatto distinto, ma accessorio rispetto al fabbricato principale– facendovi rientrare qualunque incremento volumetrico aggiunto successivamente a un edificio, purché di dimensioni contenute.
Tuttavia, nei casi come quello oggetto del presente giudizio, la circostanza che il vano aggiuntivo non sia autonomo rispetto all’immobile principale dipende proprio dal fatto che esso viene a costituire parte integrante di tale immobile, incrementandone la superficie e la volumetria. Circostanza, questa, che di per sé esclude il carattere dell’accessorietà, tipico delle pertinenze, le quali non possono consistere in porzioni costitutive del medesimo immobile cui dovrebbero servire.
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Esclusa, pertanto, la qualificazione di tali locali aggiuntivi quali mere pertinenze, essi rientrano a pieno titolo tra gli interventi di “nuova costruzione”, trattandosi di ampliamenti del fabbricato all'esterno della sagoma esistente (articolo 3, comma 1, lett. e.1), del d.P.R. n. 380 del 2001).
Si tratta, conseguentemente, di opere per le quali era richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, come tali, soggette alla disciplina sanzionatoria di cui al successivo articolo 31, e non invece alle previsioni dell’articolo 37, che si riferisce agli interventi realizzati in assenza di denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
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E' stata presentata un’unica domanda di sanatoria per tutte le opere eseguite senza titolo. E’ la stessa parte richiedente, perciò, ad aver qualificato le opere come un unico intervento edilizio abusivo.
L’istanza non può, pertanto, essere valutata in modo parcellizzato dall’Amministrazione, poiché non è consentito al Comune prendere in considerazione singole porzioni dell’unico progetto di sanatoria, al fine di attribuire solo a una parte delle opere la qualificazione di “manutenzione straordinaria”, estrapolandole dal complessivo intervento di “ampliamento” denunciato dall’interessato.
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12. E’ pure infondato il secondo motivo, con il quale si sostiene, sotto diversi profili, che le opere abusive non sarebbero soggette alla sanzione demolitoria.
12.1 I ricorrenti affermano, anzitutto, che il locale studio e il locale w.c. costituirebbero mere pertinenze, contenute entro il limite del venti per cento del fabbricato principale, per le quali non sarebbe richiesto il rilascio del permesso di costruire.
Conseguentemente, si tratterebbe di abusi non soggetti alla sanzione della demolizione, ma soltanto a quella pecuniaria prevista dall’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2011 per le opere realizzate in assenza di denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.1.1 Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che le opere in esame non sono qualificabili come pertinenze del fabbricato, ma consistono in ampliamenti al di fuori della sagoma originaria, come correttamente allegato dalla difesa comunale e come chiaramente risulta dagli elaborati progettuali depositati agli atti del giudizio. Tali opere non hanno portato, infatti, alla realizzazione di manufatti meramente accessori e serventi all’edificio, privi di incidenza sul carico urbanistico, ma costituiscono vani aggiunti all’originario edificio, con corrispondente incremento della relativa superficie lorda di pavimento.
Né potrebbe ritenersi, in senso contrario, che la natura pertinenziale di tali locali discenda dalle loro modeste dimensioni e dal fatto che non siano autonomi rispetto al fabbricato preesistente. A ben vedere, infatti, i ricorrenti distorcono la nozione di pertinenza –che presuppone, per sua natura, la realizzazione di un manufatto distinto, ma accessorio rispetto al fabbricato principale– facendovi rientrare qualunque incremento volumetrico aggiunto successivamente a un edificio, purché di dimensioni contenute.
Tuttavia, nei casi come quello oggetto del presente giudizio, la circostanza che il vano aggiuntivo non sia autonomo rispetto all’immobile principale dipende proprio dal fatto che esso viene a costituire parte integrante di tale immobile, incrementandone la superficie e la volumetria. Circostanza, questa, che di per sé esclude il carattere dell’accessorietà, tipico delle pertinenze, le quali non possono consistere in porzioni costitutive del medesimo immobile cui dovrebbero servire.
12.1.2 Esclusa, pertanto, la qualificazione di tali locali aggiuntivi quali mere pertinenze, essi rientrano a pieno titolo tra gli interventi di “nuova costruzione”, trattandosi di ampliamenti del fabbricato all'esterno della sagoma esistente (articolo 3, comma 1, lett. e.1), del d.P.R. n. 380 del 2001).
Si tratta, conseguentemente, di opere per le quali era richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, come tali, soggette alla disciplina sanzionatoria di cui al successivo articolo 31, e non invece alle previsioni dell’articolo 37, che si riferisce agli interventi realizzati in assenza di denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.2 Non merita accoglimento neppure la seconda censura articolata nel secondo motivo, con la quale i ricorrenti lamentano che il Comune non avrebbe potuto ordinare la demolizione delle opere di divisione interne, in quanto qualificabili come mero intervento di manutenzione straordinaria e, come tali, ammesse dalla disciplina urbanistica dettata dal PRG per gli edifici incompatibili con la destinazione della zona “M”, quale è il fabbricato residenziale sul quale le opere sono state eseguite.
12.2.1 Al riguardo, deve infatti osservarsi che –come correttamente evidenziato dalla difesa comunale– è stata presentata un’unica domanda di sanatoria per tutte le opere eseguite senza titolo. E’ la stessa parte richiedente, perciò, ad aver qualificato le opere come un unico intervento edilizio abusivo.
L’istanza non avrebbe potuto, pertanto, essere valutata in modo parcellizzato dall’Amministrazione, poiché non è consentito al Comune prendere in considerazione singole porzioni dell’unico progetto di sanatoria, al fine di attribuire solo a una parte delle opere la qualificazione di “manutenzione straordinaria”, estrapolandole dal complessivo intervento di “ampliamento” denunciato dall’interessato. E, d’altro canto, l’adozione di un’ordinanza di demolizione riferita all’abuso nella sua interezza, per come dichiarato dal privato, costituisce una mera conseguenza del diniego dell’accertamento di conformità.
12.2.2 Tale esito, peraltro, non preclude la presentazione di una nuova istanza, al fine di regolarizzare la sola parte dell’intervento che si ritenga eventualmente conforme alla disciplina urbanistica, eseguendo, per il resto, l’ordinanza di demolizione.
12.3 Da ciò il rigetto di tutte le censure articolate con il secondo motivo di impugnazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2018 n. 1298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma.
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4.4. Parimenti non può accogliersi il quinto motivo d'impugnazione.
Come è stato già ricordato, infatti, in materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv. 253064).
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma (Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903).
4.4.1. Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato che il manufatto, per quanto abbondantemente rilevato, era in contrasto con lo strumento urbanistico, tant'è che ne era stata ingiunta la trasformazione in una mera vasca irrigua o antincendio, la cui differenza funzionale con una piscina addetta ad un alloggio privato appare di oggettivo e non discutibile rilievo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.05.2018 n. 18523).

EDILIZIA PRIVATA: L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa mobile da oltre un decennio è strettamente legato al soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”.
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In materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
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Con ricorso notificato in data 18.09.2007 e depositato il 10 ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Santo Stefano Ticino di ingiunzione alla demolizione di opere abusive datato 26.07.2007, prot. 5427.
Il ricorrente, proprietario di un terreno sito nel Comune di Santo Stefano Ticino, in Via ... n. 61, identificato catastalmente al mappale 59, del foglio n. 8, ha provveduto a posizionarvi una struttura mobile e provvisoria di cui il Comune ha ingiunto la rimozione con l’atto impugnato nel presente giudizio.
Assumendo l’illegittimità del predetto atto, il ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in quanto il manufatto asseritamente abusivo sarebbe precario e provvisorio e perciò inidoneo a mutare in modo permanente l’assetto urbanistico.
...
1. Il ricorso non è fondato.
2. Con l’unica doglianza di ricorso si assume l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto conto che l’opera di cui si è ordinata la demolizione sarebbe rimovibile, in quanto solo appoggiata al suolo, e non avrebbe alcun sostanziale impatto sull’assetto urbanistico.
2.1. La censura è infondata.
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa mobile da oltre un decennio è strettamente legato al soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio (all. 4 e 5 del Comune).
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante
” (Consiglio di Stato, VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291; 03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I, 28.06.2016, n. 655).
Nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto una semplice pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un minimo di 2,83 m a un massimo di 3,58 m: cfr. provvedimento impugnato, all. 1 al ricorso), considerato che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.01.2016, n. 19).
2.2. In conseguenza di quanto già evidenziato emerge anche la violazione dell’assetto urbanistico della zona in cui è stata posizionata la casa mobile, visto che la stessa era (ed è) classificata come agricola, nonché risultava (e risulta) gravata anche da un vincolo di rispetto stradale. Pertanto non risulta violata soltanto la normativa edilizia, ma risulta compromesso anche l’assetto urbanistico del territorio.
2.3. Ciò determina il rigetto della predetta censura e quindi dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2018 n. 354 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Regime edilizio per delle strutture metalliche destinate all’esposizione e al deposito della merce in vendita (nella fattispecie si trattava di scaffalature metalliche destinate all’esposizione e al deposito della merce in vendita; di altezze e dimensioni variabili, aperte su quattro lati, in taluni casi sormontate da lastre in plexiglas a protezione delle merci collocate nella parte superiore, fissate alla pavimentazione esterna, per ragioni di sicurezza, mediante tasselli).
Le strutture metalliche destinate all’esposizione e al deposito della merce in vendita all’interno di un’area adibita alla vendita all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti per l’edilizia e al ricevimento e allo stoccaggio delle merci sono nuove costruzioni ai fini edilizi.
In realtà, la giurisprudenza ritiene che la trasformazione debba essere intesa in senso funzionale e non strutturale, ossia assume rilievo decisivo non la natura del manufatto o i suoi caratteri costruttivi, ma la tipologia di esigenze che tale manufatto è destinato a soddisfare.
L’astratta rimovibilità delle opere infatti non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Le strutture metalliche sono strettamente collegate e serventi rispetto all’attività imprenditoriale svolta della ricorrente e non sono certamente destinate ad un utilizzo temporaneo e contingente.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”
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In presenza di una pavimentazione debitamente autorizzata, non è possibile ritenere che possa poi liberamente procedersi alla realizzazione sulla stessa di ulteriori manufatti, che magari creano anche nuova volumetria, senza ottenere, volta per volta, il necessario e pertinente titolo edilizio.
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Quanto all’asserita natura pertinenziale dei manufatti, va chiarito che in ambito urbanistico la nozione di pertinenza è più limitata di quella afferente all’ambito civilistico; un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme.
Inoltre, come si può ricavare dalla descrizione delle opere realizzate si tratta di interventi che da un punto di vista dimensionale e costruttivo danno vita ad una nuova edificazione, alterando in modo significativo l’assetto del territorio, e quindi per essere realizzati richiedono il rilascio di un permesso di costruire, indipendentemente dalla loro proporzione rispetto all’opera che si può considerare come principale.
Del resto, ‘la qualifica di pertinenza urbanistica è (…) applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica’.
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1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 20.07.2016 e depositato il 27 luglio successivo, la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Caronno Pertusella n. 86 del 16.06.2016, avente ad oggetto la demolizione di manufatti e il rispristino dello stato dei luoghi, unitamente alla comunicazione prot. n. 23899/2015 del 04.11.2015, recante avviso di avvio del procedimento di emanazione dell’ordinanza.
La ricorrente è una società operante nel settore del commercio ed è locataria di un complesso commerciale denominato “Br.” in Caronno Pertusella, Viale ... n. 2095; la struttura commerciale è composta da due edifici e da aree pertinenziali destinate, oltre che a parcheggio, alla vendita all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti per l’edilizia (c.d. drive) e al ricevimento e allo stoccaggio delle merci.
Con un permesso di costruire rilasciato il 17.06.2015 (n. 2015-PER/0006) si è provveduto a riqualificare l’area convertendo all’uso commerciale anche uno dei due edifici in precedenza destinato ad altra funzione e sono state altresì riorganizzate le aree pertinenziali, ampliando l’area di vendita (drive) e sistemandola in maniera più razionale e sicura.
Sia nell’area drive che in quelle di stoccaggio sono state installate delle scaffalature metalliche destinate all’esposizione e al deposito della merce in vendita; tali scaffalature sono delle strutture metalliche di altezze e dimensioni variabili, aperte su quattro lati, in taluni casi sormontate da lastre in plexiglas a protezione delle merci collocate nella parte superiore, fissate alla pavimentazione esterna, per ragioni di sicurezza, mediante semplici tasselli, facilmente smontabili e agevolmente amovibili.
Il Comune di Caronno Pertusella, nell’ambito di un’attività di controllo, ha accertato che l’installazione di strutture metalliche adibite a deposito per l’immagazzinaggio delle merci nelle aree pertinenziali del complesso commerciale non era stata dichiarata in alcun tipo di pratica edilizia, né risultava prevista in alcun modo dal piano attuativo, pur trattandosi di manufatti idonei a produrre nuova superficie coperta e incidenti anche sulla sicurezza antincendio, in quanto collocati altresì in corrispondenza delle aree previste per i parcheggi pertinenziali; quindi con nota n. 23889/2015 del 04.11.2015, la ricorrente è stata avvisata dell’avvio del procedimento di emanazione di un’ordinanza di demolizione.
In data 13.11.2015 la ricorrente ha controdedotto alla nota comunale, sottolineando come le problematiche antincendio fossero state risolte e che le scaffalature non fossero da qualificare quali manufatti da assoggettare al rilascio di un titolo edilizio. Il Comune non ha condiviso la prospettazione della ricorrente e, sul presupposto di essere al cospetto di interventi di nuova costruzione, ha ordinato la demolizione delle scaffalature metalliche attraverso il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo.
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3. Con la prima censura del ricorso si assume l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, in quanto il Responsabile Tecnico comunale avrebbe erroneamente qualificato come “terreni” le aree in cui sono state installate le scaffalature metalliche, mentre in realtà si tratterebbe di aree dotate di pavimentazione e quindi già perfettamente edificate.
3.1. La doglianza è infondata.
L’ordinanza impugnata evidenzia con chiarezza che l’abuso edilizio oggetto di sanzione risulta essere l’insieme dei “manufatti con struttura in tubolari di metallo di varie altezze e dimensioni con copertura in lastre di plexiglass”, ovvero le strutture metalliche installate nelle aree pertinenziali del complesso commerciale, in relazione alle quali la pavimentazione, pur regolarmente assentita, non assume alcun rilievo determinante da un punto di vista edilizio.
Difatti, in presenza di una pavimentazione debitamente autorizzata, non è possibile ritenere che possa poi liberamente procedersi alla realizzazione sulla stessa di ulteriori manufatti, che magari creano anche nuova volumetria, senza ottenere, volta per volta, il necessario e pertinente titolo edilizio.
3.2. Pertanto, la prima censura va respinta.
4. Con le tre successive doglianze, da scrutinare congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume che la posa delle strutture metalliche, peraltro facilmente amovibili, sarebbe intrinsecamente collegata all’attività commerciale svolta dalla ricorrente e debitamente autorizzata, giacché si tratterebbe di attrezzature strumentali necessarie e funzionali alle attività di vendita (drive) e di stoccaggio delle merci, implicitamente ricomprese nel progetto, approvato dal Comune, con cui sono state realizzate le aree destinate alle predette attività.
In ogni caso, le scaffalature potrebbero al più essere qualificate alla stregua di interventi sottoposti a s.c.i.a. e giammai quali nuove costruzioni, con il pertinente regime sanzionatorio; in via subordinata, si tratterebbe di manufatti di natura pertinenziale che, non concorrendo alla creazione di un volume superiore al 20% di quello degli edifici cui accedono, sarebbero assoggettabili a s.c.i.a., con l’esclusiva applicabilità, in caso di violazioni, di una sanzione di natura pecuniaria.
4.1. Le doglianze sono infondate.
In primo luogo, va evidenziato come la stessa parte ricorrente ammetta che le strutture metalliche oggetto del presente contenzioso non risultano rappresentate negli elaborati di progetto presentati all’Amministrazione comunale (ma solo nelle planimetrie inoltrate ai Vigili del Fuoco). A ciò consegue che non può ritenersi che i predetti manufatti siano stati assentiti per via implicita, tranne che non si voglia qualificarli come interventi di edilizia libera, ai sensi della normativa edilizia.
A tale proposito, la ricorrente ritiene che le scaffalature metalliche non possano rientrare nel novero degli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.7), del D.P.R. n. 380 del 2001, proprio perché non vi è trasformazione permanente di suolo inedificato (rientrano negli “interventi di nuova costruzione […] la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”).
In realtà, la giurisprudenza ritiene che la trasformazione debba essere intesa in senso funzionale e non strutturale, ossia assume rilievo decisivo non la natura del manufatto o i suoi caratteri costruttivi, ma la tipologia di esigenze che tale manufatto è destinato a soddisfare.
L’astratta rimovibilità delle opere infatti non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Le strutture metalliche sono strettamente collegate e serventi rispetto all’attività imprenditoriale svolta della ricorrente e non sono certamente destinate ad un utilizzo temporaneo e contingente.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato, VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291; 03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I, 28.06.2016, n. 655).
4.2. Quanto all’asserita natura pertinenziale dei manufatti, va chiarito che in ambito urbanistico la nozione di pertinenza è più limitata di quella afferente all’ambito civilistico; un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme (Consiglio di Stato, VI, 04.01.2016, n. 19; TAR Emilia-Romagna, Bologna, I, 28.06.2016, n. 655).
Inoltre, come si può ricavare dalla descrizione delle opere realizzate –percepibile agevolmente anche dalle numerose fotografie prodotte in giudizio dalle parti– si tratta di interventi che da un punto di vista dimensionale e costruttivo danno vita ad una nuova edificazione, alterando in modo significativo l’assetto del territorio, e quindi per essere realizzati richiedono il rilascio di un permesso di costruire, indipendentemente dalla loro proporzione rispetto all’opera che si può considerare come principale (sulla rilevanza dell’aspetto dimensionale, cfr. TAR Campania, Napoli, VI, 21.06.2017, n. 3377); del resto, ‘la qualifica di pertinenza urbanistica è (…) applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica’ (Consiglio di Stato, VI, 10.11.2017, n. 5180).
4.3. Quindi anche tali doglianze vanno respinte.
5. In conclusione, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, mentre il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.12.2017 n. 2395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici, avendo rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza e immobile principale, quanto che la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico e che vengano in rilievo manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
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Infine e nel merito, non colgono nel segno le censure di merito volte ad evidenziare la mancata considerazione della vetustà delle opere in questione e la loro prevalente natura pertinenziale.
Di contro s’osserva, da un lato, che è del tutto irrilevante che alcuni manufatti siano già da tempo esistenti, atteso che –ed al fuori da vicende condonistiche legate all’epoca di realizzazione degli abusi- possono essere oggetto di demolizioni anche quelle opere abusive che comportino un aumento del volume dell'immobile preesistente; dall’altro lato i manufatti realizzati non possono essere considerate pertinenze, e quindi non soggette all'ordinanza di demolizione, avendo la giurisprudenza amministrativa chiarito che le opere, come nel caso di specie, aventi carattere di stabilità ed aventi un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerate una mera pertinenza, costituiscono un'opera esterna per la cui costruzione occorre il permesso di costruire, non potendo fruire di regimi semplificati allorquando le loro dimensioni sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione all'edificio, come nel caso che ci occupa.
Più in generale, deve ricordarsi come la nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici, avendo rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza e immobile principale, quanto che la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico e che vengano in rilievo manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio, con la conseguenza che nel caso di specie, in ragione del dato qualitativo-quantitativo, non potrà riconoscersi siffatto carattere alle opere de quibus (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 21.06.2017 n. 3377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia di copertura su un terrazzo di un immobile - Necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire - Presupposti - Art. 44, c. 1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001.
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata (Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro, Rv. 257290).
Tettoia di copertura di un terrazzo - Pertinenza - Requisito della individualità fisica e strutturale - Nozione tecnico-giuridica di pertinenza in urbanistica.
La costruzione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un immobile non può infatti qualificarsi come pertinenza, in quanto si tratta di un'opera priva del requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza, costituendo parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata, rappresentandone un ampliamento. Essa pertanto, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele).
Infatti, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non rientra nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza, ma costituisce piuttosto parte dell'edificio cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n. 17083 del 07/04/2006, Miranda e altro).
Costituisce quindi nuova costruzione ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001 qualsiasi manufatto edilizio fuori terra o interrato. Né può farsi ricorso alla nozione di ampliamento dell'edificio preesistente, trattandosi di nuova costruzione, sia pure accessoria a detto edificio (così, complessivamente, Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino).
Natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici - Esclusione di concessione e/o autorizzazione - Criterio strutturale e non funzionale - Facile rimovibilità dell'opera - Presupposti e limiti - Art. 20 L.R. Sicilia n. 4/2003 - Giurisprudenza.
La natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014, Gulizzi; conf. Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010, Pennisi; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda).
Ed in specie, proprio per le accertate dimensioni non trascurabili del manufatto posto alla sommità dell'edificio, la normativa regionale non deve ritenersi applicabile (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.2017 n. 30121 - tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può consentire la costruzione di opere consistente impatto edilizio, in quanto l'impatto volumetrico incide in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio e, conseguentemente, si rende necessario il rilascio di permesso di costruire.
La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole, richiede che si tratti di opera collegata all'edificio principale in un rapporto di stretta e necessaria consequenzialità funzionale.
Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può essere frutto sic et simpliciter della destinazione “effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall'art. 817, comma 2, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente emergere dalla struttura stessa dell'opera destinata a servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere oggettivo e non meramente soggettivo.
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Nel caso di specie, il forno in muratura è sovrastato da una tettoia in legno coperta da tegole sorretta da colonne in ferro del tipo “innocenti” usate di norma per la realizzazione dei ponteggi edili.
Si conferma quindi che la costruzione fatta oggetto della ordinanza di demolizione è costituita da un forno, ad uso verosimilmente non commerciale e quindi ad uso familiare, aperto sui quattro lati, ne deriva che tale intervento assume natura meramente pertinenziale e rispetto al quale non è necessario il titolo abilitativo alla realizzazione.
D’altronde, quanto all’epoca di realizzazione, nella stessa ordinanza impugnata si specifica che “tutta la struttura appare di remota edificazione”.
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Quanto alla seconda realizzazione edilizia contestata per come abusiva, l’opera in questione altro non è che un annesso agricolo di modeste dimensioni (ml 6.00 x 3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) in lamiera grecata, imbullonato tramite piastre su una platea di cemento armato di eguali dimensioni ed anch’esso “appare di remota edificazione ed in uso come rimessa di attrezzi agricoli”.
Anche in questa occasione, dunque non può che confermarsi la costante interpretazione giurisprudenziale in virtù della quale ha natura di pertinenza un deposito agricolo di limitate dimensioni posto in termini accessori rispetto ad un immobile principale, con conseguente insussistenza dei presupposti per la demolizione non trattandosi di opera soggetta al previo rilascio di titoli edilizi.
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1. – Premettono i ricorrenti, che i Signori Pi.Gi. e Sa.Gi. avevano proposto gravame avverso l’ordinanza del Comune di Ariccia n. 35 dell’01.03.2007 con la quale era stata disposta la sospensione e la demolizione delle opere realizzate in via ... n. 6 in Ariccia consistenti nei seguenti interventi edilizi: la costruzione di un forno in muratura con tettoia in legno aperta da tutti e quattro i lati e la realizzazione di una rimessa per attrezzi agricoli.
Con il ricorso proposto gli originari ricorrenti chiedevano l’annullamento dell’ordinanza demolitoria di cui sopra, in quanto le opere consistevano nella realizzazione di pertinenze e comunque la loro esecuzione rimontava ad epoca remota.
2. - Successivamente alla proposizione del ricorso decedeva il Signor Gi.Pi. ed in data 23.12.2014 si costituivano gli odierni ricorrenti; pur tuttavia con decreto decisorio n. 11505 del 2015 era disposta la perenzione del ricorso. Proposta opposizione dagli odierni ricorrenti essa veniva accolta con revoca del decreto di perenzione.
Il Comune di Ariccia non si è mai costituito nel presente giudizio.
3. – I ricorrenti sostengono la illegittimità del provvedimento impugnato in quanto sia il forno, aperto sui lati e coperto da una tettoria sia la rimessa per attrezzi agricoli costituiscono opere pertinenziali rispetto alle quali non è necessario acquisire previamente il titolo abilitativo a realizzarle.
Le censure dedotte dai ricorrenti sono fondate.
4. – Come è noto, la nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può consentire la costruzione di opere consistente impatto edilizio, in quanto l'impatto volumetrico incide in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio e, conseguentemente, si rende necessario il rilascio di permesso di costruire. La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole, richiede che si tratti di opera collegata all'edificio principale in un rapporto di stretta e necessaria consequenzialità funzionale. Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può essere frutto sic et simpliciter della destinazione “effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall'art. 817, comma 2, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente emergere dalla struttura stessa dell'opera destinata a servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere oggettivo e non meramente soggettivo (cfr., tra le molte, TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 24.09.2015 n. 900).
Fermo quanto sopra nel caso di specie dalla lettura dell’ordinanza impugnata si evince che il forno in muratura è sovrastato da una tettoia in legno coperta da tegole sorretta da colonne in ferro del tipo “innocenti” usate di norma per la realizzazione dei ponteggi edili.
Si conferma quindi che la costruzione fatta oggetto della ordinanza di demolizione è costituita da un forno, ad uso verosimilmente non commerciale e quindi ad uso familiare, aperto sui quattro lati, ne deriva che tale intervento assume natura meramente pertinenziale e rispetto al quale non è necessario il titolo abilitativo alla realizzazione.
D’altronde, quanto all’epoca di realizzazione, nella stessa ordinanza impugnata si specifica che “tutta la struttura appare di remota edificazione”.
5. – Quanto alla seconda realizzazione edilizia contestata per come abusiva, dalla lettura dell’ordinanza di demolizione si evince che l’opera in questione altro non è che un annesso agricolo di modeste dimensioni (ml 6.00 x 3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) in lamiera grecata, imbullonato tramite piastre su una platea di cemento armato di eguali dimensioni ed anch’esso “appare di remota edificazione ed in uso come rimessa di attrezzi agricoli”.
Anche in questa occasione, dunque non può che confermarsi la costante interpretazione giurisprudenziale in virtù della quale ha natura di pertinenza un deposito agricolo di limitate dimensioni posto in termini accessori rispetto ad un immobile principale, con conseguente insussistenza dei presupposti per la demolizione non trattandosi di opera soggetta al previo rilascio di titoli edilizi (cfr., da ultimo, TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, 15.03.2016 n. 91).
7. – In virtù delle suesposte osservazioni i motivi di censura dedotti si presentano fondati ed il ricorso proposto va accolto, con annullamento dell’atto gravato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 17.02.2017 n. 2591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia, la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e all’oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio.
Con particolare riguardo alle tettoie o alle altre simili strutture di riparo e protezione di spazi liberi, si è difatti affermato che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici e quando, non presentino carattere di autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
Pertanto, si è riconosciuto che le tettoie aperte su tre lati e addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui accedono.

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In argomento, cfr. anche la massima, tratta dalla sentenza del TAR Campania–Napoli, che segue: “In materia edilizia, la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e all’oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio. Con particolare riguardo alle tettoie o alle altre simili strutture di riparo e protezione di spazi liberi, si è difatti affermato che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici e quando, non presentino carattere di autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono. Pertanto, si è riconosciuto che le tettoie aperte su tre lati e addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui accedono” (TAR Napoli, (Campania), Sez. VIII, 07/02/2013, n. 789) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 13.01.2016 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenza urbanistica contiene elementi differenti e propri rispetto alla nozione civilistica: il manufatto pertinenziale deve essere preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, da ciò consegue che lo stesso non ha valore di mercato autonomo, ed è dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale.
La realizzazione di una tettoia di mq. 25 circa con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici in alluminio, imbullonata alla recinzione dell’area privata, va qualificata come intervento di nuova costruzione ex art. 3, lett. e), del t.u. n. 380 del 2001, con il consequenziale assoggettamento dell’intervento medesimo, di trasformazione edilizia, al permesso di costruire.
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Diversamente da quanto ritiene parte appellante, non viene in rilievo una pertinenza, essendo stata realizzata un’opera edilizia autonoma, opera che, comportando un mutamento nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio, necessitava del permesso di costruire.
In termini generali va rammentato che l’art. 817 cod. civ. definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa.
La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza amministrativa è però meno ampia di quella civilistica.
La giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che gli elementi che caratterizzano le pertinenze siano, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente.
Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un'altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l'alterazione dell'essenza e della funzione dell'insieme.
Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe:
- la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico;
- ed ancora, i beni che nel diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
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Nella specie, si tratta di un manufatto, avente una superficie non irrilevante, forse minore dei 25 mq., ma comunque di certo non irrilevante, con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici, imbullonato alla recinzione dell’area privata e dunque tutt’altro che agevolmente rimovibile, destinato, sotto l’aspetto funzionale, a soddisfare esigenze prolungate nel tempo e in ogni caso tutt’altro che temporanee, con la conseguenza che, per la realizzazione di opere come il manufatto medesimo, occorre conseguire il permesso di costruire.
La natura strutturalmente, e funzionalmente, non precaria della tettoia, o baracca, di cui si discute, risulta dunque sussistere, al di là delle considerazioni difensive rivolte –comprensibilmente, ma infondatamente- a minimizzare l’entità dell’intervento realizzato.
Alla luce delle considerazioni su esposte è da ritenere che le caratteristiche e la funzione della struttura, realizzata con l’impiego di paletti metallici e avente, come detto, una superficie non irrilevante, non consentano di qualificare l’opera stessa come pertinenza.

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1. Ma.Da. ha impugnato, davanti al TAR del Lazio, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1858 del 21.11.2014 con la quale gli è stata ingiunta la demolizione di un’opera edilizia abusiva consistente nella realizzazione di una tettoia di mq. 25 circa con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici in alluminio, imbullonata alla recinzione dell’area privata, in sostituzione di precedente tettoia in ondulato metallico.
Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso –con la condanna del ricorrente alle spese a favore di Roma Capitale- con la motivazione che segue: il ricorrente assume l’illegittimità del provvedimento in ragione del carattere pertinenziale dell’opera rispetto al bene principale cui accede…il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nel caso di una tettoia in ferro delle dimensioni quali quelle per cui è causa e ancorata con pali fissi di metallo…per tali ragioni la realizzazione di una tettoia di tal genere, comportando la trasformazione edilizia del territorio ex art. 3 comma 1 lett. e) del D.P.R. n. 380/2001, si caratterizza, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, in termini di "nuova costruzione", tale da necessitare del previo rilascio del pertinente titolo abilitativo… (segue la citazione di precedenti giurisprudenziali per i quali la realizzazione di manufatti e di tettoie con struttura metallica e copertura in lamiere zincate simili a quello per cui è causa costituisce nuova costruzione per la quale occorre il permesso di costruire).
2. Il Da. ha proposto appello contestando statuizioni e argomentazioni della sentenza e deducendo, con un unico, articolato motivo, violazione dell’art. 26 della legge n. 1034/1971 per insufficiente motivazione, in relazione al fatto che il richiamo a precedenti giurisprudenziali non risulta nella specie integrato dalle insopprimibili specificità del caso concreto.
Il percorso motivazionale –si legge tra l’altro nell’atto d’appello- risulta insufficiente a sorreggere la decisione gravata, mentre il riferimento ai precedenti giurisprudenziali è scarno e lacunoso non avendo, la sentenza, motivato circa l’applicabilità, al caso in esame, dei precedenti giurisprudenziali relativi alla necessità del permesso di costruire per la realizzazione di tettoie.
L’opera realizzata, di dimensioni modestissime, in lamierato ondulato, destinata al ricovero di piccoli oggetti, non sarebbe né stabile né permanente e avrebbe carattere di pertinenza dell’edificio principale.
Come tale, non sarebbe soggetta a permesso di costruire, con conseguente illegittimità dell’ingiunzione di demolizione.
3. Resiste Roma Capitale.
4.L’appello è infondato e va respinto.
La sentenza breve di rigetto del Tar va confermata essenzialmente perché risulta corretta –pur nella oggettiva concisione della motivazione della pronuncia, coerente, del resto, con la natura semplificata della decisione di primo grado- la qualificazione data all’opera abusiva realizzata come intervento di nuova costruzione ex art. 3, lett. e), del t.u. n. 380 del 2001, con il consequenziale assoggettamento dell’intervento medesimo, di trasformazione edilizia, al permesso di costruire.
Diversamente da quanto ritiene parte appellante, non viene in rilievo una pertinenza, essendo stata realizzata, in base agli atti e ai documenti di causa, un’opera edilizia autonoma, opera che, comportando un mutamento nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio, necessitava del permesso di costruire.
In termini generali va rammentato che l’art. 817 cod. civ. definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa.
La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza amministrativa è però meno ampia di quella civilistica.
La giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che gli elementi che caratterizzano le pertinenze siano, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente.
Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un'altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l'alterazione dell'essenza e della funzione dell'insieme.
Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe (conf., ex plurimis, Cons. Stato, IV, n. 5509/2009 –e, ivi, numerosi riferimenti giurisprudenziali ulteriori-, secondo cui la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico; conf. inoltre Cons. Stato, sez. IV, n. 4636/2009: i beni che nel diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico; v. anche Cons. Stato, n. 2549/2011).
Nella specie, ad avviso di questo Consiglio, dalla descrizione dell’opera contenuta nell’atto impugnato, dalla fotografia in atti e in generale dalla documentazione prodotta emerge che, sul piano strutturale, si tratta di un manufatto, avente una superficie non irrilevante, forse minore dei 25 mq. ai quali si fa riferimento nella determina impugnata in primo grado, ma comunque di certo non irrilevante, con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici, imbullonato alla recinzione dell’area privata e dunque tutt’altro che agevolmente rimovibile, destinato, sotto l’aspetto funzionale, a soddisfare esigenze prolungate nel tempo e in ogni caso tutt’altro che temporanee, con la conseguenza che, per la realizzazione di opere come il manufatto medesimo, occorre conseguire il permesso di costruire.
In modo condivisibile in sentenza è stata negata natura pertinenziale al manufatto, considerandolo intervento che implica una trasformazione urbanistico–edilizia del territorio.
La natura strutturalmente, e funzionalmente, non precaria della tettoia, o baracca, di cui si discute, risulta dunque sussistere, al di là delle considerazioni difensive rivolte –comprensibilmente, ma infondatamente- a minimizzare l’entità dell’intervento realizzato.
Alla luce delle considerazioni su esposte è da ritenere che le caratteristiche e la funzione della struttura, realizzata con l’impiego di paletti metallici e avente, come detto, una superficie non irrilevante, non consentano di qualificare l’opera stessa come pertinenza.
Di qui il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.01.2015 n. 19 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATANo al barbecue fatto con la Scia.
Questa casa non è un ristorante. Stop al forno-barbecue del confinante che è stato realizzato senza permesso di costruire ma solo con la Scia in sanatoria: il vicino ottiene l'annullamento del provvedimento autorizzatorio mettendo fine ai fumi molesti che invadono casa sua, specie nel weekend. E ciò perché in ambito urbanistico il concetto di pertinenza del cespite risulta più restrittivo che in campo civile e non si può invocare quando manca un rapporto di stretta consequenzialità con l'immobile principale.

È quanto emerge dalla sentenza 24.09.2015 n. 900, pubblicata dal TAR Calabria-Reggio Calabria.
Oggetto e soggetto
Il manufatto «incriminato» è una grossa fornace con struttura portante in mattoni e cemento, chiusa da due lati: dal tetto spiovente in tegole, di ben venti metri quadrati, spuntano due vistosi comignoli.
La segnalazione di inizio attività non basta perché, diversamente che in ambito civile, in materia edilizia la pertinenza non può avvenire ex articolo 817, secondo comma c.c., per destinazione per destinazione del proprietario dell'immobile o da chi un diritto reale sul bene: per l'urbanistica conta l'oggetto e non il soggetto e dunque il rapporto di pertinenzialità deve nascere dalla struttura stessa dell'opera destinata a servizio di quella principale.
Quando i servizi dell'abitazione sono completi, allora, non può ritenersi che il forno-barbecue sia necessario: costituisce invece una costruzione autonoma che ha bisogno della concessione.
Il Comune e i vicini pagano le spese di giudizio (articolo ItaliaOggi del 14.10.2015).
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MASSIMA
3) Parte ricorrente reputa che l’intervento in questione costituisca attività di trasformazione urbanistica ed edilizia, subordinata non ad una S.c.i.a. (in sanatoria), quale quella presentata dai contro-interessati, bensì a permesso di costruire.
I contro-interessati sostengono, invece, che si tratti di un intervento pertinenziale ai sensi dell’art. 3, I comma, lett. e. 6) del T.U.Ed. e, come tale, soggetto a S.c.i.a.
Il motivo è fondato.
Precedente, numerosa e consolidata giurisprudenza ha messo in rilievo che
la nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può consentire la costruzione di opere consistenti, in quanto l’impatto volumetrico incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio e, conseguentemente, si rende necessario il rilascio di permesso di costruire
La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole, richiede che si tratti di opera collegata all’edificio principale in un rapporto di stretta e necessaria consequenzialità funzionale
(ex multis, da ultimo, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 07.05.2015, n. 789).
Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può essere frutto sic et simpliciter della destinazione “effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall’art. 817, II comma, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente emergere dalla struttura stessa dell’opera destinata a servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere oggettivo e non meramente soggettivo.
In un caso del tutto analogo a quello che qui ci occupa (corpo separato adibito a forno con dimensioni raggiungenti un’altezza di mt. 2,20 con copertura sporgente in mattoni), è stata già negata la “individuabilità di un obiettivo rapporto pertinenziale, connaturale alla struttura del fabbricato principale … il quale appare invece come una realizzazione autonoma ed a sé stante” (TAR Lazio, Roma, Sezione II-ter, n. 7292/2002) in ragione della completezza dei servizi situati nella costruzione principale, adibita ad uso residenziale e della mancanza di ogni collegamento, anche funzionale, con l’edificio abitativo.
In applicazione di tali principi, anche il Giudice penale ha affermato che “
non costituisce pertinenza, ed abbisogna di concessione, un forno costruito come corpo separato dal fabbricato, sul confine del fondo” (Cass. pen., 09.02.1990, in Riv. pen., 1991, 201).
Ne consegue la necessità del rilascio del permesso di costruire e la non realizzabilità dell’intervento in questione tramite S.C.I.A.
L’art. 37, IV comma, T.U.Ed., pertanto, non è applicabile al caso di specie dal che deriva l’illegittimità della nota prot. n. 10977 del 23.08.2013 con cui il Comune resistente ha ritenuto di definire positivamente il procedimento di sanatoria ivi previsto.
...
5) Quanto alla domanda di annullamento dell’autorizzazione in deroga ex art. 60 del D.P.R. n. 753/1980 prot. n. 1736, rilasciata da R.F.I. in data primo luglio 2013 si osserva quanto segue.
L’art. 60 del D.P.R. n. 753/1980 prevede che quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni e le particolari circostanze lo consentano, possono essere autorizzate riduzioni alle distanze prescritte dagli articoli dal 49 al 56.
L'art. 49 prevede il divieto lungo i tracciati delle linee ferroviarie di costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza minore di trenta metri dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia.
In base all’art. 64, II comma, c.p.a., il manufatto adibito a forno deve ritenersi posizionato a 5 metri dalla prima rotaia della linea ferroviaria. Tale circostanza, a prescindere dalle varie planimetrie di parte allegate, è affermata dal ricorrente e non è stata contestata, neanche genericamente, dalle parti costituite.
Per quanto riguarda R.F.I., non costituita, non v’è dubbio che comunque la distanza sia inferiore a metri 30.
Parte ricorrente, in considerazione delle dimensioni e della particolare vicinanza del manufatto alla linea ferroviaria, contesta nel merito (e, dunque inammissibilmente) la scelta effettuata dall’Autorità ferroviaria, denunciando la pericolosità per la sicurezza pubblica dell’opera assentita in deroga, ed eccepisce il difetto di istruttoria e di motivazione.
La censura relativa al difetto di motivazione è meritevole di accoglimento.
Deve rilevarsi che
la normativa di settore, definendo soltanto le eventuali ragioni di sicurezza ferroviaria, conservazione delle ferrovie, natura dei terreni e altro, poste a base dell'autorizzazione alla deroga alle distanze e non anche i presupposti, le condizioni o i parametri per esprimere un eventuale diniego, attribuisce all’Amministrazione una ferroviaria un’ampia discrezionalità.
E’ evidente, inoltre, come
il Legislatore abbia configurato la deroga alle distanze come ipotesi del tutto eccezionale: come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, “il disposto dell' art. 60, D.P.R. 11.07.1980, n. 753 va interpretato nel senso che, in mancanza delle cause ostative ivi previste (sicurezza pubblica, conservazione delle ferrovie, natura dei terreni e particolari circostanze locali), l'amministrazione sia non già obbligata a rilasciare l'autorizzazione in deroga, bensì semplicemente facultata a valutare discrezionalmente l'opportunità di rilasciare o meno l'autorizzazione stessa; nel senso, cioè, che la mancanza di dette cause costituisca un presupposto necessario ma non sufficiente per il rilascio dell'autorizzazione (in tal senso, da ultimo, TAR Piemonte, Sez. II, 23.01.2015, n. 151).
Dall’ampiezza della discrezionalità e dalla eccezionalità della deroga non può che derivare in capo all’Amministrazione un onere motivazionale rafforzato.
La motivazione dell’autorizzazione in deroga prot. n. 1736 del primo luglio reca i seguenti passaggi:
a) (all’ottava riga) “Visto il parere sulla sicurezza pubblica e sull’esercizio ferroviario del 19.06.2013”;
b) (alla decima riga) “Vista l’avvenuta eliminazione della canaletta di raccolta acque piovane e la definitiva chiusura del cancello con blocchi di cemento per comunicato dalla Ditta richiedente in data 24.05.2013”;
c) (all’undicesima riga) “considerato che viene garantita la sicurezza pubblica e dell’esercizio delle ferrovie, nonché delle opere, della sede e degli impianti ferroviari”;
d) (alla dodicesima riga) “considerato che la zona dove ricade l’opera da mantenere, allo stato attuale, non è interessata da potenziamenti o ampliamenti, né da varianti alla linea F.S.:
e) (alla tredicesima riga) “considerato che il patrimonio è garantito per il rispetto delle norme vigenti
”.
Appare evidente che, in disparte il non chiaro contenuto motivazionale del solo indicato parere del 19.06.2013,
l’autorizzazione è stata rilasciata senza dare conto della comparazione tra l’interesse del richiedente al mantenimento del manufatto e l’interesse pubblico alla sicurezza dell’esercizio delle ferrovie, comparazione da effettuare alla luce della caratteristiche dimensionali (per stessa ammissione dei contro interessati, il manufatto ha una dimensione di 17,66 mq ed è alto almeno tre metri, sempre in considerazione della mancata contestazione di quanto affermato dal ricorrente) e funzionali dell’opera abusiva, adibita a forno e barbecue, nonché della ravvicinata distanza alla linea ferroviaria.

EDILIZIA PRIVATA: L’attività edilizia deve essere compatibile con le destinazioni impresse sull’area dagli strumenti urbanistici.
L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone, inoltre, che: «Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso».
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, per definire l’ambito applicativo della norma riportata, che:
i) «manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale»;
ii) «non vi è dubbio sulla assenza della natura pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio essendo ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti:
   a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;
   b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico', confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato».

5.2.– Con il secondo e terzo motivo si deduce, in primo luogo, l’erroneità della sentenza per avere il Tribunale affermato che le opere contestate avrebbero determinato il cambio di destinazione dell’area da agricola ad industriale.
La circostanza che il sig. Ca. sia socio e presidente di una attività di autotrasporto e che impieghi l’area in questione anche per parcheggiare sulla stessa gli automezzi di sua proprietà non potrebbe essere sufficiente a dimostrare il contestato mutamento di destinazione. Le opere, indicate nell’ordinanza di demolizione, si aggiunge, sarebbero tutte compatibili con l’attività agricola.
In secondo luogo, si assume come gli interventi edilizi singolarmente considerati avrebbero valenza precaria e in quanto tali per la loro esecuzione non sarebbe necessario il previo rilascio del permesso di costruire.
Infine, si deduce come, anche in relazione al motivo accolto dal primo giudice relativo alla recinzione, il Tribunale non avrebbe dovuto affermare che la recinzione non è conforme alla autorizzazione edilizia n. 11 del 1985 ma si sarebbe dovuto limitare, in conformità alla domanda, a rilevare come, in presenza di tale tipologia di interventi soggetti a denuncia di inizio attività, non si può adottare un ordine di demolizione.
I motivi non sono fondati.
L’attività edilizia deve essere compatibile con le destinazioni impresse sull’area dagli strumenti urbanistici.
L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone, inoltre, che: «Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso».
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, per definire l’ambito applicativo della norma riportata, che:
i) «manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale» (Cons. Stato, sez. IV, 03.06.2014, n. 2842);
ii) «non vi è dubbio sulla assenza della natura pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio essendo ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti:
   a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;
   b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico', confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato
» (Cons. Stato, sez. VI, 29.01.2015, n. 406).
Nella fattispecie in esame il terreno su cui sono state realizzati gli interventi ha natura agricola.
La valutazione contestuale della natura dell’attività svolta dal sig. Ca., dell’impiego di parte dell’area per il parcheggio degli automezzi, della natura di altre opere (descritte nei successivi punti) inducono a ritenere, avuto riguardo alle fotografie prodotte in giudizio, che di fatto si sia realizzato il cambio di destinazione ritenuto abusivo. La circostanza che alcune delle opere realizzate sarebbero compatibili con la natura agricola dell’area non è comunque in grado di inficiare la legittimità della valutazione complessiva opera dall’autorità comunale.
Quanto esposto sarebbe già di per sé a ritenere abusivi gli interventi compiuti.
A ciò si aggiunga come, anche a volere considerare tali interventi singolarmente, gli stessi sono comunque illeciti perché non sorretti dal necessario titolo abilitativo.
In particolare, le opere contestate sono le seguenti: ampliamento del fabbricato condonato esistente modificato mediante realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata quale ufficio; prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati dotato di porta e finestra in alluminio e vetro ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato su traversine in cemento; buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri; servizio igienico prefabbricato ancorato al suolo; sei strutture tipo box, in lamiera e legno, appoggiati su una platea in calcestruzzo; tre porticati adiacenti alle baracche, appoggiati o ancorati a platea in calcestruzzo; tre container in lamiera, usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in calcestruzzo; serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento; pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio.
E’ sufficiente la descrizione delle opere per comprendere come si tratti di interventi che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non possono definirsi né precari né pertinenziali, con conseguente necessità del permesso di costruire per la loro realizzazione.
Per quanto attiene, infine, alla censura relativa alla recinzione, è sufficiente rilevare come l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la non conformità di tale recinzione all’autorizzazione edilizia abbia costituito una mera argomentazione motivazionale. Non sussiste, pertanto, interesse alla sua contestazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.09.2015 n. 4124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia edilizia è qualificabile pertinenza qualsiasi manufatto strumentale rispetto ad uno principale e di dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo; più in particolare la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato pertinenza quando non solo è preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un c.d. carico urbanistico.

8. Infondata è la censura, articolata nella prima parte del primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce il difetto di presupposti e il connesso di difetto di motivazione e di istruttoria, per essere la gravata ordinanza di demolizione riferita ad un manufatto di carattere pertinenziale, non qualificabile pertanto quale nuova costruzione e non sanzionabile ai sensi dell’invocato disposto dell’art. 31 D.P.R. 380/2001.
Va infatti rammentato che secondo la costante giurisprudenza “In materia edilizia è qualificabile pertinenza qualsiasi manufatto strumentale rispetto ad uno principale e di dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo; più in particolare la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce; inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato pertinenza quando non solo è preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un c.d. carico urbanistico” (da ultimo Consiglio di Stato sez. VI, 05/01/2015, n. 13).
Da ciò la non configurabilità del carattere pertinenziale del manufatto di cui è causa, non avendo parte ricorrente allegato i relativi presupposti, neppure indicando la destinazione del medesimo e le ragioni del suo asservimento al manufatto principale, sulla cui esistenza e consistenza del pari nulla ha allegato e provato.
Inoltre dal combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), del D.P.R. n. 380/2001, che configura espressamente come interventi di nuova costruzione anche gli “interventi pertinenziali … che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”, con i successivi articoli 10, comma 1, lettera a), che subordina al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, e 31, comma 2, che prevede la sanzione della demolizione per gli interventi edilizi di nuova costruzione eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire, risulta che l’Amministrazione ha correttamente ordinato la demolizione delle opere abusive di cui trattasi, consistenti nella realizzazione di un manufatto fuori terra, perché la parte ricorrente non ha adeguatamente provato che il nuovo volume realizzato è inferiore al 20% del volume dell’edificio principale, la cui consistenza, come detto, non è stata neppure allegata.
Da ciò la piena applicabilità della sanzione demolitoria ex art. 31 D.P.R. 380/2001, dovendosi qualificare quale nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e)1, D.P.R. 380/2001 “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6”), secondo cui sono interventi di nuova costruzione “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
Ciò in quanto, giova ripeterlo, parte ricorrente non ha in primo luogo provato trattarsi di manufatto di carattere pertinenziale -non avendo neppure indicato quale sarebbe il manufatto principale– ed in secondo luogo in quanto non ha provato che si tratti di pertinenza avente una consistenza volumetrica inferiore al 20% del manufatto principale, essendo comunque le pertinenze di maggiore consistenza asservite al regime delle nuove costruzioni (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 23.06.2015 n. 3321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione tettoia di copertura.
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata.
Ciò in quanto, in urbanistica, il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio stesso appartiene senza autonomia alla sua struttura.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, la Corte di merito -pronunciandosi sulla medesima doglianza qui riproposta- ha evidenziato con argomento adeguato e privo di censure logiche che la tettoia realizzata non poteva affatto esser qualificata quale mera pertinenza edilizia; ciò alla luce delle rilevanti dimensioni (circa 200 mq.) e del carattere del manufatto stesso, che «costituisce, all'evidenza, una forma di ampliamento del fabbricato cui inerisce» (il ristorante).
In sintesi, non un "servizio", ma una "integrazione" della costruzione principale, parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile.
In tal modo, dunque, la sentenza ha fatto buon governo del principio, più volte affermato in sede di legittimità, secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata (Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2014, Salanitro, Rv. 257290; Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3, n. 40843 dell'11/10/2005, Daniele, Rv. 232363); ciò in quanto, in urbanistica, il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio stesso appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n. 17083 del 07/04/2006, Miranda, Rv. 234193).
Il motivo, pertanto, non può essere accolto
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.05.2015 n. 20544 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.
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Nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei riguardi di essa.

2. - I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro complementari, si incentrano sull’inesistenza di un’opera edilizia, la cui realizzazione avrebbe richiesto un titolo abilitativo, allegandosi che peraltro, ai sensi dell’art. 3, lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004, le opere pertinenziali richiedono il permesso di costruire ove comportanti una nuova volumetria urbanistica od una superficie utile coperta, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove manca qualsivoglia copertura, tale non potendosi ritenere il telo di copertura.
I motivi non appaiono meritevoli di positiva valutazione, e devono pertanto essere disattesi.
A prescindere dall’esatta collocazione temporale del manufatto, e dunque anche ad ammettere che risalga al 2000, od anche, per ipotesi estrema, al 1985, sul piano obiettivo si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire avendo una dimensione di ml. 7,25x3,80, con altezza variabile da ml. 2,25 a ml. 2,80, e posto sul confine di proprietà, a distanza non regolamentare dalla viabilità pubblica (circa quattro metri), destinato a posto auto coperto.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
In tale prospettiva, anche sul piano normativo l’art. 3, lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004 qualifica come “interventi di nuova costruzione” le opere pertinenziali agli edifici che comportino nuova volumetria urbanistica o superficie utile coperta; l’art. 21 del regolamento regionale 03.11.2008, n. 9 specifica che necessitano di permesso di costruire le opere pertinenziali, quali pergole e gazebo che abbiano una superficie utile coperta non superiore a mq. 20,00 e di altezza non superiore a ml. 2,40, desumendosi dunque in materia edilizia un’accezione diversa da quella civilistica di pertinenza.
In particolare, nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei riguardi di essa (Cons. Stato, Sez. V, 28.04.2014, n. 2196) (TAR Umbria, sentenza 16.02.2015 n. 81 - link a www.giustizia-amminitrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quanto alle pertinenze, la nozione generale è contenuta nell’art. 817 del Codice civile (che le definisce come “cose destinate, in modo durevole, a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ma si tratta di nozione che presenta peculiarità in materia urbanistico-edilizia, con riferimento ad opere preordinate funzionalmente ad una oggettiva (e non già soggettiva) esigenza dell’edificio principale, prive di possibile diversa utilizzazione autonoma e, pertanto, non incidenti sul carico urbanistico e senza proprio valore di mercato, come nel caso di un’autorimessa asservita all’abitazione (non certo anche in caso di ampliamento –o sopraelevazione– dell’abitazione stessa.
Quanto alle pertinenze, la nozione generale è contenuta nell’art. 817 del Codice civile (che le definisce come “cose destinate, in modo durevole, a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ma si tratta di nozione che presenta peculiarità in materia urbanistico-edilizia, con riferimento ad opere preordinate funzionalmente ad una oggettiva (e non già soggettiva) esigenza dell’edificio principale, prive di possibile diversa utilizzazione autonoma e, pertanto, non incidenti sul carico urbanistico e senza proprio valore di mercato, come nel caso di un’autorimessa asservita all’abitazione (non certo anche in caso di ampliamento –o sopraelevazione– dell’abitazione stessa: cfr. anche, per il principio, Cons. Stato, II, 12.05.1999, n. 729/99; 26.04.2002, n. 2560/2001; IV, 08.11.2011, n. 5905; V, 24.07.2014, n. 3952; IV, 26.08.2014, n. 4290).
Le opere nella fattispecie contestate –descritte nei termini in precedenza riportati, con ulteriore, chiara documentazione fotografica versata in atti– non appaiono riconducibili alle richiamate nozioni di “volume tecnico”, o di “pertinenza”.
Appaiono significative in tal senso le seguenti caratteristiche oggettive, non smentite (e, almeno in parte, difficilmente confutabili) dalla parte appellante: la già effettuata suddivisione del manufatto in più ambienti (uno dei quali preordinato ad una tipica funzione abitativa, come quella riconducibile ai servizi igienici), la presenza di regolare porta di accesso e finestratura, nonché l’altezza (pari al colmo a m. 2.70), sicuramente idonea ad assicurare l’abitabilità di una parte almeno della superficie complessiva, come di consueto avviene per le mansarde, sottostanti ad un tetto spiovente (con conseguente irrilevanza dell’altezza media, attestata dal tecnico di parte); esclude la natura di sottotetto termico, inoltre, l’assenza di precise indicazioni circa esigenze, o specifici impianti tecnologici, tali da giustificare un’altezza massima ed una consistenza volumetrica che –per dato di comune esperienza, ai sensi dell’art. 115 Cod. proc. civ.– appaiono sproporzionate in rapporto a mere esigenze di protezione dell’edificio sottostante dal caldo, dal freddo e dall’umidità.
Non appare priva di rilevanza, peraltro, la segnalata presenza di incannucciata in legno, atta ad occultare o rendere meno evidenti i lavori in corso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.01.2015 n. 175 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: La caratteristica delle pertinenze è quella dell’esistenza di un rapporto di oggettiva strumentalità necessaria con la cosa principale. In altre parole la pertinenza non può avere una sua destinazione autonoma e diversa dal servizio della cosa principale.
Tale carattere deve essere oggettivamente apprezzabile, cioè la pertinenza oggettivamente considerata non deve essere suscettibile di apprezzabili (cioè normalmente esercitabili) utilizzi autonomi.
Di conseguenza non deve avere un proprio valore di mercato. Infine la stessa non deve essere esprimibile in termini di cubatura o di volume.
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I manufatti realizzati sono costituiti da pollai, magazzini e ricovero autovetture, manufatti che sono privi di una oggettiva strumentalità necessaria, potendo gli stessi essere autonomamente apprezzabili ed utilizzabili indipendentemente dalla destinazione servente a quella del’immobile principale.
Così i pollai possono essere autonomamente utilizzati anche se non in relazione con una abitazione e altrettanto vale per i magazzini e a maggior ragione per il ricovero autovettura il quale ben può avere una autonoma utilizzabilità a prescindere con il collegamento ad un altro immobile.

Con il quarto motivo si sostiene la natura pertinenziale dei manufatti in questione.
Il motivo è infondato.
La caratteristica delle pertinenze è quella dell’esistenza di un rapporto di oggettiva strumentalità necessaria con la cosa principale. In altre parole la pertinenza non può avere una sua destinazione autonoma e diversa dal servizio della cosa principale. Tale carattere deve essere oggettivamente apprezzabile, cioè la pertinenza oggettivamente considerata non deve essere suscettibile di apprezzabili (cioè normalmente esercitabili) utilizzi autonomi. Di conseguenza non deve avere un proprio valore di mercato. Infine la stessa non deve essere esprimibile in termini di cubatura o di volume.
Orbene dall’esame del provvedimento impugnato si evince come i manufatti in questione siano costituiti da pollai, magazzini e ricovero autovetture.
Si tratta tutti di manufatti che sono privi di una oggettiva strumentalità necessaria, potendo gli stessi essere autonomamente apprezzabili ed utilizzabili indipendentemente dalla destinazione servente a quella del’immobile principale. Così i pollai possono essere autonomamente utilizzati anche se non in relazione con una abitazione e altrettanto vale per i magazzini e a maggior ragione per il ricovero autovettura il quale ben può avere una autonoma utilizzabilità a prescindere con il collegamento ad un altro immobile (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 30.12.2014 n. 1975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire.
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano eseguite in totale difformità dalla concessione e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione".
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Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari.

A parte il rilievo che i ricorrenti nemmeno indicano rispetto a quale manufatto le opere sarebbero pertinenziali vale quanto da tempo affermato dalla giurisprudenza secondo cui “il concetto di pertinenza civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire” (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 07.04.2011, n. 2159).
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano eseguite in totale difformità dalla concessione e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione” (Tar Campania, questa sesta sezione, n. 5835 del 18.12.2013 e n. 2245 del 30.04.2013, nel cui seno è richiamata Cass. Penale, sezione terza, pronuncia n. 2733 del 31.01.1994).
Quest’ultimo ragionamento può essere ripercorso relativamente ai realizzati sbancamenti e ampliamenti edilizi descritti nell’ordinanza di demolizione.
Quanto alla asserita precarietà (per i materiali utilizzati) delle opere descritte sub i), p) q) ed s) del ricorso (sostituzione della copertura di un terrazzo in lamiera completa di controsoffittatura in legno; manufatto di 19,5 mq.; baracca di 75 mq., tettoia di 36 mq in legno) la giurisprudenza ha evidenziato che "Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire. Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari" (Consiglio di Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4850).
Nella fattispecie, non vi è alcun indice (né viene dedotto – la precarietà è meramente affermata) della sussistenza dei requisiti sopra richiamati per considerare le opere precarie e non soggette a permesso di costruire.
Relativamente al mutamento di destinazione d’uso sub h) si rileva che la contestazione riguarda la realizzazione delle relative opere e non il mutamento in sé (che nella prospettazione di parte ricorrente non avrebbe determinato aumento del carico urbanistico)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 12.11.2014 n. 5804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Requisito della contiguità.
Domanda
Nel campo delle pertinenze, il requisito oggettivo della contiguità come va individuato?
Risposta
La Corte di cassazione, con la sentenza del 10.06.2011, numero 12855, ha affermato che, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e ben accessorio, è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi al medesimo soggetto nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi un'utilità al bene principale e non al proprietario di esso.
Inoltre, sempre per la Corte di cassazione (sentenza del 13.11.2009, numero 24104), affinché il vincolo pertinenziale tra due beni autonomi e distinti, siano essi beni mobili o immobili, possa costituirsi ed il relativo regime, che postula l'esclusività della funzione accessoria, possa funzionare, è necessario che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità, anche della cosa accessoria e che la destinazione pertinenziale, specie quando essa derivi da un atto non negoziale, sia attuale ed effettiva e non meramente potenziale, dovendo risultare da un comportamento oggettivamente valutabile.
Pertanto, per i Supremi giudici, non ricorre un vincolo pertinenziale, ma semmai un rapporto di comproprietà o di servitù, nell'ipotesi di un immobile contemporaneamente adibito a servizio di diversi altri immobili appartenenti a proprietari diversi, né tale vincolo sussiste quando il collegamento funzionale sia previsto solo in prospettiva futura, come in un progetto finalizzato all'edificazione con riguardo a immobili poi venuti ad esistenza in capo a diversi proprietari.
Inoltre il comproprietario della cosa accessoria, anche se titolare esclusivo di quella principale, non può costituire il vincolo pertinenziale senza l'assenso degli altri contitolari. E ciò al fine precipuo di evitare la creazione di un limite in pregiudizio di tutti i comproprietari (articolo ItaliaOggi Sette del 27.10.2014).

EDILIZIA PRIVATA: Per la realizzazione di una tettoia aperta su tre lati non è, in linea di principio, richiesto il permesso di costruire, essendo sufficiente la presentazione di una denunzia di inizio attività (ora segnalazione certificata di inizio attività a seguito della novella introdotta con l’art. 49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.07.2010, n. 122).
Quindi le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti –come quella in esame- costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono.
Tali opere possono ritenersi liberamente edificabili qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente la loro natura pertinenziale per una riconoscibile ed evidente finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
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Per le stesse ragioni, si è ritenuto che una simile struttura rientri tra gli interventi minori per i quali l’art. 167, quarto comma, del D.Lgs. 42/2004 ammette la valutazione della compatibilità paesaggistica postuma, in quanto essi non determinano creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.

Secondo consolidata giurisprudenza dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, per la realizzazione di una tettoia aperta su tre lati non è, in linea di principio, richiesto il permesso di costruire, essendo sufficiente la presentazione di una denunzia di inizio attività (ora segnalazione certificata di inizio attività a seguito della novella introdotta con l’art. 49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.07.2010, n. 122).
Quindi le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti –come quella in esame- costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 20.03.2012 n. 1371; TAR Umbria, 29.01.2014 n. 82; TAR Lazio, Latina, 03.03.2010 n. 205; TAR Puglia, Bari, 08.10.2009 n. 2375).
Tali opere possono ritenersi liberamente edificabili qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente la loro natura pertinenziale per una riconoscibile ed evidente finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (TAR Campania, Napoli, Sezione III, 25.07.2011 n. 3947): per le stesse ragioni, si è ritenuto che una simile struttura rientri tra gli interventi minori per i quali l’art. 167, quarto comma, del D.Lgs. 42/2004 ammette la valutazione della compatibilità paesaggistica postuma, in quanto essi non determinano creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
Tali caratteristiche sussistono nel caso in esame, controvertendosi per l’appunto di una tettoia di modeste dimensioni aperta su tre lati e aderente sul quarto lato a parte del fabbricato, onde la medesima non può ritenersi soggetta a preventivo titolo autorizzatorio edilizio, con conseguente illegittimità della impugnata sanzione demolitoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 10.09.2014 n. 4869 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale.
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La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
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Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio.
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La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.

Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto, non è neppure possibile ritenere che le singole opere indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n. 3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato su traversine in cemento, costituisce un’opera avente stabilità e continuità, necessaria all’esercizio dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune, sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera, usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli, sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709); parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che, secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio: <<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto che sia qualificabile pertinenza, dal punto di vista urbanistico-edilizio, qualsiasi manufatto strumentale rispetto ad uno principale di dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo.
La giurisprudenza ha già precisato che:
- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce;
- a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di un ‘autonomo valore di mercato’ e non comporta un cosiddetto carico urbanistico.
Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio generale per il quale -per ogni nuova volumetria- occorre il rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente efficacia equivalente): ai sensi dell’art. 10, primo comma, lettera a), del testo unico approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001 (in cui è stato trasfuso in parte qua e con modificazioni l’art. 4 della legge n. 47 del 1985, rilevante nel presente giudizio ratione temporis), occorre il rilascio del permesso di costruire (così come in precedenza occorreva il rilascio di una concessione edilizia) per la realizzazione di una ‘nuova costruzione’.
Non può esservi alcun dubbio sulla assenza della natura pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio.
A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004).
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Nella fattispecie in esame, le opere realizzate consistono in un pollaio di 40 mc., una concimaia ed una struttura con cisterna per deposito di gasolio.
Esse non possono essere valutate come mere pertinenze, avendo la nozione di “pertinenza” in ambito edilizio, come sopra ricostruita, un significato assai circoscritto e limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco valore e non autonomamente utilizzabili e che non occupano una superficie ulteriore rispetto al manufatto principale.
Tutte le opere in questione, infatti, presentano invece un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della attività di allevamento o di stoccaggio di carburante, occupano una superficie diversa e ulteriore rispetto al manufatto che si assume come principale e sono palesemente idonee a modificare l’assetto territoriale, vista l’incidenza che le correlate attività produttive hanno anche ai fini del carico urbanistico.
Pertanto, poiché tutte le opere in questione non possono essere valutate come mere opere pertinenziali le stesse necessitano di titolo edilizio ed in sua assenza del tutto legittimamente l’amministrazione ne dispone la demolizione.

La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, ha ritenuto che sia qualificabile pertinenza, dal punto di vista urbanistico-edilizio, qualsiasi manufatto strumentale rispetto ad uno principale di dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo (Cons. St., Sez. V, 12.02.2013, n. 817).
La giurisprudenza ha già precisato che:
- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce (Cons. St., Sez. IV, 02.02.2012, n. 615);
- a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di un ‘autonomo valore di mercato’ e non comporta un cosiddetto carico urbanistico (Cons. St., Sez. V, 31.12.2008, n. 6756; Id., 13.06.2006, n. 3490).
Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio generale per il quale -per ogni nuova volumetria- occorre il rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente efficacia equivalente): ai sensi dell’art. 10, primo comma, lettera a), del testo unico approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001 (in cui è stato trasfuso in parte qua e con modificazioni l’art. 4 della legge n. 47 del 1985, rilevante nel presente giudizio ratione temporis), occorre il rilascio del permesso di costruire (così come in precedenza occorreva il rilascio di una concessione edilizia) per la realizzazione di una ‘nuova costruzione’.
Non può esservi alcun dubbio sulla assenza della natura pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio.
A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004: cfr. Sez. VI, 26.03.2013, n. 1671; Sez. VI, 20.06.2012, n. 3578).
Nella fattispecie in esame, le opere realizzate consistono in un pollaio di 40 mc., una concimaia ed una struttura con cisterna per deposito di gasolio.
Esse non possono essere valutate come mere pertinenze, avendo la nozione di “pertinenza” in ambito edilizio, come sopra ricostruita, un significato assai circoscritto e limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco valore e non autonomamente utilizzabili e che non occupano una superficie ulteriore rispetto al manufatto principale.
Tutte le opere in questione, infatti, presentano invece un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della attività di allevamento o di stoccaggio di carburante, occupano una superficie diversa e ulteriore rispetto al manufatto che si assume come principale e sono palesemente idonee a modificare l’assetto territoriale, vista l’incidenza che le correlate attività produttive hanno anche ai fini del carico urbanistico.
Pertanto, poiché tutte le opere in questione non possono essere valutate come mere opere pertinenziali, va respinto il terzo motivo di censura del ricorso di primo grado, sul quale si è fondata la sentenza di accoglimento ricorso del TAR.
I manufatti descritti negli impugnati provvedimenti necessitavano, infatti, di titolo edilizio ed in sua assenza del tutto legittimamente l’amministrazione ne ha disposta la demolizione.
Per le ragioni che precedono, l’appello del Comune risulta fondato e va accolto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.06.2014 n. 3074 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico.
D’altra parte, l’affermata natura pertinenziale delle opere in contestazione nemmeno può essere invocata, con la pretesa automaticità, per elidere il potere repressivo dell’Amministrazione intimata. I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale, invero, non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste qui smentite –per le ragioni suddette– dalle risultanze istruttorie e la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato (cfr. Consiglio di Stato sez. V, n. 4997 del 14.10.2013; Cons. Stato, Sez. V, 11.06.2013 n. 3221) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il casotto in legno, con tettoia a doppia falda sviluppa una superficie utile di mq. 14,44 con altezza al colmo di mt. 2,63, non può qualificarsi alla stregua di pertinenza, sebbene posta al servizio dell’immobile principale, tenendo presente che, ai fini urbanistici, la strumentalità propria della nozione civilistica prescinde dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario.
Non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad esso poiché occupano e creano aree e volumi diversi, come avviene nel caso di specie con la creazione di una nuova volumetria.

Il casotto, di cui al punto 6 delle premesse dell’atto impugnato, avrebbe, poi, natura pertinenziale e meramente accessoria rispetto al manufatto principale.
La censura deve essere respinta in quanto il casotto in legno, ubicato lungo il viale, con tettoia doppia falda sviluppa una superficie utile di mq. 14,44 con altezza al colmo di mt. 2,63, non può qualificarsi alla stregua di pertinenza, sebbene posta al servizio dell’immobile principale, tenendo presente che, ai fini urbanistici, la strumentalità propria della nozione civilistica prescinde dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario; non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad esso poiché occupano e creano aree e volumi diversi, come avviene nel caso di specie con la creazione di una nuova volumetria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 816 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le tettoie in esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto paesaggistico.
Infatti, la realizzazione di simili manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente.
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La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a permesso di costruire con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985 in caso di abusività …. Si deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante permesso di costruire.

Passando al rigetto dell’istanza in relazione alle tettoie, va detto che l’Amministrazione intimata rileva che non sarebbero stati pagati né le oblazioni né il contributo di costruzione come richiesto dall’art. 36, co. 2, D.P.R. 380/2001 («il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso»).
Tale circostanza, non contestata da parte ricorrente, già varrebbe a respingere il motivo di impugnazione, ma è opportuno precisare che, come rilevato nella Sentenza n. 372/2010 -non impugnata- relativa al ricorso proposto dalla medesima ricorrente avverso l’ordinanza di demolizione che aveva attinto le stesse opere qui contemplate, le tettoie in esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto paesaggistico. Infatti, «la realizzazione di simili manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente (cfr. in un caso analogo, TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059)».
«La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a permesso di costruire con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985 in caso di abusività (ancora, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492)…. Si deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante permesso di costruire».
Ebbene, le medesime considerazioni valgono qui ad escludere la compatibilità delle opere con il vincolo paesistico, particolarmente stringente nella zona ove esse insistono, qualificata “zona a protezione integrale” (art. 11 P.T.P.) dove sono consentiti solo limitati interventi volti alla conservazione e al miglioramento del verde, alla prevenzione degli incendi o alla rimozione di barriere architettoniche
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deve essere esclusa la natura pertinenziale delle tettoie costruite (abusivamente) poiché, come chiarito dalla costante giurisprudenza anche di questa sezione, la nozione di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale.
Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento, che gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite. Ebbene, nel caso di specie, le tettoie presentano una dimensione incompatibile con la qualificazione come pertinenza integrando una rilevante modifica della sagoma dell’edificio stesso.
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L’art. 27, co. 2, D.P.R. 380/2001 non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico.

Il provvedimento impugnato attinge due tettoie poste rispettivamente sul lato nord e sul lato sud del manufatto adibito ad abitazione l’una di mq 7,5 e l’altra di mq 19 e ne ordina la demolizione ai sensi dell’art. 27 d.p.r. 380/2001, essendo state edificate senza titolo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
È opportuno trattare per prima la seconda censura con la quale si lamentano plurimi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere, ossia che le opere non avrebbero comportano “modifiche o alterazioni dei volumi”, che avrebbero natura pertinenziale e che, pertanto, sarebbero state assentibili con mera D.I.A. senza necessità del previo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 149 D.lgs. 42/2004. Tali opere, quindi, non sarebbero state sanzionabili con la demolizione ma, al più, con l’applicazione di una sanzione pecuniaria e, inoltre, il provvedimento non si sarebbe potuto limitare a dichiarare l’abusività dell’opera, ma avrebbe dovuto qualificare le opere al fine di definirne il regime autorizzatorio.
Simili argomentazioni non hanno alcun pregio in quanto le opere, per entità ed estensione, costituiscono senza alcun dubbio nuova costruzione integrando un’alterazione dello stato dei luoghi e della sagoma dell’edificio a cui accedono.
Deve, altresì, essere esclusa la natura pertinenziale delle tettoie poiché, come chiarito dalla costante giurisprudenza anche di questa sezione, la nozione di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3127).
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento, che gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite. Ebbene, nel caso di specie, le tettoie presentano una dimensione incompatibile con la qualificazione come pertinenza integrando una rilevante modifica della sagoma dell’edificio stesso (TAR Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492; TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999; v. pure il precedente di questa Sezione, Sent. n. 16446/2010).
Sul punto, non occorre spendere ulteriori argomentazioni in quanto, a ben vedere, non rileva, in questa sede, se le opere potessero o meno essere assentite in virtù della presentazione di una mera D.I.A.. Infatti, quand’anche si ritenessero tali le opere qui sanzionate, va detto che l’applicazione della sanzione demolitoria (ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001) sarebbe, comunque, doverosa, essendo, peraltro, incontestato che non sia stata presentata neppure la D.I.A. e che non sia, conseguentemente, stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.
Si osserva, comunque, che l’art. 27, co. 2, D.P.R. 380/2001 non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 788 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rustico (abusivo) in argomento ha una superficie dichiarata nella domanda di condono di mq. 36,41 e nella tavola progettuale di mq. 46,20 cui devono aggiungersi mq. 14.49 del portico e un’altezza massima di mt. 2,80 e minima di mt. 2,55.
Ne deriva, pertanto, che va condivisa la valutazione dell’amministrazione che ha qualificato l’opera come nuova costruzione e non mera pertinenza dell’edificio residenziale principale.
La nozione urbanistica di pertinenza è, per sua natura, collegata non solo all'esigenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale rispetto alla cosa principale ma, soprattutto, al fatto che comunque deve trattarsi di un'opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità.

Tanto premesso in punto di fatto, va evidenziato che il ricorrente ha chiesto la sanatoria di un manufatto di rilevanti dimensioni, come emerge dalla documentazione allegata.
In particolare, il rustico in argomento ha una superficie dichiarata nella domanda di condono di mq. 36,41 e nella tavola progettuale di mq. 46,20 cui devono aggiungersi mq. 14.49 del portico e un’altezza massima di mt. 2,80 e minima di mt. 2,55. Ne deriva, pertanto, che va condivisa la valutazione dell’amministrazione che ha qualificato l’opera come nuova costruzione e non mera pertinenza dell’edificio residenziale principale.
La nozione urbanistica di pertinenza è, per sua natura, collegata non solo all'esigenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale rispetto alla cosa principale ma, soprattutto, al fatto che comunque deve trattarsi di un'opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 26/03/2013, n. 1709).
Non sussiste neanche il paventato contrasto con l’art. 35 delle NTA del Prg che consente l’ampliamento degli edifici residenziali, a condizione che le opere abbiano “poca incidenza sotto il profilo ambientale e paesistico”.
Nel caso di specie le rilevanti dimensioni del manufatto, che, peraltro, ne permettono un autonomo utilizzo, non consentono certamente di considerarlo una pertinenza e di ritenere la scarsa incidenza delle opere sotto il profilo ambientale e paesaggistico.
Del resto la circostanza che l’abuso sia stato commesso in zone sottoposte a tutela paesistico-ambientale rende applicabile l’art. 7, co. 5, della L 47/1985 che consente all’amministrazione di procedere alla demolizione d’ufficio, senza la valutazione sulla necessità di conservare il bene abusivo (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.02.2014 n. 393 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un'opera- che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale- preordinata ad un'esigenza oggettiva dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata dì un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale una destinazione autonome e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
La strumentalità rispetto all'immobile principale deve essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. L'opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte.
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La realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un'abitazione non può qualificarsi quale intervento di manutenzione straordinaria, né si configura quale pertinenza atteso che costituendo parte integrante dell'edificio ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all'art. 44 DPR 380/2001.
Anche più di recente è stato ribadito che "Integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), DPR n. 380 del 2001 la realizzazione, in mancanza del preventivo rilascio del permesso dì costruire, di una tettoia di copertura di un manufatto, non essendo sufficiente la semplice DIA".

1) Con sentenza del 16.06.2010 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziato, sez, dist. di Torre del Greco, in composizione monocratica, del 28.01.2008, con la quale F.F., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena (sospesa) di mesi otto di reclusione per i reati di cui all'art. 44, lett. c), DPR 380/2001 (capo a), 64 e 71, 65 e 72 DPR 380/2001 (capo b), 93 e 95 DPR 380/2001 (capo c), 181, comma 1-bis, D.L.vo 42/2004 (capo d), 734 c.p. (capo e), 349 cpv.c.p. (capo f), unificati sotto il vincolo della continuazione.
Assumeva la Corte che il manufatto (una tettoia con copertura in tegole in laterizio, sostenuta da travi e pilastri in ferro, occupante una superficie di circa mq. 60,00) realizzato in aderenza al preesistente fabbricato non poteva certo integrare la nozione di pertinenza, come delineato dalla giurisprudenza di legittimità, e pertanto abbisognava di permesso di costruire e di tutte le altre autorizzazioni.
...
3) Il ricorso è inammissibile.
3.1) Il primo e secondo motivo sono manifestamente infondati, avendo la Corte territoriale adeguatamente motivato in ordine alla necessità del permesso di costruire, non potendo una tettoia, realizzata in aderenza ad un preesistente manufatto (come quella di cui alla contestazione), rientrare nella nozione di pertinenza.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, invero, "la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un'opera- che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale- preordinata ad un'esigenza oggettiva dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata dì un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale una destinazione autonome e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede" (vedi tra le molteplici decisioni, Cass. sez. 3, 09.12.2004, Bufano).
"La strumentalità rispetto all'immobile principale deve essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. L'opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte..." (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 2017 del 25.10.2007-Giangrasso).
In particolare, proprio in relazione ad una tettoia, realizzata su un edificio preesistente, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, si è ritenuto necessario il permesso di costruire. Infatti, "La realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un'abitazione non può qualificarsi quale intervento di manutenzione straordinaria, né si configura quale pertinenza atteso che costituendo parte integrante dell'edificio ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all'art. 44 DPR 380/2001" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 40843 dell'11.10.2005).
Anche più di recente è stato ribadito che "Integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), DPR n. 380 del 2001 la realizzazione, in mancanza del preventivo rilascio del permesso dì costruire, di una tettoia di copertura di un manufatto, non essendo sufficiente la semplice DIA" (in motivazione viene specificato che costituisce "nuova costruzione" qualsiasi manufatto edilizio fuori terra o interrato e che tale deve considerarsi la tettoia, anche se accessoria ad un manufatto preesistente, tenuto altresì conto che nella nozione di sagoma rientra anche lo sviluppo in altezza dell'immobile) Cass. pen. sez. 3 n. 21351 del 06.05.2010 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza n. 4076/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Va esclusa la condivisibilità dell’assunto circa la non assoggettabilità a permesso di costruire della tettoia oggetto di demolizione quale mera struttura asseritamente precaria di natura pertinenziale, aperta su tutti i lati, non autonomamente utilizzabile e destinata a servizio dell’immobile principale.
La realizzazione di una tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è configurabile quale intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza "l'inserimento di nuovi elementi ed impianti" ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.p.r. laddove comporti, come nella specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce, come evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
In materia edilizia la nozione di pertinenza è più ristretta di quella civilistica, ed è riferibile solo a manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono, cosa non ravvisabile nella specie in presenza di una tettoia della superficie di m.q. 4,00 x 7,60 come dichiarato in ricorso, e rilevabile dai grafici in atti.
La nozione di pertinenza, ai fini edilizi, va definita sotto un duplice profilo ossia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale, ed alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
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Ai fini del rilascio del permesso di costruire, la nozione di costruzione si configura comunque in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi. Ciò a prescindere dal fatto che detta trasformazione e/o alterazione avvenga mediante realizzazione di opere murarie, ben potendo trattarsi di opere realizzate in legno, metallo, in laminati di plastica, o altro materiale, che attuino un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e che riguardino opere preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale.
In sostanza, per la individuazione di un’opera quale pertinenza rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali, sicché non può, attribuirsi il carattere pertinenziale ai fini edilizi ad interventi solo in quanto destinati a servizio del bene principale, specie qualora si tratti di opere di natura non precaria ma dotate di una destinazione permanente e durevole nel tempo.
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Rispetto alle tettoie la giurisprudenza ne ha ammesso la libera edificabilità solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, quando non presentino carattere di autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.

Il ricorso è infondato e va respinto come di seguito argomentato.
In primo luogo va esclusa la condivisibilità dell’assunto circa la non assoggettabilità a permesso di costruire della tettoia oggetto di demolizione quale mera struttura asseritamente precaria di natura pertinenziale, aperta su tutti i lati, non autonomamente utilizzabile e destinata a servizio dell’immobile principale. La realizzazione di una tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è configurabile quale intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza "l'inserimento di nuovi elementi ed impianti" ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.p.r. laddove comporti, come nella specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce, come evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti. In materia edilizia la nozione di pertinenza è più ristretta di quella civilistica, ed è riferibile solo a manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono, cosa non ravvisabile nella specie in presenza di una tettoia della superficie di m.q. 4,00 x 7,60 come dichiarato in ricorso, e rilevabile dai grafici in atti. La nozione di pertinenza, ai fini edilizi, va definita sotto un duplice profilo ossia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale, ed alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3379).
Ai fini del rilascio del permesso di costruire, la nozione di costruzione si configura comunque in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi. Ciò a prescindere dal fatto che detta trasformazione e/o alterazione avvenga mediante realizzazione di opere murarie, ben potendo trattarsi di opere realizzate in legno, metallo, in laminati di plastica, o altro materiale, che attuino un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e che riguardino opere preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis CdS, Sez. IV, n. 2705/2008 in tal senso anche Consiglio Stato, sez. V, 13.06.2006, n. 3490).
In sostanza, per la individuazione di un’opera quale pertinenza rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007), sicché non può, attribuirsi il carattere pertinenziale ai fini edilizi ad interventi solo in quanto destinati a servizio del bene principale, specie qualora si tratti di opere di natura non precaria ma dotate di una destinazione permanente e durevole nel tempo.
Rispetto alle tettoie la giurisprudenza ne ha ammesso la libera edificabilità solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, quando non presentino carattere di autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (TAR Campania, Napoli, sezione III, 25.07.2011 n. 3947).
Diversamente la tettoia-pensilina oggetto di contestazione, come evincibile anche dalle riproduzioni fotografiche in atti, non è di ridotte dimensioni né presenta una funzione meramente accessoria rispetto alla destinazione commerciale dell’immobile cui accede, essendo costituita da una copertura in pannelli coibentati di oltre 44 m.q. , fissata per una lunghezza di quattro metri alla parete, e quindi di natura stabile e non precaria, priva perciò di quelle caratteristiche sopra descritte che ne consentirebbero l’edificazione in assenza di permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 24.01.2014 n. 562 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia non qualificabile pertinenza.
La costruzione di una tettoia di copertura non può qualificarsi come pertinenza, in quanto si tratta di un’opera priva del requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza, costituendo parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata.
La costruzione di una tettoia, pertanto, in difetto del preventivo rilascio dei permesso di costruire, integra il reato di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lettera b)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.10.2013 n. 42330 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non v’è dubbio come la pensilina per cui è causa, per le sue caratteristiche e la sua notevole consistenza (50 mq. di superficie - 0,70 mt. di spessore - 4,50 mt. di altezza – posizionata a mt. 1,20 dal fabbricato retrostante), determini oggettivamente una significativa alterazione del territorio, tale da escluderne la natura pertinenziale in senso edilizio.
Ne consegue che la pensilina per cui è causa deve essere considerata una “nuova opera”, come tale certamente sottoposta al regime delle distanze tra fabbricati, di cui alla richiamata disciplina urbanistico-edilizia comunale.

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Perché un’opera possa rientrare nel regime delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un rilievo oggettivamente marginale, tale da comportare una pressoché irrilevante alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale, invero, non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato.
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la Sezione a ribadire, anche di recente, che laddove una tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi tale ex se da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d. principale) e sia in potenza facilmente smontabile, si sottrae per ciò solo ad una definizione in termini di pertinenza, restando di conseguenza soggetta al regime concessorio proprio delle nuove costruzioni.

Deduce il Comune appellante l’erroneità della gravata sentenza in quanto:
- la classificazione della pensilina quale “pertinenza” sarebbe del tutto irrilevante, posto che la riconduzione della fattispecie al regime autorizzatorio, piuttosto che a quello concessorio, avrebbe conseguenze solo sul regime sanzionatorio dell’abuso edilizio e non sul provvedimento di diniego di sanatoria del manufatto, emesso a causa della sua difformità dal regime delle distanze fissato dalla disciplina urbanistica di zona;
- in ogni caso, per le sue rilevanti dimensioni (50 mq di superficie - 4,50 mt. di altezza - 0,70 mt. di spessore), la pensilina non avrebbe potuto considerarsi pertinenza, bensì una nuova costruzione a tutti gli effetti soggetta, come tale, al regime giuridico proprio di tali interventi edilizi;
- erroneamente, quindi, il Tar avrebbe accolto il primo ricorso non ritenendo nella specie applicabile il regime delle distanze, ed accolto il secondo relativo all’ordine di demolizione in ragione dei vizi dedotti in via derivata.
I rilievi sono fondati.
Osserva, preliminarmente, il Collegio come la riconduzione dell’opera nell’ambito del regime concessorio o autorizzatorio (quale nuova costruzione o pertinenza) non sia essenziale ai fini della decisione, quantomeno con riferimento al primo dei ricorsi (diniego di sanatoria).
Infatti, come correttamente dedotto dal Comune appellante, la declaratoria di rigetto dell’istanza di sanatoria si fonda sul mancato rispetto della disciplina urbanistica della zona 14 H in tema di distanze tra manufatti che, in linea di principio, deve essere osservata indipendentemente dalla natura pertinenziale o meno dell’intervento edilizio.
Ciò premesso, va comunque rilevato come nella specie la pensilina per cui è causa rientri oggettivamente, in ragione delle sue caratteristiche e dimensioni, nel novero delle “nuove costruzioni” e non in quello delle “pertinenze”, con conseguente necessaria applicazione ad essa della disciplina in materia di distanze.
Infatti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza anche della Sezione, perché un’opera possa rientrare nel regime delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un rilievo oggettivamente marginale, tale da comportare una pressoché irrilevante alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale, invero, non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11.06.2013 n. 3221).
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la Sezione a ribadire, anche di recente, che laddove una tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi tale ex se da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d. principale) e sia in potenza facilmente smontabile, si sottrae per ciò solo ad una definizione in termini di pertinenza, restando di conseguenza soggetta al regime concessorio proprio delle nuove costruzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.07.2013 n. 3939).
Ciò posto, non v’è dubbio come la pensilina per cui è causa, per le sue caratteristiche e la sua notevole consistenza (50 mq. di superficie - 0,70 mt. di spessore - 4,50 mt. di altezza – posizionata a mt. 1,20 dal fabbricato retrostante), determini oggettivamente una significativa alterazione del territorio, tale da escluderne la natura pertinenziale in senso edilizio.
E ciò ancor più, se la si rapporta con il bene c.d. principale (il distributore di carburanti cui accede), rispetto al quale assume una consistenza tutt’altro che marginale, se non pressoché paritaria.
Ne consegue, in definitiva, che la pensilina per cui è causa, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, deve essere considerata una “nuova opera”, come tale certamente sottoposta al regime delle distanze tra fabbricati, di cui alla richiamata disciplina urbanistico-edilizia comunale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.10.2013 n. 4997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha significato più circoscritto.
I giudici del Consiglio di Stato confermano nella sentenza in commento che, perché un’opera possa rientrare nel regime delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un rilievo oggettivamente marginale, tale da comportare una pressoché irrilevante alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale, invero, non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia. In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato.
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la quinta Sezione del Consiglio di Stato a ribadire, anche di recente, che laddove una tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi tale ex se da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d. principale) e sia in potenza facilmente smontabile, si sottrae per ciò solo ad una definizione in termini di pertinenza, restando di conseguenza soggetta al regime concessorio proprio delle nuove costruzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.07.2013 n. 3939).
Ciò premesso, in questa occasione i giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che la pensilina di cui si discuteva rientri oggettivamente, in ragione delle sue caratteristiche e dimensioni, nel novero delle “nuove costruzioni” e non in quello delle “pertinenze”, con conseguente necessaria applicazione ad essa della disciplina in materia di distanze (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.10.2013 n. 4997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti che non alterano in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
Come sottolineato da questo Tribunale “la giurisprudenza richiede che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono".
La Sezione ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”.
La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti che non alterano in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
Come sottolineato da questo Tribunale (cfr. sez. I – 30/10/2012 n. 1747) “la giurisprudenza richiede (cfr. Cons. St. Sez. IV, 17.05.2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono".
La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.01.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”.
Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla fattispecie all’esame occorre rilevare che si è effettivamente in presenza di una struttura avente una superficie non eccessiva (mq. 16,40) utilizzata per il ricovero della legna
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.10.2013 n. 814 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di "pertinenza urbanistica" - Peculiarità - Rapporto di subordinazione e di servizio con una costruzione preesistente - C.d. strumentalità funzionale - Fattispecie: ampliamento di un edificio.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
Il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi Cass., Sez. III: 16.03.2010, n. 20349, Catania; 11.05.2005, Gricia; 17.01.2003, Chiappalone) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.09.2013 n. 38004 - tratto da www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è costante nel ritenere che la nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
i) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico;
ii) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio».
Nel caso in esame le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione sono le seguenti: «una cisterna che fuoriesce dalla quota di campagna di circa ml+0,60 completa di autoclave e per una superficie di ingombro di mq 24 finita con sovrastante lastricato in pietra di cursi; modifica del prospetto principale riguardante sporti e vano porta; ringhiera in ferro allocata su muretto prospiciente pubblica via; scala esterna in adiacenza all’abitazione che porta alle terrazze; ballotoi con relativi muretti di delimitazione».
Dalla stessa descrizione delle opere risulta come vengano in rilievo manufatti che, avendo una autonoma destinazione con incidenza rilevante sull’assetto del territorio, non possono essere qualificati quali pertinenze.

In relazione al primo aspetto, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici. In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
i) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (Cons. Stato, sez. VI, 11.05.2011, n. 2781);
ii) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio» (Cons. Stato, sez. VI, 24.01.2013, n. 496; 13.01.2010, n. 41).
Nel caso in esame le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione sono le seguenti: «una cisterna che fuoriesce dalla quota di campagna di circa ml+0,60 completa di autoclave e per una superficie di ingombro di mq 24 finita con sovrastante lastricato in pietra di cursi; modifica del prospetto principale riguardante sporti e vano porta; ringhiera in ferro allocata su muretto prospiciente pubblica via; scala esterna in adiacenza all’abitazione che porta alle terrazze; ballotoi con relativi muretti di delimitazione».
Dalla stessa descrizione delle opere risulta come vengano in rilievo manufatti che, avendo una autonoma destinazione con incidenza rilevante sull’assetto del territorio, non possono essere qualificati quali pertinenze (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.09.2013 n. 4493 - link a www.giustizia-amministrativa).

ATTI AMMINISTRATIVI: Giova richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce il carattere pertinenziale alle opere, quando per la loro natura e consistenza risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al sevizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di un volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
Con il secondo motivo d’impugnazione viene affrontata la questione giuridica fondamentale qui in rilievo, cioè la natura pertinenziale o meno, ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 320/2001, del manufatto di che trattasi.
Ebbene, al riguardo giova richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce il carattere pertinenziale alle opere, quando per la loro natura e consistenza, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al sevizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di un volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Cass. Pen. Sez. III 27.11.1997 n. 2660; Cons. Stato Sez. V 07.12.2002 n. 6126; idem 30.11.2000 n. 6538; Cons. Stato sez. IV 17.05.2010 n. 3127).
Alla luce dei parametri fissati dalla giurisprudenza, non appare condivisibile l’impostazione di parte appellante, che qualifica l’opera in questione come pertinenza, se è vero che:
a) il manufatto in contestazione misura 70 mq. e 199 mc., palesando, quindi una significativa consistenza;
b) la struttura è composta da fondazioni di calcestruzzo e pareti di laterizi, con relativo manto di copertura in coppi, caratteristiche strutturali in parte già constatate con gli accertamenti tecnici del 01.12.2004 (di cui sopra si è parlato).
Se questi sono i caratteri dell’opus, è ragionevole ritenere che l’immobile, ancorché adiacente a preesistente edificio, non sia funzionalmente servente rispetto all’immobile “principale” ed anzi sia suscettibile di autonoma utilizzazione, a fini abitativi o diversi, sì che il fabbricato non può farsi minimamente rientrare nella categoria tipologica delle pertinenze, come descritta dall’art. 3 del DPR n. 320/2001 e neppure in quella prevista dalla normativa recata dal Regolamento comunale per la realizzazione degli interventi edilizi minori, che contempla ipotesi di fabbricati di dimensioni inferiori a quelle qui in rilievo.
Esattamente allora il Comune ha opposto tali impeditive circostanze all’accoglimento della richiesta di sanatoria e altrettanto correttamente il giudice di primo grado ha valutato come legittimo sotto tali profili il diniego dell’Amministrazione.
Anche qui il carattere assorbente della questione testé illustrata, in ragione del titolo per i quale l’appellante ha (erroneamente) invocato la sanabilità del manufatto, fa sì che non sia necessario occuparsi degli altri motivi ritenuti dall’Ente preclusivi della domanda, ben potendo la determinazione negativa reggersi sulle ragioni inerenti il presupposto in base al quale è stata chiesta e negata la sanatoria (la questione della pertinenzialità, qui, per l’appunto assente) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.09.2013 n. 4448 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia.
La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha infatti un significato più circoscritto e si fonda sulla mancanza di autonoma destinazione e autonomo valore del manufatto pertinenziale, sul suo non incidere sul carico urbanistico, sulle ridotte dimensioni, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere dimostrata dall'interessato e che non ricorrono palesemente nel manufatto oggetto del provvedimento di demolizione.

Inoltre, il Collegio osserva, sulla scorta di un’ormai consolidata giurisprudenza, che i beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia; la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha infatti un significato più circoscritto e si fonda sulla mancanza di autonoma destinazione e autonomo valore del manufatto pertinenziale, sul suo non incidere sul carico urbanistico, sulle ridotte dimensioni, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere dimostrata dall'interessato e che non ricorrono palesemente nel manufatto oggetto del provvedimento di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4573 del 2010).
Pertanto, la sentenza penale prodotta in giudizio dall’appellante, relativa alla diversa qualificazione giuridica del bene quale pertinenza, sulla base della nozione civilistica, è irrilevante nel giudizio amministrativo, ove rileva, come detto, il diverso concetto di pertinenza urbanistica (ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, 28.01.2013, n. 496)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.06.2013 n. 3221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon v’è motivo per ammettere l’accessorietà delle tettoie apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono ed escluderla, invece, laddove, a fronte di medesime caratteristiche tipologico/strutturali, la loro funzione sia quella di supporto di un impianto fotovoltaico, che, consentendo la produzione di energia “pulita” e “rinnovabile”, dovrebbe essere guardato con particolare favore dalle Amministrazioni locali, deputate, per legge, a curare gli interessi della comunità locale.
Ad avviso del Collegio, la tettoia (da realizzasi in sostituzione di una pergola pre-esistente, previa sua demolizione) può ritenersi assorbita nell’edificio principale o, comunque, nella parte di esso cui accede.
Non v’è motivo, infatti, per ammettere l’accessorietà delle tettoie apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono (ex multis TAR Campania Napoli, sez. II, n. 8320 del 02.12.2009, n. 3870 del 13.07.2009, n. 492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del 09.09.2008) ed escluderla, invece, laddove, a fronte di medesime caratteristiche tipologico/strutturali, la loro funzione sia quella di supporto di un impianto fotovoltaico, che, consentendo la produzione di energia “pulita” e “rinnovabile”, dovrebbe essere guardato con particolare favore dalle Amministrazioni locali, deputate, per legge, a curare gli interessi della comunità locale.
Si rammenta, al riguardo, che la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.09.2001, n. 2001/77/CE, attuata col decreto legislativo 29.12.2003, n. 387 al quale si richiama l’art. 36 della l.r. 16 del 2008, riconosce espressamente la necessità di promuovere in via prioritaria le fonti energetiche rinnovabili, poiché queste contribuiscono alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile, possono creare occupazione locale, avere un impatto positivo sulla coesione sociale, contribuire alla sicurezza degli approvvigionamenti e permettere di conseguire più rapidamente gli obiettivi di Kyoto e individua la promozione dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili come un obiettivo altamente prioritario a livello della Comunità, sottolineando la necessità di individuare obiettivi vincolanti e ambiziosi in materia di fonti energetiche rinnovabili a livello nazionale e di tener conto della struttura specifica del settore delle fonti energetiche rinnovabili, in particolare al momento della revisione delle procedure amministrative di autorizzazione a costruire impianti di produzione di elettricità proveniente da fonti energetiche rinnovabili (vedi considerando n. 1, 2, 3, 4 e 20) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 20.05.2013 n. 299 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le caratteristiche del manufatto (tettoia con struttura portante in ferro e legno, bullonata al muro dell’abitazione, senza pilastri di sostegno ed interamente aperta su tre lati) e la sua destinazione al servizio dell’abitazione principale portano ad escludere che essa dia luogo ad una autonoma costruzione e a nuovo volume edilizio.
In proposito, deve infatti richiamarsi l’indirizzo espresso da questa Sezione secondo cui, in materia urbanistico–edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base coperto e due superfici verticali contigue, e tale presupposto non si riscontra nel caso di una tettoia aperta su tutti i lati.
Le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono pur richiedendo il previo rilascio del permesso di costruire qualora esse attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.

E’ errato il presupposto logico–giuridico sul quale si fonda il costrutto argomentativo delle ricorrenti, secondo cui la realizzazione della tettoia in esame darebbe luogo ad una “nuova costruzione”, come tale assoggettata al rispetto delle prescrizioni sulle distanze minime.
In senso contrario, le caratteristiche del manufatto (tettoia con struttura portante in ferro e legno, bullonata al muro dell’abitazione, senza pilastri di sostegno ed interamente aperta su tre lati) e la sua destinazione al servizio dell’abitazione principale portano ad escludere che essa dia luogo ad una autonoma costruzione e a nuovo volume edilizio.
In proposito, deve infatti richiamarsi l’indirizzo espresso da questa Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 07.02.2013 n. 789) secondo cui, in materia urbanistico–edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base coperto e due superfici verticali contigue, e tale presupposto non si riscontra nel caso di una tettoia aperta su tutti i lati.
Né la ricorrente può trarre utili elementi a sostegno della propria tesi difensiva dall’orientamento della Corte di Cassazione (Sez. VI, 02.10.2012 n. 1676), secondo cui la realizzazione di una struttura con tettoia è da considerarsi come una costruzione ai fini della misurazione delle distanze legali tra edifici. In realtà, la ricorrente trascura di considerare che, nel precedente citato, si controverteva di un manufatto (struttura metallica con tettoia realizzata in violazione delle distanze legali) idoneo a determinare autonoma volumetria, circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame nella quale, come si è visto, si è in presenza di una struttura completamente aperta su tre lati sprovvista di pilastri ed infissa al muro perimetrale del fabbricato.
Neppure può ritenersi che tale tettoia sia destinata ad estendere ed ampliare la consistenza dell’edificio al quale accede, tenuto conto della indiscutibile sussistenza di un rapporto di pertinenzialità del bene con l’abitazione della controinteressata. In argomento, si è difatti affermato che le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono (TAR Lazio Latina, 03.03.2010 n. 205; TAR Piemonte, 12.06.2002 n. 1205 e 21.12.2002 n. 2155) pur richiedendo il previo rilascio del permesso di costruire qualora esse attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.05.2013 n. 2396 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R..
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Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nell’ipotesi della realizzazione di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni.
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L'esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.
L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime del permesso di costruire, non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico.

Nella fattispecie in esame, l’opera oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione (come non contestato tra le parti) consiste nella realizzazione di una tettoia occupante una superficie di circa mq. 500, con altezza m. 5,00.
Si tratta quindi di opera sicuramente sottoposta al regime del permesso di costruire.
Al riguardo, è sufficiente richiamare il convergente ed unanime orientamento giurisprudenziale, secondo cui la realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni (come nel caso di specie), indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. (C.d.S., Sez. IV, 12.03.2007, n. 1219; TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 21.12.2007, n. 16493, TAR Campania Napoli, sez. II, 02.12.2009, n. 8320; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.11.2010, n. 23699).
In relazione alla specifica considerazione svolta dal ricorrente in ordine alla natura pertinenziale dell’opera realizzata, si deve in contrario osservare che il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nell’ipotesi (di cui alla fattispecie in esame) della realizzazione di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 25.01.2013, n. 598; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 20.03.2012, n. 1371).
Si deve infine rammentare, per completezza espositiva, che l'esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.
L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime del permesso di costruire, non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico (cfr. fra le tante, C.d.S., sez. IV, 12.04.2011, n. 2266) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 10.04.2013 n. 1905 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione urbanistica di pertinenza è per sua natura collegata non solo all’esigenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale rispetto alla "cosa" principale ma sopratutto al fatto che comunque deve trattarsi di un’opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità.
Nel caso, la struttura stessa di un muro di cemento armato per la realizzazione di un terrapieno artificiale alto mediamente ben 12.50 mt. costituiva senza dubbio un intervento che realizzava un “ampliamento volumetrico” di consistenza tale da integrare una notevole trasformazione del territorio, per cui sarebbe stato necessario il previo rilascio di un permesso di costruire.
Né l’assunta esclusiva natura pertinenziale poteva nullificare tale rilievo urbanistico. Al riguardo si concorda totalmente con l’affermazione della difesa dell’Amministrazione appellante per cui la nozione di pertinenza urbanistica ha una sua peculiarità propria, autonoma e distinta dalla nozione civilistica.
La pertinenza urbanistica deve avere non solo una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale, ma non deve essere suscettibile di avere una destinazione autonoma e diversa e non deve possedere un autonomo valore di mercato. Sulla scia di un antico e consolidato indirizzo giurisprudenziale la considerazione delle dimensioni dell’opera in questione deve far escludere che trattasse di una mera pertinenza dato che:
- nel campo urbanistico, costituisce "pertinenza" quella per la cui realizzazione è (ed era fin dall’art. 7 d.l. n. 9/1982, conv. in l. n. 92/1982), richiesto non già il permesso di costruire, bensì la mera autorizzazione edilizia;
- la pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata tale, e quindi soggiace a concessione edilizia, la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa.

La nozione urbanistica di pertinenza è, infatti, per sua natura collegata non solo all’esigenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale rispetto alla "cosa" principale ma sopratutto al fatto che comunque deve trattarsi di un’opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 15.01.2013 n. 211).
Nel caso, la struttura stessa di un muro di cemento armato per la realizzazione di un terrapieno artificiale alto mediamente ben 12.50 mt. costituiva senza dubbio un intervento che realizzava un “ampliamento volumetrico” di consistenza tale da integrare una notevole trasformazione del territorio, per cui sarebbe stato necessario il previo rilascio di un permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25.05.2011 n. 3134).
Né l’assunta esclusiva natura pertinenziale poteva nullificare tale rilievo urbanistico. Al riguardo si concorda totalmente con l’affermazione della difesa dell’Amministrazione appellante per cui la nozione di pertinenza urbanistica ha una sua peculiarità propria, autonoma e distinta dalla nozione civilistica.
La pertinenza urbanistica deve avere non solo una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale, ma non deve essere suscettibile di avere una destinazione autonoma e diversa e non deve possedere un autonomo valore di mercato. Sulla scia di un antico e consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cfr. Cons. Stato, sez. IV sent. 02.02.2012 n. 615 Cons. Stato, sez. II, 12.05.1999 n. 729; sez. V, 23.03.2000 n. 1600; idem 31.03.2009 n. 1998) la considerazione delle dimensioni dell’opera in questione deve far escludere che trattasse di una mera pertinenza dato che:
- nel campo urbanistico, costituisce "pertinenza" quella per la cui realizzazione è (ed era fin dall’art. 7 d.l. n. 9/1982, conv. in l. n. 92/1982), richiesto non già il permesso di costruire, bensì la mera autorizzazione edilizia;
- la pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata tale, e quindi soggiace a concessione edilizia, la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.03.2013 n. 1709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00), adibita a deposito di legna, può essere considerata pertinenza, sviluppando un volume minimo, non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a servizio dell’edificio principale.
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio attività e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel senso che tali considerazioni non limitano affatto l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice adito e non oggetto del thema decidendum.

In ogni caso, il ricorso è anche manifestamente infondato.
Il manufatto in questione è una baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00) ed è adibita a deposito di legna.
Ciò premesso, come noto, esso può essere considerato pertinenza, sviluppando, appunto, un volume minimo, non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a servizio dell’edificio principale (cfr. Tar Ancona, sentenza n. 57 del 2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 211 del 2013).
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio attività (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 615 del 2012) e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel senso che tali considerazioni non limitano affatto l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice adito e non oggetto del thema decidendum (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
1) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico;
2) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio».

La giurisprudenza è costante nel ritenere che la nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
1) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (Cons. Stato, VI, 11.05.2011, n. 2781);
2) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio» (Cons. Stato, VI, 13.01.2010, n. 41)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.01.2013 n. 496 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica di cui all'art. 817 c.c., dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare il c.d. carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire.
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c. dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
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Non è possibile considerare il box una pertinenza in quanto “non risulta asservito ad alcuna edificio principale”; infatti manca la condizione principale per la configurazione di una pertinenza, essendo il ricorrente solo proprietario di un’area ove coltiva e vende fiori.
Inoltre, come rappresentato nello stesso provvedimento impugnato, il box per cui è causa, oltre a non essere coessenziale ad un bene principale, non può ritenersi di volume modesto e, date le sue dimensioni, mt. 5,08 x 3,50, deve ritenersi altresì suscettibile di utilizzazione anche in modo autonomo e separato.

Secondo una consolidata giurisprudenza, che questa Sezione ha già fatto propria e dalla quale non ha motivo di discostarsi, la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica di cui all'art. 817 c.c., dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare il c.d. carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire (cfr. TAR Bari, Sezione III, n. 429 del 10.03.2011).
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c. dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Ne consegue che, condivisibilmente con quanto rappresentato dal Comune resistente nell’ordinanza impugnata, non è possibile considerare il box una pertinenza in quanto “non risulta asservito ad alcuna edificio principale”; infatti manca la condizione principale per la configurazione di una pertinenza, essendo il ricorrente solo proprietario di un’area ove coltiva e vende fiori; inoltre, come rappresentato nello stesso provvedimento impugnato, il box per cui è causa, oltre a non essere coessenziale ad un bene principale, non può ritenersi di volume modesto e, date le sue dimensioni, mt. 5,08 x 3,50, deve ritenersi altresì suscettibile di utilizzazione anche in modo autonomo e separato (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 25.01.2013 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEsclusione della natura pertinenziale di un porticato.
Non possono essere considerate opere pertinenziali quelle che concorrono a integrare l’edificio principale e risultano per questo prive di autonomia, con la conseguenza che la realizzazione di un porticato, al pari della realizzazione di una tettoia che completi un lastrico, divengono elementi complementari che accrescono la superficie utile dell'edificio e la sua fruibilità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.01.2013 n. 2752 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica, sottoposta in quanto tale al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato, e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico. Integrano pertanto gli estremi dell'abuso edilizio strutture ancorate al suolo insediate definitivamente in loco, non potendo avere natura di pertinenza laddove vengano a gravare da sole sul fondo, senz'altra costruzione eretta con titolo idoneo alla quale collegare alcun vincolo.
Alle luce di quanto precede, il box ed il ricovero per gli animali realizzati dal ricorrente, non possono essere ricondotti alla nozione di pertinenza, trattandosi di opere che modificano l'assetto del territorio, e che occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa.
In materia di pertinenza edilizia, ciò che importa è infatti l'oggettiva idoneità del fabbricato ad incidere sullo stato dei luoghi, prescindendo dall'intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità. A contrario, la giurisprudenza ha riconosciuto ascrivibili alla nozione di pertinenza fattispecie radicalmente differenti da quelle per cui è causa, come nel caso di un pergolato, di un muretto di recinzione, accompagnata dall'apposizione di ringhiere e cancelli metallici, o di una ringhiera protettiva e di scala in ferro per l'accesso ad un terrazzo, la cui incidenza sullo stato dei luoghi è ben minore rispetto a quanto riscontrabile nelle opere di che trattasi.

Secondariamente, il ricorrente sostiene che, quanto al box ed al ricovero di animali, si sarebbe in presenza di opere di modeste dimensioni e di natura pertinenziale, ricompresse nell'ambito di applicazione dell'art. 7 della L. 25.03.1982 n. 94, e come tali soggette a mera autorizzazione, rispetto alle quali non potrebbe applicarsi la normativa sanzionatoria di cui all'art. 7 della L. n. 47/1985, dettata invece per le opere abusive di maggiori entità.
Sul punto, il Collegio richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la nozione di pertinenza urbanistica, sottoposta in quanto tale al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato, e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (C.S. Sez. V 22.10.2007 n. 5515). Integrano pertanto gli estremi dell'abuso edilizio strutture ancorate al suolo insediate definitivamente in loco, non potendo avere natura di pertinenza laddove vengano a gravare da sole sul fondo, senz'altra costruzione eretta con titolo idoneo alla quale collegare alcun vincolo (TAR Liguria, Sez. I 25.11.2003 n. 1569).
Alle luce di quanto precede, il box ed il ricovero per gli animali realizzati dal ricorrente, non possono essere ricondotti alla nozione di pertinenza, trattandosi di opere che modificano l'assetto del territorio, e che occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (C.S. Sez. IV 02.02.2012 n. 615). In materia di pertinenza edilizia, ciò che importa è infatti l'oggettiva idoneità del fabbricato ad incidere sullo stato dei luoghi, prescindendo dall'intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità (TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II 11.10.2007 n. 2286). A contrario, la giurisprudenza ha riconosciuto ascrivibili alla nozione di pertinenza fattispecie radicalmente differenti da quelle per cui è causa, come nel caso di un pergolato (TAR Liguria Sez. I, 27.01.2012 n. 195), di un muretto di recinzione, accompagnata dall'apposizione di ringhiere e cancelli metallici (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II 10.06.2008 n. 647), o di una ringhiera protettiva e di scala in ferro per l'accesso ad un terrazzo (TAR Piemonte, Sez. I, 25.03.2008 n. 505), la cui incidenza sullo stato dei luoghi è ben minore rispetto a quanto riscontrabile nelle opere di che trattasi (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 09.01.2013 n. 61 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: INTERVENTI EDILIZI ‘‘PERTINENZIALI’’ E LORO (IR)RILEVANZA PENALE
Affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza, e` necessario che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente costruito, che sia fornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, con la sentenza in commento, sulla natura giuridica del manufatto pertinenziale, individuando i caratteri che ne consentono l’inquadramento nella categoria degli interventi edilizi privi di rilevanza penale.
La vicenda processuale trae origine da un procedimento penale per il reato di cui all’art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001, contestato all’imputato per avere questi, in assenza di concessione edilizia, senza permesso di costruire, abusivamente realizzato con più azioni esecutive di uno stesso disegno criminoso in un edificio di sua proprietà un magazzino garage in muratura di circa mq 14,05 e al primo piano due vani ulteriori rispettivamente di circa mq 12,78 e mq 18,47, nonché un balcone di metri quadri 12,00 collegato con il tetto del locale abusivo costruito al piano terra.
In sede di merito, l’imputato, previa riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 44, lett. a), D.P.R. n. 380 del 2001, in luogo dell’art. 44, lett. b), effettuata sul presupposto di realizzazione di una pertinenza, era stato dichiarato colpevole e condannato alla sola pena dell’ammenda. Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello, adducendo quale unico motivo l’erronea qualificazione della contravvenzione contestata, non sussistendo pertinenza bensì ampliamento volumetrico del precedente fabbricato, che pertanto richiede il rilascio di permesso.
La prospettazione accusatoria è stata accolta dalla Corte di Cassazione che ha, infatti, annullato con rinvio la sentenza impugnata osservando che la dimensione e la conformazione delle strutture costruite, tali da renderle parte integrante dell’edificio e da aumentarne la volumetria, dimostravano l’insussistenza dei presupposti per la loro qualificazione come pertinenza, e quindi la necessità del rilascio di permesso, come correttamente prospettato nel ricorso.
La decisione merita ampia e convinta condivisione, soprattutto tenuto conto del fatto che la stessa si inserisce in un filone giurisprudenziale di legittimità collaudato (e consolidato), secondo cui in materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (v., da ultimo, in senso conforme: Cass. pen., sez. III, 03.07.2012, n. 25669, in Ced Cass., n. 253064) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.01.2013 n. 519 - commento tratto da Urbanistica e Appalti n. 3/2013).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni, pertinenze, distanze legali, applicabilità.
Deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze.

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Anche le pertinenze devono rispettare le distanze.
Si deve ritenere costruzione qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
E’ questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 03.01.2013 n. 72 in tema di distanze di costruzioni. Portando a conseguenza il principio ribadito, infatti, gli Ermellini sostengono che gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze.
Nel caso di specie due coniugi convenivano in giudizio il vicino che aveva realizzato a confine con la porzione di un immobile di loro proprietà un vano di circa m. 5x3 di lato e m. 3 di altezza, in violazione delle norme sulle distanze previste dal regolamento edilizio comunale.
Da qui la richiesta di demolizione del vano, che tuttavia veniva rigettata dal giudice di prime cure con la condanna al pagamento delle spese processuali. Al contrario, in sede di appello, il Giudice riformava la sentenza di primo grado, condannando il vicino ad arretrare il vano in questione fino alla distanza di m. 5 dal confine col vialetto di proprietà degli appellanti, rigettando al contempo la domanda di risarcimento di ulteriori danni. In buona sostanza, secondo i giudici di merito, il vano –a prescindere dalla sua funzione pertinenziale– costitutiva un edificio e non rispettava l’obbligo della distanza di almeno cinque metri dal confine.
Come si è visto, in sede di cassazione il Palazzaccio conferma la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di appello, evidenziando con chiarezza l’irrilevanza dell’eventuale funzione pertinenziale ai fini della sussunzione nella categoria costruzione del vano in questione e rilevando al contempo la dimensione del vano tale da accrescere la superficie o la funzionalità economica della costruzione
(link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulle distanze per accessori e pertinenze.
Ricordando quanto deciso dal TAR Veneto nella sentenza n. 57 del 2013 (si veda in questo sito il post del 13.02.2013), ritorniamo ad esaminare l’applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione ad opere pertinenziali all’edificio principale già esistente.
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 03.01.2013 n. 72 ha stabilito che: “ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg., e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, cosi da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze” (link a http://venetoius.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAAi fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta.
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La nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile coi principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico.

Non rileva, inoltre, la dichiarata volontà di non destinare le opere all’uso residenziale. Nel caso di specie, il manufatto realizzato, per le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di 30 mq.), configura, piuttosto, una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2006 n. 3490; TAR Lazio, Roma, Sezione I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater, 23.11.2007 n. 11679).
Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n.1506).
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR Lazio, Sezione II-ter, 06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402 e Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n.428), la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile coi principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 29.12.2012 n. 5381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è costante nel ritenere che:
- l'istallazione di una tettoia realizzata in ferro con muri perimetrali in cemento armato e copertura con lamiere coibentate, di dimensioni pari a mq 46,20, è idonea a determinare una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi e, pertanto, deve essere assentita mediante rilascio di permesso di costruire;
- la realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce;
- la tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente.
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Né la “tettoia” di cui trattasi potrebbe comunque essere considerata come pertinenza.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nel caso di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni.

La tettoia oggetto dell'impugnato provvedimento configura quindi un intervento edilizio integrante un incremento plano-volumetrico suscettibile di autonoma utilizzazione, come tale sottoposto al regime concessorio (attualmente, permissorio) e quindi all'applicazione della disposta sanzione demolitoria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che:
- <<L'istallazione di una tettoia realizzata in ferro con muri perimetrali in cemento armato e copertura con lamiere coibentate, di dimensioni pari a mq 46,20, è idonea a determinare una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi e, pertanto, deve essere assentita mediante rilascio di permesso di costruire>> (TAR Campania Napoli, sez. II, 02.12.2009, n. 8320);
- <<La realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce>> (TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84);
- <<La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente>> (TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007 n. 16493).
Né la “tettoia” di cui trattasi potrebbe comunque essere considerata come pertinenza.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nel caso di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni (TAR Campania Napoli, sez. II, 07.05.2012, n. 2080) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.12.2012 n. 5342 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOccorre distinguere il concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire e che, nella delineata prospettiva, anche la struttura verandata, addossata al fabbricato esistente, che riveste natura permanente, dal momento che la sua funzione è strettamente connessa all'attività commerciale svolta e quindi destinata ad un uso tutt'altro che temporaneo e contingente deve intendersi, per tale motivo, priva del carattere della precarietà ed amovibilità.
Parimenti, ne va esclusa la natura pertinenziale in quanto l'intervento realizzato costituisce una nuova opera entrata a far parte integrante di una costruzione preesistente, e che, per effetto di congiunzione con l'immobile principale, ne ha ampliato la superficie utile e la relativa volumetria.
A nulla rileva sotto tale profilo la dedotta assenza di autonomia della struttura rispetto all'immobile principale, dal momento che essa determina un ampliamento di superficie e volume dell'immobile cui è annessa nonché il mutamento di destinazione d'uso della corte esclusiva che originariamente costituiva un'area di accesso all'immobile medesimo aperta al pubblico.

Quanto ai motivi di impugnazione indicati sub I, prevalentemente incentrati sulla asserita natura pertinenziale del cespite, la Sezione osserva, in conformità con l’indirizzo giurisprudenziale di questo Tribunale dal quale non vi è motivo di discostarsi, che «occorre distinguere il concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire» (TAR Napoli Campania sez. VII, 12.07.2012, n. 3377; cfr. anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.02.2005 n. 365; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.02.2005 n. 1036) e che, nella delineata prospettiva, anche «la struttura verandata, addossata al fabbricato esistente, che riveste natura permanente, dal momento che la sua funzione è strettamente connessa all'attività commerciale svolta e quindi destinata ad un uso tutt'altro che temporaneo e contingente deve intendersi, per tale motivo, priva del carattere della precarietà ed amovibilità. Parimenti, ne va esclusa la natura pertinenziale in quanto l'intervento realizzato costituisce una nuova opera entrata a far parte integrante di una costruzione preesistente, e che, per effetto di congiunzione con l'immobile principale, ne ha ampliato la superficie utile e la relativa volumetria. A nulla rileva sotto tale profilo la dedotta assenza di autonomia della struttura rispetto all'immobile principale, dal momento che essa determina un ampliamento di superficie e volume dell'immobile cui è annessa nonché il mutamento di destinazione d'uso della corte esclusiva che originariamente costituiva un'area di accesso all'immobile medesimo aperta al pubblico» (TAR Napoli Campania sez. VIII, 03.07.2012, n. 3148; cfr. Cons. St., sez. V, 08.04.1999 n. 394; TAR Lazio, Roma, sez. I, 17.07.1986 n. 1156; TAR Campania, Napoli, sez. III, 09.09.2008 n. 10059; Cons. St., sez. V, 27.01.2003 n. 419).
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell'intervento abusivo realizzato (un corpo di fabbrica in cemento armato di due piani fuori terra con una volumetria di 252,00 ca.), l’intervento in contestazione, non essendo stato dimostrato come coessenziale ad un bene principale e potendo essere utilizzato anche in modo autonomo e separato, non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 21.12.2012 n. 5331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia in legno fissata al muro perimetrale non può avere natura pertinenziale.
Le pertinenze che comportano un volume fino al 20% del volume dell’edificio principale o che non sono qualificate come nuove costruzioni dagli strumenti urbanistici, possono essere eseguite con d.i.a..
Peraltro tale previsione deve essere coordinata con il d.m. 02.04.1968, n. 144, che al punto 7.1. vieta le nuove costruzioni nei centri storici.
Si deve anche tener conto delle previsioni dei singoli strumenti urbanistici, che non di rado vietano in modo assoluto le nuove costruzioni nei centri storici, al fine di evitare incrementi di volumetria.
Sicché, laddove nei centri storici sono vietate le nuove costruzioni, ne discende anche, logicamente, il divieto di pertinenze, che creino nuova volumetria.
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Una tettoia in legno posta a confine del vicino e imbullonata al muro perimetrale dell’abitazione, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al muro perimetrale dell’immobile, non può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell’edificio comportante il previo rilascio di titolo abilitativo espresso.
Quindi, la realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un’abitazione non può qualificarsi come manutenzione straordinaria, né configurarsi come pertinenza, atteso che, costituendo parte integrante dell’edificio, ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380/2001.

L’art. 3, comma 1, lett. e.6), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, include tra le nuove costruzioni, soggette a permesso di costruire, “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
Se ne desume a contrario che le pertinenze che comportino un volume fino al 20% del volume dell’edificio principale o che non siano qualificate come nuove costruzioni dagli strumenti urbanistici, possono essere eseguite con d.i.a..
Peraltro tale previsione deve essere coordinata con il d.m. 02.04.1968, n. 144, che al punto 7.1. vieta le nuove costruzioni nei centri storici.
Si deve anche tener conto delle previsioni dei singoli strumenti urbanistici, che non di rado vietano in modo assoluto le nuove costruzioni nei centri storici, al fine di evitare incrementi di volumetria.
Sicché, laddove nei centri storici sono vietate le nuove costruzioni, ne discende anche, logicamente, il divieto di pertinenze, che creino nuova volumetria.
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Va inoltre considerato che l’opera in questione, consistente in una tettoia che si poggia sui muri di edifici preesistenti, non può essere considerata in senso proprio pertinenza, in quanto fa corpo con la cosa principale a cui aderisce, di cui modifica la sagoma e comporta ampliamento, creando nuova volumetria.
Secondo la giurisprudenza di questo Consesso, una tettoia in legno posta a confine del vicino e imbullonata al muro perimetrale della sua abitazione, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al muro perimetrale dell’immobile, non può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell’edificio comportante il previo rilascio di titolo abilitativo espresso [Cons. St., sez. IV, 29.04.2011, n. 2549; Id., sez. IV, 07.07.2008, n. 3379; Id., sez. II, 05.02.1997, n. 336/95; Id., sez. V, 29.01.1996, n. 103].
Anche per la giurisprudenza penale la realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un’abitazione non può qualificarsi come manutenzione straordinaria, né configurarsi come pertinenza, atteso che, costituendo parte integrante dell’edificio, ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380/2001 [Cass. pen., sez. III, 08.06.2010, n. 27264; Id., 07.04.2006; Id., 11.10.2005].
Parimenti, secondo la Cassazione penale, non costituisce pertinenza la tettoia costruita in aderenza ad un preesistente edificio, trattandosi di manufatto che non ha una propria autonomia individuale e funzionale, ma che, entrato a far parte del preesistente fabbricato, di questo costituisce opera accessoria [Cass. pen., sez. III, 30.06.1995].
La contraria giurisprudenza invocata da parte appellante, che qualifica talora la tettoia come pertinenza [Cons. St., sez. V, 19.03.2009, n. 1615; Id., sez. II, 30.01.2008, n. 3491/2007; Tar Sicilia-Catania, 11.07.1990, n. 530; Tar Lombardia–Milano, sez. II, 15.03.1988, n. 73], non è rilevante nel presente giudizio (nemmeno al fine della rimessione del contrasto all’esame dell’adunanza plenaria), atteso l’assorbente profilo, al fine della decisione, che nel caso di specie non sono consentiti incrementi di volumetria nei centri storici mediante opere nuove
(Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza 18.12.2012 n. 6493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La tamponatura di pensiline e tettoie preesistenti, anche per volumi molto inferiori al presente, costituisce nuova superficie e giustifica la sanzione della demolizione.
E’ infatti ben noto come, in sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio.

Come è noto la tamponatura di pensiline e tettoie preesistenti, anche per volumi molto inferiori al presente, costituisce nuova superficie e giustifica la sanzione della demolizione (si veda sul tema Cds. Sez. IV 16.12.2011 n. 6628).
E’ infatti ben noto come, in sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio (Tar Campania, Napoli 21.5.2009 n. 2829) (TAR Marche, sentenza 14.12.2012 n. 804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica - Caratteristiche del manufatto pertinenziale - Natura pertinenziale di un manufatto - Oggettiva compresenza dei requisiti - Necessità.
Le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica sono state più volte indicate e possono essere così sintetizzate:
- deve trattarsi di un'opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato;
- deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso;
- deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato e non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede;
- la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso.
Si è ulteriormente chiarito, che il manufatto pertinenziale, oltre a dover accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente, deve necessariamente presentare la caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l'edificio principale e non deve essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati.
È dunque evidente che la natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta, esclusivamente dalla destinazione (peraltro soltanto dichiarata e pure incerta: "lavanderia o legnala") o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza dei requisiti menzionati (Cass. Sez.3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.12.2012 n. 47646 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Caratteristiche del manufatto pertinenziale.
Il manufatto pertinenziale, oltre a dover accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente, deve necessariamente presentare la caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con |'edificio principale e non deve essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.12.2012 n. 47646 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ampliamento e pertinenze.
L'ampliamento di un fabbricato preesistente non può essere considerato pertinenza, diventando parte dell'edificio di cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.12.2012 n. 47228 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur potendo avere carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.
La realizzazione di una tettoia è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce.
La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente.

Sul punto si richiama quella giurisprudenza secondo cui la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur potendo avere carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 16.07.2002, n. 4107; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 08.07.2002, n. 1936; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 25.05.2010 ).
In tal senso peraltro vengono in rilievo specifici precedenti di questa sezione secondo cui “la realizzazione di una tettoia è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce” (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 17.02.2010, n. 968; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 28.12.2009, n. 9605) ed ancora “la tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente” (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 21.12.2007, n. 16493)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 27.11.2012 n. 4831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia a copertura di un terrazzo.
Va esclusa la natura di pertinenza della tettoia di copertura di un terrazzo in quanto priva del requisito della individualità fisica e strutturale propria, appunto, della pertinenza e costituendo tale manufatto parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.11.2012 n. 45819 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La pensilina, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al fabbricato, non può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell'edificio comportante il previo rilascio di titolo abilitativo espresso.
La qualificazione dell’abuso quale intervento eseguito in assenza di permesso di costruire ed il richiamo all’art. 31, d.P.R. n. 380/2001 sono corretti.
La pensilina, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al fabbricato, non può, difatti, essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell'edificio comportante il previo rilascio di titolo abilitativo espresso (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 29.04.2011, n. 2549)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2012 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di “pertinenza” in senso urbanistico differisce notevolmente da quella civilistica (cfr. per quest’ultima, l’art. 817 del codice civile), essendo il carattere pertinenziale in materia urbanistica circoscritto ad opere di limitatissima superficie o volume (ad esempio i volumi per il ricovero di impianti tecnologici), ma non a manufatti di ampie dimensioni (nel caso di specie il manufatto abusivo contraddistinto con il n. 1 nell’ingiunzione impugnata ha una superficie di metri 4 x 7 ed un’altezza di metri 2,9; mentre il manufatto n. 2 ha superficie di metri 11,4 x 8,2 ed altezza di metri 4,25).
Nel quarto motivo si sostiene, in primo luogo, che due delle opere oggetto dell’ordinanza impugnata (manufatto ad uso ufficio ed abitazione di custodia), sarebbero insuscettibili di autonomo utilizzo e prive di accesso all’area pubblica, il che escluderebbe la legittimità della loro demolizione.
L’asserzione difensiva è palesemente infondata, visto che le opere di cui sopra non assumono certo un oggettivo carattere pertinenziale o di servizio, tenuto conto della loro dimensione e della loro autonomia sotto il profilo urbanistico-edilizio: a tale proposito è sufficiente l’esame dell’ingiunzione di demolizione e dei suoi allegati (cfr. doc. 1 del ricorrente e doc. 1 del resistente), per comprendere che tutti i fabbricati abusivi (cfr. la pianta degli edifici e la documentazione fotografica di cui al doc. 1 del Comune), hanno superfici e volumi tali da escluderne ogni carattere pertinenziale.
Sul punto, si ricordi ancora che la nozione di “pertinenza” in senso urbanistico differisce notevolmente da quella civilistica (cfr. per quest’ultima, l’art. 817 del codice civile), essendo il carattere pertinenziale in materia urbanistica circoscritto ad opere di limitatissima superficie o volume (ad esempio i volumi per il ricovero di impianti tecnologici), ma non a manufatti di ampie dimensioni (cfr. tra le tante, TAR Toscana, sez. III, 27.09.2012, n. 1568; si ricordi che nel caso di specie il manufatto abusivo contraddistinto con il n. 1 nell’ingiunzione impugnata ha una superficie di metri 4 x 7 ed un’altezza di metri 2,9; mentre il manufatto n. 2 ha superficie di metri 11,4 x 8,2 ed altezza di metri 4,25)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2012 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
La giurisprudenza richiede che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
La Sezione ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”. Peraltro, la norma regionale -pur non fornendo una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia- ha cura di specificare che le strutture pertinenziali debbono essere “prive di funzionalità autonoma”.
Va rilevato che la proporzionalità del manufatto accessorio rispetto a quello principale non può costituire l’unico criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la ratio sottesa alla norma regionale.

La norma invece esclude dal divieto suddetto le (sole) strutture pertinenziali degli edifici prive di funzionalità autonoma, sicché viene in rilievo quanto articolato dai ricorrenti con il secondo profilo di doglianza del primo motivo, vale a dire la possibilità di qualificare l’opera abusiva come pertinenza.
Si tratta dunque di determinare quali strutture risultino ascrivibili a tale definizione.
Al riguardo la Sezione ha svolto (cfr. la sentenza 01.07.2010 n. 2408) le seguenti considerazioni.
Sotto un primo profilo, va ricordato che la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
La giurisprudenza richiede (cfr. da ultimo Cons. St. Sez. IV, 17.05.2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.01.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”. Peraltro, la norma regionale -pur non fornendo una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia- ha cura di specificare che le strutture pertinenziali debbono essere “prive di funzionalità autonoma”.
Va rilevato che la proporzionalità del manufatto accessorio rispetto a quello principale non può costituire l’unico criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la ratio sottesa alla norma regionale.
Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla fattispecie all’esame occorre rilevare che si è in presenza (cfr. il doc. n. 4a) di un’ abitazione avente la superficie di mq. 150,78; di una autorimessa di mq. 50,16, rispetto ai quali risulta difficile poter riconoscere carattere pertinenziale, sotto il profilo urbanistico, all’opera in questione: una tettoia di mq. 65,83 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.10.2012 n. 1747 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.
La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso.
Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire.

Con riguardo agli ulteriori motivi di ricorso, il Collegio condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale “la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente. La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n. 21346).
Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire (TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Lazio-Latina, sentenza 16.10.2012 n. 769 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza distingue il concetto di pertinenza previsto dal codice civile (artt. 817 e ss.) da quello inteso in senso urbanistico, lì dove non assumono carattere pertinenziale quei manufatti che pur svolgendo, come nel caso di specie, una funzione servente rispetto al fabbricato principale hanno dimensioni e caratteristiche di una certa consistenza, tali da costituire una trasformazione dello stato dei luoghi.
In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che anche ove ricorra un rapporto “pertinenziale” (in senso civilistico) ciò non può giustificare la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché direttamente al servizio della cosa principale.

La giurisprudenza distingue il concetto di pertinenza previsto dal codice civile (artt. 817 e ss.) da quello inteso in senso urbanistico, lì dove non assumono carattere pertinenziale quei manufatti che pur svolgendo, come nel caso di specie, una funzione servente rispetto al fabbricato principale hanno dimensioni e caratteristiche di una certa consistenza, tali da costituire una trasformazione dello stato dei luoghi (cfr. questa Sezione n. 605 del 27/11/2006).
In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che anche ove ricorra un rapporto “pertinenziale” (in senso civilistico) ciò non può giustificare la realizzazione di opere di rilevante consistenza, come quelle qui in rilievo, solo perché direttamente al servizio della cosa principale (cfr. questo TAR, Sezione I n. 785 del 09/05/2000).
E, pertanto, nel caso di specie, tenuto anche conto che non è stato in alcun modo dimostrato che l’intervento in questione abbia comportato la realizzazione di un volume inferiore al 20% del volume dell’edificio principale, non può ritenersi che si tratti di mera pertinenza, ma della realizzazione di un intervento qualificabile come addizione volumetrica non pertinenziale, secondo quanto disposto dalla L.R.T. n. 52/1999, ovvero come ristrutturazione con ampliamento, secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 380/2001, assoggettabile, in entrambi i casi a concessione edilizia/permesso di costruire, e, in mancanza del necessario titolo edilizio, a sanzione demolitoria
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 27.09.2012 n. 1568 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenze solo i manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
In terzo luogo, come correttamente rilevato dall’amministrazione appellata, le opere in questione non possono neppure essere, sotto un profilo urbanistico, considerate pertinenze perché in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenze solo i manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio (Cons. St., VI, 11.05.2011 n. 2781) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.09.2012 n. 4850 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio.
In particolare, la realizzazione di una tettoia ovvero di una veranda aperta è soggetta al preventivo rilascio del permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide sull’assetto edilizio preesistente.
La pertinenza urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia, ha, infatti, caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante, sotto il profilo funzionale, da elementi oggettivi, e, in particolare, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto che in relazione a quella al cui servizio è complementare oltre che dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico.
Il manufatto che genera una rilevante alterazione del territorio per dimensioni e struttura, pertanto, non può costituire pertinenza ai fini urbanistici a prescindere dal rilievo per cui, su area vincolata, la demolizione si impone ogni qualvolta l’intervento non sia stato preceduto da idoneo titolo proveniente dall’autorità preposta al vincolo.

Al riguardo il Collegio ritiene opportuno precisare che:
- in sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del territorio (TAR Campania, Napoli, sez. II, 21.05.2009, n. 2829);
- in particolare, la realizzazione di una tettoia ovvero di una veranda aperta è soggetta al preventivo rilascio del permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide sull’assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 12.12.2007, n. 16226);
- la pertinenza urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia, ha, infatti, caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante, sotto il profilo funzionale, da elementi oggettivi, e, in particolare, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto che in relazione a quella al cui servizio è complementare oltre che dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico (TAR Puglia, Lecce, sez. III, 24.10.2007, n. 3644; Cons. di Stato, sez. V, 13.06.2006, n. 3490);
- il manufatto che genera una rilevante alterazione del territorio per dimensioni e struttura, pertanto, non può costituire pertinenza ai fini urbanistici a prescindere dal rilievo per cui, su area vincolata, la demolizione si impone ogni qualvolta l’intervento non sia stato preceduto da idoneo titolo proveniente dall’autorità preposta al vincolo (TAR Lazio, Roma, sez. I, 10.04.2012, n. 3265).
Invero, i manufatti in questione hanno caratteristiche costruttive, dimensionali e funzionali tali da indurre univocamente a ritenere che:
- non sono opere minori: anche se legate da un rapporto di pertinenzialità con l’edificio principale, danno vita ad un organismo diverso per caratteristiche plano-volumetriche da quello oggetto della concessione, modificando la sagoma e il contorno del fabbricato con aumento della superficie utile;
- ben si annoverano tra quelle che alterano visibilmente e notevolmente lo stato dei luoghi, mutando in maniera permanente e significativa l’assetto urbanistico-edilizio del territorio;
- come tali sono senz’altro abbisognevoli del preventivo rilascio del permesso di costruire.
Essendo, in tal caso prevista, in assenza del necessario titolo abilitativo, l’irrogazione della sanzione di tipo demolitorio-ripristinatorio (art. 31 del d.P.R. n. 380/2001) l’ingiunzione alla demolizione delle opere risultate abusive, gravata, deve essere considerata legittima (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 07.09.2012 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo in legno necessita permesso a costruire.
L’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, ha lo scopo di frenare il fenomeno dei c.d. abusi progressivi, infatti, riconduce alla nozione di intervento di nuova costruzione, anche le istallazioni di strutture non murarie, per le quali è sempre necessario il permesso di costruire.
Una struttura in legno costituita da un unico manufatto, non può essere qualificata come semplice gazebo, in quanto assume la consistenza di un vero e proprio piano in elevazione che deve essere oggetto di concessione edilizia e di eventuale autorizzazione paesaggistica. I caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale.
Inoltre, il carattere pertinenziale dell'intervento non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto, preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore carico urbanistico.
In primo luogo, tale norma regolamentare risulta implicitamente abrogata dall’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, tra l’altro, riconduce alla nozione di “intervento di nuova costruzione" proprio “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere… che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Pertanto, a tutto voler concedere, l’articolo 8 del regolamento edilizio comunale, nel ricondurre la realizzazione di un gazebo alla nozione di “manutenzione straordinaria” da attuarsi con d.i.a. potrebbe, forse riferirsi ai soli gazebo, con funzioni analoghe agli ombrelloni, che costituiscono semplici arredi temporanei della terrazza, ma sicuramente non concerneva una struttura che, per le sue notevoli dimensioni strutturali e per il suo impatto visivo, integrava un’ipotesi del tutto differente (ma sul punto vedi amplius infra). In ogni caso cui non vi era alcuna pregiudiziale necessità di impugnare la detta normativa regolamentare.
Parimenti è inconferente l’assunto circa la pretesa necessità di impugnativa della nota della Soprintendenza del 1998 sia perché per i “gazebo” occorre comunque il permesso di costruire è conseguentemente e sia perché la stessa risultava, comunque, del tutto superata della cogente valenza dell'art. 167, comma 4°, lett. c) del D.L.vo 22.01.2004 n. 42, per cui, in zona vincolata, anche in caso di “manutenzione straordinaria" di cui all'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –come nel Comune di Forio- devono essere comunque preceduti dalla previa verifica di compatibilità paesaggistica dell'opera, con conseguente irrilevanza dell'eventuale preventivo esercizio positivo del controllo urbanistico/edilizio.
Per la giurisprudenza peraltro tale disciplina in caso di realizzazione di “gazebo” deve sempre essere di rigorosa applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2005 n. 714)
(massima tratta www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale.
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Sul piano funzionale poi, la destinazione a spazio destinato a soddisfare una migliore sistemazione della clientela, non costituiva un fine contingente ma una finalità permanente -sia pure per una parte dell'anno- che, come visto, comunque necessita di concessione edilizia, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto.
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Il carattere “pertinenziale” all'intervento in contestazione non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di “pertinenza urbanistica“ ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto -preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio- deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore “carico urbanistico”.

Come ricordato l’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, con l’evidente finalità di frenare il fenomeno dei c.d. “abusi progressivi”, riconduce alla nozione di “intervento di nuova costruzione" anche le istallazioni di strutture non murarie, con la diretta conseguenza che, in tali ipotesi, sia sempre necessario il “permesso di costruire”.
E ciò a maggior ragione nel caso di una struttura in legno, che:
- di fatto costituivano un unico manufatto;
- occupava infatti la superficie della terrazza superiore dell'Hotel (peraltro abusivamente realizzato, con istanze di condono edilizio ai sensi della L. 47/1985 ancora pendenti);
- era stata ottenuta mediante la congiunzione di n. 4 “gazebo” (dei quali due di 138 mq ciascuno e due da complessivi mq. 102,2: mq. 59,9 e 46,28 mq) per una superficie complessiva coperta di ben mq. 378,84;
- aveva una copertura del tetto in tela di plastica; con uno sviluppo massimo in altezza delle coperture al colmo di ben mq. 3,45;
- era chiusa su tutti i lati esterni attraverso paratie sovrastate da una grigliatura;
- aveva due porte e due finestre (così l’accertamento dei VV.UU. del 22.01.2006).
Le dimensioni e la finalità della struttura realizzata implicavano che l’intervento non potesse essere qualificato come semplice “gazebo”, in quanto assumeva la consistenza di un vero e proprio piano in elevazione che, come tale, avrebbe dovuto in ogni caso essere oggetto di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica.
Il “gazebo” costituiva infatti una rilevante alterazione della sagoma esterna, e finiva per avere un impatto visivo che provocava un indubbio vulnus agli eccezionali valori paesaggistici oggetto di salvaguardia. Di qui, se non la compiacenza, per lo meno l’erroneità della qualificazione come “gazebo”, assunta dall’amministrazione intimata come presupposto del suo illegittimo rifiuto ad intervenire.
I caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale (cfr. proprio a proposito di gazebo: Sez. V 13.06.2006 n. 3490, Cons. Sez. IV 06.06.2008 n. 2705).
Sul piano funzionale poi, la destinazione a spazio destinato a soddisfare una migliore sistemazione della clientela, non costituiva un fine contingente ma una finalità permanente -sia pure per una parte dell'anno- che, come visto, comunque necessita di concessione edilizia, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto (Cfr. in tal senso: Consiglio Stato, Sez. V 01.12.2003 n. 7822; Cons. St., sez. V, 20.04.2000 n. 2436, idem n. 419 del 27.01.2003; idem n. 696 dell'11.02.2003).
Per le predette ragioni, il carattere “pertinenziale” all'intervento in contestazione non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di “pertinenza urbanistica“ ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto -preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio- deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore “carico urbanistico” (cfr. Consiglio Stato; Sez. V n. 2325 del 18.04.2001; idem Sez. VI n. 1174 dell'08.03.2000).
In definitiva, se in relazione al ricordato art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, la struttura avrebbe comunque richiesto la concessione edilizia e non poteva essere ontologicamente qualificata come intervento di “manutenzione straordinaria”, in quanto costituiva una alterazione “dell’aspetto esteriore dell’edificio” non consentita dalla lett. a) dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 e s.m.i .
L’amministrazione avrebbe quindi dovuto qualificare correttamente la struttura come intervento in zona vincolata soggetto a concessione edilizia e, comunque, attivare l’apposito sub-procedimento per l’autorizzazione paesistica di cui all’art. 146 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Risulta infondata anche la censura incentrata sulla natura pertinenziale delle opere abusive in questione. Infatti secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia Milano, Sez. II, 11.02.2005, n. 365; TAR Lazio, Sez. II, 04.02.2005, n. 1036) occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dalla ricorrente risultanti dalla motivazione dell’ordine di demolizione, il predetto intervento -non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato anche in modo autonomo e separato- non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 06.07.2012 n. 3274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza edilizia è più ristretto della nozione civilistica, posto che il primo richiede che il manufatto sia non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche che sia sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto, in modo da non determinare alcuna incidenza sul cosiddetto carico urbanistico.
Il concetto di pertinenza edilizia è più ristretto della nozione civilistica, posto che il primo richiede che il manufatto sia non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche che sia sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto, in modo da non determinare alcuna incidenza sul cosiddetto carico urbanistico (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV, 12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza, 29.11.2008, n. 915; Tar Campania-Napoli, sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte-Torino, sez. I, 13.06.2008, n. 1368) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.07.2012 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura pertinenziale di un manufatto.
La natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta esclusivamente dalla destinazione (peraltro, nella fattispecie, soltanto dichiarata e pure incerta: «lavanderia o legnaia») o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza dei requisiti richiesti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.07.2012 n. 25669 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: INDIVIDUAZIONE DEGLI INDICI DELLA PERTINENZA URBANISTICA.
La natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta, esclusivamente dalla destinazione o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dall’oggettiva compresenza di una serie di requisiti, la cui sussistenza rende qualificabile come ‘‘pertinenziale’’ l’opera eseguita, in quanto tale non necessitante di permesso di costruire.
Di estremo interesse sicuramente la sentenza in commento, con cui la Corte Suprema di sofferma con minuziosa precisione ad individuare le condizioni ed i requisiti oggettivamente richiesti ai fini della qualificazione di un manufatto quale ‘‘pertinenza’’.
La vicenda processuale vedeva imputati due soggetti, riconosciuti responsabili dei reati di cui agli artt. 110 c.p., 44, lett. c), 64, 65, 71 e 72 del D.P.R. n. 380 del 2001 nonché dell’art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, per aver realizzato, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, in aderenza a preesistente fabbricato, un manufatto, costituito dal solo piano terra, di m. 6,00 X 8,00 X 4,50 h. con struttura in ferro e copertura in lamiere coibentate, tompagnato con blocchi di lapil-cemento su due lati, poggiante su pilastrini in ferro cementati su cordolo in cls lungo il perimetro della tompagnatura.
Contro la sentenza di condanna proponevano ricorso per cassazione i condannati, censurando, per quanto qui di interesse, la sentenza di merito in particolare perché le opere realizzate avrebbero avuto natura pertinenziale in quanto destinate a lavanderia o legnaia e che tale natura sarebbe stata desumibile dalla loro conformazione, cosicché non sarebbe stato necessario, per la loro esecuzione, il permesso di costruire.
La Cassazione ha, tuttavia, dichiarato inammissibile il ricorso, precisando, in merito alla natura pertinenziale dell’intervento, che le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica sono state più volte indicate, in vario modo, dalla giurisprudenza della Cassazione e possono essere così sintetizzate:
a) deve trattarsi di un’opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato;
b) dev’essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso;
c) dev’essere sfornita di un autonomo valore di mercato e non dev’essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell’edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede la relazione con la costruzione preesistente;
d) dev’essere, in ogni caso, non di integrazione ma ‘‘di servizio’’, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentante funzionale);
e) il manufatto pertinenziale, inoltre, deve accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente;
f) deve necessariamente presentare la caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l’edificio principale;
g) non dev’essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati.
E` dunque evidente che la natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta, esclusivamente dalla o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza dei requisiti menzionati (in giurisprudenza, sui requisiti richiesti per la qualifica ‘‘pertinenziale’’ del manufatto, v. tra le tante: Cass. pen., sez. III, 18.10.2008, n. 37257, in Ced Cass., n. 241278) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.07.2012 n. 25669 - tratto da Urbanistica e appalti n. 10/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Muovendo dall'art. 878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha un'altezza superiore a tre metri e che solo per un manufatto di queste dimensioni è ravvisabile la possibilità di applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001 n. 380).
In tali limiti va, pertanto, interpretato il comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha subordinato alla denunzia d'inizio d'attività gli interventi ivi indicati (tra i quali "recinzioni, mura di cinta e cancellate").
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Nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. di recente sez. IV, 03.05.2011, n. 2621) è nel senso che, muovendo dall'art. 878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha un'altezza superiore a tre metri e che solo per un manufatto di queste dimensioni è ravvisabile la possibilità di applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001 n. 380); in tali limiti va, pertanto, interpretato il comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha subordinato alla denunzia d'inizio d'attività gli interventi ivi indicati (tra i quali "recinzioni, mura di cinta e cancellate") e che erroneamente -in punto di fatto- il ricorrente invoca a proprio vantaggio.
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In proposito, è sufficiente richiamare, ex multis, la sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165, secondo la quale, nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; 27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte 07.05.2003, n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; 19.10.1994, n. 345)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.07.2012 n. 1265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa; si tratta, in particolare, di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione, che non possono essere ubicati all'interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
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Occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumano tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dal ricorrente risultanti dalla motivazione dell’ordine di demolizione, il predetto intervento –non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato (ndr: garage interrato regolarmente avente una superficie di 48,50 mq. e con altezza di 2,30 mt.)– non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire.
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La mancata specificazione delle aree da sottoporre all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, non costituisce motivo di illegittimità di quest’ultimo, potendo l’amministrazione provvedere a tale incombenza con il successivo ed eventuale atto di acquisizione.
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L’ordinanza di demolizione non richiede, in linea generale, una specifica motivazione; l’abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l’adozione della misura repressiva in argomento. Ne consegue che, in presenza di un’opera abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta ad intervenire affinché sia ripristinato lo stato dei luoghi, non sussistendo alcuna discrezionalità dell’amministrazione in relazione al provvedere.
Infatti, l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione ulteriore rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi”.
Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformità del titolo concessorio, con la conseguenza che, essendo l’ordinanza atto dovuto, essa è sufficientemente motivata con l’accertamento dell’abuso, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale obbligo di motivazione al riguardo solo se l’ordinanza stessa intervenga a distanza di tempo dall’ultimazione dell’opera avendo l’inerzia dell’amministrazione creato un qualche affidamento nel privato.
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In presenza di un intervento edilizio realizzato in assenza del prescritto permesso di costruire, l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto, mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.
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I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005), nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento...qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, nel caso in esame risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stata data al ricorrente l’opportunità di interloquire con l’amministrazione.

Oggetto della presente controversia è il provvedimento con il quale il Comune di Somma Vesuviana ha ingiunto al ricorrente di demolire un manufatto realizzato sopra un garage interrato regolarmente assentito con DIA del 23.04.2004 (prot. 5638), avente una superficie di 48,50 mq. e con altezza di 2,30 mt.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta che l’intervento edilizio contestato, concretandosi nella realizzazione di un volume tecnico, ricadrebbe nella disciplina di cui all’art. 22, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 con l’applicazione, in ipotesi, della sola sanzione pecuniaria.
Il motivo non ha pregio.
Il ricorrente ha realizzato un nuovo volume, di rilevanti dimensioni, al di sopra di un garage interrato e ciò avrebbe richiesto, ex art. 10, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001 la previa acquisizione del permesso di costruire nonché, trattandosi di zona paesaggisticamente vincolata ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, dell’autorizzazione paesaggistica; con la conseguenza che l’amministrazione, constatata l’assenza dei predetti titoli, ha correttamente ordinato la demolizione dell’opera ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.
Il nuovo manufatto non può, poi, per le sue caratteristiche essere considerato né volume tecnico (seppure così formalmente definito dal provvedimento), né pertinenza dell’abitazione (primo e secondo motivo).
Si è, in particolare, evidenziato come nella fattispecie si tratti di un nuovo volume della superficie di circa 48 mq. con altezza di circa 2 metri che sorge su un garage interrato, sicuramente suscettibile di autonoma utilizzazione. Sul punto la giurisprudenza ha statuito che “La nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa; si tratta, in particolare, di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione, che non possono essere ubicati all'interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica” (ex multis, TAR Piemonte Torino, sez. I, 14.01.2011 , n. 16).
Quanto alla censura circa la natura pertinenziale delle opere abusive in questione, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 365; TAR Lazio, sez. II, 04.02.2005, n. 1036) occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumano tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire. Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dal ricorrente risultanti dalla motivazione dell’ordine di demolizione, il predetto intervento –non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato– non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire.
In relazione alla censura inerente la mancata verifica della reale difformità dell’abuso rispetto al titolo posseduto, osserva il Collegio come il provvedimento indichi con chiarezza che l’intervento edilizio colpito dalla sanzione ripristinatoria è il volume edificato sopra il garage (regolarmente assentito). L’opera in questione è stata realizzata in totale difformità dal titolo –la DIA del 23.03.2004– il cui contenuto era limitato alla realizzazione di un parcheggio interrato. Legittima sotto questo profilo l’applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.
Nessun dubbio può quindi porsi sull’oggetto della disposta demolizione mentre, come più volte affermato dalla giurisprudenza, la mancata specificazione delle aree da sottoporre all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, non costituisce motivo di illegittimità di quest’ultimo, potendo l’amministrazione provvedere a tale incombenza con il successivo ed eventuale atto di acquisizione.
Non rileva neppure che il parcheggio sia stato in precedenza considerato legittimo dal punto di vista urbanistico. La circostanza, infatti, che l’amministrazione abbia consentito la costruzione di un manufatto interrato non implica la possibilità per il ricorrente di edificarvi, senza alcun titolo, un ulteriore volume.
Infondato anche la censura di difetto di motivazione per non aver l’amministrazione qualificato la gravità dell’illecito edilizio. Come affermato dalla giurisprudenza in presenza di un abuso edilizio “l’ordinanza di demolizione non richiede, in linea generale, una specifica motivazione; l’abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l’adozione della misura repressiva in argomento. Ne consegue che, in presenza di un’opera abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta ad intervenire affinché sia ripristinato lo stato dei luoghi, non sussistendo alcuna discrezionalità dell’amministrazione in relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma, sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti “l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione ulteriore rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona, sez. I, 12.10.2006 , n. 824) ed, ancora, “presupposto per l'emanazione dell'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformità del titolo concessorio, con la conseguenza che, essendo l’ordinanza atto dovuto, essa è sufficientemente motivata con l’accertamento dell’abuso, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale obbligo di motivazione al riguardo solo se l’ordinanza stessa intervenga a distanza di tempo dall’ultimazione dell’opera avendo l’inerzia dell’amministrazione creato un qualche affidamento nel privato” (Consiglio di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270).
Peraltro, in presenza di un intervento edilizio realizzato in assenza del prescritto permesso di costruire, l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto, mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (secondo motivo).
Destituita di ogni fondamento risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 – terzo motivo) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV 12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005), nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento...qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, nel caso in esame risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stata data al ricorrente l’opportunità di interloquire con l’amministrazione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 27.06.2012 n. 3048 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di “pertinenza urbanistica” nel campo urbanistico-edilizio è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale.
L
a nozione di “pertinenza urbanistica” nel campo urbanistico-edilizio è, infatti, meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale.
All’opposto, deve dirsi che la natura pertinenziale dell’opera va esclusa per il muro in questione che ha una ragguardevole dimensione, presentando una lunghezza di metri lineari 37,00, un’altezza di metri 0,75 e una profondità di metri 0,45; inoltre, lo stesso è stato elevato di ulteriori metri 2,00 e ha raggiunto una lunghezza di metri 12,00.
Per quanto le osservazioni appena svolte appaiano dirimenti, deve, osservarsi, ‘ad abundantiam’ che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 non potrebbe essere esclusa in ragione della insistenza delle opere in questione in area vincolata.
Le stesse argomentazioni valgono a respingere l’obiezione che si tratterebbe di opere di modesta entità e irrilevanti sotto il profilo urbanistico, posto che a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la costruzione di un muro delle riportate dimensioni ha una valenza di tipo paesaggistico e comporta una duratura trasformazione del territorio, che è assoggettato a vincolo paesaggistico.
Tali interventi necessitano, quindi, sia del previo titolo abilitativo sotto il profilo paesaggistico che di quello edilizio/urbanistico, ovvero, quanto a quest’ultimo, del permesso di costruire (o di titolo alternativo ai sensi dell’art. 22, comma 3, d.P.R. 380 del 2001)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 07.06.2012 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda l’asserito carattere pertinenziale di una tettoia, va ricordato che:
- la regola dell'assoggettamento al previo rilascio del permesso di costruire di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non riguarda la sola attività di edificazione, ma tutti i manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione con rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica;
- ai fini urbanistici, la strumentalità propria della nozione civilistica di pertinenza prescinde dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario, non potendosi in specie ritenere beni pertinenziali quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto per un verso suscettibili di utilizzo autonomo e, per altro verso, tali da occupare aree e volumi diversi;
- in tali casi l'impatto volumetrico dell'intervento, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, giustifica la necessità del permesso di costruire, con conseguente applicabilità del regime demolitorio.

Per quanto riguarda l’asserito carattere pertinenziale di una tettoia, va ricordato che:
- la regola dell'assoggettamento al previo rilascio del permesso di costruire di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non riguarda la sola attività di edificazione, ma tutti i manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione con rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica;
- ai fini urbanistici, la strumentalità propria della nozione civilistica di pertinenza prescinde dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario, non potendosi in specie ritenere beni pertinenziali quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto per un verso suscettibili di utilizzo autonomo e, per altro verso, tali da occupare aree e volumi diversi;
- in tali casi l'impatto volumetrico dell'intervento, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, giustifica la necessità del permesso di costruire, con conseguente applicabilità del regime demolitorio (cfr. Cons. St. Sez. IV, 13.10.2010 n. 7481; Tar Campania, VI, 07.09.2009 n. 4899; Tar Basilicata, 29.11.2008, n. 915) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.05.2012 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOccorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dalla ricorrente risultanti dalla motivazione dell’ordine di demolizione, il predetto intervento -non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato anche in modo autonomo e separato- non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire.
Allo stesso modo, è del tutto irrilevante la pretesa modestia delle opere realizzate, una volta accertato che per la realizzazione delle stesse occorreva il permesso di costruire

Risulta infondata la censura incentrata sulla natura pertinenziale delle opere abusive in questione. Infatti secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia Milano, Sez. II, 11.02.2005, n. 365; TAR Lazio, Sez. II, 04.02.2005, n. 1036) occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dalla ricorrente risultanti dalla motivazione dell’ordine di demolizione, il predetto intervento -non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato anche in modo autonomo e separato- non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire.
Allo stesso modo, è del tutto irrilevante la pretesa modestia delle opere realizzate, una volta accertato che per la realizzazione delle stesse occorreva il permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.05.2012 n. 2230 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistica, nel senso che beni, che in diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio; pertanto, in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
Quanto al terzo motivo, giova osservare che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della nozione di “pertinenza” ai fini edilizi, come elaborata dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 23.07.2009 n. 4636), secondo la quale la nozione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistica, nel senso che beni, che in diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio; pertanto, in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.05.2012 n. 2723 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAa) la nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: si deve trattare, invero, di un’opera -che abbia comunque una propria individualità fisica e una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato- preordinata a un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente e oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. La pertinenza, in definitiva, esaurisce la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico;
b) nello specifico, la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non d’integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio mediante l’edificazione di un vano e relativi servizi, che, per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato.

Secondo giurisprudenza consolidata:
a) la nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: si deve trattare, invero, di un’opera -che abbia comunque una propria individualità fisica e una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato- preordinata a un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente e oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. La pertinenza, in definitiva, esaurisce la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 25.01.2012, n. 164; TAR Marche, Ancona, sez. I, 01.08.2011, n. 634; TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 17.11.2010, n. 1221).
b) nello specifico, la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non d’integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio mediante l’edificazione di un vano e relativi servizi, che, per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cassazione penale, sez. III, 24.03.2010, n. 24241).
Ora, nel caso di specie, trattasi di vano, con relativi servizi, privo di una propria individualità fisica e di una propria conformazione strutturale in quanto parte di altro fabbricato (l’abitazione già esistente), della quale costituisce un ampliamento, completandola per i bisogni cui è destinato (a residenza familiare), valutabile in termini di cubatura (mq. 47,12 pari a mc. 162,50: cfr. dichiarazione del 6 dicembre 2004, allegata alla domanda di definizione degli illeciti edilizi) e, dunque, tale incidere sul carico urbanistico.
Incorre, pertanto, nell’abuso edilizio colui che realizza un ampliamento dell’abitazione di proprietà, già sanata, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, non suscettibile, per i motivi anzidetti, di sanatoria edilizia
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 02.05.2012 n. 757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza sulle piscine è molto variegata e questo stesso tribunale ha affermato che le piscine in generale hanno la natura di opere pertinenziali che non implicano consumo dei suoli per le loro caratteristiche; vi è comunque una giurisprudenza maggioritaria che afferma l’illegittimità degli atti di diniego assunti dall’amministrazione motivati con espressioni stereotipate, generiche che non facciano riferimento ad elementi concreti della fattispecie considerata quali la visibilità o l’impatto del manufatto le dimensioni della piscina in relazione alla estensione del terreno circostante in cui la stessa è collocata.
Invero, l'Amministrazione, nell'adottare un provvedimento di diniego del richiesto nulla-osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche (nel caso di specie, la motivazione del diniego era del tutto generica e stereotipata, non essendovi nel provvedimento alcun riferimento puntuale al progetto presentato o alla situazione dei luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare la piscina).

Premesso che la giurisprudenza sulle piscine è molto variegata e questo stesso tribunale ha affermato che le piscine in generale hanno la natura di opere pertinenziali che non implicano consumo dei suoli per le loro caratteristiche (TAR Liguria Genova, sez. I, 16.02.2008, n. 299); vi è comunque una giurisprudenza maggioritaria che afferma l’illegittimità degli atti di diniego assunti dall’amministrazione motivati con espressioni stereotipate, generiche che non facciano riferimento ad elementi concreti della fattispecie considerata quali la visibilità o l’impatto del manufatto le dimensioni della piscina in relazione alla estensione del terreno circostante in cui la stessa è collocata.
Si è infatti affermato che “L'Amministrazione, nell'adottare un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche (nel caso di specie, la motivazione del diniego era del tutto generica e stereotipata, non essendovi nel provvedimento alcun riferimento puntuale al progetto presentato o alla situazione dei luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare la piscina)" (TAR Lazio Roma, sez. II, 08.10.2008, n. 8829).
Ora senza giungere a quelle affermazioni perentorie che pure si trovano in giurisprudenza secondo le quali “L'introduzione dell'elemento «piscina» in uno scenario naturalistico bello come quello dell'Isola di Capri non comporta, di regola, l'eliminazione di essenze arboree (o comunque ne comporta un'eliminazione assai limitata) e migliora significativamente l'impatto ambientale” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19288), tuttavia va riconosciuto come afferma il ricorso che nel caso di specie, non vi è alcun elemento di specificità nel provvedimento impugnato che consenta al lettore neppure di immaginare le dimensioni del manufatto ed il suo rapporto con l’ambiente circostante.
Ciò denuncia l’esistenza dei numerosi profili di eccesso di potere lamentati con il primo motivo di ricorso in relazione alle notevoli dimensioni del terreno (17.000 mq.) mantenuto a giardino e parco alberato, all’interno del quale la piscina di modeste dimensioni (m. 10,25 per m. 5,30) è collocata.
La documentazione fotografica mostra poi come il muro di sostegno regolarmente autorizzato mascheri l’impatto della piscina risultando pertanto apodittiche e smentite dai documenti sia “le notevoli dimensioni del manufatto” apprezzabili solo in relazione all’estensione ed alla destinazione dell’ambiente circostante, sia con riferimento all’affermazione senza ulteriori specificazioni secondo la quale la piscina “non si inserirebbe in maniera appropriata” nel contesto naturalistico sottoposto a tutela (TAR Liguria. Sez. I, sentenza 27.04.2012 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe la tettoia è ingombrante non ha carattere pertinenziale ed è quindi necessario il permesso di costruire.
Il Giudice capitolino nella sentenza in esame ha ritenuto infondata la censura formulata dal ricorrente secondo la quale le tettoie in contestazione avrebbero carattere pertinenziale: tale natura va infatti negata alle opere che, pur accedendo ad un edificio principale, abbiano un ingombro non indifferente.
Le fotografie in atti, unitamente alla descrizione delle opere recata nell’atto impugnato con l’indicazione delle dimensioni delle stesse, consentono di escludere che le tettoie abbiano una funzione di mera protezione dell’immobile dalle intemperie: esse realizzano infatti una modifica non indifferente al prospetto dell’edificio, che avrebbe richiesto di essere preceduto da permesso di costruire (TAR Lazio, Sez. I-quater, sentenza 11.04.2012 n. 3258
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente ed è tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale. In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera.
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La nozione di pertinenza in materia edilizia è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio, non potendosi, conseguentemente, attribuire carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza, anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale.

● Considerato, in punto di diritto, che le disposizioni della legge n. 326 del 2003 subordinano il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria –tra l’altro- alla:
   - riconducibilità delle opere realizzate alle tipologie d’illecito descritte nell’allegato 1, con la precisazione, contenuta nell’art. 32, comma 26, lett. a), della legge n. 326 del 2003, che, nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28.02.1985, n. 47, sono ammesse (unicamente) le tipologie descritte ai numeri 4, 5 e 6 ovvero:
a) opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera c) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444;
b) opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera c) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;
c) opere di manutenzione straordinaria, come definite all'articolo 3, comma 1, lettera b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume;
   - insussistenza di preclusioni alla sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 27, della legge medesima e degli artt. 32 e 33 della L. 28.02.1985, n. 47;
● Considerato che il punto nodale della vicenda oggetto di contenzioso consiste, ad avviso del Collegio, nello stabilire se le opere per le quali il ricorrente ha invocato il condono siano da considerarsi “nuova costruzione”, dato che la riconducibilità o meno a tale categoria appare dirimente ai fini della valutazione in ordine alla loro condonabilità, anche avuto riguardo a quanto stabilito dall’art. 2 della L.R. 10.11.2004, n. 33, recante disposizioni regionali per l’attuazione della sanatoria edilizia degli abusi edilizi prevista dall'articolo 32 del decreto-legge 30.09.2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.11.2003, n. 326, che precisa, per l’appunto, che “ai fini della presente legge si intende per nuova costruzione il manufatto che risulti realizzato in forma autonoma non connesso o pertinente ad altro manufatto esistente”, lasciando, conseguentemente, intendere che la sola “nuova costruzione” incontra i limiti imposti dalla normativa sul condono;
● Considerato che la realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente ed è tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire (TAR Piemonte, sez. I, 16.03.2009, n. 752);
● Considerato che è noto, del resto, che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309; C.d.S., sez. IV, n. 2705 del 2008). In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007);
● Considerato che, applicando le coordinate su indicate al caso di specie, si può affermare che il manufatto realizzato, ancorché collocato all’interno della proprietà del ricorrente e deputato a servizio dell’edificio principale, per i materiali utilizzati, le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di mq. 50,40), sia tale da configurare una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 13.06.2006, n. 3490; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.06.2008, n. 5965; id., sez. I-quater, 23.11.2007, n. 11679), dato –tra l’altro- che non appare condivisibile la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che, per principio pacifico, la nozione di pertinenza in materia edilizia è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio, non potendosi, conseguentemente, attribuire carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza, anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045);
● Considerato, in ogni caso, che non sono stati offerti in questa sede elementi per poter verificare la sussumibilità della tettoia realizzata tra gli interventi pertinenziali non costituenti nuova costruzione, secondo la definizione ritraibile dalla lettura “a contrario” dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R. n. 380 del 2001, dato che il ricorrente non ha ritenuto di portare a conoscenza di questo giudice il volume dell’edificio principale, sì da consentire di accertare che quello dell’opera abusiva realizzata è effettivamente inferiore al 20% del primo, come dallo stesso, invero, solo ripetutamente affermato;
● Considerato, inoltre, che, nella zona ove è stata realizzata l’opera, il PRGC non consente la realizzazione di parcheggi, se non nel sottosuolo o al piano terra degli edifici, derivandone, anche per tale motivo, che le opere deputate a tale funzione realizzate isolatamente, come la tettoia in questione, costituiscono nuova costruzione;
● Considerato, altresì, che, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (fra le tante TAR Campania-Napoli, sez. II, sentenza 31.10.2011 n. 5093);
● Ritenuto, conseguentemente, che, alla luce delle considerazioni innanzi svolte, debba ritenersi corretta la qualificazione dell’illecito quale nuova costruzione, riconducibile alla tipologia n. 1 (“opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”) dell’allegato 1 alla legge n. 326 del 2003, in quanto tale non suscettibile di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 32, comma 26, lett. a), della legge medesima, data la sottoposizione della zona nell’ambito della quale è ubicato il manufatto abusivo a vincolo ambientale e paesaggistico ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004, ove sono ammesse a sanatoria solo le tipologie di illecito 4, 5 e 6 descritte nel medesimo allegato 1;
● Ritenuto, invero, che le censure svolte dal ricorrente (“Violazione e/o falsa applicazione di legge con rifermento agli artt. 3 e 10-bis della legge 07.08.1990, n. 241 e s.m.i.; all’art. 4 della L.R. Piemontese 08.07.1999, n. 19; all’art. 4 della L.R. Piemontese 10.11.2004, n. 33; nonché all’art. 1, commi 37 e 39, della legge 15.12.2004, n. 308 e s.m.i.; violazione del principio del giusto procedimento e del legittimo affidamento. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti; difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione; irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta; illogicità, perplessità, sviamento”) non siano in grado di inficiare la legittimità del diniego opposto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 11.04.2012 n. 438 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico, e cioè che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all'art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio.
Una pertinenza, per poter essere definita tale, deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato. Deve, inoltre, essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Ciò che più rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso.

Occorre verificare, in particolare, se possa condividersi la tesi attorea secondo cui le opere suindicate -una tettoia chiusa adibita a wc e lavanderia- integri la nozione di "intervento pertinenziale" ex art. 3, comma 1, lett. e.6) d.P.R. n. 380/2001.
A tal fine, devono richiamarsi i criteri definitori della suddetta nozione così come elaborati dalla giurisprudenza:
- la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico, e cioè che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.10.2010, n. 7549);
- sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all'art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. Consiglio di Stato, sez. IV 13.01.2010, n. 41; TAR Brescia, sez. I 13.10.2008, n. 1259; TAR Brescia, sez. I, 22.09.2010, n. 3555);
- una pertinenza, per poter essere definita tale, deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato. Deve, inoltre, essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Ciò che più rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso (TAR Marche Ancona, sez. I, 20.04.2010, n. 182).
Ebbene, ritiene il Tribunale che l'immobile oggetto di controversia risponda alla definizione di pertinenza, urbanisticamente rilevante, offerta dalle massime citate.
In primo luogo, infatti, lo stesso è caratterizzato da una modesta rilevanza economica e dimensionale: dall'ordinanza di demolizione del 05.01.2010 si evince infatti che il manufatto de quo occupa una superficie di soli mq. 13,40 ed ha un ingombro volumetrico di appena mc. 38,20.
Inoltre, non può negarsi che l'immobile in questione sia funzionalmente asservito all'abitazione cui accede: basti osservare che la sua destinazione a wc e lavanderia e la sua contiguità spaziale all'immobile principale non consentono di ipotizzare un uso autonomo rispetto a quest'ultimo, essendo destinato ad assolvere ad integrare le utilità che esso è in grado di offrire ai suoi utilizzatori.
Infine, deve escludersi che il manufatto de quo costituisca parte integrante dell'immobile principale, essendo sufficiente, a denotarne l'autonomia rispetto ad esso, la presenza di un ingresso autonomo (cfr. pag. 6 dell'atto di intervento ad opponendum).
La natura pertinenziale delle opere di cui si discute, non presa in considerazione dall'amministrazione intimata sebbene evidenziata dalla parte ricorrente con l'istanza di accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica oggetto di diniego, è sufficiente a determinare l'illegittimità, per difetto di motivazione, dei provvedimenti impugnati.
E' evidente, infatti, che il suo positivo riconoscimento avrebbe quantomeno inciso sul regime sanzionatorio applicabile, non potendo questo identificarsi -ove non sia configurabile una "nuova costruzione"- in quello ripristinatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.02.2012 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Cassazione chiarisce i significati di volume tecnico e pertinenza urbanistica. Il titolo edilizio non può essere eluso parcellizzando l’attività.
Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla. L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti.
Volumi tecnici sono quelli non utilizzabili né adattabili a uso abitativo strettamente necessari a consentire l’eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli stessi non altrimenti soddisfabili, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche. I volumi tecnici, dovendosi porre rispetto alla costruzione come elementi tecnicamente essenziali per l’utilizzazione della stessa, non possono ricomprendere gli spazi destinati ad assolvere a funzioni complementari.
La pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie che la distinguono da quella civilistica: trattasi di un’opera avente propria individualità fisica e conformazione strutturale, che non è parte integrante di altro fabbricato e che è preordinata a un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente e oggettivamente inserita al servizio dello stesso allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (nesso di strumentalità funzionale), come tale sfornita di un autonomo valore di mercato e non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo, tale da non consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
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Con la
sentenza 14.02.2012 n. 5618 la Corte di Cassazione, Sez. III penale, fa nuovamente il punto su alcune importanti questioni in materia di titoli abilitativi edilizi e di inerenti fattispecie criminose, con particolare riguardo a quelle realizzate mediante pratiche elusive.
Le questioni rilevanti.
Vengono in rilevo, segnatamente, le seguenti questioni:
- l’individuazione dell’ambito di riferimento del permesso di costruire, se come intervento complessivo ovvero come singole opere in cui esso si estrinseca, con quanto ne consegue in ordine al fenomeno della parcellizzazione dell’attività edificatoria;
- la nozione di “volume tecnico” e la sua riferibilità o meno alle parti di edificio destinate all’assolvimento di funzioni complementari;
- la puntualizzazione del concetto di “pertinenza urbanistica”, con particolare riferimento ai profili della strumentalità funzionale e della individualità strutturale rispetto all’edificio principale.
Le soluzioni.
La pronuncia in commento riafferma, ponendosi in linea di continuità con una consolidata giurisprudenza sia di legittimità che amministrativa, la rilevanza penale degli interventi edilizi che non trovino abilitazione in un corrispondente permesso di costruire, nonché l’approccio sostanziale che deve guidare tali riscontri.
La suddivisione dell’attività edificatoria.
 Viene ribadito, segnatamente, che la realizzazione di opere riguardanti un preesistente fabbricato necessita sempre di un permesso di costruire, la cui valenza abilitativa va riferita all’intervento complessivo, al fine di evitare che i vincoli urbanistici possano essere aggirati per il tramite di pratiche elusive consistenti nella artificiosa parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, facendo leva sul fatto che le stesse sono astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate, in ragione della loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. Per contro, l’opera deve essere sempre “considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti” (Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent. 11.10.2005).
Al citato fine antielusivo, la Cassazione puntualizza inoltre i contenuti di alcune nozioni urbanistiche che sovente sono invocate al fine, per l’appunto stigmatizzato dal Giudice della legittimità, di reperirvi una pretesa giustificazione in ordine a interventi edilizi sostanzialmente ampliativi dei fabbricati preesistenti.
Il volume tecnico.
Un primo concetto in tal senso esaminato è quello di volume tecnico. La Cassazione ne ribadisce una interpretazione restrittiva, rigorosamente ancorata al dato funzionale e perimetrata in termini di effettiva indispensabilità tecnica. In questa prospettiva, richiamandosi la risalente e consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sent. n. 6038 del 16.09.2004), vengono individuati come tali esclusivamente i volumi che siano “strettamente necessari a consentire l’eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
Trattasi, in altri termini, di volumi “che, per funzione e dimensione, si pongono rispetto alla costruzione come elementi tecnici essenziali per l’utilizzazione della stessa” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 239/1982; sez. V, sent. n. 44/1991) e ai quali, soltanto e nella misura delineata dalla necessità tecnica ineludibile, è consentito eccedere rispetto ai limiti urbanistici posti alla parte abitativa, la quale, diversamente, si vedrebbe pregiudicata con riferimento a profili funzionali essenziali.
Dalle esposte premesse discende una serie di più articolate conseguenze. In primis, quella per cui i volumi tecnici, quali “parti di edificio destinate a comprendere gli impianti tecnici che, per la loro funzionalità, non possono essere contenuti entro i limiti volumetrici previsti dalla legge” (Cass., sez. III, sent. 28.10.1981), non possono mai fare riferimento all’intero edificio, legittimandone indifferenziati e generalizzati aumenti di volume, bensì soltanto a porzioni ben individuate dell’edificio stesso, la cui eccedenza rispetto ai limiti urbanistici non può che essere commisurata e perimetrata in ragione di quanto necessario e sufficiente ad assicurare la funzionalità degli impianti.
Ne discende, ancora, che possono qualificarsi come volumi tecnici soltanto quelli destinati a ospitare “le parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”, con esclusione dunque di ogni ampliamento volumetrico che fosse invece finalizzato a contenere parti di impianti
che ben potrebbero, senza alcun pregiudizio funzionale, essere localizzate e contenute all’interno della parte abitativa.
Ulteriore corollario attiene al fatto che i volumi tecnici “non sono utilizzabili né adattabili a uso abitativo” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 638/2004, richiamata da Cass., sez. III, sent. n. 5618/2012 in commento), non potendosi, in buona sostanza, approfittare della copertura offerta dal regime abilitativo di favore consentito, in via di stretta eccezione, per fronteggiare le necessità tecniche essenziali ineludibili degli impianti al fine distorto ed elusivo dei vincoli urbanistici e, come tale, illecito di espandere il volume della parte abitativa oltre quanto obiettivamente indispensabile in relazione alle necessità tecniche suddette.
Un’altra importante conseguenza è quella per cui i volumi tecnici “non ricomprendono quelli suscettibili di assolvere a funzioni complementari” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 239 del 19.03.1982; sez. V, sent. n. 44 del 14.01.1991). Ciò è connesso al carattere di “funzionalità essenziale” che il volume tecnico deve rivestire, dovendo trattarsi, ai fini dell’esclusione del calcolo della volumetria ammissibile, di spazi destinati e “strettamente necessari a contenere o a consentire l’accesso a quelle parti degli impianti (es. idrico, termico, elevatoio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione ecc.)” che pur non potendo “per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche” “si pongono rispetto alla costruzione come elementi tecnici essenziali per l’utilizzazione della stessa”, il cui difetto ne pregiudicherebbe pertanto l’obiettiva attitudine all’uso essenziale (abitativo) cui essa è destinata (Cons. Stato, sent. n. 6038/2004). Non può quindi invocarsi il regime di favore in relazione ad ampliamenti volumetrici connessi alla realizzazione di finalità complementari, stante la non essenzialità ad assicurare la funzionalità del fabbricato, attenendo piuttosto gli stessi a una maggiore valorizzazione del costrutto che non trova giustificazione in termini di ineludibile necessità e che, come tale, è soggetta all’ordinario regime abilitativo.
La suddetta caratteristica di strumentalità necessaria è inoltre presidiata per il tramite della remissione dell’individuazione della tipologia e della volumetria delle parti di impianti qualificabili come volumi tecnici, cui consegue l’ammissione al regime derogatorio di favore, alle specifiche elencazioni e ai relativi indici come definiti, per ciascuna zona, a opera dei competenti strumenti urbanistici. Elencazioni e prescrizioni alle quali la giurisprudenza riconosce “natura tassativa” (Cons. Stato, sent. n. 6038/2004), con conseguente esclusione della invocabilità del favorevole regime derogatorio di non computo del volume tecnico con riferimento sia a tipologie di impianti che esulino da quelle tassativamente elencate e sia a volumi eccedenti rispetto agli indici altrettanto tassativamente prescritti.
In tale prospettiva, è stato escluso dalla sentenza penale in commento che l’insediamento di tipologia di impianto esulante dalla tassativa elencazione contenuta nello strumento urbanistico potesse giustificare la maggiore altezza di tutto l’edificio in termini di destinazione al volume tecnico, ritenendosi piuttosto che si trattasse di una vera e propria sopraelevazione, assolvente a funzioni complementari all’abitazione e non invece “alla necessaria funzionalità degli impianti del fabbricato preesistente”.
A tale ultimo riguardo va sottolineata l’importanza del riferimento della funzionalità necessaria al fabbricato preesistente, che sottende l’esclusione del beneficio della scomputabilità del volume tecnico con riferimento alla sopraelevazione o ultraedificazione a beneficio di parte del fabbricato che non sia sorretta da un corrispondente titolo abilitante. In altri termini, il volume tecnico può riferirsi soltanto agli spazi eccedentari che sono necessari ad assicurare la funzionalità degli impianti a servizio essenziale del preesistente fabbricato, sul presupposto e nella misura in cui lo stesso sia conforme alle abilitazioni edilizie, dovendo invece escludersi che lo scomputo volumetrico possa invocarsi anche con riferimento agli spazi destinati a servire la sopraelevazione o ultraedificazione illegittima.
Ciò in quanto l’illiceità della stessa, conseguente al difetto ab origine di un idoneo titolo abilitante, si estende automaticamente e conseguenzialmente anche a ogni opera che sia servente rispetto a quella abusiva. In tal senso la giurisprudenza ha precisato che “Il regime delle pertinenze urbanistiche … non è applicabile allorché l’accessorio acceda a un manufatto principale abusivo non sanato ex art. 13 della legge n. 47/1985 e non condonato. […] Infatti: il regime pertinenziale è un regime eccezionale di favore che non può essere esteso a situazioni non corrispondenti alla sua ratio; l’accessorio è intimamente connesso al principale, per cui se quest’ultimo è abusivo non vi è alcuna ragione per agevolare la costruzione di altra opera destinata a produrre una compromissione del territorio ulteriore rispetto a quella causata dal manufatto principale; la non conformità, o comunque la mancata verifica di conformità allo strumento urbanistico dell’opera principale, realizzata in assenza di concessione edilizia, priva il comune del parametro di legalità in relazione al quale può essere esercitato il potere di autorizzare opere pertinenziali che costituiscono completamento di quanto conserva caratteristiche di contrarietà all’assetto urbanistico del territorio” (Cass. pen., sez. VI, sent. n. 4164 del 19.07.1995, richiamata da Cass. pen., sez. III, sent. n. 4087 del 28.01.2008).
La pertinenza urbanistica.
L’ulteriore nozione disaminata dalla sentenza penale in commento, con il fine di puntualizzarne i contenuti in senso antielusivo, è quella di pertinenza urbanistica, anch’essa sovente invocata nella prassi quale possibile escamotage, per l’appunto stigmatizzato dal giudice della legittimità, per la pretesa giustificazione di abusi edilizi. Anche per le pertinenze urbanistiche nonché per le costruzioni di natura accessoria è previsto un regime di favore, potendo le stesse essere sottratte alle disposizioni degli strumenti urbanistici relative ai fabbricati e alle norme sulle distanze integrative del codice civile sulla base e nei limiti delle espresse previsioni derogatoria che siano in tal senso eventualmente sancite dagli strumenti urbanistici (Cass. civ., sez. II, sent. n. 4208 del 06.05.1987).
La giurisprudenza ha meglio delineato i tratti distintivi della pertinenza urbanistica rispetto alla nozione civilistica.
Quest’ultima è fornita dall’art. 817 c.c., che definisce tali “le cose destinate in modo durevole a servizio od ornamento di un’altra cosa”; il nesso funzionale stabile che contrassegna ontologicamente il rapporto pertinenziale si traduce nella regola generale, salvo diversa disposizione legislativa o contrattuale, dell’assoggettamento della pertinenza al medesimo regime e destino giuridico del bene principale (artt. 818, 819 c.c.).
Più articolato è il concetto di pertinenza urbanistica,  che riflette “il preminente rilievo che nel settore urbanistico hanno le esigenze di tutela del territorio”. In tale prospettiva, “mentre nella pertinenza civilistica rilevano sia l’elemento obiettivo che quello soggettivo, nella pertinenza urbanistica acquista rilevanza solo l’elemento oggettivo”.
Proprio con riferimento all’elemento oggettivo il Legislatore, “con il Testo unico dell’edilizia approvato con Dpr n. 380/2001, per superare le incertezze derivanti dal criterio quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha fissato due criteri per precisare quando l’intervento perde le caratteristiche della pertinenza per assumere i caratteri della nuova costruzione: il primo rinvia alla determinazione delle norme tecniche degli strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle aree; il secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova opera gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio principale” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 28504 del 18.07.2007).
A ogni modo, va precisato che “una trasformazione urbanistica e/o edilizia per essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio in senso ampio dell’autorità amministrativa non deve essere ‘precaria’: un’opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare.
Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere contingente e a essere presto eliminati
” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Anche con riferimento al profilo della precarietà, l’approccio valutativo, trattandosi di “tutela del territorio”, deve essere sempre “oggettivo e non soggettivo”. Segnatamente, detta caratteristica “non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione” (Cass., sez. III, sentenze n. 26573 del 26.06.2009; n. 25965 del 22.06.2009; n. 22054 del 25.02.2009; tutte richiamate da sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Inoltre “la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio
”. La precarietà va esclusa “quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all’opera del proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3321 del 15.06.2000; sent. n. 97 del 23.01.1995).
Anche a tale fine, l’approccio valutativo deve essere globale e non parcellizzato: invero, “l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti” (Cass., sez. III, sent. del 27.05.2004). “La stabilità non va confusa con l’irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione a essa assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell’attitudine a una utilizzazione che non sia temporanea e contingente” (Cass., sez. III, sent. del 07.06.2006).
È stato anche precisato che “la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo” (Cass., sez. III, sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Proseguendo nel solco tracciato dagli esposti orientamenti giurisprudenziali, la pronuncia n. 5618/2012 in commento, individua la pertinenza urbanistica nella “opera che abbia comunque una propria individualità fisica e una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato preordinata a un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente e oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede” (artt. 22, 100 e 101 del Dpr n. 380/2001; Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010, sent. n. 4134/1998). Due, in sostanza, i requisiti, uno di carattere strutturale e l’altro di carattere funzionale.
Sotto il profilo strutturale, l’opera deve essere dotata di una individualità sua propria, che sia distinta, autonoma e separata dall’edificio principale, così come da ogni altro fabbricato; in relazione al detto requisito strutturale, la pronuncia in commento esclude la qualificabilità in termini pertinenziali di ogni opera che sia fisicamente parte integrante o costitutiva di altro fabbricato nonché dell’“ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi i bisogni cui è destinato” (in tal senso anche Cass. pen., sez. III, sent. n. 36941/2007, e 40843/2005 e Cass. pen., sez. III, n. 24241/2010, che ha escluso la natura pertinenziale della edificazione di una tettoia-portico, che, per la relazione di connessione fisica con l’edificio, ne costituisce parte integrante, attenendo all’essenza dell’immobile e completandola affinché lo stesso soddisfi i bisogni cui è destinato, dovendo pertanto qualificarsi in termini di ampliamento).
Invero, è incompatibile con la nozione di pertinenza che la stessa possa essere parte integrante della cosa principale ovvero rappresentare un elemento indispensabile per la sua esistenza. In tal senso, “L’elemento distintivo tra la parte e la pertinenza non consiste solo in una relazione di congiunzione fisica, normalmente presente nella prima e assente nella seconda, ma anche e soprattutto in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della parte al tutto e della pertinenza alla cosa principale: tale collegamento si esprime per la parte come necessità di questa per completare la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è destinata: la parte quindi è elemento della cosa. Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un servizio od ornamento che viene realizzato in una cosa già completa e utile di per sé: la funzione pertinenziale attiene non all’essenza della cosa ma alla sua gestione economica e alla sua forma estetica. Inoltre […] la pertinenza si riferisce a un’opera autonoma dotata di propria individualità mentre la parte di un edificio è compresa nella struttura di esso ed è quindi priva di autonomia” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 28504/2007).
Per quanto concerne il profilo funzionale, l’unità pertinenziale, strutturalmente separata da quella principale, deve essere caratterizzata da una destinazione servente alle obiettive esigenze dell’edificio principale, “allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale)”. Tale destinazione funzionale servente deve essere ineludibile e trovare rispondenza, da un lato, nella congruità della struttura della pertinenza rispetto alle obiettive esigenze della struttura principale e, dall’altro lato, nella altrettanto oggettiva impossibilità di destinare la pertinenza stessa, proprio in relazione alla sua conformazione strutturale inevitabilmente servente, ad alcuna destinazione autonoma o diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
L’esposta configurazione funzionale ineludibilmente servente della pertinenza urbanistica si riflette nella sua non negoziabilità in via autonoma e nella conseguente assenza di un autonomo valore di mercato, che sola può giustificare, unitamente alla modestia dimensionale del volume rispetto all’edificio principale “in modo da evitare il cosiddetto carico urbanistico”, la non valutabilità della stessa in termini di cubatura e la diversità di regime abilitativo (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1174/2000; sez. V, sent. n. 2325/2001; sez. V, sent. n. 7822/2003). In assenza invece degli esposti stringenti requisiti strutturali e funzionali, la nozione di pertinenza urbanistica, nonché il corrispondente regime derogatorio di non computo volumetrico, non sono invocabili e torna quindi a riespandersi la regola generale della necessità del permesso di costruire.
Resta a ogni modo fermo che il regime agevolato delle pertinenze non può mai trovare applicazione in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici (Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010).
Una chiara concretizzazione dei principi suesposti la si ha, ad esempio, in relazione alla diversa disciplina che la giurisprudenza ha individuato con riferimento al muro di contenimento ovvero al muro di cinta, che costituisce specifico oggetto della pronuncia n. 5618/2012 in commento.
In proposito, costituisce orientamento consolidato che, “mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, non così il muro di contenimento  che viene assimilato alla categoria delle costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione (Tar Emilia Romagna, Parma, n. 106/2001; Tar Liguria, sez. I, sent. n. 492/1996; Tar Liguria, sent. n. 345/1994). Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (Tar Emilia Romagna, Parma, sent. n. 246/2001; Tar Lazio, sez. II, sent. n. 8923/2000); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico” (Tar Piemonte, sent. n. 657/2003)”, “si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione”, con conseguente necessità del permesso di costruire (Tar Liguria, sez. I, sent. n. 4131/2009; Cass., sez. III, sent. n. 35898/2008) (commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2012 -
Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2012 n. 5618 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra "nuova costruzione" e "pertinenza".
Ciò che caratterizza una “nuova costruzione”, è il carattere di stabilità e permanenza del manufatto, tale da implicare una trasformazione del territorio.
Quanto al concetto di “pertinenza”, ai sensi e per i fini di cui all’art. 7 d.l. n. 9/1982, conv. in l. n. 92/1982, tale da richiedere non già la concessione edilizia, bensì la mera “autorizzazione”, la giurisprudenza amministrativa ne ha rilevato la differenza da quello di cui all’art. 817 cod. civ., affermando che esso è caratterizzato sia da un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura dell'accessorio, altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole; sia dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (Cons. Stato, sez. II, 12.05.1999 n. 729; sez. V, 23.03.2000 n. 1600).
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che il manufatto per cui e' causa non possa essere definito quale “pertinenza”, posto che esso è di notevoli dimensioni (oltre 180 mq. di superficie), è stabilmente collegato al suolo, rappresenta di fatto uno stabile ampliamento dell’immobile cui inerisce ed è tale da comportare una durevole e non irrilevante trasformazione del territorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.02.2012 n. 615 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
La giurisprudenza richiede che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
La strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”.
La norma regionale -pur non fornendo una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia- ha cura di specificare che le strutture pertinenziali debbono essere “prive di funzionalità autonoma”.
La proporzionalità del manufatto accessorio rispetto a quello principale non può costituire l’unico criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la ratio sottesa alla norma regionale

Al riguardo va rilevato (cfr. TAR Brescia Sez. I, 01.07.2010 n. 2408) che:
- la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
- la giurisprudenza richiede (cfr. Cons. St. Sez. IV, 17.05.2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
- la Sezione (cfr. TAR Brescia 11.01.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”.
- la norma regionale -pur non fornendo una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia- ha cura di specificare che le strutture pertinenziali debbono essere “prive di funzionalità autonoma”.
- la proporzionalità del manufatto accessorio rispetto a quello principale non può costituire l’unico criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la ratio sottesa alla norma regionale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 31.01.2012 n. 141 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: È riconosciuto carattere pertinenziale alle piscine private poste al servizio esclusivo di abitazioni signorili o ville.
Quanto al titolo abilitativo necessario per la piscina, va considerato che la legge reg. n. 31 del 2002 assoggetta a denuncia di inizio attività le “opere pertinenziali purché non qualificate come interventi di nuova costruzione …” (art. 8, comma 1, lett. l) onde ne risultano esclusi solo gli “interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20 per cento del volume dell’edificio principale” (lett. g.6 dell’allegato alla legge), dal che si evince la sussistenza, nella fattispecie, dei requisiti fissati dalla disciplina regionale perché l’opera in questione (piscina interrata con lati di 8 e 4 metri, poi variati in 10 e 3,50 metri) sia sottratta al regime del permesso di costruire; è noto, d’altra parte, il carattere pertinenziale riconosciuto alle piscine private poste al servizio esclusivo di abitazioni signorili o ville e aventi dimensioni così limitate da non determinare un significativo impatto sull’assetto del territorio (v. Cons. Stato, Sez. IV, 08.08.2006 n. 4780; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 06.05.2008 n. 482; TAR Liguria, Sez. I, 16.02.2008 n. 299; TAR Toscana, Sez. II, 31.01.2000 n. 22; v., anche, Cass. pen., Sez. III, 21.05.2009 n. 39067), tutte condizioni che si rinvengono nel presente caso, così legittimando la scelta operata dal privato.
Quanto, poi, alla questione delle distanze, appare evidente che l’invocato art. 52 del regolamento edilizio comunale circoscrive le varie tipologie di distanze minime dai confini di proprietà alla realizzazione/variazione di manufatti fuori terra (“…nei casi di nuova costruzione e di sopraelevazione e ampliamento dei fabbricati esistenti. Il calcolo delle distanze si effettua sulla sagoma rappresentata dalla proiezione orizzontale dei fili esterni delle strutture e dei tamponamenti perimetrali … Metri lineari 3, in caso di ampliamenti o sopraelevazioni che non comportino pareti finestrate sul lato prospettante il confine di proprietà. Metri lineari 5, in caso di nuova costruzione, anche in presenza di pareti non finestrate, e ampliamenti o sopraelevazioni che comportino pareti finestrate sul lato prospettante il confine di proprietà …”); la circostanza, allora, che la piscina contestata costituisca opera interrata rende inapplicabile al caso di specie la disciplina di che trattasi (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 24.01.2012 n. 29 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
Utilizzando tali criteri anche la realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale. In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera.
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L'ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente e non necessita di particolare motivazione sull'interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
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La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale.

Si deve ricordare che, per giurisprudenza costante di questo Tribunale (fra le più recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009, n. 492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (in termini TAR Campania Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009 cit., TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Utilizzando tali criteri anche la realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del 2008). In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si deve ritenere che la tettoia oggetto del provvedimento impugnato, realizzata con orditura in legno e sovrastante manto di perline e tegole poggiante da una parte sulle staffe in ferro infisse alla parete del fabbricato preesistente e dall’altra parte su tre pilastri in muratura, non possa ritenersi irrilevante sotto il profilo edilizio per la sua tipologia (muratura e struttura non leggera), per la sua dimensione (22 mq.), perché suscettibile di autonoma utilizzazione e perché ha determinato una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi, con la conseguenza che per l'installazione di tale struttura era necessario il permesso di costruire (e non una semplice DIA), con l'ulteriore conseguenza che la realizzazione della stessa in assenza del titolo dovuto ne ha determinato l'abusività e quindi l'irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del 2001).
Del resto l'ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (giurisprudenza costante anche di questa Sezione, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e non necessita di particolare motivazione sull'interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Si deve aggiungere che risulta irrilevante (ai fini della legittimità edilizia) la -per la verità indimostrata- destinazione pertinenziale della tettoia.
Per principio pacifico infatti la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045).
Insomma, la struttura oggetto del provvedimento impugnato per la sua tipologia e dimensione doveva essere realizzata con un permesso di costruire e la mancanza di tale titolo ha determinato l'abusività dell'opera e la conseguente irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (mentre la sanzione pecuniaria è prevista per le opere realizzate in assenza della DIA) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 19.01.2012 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici possono essere considerati pertinenza urbanistica.
Il ricorrente ha realizzato alcune opere abusive utilizzate per l’allevamento dei cavalli nonché per servizi vari funzionali all’attività allevatoriale e sportiva.
Il Comune constatato il loro carattere abusivo, per assenza del titolo edilizio, ne ordinava la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi con il provvedimento in epigrafe indicato.
...
Le opere abusive analiticamente descritte nell’ordinanza impugnata e nel verbale di accertamento degli abusi edilizi richiedevano il rilascio di un permesso di costruzione.
Infatti, le opere realizzate per le loro caratteristiche strutturali hanno un proprio impatto volumetrico e sono destinate ad usi di natura permanente, come dimostra la circostanza della loro presenza almeno ventennale. Inoltre, non sono affatto di modeste dimensioni sia considerate complessivamente sia considerate singolarmente, come emerge dal provvedimento impugnato.
Quindi, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 15.06.2000, n. 3321 che richiede la concessione anche per un container non infisso al suolo essendo destinato ad usi permanenti) sono assoggettabili a permesso di costruzione ed al conseguente regime demolitorio di cui all’articolo 7 della legge n. 47 del 1985, come esattamente rilevato dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato (cfr. TAR Emilia-Romagna, sez. II, n. 463 del 14.04.2006; TAR Emilia-Romagna, sez. II, n. 681 dell'01/06/2006; TAR Emilia-Romagna, sez. II, n. 2970 del 13/11/2006).
Del resto le stesse non hanno natura pertinenziale.
Infatti, le opere edilizie in contestazione non hanno natura di pertinenza urbanistica, essendo suscettibili di un autonomo utilizzo, ed hanno un proprio impatto volumetrico. Quindi, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 15/06/2000, n. 3321 che richiede la concessione anche per un container non infisso al suolo essendo destinato ad usi permanenti; TAR per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 463 del 14/04/2006; TAR per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 16 dell'08/01/2004) sono assoggettabili, come sopra evidenziato, a permesso di costruzione con conseguente obbligo di demolizione, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 47 del 1985, in caso di realizzazione abusiva.
In proposito, infatti, costituisce un orientamento consolidato di questa sezione quello per cui il concetto di pertinenza urbanistica è diverso dal concetto di pertinenza civilistica. Infatti, la pertinenza urbanistica, assoggettata ad un regime edilizio particolarmente semplice e favorevole, riguarda soltanto opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, e non può riguardare opere che dal punto di vista delle dimensioni e della funzione possono avere una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale. Nel caso in esame, tali requisiti non ricorrono in quanto le dimensioni e la destinazione dell’opera ne evidenziano l’autonoma rilevanza anche funzionale dal punto di vista edilizio con conseguente assoggettazione al regime del permesso di costruzione necessario per la sua realizzazione (TAR per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 462 del 14/04/2006).
E’, inoltre, irrilevante l’epoca di realizzazione degli abusi edilizi in parola in quanto la repressione degli abusi edilizi costituisce un attività dovuta a carattere vincolato e non è soggetta a termini di prescrizione e decadenza (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 09.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Piscina - Contrasto con le prescrizioni di zona - Vincolo pertinenziale - Non sussiste.
Non si configura vincolo pertinenziale tra l'abitazione (cosa principale) e la piscina (pertinenza) in caso di contrasto di quest'ultima con le prescrizioni urbanistiche di zona (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2011 n. 2734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze.
Le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica possono essere così sintetizzate: deve trattarsi di un'opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato; deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso; deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato; non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede; la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.11.2011 n. 40031 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una tettoia, per i materiali utilizzati, le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di mq. 19,35), configura una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio.
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico.

Nella nozione di “volume tecnico” sono da comprendere esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso. Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta.
... i ricorrenti contestano la legittimità del parere contrario al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, richiesto ex art. 36 del D.P.R. n.380 del 2001, espresso dalla commissione edilizia del Comune di San Paolo Bel Sito e comunicato agli interessati con l’atto individuato in epigrafe, per una tettoia realizzata sul terrazzo al secondo piano.
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Anzitutto, i lavori eseguiti non appaiono inquadrabili nell’attività di manutenzione straordinaria –che, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del T.U. sull’edilizia, è qualificata dal duplice aspetto della finalità dei lavori, diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di un preesistente manufatto, e dal divieto di alterarne i volumi e le superfici (cfr., tra le tante, con riferimento anche all’analoga nozione già prevista dall’art. 31 della legge n.457 del 1978, Consiglio di Stato, Sezione V, 22.07.1992 n. 336; Sezione VI, 30.09.2008 n. 4694; TAR Campania, Sezione II, 17.04.2009 n. 1994; Sezione IV, 04.07.2001 n. 3072)– in quanto i ricorrenti non hanno fornito neanche un principio di prova in ordine ad un’eventuale preesistenza sicché la struttura si configura indubbiamente come un quid novi.
Nel caso di specie, il manufatto realizzato, per i materiali utilizzati, le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di mq. 19,35), configura, piuttosto, una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2006 n. 3490; TAR Lazio, Roma, Sezione I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater, 23.11.2007 n. 11679).
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR Lazio, Sezione II-ter, 06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402 e Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428), la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico.
Né può farsi utilmente ricorso alla nozione di “volume tecnico”. Tale categoria, infatti, comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso. Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n. 1506) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 31.10.2011 n. 5093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze e volumi interrati.
Deve escludersi l'applicabilità del regime delle pertinenze urbanistiche ove l'opera edilizia accessoria acceda ad un manufatto principale abusivo. I locali interrati debbono essere computati a fini volumetrici (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.09.2011 n. 35283).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
La giurisprudenza consolidata in materia ha avuto da tempo modo di chiarire che il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile in maniera tale da ampliarne la superficie o la funzionalità pratico-economica oltre alla superficie e alla funzionalità, assumono il carattere di costruzione anche sotto il profilo delle distanze tra edifici che devono essere calcolate non dall'edificio principale bensì dal nuovo complesso edilizio unitario.
Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle disposizioni legislative e regolamentari aventi carattere integrativo, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità pratico-economica, costituiscono con l'immobile principale una costruzione unitaria, che va considerata nel suo insieme indipendentemente dallo sviluppo orizzontale o verticale dei singoli corpi di fabbrica di cui si compone, e senza distinguere tra immobile principale e accessori o pertinenze aventi le ridette caratteristiche, di guisa che le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell'edificio maggiore, ma da quella che risulti più prossima alla proprietà antagonista (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza n. 4277/2011 - link a www.pausania.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di pertinenza urbanistica e differenze rispetto alla sua nozione civilistica.
Nel campo urbanistico, la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (Cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010, n. 3127; id., 15.09.2009, n. 5509, 23.07.2009, n. 4636 e 07.07.2009, n. 3379).
Non possono essere considerate pertinenze, sotto il profilo urbanistico, dei box che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, ma che non sono legati a questi ultimi da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella specie, doveva escludersi anche la ricorrenza della pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituita, com’è noto, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari.
Pertanto, è stata esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione urbanistica di pertinenzialità richiede che il manufatto sia altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato.
Com’è noto, in materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509, 23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza di tali precise condizioni per le circostanze descritte dallo stesso ricorrente in primo grado, ossia per il fatto che i box di cui si controverte, che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non sono legati da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio; ciò dal momento che solo in forza di “un’organizzazione volontaristica” accadrebbe che “allorquando un affittuario lascia i locali dello IACP, nel godimento e proprietà del box subentra il nuovo affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame manca lo stesso fondamento della pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituito, com’è, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari.
Pertanto, va esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di pertinenzialità - Differenziazione rispetto alla nozione civilistica.
In materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509, 23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una pertinenza, per poter essere definita tale, «deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede». Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso.
In materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Pertanto, le opere abusive per dimensioni e per tipologia (una tendo-struttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia con copertura in lamiera ondulata parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00; la pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella), nonché per l’indubbio impatto sul territorio, non possono rientrare nella tipologia delle c.d. pertinenze.
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La precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, non va desunta dalla facile e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo.

Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, dell'impianto industriale.
Come osserva la giurisprudenza, una pertinenza, per poter essere definita tale, «deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede» (cfr. Cons. Stato, IV, 05.03.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso (cfr. Tar Veneto, II, 07.03.2011, n. 374; Tar Campania, Napoli, II, 26.09.2008, n. 11309).
Come ben si evince dagli atti e dalla documentazione fotografica, nella specie le opere da demolire sono manufatti assolutamente autonomi, trattandosi di fabbricati destinati al deposito e allo stoccaggio di materie prime e di prodotti finiti, conseguenti all’installazione di due nuove linee di produzione all’interno dello stabilimento industriale esistente. Ne discende che il concetto di pertinenza, come pure quello di impianto tecnologico al servizio di un edificio o di una attrezzatura esistente, appare allora non applicabile alla fattispecie in esame, mancando la relazione di asservimento ed essendo le opere da abbattere essenziali allo svolgimento dell'attività in questione.
Peraltro il carattere di mera "pertinenza" delle opere in questione che, in quanto tali, sarebbero state soggette a semplice autorizzazione edilizia, la mancanza della quale poteva comportare soltanto la sanzione pecuniaria, va escluso anche per un’ulteriore ragione. Secondo la costante giurisprudenza amministrativa, dalla quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Cons. Stato, IV, 13.01.2010, n. 41; Cons. Stato, IV, 15.09.2009, n. 5509).
Nel caso di specie, invece, le opere abusive per dimensioni e per tipologia (una tendo-struttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia con copertura in lamiera ondulata parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00; la pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella), nonché per l’indubbio impatto sul territorio, non possono rientrare nella tipologia delle c.d. pertinenze (cfr. TAR Veneto, II, 27.11.2008, n. 3703).
Tale conclusione determina, altresì, l’irrilevanza delle osservazioni relative al fatto che il volume e la superficie delle opere realizzate siano inferiori al 20% del volume e della superficie dello stabilimento produttivo regolarmente edificato, giacché l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), presuppone la qualificazione dell’intervento come pertinenziale.
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Con riguardo, infine, alla dedotta provvisorietà delle opere realizzate dalla Silcart. s.r.l., il Collegio rileva che la precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, non va desunta dalla facile e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 22.03.2007, n. 2725).
Al riguardo merita, allora, di essere evidenziato che dalle stesse osservazioni presentate dalla società ricorrente, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, emerge la non precarietà e non provvisorietà delle opere realizzate in quanto funzionali all’avvenuta installazione di due nuove linee di produzione, resesi necessarie per mantenere l’incremento produttivo determinatosi a partire dal 2000 e per creare ulteriori prodotti a corredo di quelli già realizzati, onde competere con le altre società del settore anche in campo internazionale. La stessa società ricorrente, del resto, evidenzia la funzionalità del deposito di materie prime con il metodo produttivo che le pone a monte del processo di lavorazione, determinando un risparmio di tempo nella lavorazione del prodotto.
Alla luce delle richiamate argomentazioni deve, pertanto, escludersi sia la natura pertinenziale sia la natura precaria delle opere realizzate con conseguente sussumibilità delle stesse per dimensioni e tipologia nel disposto dell’art. 3, comma 1, lettera e), del citato d.P.R. n. 380/2001, implicando le stesse una trasformazione urbanistica ed edilizia permanente del territorio mediante l’esecuzione di lavori di installazione di manufatti, in parte prefabbricati, destinati a deposito di materiali e non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Da qui anche la legittimità dell’irrogazione della sanzione demolitoria e non di quella meramente pecuniaria (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza di manufatto rispetto ad azienda agricola.
Non è possibile parlare di pertinenza di un manufatto rispetto ad una azienda agricola in quanto questa esula dal concetto di “cosa” nell’accezione di cui all’art. 817 c.c..
In ogni caso per esplicita volontà legislativa il vincolo pertinenziale riguarda edifici e non fondi rustici (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 30.03.2011 n. 13125 - link a www.lexambiente.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATAL'autorimessa è una pertinenza urbanistica, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all’immobile al cui servizio è complementare, dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico.
Per quanto riguarda l’autorimessa si deve ritenere che abbia le caratteristiche della pertinenza urbanistica, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all’immobile al cui servizio è complementare, dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico (Cons. St., sez. V, 13.06.2006, n. 3490, e 11.11.2004, n. 7325).
In considerazione di ciò si deve ritenere che essa fosse soggetta al regime autorizzatorio con conseguente esclusione della sanzione demolitoria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico.
In ogni caso, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.

Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, Sez. I, 19.04.2010, 1154) ha di recente ribadito che “la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2009, n. 5509; TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n. 2247)
In ogni caso, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.01.2010, n. 41).
Coerentemente, la normativa nazionale, al di là della immediata applicabilità in Sicilia, ex art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, fissa nel 20% del volume dell'edificio principale, il limite massimo per ritenere configurabile una pertinenza
” (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.11.2010 n. 4564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica - Nozione - Ampliamento di un edificio - Conducibilità alla nozione di pertinenza - Esclusione.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera -che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato- preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cass., Sez. 3: 29.05.2007, Rossi; 11.05.2005, Grida; 17.01.2003, Chiappatone. Nello stesso senso anche C. Stato, Sez. 5, 22.10.2007, n. 5515) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.11.2010 n. 42163 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAUna pertinenza, per poter essere definita tale dal punto di vista urbanistico, deve possedere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
Una pertinenza, per poter essere definita tale dal punto di vista urbanistico, deve possedere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
In sostanza, la pertinenza esaurisce la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 05.03.2010, n. 1277; sez. IV, 31.03.2010, n. 1842) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 17.11.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di pertinenza - Regione Lombardia - Art. 27, c. 1, lett. e-6 L.r. 12/2005 - Volume della pertinenza - Limite del 20% rispetto all’edificio principale - Mediazione degli strumenti urbanistici comunali.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all’art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. CS Sez. IV 13.01.2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I 13.10.2008 n. 1259).
Nella Regione Lombardia, l’art. 27, comma 1, lett. e-6, della LR 12/2005 esclude che si possa definire pertinenza una costruzione il cui volume sia superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Al di sotto di questa soglia le costruzioni collegate ad altri edifici non sono comunque automaticamente qualificabili come pertinenze.
La predetta norma regionale (come la corrispondente norma statale) richiede infatti che la qualificazione delle pertinenze sia mediata dagli strumenti urbanistici comunali e dai regolamenti edilizi.
Dunque la deroga alle regole stabilite per le nuove costruzioni è ammissibile solo quando la disciplina comunale contenga un criterio idoneo a differenziare le pertinenze dal resto dell’attività edificatoria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.09.2010 n. 3555 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi di una opera preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire, anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
Per la Cassazione, “La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi di una opera preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire, anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede” (Cassazione penale, sezione III, 19.02.1998, n. 4134).
Nella fattispecie il patio di m. 3,50 x 25 è stato chiuso con struttura in alluminio e vetri ed è servito a realizzare un aumento di cubatura della parte già abusiva del ristorante e destinata ad ospitare altri tavoli, per come si evince dall’apparato fotografico offerto dal Comune.
Per giurisprudenza costante la chiusura del patio o di un portico determina una maggiore volumetria, con la conseguenza che non può essere assoggettato a semplice regime autorizzatorio, (Cassazione penale, sezione III, 17.03.2000, n. 8521), ma richiede il permesso a costruire (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 31.07.2010 n. 29497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Opera abusiva - Pertinenza - Nozione ai fini della sanatoria - Manufatto privo di funzionalità autonoma.
2. Pertinenza - Strumentalità - Destinazione soggettiva - Non sufficiente - Criterio oggettivo - Parametro necessario.

1. La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, funzionalmente ed esclusivamente inseriti al servizio di un manufatto principale, e privi di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.
2. La strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. "carico urbanistico" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 4 - Quanto alla nozione di pertinenza urbanistica (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica.
In materia edilizia, per pertinenza deve intendersi un'opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso (in applicazione di tale principio la Corte ha escluso la natura pertinenziale di un locale residenziale, ricavato dalla chiusura su due lati di un lavatoio-stenditoio, collegato tramite scala esterna con l'appartamento sottostante) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.05.2010 n. 20349 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente assoggettate a previo rilascio del permesso di costruire.
La nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella contenuta nell’art. 817 del codice civile, essendo la prima configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente e autonomo impatto sul territorio.

La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 2,05 x 2,55 con altezza di m. 2,05) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Nemmeno può condividersi la tesi di parte ricorrente che, con il terzo motivo, assume il carattere pertinenziale del manufatto in questione (prefabbricato destinato a legnaia o, secondo la prospettazione degli interessati, adibito a ricovero attrezzi), con conseguente asserita sottrazione dello stesso al regime concessorio in favore di quello autorizzatorio.
Il Collegio osserva, infatti, che detto manufatto, ancorché di non considerevoli dimensioni, non può essere qualificato come pertinenza ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 9 del 1982, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 94 del 1982, in quanto la nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella contenuta nell’art. 817 del codice civile, essendo la prima configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente e autonomo impatto sul territorio (v. TAR Emilia–Romagna –BO- sez. II n. 3735 del 2010 cit. e anche TAR Lombardia –BS- n. 204 del 2010).
Nella specie, pertanto, ove il manufatto ha dimensioni non trascurabili, ha oggettiva autonomia funzionale rispetto all’edificio residenziale principale e risulta destinato a esigenze di carattere permanente, si deve concludere che é stata realizzata una nuova costruzione che era soggetta a previo rilascio di concessione edilizia, con conseguente legittimità della sanzione demolitoria prevista dall’art. 7 L. n. 47 del 1985 proprio per reprimere tale tipologia di abusi edilizi (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia per essere definita "pertinenza" urbanistica deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
In merito all’asserita natura pertinenziale delle tettoie:
- (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.03.2010 n. 1277) per poter essere definita pertinenza dal punto di vista urbanistico, la res deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede;
- nella fattispecie, le tettoie non accedono ad alcun edificio principale;
- in ogni caso, la realizzazione di una tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce (cfr. TAR Campania, sez. IV, 28.12.2009 n. 9605, idem 21.12.2007, n. 16493);
- la nozione di costruzione, ai fini della necessità della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06.06.2008)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.05.2010 n. 2143 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
Per giurisprudenza costante, alla quale questo Collegio presta adesione, il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848).
Con specifico riferimento alle opere in contestazione deve essere rilevato che dalla documentazione versata in atti emerge che i manufatti prefabbricati oltre a non rivestire alcun carattere di precarietà strutturale sono stati, sotto il profilo funzionale, destinati ad uso permanente (servizi igienici, magazzini ed uffici) e non già preordinati a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo; ciò con la conseguenza che l'alterazione del territorio dagli stessi determinata non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante ed in relazione a tali opere era necessario il preventivo rilascio della concessione edilizia. (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n. 3973)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono pertinenze le strutture asservite a esclusivamente a manufatti principali.
Giova richiamare il consolidato orientamento che riconosce il detto carattere pertinenziale alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (cfr. Cass. pen., sez. III, 27.11.1997, nr. 2660; Cons. Stato, sez. V, 07.12.2002, nr. 6126; id., 30.11.2000, nr. 6538) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 3127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
In considerazione delle caratteristiche del manufatto, del materiale utilizzato per la realizzazione, dell'ubicazione e del suo utilizzo, il Collegio ritiene di poter confermare quell'indirizzo giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005, n. 4655) secondo cui una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Alla medesima conclusione si può addivenire anche tenendo ferma la natura pertinenziale del manufatto, considerata l'idoneità di questo ad incidere sull'assetto edilizio preesistente (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 16.07.2002, n. 4107 e TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 08.07.2002, n. 1936).
Non può poi sottacersi (non condividendo sul punto l'opinione della ricorrente) che le descritte caratteristiche depongano per ritenere che si tratti di opere nuove che attuano una trasformazione permanente del territorio, ciò sia per il materiale utilizzato per la sua realizzazione (che non consente un'agevole rimovibilità) che per la sua localizzazione e per la funzione a cui risulta adibito (deposito automezzi ed attrezzi).
Ulteriore elemento che depone a favore della necessità del previo rilascio del permesso di costruire è possibile rinvenire nella definizione di “nuova costruzione” contenuta nell'art. 3 del DPR n. 380/2001, ribadita dall'art. 27 della L.R. n. 12/2005.
Ed invero, l'art. 3, comma 1, lett. e.5), del DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Ciò posto, la realizzazione dei manufatti in argomento avrebbe dovuto essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire, la cui assenza giustifica l'adozione dell'ordinanza impugnata (TAR Lazio-Latina, sentenza 06.05.2010 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di un'autorimessa e di un deposito di legname non possono essere considerati quali opere pertinenziali dell'edificio principale.
Il Comune ha ingiunto agli odierni ricorrenti, ai sensi dell’art. 14 della L. n. 47 del 1985, di demolire due manufatti, adibiti rispettivamente ad autorimessa e a deposito di legname e realizzati abusivamente su area appartenente al demanio dello Stato.
I suddetti manufatti non possono essere qualificati –come erroneamente sostiene la difesa dei ricorrenti– alla stregua del suddetto muro di contenimento, quali opere pertinenziali dell’edificio principale (TAR Emilia Romagna –BO- sez. II, 13/09/2006 n. 2030), e tanto meno essi possono essere considerati quali manufatti precari; “a contrario” essendo tali opere preposte a soddisfare esigenze di carattere permanente e non già provvisorio (v. TAR Emilia Romagna –BO- sez. II, 21/01/2009 n. 67; TAR Campania –NA- sez. VII, 05/06/2009 n. 875; sez. VI, 06/11/2008 n. 19292) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 26.03.2010 n. 2778 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
Ai fini della legittima installazione di un box, è necessaria la concessione edilizia, posto che soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al predetto regime un box che, pur se non infisso al suolo ma solo aderente in modo stabile, sia destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di concessione edilizia, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei.
Non può considerarsi pertinenza in senso urbanistico ed edilizio il manufatto che, per essere costruito a ridosso e con appoggio su un fabbricato principale, realizza in effetti un ampliamento dello stesso, diventando parte integrante di esso.

Nella fattispecie in esame, come emerge dall’ordinanza di demolizione gravata, le opere contestate sono consistite nella realizzazione di una tettoia e nella collocazione di due box prefabbricati che, secondo quanto affermato dalla stessa difesa dei ricorrenti nell’atto introduttivo del presente giudizio, sono stati collocati su pavimento battuto in cemento.
Per giurisprudenza costante, alla quale questo Collegio presta adesione, il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848).
Con specifico riferimento ai box prefabbricati la stessa giurisprudenza ha anche evidenziato che, ai fini della legittima installazione di un box, è necessaria la concessione edilizia, posto che soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al predetto regime un box che, pur se non infisso al suolo ma solo aderente in modo stabile, sia destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante. Pertanto perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di concessione edilizia, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n. 3973).
Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto del presente giudizio non vi è dubbio che il carattere pertinenziale delle opere abusivamente poste in essere debba essere escluso emergendo, peraltro, lo stabile collocamento dei box sul pavimento cementato, la destinazione ad uso non temporaneo e l’irreversibile trasformazione del territorio che la loro collocazione ha comportato. Con specifico riferimento alla tettoia, inoltre, la censura si palesa inammissibile per genericità prima ancora che infondata, posto che il carattere pertinenziale della stessa viene solo asserito ma non vengono articolate argomentazioni, riferite alle caratteristiche strutturali e funzionali, idonee a confortare la pretesa accessorietà della stessa.
Deve essere evidenziato, inoltre, che, come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non può considerarsi pertinenza in senso urbanistico ed edilizio il manufatto che, per essere costruito a ridosso e con appoggio su un fabbricato principale, realizza in effetti un ampliamento dello stesso, diventando parte integrante di esso (Cons. St., sez. IV, 12.03.2007, n. 1219)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 940 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: SILOS PER USI AGRICOLI: E' PERTINENZA EDILIZIA?
Pertinenza edilizia - Nozione.
E' pertinenza edilizia soltanto quella preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, in relazione alle caratteristiche di quest'ultimo, sfornita di un valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o, comunque, dotata di un volume minimo, sicché sono qualificabili come pertinenze in materia edilizia solo le opere che siano prive di autonoma destinazione, e che esauriscano la loro destinazione d'uso del rapporto funzionale con l'edificio principale così da non incidere sul carico urbanistico (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per l’assenza di tamponature laterali e di copertura. La trasformazione del pergolato in tettoia (realizzata, come nel caso di specie, in cemento e con copertura in tegole) determina la creazione di un nuovo volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che la realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile (Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.03.2010 n. 1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Pertinenza urbanistica - Nozione.
2. Pertinenza urbanistica - Elementi costitutivi.
3. Pertinenza urbanistica - Sopraelevazione perfettamente inserita nell'edificio e priva di autonomia - Carattere di pertinenzialità - Non sussiste - Permesso di costruire - Necessità.
1. La nozione di pertinenza urbanistica possiede caratteristiche differenti da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all'immobile al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del c.d. carico urbanistico (Cons. di Stato, sent. nn. 3490/2006 e 7325/2004; TAR Milano, sent. n. 28/2010).
2. Gli elementi costitutivi della pertinenza urbanistica sono, sotto il profilo strutturale, l'autonomia rispetto all'edificio principale ed il collegamento funzionale con il bene principale attraverso un rapporto di stretta strumentalità (TAR Veneto, sent. n. 2051/2001).
3. Nel caso di sopraelevazione perfettamente inserita nell'edificio -allineata alla sagoma dell'edificio preesistente- e priva di autonomia rispetto ad esso, non ricorre la fattispecie della pertinenzialità ed è pertanto necessario idoneo titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza - nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica.
Infatti, per essere riconosciuto tale, il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.01.2010 n. 204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione di costruzione - Pertinenza urbanistica - Nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica sottoposta in quanto tale al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica: il manufatto deve essere non solo deve essere preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare il cosiddetto aumento del carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn ambito urbanistico il concetto di pertinenza viene costantemente interpretato alla luce dei principi della materia edilizia e non di quelli civilistici di cui agli artt. 817 ss. c.c., nel senso che sono esclusi dal raggio di operatività della concessione i soli interventi edilizi minori: si accoglie in particolare un'accezione oggettiva e quantitativa di pertinenza, rientrandovi solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto al fabbricato cui ineriscono, ossia le piccole opere accessorie -prive di capacità di un utilizzo separato ed indipendente- strettamente poste al servizio di quelle principali e di consistenza tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
Posto che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario, per consolidata giurisprudenza le opere devono essere altresì prive di un autonomo valore di mercato e dotate comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da importare una circoscritta incisione sul cd. "carico urbanistico".

Secondo la definizione codicistica (art. 817 c.c.) la pertinenza è un bene strumentale e complementare che, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posto in durevole rapporto di subordinazione con altro (principale) preesistente, per renderne più agevole e funzionale l'uso in modo tale che l'uno sia posto a servizio o ad ornamento dell'altro.
In ambito urbanistico il concetto di pertinenza viene costantemente interpretato alla luce dei principi della materia edilizia e non di quelli civilistici di cui agli artt. 817 ss. c.c., nel senso che sono esclusi dal raggio di operatività della concessione i soli interventi edilizi minori: si accoglie in particolare un'accezione oggettiva e quantitativa di pertinenza, rientrandovi solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto al fabbricato cui ineriscono, ossia le piccole opere accessorie -prive di capacità di un utilizzo separato ed indipendente- strettamente poste al servizio di quelle principali e di consistenza tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio (Consiglio di Stato, sez V - 30/10/2000 n. 5828; sez. VI - 08/03/2000 n. 1174).
Posto che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario, per consolidata giurisprudenza le opere devono essere altresì prive di un autonomo valore di mercato e dotate comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da importare una circoscritta incisione sul cd. "carico urbanistico" (TAR Lazio, sez. II-ter - 04/02/2005 n. 1036; TAR Umbria - 08/08/2003 n. 648; Consiglio di Stato, sez. V - 01/12/2003 n. 7822).
Le opere compiute dalla parte ricorrente non rivestono certamente natura di pertinenze, posto che si tratta di “un manufatto in metallo di mq. 231 composto di n. 10 travi portanti in copertura a tetto a due falde” (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.01.2010 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl porticato non può essere ricondotto alla nozione di pertinenza in quanto esso modifica la sagoma dell’edificio e costituisce un volume autonomo, oltre ad essere collegato stabilmente al suolo.
Deve escludersi la riconducibilità del porticato al concetto di pertinenza, posto che, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (ex multis TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26.09.2008 n. 11309, Sez. VIII, 24.04.2009 n. 2163, 28.05.2009, n. 2999, TAR Abruzzo, L’Aquila 13.11.2008 n. 1206) il porticato non può essere ricondotto alla nozione di pertinenza in quanto esso modifica la sagoma dell’edificio e costituisce un volume autonomo, oltre ad essere collegato stabilmente al suolo; inoltre, nel caso in parola, suffragano questa tesi sia le modalità di costruzione (pilastri in cemento armato e con copertura metallica) sia le notevoli dimensioni del manufatto (ml. 5,10 per 2,75 di altezza media di ml. 2,45 circa). La stessa permanenza dell’opera nel tempo, secondo l’assunto della parte ricorrente, fa discendere la stabile modificazione urbanistico-edilizia intervenuta, determinante ai fini del riconoscimento o meno della natura pertinenziale.
L’opera pertanto non poteva essere soggetta a denunzia di inizio attività, ma doveva essere previamente richiesta la licenza edilizia (ora permesso di costruire) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 07.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza - Nozione ex art. 7, cpv. lett. a), L. 94/1982 - Chiusura con muratura di un terrazzo con ampliamento di superficie e volumetria - Non è tale.
La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico.
Pertanto, non può ricondursi alla nozione di pertinenza urbanistica l'ampliamento di un edificio che costituisce parte integrante o costitutiva dello stesso, difettando in tal caso la relazione di servizio, indispensabile per l'identificazione del rapporto pertinenziale.
In particolare, è escluso che la chiusura con muratura del terrazzo posto a livello di un appartamento, con ampliamento di superficie e di volumetria, rientri nella nozione di pertinenza ex art. 7, capoverso, lett. a), l. 25.03.1982, n. 94 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.12.2009 n. 2615 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia.

Come chiarito dalla recente giurisprudenza, ormai consolidata, alla quale questo Collegio aderisce, il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia (cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina, 19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez. III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, di qualificare l’opera come tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n. 1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere, peraltro, che anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concetto di pertinenza - Diritto civile - Diritto urbanistico ed edilizio - Differenza - Funzione autonoma rispetto ad altra costruzione - Regime concessorio.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., Cons. St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3638 - link a
www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di manutenzione straordinaria si fonda sul duplice presupposto che i lavori siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico-sanitari o tecnologici e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso.
La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.

Il manufatto realizzato (ndr: senza permesso di costruire) consiste in una tettoia che insiste nella parte esterna del terrazzino di mq. 9,00 (mt. 3,00 x 3,00) che è chiuso per tre lati nella parte interna e termina con un balcone aggettante (mt. 3,00 x 1,5 = mq. 4,50).
Il tipo di manufatto realizzato non può essere considerato opera di manutenzione straordinaria soggetta a D.I.A., in quanto il concetto di manutenzione straordinaria si fonda sul duplice presupposto che i lavori siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico-sanitari o tecnologici e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso (TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725).
Nel caso di specie i lavori realizzati esulano dalla mera rinnovazione o sostituzioni di parti dell’edificio e risultano essere state alterate le superficie ed i volumi, anche considerando la chiusura in alluminio e vetri operata nella parte superiore.
Detti lavori comportano una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente che richiedeva il rilascio del permesso di costruire ed, in tal senso, esulano altresì dalla nozione di pertinenza, che consente di derogare al regime abilitativo, in quanto quest’ultima va definita, oltre che in ragione della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche in relazione alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309).
In ogni caso, pur se si volesse considerare la tettoia quale pertinenza dell’immobile principale, si richiama quella giurisprudenza secondo cui la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 16.07.2002, n. 4107; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 08.07.2002, n. 1936; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 04.11.2009 n. 6876 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le pertinenze edilizie sono una categoria di interventi che non fa riferimento al concetto civilistico di pertinenza ex art. 817 c.c. ma si basa sulla modesta rilevanza economica dell’opera e sul limitato peso per il territorio.
Anche la realizzazione di impianti tecnologici può variare lungo una scala di rilevanza che parte dalla manutenzione ordinaria (integrazione e mantenimento in efficienza degli impianti esistenti), passa per il risanamento conservativo e per la ristrutturazione (inserimento di nuovi impianti), e arriva a differenti tipologie di nuova costruzione (realizzazione di infrastrutture e impianti con trasformazione permanente di suolo inedificato; realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto).
La disciplina di favore prevista per le pertinenze e gli impianti tecnologici dall’art. 7, comma 2, del DL 9/1982 non deve essere interpretata nel senso di una generale liberalizzazione di questi interventi.
Le pertinenze edilizie sono una categoria di interventi che non fa riferimento al concetto civilistico di pertinenza ex art. 817 c.c. ma si basa sulla modesta rilevanza economica dell’opera e sul limitato peso per il territorio. L’applicazione puntuale di questi criteri è mediata dagli strumenti urbanistici comunali, ai quali ora espressamente l’art. 27, comma 1, lett.e6, della LR 11.03.2005 n. 12 affida il compito di distinguere le pertinenze dalle nuove costruzioni assoggettate a permesso di costruire.
Anche la realizzazione di impianti tecnologici può variare lungo una scala di rilevanza che parte dalla manutenzione ordinaria (integrazione e mantenimento in efficienza degli impianti esistenti), passa per il risanamento conservativo e per la ristrutturazione (inserimento di nuovi impianti), e arriva a differenti tipologie di nuova costruzione (realizzazione di infrastrutture e impianti con trasformazione permanente di suolo inedificato; realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto).
La materia è stata riordinata ma sotto questi profili non innovata dall’art. 27, comma 1, della LR 12/2005.
Applicando i parametri indicati sopra risulta evidente che le pensiline realizzate dal ricorrente non possono essere qualificate come pertinenze perché ampliano in modo significativo la superficie aziendale coperta. In effetti sono interventi edilizi che si integrano strutturalmente nell’edificio esistente aumentandone il valore economico e le potenzialità produttive. Il fatto che lo spazio coperto dalle pensiline sia destinato a impianti tecnologici conferma questa interpretazione. Non si tratta in realtà di impianti serventi come quelli inseriti in un edificio residenziale ma di veri e propri impianti produttivi collocati all’esterno, con la medesima funzione del resto dell’immobile e con occupazione permanente di suolo in precedenza inedificato.
Di conseguenza la classificazione corretta appare quella di nuove costruzioni, soggette a concessione edilizia all’epoca dei fatti e ora a permesso di costruire. A questi titoli edilizi si collega l’obbligo di versare i contributi concessori, il cui importo non può quindi essere rimborsato al ricorrente
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 13.10.2008 n. 1259 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze (piscina).
Una piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata non è di per sé estranea al concetto di "pertinenza urbanistica" ma può diventarlo quando abbia dimensioni non trascurabili o si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe comunque avere una destinazione autonoma (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39067 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze (locale serbatoi).
In tema di pertinenze, la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un autonomo corpo di fabbrica in ampliamento e adiacente a quello principale, soggettivamente destinato a "locale serbatoi" ma che, per le oggettive caratteristiche costruttive e per la ripartizione interna dei locali, è utilizzabile economicamente con destinazione residenziale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39065 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla nozione di pertinenza edilizio-urbanistica.
Rimarca, al riguardo, la Sezione come sia fin troppo noto che la giurisprudenza amministrativa scolpisce una nozione di pertinenza edilizia assolutamente divergente dall’accezione civilistica di pertinenza e più ristretta di quest’ultima, circoscrivendola a quei manufatti tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono; deve, inoltre, trattarsi di opera preordinata ad una esigenza necessaria dell'edificio principale (TAR Basilicata, sez. I, 24.01.2009, n. 1) e funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, riguarda soltanto opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che dal punto di vista delle dimensioni e della funzione si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, 05.11.2008, n. 4473) e non siano quindi coessenziali al bene principale (TAR Campania–Napoli, Sez. IV, n. 10138/2008).
Ed è opportuno rimarcare che presupposto imprescindibile della nozione di pertinenza urbanistico–edilizia è, ad avviso della Sezione, l’esistenza di una res principalis, che deve di necessità consistere in un immobile materiale e non può coincidere con un’impresa. A nulla giova al ricorrente, dunque, allegare che i manufatti abusivi da lui realizzati, dal preteso carattere pertinenziale, siano accessivi alla sua impresa, se poi difetta il predetto ineludibile presupposto materiale costituito dalla previa esistenza e consistenza di una res immobiliare principale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.09.2009 n. 2247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: IL concetto di pertinenza previsto dal diritto civile va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione.
Questa Sezione ha già avuto modo di affermare –secondo consolidata impostazione giurisprudenziale- che il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (TAR Campania Napoli, sez. IV, 15.09.2008, n. 10138).
Ed al fine di qualificare pertinenza un manufatto dal punto di vista strettamente edilizio, non può aversi riguardo al solo profilo strutturale del bene, ossia alla sua fisica amovibilità (anche in ragione dei materiali utilizzati ed alla tecnica costruttiva), bensì al profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 24.04.2009, n. 2163), ovvero alla possibilità di fruire autonomamente del manufatto.
D’altra parte, nel concetto di nuova costruzione deve farsi rientrare ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica in quanto incide sull'assetto del territorio ed aumenta il c.d. carico urbanistico (Cons. Stato, sez. V, 15.06.2002, n. 3176).
In particolare, per ciò che concerne i locali realizzati sugli sporti delle abitazioni al fine di ottenere un ripostiglio, questa Sezione (TAR Campania Napoli, sez. IV, 12.06.2001, n. 2708) ha già chiarito che non si tratta di interventi di mera manutenzione straordinaria, cui è connessa la necessità di non alterare la identità strutturale e funzionale dell'organismo edilizio originario, mentre con la realizzazione della veranda-ripostiglio l'appartamento risulta dotato di terrazzo ma una struttura nuova e aggiuntiva, estranea alla originaria conformazione dell'appartamento.
Morfologicamente e funzionalmente diversa dal terrazzo la veranda sottrae spazio al balcone riducendo le dimensioni dello stesso e innovando la unità abitativa della quale altera, sia pure parzialmente, la fisionomia, e creando nuovo volume mediante l'aggregazione al preesistente organismo di una entità edilizia ulteriore ad esso organismo estranea
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 01.09.2009 n. 4849 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per realizzare una tettoia occorre il permesso di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere annoverata nel concetto di manutenzione straordinaria; è priva del carattere della precarietà ed amovibilità; non può essere considerata pertinenza.

Il Collegio condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale “La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente. La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n. 21346).
La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente" (TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n. 16493).
"Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire” (TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Lazio-Roma, sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Nozione di “pertinenza urbanistica” (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.07.2009 n. 28530 - link a www.simoline.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono.
La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.

Per giurisprudenza costante (fra le più recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n. 492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (in termini TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Anche di recente si è affermato che la realizzazione di una tettoia ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del 2008). In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell’opera (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si deve ritenere che la tettoia oggetto del provvedimento impugnato, realizzata dalla ricorrente in lamiere coibentate sorrette da elementi scatolari in ferro bullonati, non può ritenersi irrilevante sotto il profilo edilizio per la sua tipologia (struttura metallica non leggera) e soprattutto per la sua dimensione (86 mq.), perché suscettibile di autonoma utilizzazione e perché ha determinato una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi e del prospetto degli edifici interessati, con la conseguenza che per la installazione di tale struttura era necessario il permesso di costruire, con l’ulteriore conseguenza che la realizzazione delle stesse in assenza del titolo dovuto ne ha determinato l’abusività e quindi l’irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del 2001).
Del resto l’ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (giurisprudenza costante anche di questa Sezione, cfr. anche, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e non necessita di particolare motivazione sull’interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Nel richiamare quanto già in precedenza affermato, si deve aggiungere, in relazione alla natura delle opere realizzate, che risulta irrilevante (ai fini della legittimità edilizia) la destinazione pertinenziale della tettoia e l’utilizzo a parcheggio dell’area interessata.
Per principio pacifico infatti la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le più recenti, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045)
(TAR Campania-Napli, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza in senso urbanistico ed edilizio è più ristretto della nozione civilistica.
Il concetto di pertinenza in senso urbanistico ed edilizio è più ristretto della nozione civilistica, posto che il primo richiede, che il manufatto sia non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche che sia sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare in cosiddetto carico urbanistico (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV, 12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza, 29.11.2008, n. 915; Tar Campania-Napoli, sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte, sez. I, 13.06.2008, n. 1368)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa collocazione al di sopra di un muro di sostegno di n. 22 fioriere in cemento dell’altezza di cm. 60 ben può essere ricompresa nell'ambito delle «opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti», di cui all'art. 7 comma 2, d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale connette al concetto di pertinenza edilizia.
La collocazione al di sopra di un muro di sostegno di n. 22 fioriere in cemento dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da elementi di cemento dell’altezza di cm. 15) ben può essere ricompresa nell'ambito delle «opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti», di cui all'art. 7 comma 2, d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale (cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n. 647) connette al concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L. n. 47/1985, la sola applicabilità nella specie della sanzione pecuniaria, con il conseguente annullamento dell’ordinanza di demolizione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla natura di un'opera pertinenziale.
La collocazione al di sopra di un muro di sostegno di n. 22 fioriere in cemento dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da elementi di cemento dell’altezza di cm. 15) ben può essere ricompresa nell'ambito delle «opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti», di cui all'art. 7 comma 2, d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale (cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n. 647) connette al concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni; c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L. n. 47/1985, la sola applicabilità nella specie della sanzione pecuniaria, con il conseguente annullamento dell’ordinanza di demolizione (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia in pali di ferro e copertura in plastica. Occorre il permesso di costruire?
Una tettoia di tela plastificata, sostenuta da tubi metallici fissati nel terreno e dal medesimo realizzata al fine di ricoverarvi le macchine agricole ha natura pertinenziale viste le modeste dimensioni dell’opera e i materiali con i quali è stata realizzata la copertura (tela), oltre alle concrete finalità assolte dalla stessa (ricovero di macchine agricole, in relazione all’attività di coltivatore diretto) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 29.06.2009 n. 1013 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Criteri di individuazione delle pertinenze soggette a permesso di costruire.
La norma per individuare le pertinenze soggette a permesso di costruire indica due criteri: uno qualitativo, che si sostanzia nella possibilità concessa ai Comuni di restringere ulteriormente l’area delle opere pertinenziali, realizzabili con la semplice denuncia di inizio attività, sottoponendo a permesso di costruire tutti gli interventi che, in ragione delle caratteristiche delle aree in cui si intende operare, richiedono un più penetrante controllo; ed uno quantitativo, che si concreta nel considerare comunque nuova costruzione l’intervento pertinenziale che determina un aumento del 20% del volume dell’edificio principale. In questo caso, dunque, il legislatore presume che un volume superiore al limite quantitativo prefissato determini senz’altro un aggravio al carico urbanistico esistente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26573 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia (esclusione della natura di pertinenza).
In tema di reati edilizi, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non rientra nella nozione tecnico-giuridica dì pertinenza, ma costituisce piuttosto parte dell’edificio cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal cod. civ., riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l’edificio principale, laddove la parte dell’edificio appartiene senza autonomia alla sua struttura (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2009 n. 25530 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAUna recinzione è da qualificare come "pertinenza edilizia" laddove possiede tutte le caratteristiche che la giurisprudenza, appunto, riconduce al concetto di pertinenza edilizia, quali:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale; b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni; c) un carattere durevole;  d) la non utilizzabilità economica in modo diverso; e) una ridotta dimensione; f) una individualità fisica e strutturale propria; g) l’accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente (dovendosi, nel caso specifico, tale dato riferire al corpo di fabbrica originario, in relazione al quale non sussiste contestazione fra le parti); h) l’assenza di un autonomo valore di mercato.
Ne deriva che eventuali difformità nella realizzazione della recinzione, avente natura pertinenziale e costituente manifestazione dello “ius excludendi alios” insito nel diritto di proprietà, soggetta non già a “concessione edilizia” (oggi: “permesso di costruire”), ma ad “autorizzazione” gratuita, già nel sistema anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001, non potevano essere assoggettate alla sanzione dell’ordine di demolizione ma, al massimo, all’applicazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 47 del 1985.
La regolamentazione anzidetta non appare sostanzialmente mutata nel nuovo quadro legislativo, rappresentato dal D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. dell'Edilizia), che non comprende le recinzioni fra le attività che non richiedono alcun titolo abilitativo (art. 6), ma nemmeno fra quelle soggette a permesso di costruire (art. 10), con conseguente riconducibilità delle stesse alla nozione residuale degli "interventi subordinati a denuncia di inizio attività" (art. 22), i quali, se realizzati in assenza od in contrasto rispetto a detta denuncia, sono sottoposti a "sanzione pecuniaria, pari al doppio dell'aumento di valore venale dell'immobile, conseguente alla realizzazione degli interventi stessi, e comunque in misura non inferiore a 516 euro" (art. 37, comma 1), a meno che non sussistano vincoli, tali da comportare la restituzione in pristino (art. 37 cit., comma 2).

I ricorrenti lamentano, innanzi tutto, che, non essendo mai stato revocato né annullato il titolo abilitativo alla realizzazione della recinzione de qua, costituito dall’autorizzazione sindacale n. 1392 del 06.03.1987, nella specie non sussisterebbe l’unico presupposto, che avrebbe potuto legittimare la P.A. all’applicazione di misure sanzionatorie, consistente nella difformità dell’opera realizzata rispetto al predetto titolo, ai sensi dell’art. 27 e 35 del D.P.R. n. 380 del 2001, assumendo come parametro di riferimento il tracciato del vecchio confine, segnato dalla preesistente recinzione in rete metallica, espressamente richiamato nel precitato titolo abilitativo.
Inoltre, vertendosi in relazione ad un “intervento edilizio minore”, improduttivo di alcun incremento volumetrico, oggi riconducibile nel novero degli interventi assentibili ai sensi dell’art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, nella specie non potrebbe trovare applicazione l’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001, ma, al massimo, potrebbe essere comminata una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001.
Sotto altro aspetto, i ricorrenti deducono che, diversamente da quanto affermato nell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 171 del 2008, la P.A., nella nuova riedizione del potere, si sarebbe limitata a richiamare, sostanzialmente, i medesimi accertamenti tecnici, già posti alla base della diffida n.1 del 30.11.2007, senza dimostrare la presunta occupazione parziale di area demaniale stradale, in relazione al confine effettivo fra proprietà pubblica e proprietà privato, già segnato dalla vecchia recinzione in rete metallica, cui fa riferimento l’autorizzazione sindacale n. 1392 del 06.03.1987, rilasciata ai ricorrenti ed ancora vigente.
Ciò, ad avviso degli esponenti, determinerebbe sia la violazione del comando giurisdizionale contenuto nell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 171 del 2008, per difetto di istruttoria, sia contraddittorietà nel comportamento della P.A., che, dapprima ha proceduto ad annullare in via di autotutela la diffida n.1 del 30.11.2007, riconoscendone l’illegittimità e, poi, ha emanato un nuovo provvedimento, nella sostanza reiterativo dei medesimi contenuti di quello annullato.
L’opera di recinzione in questione risulta regolarmente assentita con autorizzazione sindacale n. 1392 del 06.03.1987, a suo tempo rilasciata, perciò, ai sensi all’art. 7, comma II, lett. a), del D.L. 23.01.1982 n. 9, in quanto ricadente nel novero delle “opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti”.
Invero, essa possiede tutte le caratteristiche che la giurisprudenza (cfr. anche Cass. Pen., Sez. III, 05.11.2002 n. 239) riconduce al concetto di pertinenza edilizia, quali:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l’accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente (dovendosi, nel caso specifico, tale dato riferire al corpo di fabbrica originario, in relazione al quale non sussiste contestazione fra le parti);
h) l’assenza di un autonomo valore di mercato.
Ne deriva che eventuali difformità nella realizzazione della recinzione, avente natura pertinenziale e costituente manifestazione dello “ius excludendi alios” insito nel diritto di proprietà, soggetta non già a “concessione edilizia” (oggi: “permesso di costruire”), ma ad “autorizzazione” gratuita, già nel sistema anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001, non potevano essere assoggettate alla sanzione dell’ordine di demolizione ma, al massimo, all’applicazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 47 del 1985 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16.10.2002 n. 5610; TAR Emilia Romagna-Parma, 31.07.2001 n. 651; TAR Lombardia-Brescia, 02.11.2000 n. 842; TAR Lazio- Roma, sez. II, 25.05.2000 n. 4336; TAR Friuli Venezia Giulia, 16.09.1999 n. 93; TAR Piemonte, Sez. I, 14.04.2003 n. 582).
La regolamentazione anzidetta non appare sostanzialmente mutata nel nuovo quadro legislativo, rappresentato dal D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. dell'Edilizia), che non comprende le recinzioni fra le attività che non richiedono alcun titolo abilitativo (art. 6), ma nemmeno fra quelle soggette a permesso di costruire (art. 10), con conseguente riconducibilità delle stesse alla nozione residuale degli "interventi subordinati a denuncia di inizio attività" (art. 22), i quali, se realizzati in assenza od in contrasto rispetto a detta denuncia, sono sottoposti a "sanzione pecuniaria, pari al doppio dell'aumento di valore venale dell'immobile, conseguente alla realizzazione degli interventi stessi, e comunque in misura non inferiore a 516 euro" (art. 37, comma 1), a meno che non sussistano vincoli, tali da comportare la restituzione in pristino (art. 37 cit., comma 2) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza - Nozione - Permesso di costruire.
La nozione di pertinenza quale risulta dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito dalla l. 25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia e non può quindi valere a sottrarre al regime del permesso di costruire la realizzazione di opere di rilevante consistenza urbanistica solo perché destinate a servizio ed ornamento del bene principale; proprio con riferimento ad un nuovo manufatto si afferma che il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione di opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori, in quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis" (Consiglio Stato sez. II, 21.02.1996, n. 1895).
E’ infatti soggetta a concessione edilizia (ora permesso di costruire) ed al conseguente rispetto delle prescrizioni urbanistiche relative al tipo d'intervento, la realizzazione di un manufatto edilizio destinato a soddisfare esigenze non temporanee del soggetto attuatore e, al contempo, ad alterare in modo permanente l'assetto urbanistico di zona, indipendentemente dalla natura dei materiali adoperati (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2000, n. 1507; TAR Campania, sez. IV, 22.02.2003, n. 1398) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.04.2009 n. 2142 - link a www.
ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze.
La nozione di pertinenza quale risulta dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito dalla l. 25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia e non può quindi valere a sottrarre al regime del permesso di costruire la realizzazione di opere di rilevante consistenza urbanistica solo perché destinate a servizio ed ornamento del bene principale; proprio con riferimento ad un nuovo manufatto si afferma che il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione di opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori, in quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis".
E’ infatti soggetta a concessione edilizia (ora permesso di costruire) ed al conseguente rispetto delle prescrizioni urbanistiche relative al tipo d'intervento, la realizzazione di un manufatto edilizio destinato a soddisfare esigenze non temporanee del soggetto attuatore e, al contempo, ad alterare in modo permanente l'assetto urbanistico di zona, indipendentemente dalla natura dei materiali adoperati (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.04.2009 n. 2142 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza e ampliamento.
Nella materia edilizia per pertinenza deve intendersi un’opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, così che deve escludersi tale qualifica all’ampliamento di un edificio anche se finalizzato al completamento o miglioramento dei bisogni cui l’immobile principale è destinato. Il concetto di pertinenza non va confuso con quello di parte dell’edificio.
In materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell'edificio perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo. Invece la pertinenza, ancorché posta a servizio dell’edificio principale, deve avere una propria autonomia strutturale.
D’altra parte, non ogni intervento pertinenziale è esonerato dal permesso di costruire, ma esclusivamente quelli di scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo quantitativo (ossia, quelli con volumetria non superiore al quinto di quella dell’edificio principale), ma anche sotto quello qualitativo (e, cioè, sempre che le norme tecniche degli strumenti urbanistici non li considerino comunque "interventi di nuova costruzione", tenuto conto della zonizzazione e del loro impatto ambientale e paesaggistico), come risulta dalla previsione dell’art. 3, comma primo, lett. e.) del testo unico sull’edilizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2009 n. 15260 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra tettoia e pergolato - Trasformazione urbanistica del territorio - Permesso di costruire, DIA e normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze è subordinata al rilascio della concessione edilizia ed attualmente del permesso di costruire (Cass. pen. sez. 3 - n. 22126 del 03.06.2008). A differenza del pergolato che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore, la tettoia, invero, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l’abitabilità dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del 19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che il rilascio di una DIA o anche del permesso di costruire non escluda gli adempimenti richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di costruire - Equiparazione di una tettoia ad un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo richiesto per le tettoie è il permesso di costruire (a differenza del pergolato essa può essere utilizzata anche come riparo). E' illegittima pertanto l'equiparazione della tettoia ad un pergolato e conseguentemente la ritenuta validità della DIA rilasciata (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2009 n. 10534 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella prevista dall’art. 817 cod.civ., essendo configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente ed autonomo impatto sul territorio.
Nel caso di costruzione, senza previo titolo abilitativo, di un capanno per ricovero attrezzi e di due tettoie per la copertura di auto e per la conservazione di legna (strutture in legno obiettivamente idonee a determinare una duratura e rilevante, ancorché non irreversibile, modificazione dello stato dei luoghi) non si può parlare di opere pertinenziali, in quanto la nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella prevista dall’art. 817 cod.civ., essendo configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente ed autonomo impatto sul territorio (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 11.10.2007 n. 2286); e, in effetti, le dimensioni dei manufatti oggetto della controversia ne evidenziano la capacità di alterare in modo significativo l’assetto del territorio (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 27.01.2009 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza e ampliamento di edificio.
In tema di pertinenza urbanistica la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio ", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.10.2008 n. 37460 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza urbanistica (presupposti).
In materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza si richiede che esso acceda ad un edificio preesistente legittimamente edificato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (nella specie, la Corte ha escluso la natura pertinenziale di una piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.10.2008 n. 37257 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul concetto di "costruzione" e di "pertinenza".
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis CdS, Sez. IV, N. 2705/2008 in tal senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006, n. 3490).
In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Ed appare di tutta evidenza come, nella stessa prospettazione di parte, il manufatto in contestazione non sia stato eretto per far fronte, in via provvisoria, ad esigenze contingenti, bensì risulti contraddistinto da un impiego tendenzialmente permanente.
Le medesime ragioni inducono ad escludere la sussistenza di un rapporto di tipo pertinenziale: come afferma la giurisprudenza, la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, sia alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008 , n. 3379).
Tano più che il concetto di "pertinenza non può essere esteso ad opere utili all'esercizio dell'attività di una azienda o impresa (cfr. Cassazione penale, sez. III, 24.10.1997, n. 10709) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.09.2008 n. 11309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze, requisiti.
Anche ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, che non prevede più il riferimento all'edilizia residenziale come desumibile dalla legge n. 94 del 1992, per aversi "pertinenza" si richiede:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) che non sia consentita, per natura e struttura, una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente, edificato legittimamente;
h) l'assenza di un autonomo valore di mercato.
Pertanto, tra i requisiti della nozione di "pertinenza", vi è quello della accessione dell'opera ad un edificio preesistente legittimamente costruito, in quanto non può prescindersi dal collegamento tra la pertinenza ed un edificio, quantunque non necessariamente residenziale (fattispecie relativa ad una strada e una piazzola a servizio di un terreno agricolo, in zona vincolata paesaggisticamente) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.06.2008 n. 25124 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAUrbanistica. Nozione di pertinenza.
In materia urbanistico-edilizia la nozione di pertinenza, sottratta al regime del permesso di costruire ed assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, deve essere preordinata ad una esigenza effettiva dell'edificio principale al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva. Non deve quindi essere possibile una destinazione autonoma e diversa da quella al servizio dell' immobile cui accede e conseguentemente un autonomo valore di mercato (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.06.2008 n. 25113 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Opere pertinenziali - Nozione civilistica e nozione urbanistica - Differenze - Rapporto di pertinenzialità - Quando sussiste.
2. Opere pertinenziali - Rapporto di pertinenzialità - Quando non sussiste - Fattispecie.
1
. La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile a manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono; pertanto, di carattere pertinenziale può ritenersi l'opera che, pur avendo una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, sia funzionalmente diretta a realizzare un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, e sia dotata di un volume minimo, che non consenta una sua destinazione autonoma diversa da quella dell'asservimento all'edificio principale. In ogni caso la strumentalità rispetto all'edificio principale deve essere oggettiva, ossia connaturale alla struttura dell'opera e non può desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore.
2. La nozione di pertinenza urbanistica non può consentire la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché destinate a servizio od ornamento del bene principale; mentre il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori in quanto occupano aree e volumi diversi rispetto alla res principalis (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1895/1996, sent. n. 1600/2000). Nella fattispecie, non sono rinvenibili caratteristiche pertinenziali, trattandosi di manufatti (capannoni e tettoia) che per dimensioni eccedono di gran lunga il box di cui sarebbero pertinenza e che sono inoltre adibite ad una funzione -deposito merci per esercizio di attività commerciale- non omogenea a quella -residenziale- propria dell'edificio principale, che si identifica con la casa abitazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2008 n. 2045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza in senso urbanistico-edilizio elaborata dalla giurisprudenza amministrativa non coincide con il concetto civilistico di pertinenza ai sensi dell’art. 817 c.c., atteso che la prima richiede, ai fini della qualificazione dell’opera come pertinenziale, che essa non costituisca un volume autonomo né modifichi la sagoma dell’edificio principale e che non sia stabilmente vincolata al suolo in modo permanente, tutte caratteristiche invece presenti nel manufatto individuato nel provvedimento impugnato.
Ai fini di conformità edilizia, quindi, non rileva neanche l’eventuale carattere provvisorio della struttura ma l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato dei luoghi, a prescindere dall’intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità, con la conseguenza che la precarietà è esclusa ogni qualvolta l’opera sia destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, in relazione alla obiettiva e intrinseca destinazione naturale dell’edificio stesso.
Sempre sotto tale profilo, non è consentibile la realizzazione di opere di rilevante consistenza che determinano un ulteriore carico urbanistico, sol perché destinate dal proprietario dell’edificio (principale) a servizio dello stesso, ed alterano in modo significativo l’assetto urbanistico del territorio, come riscontrabile invece nel caso di specie, ove l’opera così realizzata ha dato luogo all’aumento della superficie utile commerciale con relativo aumento del carico antropico.

Il Collegio rileva che la nozione di pertinenza in senso urbanistico-edilizio elaborata dalla giurisprudenza amministrativa non coincide con il concetto civilistico di pertinenza ai sensi dell’art. 817 c.c., atteso che la prima richiede, ai fini della qualificazione dell’opera come pertinenziale, che essa non costituisca un volume autonomo né modifichi la sagoma dell’edificio principale e che non sia stabilmente vincolata al suolo in modo permanente (TAR Em. Rom., Bo, Sez. II, 03.12.2007, n. 3781), tutte caratteristiche invece presenti nel manufatto individuato nel provvedimento impugnato.
Ai fini di conformità edilizia, quindi, non rileva neanche l’eventuale carattere provvisorio della struttura ma l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato dei luoghi, a prescindere dall’intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità, con la conseguenza che la precarietà è esclusa ogni qualvolta l’opera sia destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, in relazione alla obiettiva e intrinseca destinazione naturale dell’edificio stesso (TAR Basilicata, 19.01.2008, n. 11).
Sempre sotto tale profilo, non è consentibile la realizzazione di opere di rilevante consistenza che determinano un ulteriore carico urbanistico, sol perché destinate dal proprietario dell’edificio (principale) a servizio dello stesso, ed alterano in modo significativo l’assetto urbanistico del territorio (TAR Lazio, Lt, 10.12.07, n. 1557), come riscontrabile invece nel caso di specie, ove l’opera così realizzata ha dato luogo all’aumento della superficie utile commerciale con relativo aumento del carico antropico
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.06.2008 n. 1368 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Realizzazione di porticato ligneo in aderenza a preesistente fabbricato - Carattere di pertinenzialità - Sussiste.
2. Opere pertinenziali - Configurabilità come nuova costruzione - Quando ricorre.
1.
La nozione di ristrutturazione edilizia presuppone che la trasformazione dell'organismo edilizio avvenga attraverso "un insieme sistematico di opere", ex art. 3, primo comma, lett. d), D.P.R. 380/2001, ipotesi che non ricorre nel caso in cui, sul fianco di un edificio venga innestata una tettoia, sostenuta da pilastri in legno: essa presenta piuttosto le caratteristiche della pertinenza, trattandosi di opera di dimensione modesta, insuscettibile di utilizzazione autonoma, posta a servizio della cosa principale, al fine di accrescerne il valore e l'utilità (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1174/2000).
2. Gli interventi pertinenziali devono considerarsi interventi di nuova costruzione solo se qualificati come tali dalle norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, ovvero se comportano la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale, ex art. 3, primo comma, lett. d), D.P.R. 380/2001 (nel caso di specie il TAR ha escluso la configurabilità del manufatto in questione come nuova costruzione e lo ha ricondotto negli interventi da realizzare previa presentazione di DIA)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2008 n. 1964 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di pertinenza.
La nozione penalistica del concetto di pertinenza presuppone l'autonomia dei due manufatti, di guisa che quel concetto non può mai riguardare un manufatto che sia parte dell'altro principale, come è nell'ipotesi dell'ampliamento (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.06.2008 n. 22728 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla necessità o meno della concessione edilizia per la costruzione di una tettoia.
Ai sensi dell’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 necessita di concessione edilizia la costruzione di una tettoia in quanto essa (anche se costituisce pertinenza dell’immobile), incide sulla costruzione preesistente (Consiglio Stato, II, 05.02.1997, n. 336). La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie. Nella specie, deve ritenersi necessario il rilascio del titolo edilizio ed è considerato irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, in presenza della evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse, perché preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta sotto il profilo funzionale (in tal senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006, n. 3490) (Consiglio di Stato, Sez, IV, sentenza 06.06.2008 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARealizzazione tettoia.
La realizzazione di una tettoia, in quanto opera di trasformazione urbanistica del territorio, non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio della concessione edilizia ed attualmente del permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.06.2008 n. 22126 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATADifferenza tra pergolato e tettoia.
Mentre il pergolato, costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile. Per la realizzazione di una tettoia di non modeste dimensioni, secondo l'orientamento della corte, occorre il permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.05.2008 n. 19973 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia avente carattere di stabilità ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Il Collegio ritiene di poter confermare quell’indirizzo giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005, n. 4655 e TAR Lombardia, sez. II, 23.11.2006, n. 2834 e 04.12.2007 n. 6544) secondo cui una tettoia avente carattere di stabilità ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Va, invero, osservato che le descritte caratteristiche del manufatto depongono per ritenere che si tratti di opere nuove che attuano una trasformazione permanente del territorio, ciò sia per il materiale utilizzato per la loro realizzazione (che, comunque, non consente un’agevole rimovibilità) che per la funzione a cui risultano adibite (deposito prodotti).
Ulteriore elemento che depone a favore della necessità del previo rilascio della concessione edilizia è possibile rinvenire nella definizione di “nuova costruzione” contenuta ora nell’art. 3 del DPR n. 380/2001, che, sebbene non applicabile ratione temporis al caso di specie, fornisce elementi utili dal punto di vista interpretativo.
Ed invero, l’art. 3, comma 1, lett. e.5) del DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 07.04.2008 n. 2904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza previsto dal diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da quello inteso in senso urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per cui non assumono carattere di pertinenza quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa civilistica, sono suscettibili di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa, come nel caso di specie, essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da quello inteso in senso urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per cui non assumono carattere di pertinenza quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa civilistica, sono suscettibili di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa, come nel caso di specie, essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato (per tutte, TAR Toscana, sez. III, 27.11.2006, n. 6052 e Cons. St., sez. V, 13.06.2006, n. 3490) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 07.04.2008 n. 2904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista dell’ingombro e del carico edilizio ed urbanistico.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600 ; TAR Lazio, II-ter, 06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428; TAR Toscana, Sezione III, 27.11.2006, n. 6052; TAR Emilia Romagna, Sezione II, 11.10.2007 n. 2286), la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista dell’ingombro e del carico edilizio ed urbanistico
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di pertinenza.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da, quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un' opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un' oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’'immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2008 n. 4087 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAPertinenza (legnaia).
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell' edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell' edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell‘immobile cui accede. La strumentalità rispetto all'immobile principale, ossia la relazione funzionale con la costruzione preesistente, deve essere in ogni caso "oggettiva", cioè connaturale alla struttura dell' opera. e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza. esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore, sicché non può ricondursi alla nozione in esame l'edificazione di un manufatto che, asseritamente destinato a legnaia, consenta invece, per natura e struttura. una pluralità di destinazioni e sia logicamente ed economicamente utilizzabile in altro modo che non sia quello di servire l'immobile al quale accede (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2008 n. 4081 - link a www.lexambiente.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATARealizzazione di tettoia in aderenza ad un preesistente fabbricato con carattere di stabilità, autonoma utilizzazione e dimensioni non irrilevanti - Necessità del permesso di costruire in quanto considerabile come "nuova costruzione" ai sensi dell'art. 3 D.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 27 L.R. n. 12/2005 - Sussiste.
Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato, idonea ad un'utilizzazione autonoma e di dimensioni non irrilevanti, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire e, conseguentemente, non può essere dunque considerata una mera pertinenza in considerazione della sua idoneità ad incidere sull'assetto edilizio preesistente. La necessità del previo rilascio del permesso di costruire è rinvenibile nella definizione di "nuova costruzione" contenuta nell'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e ribadita dall'art. 27 della L.R. n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.12.2007 n. 6544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa, non possiede una sua autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile esistente, in quanto destinata ad essere usata a servizio dello stesso, nella sua configurazione di bene principale.
Secondo una nota giurisprudenza, anche del TAR per il Veneto, una piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa, non possiede una sua autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile esistente, in quanto destinata ad essere usata a servizio dello stesso, nella sua configurazione di bene principale (Consiglio Stato , sez. IV, 14.08.2006, n. 4780).
Inoltre, l’opera non altera in modo significativo l'assetto del territorio; pertanto, nella fattispecie in esame, la piscina, di contenuto rilievo dimensionale e di ridotto impatto dal punto di vista urbanistico, va considerata un manufatto avente rilievo pertinenziale (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 31.10.2007 n. 3489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sopraelevare un muro di cinta: il titolo edilizio è l’autorizzazione.
Il fatto che il territorio del Comune sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico, di per sé non comporta l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilità della procedura cosiddetta di denuncia dell’inizio dell'attività, sempre che si dimostri l'esistenza di uno specifico vincolo gravante sull'immobile oggetto dell'intervento.
Il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in questione al regime concessorio deve essere condotto alla stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che l'art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito in l. 25.03.1982 n. 94, assoggetta al regime autorizzatorio.
La sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per sostituire la barriera metallica preesistente e quindi conferire una migliore protezione alla proprietà, senza alterare l’altezza complessiva della recinzione medesima, non solo conferma il già acquisito vincolo pertinenziale ma rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere sul carico urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.10.2007 n. 5515 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATANozione di pertinenza - Concetto urbanistico di pertinenza - Configurabilità.
Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ornamento di altra cosa senza diventare parte integrante della stessa e senza rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza. Il concetto urbanistico di pertinenza differisce in parte da quello civilistico perché nel settore urbanistico acquistano preminente rilievo le esigenze di tutela del territorio. Per la configurabilità della pertinenza urbanistica, l'opera deve essere preordinata a soddisfare un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita a servizio dello stesso, sfornita di autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass. n. 4134/1998).
Pertinenza urbanistica e pertinenza civilistica - Differenza - D.P.R. n. 380/2001 - Art. 817 cod.civ..
La pertinenza urbanistica si distingue da quella civilistica perché, mentre in quest'ultima rilevano sia l'elemento obiettivo che quello soggettivo, nella prima acquista rilevanza solo l'elemento oggettivo. Il legislatore, con il testo unico dell'edilizia approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, per superare le incertezze derivanti dal criterio quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha fissato due criteri per precisare quando l'intervento perde le caratteristiche della pertinenza per assumere i caratteri della nuova costruzione: il primo rinvia alla determinazione delle norme tecniche degli strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle aree; il secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova opera gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell'edificio principale. In ogni caso non bisogna confondere il concetto di pertinenza con quello di parte dell'edificio. Da ciò consegue che l'ampliamento di un edificio preesistente non può considerarsi pertinenza ma diventa parte dell'edificio stesso perché, una volta realizzato, completa l'edificio preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni cui è destinato.
Elemento distintivo tra la parte e la pertinenza - Congiunzione fisica - Collegamento funzionale.
L'elemento distintivo tra la parte e la pertinenza non consiste solo in una relazione di congiunzione fisica, normalmente presente nella prima ed assente nella seconda, ma anche e soprattutto in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della parte al tutto e della pertinenza alla cosa principale: tale collegamento si esprime per la parte come necessità di questa per completare la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è destinata: la parte quindi è elemento della cosa. Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un servizio o ornamento che viene realizzato in una cosa già completa ed utile di per sé: la funzione pertinenziale attiene non all'essenza della cosa ma alla sua gestione economica ed alla sua forma estetica. Inoltre -ed è questo l'elemento più rilevante ai fini della distinzione- la pertinenza si riferisce ad un opera autonoma dotata di propria individualità mentre la parte di un edificio è compresa nella struttura di esso ed è quindi priva di autonomia. Da ciò consegue che l'ampliamento di un edificio preesistente non può considerarsi pertinenza ma diventa parte dell'edificio stesso perché, una volta realizzato, completa l'edificio preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni cui è destinato (Cass. sez. III 17.01.2003 Chiappalone; 3160 del 2003; nn 36941 e 40843 del 2005).
Art. 44 lett. b) D.P.R. n. 380/2001 - Momento di cessazione della condotta criminosa.
La contravvenzione già prevista dall'art. 20 lett. B) legge n. 47 del 1985 ora dall'art. 44 lett. b) D.P.R. n. 380 del 2001, si realizza al momento dell'inizio dei lavori e perdura per tutta la durata degli stessi. La condotta criminosa cessa con l'ultimazione dell'opera o con la cessazione dell'attività criminosa per fatto proprio, per imposizione dell'autorità o al limite con la sentenza di primo grado. Pres.
Zone paesisticamente vincolate - Tutela - Reato di pericolo astratto - Art. 181 D. L.vo n. 42/2004 - Configurabilità dell'illecito - Presupposti.
Il reato di cui all' art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (ora 181 del decreto legislativo n 42 del 2004) è reato di pericolo astratto, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici (Cass., Sez. 3^: 27.11.1997, ric. Zauli ed altri; 07.05.1998, ric. Vassallo; 13.01.2000, ric. Mazzocco ed altro, 05.10.2000, ric. Lorenzi; 29.11.2001, ric. Zecca ed altro; 15.04.2002, ric. P.G. in proc. Negri; 14.05.2002, ric. Migliore; 04.10.2002, ric. Debertol; 23880 del 2004). Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita -in assenza dell'autorizzazione- ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma "di qualunque genere", ad eccezione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici nonché degli altri interventi analiticamente indicati nell'articolo 149 del decreto legislativo n 42 del 2004, il quale ha sostituito l'articolo 152 del decreto legislativo n 490 del 1999 (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.07. 2007 n. 28504 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa destinazione in modo durevole al servizio od ornamento della cosa principale, che ai sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed edilizio ai fini dell’uso, non già per sovvertire il dato materiale-strutturale del manufatto (preesistente) che per materiali e tecnica di realizzazione occupi parti circoscritte e ben individuate di suolo e volume.
L'entità strutturale della tettoia, aperta ai lati e realizzata mediante tavole di legno, non è assimilabile ad una costruzione mediante l’attribuzione dell’attributo giuridico del carattere pertinenziale.
La destinazione in modo durevole al servizio od ornamento della cosa principale, che ai sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed edilizio ai fini dell’uso, non già per sovvertire il dato materiale-strutturale del manufatto (preesistente) che per materiali e tecnica di realizzazione occupi parti circoscritte e ben individuate di suolo e volume (in termini, da ultimo Cons. St., sez. IV, 15.09.2006 n. 5375) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di “pertinenza urbanistica” - Relazione "di servizio" con la costruzione preesistente - Fattispecie.
La nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), cosicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di due vani che non hanno una propria autonomia individuale e funzionale ma si uniscono ad un preesistente edificio ed entrano a far parte di esso, costituendone ampliamento. (vedi Cass., Sez. I: 11.10.2005, ric. Daniele; 11.05.2005, ric. Gricia; 09.12.2004, ric. Bufano; 18.12.2000, ric, Privitera; 18.03.1999, ric. Vigliotti; 27.11.1997, rie. Spanò).
Nozione dei "c.d. volumi tecnici" - Inutilizzabilità né adattabilità ad uso abitativo.
Sono "volumi tecnici" quelli - non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.05.2007 n. 21111 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATAPertinenza: la nozione in diritto urbanistico è più ristretta che nel diritto comune.
La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, per cui beni che, secondo la normativa privatistica, assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, perlomeno in tutti quei casi in cui gli stessi assumano una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio.
Ne consegue che non può ritenersi pertinenza un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato; in ogni caso un'opera pertinenziale è tale soltanto se sia effettivamente strumentale rispetto all'opera principale, senza che possa essere utilizzata in modo diverso dal dominus ed a prescindere dalla destinazione impressa da quest'ultimo.
In materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia e assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, ha peculiarità proprie e distinte dalla nozione civilistica, giacché deve avere una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale ed essere preordinata ad un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva, mentre non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 13.09.2006 n. 2029 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie.
Correttamente, pertanto, la sentenza di primo grado ha ritenuto necessario il rilascio di un titolo edilizio e considerato irrilevante che le opere fossero realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, in presenza dell’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse, perché preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta sotto il profilo funzionale.
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Costante giurisprudenza ravvisa nella pertinenza urbanistica caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico.

Il numero e le dimensioni dei manufatti realizzati sono analiticamente descritti nell’ordinanza del Dirigente responsabile di settore del comune e riportati nella memoria di costituzione nell’appello: trattasi di un capannone con struttura in ferro e PVC, di quattro baracche realizzate con vari materiali (plastico, di recupero, ligneo) e di tre tettoie con struttura in ferro e copertura in onduline. Il tutto per oltre 530 mq. complessivi.
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.01.2003, n. 419; V, 09.02.2001, n. 577), la nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie.
Correttamente, pertanto, la sentenza di primo grado ha ritenuto necessario il rilascio di un titolo edilizio e considerato irrilevante che le opere fossero realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, in presenza dell’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse, perché preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta sotto il profilo funzionale.
Gli appellanti non hanno poi contestato che le opere hanno le dimensioni descritte nell’ordinanza e che insistono in tutto od in parte su di un’area agricola contigua allo stabilimento, salvo un manufatto, sito nell’area di servizio dello stabilimento, di dimensioni superiori allo stesso.
Va perciò condivisa la conclusione della sentenza appellata, che esclude il rapporto pertinenziale delle opere e lo stabilimento, con richiamo alla costante giurisprudenza che ravvisa nella pertinenza urbanistica caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile (Cass. pen., sez. III, 21.03.1997, n. 4056), sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico (Cassazione penale, sez. III, 19.08.1993; 06.02.1990; 06.12.1989).
Siffatte caratteristiche appaiono del tutto estranee alle opere degli appellanti, caratterizzate da un rilevante numero di manufatti, taluni dei quali di notevoli dimensioni, comportanti come tali un considerevole carico urbanistico. Non ha pregio il richiamo degli appellanti alla circolare 06.11.1977, n. 1918 del Ministero dei lavori pubblici che esclude dall’obbligo di concessione le opere a servizio di impianti industriali di carattere precario o facilmente amovibili, quali le baracche ad elementi componibili in legno od altri materiali, i basamenti di sostegno e le tettoie di protezione.
La stessa circolare esplicita che le opere in questione non devono compromettere aspetti ambientali o paesaggistici, comportare aumenti di densità urbanistica e né determinare pregiudizi di altro genere oltre che essere in regola con i regolamenti edilizi: circostante queste affatto dimostrate dagli interessati, sia nel precedente che nel presente grado di giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2006 n. 3490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: La pertinenza urbanistica ha caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, comportando l'impossibilità di destinazioni ed utilizzazioni autonome e sostanziandosi nei requisiti della destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cassa principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico.
Ne deriva che il porticato non rientra nel novero delle pertinenze, poiché manca il requisito della individualità e della autonoma utilizzabilità, con la conseguenza che la sua realizzazione necessita di concessione edilizia e non è invece soggetta al regime autorizzatorio.

Giova rimarcare che la pertinenza urbanistica ha caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile, comportando l'impossibilità di destinazioni ed utilizzazioni autonome e sostanziandosi nei requisiti della destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cassa principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico.
Ne deriva che il porticato non rientra nel novero delle pertinenze, poiché manca il requisito della individualità e della autonoma utilizzabilità (cfr. Cassazione penale sez. III, 21.03.1997, n. 4056), con la conseguenza che la sua realizzazione necessita di concessione edilizia e non è invece soggetta al regime autorizzatorio (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 19.07.2005 n. 9988 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94 un'opera che abbia natura pertinenziale è soggetta all'autorizzazione gratuita anziché alla concessione edilizia; ma senza deroga alla regola generale che impone la conformità delle iniziative edilizie a quanto stabilito dagli strumenti urbanistici, limitando, al contrario, l'art. 7 cit. il rilascio dell'autorizzazione alle opere <<conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti.
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- La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, onde beni che, secondo quella normativa, assumono senz'altro natura pertinenziale tali invece non sono ai fini dell'applicazione delle regole ch e governano l'attività edilizia.
- Considerata la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale; ed è perciò necessaria la concessione edilizia per l'esecuzione di opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico sono da considerarsi come ulteriori rispetto al bene principale, poiché occupano aree e volumi diversi.
- Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa.

4. Del pari inconferente è il richiamo operato dall’appellante alla normativa ex Legge n. 94/1982 (conversione in legge del D.L. n. 9/1982) posto che ai sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94 un'opera che abbia natura pertinenziale è soggetta all'autorizzazione gratuita anziché alla concessione edilizia; ma senza deroga alla regola generale che impone la conformità delle iniziative edilizie a quanto stabilito dagli strumenti urbanistici, limitando, al contrario, l'art. 7 cit. il rilascio dell'autorizzazione alle opere <<conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti>> (Cons. Stato, sez. V, 23/06/1997, n. 704; Cons. Stato, sez. II, 08/05/1996, n. 3029).
In disparte il rilievo della nozione più ristretta di pertinenza (rispetto a quella accolta dal diritto civile) propria del diritto amministrativo che non si attaglia all’intervento per cui è causa (<<La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, onde beni che, secondo quella normativa, assumono senz'altro natura pertinenziale tali invece non sono ai fini dell'applicazione delle regole ch e governano l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez. V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale; ed è perciò necessaria la concessione edilizia per l'esecuzione di opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico sono da considerarsi come ulteriori rispetto al bene principale, poiché occupano aree e volumi diversi>> Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358; cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa>> Cons. Stato, sez. V, 23/03/2000, n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n. 1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n. 729; Cons. Stato, sez. II, 21/02/1996, n. 1895)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale.
<<La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, onde beni che, secondo quella normativa, assumono senz'altro natura pertinenziale tali invece non sono ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez. V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale; ed è perciò necessaria la concessione edilizia per l'esecuzione di opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico sono da considerarsi come ulteriori rispetto al bene principale, poiché occupano aree e volumi diversi>> Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358; cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa>> Cons. Stato, sez. V, 23/03/2000, n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n. 1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n. 729; Cons. Stato, sez. II, 21/02/1996, n. 1895) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATA: Opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti - recinzione - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - il potere sanzionatorio in materia edilizia.
La giurisprudenza è univoca e costante nell’affermare che, ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 9 del 1982, ogni opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti, tra le quali rientra anche una recinzione, nella misura in cui se ne accerti l’effettiva funzione pertinenziale nei riguardi di un fabbricato già esistente, è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita.
Pertanto, poiché nel provvedimento si fa riferimento ad una mera recinzione -e non già ad una opera più complessa, quale una recinzione composta da muro di sostegno con sovrastante rete metallica, che costituendo una vera e propria costruzione idonea a modificare l’assetto urbanistico-edilizio del territorio, avrebbe comportato il previo rilascio del titolo concessorio- si appalesa illegittimo il provvedimento con il quale il Sindaco ha ordinato la demolizione della recinzione dell’edificio, in base al presupposto che si trattasse di opera soggetta a concessione.
Né il provvedimento potrebbe essere giustificato dalla rilevata circostanza che la recinzione di cui trattasi graverebbe su tratto di strada mulattiera, perché al fine di rimuovere tale situazione il sindaco non avrebbe dovuto esercitare il potere sanzionatorio in materia edilizia, ma, tempestivamente, a suo tempo (allorché lo stato di fatto preesistente, come sembra emergere dalle planimetrie allegate alla perizia tecnica, alla quale si è in precedenza accennato, era stato pregiudicato non dalla recinzione, ma dallo stesso edificio, che aveva invaso con il piano seminterrato l’angolo sud/est della strada mulattiera, impedendone il transito), avrebbe dovuto ordinare la rimessa in pristino della strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi degli artt. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F e 15, d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.10.2002 n. 5610 - massima tratta da www.ambientediritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).