dossier PERTINENZE EDILIZIE
ED URBANISTICHE |
anno 2024 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La piscina è una struttura di tipo edilizio che
incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata,
perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1,
lett. e), del DPR n. 380/2001 e non una pertinenza
urbanistica del fabbricato residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano
funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle
abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo
svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo
installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere
considerata pertinenza la realizzazione della piscina,
considerato che la stessa comporta una "durevole
trasformazione del territorio" la quale, sotto il profilo
urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione
non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del
Consiglio di Stato sulla nozione di pertinenza urbanistica
secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di modesta
entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali
ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di
impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i
manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una
propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale
sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e
specifica utilizzazione".
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2. Con il secondo motivo di appello l’appellante
deduce erronea motivazione. Travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto, contraddittorietà.
Evidenzia che la seconda doglianza era stata respinta
dall’adito Tribunale in ragione del fatto che le piscine “sono
assoggettate a contribuzione dall’art. 7 del D.M. 801/1977 e
non sono sempre pertinenziali dal punto di vista
urbanistico, ma solo a certe condizioni, di cui occorre dare
la prova”, mentre la piscina privata, contrariamente a
quanto affermato nell’impugnata sentenza, è sempre una
pertinenza, ed in quanto tale non è soggetta a titolo
abilitativo oneroso.
Il motivo non è fondato.
La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con
opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò
configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett.
e), del DPR n. 380/2001 e non, come sostenuto
dall'appellante, una pertinenza urbanistica del fabbricato
residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano
funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle
abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo
svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo
installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere
considerata pertinenza la realizzazione della piscina,
considerato che la stessa comporta una "durevole
trasformazione del territorio" la quale, sotto il
profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto
a quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione
non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del
Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2019, n.
8192; id., 04.01.2016, n. 19; 24.07.2014, n. 3952; sez. V,
12.02.2013, n. 817; sez. VI, n. 100/2020) sulla nozione di
pertinenza urbanistica, che questo Collegio condivide,
secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera
principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa,
tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione
possiedono una propria autonomia rispetto all'opera
cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine
ad una diversa e specifica utilizzazione".
L’art. 7 del D.M. 10.05.1977, n. 801, in materia di
determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici
prevede che, in seguito alla realizzazione di una piscina
coperta o scoperta quando sia a servizio di uno o più
edifici comprendenti meno di 15 unità immobiliari, è
previsto un incremento del costo di costruzione del 10%,
pertanto il provvedimento impugnato si sottrae alla censura.
L’appello deve essere, conseguentemente, respinto (Consiglio
di Stato, Sez. VII,
sentenza 02.01.2024 n. 44 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Le opere di costruzione di una «piscina prefabbricata a pianta ovoidale, interrata, costituita da una struttura metallica e
pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte
celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni
rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una
volumetria di mc. 49,00 circa"
sostanziano una nuova costruzione
poiché stabilmente ancorate al suolo, che comportato una
alterazione permanente dei luoghi con aumento di superficie
e di volumetria, e che, pertanto, necessita(va)no di essere
assentite con un permesso di costruire.
Peraltro, la piscina interrata ha dimensioni tutt’altro che esigue,
pari a circa 49,00 mc. Sicché deve essere
esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è
connotata da una propria autonomia strutturale, economica e
funzionale.
Invero, «la nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica
dal momento che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico,
sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello
principale, incidono con tutta evidenza sull’assetto
edilizio preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire; tale criterio è stato applicato anche con
specifico riguardo alla realizzazione di una piscina
nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione
della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto
a quella propria dell’edificio al quale accede, non è
pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico.
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato
necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire
ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente
nel caso concreto».
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2. Il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo richiama
l’accertamento delle seguenti difformità urbanistiche:
«piscina prefabbricata a pianta ovoidale, ultimata ed in
uso, interrata, costituita da una struttura metallica e
pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte
celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni
rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una
volumetria di mc. 49,00 circa.
Tale piscina interrata
insiste su un’area terrazzata, delimitata per tre lati da un
passamano in pali in legno di castagno, di superficie di mq.
92,00 circa, pavimentata in quadroni in c.l.s., sorretta da
una muratura in pietre in tufo, il cui lato maggiore
presenta una nicchia per alloggio pompa di riciclo delle
acque.
Ad essa si accede dai terrazzamenti sottostanti, a
mezzo di due scale in muratura, delimitate da passamano in
legno, una di larghezza m. 0,75 circa, l’altra di larghezza
m. 1,00 circa, quest’ultima presenta antistante area di
superficie mq. 20,00 pavimentata in quadroni in c.l.s.,
apposti a secco sul terreno».
Ciò premesso, con una prima doglianza contenuta nel ricorso
introduttivo, il ricorrente ha lamentato che erroneamente
l’amministrazione ha ritenuto che le opere necessitassero di
permesso di costruire, non essendo applicabile l’art. 31
D.P.R. 380/2001 in quanto gli interventi non avrebbero
determinato una trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio; piuttosto, secondo il ricorrente, gli interventi
rientrerebbero nell’ambito dell’attività edilizia libera in
applicazione dell’art. 6-bis DPR 380/2001.
La censura è tuttavia infondata, in quanto gli interventi
per cui è causa, la cui descrizione è contenuta
nell’ordinanza impugnata, integrano opere di nuova
costruzione, stabilmente ancorate al suolo, che hanno
comportato una alterazione permanente dei luoghi con aumento
di superficie e di volumetria, e che, pertanto,
necessitavano di essere assentite con un permesso di
costruire.
Peraltro, la piscina interrata, contrariamente all’assunto
del ricorrente, ha dimensioni tutt’altro che esigue, in
quanto dall’accertamento tecnico compiuto in data 26.09.2018
è emerso che essa misura circa 49,00 mc.
Inoltre deve essere
esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è
connotata da una propria autonomia strutturale, economica e
funzionale.
Sul punto, il Collegio infatti aderisce all’orientamento
secondo cui «la nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr.,
ex multis, TAR Catania n. 4564/2010), sicché gli
interventi che, pur essendo accessori a quello principale,
incidono con tutta evidenza sull’assetto edilizio
preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.05.2018, n. 3115); tale criterio è stato applicato anche con
specifico riguardo alla realizzazione di una piscina
nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione
della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto
a quella propria dell’edificio al quale accede, non è
pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico
(TAR Campania, Napoli sez. III, 30.03.2018 n. 2033;
TAR Campania, Napoli, sez. III, 11.01.2018, n. 194;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503).
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato
necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire
ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente
nel caso concreto» (TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30.05.2018, n. 3569) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 08.05.2023 n. 2780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un oggettivo nesso
funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un
nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un
uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico, sicché
il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza
amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non
poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al
servizio di un bene qualificato come principale.
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E' da escludere che una piscina, specie quando risulti di rilevanti dimensioni, possa essere
considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione
rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la
giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve
qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo
di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004,
essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con
diversa destinazione ed uso del suolo>>.
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... per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di condono
edilizio prot. n. 13867 del 27.04.2004, presentata dal sig. Cr.Gi. ai sensi
dell’art. 32 del d.l. 269/2003, relativa all’immobile del sig. Cr.Ca.,
adottato dal Comune di Frascati l’08.11.2006;
...
1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data
09.03.2007 e depositato il successivo 05.04.2007, i ricorrenti impugnano il
provvedimento meglio indicato in epigrafe, chiedendone l’annullamento.
In particolare, i ricorrenti espongono quanto segue:
- con istanza inoltrata in data 27.04.2004 dal sig. Cr.Gi., veniva
chiesto il rilascio di concessione in sanatoria per una “piscina
prefabbricata in metallo, di circa metri sette per quattordici”;
- tale istanza era respinta con il provvedimento di cui sopra,
poiché l’opera ricade “in area vincolata, per tutela paesistico
ambientale” e “poiché la stessa opera, realizzata senza titolo
abilitativo, risulta non conforme alle norme urbanistiche vigenti,
contrastando con l’art. 3 delle NTA della variante stralcio al PRG per le
zone agricole”.
...
Per esigenze di completezza, determinate dal rilievo che i ricorrenti
–seppure non abbiano mai richiamato e/o invocato la sussistenza di un
rapporto pertinenziale tra le opere di cui sopra e altre costruzioni- hanno
affermato che si tratta di un intervento che non ha “determinato la
creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati” (cfr. pag. 1 dell’atto introduttivo del
giudizio) e hanno, ancora, evidenziato l’ampiezza del lotto (tre ettari)
nonché l’insistenza su di esso di una “vasta casa padronale e numerose e
ampie dipendenze”, preme aggiungere che:
- la pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un
oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella
principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del
bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (cfr. Cons. St.
sez. VI, 29/01/2015, n. 406; Cons. St. sez. VI, 05/01/2015, n. 13), sicché
il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza
amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non
poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al
servizio di un bene qualificato come principale (cfr. Cons. St. sez. IV,
17/05/2010, n. 3127);
- invero, è da escludere che una piscina, specie quando –come
nell’ipotesi in trattazione– risulti di rilevanti dimensioni, possa essere
considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione
rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la
giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve
qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo
di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004,
essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con
diversa destinazione ed uso del suolo ….. (TAR Napoli, sez. VII, 16.03.2017,
n. 1503; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 12.01.2011, n. 110)>> (TAR
Campania, n. 1293 del 2020) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio,
sentenza 21.06.2022 n. 8325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un’opera
volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può
essere considerata alla stregua di un intervento minore,
suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del
permesso di costruire.
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Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano co-essenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto
per essere considerato pertinenza deve essere non solo
preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
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"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in
quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è
altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo
cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di
volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra
di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in
quanto non qualificabile come pertinenza in senso
urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in
grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio
cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non
è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi
della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio
dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso
di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e
degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R.
n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
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Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti
sono infondati e devono essere respinti per le ragioni di
seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non
pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un
intervento minore, suscettibile di essere assentito con
S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta
dirimente per il Collegio, ai fini del decidere,
identificare l’esatta natura (pertinenziale o meno) della
piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano coessenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI,
19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id.,
Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il
manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non
solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze
in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione
durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo
all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente
giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano
essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell’edificio cui accede. La piscina,
infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze,
in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma
integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà
luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo
rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal
permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III,
09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)”
(cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768;
inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
07/01/2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, Sez. II,
18/04/2019, n. 642; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
30/03/2018, n. 2033; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
19/02/2018, n. 1087; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV,
30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018,
n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97;
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia,
Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli,
Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria, Catanzaro, Sez.
II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012,
n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria”
e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del
D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel
novero di quelle considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e
n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo
deve essere respinto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Non possono essere qualificati come pertinenziali ex art. 3,
comma 1, lett. e.6), d.P.R. n. 380/2001 gli interventi che consistono in
ampliamenti volumetrici e/o parti integranti di fabbricati, mentre le
pertinenze urbanistiche sono manufatti accessori e preordinati ad una
oggettiva esigenza del fabbricato principale, che perciò hanno una propria
individualità fisica e strutturale, anche se destinati a servizio e/o
ornamento del preesistente immobile principale”.
Peraltro, non appare ultroneo rilevare che “L'art. 3, comma 1, lett. e.6),
d.P.R. 06.06.2001 n. 380 include tra le nuove costruzioni, soggette a
permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che le norme tecniche
degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale”.
In definitiva, “Ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali,
con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del permesso di
costruire, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio
al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in
quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e poiché
occupano aree e volumi diversi”.
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V.2.4. Correlativamente, e per le medesime ragioni che si richiamano a fini
motivazionali, come già rilevato dalla sezione in sede cautelare, “la
natura e la consistenza degli abusi commessi sono tali da non potersi
configurare quali mere pertinenze del manufatto preesistente” (ordinanza
n. 972 del 05.07.2017).
Ed invero, “Non possono essere qualificati come pertinenziali ex art. 3,
comma 1, lett. e.6), d.P.R. n. 380 del 2001 gli interventi che consistono in
ampliamenti volumetrici e/o parti integranti di fabbricati, mentre le
pertinenze urbanistiche sono manufatti accessori e preordinati ad una
oggettiva esigenza del fabbricato principale, che perciò hanno una propria
individualità fisica e strutturale, anche se destinati a servizio e/o
ornamento del preesistente immobile principale” (TAR Basilicata,
Potenza, sez. I, 10/07/2019, n. 575).
Peraltro, non appare ultroneo rilevare che “L'art. 3, comma 1, lett. e.6),
d.P.R. 06.06.2001 n. 380 include tra le nuove costruzioni, soggette a
permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che le norme tecniche
degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale” (TAR Lazio, Roma, sez. II,
06/12/2017, n. 12096; Cons. di St., sez. II, 24/06/2019, n. 4304).
In definitiva, “Ai fini urbanistici non possono ritenersi beni
pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del
permesso di costruire, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo
di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori
ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e
poiché occupano aree e volumi diversi” (TAR Calabria, Reggio Calabria,
sez. I, 24/11/2017, n. 941).
Ora, la mancata conservazione delle caratteristiche fondamentali
dell'edificio preesistente, tra cui la sagoma, comporta che l'intervento
fuoriesca dalle categorie della manutenzione edilizia e della pertinenza,
configurando sostanzialmente una nuova costruzione.
Ne consegue allora la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione
gravata adottata ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001, rilevandosi un
complessivo intervento assimilabile a nuova costruzione e, come tale,
necessitante di permesso di costruire -nel caso di specie, assente-, non
ascrivibile, nemmeno in parte, ad opere meramente pertinenziali che, di
contro, per dimensioni, vincoli e funzionalità, concretano, nella globalità
e non in via atomistica, uno stabile e permanente rimodellamento della
morfologia del terreno (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 26.08.2021 n. 5628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una piscina è nuova costruzione e necessita del permesso di
costruire.
Non v’è dubbio che sia bisognevole del
permesso di costruire la realizzazione di una piscina in quanto, come chiarito
dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa
dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma
permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il
previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
E la stessa non è qualificabile come pertinenza.
Invero, secondo il costante
orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza
urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e, dunque, non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio
di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale
in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto alle opere
che, per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate
di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter
essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono.
In tal senso, si è chiarito
che finanche gli interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo,
che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici
come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali
strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono
inserite.
Ebbene, nel caso di specie, rispetto alla piscina, va
rilevato che essa, oltre a costituire una permanente
modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da
escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto
inteso come principale.
---------------
1.1. Con il ricorso principale, la ricorrente GU.Li., contesta l’ordinanza n. 92 dell’08.05.2018 con cui il
Comune di Napoli ha ingiunto, ai sensi dell’art. 31 D.P.R.
380/2001, la demolizione delle opere realizzate abusivamente
in via ... n. 2 consistenti in:
- "un
manufatto in muratura e vetri occupante una superficie di
mq 65,00;
- una piscina interrata di mq 12,50;
- un piano
seminterrato di mq 170 circa costituito in parte da locale
deposito e parte da locale composto da cucina, ambiente
letto e w.c.”.
...
2.1. Nel merito, occorre, innanzitutto, qualificare le opere
sopra indicate che costituiscono nuove costruzioni ai sensi
dell’art. 3, lett. e), del D.P.R. 380/2001.
In particolare, non v’è dubbio che siano bisognevoli del
permesso di costruire il “manufatto in muratura e vetri
occupante una superficie di mq 65,00” e la costruzione del
piano seminterrato (170 mq). Tali opere, infatti, implicano
la creazione di nuova volumetria con ampliamento del
manufatto esistente al di là della sagoma (lett. e.1 art. 3
lett. e del D.P.R. 380/2001, cit.).
Parimenti è a dirsi per la piscina in quanto, come chiarito
dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa
dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma
permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il
previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
2.2. Diversamente da quanto sostenuto dalla parte
ricorrente, nessuna di tali opere è qualificabile come
pertinenza.
In proposito, giova rammentare che, secondo il costante
orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza
urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio
di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto
alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate
di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter
essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3127).
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento,
che finanche gli interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo,
che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici
come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali
strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono
inserite.
Ebbene, nel caso di specie, le opere sono ben più
consistenti rispetto alle mere tettoie in quanto sono
valutabili in termini di cubatura e non possono, quindi,
essere ritenute, in senso urbanistico, ‘assorbite’ nel
manufatto principale o qualificate come meramente accessorie
(TAR Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492;
TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999;
v. pure i precedenti di TAR Campania, IV sez., n.
831/2015 e 2717/2017).
Con maggiore impegno esplicativo, rispetto alla piscina, va
rilevato che essa, oltre a costituire una permanente
modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da
escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto
inteso come principale (TAR Napoli, sez. VII, 17/09/2020,
n. 3874; TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n.
42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642;
Cassazione penale sez. III, 20/12/2018, n. 1913).
3. Tutte le opere sono, quindi, nuove costruzioni e, in
quanto tali, necessitano del permesso di costruire. Tanto
dimostra la infondatezza delle censure che si appuntano su
una diversa qualificazione dell’opera o sulla legittimità
del manufatto (censure VI e IX) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.01.2021 n. 527 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una piscina non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
---------------
8.3 - Quanto infine alla piscina, in disparte la questione della anteriorità
della sua realizzazione rispetto alla data di presentazione della s.c.i.a.
(secondo quanto riportato nella nota comunale n. 1493/2014, all. 10
produzione Comune), va precisato che il fatto che trattasi di piscina
interrata che non incide sui parametri urbanistici non implica, come
ritenuto dalla ricorrente, che la stessa sia legittimabile tramite s.c.i.a.
Giova richiamare sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza
amministrativa secondo cui “la realizzazione di una piscina non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire
(TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n. 42; TAR Campania,
Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642)” – da ultimo, ex multis, Tar
Campania, Napoli, sez. VII. Sent. 17/09/2020
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.12.2020 n. 6324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura pertinenziale, o meno, di una piscina fuori terra.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la
nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a
quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche
ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si
connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non
siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile
una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza
urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso
che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto
alla cosa in cui esso inerisce.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica,
ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di
un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio
principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di
quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze
che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere
precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali
facilmente amovibili.
---------------
Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che esse
non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio a cui accede.
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
---------------
Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre
dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria
delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è
caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove
costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED,
che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio
principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di
dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non
può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude
la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la
dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata
in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi,
sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di
“pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e
“modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume
dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la
stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di
grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza
tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché
delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di
essa possa farsene.
---------------
1. Con ricorso notificato il 15.10.2019, il sig. Gi.Mi. ha impugnato il
provvedimento prot. 9558 del 19.07.2019 con il quale il Settore Gestione del
Territorio del Comune di San Sebastiano al Vesuvio ha concluso con esito
negativo la SCIA alternativa al P.d.C. (art. 23 TUED) prot. 1856 del
12.02.2019 presentata dal ricorrente e relativa a un intervento da eseguirsi
nell’immobile di proprietà sito in territorio comunale alla via ...,
consistente nella modifica dei prospetti dell’edificio correlata
all’installazione di una piscina fuori terra su di un lotto di terreno in
zona agricola, appoggiata al suolo e a carattere pertinenziale rispetto
all’immobile.
In base al combinato disposto degli artt. 23, 10, co. 1, lett. c), e 3, co. 1,
lett. e.6), del d.P.R. 380/2001 (in seguito anche: TUED), il ricorrente ha
sostenuto che l’intervento in questione rientrasse nella categoria della
ristrutturazione edilizia (art. 10, co. 1, lett. c), TUED) e non della nuova
costruzione (art. 10, co. 1, lett. e) TUED), quindi perfettamente
realizzabile mediante SCIA sostituiva del permesso di costruire, in quanto
la piscina non avrebbe superato il limite del venti per cento rispetto alla
volumetria dell’immobile di cui rappresentava pertinenza.
...
11. Si passa ora all’esame delle censure di tipo sostanziale.
Vanno, in primo luogo, riprodotte le norme di riferimento, anche se già se
ne è fatta menzione nella parte in fatto.
Il ricorrente ha richiesto una SCIA alternativa al permesso di costruire
disciplinata dal comma 1 dell’art. 23 TUED: “In alternativa al permesso
di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di
inizio di attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, comma 1, lett. c).”.
Questi ultimi sono “gli interventi di ristrutturazione edilizia che
portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente
e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei
prospetti ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso nonché gli
interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti
a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni”.
Alla disciplina dell’art. 10 va aggiunta quella dell’art. 3 TUED sugli “interventi
edilizi”.
Oltre a quelli del comma 1 lett. d), che riguarda specificamente gli
interventi di ristrutturazione edilizia, è necessario considerare la lett.
e), sugli “interventi di nuova costruzione", che sono “quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi
tali:
-e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati,
ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente,
fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla
lettera e.6)”.
La lett. e.6) annovera tra gli interventi di nuova costruzione:
- "gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale”.
Pertanto, ragionando a contrario, sono da annoverare tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia, e quindi nel perimetro applicativo dell’art. 10,
co. 1, lett. c), TUED, realizzabili con SCIA alternativa al permesso di
costruire, gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di
un volume NON superiore al 20% del volume dell'edificio principale.
12. Entrambi i primi due motivi di ricorso sono inquadrabili nell’ambito del
combinato disposto delle disposizioni sopra illustrate, e quindi esaminabili
in ragione di dette disposizioni, anche se ciascuno nella propria
individualità.
Si tratta di stabilire da un lato se la piscina che il ricorrente intende
costruire previa SCIA in luogo del permesso di costruire sia un intervento
di ristrutturazione edilizia per le ragioni sopra esposte, in quanto volumetricamente compatibile con il disposto normativo,
dall’altro se sia o
meno una pertinenza.
Il venir meno di uno solo di questi due requisiti comporta l’inapplicabilità
della disciplina sopra richiamata, in quanto la lett. e.6) dell’art. 3 TUED
riguarda comunque opere di tipo “pertinenziale”.
Un’opera volumetricamente corretta ma non pertinenziale non può essere
considerata alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia,
assentibile con SCIA in luogo del permesso di costruire.
13. In ragione di quanto detto, risulta dirimente, ai fini del decidere, il
rigetto del secondo motivo relativo alla natura non pertinenziale della
piscina in questione.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la
nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a
quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche
ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si
connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non
siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile
una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza
urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso
che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto
alla cosa in cui esso inerisce (ex multis, Cons. St., sez. VI, 13.01.2020; id., sez. II, 22.07.2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica,
ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di
un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio
principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di
quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze
che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere
precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali
facilmente amovibili (Cons. St., sez. VI, 10.01.2019, n. 260; id., 01.04.2016 n. 1291).
13.1. Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che
esse non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio (TAR Campania Napoli, sez. III, 03.02.2020, n. 483).
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio a cui accede (TAR Lazio, sez. II-bis, 07.10.2019, n. 11586).
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire
(così, TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642, che rimanda,
ex multis, a Cons. St., sez. IV, 08.01.2016, n. 35; TAR Puglia, Lecce,
sez. I, 20.09.2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503; sez. II, 30.05.2018, n. 3569; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 30.01.2018, n. 248).
13.2. Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre
dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria
delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è
caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove
costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED,
che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio
principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di
dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non
può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude
la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la
dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata
in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi,
sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di
“pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e
“modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume
dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la
stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di
grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza
tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché
delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di
essa possa farsene.
13.3. Le suddette considerazioni valgono ad escludere che la piscina oggetto
della SCIA del 12.02.2019 possa essere considerata alla stregua di
opera pertinenziale.
Ciò in quanto di dimensioni per nulla modeste (118 mq con una altezza di
1,60 m), suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto alla struttura cui
accede poiché non vi è alcun collegamento funzionale tra una piscina e un
bar ristorante, quale quello presente nell’edificio di proprietà del
Migliaccio, nel senso che il bar può esistere senza la piscina, e la piscina
può esistere senza bar, e l’utilità che essi possono reciprocamente
scambiarsi non è di tipo oggettivo ma soggettivo, a discrezione del
proprietario, che potrebbe benissimo destinarla all’uso personale o della
sua famiglia.
Va altresì rilevato che accedono alla piscina anche una pedana in legno
posta sul perimetro della piscina larga 2 metri con superficie di 90 mq e
una vasca di compenso di dimensioni pari a metri 4 x 4, per una profondità
di 1,5 metri.
In tutto, l’apparato piscina occupa oltre 200 mq di terreno agricolo, e a
prescindere dalla circostanza che il d.l. 9/1982, all’art. 7, co. 2, consenta
le opere pertinenziali in aree agricole, resta il fatto che non si ravvisa,
nel caso di specie, alcun nesso di pertinenzialità in senso funzionale
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 09.09.2020 n. 3730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione civilistica di pertinenza
differisce da quella a fini urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza
urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie
rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che,
dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per
una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano
coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e
autonoma utilizzazione economica … a differenza della
nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere
considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio,
ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul
"carico urbanistico" mediante la creazione di un ‘nuovo volume’.
Nell'ordinamento statale, infatti,
vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della
concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si
tratti di un ‘manufatto edilizio’.
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai
fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo
volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal
precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad
esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
E, a quest’ultimo proposito, è appena il caso di rammentare che la modifica
della sagoma e dei prospetti dell’edificio originario è da intendersi, a
norma dell’art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001, subordinata al
previo rilascio del permesso di costruire o, comunque, alla c.d. super-SCIA
alternativa e che, quindi, un simile intervento, ascrivibile alla categoria
della ristrutturazione edilizia –e non dell’attività edilizia libera–, qualora eseguito sine titulo,
rimane, comunque, sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria ai sensi
del successivo art. 33.
---------------
8.3. Neppure giova alla difesa attorea l’accento posto sulla natura
asseritamente pertinenziale degli interventi superfetativi in esame.
In argomento, si è statuito che: «La nozione civilistica di pertinenza
differisce da quella a fini urbanistico-edilizi. La qualifica di pertinenza
urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie
rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che,
dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per
una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano
coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e
autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 02.01.2018,
n. 24, 02.02.2017, n. 694, 04.01.2016, n. 19, 11.03.2014, n.
3952; sez. V, n. 817/2013; sez. IV, n. 615/2012) … a differenza della
nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere
considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio,
ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul
"carico urbanistico" mediante la creazione di un ‘nuovo volume’ (v. Cons.
Stato, sez. IV, 02.02.2012, n. 615).
Nell'ordinamento statale, infatti,
vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della
concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si
tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Cons. stato, sez. VI, 24.07.2014, n. 3952).
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai
fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo
volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal
precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad
esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma» (Cons. Stato, sez. VI, n.
904/2019; sul punto, cfr. anche, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n.
19/2016; n. 1155/2017; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 471/2015; TAR Umbria,
Perugia, n. 377/2015; TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 1816/2016; Napoli,
sez. VI, n. 732/2017; sez. VII, n. 2967/2018; Salerno, sez. II, n. 1/2019).
E, a quest’ultimo proposito, è appena il caso di rammentare che la modifica
della sagoma e dei prospetti dell’edificio originario è da intendersi, a
norma dell’art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001, subordinata al
previo rilascio del permesso di costruire o, comunque, alla c.d. super-SCIA
alternativa e che, quindi, un simile intervento, ascrivibile alla categoria
della ristrutturazione edilizia –e non dell’attività edilizia libera, come,
invece, inferito da parte ricorrente–, qualora eseguito sine titulo,
rimane, comunque, sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria ai sensi
del successivo art. 33
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.07.2020 n. 951 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio non sottace che sin dall’epoca della
vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la
giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica
di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito
nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla
stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale,
ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al servizio
dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non alterare in
modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare rispetto
alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede
nell'edificio stesso.
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni
costituisce pertinenza di un’abitazione agricola.
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale
dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è
necessario per realizzarla (permesso di costruire per le nuove costruzioni;
denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le
pertinenze: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei
rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche
a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001,
già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque
consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei
propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non
assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
---------------
1.1. L’attuale appellante, Sig. Ro. Di Mo., espone di essere imprenditore
agricolo e coltivatore diretto.
Egli è proprietario di un terreno ubicato nel territorio comunale di Napoli
(NA), situato in prossimità del Casale ..., segnatamente al ... nn. 18 19
destinato a zona F – agricola dalla vigente strumentazione urbanistica e
rientrante nel perimetro del Parco metropolitano delle Colline di Napoli,
costituito con decreto del Presidente della Regione Campania n. 492 dd.
14.07.2004 previa deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 855
dd. 10.06.2004.
Tale terreno, acquisito dall’appellante nel corso del 1999 a seguito di
un’aggiudicazione fallimentare, è coltivato a vitigno e su di esso insistono
un fabbricato rurale su due livelli, una casa colonica e un ulteriore
fabbricato.
L’appellante riferisce di aver investito consistenti risorse economiche al
fine della valorizzazione e dello sviluppo della proprietà, intraprendendo
ivi un’attività turistico-ricreativa.
A tale riguardo il Di Mo. espone quindi di aver provveduto, mediante
denuncia d’inizio di attività Prot. n. 124 dd. 10.03.2005 presentata al
Comune di Napoli e ad una susseguente variante presentata il 03.06.2005,
alla realizzazione di opere da lui definite “di manutenzione
straordinaria”, ovvero “pertinenziali funzionali al migliore
sfruttamento del terreno agricolo” (così a pag. 2 dell’atto d’appello).
Tali opere consisterebbero, a detta dell’appellante, in “un
gazebo in
legno di modestissime dimensioni, funzionalmente necessario allo svolgimento
delle attività turistico-ricreative connesse all’attività agricola, ed
ospitante un punto vendita dei prodotti ortofrutticoli”, nella “realizzazione
di tre muri per il contenimento del terreno”,
nonché, in corso d’opera, essendosi resi necessari “ulteriori interventi
di sistemazione del terreno … sul penultimo terrazzamento prospiciente
l’abitazione principale veniva posizionata una vasca – impropriamente
definita piscina
– per la raccolta delle acque meteoriche” (cfr. ibidem).
Con provvedimento n. 3671 dd. 21.06.2005 la Direzione Centrale IV Lavori
Pubblici del Comune di Napoli, S.T.C. Vomero-Arenella ha chiesto la
produzione di ulteriore documentazione e ha interinalmente disposto la
sospensione dei lavori, a’ sensi dell’art. 2, comma 60, della l. 23.12.1996
n. 662 e successive modifiche, nonché a’ sensi degli artt. 22 e 23 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 e successive modifiche, evidenziando comunque che
“la tipologia di intervento non è consentita”.
In data 03.08.2008 la Polizia Municipale ha provveduto al sequestro
preventivo dell’area.
Con susseguente provvedimento posizione dirigenziale n. 1047 dd. 31.08.2005
il Dirigente preposto alla Direzione Centrale VI del Comune di Napoli –
Riqualificazione urbana edilizia periferie – Servizio antiabusivismo
edilizio, in base a verbale redatto dalla polizia municipale in data
04.08.2005, ha rilevato che “senza il prescritto permesso di costruire”,
in area inserita nella zona C dello strumento di pianificazione del Parco
Regionale delle Colline di Napoli ed “assoggettata al vincolo
paesaggistico di cui all’art. 142, lett. f), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42”
erano state realizzate le seguenti opere:
- “livellamento del suolo mediante sbancamento di terrapieno per
ml. 150,00 x 1,50 h;
- collegamento tra aree terrazzate mediante sbancamento di m. 20,00
x una larghezza di m. 3,00;
- manufatto in legno di mq. 25,00, alto m. 3,00 su platea in
calcestruzzo, muri e panche in muratura;
- piscina prefabbricata fuori terra di mq. 80,00 in telo plasticato
sorretto da tubolari in ferro, completa di docce, lavapiedi e motori;
- ampliamento di un preesistente terrazzamento di circa ml. 100,00
x ml. 7,00 di larghezza”.
Contestualmente il medesimo Dirigente ha disposto la demolizione dei
sopradescritti manufatti, a’ sensi 27, comma 2, del d.P.R. 06.06.2001, n.
380.
...
4.2. 1. Con il primo motivo d’appello il Di Mo., al di là della
corposa sua rubrica, si limita di fatto a contestare l’asserita violazione
dell’art. 39, commi 4 e 6, delle norme tecniche di attuazione della variante
al Piano regolatore generale del Comune di Napoli, nonché dell’art. 35,
comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, pur con riflessi
anche sulla presupposta disciplina di fonte legislativa statuale citata
nella rubrica anzidetta.
Secondo l’appellante, le opere qui in contestazione –ossia la realizzazione
di tre muri di contenimento,
di un gazebo
e di una piscina prefabbricata
fuori terra- risulterebbero tutte legittimamente realizzate mediante la
denuncia d’inizio di attività da lui presentata,
In tal senso l’appellante rimarca che il comma 4 dell’art. 39 esplicitamente
prevede la realizzazione di “interventi di consolidamento di pendici
mediante la realizzazione di strutture di contenimento”, nel mentre il
susseguente comma 6 ammette per gli insediamenti rurali “interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento
conservativo”, nonché “la ristrutturazione edilizia …ai soli fini
della realizzazione di attività di cui al comma 1, lettera b), dell’articolo
21” delle medesime norme tecniche, ossia per le seguenti esigenze “abitazioni
agricole; attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti
agricoli all’origine e relative funzioni di servizio; attività ricettive di
tipo agrituristico e relative funzioni di servizio”.
A sua volta l’art. 35, comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di
Napoli, secondo l’appellante, letteralmente consentirebbe la realizzazione,
in regime di denuncia d’inizio di attività, di “giardini, opere di
arredo, vasche, pergolati grillages e gazebo”, nonché la “realizzazione
e consolidamento di muri o di sistemi di contenimento dei terreni”
Il Collegio, per il vero, nell’esaminare il testo di tale Regolamento
edilizio così come vigente all’epoca dei fatti di causa, non riscontra la
sussistenza dei surriportati riferimenti testuali alla realizzazione di
vasche, gazebo e opere murarie destinate al contenimento dei terreni; né
riscontra nel testo medesimo corrispondente all’art. 35 la stessa esistenza
di un suo comma 6.
Comunque sia, risulta indubbio dagli stessi atti di causa che il Di Mo. non
aveva realizzato una “vasca”, ma una “piscina”, e cioè
un’opera che la stessa fonte regolamentare comunale, ove anche considerata
nel testo da lui citato, certamente di per sé non assoggettava al regime
della denuncia d’inizio di attività (e comunque, all’evidenza non
finalizzata ad alcun utilizzo agricolo).
Altra cosa è, dunque, quanto poi fatto dal medesimo appellante, che dapprima
ha per l’appunto– realizzato senza un titolo edilizio idoneo una
piscina –come eloquentemente comprovato dal verbale di accertamento
dell’abuso- per poi chiedere al riguardo, soltanto dopo aver ricevuto
l’ingiunzione a demolire, l’accertamento di conformità, a’ sensi dell’art.
36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380; ma tutto ciò -per l’appunto- con riguardo
ad un’opera strutturalmente e funzionalmente del tutto diversa, e cioè una
vasca di raccolta per le acque meteoriche, per la cui effettiva
realizzazione dovevano essere per certo apportate delle modificazioni
rispetto a quanto precedentemente costruito: operazione, questa, per certo
incompatibile con l’istituto dell’accertamento di conformità, che implica
soltanto il mero riconoscimento della rispondenza di quanto realizzato alla
disciplina urbanistica vigente sia all’epoca della perpetrazione dell’abuso,
sia all’epoca della sanatoria richiesta, senza necessità di apportare
modifiche al manufatto in questione.
4.2.2. Posto ciò, il Collegio non sottace che sin dall’epoca della
vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la
giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica
di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito
nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla
stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al
servizio dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non
alterare in modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare
rispetto alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede
nell'edificio stesso (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 13.10.1993,
n. 1041).
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce
pertinenza di un’abitazione agricola (cfr. sul punto Cons. Stato Sez. V, 13.10.1993, n. 1041).
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale
dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è
necessario per realizzarla (permesso di costruire per le
nuove costruzioni;
denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le
pertinenze: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei
rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche
a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001,
già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque
consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei
propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 28.09.2018, n. 5090) e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non
assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
Posto ciò, per il caso di specie assume rilievo dirimente –e, quindi,
assorbente nei confronti di tutte le contestazioni formulate dalla parte
appellante- la circostanza che la piscina in questione non poteva comunque
essere realizzata, a ciò ostandovi il combinato disposto degli artt. 46,
comma 6, e 41, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del Piano
regolatore generale del Comune di Napoli, che nella sottozona Fa -nella
quale, per l’appunto, ricade la piscina– ammette la realizzazione di
“interventi di nuova edificazione” –e, quindi, assoggettati al rilascio del
permesso di costruire, e non già a mera denuncia d’inizio di attività- “a
fini agricoli di cui all’articolo 40” della medesima variante (e non è
dunque questo per certo il caso della piscina in questione; semmai della
vasca), ovvero anche “attrezzature sportive scoperte, ammissibili solo in
sede di pianificazione urbanistica esecutiva”, e comunque “ai fini del
conseguimento della fruizione pubblica dei fondi”.
In concreto –quindi– se il Di Mo. avesse voluto costruire –come
sostiene– una vasca di raccolta per l’acqua piovana, avrebbe potuto
realizzare tale manufatto, di per sé coerente con l’utilizzo a fini agricoli
dell’area, ma soltanto previo rilascio del permesso di costruire, in quanto
provvedimento il cui rilascio è inderogabilmente imposto in via generale
dalla strumentazione urbanistica ivi vigente.
Se –viceversa– avesse voluto realizzare una piscina, ciò sarebbe stato
parimenti possibile, ma soltanto previa predisposizione a propria cura di
una strumentazione urbanistica attuativa e –comunque, ed ancora una volta–
mediante il susseguente rilascio del permesso di costruire, in quanto la
“fruizione pubblica” imposta per tale manufatto dalla strumentazione
urbanistica ivi vigente risulta ex se incompatibile con l’asserita pertinenzialità dello stesso.
Tertium non datur.
Per inciso, la presenza nel fascicolo di causa relativo al primo grado di
giudizio di una relazione illustrativa depositata in data 19.11.2008 a
cura del patrocinio della stessa parte ivi ricorrente fa ragionevolmente
presumere che il Di Mo. abbia da ultimo optato proprio per tale
possibilità, progettando –tra l’altro– la realizzazione non più di una
piscina prefabbricata da contingentemente ”trasformare” –al bisogno, per
così dire, “burocratico”– in una vasca per la raccolta delle acque
meteoriche, ma di “una piscina ludico-relax costituita da due vasche poste a
quote differenti in modo da creare un salto d’acqua” (cfr. ivi a pag. 8: e
ciò senza sottacere che la complessiva lettura del piano medesimo offre la
netta impressione che l’attuale appellante si sia con esso discostato
dall’originaria connotazione agricola dell’azienda privilegiando un’attività
marcatamente ricettiva se non addirittura ludico-ricreativa, tanto da
suscitare anche un dubbio non evanescente circa l’effettiva permanenza,
nella specie, di un suo effettivo interesse alla coltivazione della presente
causa).
Ad ogni buon conto, quindi, anche per il caso di specie va ribadito che
dalla realizzazione di opere edilizia in assenza del permesso di costruire,
discende –sempre e comunque– la sanzione della demolizione delle opere
medesime, a’ sensi dell’art. 31 del t.u. 06.06.2001, n. 380.,
Ma –soprattutto– va considerato che la realizzazione della piscina ora in
questione era ed è materialmente inibita sia dall’art. 21, comma 3, del
Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che, con disposizione oltremodo
commendevole, fa divieto di completare le opere abusive realizzate nello
stesso suolo, sia dall’art. 24 della variante anzidetta, che al comma 2
dispone a sua volta nel senso che “nelle zone riportate nella tavola 12 con
instabilità media e alta” –tra le quali rientra anche il sedime su cui è
stata eretta la piscina in questione- “è vietata la realizzazione di
qualsiasi tipo di costruzione”: disposizioni, anche queste, che
naturalmente implicano la necessità della demolizione del manufatto in
questione
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Reati edilizi - Ampliamento di un fabbricato - Concetto
urbanistico di pertinenza - Giurisprudenza - Manufatto
distinto e separato da quello principale - Asservimento -
Fattispecie: costruzione di un nuovo vano in adiacenza alla
preesistente abitazione - Permesso di costruire - Art. 3,
10, 36, 44, 45, 71 e ss. 83, 93, 95, d.P.R. 380/2001 (T.U.E.).
In materia di reati edilizi,
l'ampliamento di un fabbricato preesistente non può
considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e
privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta
realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i
bisogni cui è destinato
(Sez. 3, n. 4139/2018).
La pertinenza, richiede che si tratti di un
manufatto distinto e separato da quello principale a cui è
asservito, essendovi in caso contrario ampliamento
dell'edificio che, laddove avvenga «all'esterno della sagoma
esistente» è da considerarsi intervento di nuova costruzione
ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.1), T.U.E.,
assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo
art. 10, comma 1, lett. a). Per questo la giurisprudenza ha
sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la
previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di
trasformazione di balconi in verande
(Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa),
di tettoie realizzate sul lastrico solare
(Sez. 3, n. 21351/2010, Savino), di
porticato addossato ad un fabbricato
(Sez. 3, n. 33657/2006, Rossi).
Nella specie, l'ampliamento dell'edificio
residenziale in questione con costruzione di un nuovo vano
in adiacenza alla preesistente abitazione -vano che al
momento del sopralluogo era destinato a cucina- esclude la
possibilità di invocare il concetto urbanistico di
pertinenza (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.05.2019 n. 19196 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini
urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di
modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio
i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”,
ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della
funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera
cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne
risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica.
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che,
a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un
manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo
preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo
valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la
creazione di un "nuovo volume".
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale
occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente
efficacia equivalente) quando si tratti di un "manufatto edilizio".
Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi
manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su
un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente
edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una
tettoia, che ne alteri la sagoma.
---------------
Nemmeno può poi trovare accoglimento la deduzione secondo la quale, nel caso
in esame, circa il deposito attrezzi, la legnaia e la tettoia, verrebbero in
considerazione opere di natura pertinenziale.
Vengono invece in rilievo manufatti che, per consistenza e tipologia, hanno
comportato una trasformazione del territorio e del suolo non irrilevante e
che in modo corretto sono stati fatti ricadere nella categoria degli
interventi che richiedono il permesso di costruire ai sensi dell’art. 3 del
d.P.R. n. 380 del 2001.
In proposito, più volte questo Consiglio di Stato ha rimarcato come occorra
il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand'anche
sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.
La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini
urbanistico-edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di
modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio
i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et
similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni
e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto
all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal
che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr.
Cons. St., Sez. VI, 02.01.2018, n. 24, 02.02.2017, n. 694, 04.01.2016, n.
19, 11.03.2014, n. 3952; Sez. V, n. 817 del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che,
a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un
manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo
preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo
valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la
creazione di un "nuovo volume" (Cons. Stato, Sez. IV, 02.02.2012, n.
615, cit.).
Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale
occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente
efficacia equivalente) quando si tratti di un "manufatto edilizio" (cfr.
Sez. VI, 24.07.2014, n. 3952). Fatta salva una diversa normativa regionale o
comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia
realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a
quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una
qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
Esaminando da vicino la fattispecie, anche alla luce della documentazione in
atti, il carattere pertinenziale delle opere sembra escluso proprio in
ragione delle caratteristiche dei manufatti e della considerazione e
valutazione degli stessi compiuta in maniera globale e unitaria dalla
pubblica autorità.
Evidente, poi, la trasformazione del territorio e, comunque, l’alterazione
dello stato dei luoghi legata alla realizzazione di strada, marciapiedi e
piazzale.
Di qui, la correttezza della decisione comunale, avallata nelle sentenze
impugnate, di applicare la sanzione della demolizione di cui all’art. 31 del
t.u. n. 380 del 2001 (a differenza di quanto sostiene la parte appellante,
la quale invoca, implicitamente ma non per questo meno sicuramente, la
irrogazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del t.u.
dell’edilizia, considerando inapplicabile il regime sanzionatorio di cui
all’art. 31 del t.u. medesimo)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.02.2019 n. 902 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione
di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno,
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale
alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in
modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione
del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede,
pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
---------------
Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce
e del relativo carico urbanistico.
---------------
7 – Con
un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7
della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n.
10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione
della tettoia e del box-container non necessitavano della
concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10
della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della
giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla
differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi,
come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed
autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun
elemento concreto dal quale desumere che le opere in
questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a
licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le
considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato
come la realizzazione di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si
specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento),
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende
impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente
alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e
richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr.
Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St.,
sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e
sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del
motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza
che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le
opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con
quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e
di repressione degli abusi (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il locale studio e il locale w.c. abusivamente
realizzati non sono qualificabili come pertinenze del fabbricato,
ma consistono ampliamenti al di fuori della sagoma
originaria.
Tali opere
non hanno portato, infatti, alla realizzazione di manufatti
meramente accessori e serventi all’edificio, privi di
incidenza sul carico urbanistico, ma costituiscono vani
aggiunti all’originario edificio, con corrispondente
incremento della relativa superficie lorda di pavimento.
Né potrebbe ritenersi, in senso contrario, che la natura
pertinenziale di tali locali discenda dalle loro modeste
dimensioni e dal fatto che non siano autonomi rispetto al
fabbricato preesistente.
A ben vedere, infatti, i ricorrenti
distorcono la nozione di pertinenza –che presuppone, per
sua natura, la realizzazione di un manufatto distinto, ma
accessorio rispetto al fabbricato principale– facendovi
rientrare qualunque incremento volumetrico aggiunto
successivamente a un edificio, purché di dimensioni
contenute.
Tuttavia, nei casi come quello oggetto del
presente giudizio, la circostanza che il vano aggiuntivo non
sia autonomo rispetto all’immobile principale dipende
proprio dal fatto che esso viene a costituire parte
integrante di tale immobile, incrementandone la superficie e
la volumetria. Circostanza, questa, che di per sé esclude il
carattere dell’accessorietà, tipico delle pertinenze, le
quali non possono consistere in porzioni costitutive del
medesimo immobile cui dovrebbero servire.
---------------
Esclusa, pertanto, la qualificazione di tali locali
aggiuntivi quali mere pertinenze, essi rientrano a pieno
titolo tra gli interventi di “nuova costruzione”,
trattandosi di ampliamenti del fabbricato all'esterno della
sagoma esistente (articolo 3, comma 1, lett. e.1), del d.P.R.
n. 380 del 2001).
Si tratta, conseguentemente, di opere per le quali era
richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’articolo
20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, come tali, soggette alla
disciplina sanzionatoria di cui al successivo articolo 31, e
non invece alle previsioni dell’articolo 37, che si
riferisce agli interventi realizzati in assenza di denuncia
(oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
---------------
E' stata
presentata un’unica domanda di sanatoria per tutte le opere
eseguite senza titolo. E’ la stessa parte richiedente,
perciò, ad aver qualificato le opere come un unico
intervento edilizio abusivo.
L’istanza non può, pertanto, essere valutata in
modo parcellizzato dall’Amministrazione, poiché non è
consentito al Comune prendere in considerazione singole
porzioni dell’unico progetto di sanatoria, al fine di
attribuire solo a una parte delle opere la qualificazione di
“manutenzione straordinaria”, estrapolandole dal complessivo
intervento di “ampliamento” denunciato dall’interessato.
---------------
12. E’ pure infondato il secondo motivo, con il quale si
sostiene, sotto diversi profili, che le opere abusive non
sarebbero soggette alla sanzione demolitoria.
12.1 I ricorrenti affermano, anzitutto, che il locale studio
e il locale w.c. costituirebbero mere pertinenze, contenute
entro il limite del venti per cento del fabbricato
principale, per le quali non sarebbe richiesto il rilascio
del permesso di costruire.
Conseguentemente, si tratterebbe
di abusi non soggetti alla sanzione della demolizione, ma
soltanto a quella pecuniaria prevista dall’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2011 per le opere realizzate in assenza di
denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.1.1 Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che le opere in
esame non sono qualificabili come pertinenze del fabbricato,
ma consistono in ampliamenti al di fuori della sagoma
originaria, come correttamente allegato dalla difesa
comunale e come chiaramente risulta dagli elaborati
progettuali depositati agli atti del giudizio. Tali opere
non hanno portato, infatti, alla realizzazione di manufatti
meramente accessori e serventi all’edificio, privi di
incidenza sul carico urbanistico, ma costituiscono vani
aggiunti all’originario edificio, con corrispondente
incremento della relativa superficie lorda di pavimento.
Né potrebbe ritenersi, in senso contrario, che la natura
pertinenziale di tali locali discenda dalle loro modeste
dimensioni e dal fatto che non siano autonomi rispetto al
fabbricato preesistente. A ben vedere, infatti, i ricorrenti
distorcono la nozione di pertinenza –che presuppone, per
sua natura, la realizzazione di un manufatto distinto, ma
accessorio rispetto al fabbricato principale– facendovi
rientrare qualunque incremento volumetrico aggiunto
successivamente a un edificio, purché di dimensioni
contenute.
Tuttavia, nei casi come quello oggetto del
presente giudizio, la circostanza che il vano aggiuntivo non
sia autonomo rispetto all’immobile principale dipende
proprio dal fatto che esso viene a costituire parte
integrante di tale immobile, incrementandone la superficie e
la volumetria. Circostanza, questa, che di per sé esclude il
carattere dell’accessorietà, tipico delle pertinenze, le
quali non possono consistere in porzioni costitutive del
medesimo immobile cui dovrebbero servire.
12.1.2 Esclusa, pertanto, la qualificazione di tali locali
aggiuntivi quali mere pertinenze, essi rientrano a pieno
titolo tra gli interventi di “nuova costruzione”,
trattandosi di ampliamenti del fabbricato all'esterno della
sagoma esistente (articolo 3, comma 1, lett. e.1), del d.P.R.
n. 380 del 2001).
Si tratta, conseguentemente, di opere per le quali era
richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’articolo
20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, come tali, soggette alla
disciplina sanzionatoria di cui al successivo articolo 31, e
non invece alle previsioni dell’articolo 37, che si
riferisce agli interventi realizzati in assenza di denuncia
(oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.2 Non merita accoglimento neppure la seconda censura
articolata nel secondo motivo, con la quale i ricorrenti
lamentano che il Comune non avrebbe potuto ordinare la
demolizione delle opere di divisione interne, in quanto
qualificabili come mero intervento di manutenzione
straordinaria e, come tali, ammesse dalla disciplina
urbanistica dettata dal PRG per gli edifici incompatibili
con la destinazione della zona “M”, quale è il fabbricato
residenziale sul quale le opere sono state eseguite.
12.2.1 Al riguardo, deve infatti osservarsi che –come
correttamente evidenziato dalla difesa comunale– è stata
presentata un’unica domanda di sanatoria per tutte le opere
eseguite senza titolo. E’ la stessa parte richiedente,
perciò, ad aver qualificato le opere come un unico
intervento edilizio abusivo.
L’istanza non avrebbe potuto, pertanto, essere valutata in
modo parcellizzato dall’Amministrazione, poiché non è
consentito al Comune prendere in considerazione singole
porzioni dell’unico progetto di sanatoria, al fine di
attribuire solo a una parte delle opere la qualificazione di
“manutenzione straordinaria”, estrapolandole dal complessivo
intervento di “ampliamento” denunciato dall’interessato. E,
d’altro canto, l’adozione di un’ordinanza di demolizione
riferita all’abuso nella sua interezza, per come dichiarato
dal privato, costituisce una mera conseguenza del diniego
dell’accertamento di conformità.
12.2.2 Tale esito, peraltro, non preclude la presentazione
di una nuova istanza, al fine di regolarizzare la sola parte
dell’intervento che si ritenga eventualmente conforme alla
disciplina urbanistica, eseguendo, per il resto, l’ordinanza
di demolizione.
12.3 Da ciò il rigetto di tutte le censure articolate con il
secondo motivo di impugnazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2018 n. 1298 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia, affinché un
manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una
propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le
esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia
sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che
sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto
con gli strumenti urbanistici vigenti.
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo
rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua
natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia
dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue
caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma.
----------------
4.4. Parimenti non può accogliersi il
quinto motivo d'impugnazione.
Come è stato già ricordato, infatti, in materia edilizia, affinché un
manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una
propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le
esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia
sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che
sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto
con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno
e altro, Rv. 253064).
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo
rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua
natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia
dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue
caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma (Sez. 3, n. 39067
del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903).
4.4.1. Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato che il
manufatto, per quanto abbondantemente rilevato, era in contrasto con lo
strumento urbanistico, tant'è che ne era stata ingiunta la trasformazione in
una mera vasca irrigua o antincendio, la cui differenza funzionale con una
piscina addetta ad un alloggio privato appare di oggettivo e non discutibile
rilievo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 02.05.2018 n. 18523). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce
di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e
quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la potenziale
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di
specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad
un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa
mobile da oltre un decennio è strettamente legato al
soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua
famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione
fotografica prodotta in giudizio.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati
a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati
a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante”.
---------------
In materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo
le opere che siano prive di autonoma destinazione e che
esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto
funzionale con l’edificio principale, così da non incidere
sul carico urbanistico.
---------------
Con ricorso notificato in data 18.09.2007 e depositato il 10
ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il
provvedimento del Comune di Santo Stefano Ticino di
ingiunzione alla demolizione di opere abusive datato
26.07.2007, prot. 5427.
Il ricorrente, proprietario di un terreno sito nel Comune di
Santo Stefano Ticino, in Via ... n. 61, identificato
catastalmente al mappale 59, del foglio n. 8, ha provveduto
a posizionarvi una struttura mobile e provvisoria di cui il
Comune ha ingiunto la rimozione con l’atto impugnato nel
presente giudizio.
Assumendo l’illegittimità del predetto atto, il ricorrente
ne ha chiesto l’annullamento, in quanto il manufatto
asseritamente abusivo sarebbe precario e provvisorio e
perciò inidoneo a mutare in modo permanente l’assetto
urbanistico.
...
1. Il ricorso non è fondato.
2. Con l’unica doglianza di ricorso si assume
l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto
conto che l’opera di cui si è ordinata la demolizione
sarebbe rimovibile, in quanto solo appoggiata al suolo, e
non avrebbe alcun sostanziale impatto sull’assetto
urbanistico.
2.1. La censura è infondata.
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di
considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi
necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la potenziale
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di
specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad
un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa
mobile da oltre un decennio è strettamente legato al
soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua
famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione
fotografica prodotta in giudizio (all. 4 e 5 del Comune).
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati
a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati
a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato,
VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291;
03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I,
28.06.2016, n. 655).
Nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto una semplice
pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una
superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un
minimo di 2,83 m a un massimo di 3,58 m: cfr. provvedimento
impugnato, all. 1 al ricorso), considerato che in materia
edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere
che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano
la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con
l’edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.01.2016, n.
19).
2.2. In conseguenza di quanto già evidenziato emerge anche
la violazione dell’assetto urbanistico della zona in cui è
stata posizionata la casa mobile, visto che la stessa era
(ed è) classificata come agricola, nonché risultava (e
risulta) gravata anche da un vincolo di rispetto stradale.
Pertanto non risulta violata soltanto la normativa edilizia,
ma risulta compromesso anche l’assetto urbanistico del
territorio.
2.3. Ciò determina il rigetto della predetta censura e
quindi dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2018 n. 354 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Regime edilizio per delle strutture metalliche destinate
all’esposizione e al deposito della merce in vendita (nella
fattispecie si trattava di scaffalature metalliche destinate
all’esposizione e al deposito della merce in vendita; di
altezze e dimensioni variabili, aperte su quattro lati, in
taluni casi sormontate da lastre in plexiglas a protezione
delle merci collocate nella parte superiore, fissate alla
pavimentazione esterna, per ragioni di sicurezza, mediante
tasselli).
Le strutture metalliche
destinate all’esposizione e al deposito della merce in
vendita all’interno di un’area adibita alla vendita
all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti per l’edilizia e al
ricevimento e allo stoccaggio delle merci sono nuove
costruzioni ai fini edilizi.
In realtà, la
giurisprudenza ritiene che la trasformazione debba essere
intesa in senso funzionale e non strutturale, ossia assume
rilievo decisivo non la natura del manufatto o i suoi
caratteri costruttivi, ma la tipologia di esigenze che tale
manufatto è destinato a soddisfare.
L’astratta rimovibilità delle opere infatti non impedisce di
considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi
necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze
stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare
lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della
struttura e l’assenza di opere murarie.
Le strutture metalliche sono strettamente collegate e
serventi rispetto all’attività imprenditoriale svolta della
ricorrente e non sono certamente destinate ad un utilizzo
temporaneo e contingente.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti
destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli
destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante”
.
---------------
In presenza di una pavimentazione debitamente autorizzata,
non è possibile ritenere che possa poi liberamente
procedersi alla realizzazione sulla stessa di ulteriori
manufatti, che magari creano anche nuova volumetria, senza
ottenere, volta per volta, il necessario e pertinente titolo
edilizio.
---------------
Quanto all’asserita natura pertinenziale dei manufatti, va
chiarito che in ambito urbanistico la nozione di pertinenza
è più limitata di quella afferente all’ambito civilistico;
un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da
considerarsi principale, solo quando la prima sia parte
integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose
separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e
della funzione dell’insieme.
Inoltre, come si può ricavare dalla descrizione delle opere
realizzate si tratta di interventi che da un punto di vista
dimensionale e costruttivo danno vita ad una nuova
edificazione, alterando in modo significativo l’assetto del
territorio, e quindi per essere realizzati richiedono il
rilascio di un permesso di costruire, indipendentemente
dalla loro proporzione rispetto all’opera che si può
considerare come principale.
Del resto, ‘la qualifica di pertinenza urbanistica è (…)
applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie
rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli
manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et
similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle
dimensioni e della funzione, si connotino per una propria
autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non
siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne
risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica’.
---------------
1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 20.07.2016 e
depositato il 27 luglio successivo, la società ricorrente ha
impugnato l’ordinanza del Responsabile del Settore
Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Caronno
Pertusella n. 86 del 16.06.2016, avente ad oggetto la
demolizione di manufatti e il rispristino dello stato dei
luoghi, unitamente alla comunicazione prot. n. 23899/2015
del 04.11.2015, recante avviso di avvio del procedimento di
emanazione dell’ordinanza.
La ricorrente è una società operante nel settore del
commercio ed è locataria di un complesso commerciale
denominato “Br.” in Caronno Pertusella, Viale ... n. 2095;
la struttura commerciale è composta da due edifici e da aree
pertinenziali destinate, oltre che a parcheggio, alla
vendita all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti per
l’edilizia (c.d. drive) e al ricevimento e allo stoccaggio
delle merci.
Con un permesso di costruire rilasciato il 17.06.2015 (n.
2015-PER/0006) si è provveduto a riqualificare l’area
convertendo all’uso commerciale anche uno dei due edifici in
precedenza destinato ad altra funzione e sono state altresì
riorganizzate le aree pertinenziali, ampliando l’area di
vendita (drive) e sistemandola in maniera più
razionale e sicura.
Sia nell’area drive che in quelle di stoccaggio sono
state installate delle scaffalature metalliche destinate
all’esposizione e al deposito della merce in vendita; tali
scaffalature sono delle strutture metalliche di altezze e
dimensioni variabili, aperte su quattro lati, in taluni casi
sormontate da lastre in plexiglas a protezione delle merci
collocate nella parte superiore, fissate alla pavimentazione
esterna, per ragioni di sicurezza, mediante semplici
tasselli, facilmente smontabili e agevolmente amovibili.
Il Comune di Caronno Pertusella, nell’ambito di un’attività
di controllo, ha accertato che l’installazione di strutture
metalliche adibite a deposito per l’immagazzinaggio delle
merci nelle aree pertinenziali del complesso commerciale non
era stata dichiarata in alcun tipo di pratica edilizia, né
risultava prevista in alcun modo dal piano attuativo, pur
trattandosi di manufatti idonei a produrre nuova superficie
coperta e incidenti anche sulla sicurezza antincendio, in
quanto collocati altresì in corrispondenza delle aree
previste per i parcheggi pertinenziali; quindi con nota n.
23889/2015 del 04.11.2015, la ricorrente è stata avvisata
dell’avvio del procedimento di emanazione di un’ordinanza di
demolizione.
In data 13.11.2015 la ricorrente ha controdedotto alla nota
comunale, sottolineando come le problematiche antincendio
fossero state risolte e che le scaffalature non fossero da
qualificare quali manufatti da assoggettare al rilascio di
un titolo edilizio. Il Comune non ha condiviso la
prospettazione della ricorrente e, sul presupposto di essere
al cospetto di interventi di nuova costruzione, ha ordinato
la demolizione delle scaffalature metalliche attraverso il
provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo.
...
3. Con la prima censura del ricorso si assume
l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, in quanto il
Responsabile Tecnico comunale avrebbe erroneamente
qualificato come “terreni” le aree in cui sono state
installate le scaffalature metalliche, mentre in realtà si
tratterebbe di aree dotate di pavimentazione e quindi già
perfettamente edificate.
3.1. La doglianza è infondata.
L’ordinanza impugnata evidenzia con chiarezza che l’abuso
edilizio oggetto di sanzione risulta essere l’insieme dei
“manufatti con struttura in tubolari di metallo di varie
altezze e dimensioni con copertura in lastre di plexiglass”,
ovvero le strutture metalliche installate nelle aree pertinenziali del complesso commerciale, in relazione alle
quali la pavimentazione, pur regolarmente assentita, non
assume alcun rilievo determinante da un punto di vista
edilizio.
Difatti, in presenza di una pavimentazione debitamente
autorizzata, non è possibile ritenere che possa poi
liberamente procedersi alla realizzazione sulla stessa di
ulteriori manufatti, che magari creano anche nuova
volumetria, senza ottenere, volta per volta, il necessario e
pertinente titolo edilizio.
3.2. Pertanto, la prima censura va respinta.
4. Con le tre successive doglianze, da scrutinare
congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume
che la posa delle strutture metalliche, peraltro facilmente
amovibili, sarebbe intrinsecamente collegata all’attività
commerciale svolta dalla ricorrente e debitamente
autorizzata, giacché si tratterebbe di attrezzature
strumentali necessarie e funzionali alle attività di vendita
(drive) e di stoccaggio delle merci, implicitamente
ricomprese nel progetto, approvato dal Comune, con cui sono
state realizzate le aree destinate alle predette attività.
In ogni caso, le scaffalature potrebbero al più essere
qualificate alla stregua di interventi sottoposti a s.c.i.a.
e giammai quali nuove costruzioni, con il pertinente regime
sanzionatorio; in via subordinata, si tratterebbe di
manufatti di natura pertinenziale che, non concorrendo alla
creazione di un volume superiore al 20% di quello degli
edifici cui accedono, sarebbero assoggettabili a s.c.i.a.,
con l’esclusiva applicabilità, in caso di violazioni, di una
sanzione di natura pecuniaria.
4.1. Le doglianze sono infondate.
In primo luogo, va evidenziato come la stessa parte
ricorrente ammetta che le strutture metalliche oggetto del
presente contenzioso non risultano rappresentate negli
elaborati di progetto presentati all’Amministrazione
comunale (ma solo nelle planimetrie inoltrate ai Vigili del
Fuoco). A ciò consegue che non può ritenersi che i predetti
manufatti siano stati assentiti per via implicita, tranne
che non si voglia qualificarli come interventi di edilizia
libera, ai sensi della normativa edilizia.
A tale proposito, la ricorrente ritiene che le scaffalature
metalliche non possano rientrare nel novero degli interventi
di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.7), del D.P.R. n. 380
del 2001, proprio perché non vi è trasformazione permanente
di suolo inedificato (rientrano negli “interventi di
nuova costruzione […] la realizzazione di depositi di merci
o di materiali, la realizzazione di impianti per attività
produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo
inedificato”).
In realtà, la giurisprudenza ritiene che
la trasformazione debba essere intesa in senso funzionale e
non strutturale, ossia assume rilievo decisivo non la natura
del manufatto o i suoi caratteri costruttivi, ma la
tipologia di esigenze che tale manufatto è destinato a
soddisfare.
L’astratta rimovibilità delle opere infatti non impedisce di
considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi
necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti funzionali a soddisfare esigenze
stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare
lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della
struttura e l’assenza di opere murarie.
Le strutture metalliche sono strettamente collegate e
serventi rispetto all’attività imprenditoriale svolta della
ricorrente e non sono certamente destinate ad un utilizzo
temporaneo e contingente.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati
a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati
a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato,
VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291;
03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I,
28.06.2016, n. 655).
4.2. Quanto all’asserita natura pertinenziale dei manufatti,
va chiarito che in ambito urbanistico la nozione di
pertinenza è più limitata di quella afferente all’ambito
civilistico; un’opera può definirsi accessoria rispetto a
un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima
sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi
le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione
dell’essenza e della funzione dell’insieme (Consiglio di
Stato, VI, 04.01.2016, n. 19; TAR Emilia-Romagna, Bologna,
I, 28.06.2016, n. 655).
Inoltre, come si può ricavare dalla descrizione delle opere
realizzate –percepibile agevolmente anche dalle numerose
fotografie prodotte in giudizio dalle parti– si tratta di
interventi che da un punto di vista dimensionale e
costruttivo danno vita ad una nuova edificazione, alterando
in modo significativo l’assetto del territorio, e quindi per
essere realizzati richiedono il rilascio di un permesso di
costruire, indipendentemente dalla loro proporzione rispetto
all’opera che si può considerare come principale (sulla
rilevanza dell’aspetto dimensionale, cfr. TAR Campania,
Napoli, VI, 21.06.2017, n. 3377); del resto, ‘la
qualifica di pertinenza urbanistica è (…) applicabile
soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad
un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti
per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma
non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e
della funzione, si connotino per una propria autonomia
rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano
coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti
possibile alcuna diversa utilizzazione economica’
(Consiglio di Stato, VI, 10.11.2017, n. 5180).
4.3. Quindi anche tali doglianze vanno respinte.
5. In conclusione, il ricorso introduttivo deve essere
dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse, mentre il ricorso per motivi aggiunti deve essere
respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2017 n. 2395 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici
ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici,
avendo rilievo determinante non tanto il legame materiale
tra pertinenza e immobile principale, quanto che la prima
non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato
e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto
funzionale con l'edificio principale, così da non incidere
sul carico urbanistico e che vengano in rilievo manufatti di
dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi,
ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
---------------
Infine e nel merito, non colgono nel segno le censure di
merito volte ad evidenziare la mancata considerazione della
vetustà delle opere in questione e la loro prevalente natura
pertinenziale.
Di contro s’osserva, da un lato, che è del tutto
irrilevante che alcuni manufatti siano già da tempo
esistenti, atteso che –ed al fuori da vicende condonistiche
legate all’epoca di realizzazione degli abusi- possono
essere oggetto di demolizioni anche quelle opere abusive che
comportino un aumento del volume dell'immobile preesistente;
dall’altro lato i manufatti realizzati non possono
essere considerate pertinenze, e quindi non soggette
all'ordinanza di demolizione, avendo la giurisprudenza
amministrativa chiarito che le opere, come nel caso di
specie, aventi carattere di stabilità ed aventi
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere
considerate una mera pertinenza, costituiscono un'opera
esterna per la cui costruzione occorre il permesso di
costruire, non potendo fruire di regimi semplificati
allorquando le loro dimensioni sono di entità tali da
arrecare una visibile alterazione all'edificio, come nel
caso che ci occupa.
Più in generale, deve ricordarsi come la nozione di
pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati
diversi da quelli civilistici, avendo rilievo determinante
non tanto il legame materiale tra pertinenza e immobile
principale, quanto che la prima non abbia autonoma
destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la
propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con
l'edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico e che vengano in rilievo manufatti di dimensioni
estremamente modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad
alterare in modo significativo l'assetto del territorio, con
la conseguenza che nel caso di specie, in ragione del dato
qualitativo-quantitativo, non potrà riconoscersi siffatto
carattere alle opere de quibus (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 21.06.2017 n. 3377 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia di copertura su un terrazzo di un
immobile - Necessità del preventivo rilascio del permesso di
costruire - Presupposti - Art. 44, c. 1, lett. b), d.P.R. n.
380/2001.
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R.
n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo
rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di
copertura che, non rientrando nella nozione
tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce
parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata
(Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro, Rv.
257290).
Tettoia di copertura di un terrazzo -
Pertinenza - Requisito della individualità fisica e
strutturale - Nozione tecnico-giuridica di pertinenza in
urbanistica.
La costruzione di una tettoia di copertura di un terrazzo di
un immobile non può infatti qualificarsi come pertinenza, in
quanto si tratta di un'opera priva del requisito della
individualità fisica e strutturale propria della pertinenza,
costituendo parte integrante dell'edificio sul quale viene
realizzata, rappresentandone un ampliamento. Essa pertanto,
in difetto del preventivo rilascio del permesso di
costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n.
380 del 2001 (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele).
Infatti, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non
rientra nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza, ma
costituisce piuttosto parte dell'edificio cui aderisce: ciò
in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha
caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal
codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di
una propria individualità, in rapporto funzionale con
l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio
appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n.
17083 del 07/04/2006, Miranda e altro).
Costituisce quindi nuova costruzione ai sensi del d.P.R. n.
380 del 2001 qualsiasi manufatto edilizio fuori terra o
interrato. Né può farsi ricorso alla nozione di ampliamento
dell'edificio preesistente, trattandosi di nuova
costruzione, sia pure accessoria a detto edificio (così,
complessivamente, Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino).
Natura precaria delle opere di chiusura
e di copertura di spazi e superfici - Esclusione di
concessione e/o autorizzazione - Criterio strutturale e non
funzionale - Facile rimovibilità dell'opera - Presupposti e
limiti - Art. 20 L.R. Sicilia n. 4/2003 - Giurisprudenza.
La natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di
spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge
Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o
autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale,
ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non
funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e
provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di
carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori
dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del
17/09/2014, Gulizzi; conf. Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010,
Pennisi; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda).
Ed in specie, proprio per le accertate dimensioni non
trascurabili del manufatto posto alla sommità dell'edificio,
la normativa regionale non deve ritenersi applicabile (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.06.2017 n. 30121 - tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica è meno ampia di quella
civilistica e non può consentire la costruzione di opere
consistente impatto edilizio, in quanto l'impatto
volumetrico incide in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio e, conseguentemente, si rende
necessario il rilascio di permesso di costruire.
La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole,
richiede che si tratti di opera collegata all'edificio
principale in un rapporto di stretta e necessaria
consequenzialità funzionale.
Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può essere
frutto sic et simpliciter della destinazione
“effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi
ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall'art.
817, comma 2, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente
emergere dalla struttura stessa dell'opera destinata a
servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere
oggettivo e non meramente soggettivo.
---------------
Nel caso di specie, il forno in muratura
è sovrastato da una tettoia in legno coperta da tegole
sorretta da colonne in ferro del tipo “innocenti” usate di
norma per la realizzazione dei ponteggi edili.
Si conferma quindi che la costruzione fatta oggetto della
ordinanza di demolizione è costituita da un forno, ad uso
verosimilmente non commerciale e quindi ad uso familiare,
aperto sui quattro lati, ne deriva che tale intervento
assume natura meramente pertinenziale e rispetto al quale
non è necessario il titolo abilitativo alla realizzazione.
D’altronde, quanto all’epoca di realizzazione, nella stessa
ordinanza impugnata si specifica che “tutta la struttura
appare di remota edificazione”.
---------------
Quanto alla seconda realizzazione edilizia contestata
per come abusiva, l’opera in questione altro non è
che un annesso agricolo di modeste dimensioni (ml 6.00 x
3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) in lamiera
grecata, imbullonato tramite piastre su una platea di
cemento armato di eguali dimensioni ed anch’esso “appare di
remota edificazione ed in uso come rimessa di attrezzi
agricoli”.
Anche in questa occasione, dunque non può che confermarsi la
costante interpretazione giurisprudenziale in virtù della
quale ha natura di pertinenza un deposito agricolo di
limitate dimensioni posto in termini accessori rispetto ad
un immobile principale, con conseguente insussistenza dei
presupposti per la demolizione non trattandosi di opera
soggetta al previo rilascio di titoli edilizi.
---------------
1. – Premettono i ricorrenti, che i Signori Pi.Gi. e
Sa.Gi. avevano proposto gravame avverso
l’ordinanza del Comune di Ariccia n. 35 dell’01.03.2007
con la quale era stata disposta la sospensione e la
demolizione delle opere realizzate in via ... n. 6
in Ariccia consistenti nei seguenti interventi edilizi: la
costruzione di un forno in muratura con tettoia in legno
aperta da tutti e quattro i lati e la realizzazione di una
rimessa per attrezzi agricoli.
Con il ricorso proposto gli
originari ricorrenti chiedevano l’annullamento
dell’ordinanza demolitoria di cui sopra, in quanto le opere
consistevano nella realizzazione di pertinenze e comunque la
loro esecuzione rimontava ad epoca remota.
2. - Successivamente alla proposizione del ricorso decedeva
il Signor Gi.Pi. ed in data 23.12.2014 si
costituivano gli odierni ricorrenti; pur tuttavia con decreto
decisorio n. 11505 del 2015 era disposta la perenzione del
ricorso. Proposta opposizione dagli odierni ricorrenti essa
veniva accolta con revoca del decreto di perenzione.
Il Comune di Ariccia non si è mai costituito nel presente
giudizio.
3. – I ricorrenti sostengono la illegittimità del
provvedimento impugnato in quanto sia il forno, aperto sui
lati e coperto da una tettoria sia la rimessa per attrezzi
agricoli costituiscono opere pertinenziali rispetto alle
quali non è necessario acquisire previamente il titolo
abilitativo a realizzarle.
Le censure dedotte dai ricorrenti sono fondate.
4. – Come è noto, la nozione di pertinenza urbanistica è
meno ampia di quella civilistica e non può consentire la
costruzione di opere consistente impatto edilizio, in quanto
l'impatto volumetrico incide in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio e, conseguentemente, si rende
necessario il rilascio di permesso di costruire. La nozione
di pertinenza urbanistica, in altre parole, richiede che si
tratti di opera collegata all'edificio principale in un
rapporto di stretta e necessaria consequenzialità
funzionale. Il rapporto di strumentalità, pertanto, non può
essere frutto sic et simpliciter della destinazione
“effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi
ha un diritto reale sulla medesima”, come previsto dall'art.
817, comma 2, c.c., bensì deve, altresì, ontologicamente
emergere dalla struttura stessa dell'opera destinata a
servizio di quella principale, sì da rivelare un carattere
oggettivo e non meramente soggettivo (cfr., tra le molte,
TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 24.09.2015
n. 900).
Fermo quanto sopra nel caso di specie dalla lettura
dell’ordinanza impugnata si evince che il forno in muratura
è sovrastato da una tettoia in legno coperta da tegole
sorretta da colonne in ferro del tipo “innocenti” usate di
norma per la realizzazione dei ponteggi edili.
Si conferma quindi che la costruzione fatta oggetto della
ordinanza di demolizione è costituita da un forno, ad uso
verosimilmente non commerciale e quindi ad uso familiare,
aperto sui quattro lati, ne deriva che tale intervento
assume natura meramente pertinenziale e rispetto al quale
non è necessario il titolo abilitativo alla realizzazione.
D’altronde, quanto all’epoca di realizzazione, nella stessa
ordinanza impugnata si specifica che “tutta la struttura
appare di remota edificazione”.
5. – Quanto alla seconda realizzazione edilizia contestata
per come abusiva, dalla lettura dell’ordinanza di
demolizione si evince che l’opera in questione altro non è
che un annesso agricolo di modeste dimensioni (ml 6.00 x
3.50 con altezza variabile da ml 3.00 a ml. 3.30) in lamiera
grecata, imbullonato tramite piastre su una platea di
cemento armato di eguali dimensioni ed anch’esso “appare di
remota edificazione ed in uso come rimessa di attrezzi
agricoli”.
Anche in questa occasione, dunque non può che confermarsi la
costante interpretazione giurisprudenziale in virtù della
quale ha natura di pertinenza un deposito agricolo di
limitate dimensioni posto in termini accessori rispetto ad
un immobile principale, con conseguente insussistenza dei
presupposti per la demolizione non trattandosi di opera
soggetta al previo rilascio di titoli edilizi (cfr., da
ultimo, TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, 15.03.2016
n. 91).
7. – In virtù delle suesposte osservazioni i motivi di
censura dedotti si presentano fondati ed il ricorso proposto
va accolto, con annullamento dell’atto gravato
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 17.02.2017 n. 2591 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia, la nozione di pertinenza va
definita sia in relazione alla necessità e all’oggettività
del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell’opera,
che non deve essere tale da alterare in modo significativo
l’assetto del territorio.
Con particolare riguardo alle tettoie o alle altre simili
strutture di riparo e protezione di spazi liberi, si è
difatti affermato che dette strutture possono ritenersi
liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici e quando, non presentino carattere di
autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite,
ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui
accedono.
Pertanto, si è riconosciuto che le tettoie aperte su tre
lati e addossate ad un edificio principale, se di dimensioni
e caratteristiche costruttive non particolarmente
impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui
accedono.
---------------
In argomento, cfr. anche la massima, tratta dalla sentenza
del TAR Campania–Napoli, che segue: “In materia edilizia,
la nozione di pertinenza va definita sia in relazione alla
necessità e all’oggettività del rapporto pertinenziale sia
alla consistenza dell’opera, che non deve essere tale da
alterare in modo significativo l’assetto del territorio. Con
particolare riguardo alle tettoie o alle altre simili
strutture di riparo e protezione di spazi liberi, si è
difatti affermato che dette strutture possono ritenersi
liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici e quando, non presentino carattere di
autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite,
ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui
accedono. Pertanto, si è riconosciuto che le tettoie aperte
su tre lati e addossate ad un edificio principale, se di
dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente
impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui
accedono” (TAR Napoli, (Campania), Sez. VIII,
07/02/2013, n. 789)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 13.01.2016 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica contiene elementi
differenti e propri rispetto alla nozione civilistica: il
manufatto pertinenziale deve essere preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, da ciò consegue che lo stesso non
ha valore di mercato autonomo, ed è dotato comunque di un
volume modesto rispetto all’edificio principale.
La
realizzazione di una tettoia di mq. 25 circa con copertura
in lamiera e struttura in paletti metallici in alluminio,
imbullonata alla recinzione dell’area privata, va
qualificata come intervento di nuova costruzione ex art. 3,
lett. e), del t.u. n. 380 del 2001, con il consequenziale
assoggettamento dell’intervento medesimo, di trasformazione
edilizia, al permesso di costruire.
---------------
Diversamente da quanto ritiene parte appellante, non viene
in rilievo una pertinenza, essendo stata realizzata un’opera
edilizia autonoma, opera che, comportando un mutamento
nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio,
necessitava del permesso di costruire.
In termini generali va rammentato che l’art. 817 cod. civ.
definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di un’altra cosa.
La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza
amministrativa è però meno ampia di quella civilistica.
La giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che
gli elementi che caratterizzano le pertinenze siano, da un
lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che
il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in
modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro,
l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e
la cosa principale, con la conseguente incapacità per le
medesime di essere utilizzate separatamente ed
autonomamente.
Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un'altra, da
considerarsi principale, solo quando la prima sia parte
integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose
separare senza che ne derivi l'alterazione dell'essenza e
della funzione dell'insieme.
Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto
oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice
utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la
disponibilità di entrambe:
- la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue
proprie, che la differenziano da quella civilistica dal
momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad
una oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato
comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico;
- ed ancora, i beni che nel diritto civile assumono
senz'altro natura pertinenziale non sono tali ai fini
dell'applicazione delle regole che governano l'attività
edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia
sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano
prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro
destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
---------------
Nella specie, si tratta di un manufatto, avente una
superficie non irrilevante, forse minore dei 25 mq., ma
comunque di certo non irrilevante, con copertura in lamiera
e struttura in paletti metallici, imbullonato alla
recinzione dell’area privata e dunque tutt’altro che
agevolmente rimovibile, destinato, sotto l’aspetto
funzionale, a soddisfare esigenze prolungate nel tempo e in
ogni caso tutt’altro che temporanee, con la conseguenza che,
per la realizzazione di opere come il manufatto medesimo,
occorre conseguire il permesso di costruire.
La natura strutturalmente, e funzionalmente, non precaria
della tettoia, o baracca, di cui si discute, risulta dunque
sussistere, al di là delle considerazioni difensive rivolte
–comprensibilmente, ma infondatamente- a minimizzare
l’entità dell’intervento realizzato.
Alla luce delle considerazioni su esposte è da ritenere che
le caratteristiche e la funzione della struttura, realizzata
con l’impiego di paletti metallici e avente, come detto, una
superficie non irrilevante, non consentano di qualificare
l’opera stessa come pertinenza.
---------------
1. Ma.Da. ha impugnato, davanti al TAR del Lazio, la
determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1858 del
21.11.2014 con la quale gli è stata ingiunta la demolizione
di un’opera edilizia abusiva consistente nella realizzazione
di una tettoia di mq. 25 circa con copertura in lamiera e
struttura in paletti metallici in alluminio, imbullonata
alla recinzione dell’area privata, in sostituzione di
precedente tettoia in ondulato metallico.
Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha
respinto il ricorso –con la condanna del ricorrente alle
spese a favore di Roma Capitale- con la motivazione che
segue: il ricorrente assume l’illegittimità del
provvedimento in ragione del carattere pertinenziale
dell’opera rispetto al bene principale cui accede…il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di costruire, come
nel caso di una tettoia in ferro delle dimensioni quali
quelle per cui è causa e ancorata con pali fissi di
metallo…per tali ragioni la realizzazione di una tettoia di
tal genere, comportando la trasformazione edilizia del
territorio ex art. 3 comma 1 lett. e) del D.P.R. n.
380/2001, si caratterizza, secondo la prevalente
giurisprudenza amministrativa, in termini di "nuova
costruzione", tale da necessitare del previo rilascio del
pertinente titolo abilitativo… (segue la citazione di
precedenti giurisprudenziali per i quali la realizzazione di
manufatti e di tettoie con struttura metallica e copertura
in lamiere zincate simili a quello per cui è causa
costituisce nuova costruzione per la quale occorre il
permesso di costruire).
2. Il Da. ha proposto appello contestando statuizioni e
argomentazioni della sentenza e deducendo, con un unico,
articolato motivo, violazione dell’art. 26 della legge n.
1034/1971 per insufficiente motivazione, in relazione al
fatto che il richiamo a precedenti giurisprudenziali non
risulta nella specie integrato dalle insopprimibili
specificità del caso concreto.
Il percorso motivazionale –si legge tra l’altro nell’atto
d’appello- risulta insufficiente a sorreggere la decisione
gravata, mentre il riferimento ai precedenti
giurisprudenziali è scarno e lacunoso non avendo, la
sentenza, motivato circa l’applicabilità, al caso in esame,
dei precedenti giurisprudenziali relativi alla necessità del
permesso di costruire per la realizzazione di tettoie.
L’opera realizzata, di dimensioni modestissime, in lamierato
ondulato, destinata al ricovero di piccoli oggetti, non
sarebbe né stabile né permanente e avrebbe carattere di
pertinenza dell’edificio principale.
Come tale, non sarebbe soggetta a permesso di costruire, con
conseguente illegittimità dell’ingiunzione di demolizione.
3. Resiste Roma Capitale.
4.L’appello è infondato e va respinto.
La sentenza breve di rigetto del Tar va confermata
essenzialmente perché risulta corretta –pur nella oggettiva
concisione della motivazione della pronuncia, coerente, del
resto, con la natura semplificata della decisione di primo
grado- la qualificazione data all’opera abusiva realizzata
come intervento di nuova costruzione ex art. 3, lett. e),
del t.u. n. 380 del 2001, con il consequenziale
assoggettamento dell’intervento medesimo, di trasformazione
edilizia, al permesso di costruire.
Diversamente da quanto ritiene parte appellante, non viene
in rilievo una pertinenza, essendo stata realizzata, in base
agli atti e ai documenti di causa, un’opera edilizia
autonoma, opera che, comportando un mutamento nell’assetto
dei luoghi e una trasformazione del territorio, necessitava
del permesso di costruire.
In termini generali va rammentato che l’art. 817 cod. civ.
definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di un’altra cosa.
La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza
amministrativa è però meno ampia di quella civilistica.
La giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che
gli elementi che caratterizzano le pertinenze siano, da un
lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che
il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in
modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro,
l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e
la cosa principale, con la conseguente incapacità per le
medesime di essere utilizzate separatamente ed
autonomamente.
Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un'altra, da
considerarsi principale, solo quando la prima sia parte
integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose
separare senza che ne derivi l'alterazione dell'essenza e
della funzione dell'insieme.
Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto
oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice
utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la
disponibilità di entrambe (conf., ex plurimis, Cons.
Stato, IV, n. 5509/2009 –e, ivi, numerosi riferimenti
giurisprudenziali ulteriori-, secondo cui la nozione di
pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica dal momento che il
manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva
esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito
al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo
valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d.
carico urbanistico; conf. inoltre Cons. Stato, sez. IV, n.
4636/2009: i beni che nel diritto civile assumono senz'altro
natura pertinenziale non sono tali ai fini dell'applicazione
delle regole che governano l'attività edilizia,
ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia
sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano
prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro
destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico urbanistico; v.
anche Cons. Stato, n. 2549/2011).
Nella specie, ad avviso di questo Consiglio, dalla
descrizione dell’opera contenuta nell’atto impugnato, dalla
fotografia in atti e in generale dalla documentazione
prodotta emerge che, sul piano strutturale, si tratta di un
manufatto, avente una superficie non irrilevante, forse
minore dei 25 mq. ai quali si fa riferimento nella determina
impugnata in primo grado, ma comunque di certo non
irrilevante, con copertura in lamiera e struttura in paletti
metallici, imbullonato alla recinzione dell’area privata e
dunque tutt’altro che agevolmente rimovibile, destinato,
sotto l’aspetto funzionale, a soddisfare esigenze prolungate
nel tempo e in ogni caso tutt’altro che temporanee, con la
conseguenza che, per la realizzazione di opere come il
manufatto medesimo, occorre conseguire il permesso di
costruire.
In modo condivisibile in sentenza è stata negata natura
pertinenziale al manufatto, considerandolo intervento che
implica una trasformazione urbanistico–edilizia del
territorio.
La natura strutturalmente, e funzionalmente, non precaria
della tettoia, o baracca, di cui si discute, risulta dunque
sussistere, al di là delle considerazioni difensive rivolte
–comprensibilmente, ma infondatamente- a minimizzare
l’entità dell’intervento realizzato.
Alla luce delle considerazioni su esposte è da ritenere che
le caratteristiche e la funzione della struttura, realizzata
con l’impiego di paletti metallici e avente, come detto, una
superficie non irrilevante, non consentano di qualificare
l’opera stessa come pertinenza.
Di qui il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza
impugnata
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.01.2015 n. 19 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: No
al barbecue fatto con la Scia.
Questa casa non è un ristorante. Stop al forno-barbecue del
confinante che è stato realizzato senza permesso di
costruire ma solo con la Scia in sanatoria: il vicino
ottiene l'annullamento del provvedimento autorizzatorio
mettendo fine ai fumi molesti che invadono casa sua, specie
nel weekend. E ciò perché in ambito urbanistico il concetto
di pertinenza del cespite risulta più restrittivo che in
campo civile e non si può invocare quando manca un rapporto
di stretta consequenzialità con l'immobile principale.
È quanto emerge dalla
sentenza 24.09.2015 n. 900, pubblicata dal TAR
Calabria-Reggio Calabria.
Oggetto e soggetto
Il manufatto «incriminato» è una grossa fornace con
struttura portante in mattoni e cemento, chiusa da due lati:
dal tetto spiovente in tegole, di ben venti metri quadrati,
spuntano due vistosi comignoli.
La segnalazione di inizio attività non basta perché,
diversamente che in ambito civile, in materia edilizia la
pertinenza non può avvenire ex articolo 817, secondo comma
c.c., per destinazione per destinazione del proprietario
dell'immobile o da chi un diritto reale sul bene: per
l'urbanistica conta l'oggetto e non il soggetto e dunque il
rapporto di pertinenzialità deve nascere dalla struttura
stessa dell'opera destinata a servizio di quella principale.
Quando i servizi dell'abitazione sono completi, allora, non
può ritenersi che il forno-barbecue sia necessario:
costituisce invece una costruzione autonoma che ha bisogno
della concessione.
Il Comune e i vicini pagano le spese di giudizio
(articolo ItaliaOggi del 14.10.2015).
---------------
MASSIMA
3) Parte ricorrente reputa che l’intervento in questione
costituisca attività di trasformazione urbanistica ed
edilizia, subordinata non ad una S.c.i.a. (in sanatoria),
quale quella presentata dai contro-interessati, bensì a
permesso di costruire.
I contro-interessati sostengono, invece, che si tratti di un
intervento pertinenziale ai sensi dell’art. 3, I comma,
lett. e. 6) del T.U.Ed. e, come tale, soggetto a S.c.i.a.
Il motivo è fondato.
Precedente, numerosa e consolidata giurisprudenza ha messo
in rilievo che la nozione di pertinenza
urbanistica è meno ampia di quella civilistica e non può
consentire la costruzione di opere consistenti, in quanto
l’impatto volumetrico incide in modo permanente e non
precario sull’assetto edilizio e, conseguentemente, si rende
necessario il rilascio di permesso di costruire
La nozione di pertinenza urbanistica, in altre parole,
richiede che si tratti di opera collegata all’edificio
principale in un rapporto di stretta e necessaria
consequenzialità funzionale
(ex multis, da ultimo, TAR Calabria, Catanzaro, Sez.
II, 07.05.2015, n. 789).
Il rapporto di strumentalità, pertanto, non
può essere frutto sic et simpliciter della
destinazione “effettuata dal proprietario della cosa
principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”,
come previsto dall’art. 817, II comma, c.c., bensì deve,
altresì, ontologicamente emergere dalla struttura stessa
dell’opera destinata a servizio di quella principale, sì da
rivelare un carattere oggettivo e non meramente soggettivo.
In un caso del tutto analogo a quello che qui ci occupa
(corpo separato adibito a forno con dimensioni raggiungenti
un’altezza di mt. 2,20 con copertura sporgente in mattoni),
è stata già negata la “individuabilità di un obiettivo
rapporto pertinenziale, connaturale alla struttura del
fabbricato principale … il quale appare invece come una
realizzazione autonoma ed a sé stante” (TAR Lazio, Roma,
Sezione II-ter, n. 7292/2002) in ragione della completezza
dei servizi situati nella costruzione principale, adibita ad
uso residenziale e della mancanza di ogni collegamento,
anche funzionale, con l’edificio abitativo.
In applicazione di tali principi, anche il Giudice penale ha
affermato che “non costituisce
pertinenza, ed abbisogna di concessione, un forno costruito
come corpo separato dal fabbricato, sul confine del fondo”
(Cass. pen., 09.02.1990, in Riv. pen., 1991, 201).
Ne consegue la necessità del rilascio del
permesso di costruire e la non realizzabilità
dell’intervento in questione tramite S.C.I.A.
L’art. 37, IV comma, T.U.Ed., pertanto, non
è applicabile al caso di specie
dal che deriva l’illegittimità della nota prot. n. 10977 del
23.08.2013 con cui il Comune resistente ha ritenuto di
definire positivamente il procedimento di sanatoria ivi
previsto.
...
5) Quanto alla
domanda di annullamento dell’autorizzazione in deroga ex
art. 60 del D.P.R. n. 753/1980 prot. n. 1736, rilasciata da
R.F.I. in data primo luglio 2013 si osserva quanto segue.
L’art. 60 del D.P.R. n. 753/1980 prevede che quando la
sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la
natura dei terreni e le particolari circostanze lo
consentano, possono essere autorizzate riduzioni alle
distanze prescritte dagli articoli dal 49 al 56.
L'art. 49 prevede il divieto lungo i tracciati delle linee
ferroviarie di costruire, ricostruire o ampliare edifici o
manufatti di qualsiasi specie ad una distanza minore di
trenta metri dal limite della zona di occupazione della più
vicina rotaia.
In base all’art. 64, II comma, c.p.a., il manufatto adibito
a forno deve ritenersi posizionato a 5 metri dalla prima
rotaia della linea ferroviaria. Tale circostanza, a
prescindere dalle varie planimetrie di parte allegate, è
affermata dal ricorrente e non è stata contestata, neanche
genericamente, dalle parti costituite.
Per quanto riguarda R.F.I., non costituita, non v’è dubbio
che comunque la distanza sia inferiore a metri 30.
Parte ricorrente, in considerazione delle dimensioni e della
particolare vicinanza del manufatto alla linea ferroviaria,
contesta nel merito (e, dunque inammissibilmente) la scelta
effettuata dall’Autorità ferroviaria, denunciando la
pericolosità per la sicurezza pubblica dell’opera assentita
in deroga, ed eccepisce il difetto di istruttoria e di
motivazione.
La censura relativa al difetto di motivazione è meritevole
di accoglimento.
Deve rilevarsi che la normativa di settore,
definendo soltanto le eventuali ragioni di sicurezza
ferroviaria, conservazione delle ferrovie, natura dei
terreni e altro, poste a base dell'autorizzazione alla
deroga alle distanze e non anche i presupposti, le
condizioni o i parametri per esprimere un eventuale diniego,
attribuisce all’Amministrazione una ferroviaria un’ampia
discrezionalità.
E’ evidente, inoltre, come il Legislatore
abbia configurato la deroga alle distanze come ipotesi del
tutto eccezionale: come chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, “il disposto dell' art. 60, D.P.R.
11.07.1980, n. 753 va interpretato nel senso che, in
mancanza delle cause ostative ivi previste (sicurezza
pubblica, conservazione delle ferrovie, natura dei terreni e
particolari circostanze locali), l'amministrazione sia non
già obbligata a rilasciare l'autorizzazione in deroga, bensì
semplicemente facultata a valutare discrezionalmente
l'opportunità di rilasciare o meno l'autorizzazione stessa;
nel senso, cioè, che la mancanza di dette cause costituisca
un presupposto necessario ma non sufficiente per il rilascio
dell'autorizzazione”
(in tal senso, da ultimo, TAR Piemonte, Sez. II, 23.01.2015,
n. 151).
Dall’ampiezza della discrezionalità e dalla
eccezionalità della deroga non può che derivare in capo
all’Amministrazione un onere motivazionale rafforzato.
La motivazione dell’autorizzazione in deroga prot. n. 1736
del primo luglio reca i seguenti passaggi:
a) (all’ottava riga) “Visto il parere sulla sicurezza
pubblica e sull’esercizio ferroviario del 19.06.2013”;
b) (alla decima riga) “Vista l’avvenuta eliminazione
della canaletta di raccolta acque piovane e la definitiva
chiusura del cancello con blocchi di cemento per comunicato
dalla Ditta richiedente in data 24.05.2013”;
c) (all’undicesima riga) “considerato che viene garantita
la sicurezza pubblica e dell’esercizio delle ferrovie,
nonché delle opere, della sede e degli impianti ferroviari”;
d) (alla dodicesima riga) “considerato che la zona dove
ricade l’opera da mantenere, allo stato attuale, non è
interessata da potenziamenti o ampliamenti, né da varianti
alla linea F.S.:
e) (alla tredicesima riga) “considerato che il patrimonio è
garantito per il rispetto delle norme vigenti”.
Appare evidente che, in disparte il non chiaro contenuto
motivazionale del solo indicato parere del 19.06.2013,
l’autorizzazione è stata rilasciata senza
dare conto della comparazione tra l’interesse del
richiedente al mantenimento del manufatto e l’interesse
pubblico alla sicurezza dell’esercizio delle ferrovie,
comparazione da effettuare alla luce della caratteristiche
dimensionali (per
stessa ammissione dei contro interessati, il manufatto ha
una dimensione di 17,66 mq ed è alto almeno tre metri,
sempre in considerazione della mancata contestazione di
quanto affermato dal ricorrente) e
funzionali dell’opera abusiva, adibita a forno e barbecue,
nonché della ravvicinata distanza alla linea ferroviaria. |
EDILIZIA PRIVATA:
L’attività edilizia deve essere compatibile con
le destinazioni impresse sull’area dagli strumenti
urbanistici.
L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone,
inoltre, che: «Costituiscono interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a
permesso di costruire: a) gli interventi di nuova
costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici,
ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso».
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di
affermare, per definire l’ambito applicativo della norma
riportata, che:
i) «manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti,
ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato
nel tempo in quanto stagionale»;
ii) «non vi è dubbio sulla assenza della natura
pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un
nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a
quella già occupata dal precedente edificio essendo
ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o
un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico',
confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali
da non alterare in modo significativo l'assetto del
territorio o incidere sul carico urbanistico,
caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere
peraltro dimostrata dall'interessato».
5.2.– Con il secondo e terzo motivo si deduce, in primo
luogo, l’erroneità della sentenza per avere il Tribunale
affermato che le opere contestate avrebbero determinato il
cambio di destinazione dell’area da agricola ad industriale.
La circostanza che il sig. Ca. sia socio e presidente di una
attività di autotrasporto e che impieghi l’area in questione
anche per parcheggiare sulla stessa gli automezzi di sua
proprietà non potrebbe essere sufficiente a dimostrare il
contestato mutamento di destinazione. Le opere, indicate
nell’ordinanza di demolizione, si aggiunge, sarebbero tutte
compatibili con l’attività agricola.
In secondo luogo, si assume come gli interventi edilizi
singolarmente considerati avrebbero valenza precaria e in
quanto tali per la loro esecuzione non sarebbe necessario il
previo rilascio del permesso di costruire.
Infine, si deduce come, anche in relazione al motivo accolto
dal primo giudice relativo alla recinzione, il Tribunale non
avrebbe dovuto affermare che la recinzione non è conforme
alla autorizzazione edilizia n. 11 del 1985 ma si sarebbe
dovuto limitare, in conformità alla domanda, a rilevare
come, in presenza di tale tipologia di interventi soggetti a
denuncia di inizio attività, non si può adottare un ordine
di demolizione.
I motivi non sono fondati.
L’attività edilizia deve essere compatibile con le
destinazioni impresse sull’area dagli strumenti urbanistici.
L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone,
inoltre, che: «Costituiscono interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a
permesso di costruire: a) gli interventi di nuova
costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici,
ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso».
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di
affermare, per definire l’ambito applicativo della norma
riportata, che:
i) «manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti,
ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato
nel tempo in quanto stagionale» (Cons. Stato, sez. IV,
03.06.2014, n. 2842);
ii) «non vi è dubbio sulla assenza della natura
pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un
nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a
quella già occupata dal precedente edificio essendo
ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o
un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico',
confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali
da non alterare in modo significativo l'assetto del
territorio o incidere sul carico urbanistico,
caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere
peraltro dimostrata dall'interessato» (Cons. Stato, sez.
VI, 29.01.2015, n. 406).
Nella fattispecie in esame il terreno su cui sono state
realizzati gli interventi ha natura agricola.
La valutazione contestuale della natura dell’attività svolta
dal sig. Ca., dell’impiego di parte dell’area per il
parcheggio degli automezzi, della natura di altre opere
(descritte nei successivi punti) inducono a ritenere, avuto
riguardo alle fotografie prodotte in giudizio, che di fatto
si sia realizzato il cambio di destinazione ritenuto
abusivo. La circostanza che alcune delle opere realizzate
sarebbero compatibili con la natura agricola dell’area non è
comunque in grado di inficiare la legittimità della
valutazione complessiva opera dall’autorità comunale.
Quanto esposto sarebbe già di per sé a ritenere abusivi gli
interventi compiuti.
A ciò si aggiunga come, anche a volere considerare tali
interventi singolarmente, gli stessi sono comunque illeciti
perché non sorretti dal necessario titolo abilitativo.
In particolare, le opere contestate sono le seguenti:
ampliamento del fabbricato condonato esistente modificato
mediante realizzazione di una veranda chiusa con vetri,
utilizzata quale ufficio; prefabbricato in pannelli di
alluminio coibentati dotato di porta e finestra in alluminio
e vetro ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato su
traversine in cemento; buca in calcestruzzo per la
riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di
circa 1,5 metri; servizio igienico prefabbricato ancorato al
suolo; sei strutture tipo box, in lamiera e legno,
appoggiati su una platea in calcestruzzo; tre porticati
adiacenti alle baracche, appoggiati o ancorati a platea in
calcestruzzo; tre container in lamiera, usati come deposito
e appoggiati anch’essi ad una platea in calcestruzzo;
serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su
un basamento in cemento; pavimentazione in ghiaia rullata e
cemento di vasta parte del compendio.
E’ sufficiente la descrizione delle opere per comprendere
come si tratti di interventi che, contrariamente a quanto
sostenuto dall’appellante, non possono definirsi né precari
né pertinenziali, con conseguente necessità del permesso di
costruire per la loro realizzazione.
Per quanto attiene, infine, alla censura relativa alla
recinzione, è sufficiente rilevare come l’affermazione,
contenuta nella sentenza impugnata, circa la non conformità
di tale recinzione all’autorizzazione edilizia abbia
costituito una mera argomentazione motivazionale. Non
sussiste, pertanto, interesse alla sua contestazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.09.2015 n. 4124 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia edilizia è qualificabile pertinenza qualsiasi
manufatto strumentale rispetto ad uno principale e di
dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo; più in
particolare la pertinenza è configurabile quando vi è un
oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria
e principale, cioè un nesso che non consenta altro che la
destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole,
oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto
rispetto alla cosa cui esso inerisce.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può
essere considerato pertinenza quando non solo è preordinato
ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito
di un autonomo valore di mercato e non comporta un c.d.
carico urbanistico.
8. Infondata è la censura, articolata nella prima parte del
primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce il
difetto di presupposti e il connesso di difetto di
motivazione e di istruttoria, per essere la gravata
ordinanza di demolizione riferita ad un manufatto di
carattere pertinenziale, non qualificabile pertanto quale
nuova costruzione e non sanzionabile ai sensi dell’invocato
disposto dell’art. 31 D.P.R. 380/2001.
Va infatti rammentato che secondo la costante giurisprudenza
“In materia edilizia è qualificabile pertinenza qualsiasi
manufatto strumentale rispetto ad uno principale e di
dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo; più in
particolare la pertinenza è configurabile quando vi è un
oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria
e principale, cioè un nesso che non consenta altro che la
destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole,
oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto
rispetto alla cosa cui esso inerisce; inoltre, a differenza
della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai
fini edilizi il manufatto può essere considerato pertinenza
quando non solo è preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di
mercato e non comporta un c.d. carico urbanistico” (da
ultimo Consiglio di Stato sez. VI, 05/01/2015, n. 13).
Da ciò la non configurabilità del carattere pertinenziale
del manufatto di cui è causa, non avendo parte ricorrente
allegato i relativi presupposti, neppure indicando la
destinazione del medesimo e le ragioni del suo asservimento
al manufatto principale, sulla cui esistenza e consistenza
del pari nulla ha allegato e provato.
Inoltre dal combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lettera
e.6), del D.P.R. n. 380/2001, che configura espressamente
come interventi di nuova costruzione anche gli “interventi pertinenziali … che comportino la realizzazione di un volume
superiore al 20% del volume dell'edificio principale”, con i
successivi articoli 10, comma 1, lettera a), che subordina
al rilascio del permesso di costruire gli interventi di
nuova costruzione, e 31, comma 2, che prevede la sanzione
della demolizione per gli interventi edilizi di nuova
costruzione eseguiti in assenza del prescritto permesso di
costruire, risulta che l’Amministrazione ha correttamente
ordinato la demolizione delle opere abusive di cui trattasi,
consistenti nella realizzazione di un manufatto fuori terra,
perché la parte ricorrente non ha adeguatamente provato che
il nuovo volume realizzato è inferiore al 20% del volume
dell’edificio principale, la cui consistenza, come detto,
non è stata neppure allegata.
Da ciò la piena applicabilità della sanzione demolitoria ex
art. 31 D.P.R. 380/2001, dovendosi qualificare quale nuova
costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e)1, D.P.R.
380/2001 “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o
interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti
all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli
interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera
e.6”), secondo cui sono interventi di nuova costruzione “gli
interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al
pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino
come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume
dell'edificio principale”.
Ciò in quanto, giova ripeterlo, parte ricorrente non ha in
primo luogo provato trattarsi di manufatto di carattere
pertinenziale -non avendo neppure indicato quale sarebbe il
manufatto principale– ed in secondo luogo in quanto non ha
provato che si tratti di pertinenza avente una consistenza
volumetrica inferiore al 20% del manufatto principale,
essendo comunque le pertinenze di maggiore consistenza
asservite al regime delle nuove costruzioni
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 23.06.2015 n. 3321 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Realizzazione
tettoia di copertura.
Integra il reato previsto dall'art. 44,
lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza
il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una
tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione
tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce
parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata.
Ciò in quanto, in urbanistica, il concetto di pertinenza ha
caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal
codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di
una propria individualità, in rapporto funzionale con
l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio stesso
appartiene senza autonomia alla sua struttura.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, la Corte di merito
-pronunciandosi sulla medesima doglianza qui riproposta- ha
evidenziato con argomento adeguato e privo di censure
logiche che la tettoia realizzata non poteva affatto esser
qualificata quale mera pertinenza edilizia; ciò alla luce
delle rilevanti dimensioni (circa 200 mq.) e del carattere
del manufatto stesso, che «costituisce, all'evidenza, una
forma di ampliamento del fabbricato cui inerisce» (il
ristorante).
In sintesi, non un "servizio", ma una "integrazione"
della costruzione principale, parte di esso quale elemento
che attiene all'essenza dell'immobile.
In tal modo, dunque, la sentenza ha fatto buon governo del
principio, più volte affermato in sede di legittimità,
secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44, lett.
b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il
preventivo rilascio del permesso di costruire, di una
tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione
tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce
parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata
(Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2014, Salanitro, Rv. 257290;
Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3,
n. 40843 dell'11/10/2005, Daniele, Rv. 232363); ciò in
quanto, in urbanistica, il concetto di pertinenza ha
caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal
codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di
una propria individualità, in rapporto funzionale con
l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio stesso
appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n.
17083 del 07/04/2006, Miranda, Rv. 234193).
Il motivo, pertanto, non può essere accolto
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.05.2015 n. 20544 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari,
ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con
sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando
la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità
della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare
esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere
permanente e non stagionale dell’attività svolta.
---------------
Nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza
in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato
ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e
modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di
costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti
dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis,
indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei
riguardi di essa.
2. - I primi due motivi di ricorso, che possono essere
trattati congiuntamente, in quanto tra loro complementari,
si incentrano sull’inesistenza di un’opera edilizia, la cui
realizzazione avrebbe richiesto un titolo abilitativo,
allegandosi che peraltro, ai sensi dell’art. 3, lett. e), n.
6, della l.r. n. 1 del 2004, le opere pertinenziali
richiedono il permesso di costruire ove comportanti una
nuova volumetria urbanistica od una superficie utile
coperta, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove
manca qualsivoglia copertura, tale non potendosi ritenere il
telo di copertura.
I motivi non appaiono meritevoli di positiva valutazione, e
devono pertanto essere disattesi.
A prescindere dall’esatta collocazione temporale del
manufatto, e dunque anche ad ammettere che risalga al 2000,
od anche, per ipotesi estrema, al 1985, sul piano obiettivo
si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso
di costruire avendo una dimensione di ml. 7,25x3,80, con
altezza variabile da ml. 2,25 a ml. 2,80, e posto sul
confine di proprietà, a distanza non regolamentare dalla
viabilità pubblica (circa quattro metri), destinato a posto
auto coperto.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non
precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti,
vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi,
con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla
rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo
uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per
soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal
carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta
(in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438;
Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
In tale prospettiva, anche sul piano normativo l’art. 3,
lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004 qualifica come
“interventi di nuova costruzione” le opere pertinenziali
agli edifici che comportino nuova volumetria urbanistica o
superficie utile coperta; l’art. 21 del regolamento
regionale 03.11.2008, n. 9 specifica che necessitano di
permesso di costruire le opere pertinenziali, quali pergole
e gazebo che abbiano una superficie utile coperta non
superiore a mq. 20,00 e di altezza non superiore a ml. 2,40,
desumendosi dunque in materia edilizia un’accezione diversa
da quella civilistica di pertinenza.
In particolare,
nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza
in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato
ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e
modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di
costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti
dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis,
indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei
riguardi di essa (Cons. Stato, Sez. V, 28.04.2014, n. 2196)
(TAR Umbria,
sentenza 16.02.2015 n. 81 - link a www.giustizia-amminitrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto alle pertinenze, la nozione generale è
contenuta nell’art. 817 del Codice civile (che le definisce
come “cose destinate, in modo durevole, a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ma si tratta di nozione che
presenta peculiarità in materia urbanistico-edilizia, con
riferimento ad opere preordinate funzionalmente ad una
oggettiva (e non già soggettiva) esigenza dell’edificio
principale, prive di possibile diversa utilizzazione
autonoma e, pertanto, non incidenti sul carico urbanistico e
senza proprio valore di mercato, come nel caso di
un’autorimessa asservita all’abitazione (non certo anche in
caso di ampliamento –o sopraelevazione– dell’abitazione
stessa.
Quanto alle pertinenze, la nozione generale è contenuta
nell’art. 817 del Codice civile (che le definisce come “cose
destinate, in modo durevole, a servizio o ad ornamento di
un’altra cosa”), ma si tratta di nozione che presenta
peculiarità in materia urbanistico-edilizia, con riferimento
ad opere preordinate funzionalmente ad una oggettiva (e non
già soggettiva) esigenza dell’edificio principale, prive di
possibile diversa utilizzazione autonoma e, pertanto, non
incidenti sul carico urbanistico e senza proprio valore di
mercato, come nel caso di un’autorimessa asservita
all’abitazione (non certo anche in caso di ampliamento –o
sopraelevazione– dell’abitazione stessa: cfr. anche, per il
principio, Cons. Stato, II, 12.05.1999, n. 729/99;
26.04.2002, n. 2560/2001; IV, 08.11.2011, n. 5905; V,
24.07.2014, n. 3952; IV, 26.08.2014, n. 4290).
Le opere nella fattispecie contestate –descritte nei termini
in precedenza riportati, con ulteriore, chiara
documentazione fotografica versata in atti– non appaiono
riconducibili alle richiamate nozioni di “volume tecnico”,
o di “pertinenza”.
Appaiono significative in tal senso le seguenti
caratteristiche oggettive, non smentite (e, almeno in parte,
difficilmente confutabili) dalla parte appellante: la già
effettuata suddivisione del manufatto in più ambienti (uno
dei quali preordinato ad una tipica funzione abitativa, come
quella riconducibile ai servizi igienici), la presenza di
regolare porta di accesso e finestratura, nonché l’altezza
(pari al colmo a m. 2.70), sicuramente idonea ad assicurare
l’abitabilità di una parte almeno della superficie
complessiva, come di consueto avviene per le mansarde,
sottostanti ad un tetto spiovente (con conseguente
irrilevanza dell’altezza media, attestata dal tecnico di
parte); esclude la natura di sottotetto termico, inoltre,
l’assenza di precise indicazioni circa esigenze, o specifici
impianti tecnologici, tali da giustificare un’altezza
massima ed una consistenza volumetrica che –per dato di
comune esperienza, ai sensi dell’art. 115 Cod. proc. civ.–
appaiono sproporzionate in rapporto a mere esigenze di
protezione dell’edificio sottostante dal caldo, dal freddo e
dall’umidità.
Non appare priva di rilevanza, peraltro, la segnalata
presenza di incannucciata in legno, atta ad occultare o
rendere meno evidenti i lavori in corso
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.01.2015 n. 175 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La caratteristica delle pertinenze è quella
dell’esistenza di un rapporto di oggettiva strumentalità
necessaria con la cosa principale. In altre parole la
pertinenza non può avere una sua destinazione autonoma e
diversa dal servizio della cosa principale.
Tale carattere deve essere oggettivamente apprezzabile, cioè
la pertinenza oggettivamente considerata non deve essere
suscettibile di apprezzabili (cioè normalmente esercitabili)
utilizzi autonomi.
Di conseguenza non deve avere un proprio valore di mercato.
Infine la stessa non deve essere esprimibile in termini di
cubatura o di volume.
---------------
I manufatti realizzati sono costituiti da pollai, magazzini
e ricovero autovetture, manufatti che sono privi di una
oggettiva strumentalità necessaria, potendo gli stessi
essere autonomamente apprezzabili ed utilizzabili
indipendentemente dalla destinazione servente a quella
del’immobile principale.
Così i pollai possono essere autonomamente utilizzati anche
se non in relazione con una abitazione e altrettanto vale
per i magazzini e a maggior ragione per il ricovero
autovettura il quale ben può avere una autonoma
utilizzabilità a prescindere con il collegamento ad un altro
immobile.
Con il quarto motivo si sostiene la natura pertinenziale dei
manufatti in questione.
Il motivo è infondato.
La caratteristica delle pertinenze è quella dell’esistenza
di un rapporto di oggettiva strumentalità necessaria con la
cosa principale. In altre parole la pertinenza non può avere
una sua destinazione autonoma e diversa dal servizio della
cosa principale. Tale carattere deve essere oggettivamente
apprezzabile, cioè la pertinenza oggettivamente considerata
non deve essere suscettibile di apprezzabili (cioè
normalmente esercitabili) utilizzi autonomi. Di conseguenza
non deve avere un proprio valore di mercato. Infine la
stessa non deve essere esprimibile in termini di cubatura o
di volume.
Orbene dall’esame del provvedimento impugnato si evince come
i manufatti in questione siano costituiti da pollai,
magazzini e ricovero autovetture.
Si tratta tutti di manufatti che sono privi di una oggettiva
strumentalità necessaria, potendo gli stessi essere
autonomamente apprezzabili ed utilizzabili indipendentemente
dalla destinazione servente a quella del’immobile
principale. Così i pollai possono essere autonomamente
utilizzati anche se non in relazione con una abitazione e
altrettanto vale per i magazzini e a maggior ragione per il
ricovero autovettura il quale ben può avere una autonoma
utilizzabilità a prescindere con il collegamento ad un altro
immobile
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 30.12.2014 n. 1975 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza civilistico e quello
urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli
interventi che, pur essendo accessori a quello principale,
incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio
preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico
devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire.
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate
in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano
eseguite in totale difformità dalla concessione e, se
costituenti pertinenze, non sono suscettibili di
autorizzazione in luogo della concessione".
--------------
Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere
precario, che è condizione per l'accertamento della non
necessarietà del rilascio della relativa concessione
edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e
l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata;
pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali
a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea,
destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo,
entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di
carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il
permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va
valutata con riferimento non alle modalità costruttive,
bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza
che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio
non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di
opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari.
A parte il rilievo che i
ricorrenti nemmeno indicano rispetto a quale manufatto le
opere sarebbero pertinenziali vale quanto da tempo affermato
dalla giurisprudenza secondo cui “il concetto di pertinenza
civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere
distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a
quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto
edilizio preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire” (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 07.04.2011,
n. 2159).
Senza considerare che le opere edilizie abusive
“realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si
considerano eseguite in totale difformità dalla concessione
e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di
autorizzazione in luogo della concessione” (Tar Campania,
questa sesta sezione, n. 5835 del 18.12.2013 e n. 2245
del 30.04.2013, nel cui seno è richiamata Cass. Penale,
sezione terza, pronuncia n. 2733 del 31.01.1994).
Quest’ultimo ragionamento può essere ripercorso
relativamente ai realizzati sbancamenti e ampliamenti
edilizi descritti nell’ordinanza di demolizione.
Quanto alla asserita precarietà (per i materiali utilizzati)
delle opere descritte sub i), p) q) ed s) del ricorso
(sostituzione della copertura di un terrazzo in lamiera
completa di controsoffittatura in legno; manufatto di 19,5
mq.; baracca di 75 mq., tettoia di 36 mq in legno) la
giurisprudenza ha evidenziato che "Al fine di verificare se
una determinata opera ha carattere precario, che è
condizione per l'accertamento della non necessarietà del
rilascio della relativa concessione edilizia, occorre
verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale
al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le
opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo
il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza
l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e,
in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va
valutata con riferimento non alle modalità costruttive,
bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza
che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio
non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di
opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari" (Consiglio di Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4850).
Nella fattispecie, non vi è alcun indice (né viene dedotto –
la precarietà è meramente affermata) della sussistenza dei
requisiti sopra richiamati per considerare le opere precarie
e non soggette a permesso di costruire.
Relativamente al mutamento di destinazione d’uso sub h) si
rileva che la contestazione riguarda la realizzazione delle
relative opere e non il mutamento in sé (che nella
prospettazione di parte ricorrente non avrebbe determinato
aumento del carico urbanistico) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 12.11.2014 n. 5804 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Requisito
della contiguità.
Domanda
Nel campo delle pertinenze, il requisito oggettivo della
contiguità come va individuato?
Risposta
La Corte di cassazione, con la sentenza del 10.06.2011,
numero 12855, ha affermato che, ai fini della sussistenza
del vincolo pertinenziale tra bene principale e ben
accessorio, è necessaria la presenza del requisito
soggettivo dell'appartenenza di entrambi al medesimo
soggetto nonché del requisito oggettivo della contiguità,
anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è
necessario che il bene accessorio arrechi un'utilità al bene
principale e non al proprietario di esso.
Inoltre, sempre
per la Corte di cassazione (sentenza del 13.11.2009,
numero 24104), affinché il vincolo pertinenziale tra due
beni autonomi e distinti, siano essi beni mobili o immobili,
possa costituirsi ed il relativo regime, che postula
l'esclusività della funzione accessoria, possa funzionare, è
necessario che il proprietario della cosa principale abbia
la piena disponibilità, anche della cosa accessoria e che la
destinazione pertinenziale, specie quando essa derivi da un
atto non negoziale, sia attuale ed effettiva e non meramente
potenziale, dovendo risultare da un comportamento
oggettivamente valutabile.
Pertanto, per i Supremi giudici, non ricorre un vincolo
pertinenziale, ma semmai un rapporto di comproprietà o di
servitù, nell'ipotesi di un immobile contemporaneamente
adibito a servizio di diversi altri immobili appartenenti a
proprietari diversi, né tale vincolo sussiste quando il
collegamento funzionale sia previsto solo in prospettiva
futura, come in un progetto finalizzato all'edificazione con
riguardo a immobili poi venuti ad esistenza in capo a
diversi proprietari.
Inoltre il comproprietario della cosa accessoria, anche se
titolare esclusivo di quella principale, non può costituire
il vincolo pertinenziale senza l'assenso degli altri
contitolari. E ciò al fine precipuo di evitare la creazione
di un limite in pregiudizio di tutti i comproprietari
(articolo ItaliaOggi Sette del
27.10.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per la realizzazione di una tettoia aperta su tre
lati non è, in linea di principio, richiesto il permesso di
costruire, essendo sufficiente la presentazione di una
denunzia di inizio attività (ora segnalazione certificata di
inizio attività a seguito della novella introdotta con
l’art. 49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78,
convertito dalla L. 30.07.2010, n. 122).
Quindi le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un
edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche
costruttive non particolarmente impattanti –come quella in
esame- costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono.
Tali opere possono ritenersi liberamente edificabili qualora
la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano
evidente la loro natura pertinenziale per una riconoscibile
ed evidente finalità di arredo, riparo o protezione, anche
da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza,
possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione
della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella
parte dello stesso cui accedono.
---------------
Per le stesse ragioni, si è ritenuto che una simile
struttura rientri tra gli interventi minori per i quali
l’art. 167, quarto comma, del D.Lgs. 42/2004 ammette la
valutazione della compatibilità paesaggistica postuma, in
quanto essi non determinano creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
Secondo consolidata giurisprudenza dalla quale il Collegio
non ha ragione di discostarsi, per la realizzazione di una
tettoia aperta su tre lati non è, in linea di principio,
richiesto il permesso di costruire, essendo sufficiente la
presentazione di una denunzia di inizio attività (ora
segnalazione certificata di inizio attività a seguito della
novella introdotta con l’art. 49, comma 4-bis, del D.L.
31.05.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.07.2010, n. 122).
Quindi le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un
edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche
costruttive non particolarmente impattanti –come quella in
esame- costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono
(TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 20.03.2012 n. 1371; TAR
Umbria, 29.01.2014 n. 82; TAR Lazio, Latina, 03.03.2010 n.
205; TAR Puglia, Bari, 08.10.2009 n. 2375).
Tali opere possono ritenersi liberamente edificabili qualora
la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano
evidente la loro natura pertinenziale per una riconoscibile
ed evidente finalità di arredo, riparo o protezione, anche
da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza,
possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione
della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella
parte dello stesso cui accedono (TAR Campania, Napoli,
Sezione III, 25.07.2011 n. 3947): per le stesse ragioni, si
è ritenuto che una simile struttura rientri tra gli
interventi minori per i quali l’art. 167, quarto comma, del
D.Lgs. 42/2004 ammette la valutazione della compatibilità
paesaggistica postuma, in quanto essi non determinano
creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati.
Tali caratteristiche sussistono nel caso in esame,
controvertendosi per l’appunto di una tettoia di modeste
dimensioni aperta su tre lati e aderente sul quarto lato a
parte del fabbricato, onde la medesima non può ritenersi
soggetta a preventivo titolo autorizzatorio edilizio, con
conseguente illegittimità della impugnata sanzione
demolitoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.09.2014 n. 4869 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale.
---------------
La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia
profondamente da quella del diritto privato ed è
circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano
urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
---------------
Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata
su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile
con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve
per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere
di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su
una base di cemento e pertanto necessitante di titolo
edilizio.
---------------
La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte
del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di
titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a
titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la
riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di
circa 1,5 metri.
Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto,
non è neppure possibile ritenere che le singole opere
indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano
soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V,
07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II,
26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo
motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare
che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il
doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante
realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata
quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le
fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non
compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna
attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente
carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di
“pertinenza” si differenzia profondamente da quella del
diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi
rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore
di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n.
3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con
porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato
su traversine in cemento, costituisce un’opera avente
stabilità e continuità, necessaria all’esercizio
dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune,
sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati
su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili
con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera,
usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in
calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità
nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia
appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere
incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il
serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi
aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia
stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto
necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli,
sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta
parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al
rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709);
parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in
calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto,
avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che,
secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove
costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio:
<<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano
installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno
di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla
normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno
di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o
di materiali, la realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo in
edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto
che sia qualificabile pertinenza, dal punto di vista
urbanistico-edilizio, qualsiasi manufatto strumentale
rispetto ad uno principale di dimensioni modeste rispetto a
quest'ultimo.
La giurisprudenza ha già precisato che:
- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo
nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella
principale, cioè un nesso che non consenta altro che la
destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole,
oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto
rispetto alla cosa cui esso inerisce;
- a differenza della nozione di pertinenza di derivazione
civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere
considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di
un ‘autonomo valore di mercato’ e non comporta un cosiddetto
carico urbanistico.
Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di
precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio
generale per il quale -per ogni nuova volumetria- occorre il
rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente
efficacia equivalente): ai sensi dell’art. 10, primo comma,
lettera a), del testo unico approvato con il d.P.R. n. 380
del 2001 (in cui è stato trasfuso in parte qua e con
modificazioni l’art. 4 della legge n. 47 del 1985, rilevante
nel presente giudizio ratione temporis), occorre il rilascio
del permesso di costruire (così come in precedenza occorreva
il rilascio di una concessione edilizia) per la
realizzazione di una ‘nuova costruzione’.
Non può esservi alcun dubbio sulla assenza della natura
pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un
nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a
quella già occupata dal precedente edificio.
A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo
quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una
tettoia o un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume
‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo
restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai
fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini
dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni
in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n.
42 del 2004).
----------------
Nella fattispecie in esame, le opere realizzate consistono
in un pollaio di 40 mc., una concimaia ed una struttura con
cisterna per deposito di gasolio.
Esse non possono essere valutate come mere pertinenze,
avendo la nozione di “pertinenza” in ambito edilizio, come
sopra ricostruita, un significato assai circoscritto e
limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco
valore e non autonomamente utilizzabili e che non occupano
una superficie ulteriore rispetto al manufatto principale.
Tutte le opere in questione, infatti, presentano invece
un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della attività di
allevamento o di stoccaggio di carburante, occupano una
superficie diversa e ulteriore rispetto al manufatto che si
assume come principale e sono palesemente idonee a
modificare l’assetto territoriale, vista l’incidenza che le
correlate attività produttive hanno anche ai fini del carico
urbanistico.
Pertanto, poiché tutte le opere in questione non possono
essere valutate come mere opere pertinenziali le stesse
necessitano di titolo edilizio ed in sua assenza del tutto
legittimamente l’amministrazione ne dispone la demolizione.
La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti,
ha ritenuto che sia qualificabile pertinenza, dal punto di
vista urbanistico-edilizio, qualsiasi manufatto strumentale
rispetto ad uno principale di dimensioni modeste rispetto a
quest'ultimo (Cons. St., Sez. V, 12.02.2013, n. 817).
La giurisprudenza ha già precisato che:
- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo
nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella
principale, cioè un nesso che non consenta altro che la
destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole,
oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto
rispetto alla cosa cui esso inerisce (Cons. St., Sez. IV, 02.02.2012, n. 615);
- a differenza della nozione di pertinenza di derivazione
civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere
considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di
un ‘autonomo valore di mercato’ e non comporta un cosiddetto
carico urbanistico (Cons. St., Sez. V, 31.12.2008, n.
6756; Id., 13.06.2006, n. 3490).
Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di
precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio
generale per il quale -per ogni nuova volumetria- occorre
il rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente
efficacia equivalente): ai sensi dell’art. 10, primo comma,
lettera a), del testo unico approvato con il d.P.R. n. 380
del 2001 (in cui è stato trasfuso in parte qua e con
modificazioni l’art. 4 della legge n. 47 del 1985, rilevante
nel presente giudizio ratione temporis), occorre il rilascio
del permesso di costruire (così come in precedenza occorreva
il rilascio di una concessione edilizia) per la
realizzazione di una ‘nuova costruzione’.
Non può esservi alcun dubbio sulla assenza della natura
pertinenziale –ai fini edilizi– quando sia realizzato un
nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a
quella già occupata dal precedente edificio.
A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo
quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una
tettoia o un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume
‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo
restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai
fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini
dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni
in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n.
42 del 2004: cfr. Sez. VI, 26.03.2013, n. 1671; Sez. VI,
20.06.2012, n. 3578).
Nella fattispecie in esame, le opere realizzate
consistono in un pollaio di 40 mc., una concimaia ed una
struttura con cisterna per deposito di gasolio.
Esse non possono essere valutate come mere pertinenze,
avendo la nozione di “pertinenza” in ambito edilizio, come
sopra ricostruita, un significato assai circoscritto e
limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco
valore e non autonomamente utilizzabili e che non occupano
una superficie ulteriore rispetto al manufatto principale.
Tutte le opere in questione, infatti, presentano invece
un’autonoma utilità ai fini dell’esercizio della attività di
allevamento o di stoccaggio di carburante, occupano una
superficie diversa e ulteriore rispetto al manufatto che si
assume come principale e sono palesemente idonee a
modificare l’assetto territoriale, vista l’incidenza che le
correlate attività produttive hanno anche ai fini del carico
urbanistico.
Pertanto, poiché tutte le opere in questione non possono
essere valutate come mere opere pertinenziali, va respinto
il terzo motivo di censura del ricorso di primo grado, sul
quale si è fondata la sentenza di accoglimento ricorso del
TAR.
I manufatti descritti negli impugnati provvedimenti
necessitavano, infatti, di titolo edilizio ed in sua assenza
del tutto legittimamente l’amministrazione ne ha disposta la
demolizione.
Per le ragioni che precedono, l’appello del Comune risulta
fondato e va accolto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.06.2014 n. 3074 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un
significato più circoscritto, e si fonda non solo sulla
mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del
manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso,
tali da non alterare in modo significativo l'assetto del
territorio o incidere sul carico urbanistico.
D’altra parte, l’affermata natura pertinenziale delle opere
in contestazione nemmeno può essere invocata, con la pretesa
automaticità, per elidere il potere repressivo
dell’Amministrazione intimata. I beni che hanno
civilisticamente natura pertinenziale, invero, non sono
necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole
proprie dell'attività edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito
edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non
solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo
valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni
dello stesso, tali da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico,
caratteristiche queste qui smentite –per le ragioni
suddette– dalle risultanze istruttorie e la cui sussistenza
deve essere peraltro dimostrata dall'interessato (cfr.
Consiglio di Stato sez. V, n. 4997 del 14.10.2013;
Cons. Stato, Sez. V, 11.06.2013 n. 3221)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il casotto in legno, con tettoia a doppia falda
sviluppa una superficie utile di mq. 14,44 con altezza al
colmo di mt. 2,63, non può qualificarsi alla stregua di
pertinenza, sebbene posta al servizio dell’immobile
principale, tenendo presente che, ai fini urbanistici, la
strumentalità propria della nozione civilistica prescinde
dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario.
Non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente
loro assoggettamento al regime concessorio quegli interventi
edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene
principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad
esso poiché occupano e creano aree e volumi diversi, come
avviene nel caso di specie con la creazione di una nuova
volumetria.
Il casotto, di cui al punto 6 delle premesse
dell’atto impugnato, avrebbe, poi, natura pertinenziale e
meramente accessoria rispetto al manufatto principale.
La censura deve essere respinta in quanto il casotto in
legno, ubicato lungo il viale, con tettoia doppia falda
sviluppa una superficie utile di mq. 14,44 con altezza al
colmo di mt. 2,63, non può qualificarsi alla stregua di
pertinenza, sebbene posta al servizio dell’immobile
principale, tenendo presente che, ai fini urbanistici, la
strumentalità propria della nozione civilistica prescinde
dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario;
non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente
loro assoggettamento al regime concessorio quegli interventi
edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene
principale, tuttavia non sono coessenziali ma ulteriori ad
esso poiché occupano e creano aree e volumi diversi, come
avviene nel caso di specie con la creazione di una nuova
volumetria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 816 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le tettoie in esame non
sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso,
incidono in misura non irrilevante sul contesto
paesaggistico.
Infatti, la realizzazione di simili manufatti, infatti,
stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare
non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel
tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima
ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda
agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed
amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso
di costruire, dal momento che comporta una rilevante
modifica dell'assetto edilizio preesistente.
---------------
La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno
ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può
consentire la realizzazione di opere di grande consistenza
soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato
principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio,
incidendo, come detto, in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a
permesso di costruire con conseguente applicabilità del
regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985
in caso di abusività …. Si deve, quindi, affermare che la
realizzazione delle due tettoie costituisca intervento
edilizio assentibile mediante permesso di costruire.
Passando al
rigetto dell’istanza in relazione alle tettoie, va detto che
l’Amministrazione intimata rileva che non sarebbero stati
pagati né le oblazioni né il contributo di costruzione come
richiesto dall’art. 36, co. 2, D.P.R. 380/2001 («il rilascio
del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a
titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura
doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in
misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi
di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione
è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal
permesso»).
Tale circostanza, non contestata da parte ricorrente,
già varrebbe a respingere il motivo di impugnazione, ma è
opportuno precisare che, come rilevato nella Sentenza n.
372/2010 -non impugnata- relativa al ricorso proposto dalla
medesima ricorrente avverso l’ordinanza di demolizione che
aveva attinto le stesse opere qui contemplate, le tettoie in
esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per
altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto
paesaggistico. Infatti, «la realizzazione di simili
manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e
destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come
dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai
clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere
della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal momento che comporta
una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente
(cfr. in un caso analogo, TAR Campania Napoli, sez. III,
09.09.2008, n. 10059)».
«La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre,
meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque
non può consentire la realizzazione di opere di grande
consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene
qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico
proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio è
assoggettabile a permesso di costruire con conseguente
applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della
legge n. 47/1985 in caso di abusività (ancora, T.A.R.
Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492)…. Si
deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due
tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante
permesso di costruire».
Ebbene, le medesime considerazioni valgono qui ad escludere
la compatibilità delle opere con il vincolo paesistico,
particolarmente stringente nella zona ove esse insistono,
qualificata “zona a protezione integrale” (art. 11 P.T.P.)
dove sono consentiti solo limitati interventi volti alla
conservazione e al miglioramento del verde, alla prevenzione
degli incendi o alla rimozione di barriere architettoniche
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deve essere esclusa la natura pertinenziale delle
tettoie costruite (abusivamente) poiché, come chiarito dalla
costante giurisprudenza anche di questa sezione, la nozione
di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita
dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la
realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché
destinate al servizio di un bene qualificato principale.
Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va
riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino
funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di autonomo valore di
mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque
dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non
poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono.
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento,
che gli interventi consistenti nella installazione di
tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque
apposte a parti di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè
non compresi entro coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime
della concessione edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte
dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità
di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non
possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale
da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle
parti dello stesso su cui vengono inserite. Ebbene, nel caso
di specie, le tettoie presentano una dimensione
incompatibile con la qualificazione come pertinenza
integrando una rilevante modifica della sagoma dell’edificio
stesso.
---------------
L’art. 27, co. 2, D.P.R. 380/2001 non distingue tra opere
per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per
cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone
di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le
opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree
sottoposte a vincolo paesistico.
Il provvedimento impugnato attinge due tettoie
poste rispettivamente sul lato nord e sul lato sud del
manufatto adibito ad abitazione l’una di mq 7,5 e l’altra di
mq 19 e ne ordina la demolizione ai sensi dell’art. 27
d.p.r. 380/2001, essendo state edificate senza titolo in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
È opportuno trattare per prima la seconda censura con
la quale si lamentano plurimi motivi di violazione di legge
e di eccesso di potere, ossia che le opere non avrebbero
comportano “modifiche o alterazioni dei volumi”, che
avrebbero natura pertinenziale e che, pertanto, sarebbero
state assentibili con mera D.I.A. senza necessità del previo
ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi
dell’art. 149 D.lgs. 42/2004. Tali opere, quindi, non
sarebbero state sanzionabili con la demolizione ma, al più,
con l’applicazione di una sanzione pecuniaria e, inoltre, il
provvedimento non si sarebbe potuto limitare a dichiarare
l’abusività dell’opera, ma avrebbe dovuto qualificare le
opere al fine di definirne il regime autorizzatorio.
Simili argomentazioni non hanno alcun pregio in quanto
le opere, per entità ed estensione, costituiscono senza
alcun dubbio nuova costruzione integrando un’alterazione
dello stato dei luoghi e della sagoma dell’edificio a cui
accedono.
Deve, altresì, essere esclusa la natura pertinenziale
delle tettoie poiché, come chiarito dalla costante
giurisprudenza anche di questa sezione, la nozione di
"pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita
dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la
realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché
destinate al servizio di un bene qualificato principale.
Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va
riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino
funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di autonomo valore di
mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque
dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non
poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3127).
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile
orientamento, che gli interventi consistenti nella
installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che
siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali
strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono
inserite. Ebbene, nel caso di specie, le tettoie presentano
una dimensione incompatibile con la qualificazione come
pertinenza integrando una rilevante modifica della sagoma
dell’edificio stesso (TAR Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492; TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999; v. pure il precedente di questa
Sezione, Sent. n. 16446/2010).
Sul punto, non occorre spendere ulteriori
argomentazioni in quanto, a ben vedere, non rileva, in
questa sede, se le opere potessero o meno essere assentite
in virtù della presentazione di una mera D.I.A.. Infatti,
quand’anche si ritenessero tali le opere qui sanzionate, va
detto che l’applicazione della sanzione demolitoria (ai
sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001) sarebbe, comunque,
doverosa, essendo, peraltro, incontestato che non sia stata
presentata neppure la D.I.A. e che non sia,
conseguentemente, stata ottenuta alcuna autorizzazione
paesistica.
Si osserva, comunque, che l’art. 27, co. 2, D.P.R.
380/2001 non distingue tra opere per cui è necessario il
permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la
semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un
provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano,
comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a
vincolo paesistico
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 788 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rustico (abusivo) in
argomento ha una superficie dichiarata nella domanda di
condono di mq. 36,41 e nella tavola progettuale di mq. 46,20
cui devono aggiungersi mq. 14.49 del portico e un’altezza
massima di mt. 2,80 e minima di mt. 2,55.
Ne deriva, pertanto, che va condivisa la valutazione
dell’amministrazione che ha qualificato l’opera come nuova
costruzione e non mera pertinenza dell’edificio residenziale
principale.
La nozione urbanistica di pertinenza è, per sua natura,
collegata non solo all'esigenza di un oggettivo nesso
funzionale e strumentale rispetto alla cosa principale ma,
soprattutto, al fatto che comunque deve trattarsi di
un'opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si
rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità.
Tanto premesso in punto di fatto, va
evidenziato che il ricorrente ha chiesto la sanatoria di un
manufatto di rilevanti dimensioni, come emerge dalla
documentazione allegata.
In particolare, il rustico in
argomento ha una superficie dichiarata nella domanda di
condono di mq. 36,41 e nella tavola progettuale di mq. 46,20
cui devono aggiungersi mq. 14.49 del portico e un’altezza
massima di mt. 2,80 e minima di mt. 2,55. Ne deriva,
pertanto, che va condivisa la valutazione
dell’amministrazione che ha qualificato l’opera come nuova
costruzione e non mera pertinenza dell’edificio residenziale
principale.
La nozione urbanistica di pertinenza è, per sua natura,
collegata non solo all'esigenza di un oggettivo nesso
funzionale e strumentale rispetto alla cosa principale ma,
soprattutto, al fatto che comunque deve trattarsi di
un'opera di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si
rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità (cfr.,
Consiglio di Stato, sez. IV, 26/03/2013, n. 1709).
Non sussiste neanche il paventato contrasto con l’art. 35
delle NTA del Prg che consente l’ampliamento degli edifici
residenziali, a condizione che le opere abbiano “poca
incidenza sotto il profilo ambientale e paesistico”.
Nel caso di specie le rilevanti dimensioni del manufatto,
che, peraltro, ne permettono un autonomo utilizzo, non
consentono certamente di considerarlo una pertinenza e di
ritenere la scarsa incidenza delle opere sotto il profilo
ambientale e paesaggistico.
Del resto la circostanza che l’abuso sia stato commesso in
zone sottoposte a tutela paesistico-ambientale rende
applicabile l’art. 7, co. 5, della L 47/1985 che consente
all’amministrazione di procedere alla demolizione d’ufficio,
senza la valutazione sulla necessità di conservare il bene
abusivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.02.2014 n. 393 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella
dettata dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue
proprie, inerendo essa ad un'opera- che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione
strutturale- preordinata ad un'esigenza oggettiva
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o
dotata dì un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale una destinazione autonome e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede.
La strumentalità rispetto all'immobile principale deve
essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a
differenza di quanto consente la nozione civilistica di
pertinenza, esclusivamente dalla destinazione
soggettivamente data dal proprietario o dal possessore.
L'opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte
integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può
considerarsi tale l'ampliamento di un edificio che, per la
relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca
parte.
---------------
La realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo
di un'abitazione non può qualificarsi quale intervento di
manutenzione straordinaria, né si configura quale pertinenza
atteso che costituendo parte integrante dell'edificio ne
costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in
difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire,
del reato di cui all'art. 44 DPR 380/2001.
Anche più di recente è stato ribadito che "Integra il reato
di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), DPR n. 380 del
2001 la realizzazione, in mancanza del preventivo rilascio
del permesso dì costruire, di una tettoia di copertura di un
manufatto, non essendo sufficiente la semplice DIA".
1) Con sentenza del 16.06.2010 la Corte di Appello di Napoli
confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziato,
sez, dist. di Torre del Greco, in composizione monocratica,
del 28.01.2008, con la quale F.F., previa concessione delle
circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata
aggravante, applicata la diminuente per la scelta del rito,
era stato condannato alla pena (sospesa) di mesi otto di
reclusione per i reati di cui all'art. 44, lett. c), DPR
380/2001 (capo a), 64 e 71, 65 e 72 DPR 380/2001 (capo b),
93 e 95 DPR 380/2001 (capo c), 181, comma 1-bis, D.L.vo
42/2004 (capo d), 734 c.p. (capo e), 349 cpv.c.p. (capo f),
unificati sotto il vincolo della continuazione.
Assumeva la Corte che il manufatto (una tettoia con
copertura in tegole in laterizio, sostenuta da travi e
pilastri in ferro, occupante una superficie di circa mq.
60,00) realizzato in aderenza al preesistente fabbricato non
poteva certo integrare la nozione di pertinenza, come
delineato dalla giurisprudenza di legittimità, e pertanto
abbisognava di permesso di costruire e di tutte le altre
autorizzazioni.
...
3) Il ricorso è inammissibile.
3.1) Il primo e secondo motivo sono manifestamente
infondati, avendo la Corte territoriale adeguatamente
motivato in ordine alla necessità del permesso di costruire,
non potendo una tettoia, realizzata in aderenza ad un
preesistente manufatto (come quella di cui alla
contestazione), rientrare nella nozione di pertinenza.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, invero,
"la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella
dettata dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue
proprie, inerendo essa ad un'opera- che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione
strutturale- preordinata ad un'esigenza oggettiva
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o
dotata dì un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale una destinazione autonome e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede" (vedi tra le molteplici
decisioni, Cass. sez. 3, 09.12.2004, Bufano).
"La
strumentalità rispetto all'immobile principale deve essere
in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di
quanto consente la nozione civilistica di pertinenza,
esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal
proprietario o dal possessore. L'opera pertinenziale
inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale
l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di
congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte..." (cfr.
ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 2017 del
25.10.2007-Giangrasso).
In particolare, proprio in relazione ad una tettoia,
realizzata su un edificio preesistente, secondo la pacifica
giurisprudenza di questa Corte, si è ritenuto necessario il
permesso di costruire. Infatti, "La realizzazione di una
tettoia di copertura di un terrazzo di un'abitazione non può
qualificarsi quale intervento di manutenzione straordinaria,
né si configura quale pertinenza atteso che costituendo
parte integrante dell'edificio ne costituisce ampliamento,
con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo
rilascio del permesso di costruire, del reato di cui
all'art. 44 DPR 380/2001" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n.
40843 dell'11.10.2005).
Anche più di recente è stato ribadito che "Integra il
reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), DPR n. 380
del 2001 la realizzazione, in mancanza del preventivo
rilascio del permesso dì costruire, di una tettoia di
copertura di un manufatto, non essendo sufficiente la
semplice DIA" (in motivazione viene specificato che
costituisce "nuova costruzione" qualsiasi manufatto
edilizio fuori terra o interrato e che tale deve
considerarsi la tettoia, anche se accessoria ad un manufatto
preesistente, tenuto altresì conto che nella nozione di
sagoma rientra anche lo sviluppo in altezza dell'immobile)
Cass. pen. sez. 3 n. 21351 del 06.05.2010 (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
n. 4076/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va esclusa la
condivisibilità dell’assunto circa la non assoggettabilità a
permesso di costruire della tettoia oggetto di demolizione
quale mera struttura asseritamente precaria di natura
pertinenziale, aperta su tutti i lati, non autonomamente
utilizzabile e destinata a servizio dell’immobile
principale.
La realizzazione di una tettoia, ancorché avente natura
pertinenziale, è configurabile quale intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett.
d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza
"l'inserimento di nuovi elementi ed impianti" ed è quindi
subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.p.r. laddove
comporti, come nella specie, una modifica della sagoma o del
prospetto del fabbricato cui inerisce, come evincibile dalle
riproduzioni fotografiche in atti.
In materia edilizia la nozione di pertinenza è più ristretta
di quella civilistica, ed è riferibile solo a manufatti di
dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui
ineriscono, cosa non ravvisabile nella specie in presenza di
una tettoia della superficie di m.q. 4,00 x 7,60 come
dichiarato in ricorso, e rilevabile dai grafici in atti.
La nozione di pertinenza, ai fini edilizi, va definita sotto
un duplice profilo ossia in relazione alla necessità ed
oggettività del rapporto pertinenziale, ed alla consistenza
dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo
significativo l'assetto del territorio.
---------------
Ai fini del rilascio del permesso di costruire, la nozione
di costruzione si configura comunque in presenza di opere
che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi.
Ciò a prescindere dal fatto che detta trasformazione e/o
alterazione avvenga mediante realizzazione di opere murarie,
ben potendo trattarsi di opere realizzate in legno, metallo,
in laminati di plastica, o altro materiale, che attuino
un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio e che riguardino opere preordinate a soddisfare
esigenze non precarie sotto il profilo funzionale.
In sostanza, per la individuazione di un’opera quale
pertinenza rilevano non soltanto gli elementi strutturali
(composizione dei materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali, sicché non può,
attribuirsi il carattere pertinenziale ai fini edilizi ad
interventi solo in quanto destinati a servizio del bene
principale, specie qualora si tratti di opere di natura non
precaria ma dotate di una destinazione permanente e durevole
nel tempo.
---------------
Rispetto alle tettoie la giurisprudenza ne ha ammesso la
libera edificabilità solo qualora la loro conformazione e le
loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la
loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici, quando non presentino carattere di
autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite,
ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui
accedono.
Il ricorso è infondato e va respinto
come di seguito argomentato.
In primo luogo va esclusa la condivisibilità dell’assunto
circa la non assoggettabilità a permesso di costruire della
tettoia oggetto di demolizione quale mera struttura
asseritamente precaria di natura pertinenziale, aperta su
tutti i lati, non autonomamente utilizzabile e destinata a
servizio dell’immobile principale. La realizzazione di una
tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è
configurabile quale intervento di ristrutturazione edilizia
ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. d), d.P.R. n. 380 del
2001, nella misura in cui realizza "l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti" ed è quindi subordinata al regime del
permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett.
c), dello stesso d.p.r. laddove comporti, come nella specie,
una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui
inerisce, come evincibile dalle riproduzioni fotografiche in
atti. In materia edilizia la nozione di pertinenza è più
ristretta di quella civilistica, ed è riferibile solo a
manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono, cosa non ravvisabile nella specie in
presenza di una tettoia della superficie di m.q. 4,00 x 7,60
come dichiarato in ricorso, e rilevabile dai grafici in
atti. La nozione di pertinenza, ai fini edilizi, va definita
sotto un duplice profilo ossia in relazione alla necessità
ed oggettività del rapporto pertinenziale, ed alla
consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare
in modo significativo l'assetto del territorio (cfr.
Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3379).
Ai fini del rilascio del permesso di costruire, la nozione
di costruzione si configura comunque in presenza di opere
che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi.
Ciò a prescindere dal fatto che detta trasformazione e/o
alterazione avvenga mediante realizzazione di opere murarie,
ben potendo trattarsi di opere realizzate in legno, metallo,
in laminati di plastica, o altro materiale, che attuino
un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio e che riguardino opere preordinate a soddisfare
esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis CdS, Sez. IV, n. 2705/2008 in tal senso anche
Consiglio Stato, sez. V, 13.06.2006, n. 3490).
In sostanza,
per la individuazione di un’opera quale pertinenza rilevano
non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i
profili funzionali (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n.
11679 del 23.11.2007), sicché non può, attribuirsi il
carattere pertinenziale ai fini edilizi ad interventi solo
in quanto destinati a servizio del bene principale, specie
qualora si tratti di opere di natura non precaria ma dotate
di una destinazione permanente e durevole nel tempo.
Rispetto alle tettoie la giurisprudenza ne ha ammesso la
libera edificabilità solo qualora la loro conformazione e le
loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la
loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici, quando non presentino carattere di
autonoma utilizzabilità, e possano ritenersi assorbite,
ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui
accedono (TAR Campania, Napoli, sezione III, 25.07.2011
n. 3947).
Diversamente la tettoia-pensilina oggetto di contestazione,
come evincibile anche dalle riproduzioni fotografiche in
atti, non è di ridotte dimensioni né presenta una funzione
meramente accessoria rispetto alla destinazione commerciale
dell’immobile cui accede, essendo costituita da una
copertura in pannelli coibentati di oltre 44 m.q. , fissata
per una lunghezza di quattro metri alla parete, e quindi di
natura stabile e non precaria, priva perciò di quelle
caratteristiche sopra descritte che ne consentirebbero
l’edificazione in assenza di permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 24.01.2014 n. 562 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia non qualificabile pertinenza.
La costruzione di una tettoia di
copertura non può qualificarsi come pertinenza, in quanto si
tratta di un’opera priva del requisito della individualità
fisica e strutturale propria della pertinenza, costituendo
parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata.
La
costruzione di una tettoia, pertanto, in difetto del
preventivo rilascio dei permesso di costruire, integra il
reato di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1,
lettera b) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.10.2013 n. 42330 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non v’è dubbio come la pensilina per cui è causa,
per le sue caratteristiche e la sua notevole consistenza (50
mq. di superficie - 0,70 mt. di spessore - 4,50 mt. di
altezza – posizionata a mt. 1,20 dal fabbricato
retrostante), determini oggettivamente una significativa
alterazione del territorio, tale da escluderne la natura
pertinenziale in senso edilizio.
Ne consegue che la pensilina per cui è causa deve essere
considerata una “nuova opera”, come tale certamente
sottoposta al regime delle distanze tra fabbricati, di cui
alla richiamata disciplina urbanistico-edilizia comunale.
---------------
Perché un’opera possa rientrare nel regime delle pertinenze
in senso edilizio deve assumere un rilievo oggettivamente
marginale, tale da comportare una pressoché irrilevante
alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale,
invero, non sono necessariamente tali ai fini
dell'applicazione delle regole proprie dell'attività
edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito
edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non
solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo
valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni
dello stesso, tali da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico,
caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere
peraltro dimostrata dall'interessato.
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la
Sezione a ribadire, anche di recente, che laddove una
tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi
tale ex se da alterare in modo significativo l'assetto del
territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro
bene (c.d. principale) e sia in potenza facilmente
smontabile, si sottrae per ciò solo ad una definizione in
termini di pertinenza, restando di conseguenza soggetta al
regime concessorio proprio delle nuove costruzioni.
Deduce il Comune appellante l’erroneità della gravata
sentenza in quanto:
- la classificazione della pensilina quale “pertinenza”
sarebbe del tutto irrilevante, posto che la riconduzione
della fattispecie al regime autorizzatorio, piuttosto che a
quello concessorio, avrebbe conseguenze solo sul regime
sanzionatorio dell’abuso edilizio e non sul provvedimento di
diniego di sanatoria del manufatto, emesso a causa della sua
difformità dal regime delle distanze fissato dalla
disciplina urbanistica di zona;
- in ogni caso, per le sue rilevanti dimensioni (50 mq di
superficie - 4,50 mt. di altezza - 0,70 mt. di spessore), la
pensilina non avrebbe potuto considerarsi pertinenza, bensì
una nuova costruzione a tutti gli effetti soggetta, come
tale, al regime giuridico proprio di tali interventi
edilizi;
- erroneamente, quindi, il Tar avrebbe accolto il primo
ricorso non ritenendo nella specie applicabile il regime
delle distanze, ed accolto il secondo relativo all’ordine di
demolizione in ragione dei vizi dedotti in via derivata.
I rilievi sono fondati.
Osserva, preliminarmente, il Collegio come la riconduzione
dell’opera nell’ambito del regime concessorio o
autorizzatorio (quale nuova costruzione o pertinenza) non
sia essenziale ai fini della decisione, quantomeno con
riferimento al primo dei ricorsi (diniego di sanatoria).
Infatti, come correttamente dedotto dal Comune appellante,
la declaratoria di rigetto dell’istanza di sanatoria si
fonda sul mancato rispetto della disciplina urbanistica
della zona 14 H in tema di distanze tra manufatti che, in
linea di principio, deve essere osservata indipendentemente
dalla natura pertinenziale o meno dell’intervento edilizio.
Ciò premesso, va comunque rilevato come nella specie la
pensilina per cui è causa rientri oggettivamente, in ragione
delle sue caratteristiche e dimensioni, nel novero delle “nuove
costruzioni” e non in quello delle “pertinenze”,
con conseguente necessaria applicazione ad essa della
disciplina in materia di distanze.
Infatti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza
anche della Sezione, perché un’opera possa rientrare nel
regime delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un
rilievo oggettivamente marginale, tale da comportare una
pressoché irrilevante alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale,
invero, non sono necessariamente tali ai fini
dell'applicazione delle regole proprie dell'attività
edilizia.
In altri termini, la nozione di pertinenza in ambito
edilizio ha un significato più circoscritto, e si fonda non
solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo
valore del manufatto, ma anche sulle ridotte dimensioni
dello stesso, tali da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico,
caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere
peraltro dimostrata dall'interessato (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 11.06.2013 n. 3221).
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la
Sezione a ribadire, anche di recente, che laddove una
tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi
tale ex se da alterare in modo significativo
l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in
rapporto con altro bene (c.d. principale) e sia in potenza
facilmente smontabile, si sottrae per ciò solo ad una
definizione in termini di pertinenza, restando di
conseguenza soggetta al regime concessorio proprio delle
nuove costruzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.07.2013 n.
3939).
Ciò posto, non v’è dubbio come la pensilina per cui è causa,
per le sue caratteristiche e la sua notevole consistenza (50
mq. di superficie - 0,70 mt. di spessore - 4,50 mt. di
altezza – posizionata a mt. 1,20 dal fabbricato
retrostante), determini oggettivamente una significativa
alterazione del territorio, tale da escluderne la natura
pertinenziale in senso edilizio.
E ciò ancor più, se la si rapporta con il bene c.d.
principale (il distributore di carburanti cui accede),
rispetto al quale assume una consistenza tutt’altro che
marginale, se non pressoché paritaria.
Ne consegue, in definitiva, che la pensilina per cui è
causa, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice,
deve essere considerata una “nuova opera”, come tale
certamente sottoposta al regime delle distanze tra
fabbricati, di cui alla richiamata disciplina
urbanistico-edilizia comunale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.10.2013 n. 4997 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha
significato più circoscritto.
I giudici del Consiglio di Stato confermano nella sentenza
in commento che, perché un’opera possa rientrare nel regime
delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un rilievo
oggettivamente marginale, tale da comportare una pressoché
irrilevante alterazione dello stato dei luoghi.
I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale,
invero, non sono necessariamente tali ai fini
dell'applicazione delle regole proprie dell'attività
edilizia. In altri termini, la nozione di pertinenza in
ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e si
fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di
autonomo valore del manufatto, ma anche sulle ridotte
dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo
significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico
urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve
essere peraltro dimostrata dall'interessato.
Del resto, proprio tale regime differenziato ha indotto la
quinta Sezione del Consiglio di Stato a ribadire, anche di
recente, che laddove una tettoia sia di consistenza
oggettivamente notevole e quindi tale ex se da
alterare in modo significativo l'assetto del territorio,
essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d.
principale) e sia in potenza facilmente smontabile, si
sottrae per ciò solo ad una definizione in termini di
pertinenza, restando di conseguenza soggetta al regime
concessorio proprio delle nuove costruzioni (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 19.07.2013 n. 3939).
Ciò premesso, in questa occasione i giudici di Palazzo Spada
hanno stabilito che la pensilina di cui si discuteva rientri
oggettivamente, in ragione delle sue caratteristiche e
dimensioni, nel novero delle “nuove costruzioni” e non in
quello delle “pertinenze”, con conseguente necessaria
applicazione ad essa della disciplina in materia di distanze
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.10.2013 n. 4997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta
di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti che
non alterano in modo significativo l'assetto del territorio,
cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui
ineriscono.
Come sottolineato da questo Tribunale “la giurisprudenza
richiede che dette opere, per loro natura, risultino
funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di autonomo valore di
mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque
dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non
poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono".
La Sezione ha sottolineato che la strumentalità non può mai
desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal
proprietario e devono comportare una circoscritta incisione
sul cd. “carico urbanistico”.
La nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile solo a manufatti che non
alterano in modo significativo l'assetto del territorio,
cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui
ineriscono.
Come sottolineato da questo Tribunale (cfr. sez.
I – 30/10/2012 n. 1747) “la giurisprudenza richiede (cfr.
Cons. St. Sez. IV, 17.05.2010 n. 3127 e precedenti ivi
richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino
funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di autonomo valore di
mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque
dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non
poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono".
La Sezione (cfr. TAR Brescia
11.01.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non
può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data
dal proprietario e devono comportare una circoscritta
incisione sul cd. “carico urbanistico”.
Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla
fattispecie all’esame occorre rilevare che si è
effettivamente in presenza di una struttura avente una
superficie non eccessiva (mq. 16,40) utilizzata per il
ricovero della legna
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.10.2013 n. 814 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di "pertinenza urbanistica" -
Peculiarità - Rapporto di subordinazione e di servizio con
una costruzione preesistente - C.d. strumentalità funzionale
- Fattispecie: ampliamento di un edificio.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità
sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un'opera preordinata ad un'oggettiva
esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o
comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire,
in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede.
Il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con
una costruzione preesistente e la relazione con detta
costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione
ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole
e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale),
sicché non può ricondursi alla nozione in esame
l'ampliamento di un edificio che costituisce parte di esso
quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo
completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi
Cass., Sez. III: 16.03.2010, n. 20349, Catania; 11.05.2005,
Gricia; 17.01.2003, Chiappalone) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.09.2013 n. 38004 - tratto da
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è costante nel ritenere che la nozione di
pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati
diversi da quelli civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame
materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
i) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo
valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione
d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale,
così da non incidere sul carico urbanistico;
ii) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente
modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l’assetto del territorio».
Nel caso in esame le opere oggetto dell’ordinanza di
demolizione sono le seguenti: «una cisterna che fuoriesce
dalla quota di campagna di circa ml+0,60 completa di
autoclave e per una superficie di ingombro di mq 24 finita
con sovrastante lastricato in pietra di cursi; modifica del
prospetto principale riguardante sporti e vano porta;
ringhiera in ferro allocata su muretto prospiciente pubblica
via; scala esterna in adiacenza all’abitazione che porta
alle terrazze; ballotoi con relativi muretti di
delimitazione».
Dalla stessa descrizione delle opere risulta come vengano in
rilievo manufatti che, avendo una autonoma destinazione con
incidenza rilevante sull’assetto del territorio, non possono
essere qualificati quali pertinenze.
In relazione al primo aspetto, la giurisprudenza
è costante nel ritenere che la nozione di pertinenzialità ai
fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli
civilistici. In particolare, ha rilievo determinante non
tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale quanto che:
i) la prima non abbia autonoma
destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la
propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con
l’edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (Cons. Stato, sez. VI, 11.05.2011, n. 2781);
ii) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente
modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l’assetto del territorio» (Cons. Stato, sez. VI, 24.01.2013, n. 496; 13.01.2010, n. 41).
Nel caso in esame le opere oggetto dell’ordinanza di
demolizione sono le seguenti: «una cisterna che fuoriesce
dalla quota di campagna di circa ml+0,60 completa di
autoclave e per una superficie di ingombro di mq 24 finita
con sovrastante lastricato in pietra di cursi; modifica del
prospetto principale riguardante sporti e vano porta;
ringhiera in ferro allocata su muretto prospiciente pubblica
via; scala esterna in adiacenza all’abitazione che porta
alle terrazze; ballotoi con relativi muretti di
delimitazione».
Dalla stessa descrizione delle opere risulta come vengano in
rilievo manufatti che, avendo una autonoma destinazione con
incidenza rilevante sull’assetto del territorio, non possono
essere qualificati quali pertinenze (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2013 n. 4493 - link a www.giustizia-amministrativa). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Giova richiamare il
consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce il
carattere pertinenziale alle opere, quando per la loro
natura e consistenza risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al sevizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di un
volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere
utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui
accedono.
Con il secondo motivo d’impugnazione viene affrontata la
questione giuridica fondamentale qui in rilievo, cioè la
natura pertinenziale o meno, ai sensi dell’art. 3 del DPR
n. 320/2001, del manufatto di che trattasi.
Ebbene, al riguardo giova richiamare il consolidato
orientamento giurisprudenziale che riconosce il carattere pertinenziale alle opere, quando per la loro natura e
consistenza, risultino funzionalmente ed esclusivamente
inserite al sevizio di un manufatto principale, siano prive
di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di
cubatura (o comunque dotate di un volume minimo e
trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate
autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono
(Cass. Pen. Sez. III 27.11.1997 n. 2660; Cons. Stato
Sez. V 07.12.2002 n. 6126; idem 30.11.2000
n. 6538; Cons. Stato sez. IV 17.05.2010 n. 3127).
Alla luce dei parametri fissati dalla giurisprudenza, non
appare condivisibile l’impostazione di parte appellante, che
qualifica l’opera in questione come pertinenza, se è vero
che:
a) il manufatto in contestazione misura 70 mq. e 199 mc.,
palesando, quindi una significativa consistenza;
b) la struttura è composta da fondazioni di calcestruzzo e
pareti di laterizi, con relativo manto di copertura in
coppi, caratteristiche strutturali in parte già constatate
con gli accertamenti tecnici del 01.12.2004 (di cui
sopra si è parlato).
Se questi sono i caratteri dell’opus, è ragionevole ritenere
che l’immobile, ancorché adiacente a preesistente edificio,
non sia funzionalmente servente rispetto all’immobile
“principale” ed anzi sia suscettibile di autonoma
utilizzazione, a fini abitativi o diversi, sì che il
fabbricato non può farsi minimamente rientrare nella
categoria tipologica delle pertinenze, come descritta
dall’art. 3 del DPR n. 320/2001 e neppure in quella prevista
dalla normativa recata dal Regolamento comunale per la
realizzazione degli interventi edilizi minori, che contempla
ipotesi di fabbricati di dimensioni inferiori a quelle qui
in rilievo.
Esattamente allora il Comune ha opposto tali impeditive
circostanze all’accoglimento della richiesta di sanatoria e
altrettanto correttamente il giudice di primo grado ha
valutato come legittimo sotto tali profili il diniego
dell’Amministrazione.
Anche qui il carattere assorbente della questione testé
illustrata, in ragione del titolo per i quale l’appellante
ha (erroneamente) invocato la sanabilità del manufatto, fa
sì che non sia necessario occuparsi degli altri motivi
ritenuti dall’Ente preclusivi della domanda, ben potendo la
determinazione negativa reggersi sulle ragioni inerenti il
presupposto in base al quale è stata chiesta e negata la
sanatoria (la questione della pertinenzialità, qui, per
l’appunto assente)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.09.2013 n. 4448 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
I beni che hanno civilisticamente natura
pertinenziale non sono necessariamente tali ai fini
dell'applicazione delle regole proprie dell'attività
edilizia.
La nozione di pertinenza in ambito edilizio ha infatti un
significato più circoscritto e si fonda sulla mancanza di
autonoma destinazione e autonomo valore del manufatto
pertinenziale, sul suo non incidere sul carico urbanistico,
sulle ridotte dimensioni, tali da non alterare in modo
significativo l'assetto del territorio, caratteristiche
queste la cui sussistenza deve essere dimostrata
dall'interessato e che non ricorrono palesemente nel
manufatto oggetto del provvedimento di demolizione.
Inoltre, il Collegio osserva, sulla scorta di un’ormai
consolidata giurisprudenza, che i beni che hanno
civilisticamente natura pertinenziale non sono
necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole
proprie dell'attività edilizia; la nozione di pertinenza in
ambito edilizio ha infatti un significato più circoscritto e
si fonda sulla mancanza di autonoma destinazione e autonomo
valore del manufatto pertinenziale, sul suo non incidere sul
carico urbanistico, sulle ridotte dimensioni, tali da non
alterare in modo significativo l'assetto del territorio,
caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere
dimostrata dall'interessato e che non ricorrono palesemente
nel manufatto oggetto del provvedimento di demolizione (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4573 del 2010).
Pertanto, la sentenza penale prodotta in giudizio
dall’appellante, relativa alla diversa qualificazione
giuridica del bene quale pertinenza, sulla base della
nozione civilistica, è irrilevante nel giudizio
amministrativo, ove rileva, come detto, il diverso concetto
di pertinenza urbanistica (ex multis: Consiglio di
Stato, sez. VI, 28.01.2013, n. 496)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.06.2013 n. 3221 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
v’è motivo per ammettere l’accessorietà delle tettoie
apposte a parti di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi ove la
loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro
o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono ed
escluderla, invece, laddove, a fronte di medesime
caratteristiche tipologico/strutturali, la loro funzione sia
quella di supporto di un impianto fotovoltaico, che,
consentendo la produzione di energia “pulita” e
“rinnovabile”, dovrebbe essere guardato con particolare
favore dalle Amministrazioni locali, deputate, per legge, a
curare gli interessi della comunità locale.
Ad avviso del Collegio, la tettoia (da realizzasi in sostituzione di una
pergola pre-esistente, previa sua demolizione) può ritenersi
assorbita nell’edificio principale o, comunque, nella parte
di esso cui accede.
Non v’è motivo, infatti, per ammettere l’accessorietà
delle tettoie apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi ove la loro conformazione e le loro ridotte
dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità
di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui
accedono (ex multis TAR Campania Napoli, sez. II, n. 8320
del 02.12.2009, n. 3870 del 13.07.2009, n. 492 del
29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del
18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059
del 09.09.2008) ed escluderla, invece, laddove, a
fronte di medesime caratteristiche tipologico/strutturali,
la loro funzione sia quella di supporto di un impianto
fotovoltaico, che, consentendo la produzione di energia
“pulita” e “rinnovabile”, dovrebbe essere guardato con
particolare favore dalle Amministrazioni locali, deputate,
per legge, a curare gli interessi della comunità locale.
Si rammenta, al riguardo, che la Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 27.09.2001, n. 2001/77/CE, attuata
col decreto legislativo 29.12.2003, n. 387 al quale si
richiama l’art. 36 della l.r. 16 del 2008, riconosce
espressamente la necessità di promuovere in via prioritaria
le fonti energetiche rinnovabili, poiché queste
contribuiscono alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo
sostenibile, possono creare occupazione locale, avere un
impatto positivo sulla coesione sociale, contribuire alla
sicurezza degli approvvigionamenti e permettere di
conseguire più rapidamente gli obiettivi di Kyoto e
individua la promozione dell'elettricità prodotta da fonti
energetiche rinnovabili come un obiettivo altamente
prioritario a livello della Comunità, sottolineando la
necessità di individuare obiettivi vincolanti e ambiziosi in
materia di fonti energetiche rinnovabili a livello nazionale
e di tener conto della struttura specifica del settore delle
fonti energetiche rinnovabili, in particolare al momento
della revisione delle procedure amministrative di
autorizzazione a costruire impianti di produzione di
elettricità proveniente da fonti energetiche rinnovabili
(vedi considerando n. 1, 2, 3, 4 e 20)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 20.05.2013 n. 299 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le caratteristiche del
manufatto (tettoia con struttura portante in ferro e legno,
bullonata al muro dell’abitazione, senza pilastri di
sostegno ed interamente aperta su tre lati) e la sua
destinazione al servizio dell’abitazione principale portano
ad escludere che essa dia luogo ad una autonoma costruzione
e a nuovo volume edilizio.
In proposito, deve infatti richiamarsi l’indirizzo espresso
da questa Sezione secondo cui, in materia
urbanistico–edilizia, il presupposto per l'esistenza di un
volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un
piano di base coperto e due superfici verticali contigue, e
tale presupposto non si riscontra nel caso di una tettoia
aperta su tutti i lati.
Le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio
principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive
non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze
dell'edificio cui accedono pur richiedendo il previo
rilascio del permesso di costruire qualora esse attuino una
trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e siano
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
E’ errato il presupposto logico–giuridico sul
quale si fonda il costrutto argomentativo delle ricorrenti,
secondo cui la realizzazione della tettoia in esame darebbe
luogo ad una “nuova costruzione”, come tale assoggettata al
rispetto delle prescrizioni sulle distanze minime.
In senso contrario, le caratteristiche del manufatto
(tettoia con struttura portante in ferro e legno, bullonata
al muro dell’abitazione, senza pilastri di sostegno ed
interamente aperta su tre lati) e la sua destinazione al
servizio dell’abitazione principale portano ad escludere che
essa dia luogo ad una autonoma costruzione e a nuovo volume
edilizio.
In proposito, deve infatti richiamarsi l’indirizzo espresso
da questa Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 07.02.2013 n. 789) secondo cui, in materia urbanistico–edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume
edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano
di base coperto e due superfici verticali contigue, e tale
presupposto non si riscontra nel caso di una tettoia aperta
su tutti i lati.
Né la ricorrente può trarre utili elementi a sostegno della
propria tesi difensiva dall’orientamento della Corte di
Cassazione (Sez. VI, 02.10.2012 n. 1676), secondo cui la
realizzazione di una struttura con tettoia è da considerarsi
come una costruzione ai fini della misurazione delle
distanze legali tra edifici. In realtà, la ricorrente
trascura di considerare che, nel precedente citato, si controverteva di un manufatto (struttura metallica con
tettoia realizzata in violazione delle distanze legali)
idoneo a determinare autonoma volumetria, circostanza che
non ricorre nella fattispecie in esame nella quale, come si
è visto, si è in presenza di una struttura completamente
aperta su tre lati sprovvista di pilastri ed infissa al muro
perimetrale del fabbricato.
Neppure può ritenersi che tale tettoia sia destinata ad
estendere ed ampliare la consistenza dell’edificio al quale
accede, tenuto conto della indiscutibile sussistenza di un
rapporto di pertinenzialità del bene con l’abitazione della
controinteressata. In argomento, si è difatti affermato che
le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio
principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive
non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze
dell'edificio cui accedono (TAR Lazio Latina, 03.03.2010 n.
205; TAR Piemonte, 12.06.2002 n. 1205 e 21.12.2002 n. 2155)
pur richiedendo il previo rilascio del permesso di costruire
qualora esse attuino una trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e siano preordinate a soddisfare
esigenze non precarie del costruttore
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.05.2013 n. 2396 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
tettoia di rilevanti dimensioni, indipendentemente dalla sua
eventuale natura pertinenziale, è configurabile come
intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, nella misura in cui realizza “l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al
regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10,
comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R..
---------------
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di costruire, come
nell’ipotesi della realizzazione di una tettoia in ferro di
rilevanti dimensioni.
---------------
L'esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio
costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa
l'interesse pubblico alla sua rimozione.
L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è
sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo
riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura
assoggettabilità di queste al regime del permesso di
costruire, non essendo necessario, in tal caso, alcun
ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad
eventuali ragioni di interesse pubblico.
Nella fattispecie in esame, l’opera oggetto dell’impugnata
ordinanza di demolizione (come non contestato tra le parti)
consiste nella realizzazione di una tettoia occupante una
superficie di circa mq. 500, con altezza m. 5,00.
Si tratta quindi di opera sicuramente sottoposta al regime
del permesso di costruire.
Al riguardo, è sufficiente richiamare il convergente ed
unanime orientamento giurisprudenziale, secondo cui la
realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni (come
nel caso di specie), indipendentemente dalla sua eventuale
natura pertinenziale, è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1,
lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è
quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello
stesso D.P.R. (C.d.S., Sez. IV, 12.03.2007, n. 1219;
TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84;
TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 21.12.2007, n.
16493, TAR Campania Napoli, sez. II, 02.12.2009,
n. 8320; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.11.2010,
n. 23699).
In relazione alla specifica considerazione svolta dal
ricorrente in ordine alla natura pertinenziale dell’opera
realizzata, si deve in contrario osservare che il concetto
di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso
edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di costruire, come
nell’ipotesi (di cui alla fattispecie in esame) della
realizzazione di una tettoia in ferro di rilevanti
dimensioni (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 25.01.2013, n. 598; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 20.03.2012, n. 1371).
Si deve infine rammentare, per completezza espositiva, che
l'esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio
costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa
l'interesse pubblico alla sua rimozione.
L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è
sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo
riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura
assoggettabilità di queste al regime del permesso di
costruire, non essendo necessario, in tal caso, alcun
ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad
eventuali ragioni di interesse pubblico (cfr. fra le tante,
C.d.S., sez. IV, 12.04.2011, n. 2266) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 10.04.2013 n. 1905 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione urbanistica di pertinenza è per sua
natura collegata non solo all’esigenza di un oggettivo nesso
funzionale e strumentale rispetto alla "cosa" principale ma
sopratutto al fatto che comunque deve trattarsi di un’opera
di dimensioni modeste e ridotte, altrimenti si rovescerebbe
lo stesso nesso di pertinenzialità.
Nel caso, la struttura stessa di un muro di cemento armato
per la realizzazione di un terrapieno artificiale alto
mediamente ben 12.50 mt. costituiva senza dubbio un
intervento che realizzava un “ampliamento volumetrico” di
consistenza tale da integrare una notevole trasformazione
del territorio, per cui sarebbe stato necessario il previo
rilascio di un permesso di costruire.
Né l’assunta esclusiva natura pertinenziale poteva
nullificare tale rilievo urbanistico. Al riguardo si
concorda totalmente con l’affermazione della difesa
dell’Amministrazione appellante per cui la nozione di
pertinenza urbanistica ha una sua peculiarità propria,
autonoma e distinta dalla nozione civilistica.
La pertinenza urbanistica deve avere non solo una propria
identità fisica ed una propria conformazione strutturale, ma
non deve essere suscettibile di avere una destinazione
autonoma e diversa e non deve possedere un autonomo valore
di mercato. Sulla scia di un antico e consolidato indirizzo
giurisprudenziale la considerazione delle dimensioni
dell’opera in questione deve far escludere che trattasse di
una mera pertinenza dato che:
- nel campo urbanistico, costituisce "pertinenza" quella per
la cui realizzazione è (ed era fin dall’art. 7 d.l. n.
9/1982, conv. in l. n. 92/1982), richiesto non già il
permesso di costruire, bensì la mera autorizzazione
edilizia;
- la pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle
dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla
cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata
tale, e quindi soggiace a concessione edilizia, la
realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni che
modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi
diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente
dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa.
La nozione urbanistica di pertinenza
è, infatti, per sua natura collegata non solo all’esigenza
di un oggettivo nesso funzionale e strumentale rispetto alla
"cosa" principale ma sopratutto al fatto che comunque deve
trattarsi di un’opera di dimensioni modeste e ridotte,
altrimenti si rovescerebbe lo stesso nesso di pertinenzialità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 15.01.2013 n. 211).
Nel caso, la struttura stessa di un muro di cemento armato
per la realizzazione di un terrapieno artificiale alto
mediamente ben 12.50 mt. costituiva senza dubbio un
intervento che realizzava un “ampliamento volumetrico” di
consistenza tale da integrare una notevole trasformazione
del territorio, per cui sarebbe stato necessario il previo
rilascio di un permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25.05.2011 n. 3134).
Né l’assunta esclusiva natura pertinenziale poteva
nullificare tale rilievo urbanistico. Al riguardo si
concorda totalmente con l’affermazione della difesa
dell’Amministrazione appellante per cui la nozione di
pertinenza urbanistica ha una sua peculiarità propria,
autonoma e distinta dalla nozione civilistica.
La pertinenza urbanistica deve avere non solo una propria
identità fisica ed una propria conformazione strutturale, ma
non deve essere suscettibile di avere una destinazione
autonoma e diversa e non deve possedere un autonomo valore
di mercato. Sulla scia di un antico e consolidato indirizzo
giurisprudenziale (Cfr. Cons. Stato, sez. IV sent. 02.02.2012 n. 615 Cons. Stato, sez. II, 12.05.1999 n.
729; sez. V, 23.03.2000 n. 1600; idem 31.03.2009 n.
1998) la considerazione delle dimensioni dell’opera in
questione deve far escludere che trattasse di una mera
pertinenza dato che:
- nel campo urbanistico, costituisce "pertinenza" quella
per la cui realizzazione è (ed era fin dall’art. 7 d.l. n.
9/1982, conv. in l. n. 92/1982), richiesto non già il
permesso di costruire, bensì la mera autorizzazione
edilizia;
- la pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle
dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla
cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata
tale, e quindi soggiace a concessione edilizia, la
realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni che
modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi
diversi rispetto alla "res principalis",
indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei
riguardi di essa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1709 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Una
baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di
metri 2,75 per 3,00), adibita a deposito di legna, può
essere considerata pertinenza, sviluppando un volume minimo,
non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a
servizio dell’edificio principale.
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere
realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio
attività e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto
del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione,
ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del
d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo
inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito
dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel
senso che tali considerazioni non limitano affatto
l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra
proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice
adito e non oggetto del thema decidendum.
In ogni caso, il ricorso è anche manifestamente
infondato.
Il manufatto in questione è una baracca di dimensioni molto
modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00) ed è
adibita a deposito di legna.
Ciò premesso, come noto, esso può essere considerato
pertinenza, sviluppando, appunto, un volume minimo, non
avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a
servizio dell’edificio principale (cfr. Tar Ancona, sentenza
n. 57 del 2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 211 del
2013).
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere
realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio
attività (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 615 del
2012) e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del
titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma
solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r.
n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad
euro 516,00, come correttamente stabilito
dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel
senso che tali considerazioni non limitano affatto
l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra
proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice
adito e non oggetto del thema decidendum
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di
pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati
diversi da quelli civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non tanto il legame
materiale tra pertinenza ed immobile principale quanto che:
1) la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo
valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione
d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale,
così da non incidere sul carico urbanistico;
2) vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente
modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l’assetto del territorio».
La giurisprudenza è
costante nel ritenere che la nozione di pertinenzialità ai
fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli
civilistici.
In particolare, ha rilievo determinante non
tanto il legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale quanto che:
1) la prima non abbia autonoma
destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la
propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con
l’edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (Cons. Stato, VI, 11.05.2011, n. 2781);
2)
vengano in rilievo «manufatti di dimensioni estremamente
modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l’assetto del territorio» (Cons. Stato, VI, 13.01.2010,
n. 41)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.01.2013 n. 496 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano
da quella civilistica di cui all'art. 817 c.c., dal momento
che il manufatto deve essere non solo preordinato ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito
di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume
modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare
il c.d. carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur
essendo accessori a quello principale, incidono con tutta
evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinando un
aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti
a permesso di costruire.
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c. dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire.
---------------
Non è possibile considerare il box una pertinenza in quanto
“non risulta asservito ad alcuna edificio principale”;
infatti manca la condizione principale per la configurazione
di una pertinenza, essendo il ricorrente solo proprietario
di un’area ove coltiva e vende fiori.
Inoltre, come rappresentato nello stesso provvedimento
impugnato, il box per cui è causa, oltre a non essere
coessenziale ad un bene principale, non può ritenersi di
volume modesto e, date le sue dimensioni, mt. 5,08 x 3,50,
deve ritenersi altresì suscettibile di utilizzazione anche
in modo autonomo e separato.
Secondo una consolidata giurisprudenza, che questa Sezione ha già
fatto propria e dalla quale non ha motivo di discostarsi, la
nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue
proprie, che la differenziano da quella civilistica di cui
all'art. 817 c.c., dal momento che il manufatto deve essere
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato
comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale in modo da evitare il c.d. carico urbanistico,
sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello
principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto
edilizio preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire (cfr. TAR Bari, Sezione III, n. 429 del 10.03.2011).
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c. dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire.
Ne consegue che, condivisibilmente con quanto rappresentato
dal Comune resistente nell’ordinanza impugnata, non è
possibile considerare il box una pertinenza in quanto “non
risulta asservito ad alcuna edificio principale”; infatti
manca la condizione principale per la configurazione di una
pertinenza, essendo il ricorrente solo proprietario di
un’area ove coltiva e vende fiori; inoltre, come
rappresentato nello stesso provvedimento impugnato, il box
per cui è causa, oltre a non essere coessenziale ad un bene
principale, non può ritenersi di volume modesto e, date le
sue dimensioni, mt. 5,08 x 3,50, deve ritenersi altresì
suscettibile di utilizzazione anche in modo autonomo e
separato (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 25.01.2013 n. 99 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Esclusione della natura pertinenziale di un
porticato.
Non possono essere considerate opere pertinenziali quelle
che concorrono a integrare l’edificio principale e risultano
per questo prive di autonomia, con la conseguenza che la
realizzazione di un porticato, al pari della realizzazione
di una tettoia che completi un lastrico, divengono elementi
complementari che accrescono la superficie utile
dell'edificio e la sua fruibilità (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.01.2013 n. 2752 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica, sottoposta in quanto tale
al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha
peculiarità proprie che la distinguono da quella
civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato, e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico.
Integrano pertanto gli estremi dell'abuso edilizio strutture
ancorate al suolo insediate definitivamente in loco, non
potendo avere natura di pertinenza laddove vengano a gravare
da sole sul fondo, senz'altra costruzione eretta con titolo
idoneo alla quale collegare alcun vincolo.
Alle luce di quanto precede, il box ed il ricovero per gli
animali realizzati dal ricorrente, non possono essere
ricondotti alla nozione di pertinenza, trattandosi di opere
che modificano l'assetto del territorio, e che occupano aree
e volumi diversi rispetto alla "res principalis",
indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei
riguardi di essa.
In materia di pertinenza edilizia, ciò che importa è infatti
l'oggettiva idoneità del fabbricato ad incidere sullo stato
dei luoghi, prescindendo dall'intenzione del proprietario in
ordine alla sua utilizzabilità. A contrario, la
giurisprudenza ha riconosciuto ascrivibili alla nozione di
pertinenza fattispecie radicalmente differenti da quelle per
cui è causa, come nel caso di un pergolato, di un muretto di
recinzione, accompagnata dall'apposizione di ringhiere e
cancelli metallici, o di una ringhiera protettiva e di scala
in ferro per l'accesso ad un terrazzo, la cui incidenza
sullo stato dei luoghi è ben minore rispetto a quanto
riscontrabile nelle opere di che trattasi.
Secondariamente, il ricorrente sostiene che, quanto al
box ed al ricovero di animali, si sarebbe in presenza di
opere di modeste dimensioni e di natura pertinenziale,
ricompresse nell'ambito di applicazione dell'art. 7 della L.
25.03.1982 n. 94, e come tali soggette a mera autorizzazione,
rispetto alle quali non potrebbe applicarsi la normativa
sanzionatoria di cui all'art. 7 della L. n. 47/1985, dettata
invece per le opere abusive di maggiori entità.
Sul punto, il Collegio richiama l'orientamento
giurisprudenziale secondo cui la nozione di pertinenza
urbanistica, sottoposta in quanto tale al regime
autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha
peculiarità proprie che la distinguono da quella
civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato, e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico
(C.S. Sez. V 22.10.2007 n. 5515). Integrano pertanto gli
estremi dell'abuso edilizio strutture ancorate al suolo
insediate definitivamente in loco, non potendo avere natura
di pertinenza laddove vengano a gravare da sole sul fondo,
senz'altra costruzione eretta con titolo idoneo alla quale
collegare alcun vincolo (TAR Liguria, Sez. I 25.11.2003
n. 1569).
Alle luce di quanto precede, il box ed il ricovero per gli
animali realizzati dal ricorrente, non possono essere
ricondotti alla nozione di pertinenza, trattandosi di opere
che modificano l'assetto del territorio, e che occupano aree
e volumi diversi rispetto alla "res principalis",
indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei
riguardi di essa (C.S. Sez. IV 02.02.2012 n. 615). In materia
di pertinenza edilizia, ciò che importa è infatti
l'oggettiva idoneità del fabbricato ad incidere sullo stato
dei luoghi, prescindendo dall'intenzione del proprietario in
ordine alla sua utilizzabilità (TAR Emilia Romagna,
Bologna, Sez. II 11.10.2007 n. 2286). A contrario, la
giurisprudenza ha riconosciuto ascrivibili alla nozione di
pertinenza fattispecie radicalmente differenti da quelle per
cui è causa, come nel caso di un pergolato (TAR Liguria
Sez. I, 27.01.2012 n. 195), di un muretto di recinzione,
accompagnata dall'apposizione di ringhiere e cancelli
metallici (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II 10.06.2008 n.
647), o di una ringhiera protettiva e di scala in ferro per
l'accesso ad un terrazzo (TAR Piemonte, Sez. I, 25.03.2008
n. 505), la cui incidenza sullo stato dei luoghi è ben
minore rispetto a quanto riscontrabile nelle opere di che
trattasi
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 09.01.2013 n. 61 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
INTERVENTI EDILIZI ‘‘PERTINENZIALI’’ E LORO (IR)RILEVANZA
PENALE
Affinché un manufatto presenti il carattere della
pertinenza,
e` necessario che abbia una propria individualità,
che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze
di un edificio principale legittimamente costruito,
che sia fornito di autonomo valore di mercato, che abbia
ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione
autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici vigenti.
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, con la sentenza
in commento, sulla natura giuridica del manufatto
pertinenziale,
individuando i caratteri che ne consentono l’inquadramento
nella categoria degli interventi edilizi privi di rilevanza
penale.
La vicenda processuale trae origine da un
procedimento
penale per il reato di cui all’art. 44, lett. b), D.P.R. n.
380 del 2001, contestato all’imputato per avere questi, in
assenza
di concessione edilizia, senza permesso di costruire,
abusivamente realizzato con più azioni esecutive di uno
stesso disegno criminoso in un edificio di sua proprietà un
magazzino garage in muratura di circa mq 14,05 e al primo
piano due vani ulteriori rispettivamente di circa mq 12,78 e
mq 18,47, nonché un balcone di metri quadri 12,00 collegato
con il tetto del locale abusivo costruito al piano terra.
In
sede
di merito, l’imputato, previa riqualificazione del fatto nel
reato
di cui all’art. 44, lett. a), D.P.R. n. 380 del 2001, in
luogo
dell’art. 44, lett. b), effettuata sul presupposto di
realizzazione
di una pertinenza, era stato dichiarato colpevole e
condannato
alla sola pena dell’ammenda. Contro la sentenza di condanna
proponeva ricorso per cassazione la Procura Generale
della Repubblica presso la Corte d’appello, adducendo quale
unico motivo l’erronea qualificazione della contravvenzione
contestata, non sussistendo pertinenza bensì ampliamento
volumetrico del precedente fabbricato, che pertanto richiede
il rilascio di permesso.
La prospettazione accusatoria è stata accolta dalla Corte
di
Cassazione che ha, infatti, annullato con rinvio la sentenza
impugnata osservando che la dimensione e la conformazione
delle strutture costruite, tali da renderle parte integrante
dell’edificio e da aumentarne la volumetria, dimostravano
l’insussistenza dei presupposti per la loro qualificazione
come
pertinenza, e quindi la necessità del rilascio di permesso,
come correttamente prospettato nel ricorso.
La decisione
merita ampia e convinta condivisione, soprattutto tenuto
conto del fatto che la stessa si inserisce in un filone
giurisprudenziale
di legittimità collaudato (e consolidato), secondo
cui in materia edilizia, affinché un manufatto presenti il
carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria
individualità, che sia oggettivamente preordinato a
soddisfare
le esigenze di un edificio principale legittimamente
edificato,
che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia
ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione
autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici vigenti (v., da ultimo, in senso conforme: Cass.
pen., sez. III, 03.07.2012, n. 25669, in Ced Cass., n.
253064) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.01.2013 n. 519
- commento tratto da
Urbanistica e Appalti n. 3/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Costruzioni, pertinenze, distanze legali, applicabilità.
Deve ritenersi "costruzione" qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano
dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al
resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la
funzionalità economica, sono soggette al rispetto della
normativa sulle distanze.
--------------
Anche le pertinenze devono rispettare le distanze.
Si deve ritenere costruzione qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
E’ questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione,
Sez. II civile, con la
sentenza 03.01.2013 n. 72 in tema di distanze di
costruzioni. Portando a conseguenza il principio ribadito,
infatti, gli Ermellini sostengono che gli accessori e le
pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano
stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da
ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono
soggette al rispetto della normativa sulle distanze.
Nel caso di specie due coniugi convenivano in giudizio il
vicino che aveva realizzato a confine con la porzione di un
immobile di loro proprietà un vano di circa m. 5x3 di lato e
m. 3 di altezza, in violazione delle norme sulle distanze
previste dal regolamento edilizio comunale.
Da qui la richiesta di demolizione del vano, che tuttavia
veniva rigettata dal giudice di prime cure con la condanna
al pagamento delle spese processuali. Al contrario, in sede
di appello, il Giudice riformava la sentenza di primo grado,
condannando il vicino ad arretrare il vano in questione fino
alla distanza di m. 5 dal confine col vialetto di proprietà
degli appellanti, rigettando al contempo la domanda di
risarcimento di ulteriori danni. In buona sostanza, secondo
i giudici di merito, il vano –a prescindere dalla sua
funzione pertinenziale– costitutiva un edificio e non
rispettava l’obbligo della distanza di almeno cinque metri
dal confine.
Come si è visto, in sede di cassazione il Palazzaccio
conferma la correttezza del ragionamento seguito dai giudici
di appello, evidenziando con chiarezza l’irrilevanza
dell’eventuale funzione pertinenziale ai fini della
sussunzione nella categoria costruzione del vano in
questione e rilevando al contempo la dimensione del vano
tale da accrescere la superficie o la funzionalità economica
della costruzione
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ancora sulle distanze per accessori e pertinenze.
Ricordando quanto deciso dal TAR Veneto nella sentenza n. 57
del 2013 (si veda in questo sito il post del 13.02.2013),
ritorniamo ad esaminare l’applicazione dell’art. 873 c.c.,
in relazione ad opere pertinenziali all’edificio principale
già esistente.
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza 03.01.2013 n. 72 ha stabilito che: “ai fini
dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali
stabilite dall’art. 873 c.c. e segg., e delle norme dei
regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha
affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera
non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze
che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente
incorporati al resto dell’immobile, cosi da ampliarne la
superficie o la funzionalità economica, sono soggette al
rispetto della normativa sulle distanze” (link a http://venetoius.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le
caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi
dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare
l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali
il manufatto potenzialmente si presta.
---------------
La nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella
più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo
essere perimetrata in modo compatibile coi principi della
materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori,
che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del
carico edilizio ed urbanistico.
Non rileva, inoltre, la dichiarata volontà di
non destinare le opere all’uso residenziale. Nel caso di
specie, il manufatto realizzato, per le caratteristiche
strutturali e le dimensioni (copre una superficie di 30
mq.), configura, piuttosto, una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo
utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie
sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad
alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una
significativa trasformazione del territorio (cfr., ex multis,
Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2006 n. 3490; TAR
Lazio, Roma, Sezione I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater, 23.11.2007 n. 11679).
Invero, ai fini della qualificazione
di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive
della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più
ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente
si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV
Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006
n.1506).
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione
dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso
che, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di
Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR Lazio, Sezione II-ter,
06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402 e Sezione IV,
03.01.2002 n. 50; TAR
Lazio, Latina, 04.07.2006 n.428), la nozione urbanistica
di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita
dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in
modo compatibile coi principi della materia e riferita,
quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso
o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed
urbanistico
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 29.12.2012 n.
5381 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
giurisprudenza è costante nel ritenere che:
- l'istallazione di una tettoia realizzata in ferro con muri
perimetrali in cemento armato e copertura con lamiere
coibentate, di dimensioni pari a mq 46,20, è idonea a
determinare una non irrilevante alterazione dello stato dei
luoghi e, pertanto, deve essere assentita mediante rilascio
di permesso di costruire;
- la realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla
sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come
intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al
regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10,
comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove
comporti, come nel caso di specie, una modifica della sagoma
o del prospetto del fabbricato cui inerisce;
- la tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in
quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e
destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere
della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal momento che comporta
una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente.
---------------
Né la “tettoia” di cui trattasi potrebbe comunque essere
considerata come pertinenza.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di costruire, come
nel caso di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni.
La tettoia oggetto dell'impugnato
provvedimento configura quindi un intervento edilizio
integrante un incremento plano-volumetrico suscettibile di
autonoma utilizzazione, come tale sottoposto al regime concessorio (attualmente, permissorio) e quindi
all'applicazione della disposta sanzione demolitoria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che:
-
<<L'istallazione di una tettoia realizzata in ferro con muri
perimetrali in cemento armato e copertura con lamiere
coibentate, di dimensioni pari a mq 46,20, è idonea a
determinare una non irrilevante alterazione dello stato dei
luoghi e, pertanto, deve essere assentita mediante rilascio
di permesso di costruire>> (TAR Campania Napoli, sez. II,
02.12.2009, n. 8320);
- <<La realizzazione di una
tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1,
lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed
è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello
stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una
modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui
inerisce>> (TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.01.2011, n. 84);
- <<La tettoia realizzata sul terrazzo di un
fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al
pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza
temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva
del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi
assoggettata al regime del permesso di costruire, dal
momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto
edilizio preesistente>> (TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007 n. 16493).
Né la “tettoia” di cui trattasi potrebbe comunque essere
considerata come pertinenza.
Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di costruire, come
nel caso di una tettoia in ferro di rilevanti dimensioni
(TAR Campania Napoli, sez. II, 07.05.2012, n. 2080)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.12.2012 n. 5342 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Occorre
distinguere il concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire e che, nella delineata
prospettiva, anche la struttura verandata, addossata al
fabbricato esistente, che riveste natura permanente, dal
momento che la sua funzione è strettamente connessa
all'attività commerciale svolta e quindi destinata ad un uso
tutt'altro che temporaneo e contingente deve intendersi, per
tale motivo, priva del carattere della precarietà ed
amovibilità.
Parimenti, ne va esclusa la natura pertinenziale in quanto
l'intervento realizzato costituisce una nuova opera entrata
a far parte integrante di una costruzione preesistente, e
che, per effetto di congiunzione con l'immobile principale,
ne ha ampliato la superficie utile e la relativa volumetria.
A nulla rileva sotto tale profilo la dedotta assenza di
autonomia della struttura rispetto all'immobile principale,
dal momento che essa determina un ampliamento di superficie
e volume dell'immobile cui è annessa nonché il mutamento di
destinazione d'uso della corte esclusiva che originariamente
costituiva un'area di accesso all'immobile medesimo aperta
al pubblico.
Quanto ai motivi di impugnazione indicati sub I,
prevalentemente incentrati sulla asserita natura pertinenziale del cespite, la Sezione osserva, in conformità
con l’indirizzo giurisprudenziale di questo Tribunale dal
quale non vi è motivo di discostarsi, che «occorre
distinguere il concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire» (TAR Napoli Campania sez. VII,
12.07.2012, n. 3377; cfr. anche TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 11.02.2005 n. 365; TAR Lazio, Roma, sez. II,
04.02.2005 n. 1036) e che, nella delineata prospettiva,
anche «la struttura verandata, addossata al fabbricato
esistente, che riveste natura permanente, dal momento che la
sua funzione è strettamente connessa all'attività
commerciale svolta e quindi destinata ad un uso tutt'altro
che temporaneo e contingente deve intendersi, per tale
motivo, priva del carattere della precarietà ed amovibilità.
Parimenti, ne va esclusa la natura pertinenziale in quanto
l'intervento realizzato costituisce una nuova opera entrata
a far parte integrante di una costruzione preesistente, e
che, per effetto di congiunzione con l'immobile principale,
ne ha ampliato la superficie utile e la relativa volumetria.
A nulla rileva sotto tale profilo la dedotta assenza di
autonomia della struttura rispetto all'immobile principale,
dal momento che essa determina un ampliamento di superficie
e volume dell'immobile cui è annessa nonché il mutamento di
destinazione d'uso della corte esclusiva che originariamente
costituiva un'area di accesso all'immobile medesimo aperta
al pubblico» (TAR Napoli Campania sez. VIII, 03.07.2012, n. 3148; cfr. Cons. St., sez. V,
08.04.1999 n. 394;
TAR Lazio, Roma, sez. I, 17.07.1986 n. 1156; TAR
Campania, Napoli, sez. III, 09.09.2008 n. 10059; Cons.
St., sez. V, 27.01.2003 n. 419).
Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche
dell'intervento abusivo realizzato (un corpo di fabbrica in
cemento armato di due piani fuori terra con una volumetria
di 252,00 ca.), l’intervento in contestazione, non essendo
stato dimostrato come coessenziale ad un bene principale e
potendo essere utilizzato anche in modo autonomo e separato,
non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo
rilascio del permesso di costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 21.12.2012 n. 5331 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Tettoia in legno fissata al muro perimetrale
non può avere natura pertinenziale.
Le pertinenze che comportano un volume
fino al 20% del volume dell’edificio principale o che non
sono qualificate come nuove costruzioni dagli strumenti
urbanistici, possono essere eseguite con d.i.a..
Peraltro tale previsione deve essere coordinata con il d.m.
02.04.1968, n. 144, che al punto 7.1. vieta le nuove
costruzioni nei centri storici.
Si deve anche tener conto delle previsioni dei singoli
strumenti urbanistici, che non di rado vietano in modo
assoluto le nuove costruzioni nei centri storici, al fine di
evitare incrementi di volumetria.
Sicché, laddove nei centri storici sono vietate le nuove
costruzioni, ne discende anche, logicamente, il divieto di
pertinenze, che creino nuova volumetria.
---------------
Una tettoia in legno posta a confine del vicino e
imbullonata al muro perimetrale dell’abitazione, di ampie
dimensioni e stabilmente ancorata al muro perimetrale
dell’immobile, non può essere considerata di natura
pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della
sagoma e del prospetto dell’edificio comportante il previo
rilascio di titolo abilitativo espresso.
Quindi, la
realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di
un’abitazione non può qualificarsi come manutenzione
straordinaria, né configurarsi come pertinenza, atteso che,
costituendo parte integrante dell’edificio, ne costituisce
ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del
preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di
cui all’art. 44 d.P.R. n. 380/2001.
L’art. 3, comma 1,
lett. e.6), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, include tra le nuove
costruzioni, soggette a permesso di costruire, “gli
interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al
pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino
come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume
dell'edificio principale”.
Se ne desume a contrario che le pertinenze che comportino un
volume fino al 20% del volume dell’edificio principale o che
non siano qualificate come nuove costruzioni dagli strumenti
urbanistici, possono essere eseguite con d.i.a..
Peraltro tale previsione deve essere coordinata con il d.m.
02.04.1968, n. 144, che al punto 7.1. vieta le nuove
costruzioni nei centri storici.
Si deve anche tener conto delle previsioni dei singoli
strumenti urbanistici, che non di rado vietano in modo
assoluto le nuove costruzioni nei centri storici, al fine di
evitare incrementi di volumetria.
Sicché, laddove nei centri storici sono vietate le nuove
costruzioni, ne discende anche, logicamente, il divieto di
pertinenze, che creino nuova volumetria.
---------------
Va inoltre considerato che l’opera in questione, consistente
in una tettoia che si poggia sui muri di edifici
preesistenti, non può essere considerata in senso proprio
pertinenza, in quanto fa corpo con la cosa principale a cui
aderisce, di cui modifica la sagoma e comporta ampliamento,
creando nuova volumetria.
Secondo la giurisprudenza di questo Consesso, una tettoia in
legno posta a confine del vicino e imbullonata al muro
perimetrale della sua abitazione, di ampie dimensioni e
stabilmente ancorata al muro perimetrale dell’immobile, non
può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece
luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto
dell’edificio comportante il previo rilascio di titolo
abilitativo espresso [Cons. St., sez. IV, 29.04.2011, n.
2549; Id., sez. IV, 07.07.2008, n. 3379; Id., sez. II,
05.02.1997, n. 336/95; Id., sez. V, 29.01.1996, n. 103].
Anche per la giurisprudenza penale la realizzazione di una
tettoia di copertura di un terrazzo di un’abitazione non può
qualificarsi come manutenzione straordinaria, né
configurarsi come pertinenza, atteso che, costituendo parte
integrante dell’edificio, ne costituisce ampliamento, con
conseguente integrabilità, in difetto del preventivo
rilascio del permesso di costruire, del reato di cui
all’art. 44 d.P.R. n. 380/2001 [Cass. pen., sez. III,
08.06.2010, n. 27264; Id., 07.04.2006; Id., 11.10.2005].
Parimenti, secondo la Cassazione penale, non costituisce
pertinenza la tettoia costruita in aderenza ad un
preesistente edificio, trattandosi di manufatto che non ha
una propria autonomia individuale e funzionale, ma che,
entrato a far parte del preesistente fabbricato, di questo
costituisce opera accessoria [Cass. pen., sez. III,
30.06.1995].
La contraria giurisprudenza invocata da parte appellante,
che qualifica talora la tettoia come pertinenza [Cons. St.,
sez. V, 19.03.2009, n. 1615; Id., sez. II, 30.01.2008, n.
3491/2007; Tar Sicilia-Catania, 11.07.1990, n. 530; Tar
Lombardia–Milano, sez. II, 15.03.1988, n. 73], non è
rilevante nel presente giudizio (nemmeno al fine della
rimessione del contrasto all’esame dell’adunanza plenaria),
atteso l’assorbente profilo, al fine della decisione, che
nel caso di specie non sono consentiti incrementi di
volumetria nei centri storici mediante opere nuove
(Consiglio di
Stato Sez. VI,
sentenza 18.12.2012 n. 6493
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La tamponatura di
pensiline e tettoie preesistenti, anche per volumi molto
inferiori al presente, costituisce nuova superficie e
giustifica la sanzione della demolizione.
E’ infatti ben noto come, in sede edilizia la nozione di
pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e
oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza
dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo
significativo l’assetto del territorio.
Come è noto la tamponatura di pensiline e tettoie
preesistenti, anche per volumi molto inferiori al presente,
costituisce nuova superficie e giustifica la sanzione della
demolizione (si veda sul tema Cds. Sez. IV 16.12.2011 n.
6628).
E’ infatti ben noto come, in sede edilizia la nozione
di pertinenza va definita sia in relazione alla necessità e
oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza
dell’opera, che non deve essere tale da alterare in modo
significativo l’assetto del territorio (Tar Campania, Napoli
21.5.2009 n. 2829)
(TAR Marche,
sentenza 14.12.2012 n. 804 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Pertinenza urbanistica - Caratteristiche del
manufatto pertinenziale - Natura pertinenziale di un
manufatto - Oggettiva compresenza dei requisiti - Necessità.
Le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica
sono state più volte indicate e possono essere così
sintetizzate:
- deve trattarsi di un'opera che abbia comunque una propria
individualità fisica ed una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato;
- deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso onde renderne più agevole
e funzionale l'uso;
- deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato e
non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al
20% di quello dell'edificio principale) tale da non
consentire, in relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede;
- la relazione con la costruzione preesistente deve essere,
in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio",
allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso.
Si è ulteriormente chiarito, che il manufatto pertinenziale,
oltre a dover accedere ad un edificio preesistente edificato
legittimamente, deve necessariamente presentare la
caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a
prescindere dal rapporto con l'edificio principale e non
deve essere in contrasto con gli strumenti urbanistici
vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati.
È dunque evidente che la natura pertinenziale di un
manufatto non può essere astrattamente desunta,
esclusivamente dalla destinazione (peraltro soltanto
dichiarata e pure incerta: "lavanderia o legnala") o
dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla
oggettiva compresenza dei requisiti menzionati (Cass. Sez.3,
n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.12.2012 n. 47646 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Caratteristiche del manufatto pertinenziale.
Il manufatto pertinenziale, oltre a dover accedere ad un
edificio preesistente edificato legittimamente, deve
necessariamente presentare la caratteristica della ridotta
dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con
|'edificio principale e non deve essere in contrasto con gli
strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente
soltanto adottati (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.12.2012 n. 47646 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ampliamento e pertinenze.
L'ampliamento di un fabbricato preesistente non può essere
considerato pertinenza, diventando parte dell'edificio di
cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio
soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di
autonomia rispetto all'edificio medesimo (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.12.2012 n. 47228 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di una
tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur
potendo avere carattere pertinenziale rispetto all'immobile
cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.
La realizzazione di una tettoia è configurabile come
intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi
dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al
regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10,
comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove
comporti una modifica della sagoma o del prospetto del
fabbricato cui inerisce.
La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in
quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e
destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere
della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal momento che comporta
una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente.
Sul punto si richiama quella giurisprudenza
secondo cui la realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia poiché, pur potendo avere carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide
sull'assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli,
Sez. IV, 16.07.2002, n. 4107; TAR Sicilia, Palermo,
Sez. I, 08.07.2002, n. 1936; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Campania Napoli,
sez. VI, 04.08.2008, n. 9725; TAR Lombardia Brescia,
sez. I, 25.05.2010 ).
In tal senso peraltro vengono in rilievo specifici
precedenti di questa sezione secondo cui “la realizzazione
di una tettoia è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1,
lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed
è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello
stesso D.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o
del prospetto del fabbricato cui inerisce” (TAR Campania,
Napoli, Sez. IV, 17.02.2010, n. 968; TAR Campania,
Napoli, Sez. IV, 28.12.2009, n. 9605) ed ancora “la
tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto
struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a
soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma
prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà
ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del
permesso di costruire, dal momento che comporta una
rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente”
(TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 21.12.2007, n. 16493)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza
27.11.2012 n. 4831 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Tettoia a copertura di un terrazzo.
Va esclusa la natura di pertinenza della tettoia di
copertura di un terrazzo in quanto priva del requisito della
individualità fisica e strutturale propria, appunto, della
pertinenza e costituendo tale manufatto parte integrante
dell'edificio sul quale viene realizzato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.11.2012 n. 45819 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La pensilina, di ampie dimensioni e stabilmente
ancorata al fabbricato, non può essere considerata di natura
pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della
sagoma e del prospetto dell'edificio comportante il previo
rilascio di titolo abilitativo espresso.
La qualificazione
dell’abuso quale intervento eseguito in assenza di permesso
di costruire ed il richiamo all’art. 31, d.P.R. n. 380/2001
sono corretti.
La pensilina, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al
fabbricato, non può, difatti, essere considerata di natura
pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della
sagoma e del prospetto dell'edificio comportante il previo
rilascio di titolo abilitativo espresso (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 29.04.2011, n. 2549)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di
“pertinenza” in senso urbanistico differisce notevolmente da
quella civilistica (cfr. per quest’ultima, l’art. 817 del
codice civile), essendo il carattere pertinenziale in
materia urbanistica circoscritto ad opere di limitatissima
superficie o volume (ad esempio i volumi per il ricovero di
impianti tecnologici), ma non a manufatti di ampie
dimensioni (nel caso di specie il manufatto abusivo
contraddistinto con il n. 1 nell’ingiunzione impugnata ha
una superficie di metri 4 x 7 ed un’altezza di metri 2,9;
mentre il manufatto n. 2 ha superficie di metri 11,4 x 8,2
ed altezza di metri 4,25).
Nel quarto motivo si sostiene, in primo luogo, che due delle opere
oggetto dell’ordinanza impugnata (manufatto ad uso ufficio
ed abitazione di custodia), sarebbero insuscettibili di
autonomo utilizzo e prive di accesso all’area pubblica, il
che escluderebbe la legittimità della loro demolizione.
L’asserzione difensiva è palesemente infondata, visto che le
opere di cui sopra non assumono certo un oggettivo carattere
pertinenziale o di servizio, tenuto conto della loro
dimensione e della loro autonomia sotto il profilo
urbanistico-edilizio: a tale proposito è sufficiente l’esame
dell’ingiunzione di demolizione e dei suoi allegati (cfr.
doc. 1 del ricorrente e doc. 1 del resistente), per
comprendere che tutti i fabbricati abusivi (cfr. la pianta
degli edifici e la documentazione fotografica di cui al doc.
1 del Comune), hanno superfici e volumi tali da escluderne
ogni carattere pertinenziale.
Sul punto, si ricordi ancora che la nozione di “pertinenza”
in senso urbanistico differisce notevolmente da quella
civilistica (cfr. per quest’ultima, l’art. 817 del codice
civile), essendo il carattere pertinenziale in materia
urbanistica circoscritto ad opere di limitatissima
superficie o volume (ad esempio i volumi per il ricovero di
impianti tecnologici), ma non a manufatti di ampie
dimensioni (cfr. tra le tante, TAR Toscana, sez. III,
27.09.2012, n. 1568; si ricordi che nel caso di specie il
manufatto abusivo contraddistinto con il n. 1
nell’ingiunzione impugnata ha una superficie di metri 4 x 7
ed un’altezza di metri 2,9; mentre il manufatto n. 2 ha
superficie di metri 11,4 x 8,2 ed altezza di metri 4,25)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta
di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali
da non alterare in modo significativo l'assetto del
territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto
alla cosa cui ineriscono.
La giurisprudenza richiede che dette opere, per loro natura,
risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al
servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo
valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o
comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente
dal manufatto cui accedono.
La Sezione ha sottolineato che la strumentalità non può mai
desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal
proprietario e devono comportare una circoscritta incisione
sul cd. “carico urbanistico”. Peraltro, la norma regionale
-pur non fornendo una definizione del concetto di
pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto,
generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia-
ha cura di specificare che le strutture pertinenziali
debbono essere “prive di funzionalità autonoma”.
Va rilevato che la proporzionalità del manufatto accessorio
rispetto a quello principale non può costituire l’unico
criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche
il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si
perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a
qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la
ratio sottesa alla norma regionale.
La norma invece esclude dal divieto suddetto le
(sole) strutture pertinenziali degli edifici prive di
funzionalità autonoma, sicché viene in rilievo quanto
articolato dai ricorrenti con il secondo profilo di
doglianza del primo motivo, vale a dire la possibilità di
qualificare l’opera abusiva come pertinenza.
Si tratta dunque di determinare quali strutture risultino
ascrivibili a tale definizione.
Al riguardo la Sezione ha svolto (cfr. la sentenza 01.07.2010
n. 2408) le seguenti considerazioni.
Sotto un primo profilo, va ricordato che la nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non
alterare in modo significativo l'assetto del territorio,
cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui
ineriscono.
La giurisprudenza richiede (cfr. da ultimo Cons. St. Sez. IV,
17.05.2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che
dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere
utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui
accedono.
La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.01.2006 n. 32) ha
sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi
dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e
devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico
urbanistico”. Peraltro, la norma regionale -pur non fornendo
una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve
farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di
pertinenza in materia edilizia- ha cura di specificare che
le strutture pertinenziali debbono essere “prive di
funzionalità autonoma”.
Va rilevato che la proporzionalità del manufatto accessorio
rispetto a quello principale non può costituire l’unico
criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche
il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si
perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a
qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la
ratio sottesa alla norma regionale.
Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla
fattispecie all’esame occorre rilevare che si è in presenza
(cfr. il doc. n. 4a) di un’ abitazione avente la superficie
di mq. 150,78; di una autorimessa di mq. 50,16, rispetto ai
quali risulta difficile poter riconoscere carattere
pertinenziale, sotto il profilo urbanistico, all’opera in
questione: una tettoia di mq. 65,83
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
30.10.2012 n. 1747 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione
edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in
quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto
all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio
preesistente.
La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda
sul duplice presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti
dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici
sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non
vengano alterati o non siano destinati ad altro uso.
Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere
considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera
esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di
costruire.
Con riguardo agli ulteriori motivi di ricorso, il Collegio
condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la
quale “la realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n.
10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale
rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto
edilizio preesistente. La costruzione di una tettoia non
rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso
che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i
lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di
impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici
preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad
altro uso” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n.
21346).
Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere
considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera
esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di
costruire (TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n.
6544) (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 16.10.2012 n. 769 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
giurisprudenza distingue il concetto di pertinenza previsto
dal codice civile (artt. 817 e ss.) da quello inteso in
senso urbanistico, lì dove non assumono carattere
pertinenziale quei manufatti che pur svolgendo, come nel
caso di specie, una funzione servente rispetto al fabbricato
principale hanno dimensioni e caratteristiche di una certa
consistenza, tali da costituire una trasformazione dello
stato dei luoghi.
In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare
che anche ove ricorra un rapporto “pertinenziale” (in senso
civilistico) ciò non può giustificare la realizzazione di
opere di rilevante consistenza solo perché direttamente al
servizio della cosa principale.
La giurisprudenza distingue il
concetto di pertinenza previsto dal codice civile (artt. 817
e ss.) da quello inteso in senso urbanistico, lì dove non
assumono carattere pertinenziale quei manufatti che pur
svolgendo, come nel caso di specie, una funzione servente
rispetto al fabbricato principale hanno dimensioni e
caratteristiche di una certa consistenza, tali da costituire
una trasformazione dello stato dei luoghi (cfr. questa
Sezione n. 605 del 27/11/2006).
In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare
che anche ove ricorra un rapporto “pertinenziale” (in
senso civilistico) ciò non può giustificare la realizzazione
di opere di rilevante consistenza, come quelle qui in
rilievo, solo perché direttamente al servizio della cosa
principale (cfr. questo TAR, Sezione I n. 785 del
09/05/2000).
E, pertanto, nel caso di specie, tenuto anche conto che non
è stato in alcun modo dimostrato che l’intervento in
questione abbia comportato la realizzazione di un volume
inferiore al 20% del volume dell’edificio principale, non
può ritenersi che si tratti di mera pertinenza, ma della
realizzazione di un intervento qualificabile come addizione
volumetrica non pertinenziale, secondo quanto disposto dalla
L.R.T. n. 52/1999, ovvero come ristrutturazione con
ampliamento, secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 380/2001,
assoggettabile, in entrambi i casi a concessione
edilizia/permesso di costruire, e, in mancanza del
necessario titolo edilizio, a sanzione demolitoria
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 27.09.2012 n. 1568 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In materia urbanistica, a differenza che nella
materia civilistica, possono costituire pertinenze solo i
manufatti di dimensioni estremamente modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo
l'assetto del territorio.
In terzo luogo, come
correttamente rilevato dall’amministrazione appellata, le
opere in questione non possono neppure essere, sotto un
profilo urbanistico, considerate pertinenze perché in
materia urbanistica, a differenza che nella materia
civilistica, possono costituire pertinenze solo i manufatti
di dimensioni estremamente modeste e ridotte, inidonei,
quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del
territorio (Cons. St., VI, 11.05.2011 n. 2781)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 12.09.2012 n. 4850 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia in
relazione alla necessità e oggettività del rapporto
pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve
essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del
territorio.
In particolare, la realizzazione di una tettoia ovvero di
una veranda aperta è soggetta al preventivo rilascio del
permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide
sull’assetto edilizio preesistente.
La pertinenza urbanistica, sottratta al regime della
concessione edilizia, ha, infatti, caratteristiche diverse
da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi
nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile
principale, risultante, sotto il profilo funzionale, da
elementi oggettivi, e, in particolare, dalla ridotta
dimensione sia in senso assoluto che in relazione a quella
al cui servizio è complementare oltre che dall’ubicazione,
dal valore economico rispetto alla cosa principale e
dall’assenza del c.d. carico urbanistico.
Il manufatto che genera una rilevante alterazione del
territorio per dimensioni e struttura, pertanto, non può
costituire pertinenza ai fini urbanistici a prescindere dal
rilievo per cui, su area vincolata, la demolizione si impone
ogni qualvolta l’intervento non sia stato preceduto da
idoneo titolo proveniente dall’autorità preposta al vincolo.
Al riguardo il Collegio ritiene
opportuno precisare che:
- in sede edilizia la nozione di pertinenza va definita sia
in relazione alla necessità e oggettività del rapporto
pertinenziale sia alla consistenza dell’opera, che non deve
essere tale da alterare in modo significativo l’assetto del
territorio (TAR Campania, Napoli, sez. II, 21.05.2009, n. 2829);
- in particolare, la realizzazione di una tettoia ovvero di
una veranda aperta è soggetta al preventivo rilascio del
permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide
sull’assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli,
sez. VII, 12.12.2007, n. 16226);
- la pertinenza urbanistica, sottratta al regime della
concessione edilizia, ha, infatti, caratteristiche diverse
da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi
nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile
principale, risultante, sotto il profilo funzionale, da
elementi oggettivi, e, in particolare, dalla ridotta
dimensione sia in senso assoluto che in relazione a quella
al cui servizio è complementare oltre che dall’ubicazione,
dal valore economico rispetto alla cosa principale e
dall’assenza del c.d. carico urbanistico (TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 24.10.2007, n. 3644; Cons. di Stato,
sez. V, 13.06.2006, n. 3490);
- il manufatto che genera una rilevante alterazione del
territorio per dimensioni e struttura, pertanto, non può
costituire pertinenza ai fini urbanistici a prescindere dal
rilievo per cui, su area vincolata, la demolizione si impone
ogni qualvolta l’intervento non sia stato preceduto da
idoneo titolo proveniente dall’autorità preposta al vincolo
(TAR Lazio, Roma, sez. I, 10.04.2012, n. 3265).
Invero, i manufatti in questione hanno
caratteristiche costruttive, dimensionali e funzionali tali
da indurre univocamente a ritenere che:
- non sono opere minori: anche se legate da un rapporto di
pertinenzialità con l’edificio principale, danno vita ad un
organismo diverso per caratteristiche plano-volumetriche da
quello oggetto della concessione, modificando la sagoma e il
contorno del fabbricato con aumento della superficie utile;
- ben si annoverano tra quelle che alterano visibilmente e
notevolmente lo stato dei luoghi, mutando in maniera
permanente e significativa l’assetto urbanistico-edilizio
del territorio;
- come tali sono senz’altro abbisognevoli del preventivo
rilascio del permesso di costruire.
Essendo, in tal caso prevista, in assenza del
necessario titolo abilitativo, l’irrogazione della sanzione
di tipo demolitorio-ripristinatorio (art. 31 del d.P.R. n.
380/2001) l’ingiunzione alla demolizione delle opere
risultate abusive, gravata, deve essere considerata
legittima
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.09.2012 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Gazebo in legno necessita permesso a costruire.
L’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, ha lo scopo di
frenare il fenomeno dei c.d. abusi progressivi, infatti,
riconduce alla nozione di intervento di nuova costruzione,
anche le istallazioni di strutture non murarie, per le quali
è sempre necessario il permesso di costruire.
Una struttura
in legno costituita da un unico manufatto, non può essere
qualificata come semplice gazebo, in quanto assume la
consistenza di un vero e proprio piano in elevazione che
deve essere oggetto di concessione edilizia e di eventuale
autorizzazione paesaggistica. I caratteri della rimovibilità
della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano
per nulla, quando l’installazione attua una consistente
trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della
sua conformazione e della sua destinazione all’attività
imprenditoriale.
Inoltre, il carattere pertinenziale
dell'intervento non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in
luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di
pertinenza urbanistica ha peculiarità proprie che la
distinguono da quella civilistica, dal momento che il
manufatto, preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto
all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore
carico urbanistico.
In primo luogo, tale norma
regolamentare risulta implicitamente abrogata dall’art. 3,
lett. e.5), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, tra l’altro,
riconduce alla nozione di “intervento di nuova
costruzione" proprio “l'installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi
genere… che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Pertanto, a tutto voler concedere, l’articolo 8 del
regolamento edilizio comunale, nel ricondurre la
realizzazione di un gazebo alla nozione di “manutenzione
straordinaria” da attuarsi con d.i.a. potrebbe, forse
riferirsi ai soli gazebo, con funzioni analoghe agli
ombrelloni, che costituiscono semplici arredi temporanei
della terrazza, ma sicuramente non concerneva una struttura
che, per le sue notevoli dimensioni strutturali e per il suo
impatto visivo, integrava un’ipotesi del tutto differente
(ma sul punto vedi amplius infra). In ogni caso cui
non vi era alcuna pregiudiziale necessità di impugnare la
detta normativa regolamentare.
Parimenti è inconferente l’assunto circa la pretesa
necessità di impugnativa della nota della Soprintendenza del
1998 sia perché per i “gazebo” occorre comunque il
permesso di costruire è conseguentemente e sia perché la
stessa risultava, comunque, del tutto superata della cogente
valenza dell'art. 167, comma 4°, lett. c) del D.L.vo
22.01.2004 n. 42, per cui, in zona vincolata, anche in caso
di “manutenzione straordinaria" di cui all'articolo 3
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –come nel Comune di Forio-
devono essere comunque preceduti dalla previa verifica di
compatibilità paesaggistica dell'opera, con conseguente
irrilevanza dell'eventuale preventivo esercizio positivo del
controllo urbanistico/edilizio.
Per la giurisprudenza peraltro tale disciplina in caso di
realizzazione di “gazebo” deve sempre essere di
rigorosa applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2005
n. 714) (massima
tratta www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
caratteri della rimovibilità della struttura
e dell’assenza di opere murarie non rilevano
per nulla, quando l’installazione attua una
consistente trasformazione del tessuto
edilizio, in conseguenza della sua
conformazione e della sua destinazione
all’attività imprenditoriale.
---------------
Sul piano funzionale poi, la destinazione a
spazio destinato a soddisfare una migliore
sistemazione della clientela, non costituiva
un fine contingente ma una finalità
permanente -sia pure per una parte
dell'anno- che, come visto, comunque
necessita di concessione edilizia, a nulla
rilevando l'eventuale precarietà strutturale
del manufatto.
---------------
Il carattere “pertinenziale” all'intervento
in contestazione non muta il suo regime
giuridico (d.i.a. in luogo di quello
concessorio), in quanto la nozione di
“pertinenza urbanistica“ ha peculiarità
proprie che la distinguono da quella
civilistica, dal momento che il manufatto
-preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio- deve soprattutto
avere un volume modesto, rispetto
all'edificio principale in modo da escludere
ogni ulteriore “carico urbanistico”.
Come ricordato
l’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n.
380/2001, con l’evidente finalità di frenare
il fenomeno dei c.d. “abusi progressivi”,
riconduce alla nozione di “intervento di
nuova costruzione" anche le istallazioni
di strutture non murarie, con la diretta
conseguenza che, in tali ipotesi, sia sempre
necessario il “permesso di costruire”.
E ciò a maggior ragione nel caso di una
struttura in legno, che:
- di fatto costituivano un unico manufatto;
- occupava infatti la superficie della
terrazza superiore dell'Hotel (peraltro
abusivamente realizzato, con istanze di
condono edilizio ai sensi della L. 47/1985
ancora pendenti);
- era stata ottenuta mediante la
congiunzione di n. 4 “gazebo” (dei
quali due di 138 mq ciascuno e due da
complessivi mq. 102,2: mq. 59,9 e 46,28 mq)
per una superficie complessiva coperta di
ben mq. 378,84;
- aveva una copertura del tetto in tela di
plastica; con uno sviluppo massimo in
altezza delle coperture al colmo di ben mq.
3,45;
- era chiusa su tutti i lati esterni
attraverso paratie sovrastate da una
grigliatura;
- aveva due porte e due finestre (così
l’accertamento dei VV.UU. del 22.01.2006).
Le dimensioni e la finalità della struttura
realizzata implicavano che l’intervento non
potesse essere qualificato come semplice “gazebo”,
in quanto assumeva la consistenza di un vero
e proprio piano in elevazione che, come
tale, avrebbe dovuto in ogni caso essere
oggetto di concessione edilizia e di
autorizzazione paesaggistica.
Il “gazebo” costituiva infatti una
rilevante alterazione della sagoma esterna,
e finiva per avere un impatto visivo che
provocava un indubbio vulnus agli
eccezionali valori paesaggistici oggetto di
salvaguardia. Di qui, se non la compiacenza,
per lo meno l’erroneità della qualificazione
come “gazebo”, assunta
dall’amministrazione intimata come
presupposto del suo illegittimo rifiuto ad
intervenire.
I caratteri della rimovibilità della
struttura e dell’assenza di opere murarie
non rilevano per nulla, quando
l’installazione attua una consistente
trasformazione del tessuto edilizio, in
conseguenza della sua conformazione e della
sua destinazione all’attività
imprenditoriale (cfr. proprio a proposito di
gazebo: Sez. V 13.06.2006 n. 3490, Cons.
Sez. IV 06.06.2008 n. 2705).
Sul piano funzionale poi, la destinazione a
spazio destinato a soddisfare una migliore
sistemazione della clientela, non costituiva
un fine contingente ma una finalità
permanente -sia pure per una parte
dell'anno- che, come visto, comunque
necessita di concessione edilizia, a nulla
rilevando l'eventuale precarietà strutturale
del manufatto (Cfr. in tal senso: Consiglio
Stato, Sez. V 01.12.2003 n. 7822; Cons. St.,
sez. V, 20.04.2000 n. 2436, idem n. 419 del
27.01.2003; idem n. 696 dell'11.02.2003).
Per le predette ragioni, il carattere “pertinenziale”
all'intervento in contestazione non muta il
suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di
quello concessorio), in quanto la nozione di
“pertinenza urbanistica“ ha
peculiarità proprie che la distinguono da
quella civilistica, dal momento che il
manufatto -preordinato ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio-
deve soprattutto avere un volume modesto,
rispetto all'edificio principale in modo da
escludere ogni ulteriore “carico
urbanistico” (cfr. Consiglio Stato; Sez.
V n. 2325 del 18.04.2001; idem Sez. VI n.
1174 dell'08.03.2000).
In definitiva, se in relazione al ricordato
art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001,
la struttura avrebbe comunque richiesto la
concessione edilizia e non poteva essere
ontologicamente qualificata come intervento
di “manutenzione straordinaria”, in
quanto costituiva una alterazione “dell’aspetto
esteriore dell’edificio” non consentita
dalla lett. a) dell’art. 149 del d.lgs. n.
42/2004 e s.m.i .
L’amministrazione avrebbe quindi dovuto
qualificare correttamente la struttura come
intervento in zona vincolata soggetto a
concessione edilizia e, comunque, attivare
l’apposito sub-procedimento per
l’autorizzazione paesistica di cui all’art.
146 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4318 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Occorre distinguere il concetto
di pertinenza previsto dal diritto civile
dal più ristretto concetto di pertinenza
inteso in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Risulta infondata anche la censura
incentrata sulla natura pertinenziale delle
opere abusive in questione. Infatti secondo
una consolidata giurisprudenza (ex multis
TAR Lombardia Milano, Sez. II, 11.02.2005, n. 365; TAR Lazio, Sez. II,
04.02.2005, n. 1036) occorre
distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dalla ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento -non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato anche in
modo autonomo e separato- non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza
edilizia è più ristretto della nozione
civilistica, posto che il primo richiede che
il manufatto sia non solo preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale
e funzionalmente inserito al suo servizio ma
anche che sia sfornito di un autonomo valore
di mercato e dotato, comunque, di un volume
modesto, in modo da non determinare alcuna
incidenza sul cosiddetto carico urbanistico.
Il concetto di pertinenza
edilizia è più ristretto della nozione
civilistica, posto che il primo richiede che
il manufatto sia non solo preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale
e funzionalmente inserito al suo servizio ma
anche che sia sfornito di un autonomo valore
di mercato e dotato, comunque, di un volume
modesto, in modo da non determinare alcuna
incidenza sul cosiddetto carico urbanistico
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV,
12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza, 29.11.2008, n. 915; Tar
Campania-Napoli, sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte-Torino, sez. I,
13.06.2008, n. 1368)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura pertinenziale di un
manufatto.
La natura pertinenziale di un manufatto non
può essere astrattamente desunta
esclusivamente dalla destinazione (peraltro,
nella fattispecie, soltanto dichiarata e
pure incerta: «lavanderia o legnaia»)
o dalle caratteristiche costruttive, ma deve
risultare dalla oggettiva compresenza dei
requisiti richiesti (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 03.07.2012 n. 25669 - tratto
da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
INDIVIDUAZIONE DEGLI INDICI DELLA PERTINENZA URBANISTICA.
La natura pertinenziale di un manufatto non può essere
astrattamente desunta, esclusivamente dalla destinazione
o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare
dall’oggettiva compresenza di una serie di requisiti, la
cui sussistenza rende qualificabile come ‘‘pertinenziale’’
l’opera eseguita, in quanto tale non necessitante di
permesso
di costruire.
Di estremo interesse sicuramente la sentenza in commento,
con cui la Corte Suprema di sofferma con minuziosa
precisione
ad individuare le condizioni ed i requisiti oggettivamente
richiesti ai fini della qualificazione di un manufatto quale
‘‘pertinenza’’.
La vicenda processuale vedeva imputati due
soggetti, riconosciuti responsabili dei reati di cui agli
artt.
110 c.p., 44, lett. c), 64, 65, 71 e 72 del D.P.R. n. 380
del
2001 nonché dell’art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, per
aver
realizzato, in zona sismica e sottoposta a vincolo
paesaggistico,
in aderenza a preesistente fabbricato, un manufatto,
costituito dal solo piano terra, di m. 6,00 X 8,00 X 4,50 h.
con struttura in ferro e copertura in lamiere coibentate,
tompagnato
con blocchi di lapil-cemento su due lati, poggiante
su pilastrini in ferro cementati su cordolo in cls lungo il
perimetro
della tompagnatura.
Contro la sentenza di condanna
proponevano ricorso per cassazione i condannati, censurando,
per quanto qui di interesse, la sentenza di merito in
particolare
perché le opere realizzate avrebbero avuto natura
pertinenziale
in quanto destinate a lavanderia o legnaia e che tale
natura sarebbe stata desumibile dalla loro conformazione,
cosicché non sarebbe stato necessario, per la loro
esecuzione,
il permesso di costruire.
La Cassazione ha, tuttavia, dichiarato inammissibile il
ricorso,
precisando, in merito alla natura pertinenziale
dell’intervento,
che le caratteristiche peculiari della pertinenza
urbanistica
sono state più volte indicate, in vario modo, dalla
giurisprudenza
della Cassazione e possono essere così sintetizzate:
a) deve trattarsi di un’opera che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di
altro
fabbricato;
b) dev’essere preordinata ad un’oggettiva
esigenza
dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso;
c) dev’essere sfornita di
un
autonomo valore di mercato e non dev’essere valutabile in
termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo
(non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell’edificio
principale) tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche
dell’edificio principale, una sua destinazione
autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui
accede
la relazione con la costruzione preesistente;
d) dev’essere,
in ogni caso, non di integrazione ma ‘‘di servizio’’, allo
scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere
di strumentante funzionale);
e) il manufatto pertinenziale,
inoltre, deve accedere ad un edificio preesistente edificato
legittimamente;
f) deve necessariamente presentare la
caratteristica
della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere
dal rapporto con l’edificio principale;
g) non dev’essere
in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con
quelli eventualmente soltanto adottati.
E`
dunque evidente
che la natura pertinenziale di un manufatto non può essere
astrattamente desunta, esclusivamente dalla o dalle
caratteristiche
costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza
dei requisiti menzionati (in giurisprudenza, sui requisiti
richiesti per la qualifica ‘‘pertinenziale’’ del manufatto,
v. tra le tante: Cass. pen., sez. III, 18.10.2008, n.
37257,
in Ced Cass., n. 241278) (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.07.2012 n. 25669
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 10/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muovendo dall'art. 878 c.c., è
muro di cinta, quello che non ha un'altezza
superiore a tre metri e che solo per un
manufatto di queste dimensioni è ravvisabile
la possibilità di applicare l'art. 4 del
D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L.
04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5
D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito
dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n.
662, nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001
n. 380).
In tali limiti va, pertanto, interpretato il
comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha
subordinato alla denunzia d'inizio
d'attività gli interventi ivi indicati (tra
i quali "recinzioni, mura di cinta e
cancellate").
---------------
Nel caso in cui la funzione del muro sia
quella di sostenere, il muro stesso deve
essere autorizzato mediante il rilascio di
una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una
consistenza diversa dalle recinzioni, dalle
quali si differenziano per funzione (che non
è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma,
essenzialmente, di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello
stesso) e struttura (che deve, appunto,
essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può
essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, il muro di contenimento,
destinato a contenere o sostenere esso
stesso dei volumi ulteriori, invece, viene
assimilato alla categoria delle costruzioni:
in tal caso, infatti, il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato
(cfr. di recente sez. IV, 03.05.2011, n.
2621) è nel senso che, muovendo dall'art.
878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha
un'altezza superiore a tre metri e che solo
per un manufatto di queste dimensioni è
ravvisabile la possibilità di applicare
l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398
(convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493,
modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n.
425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L.
23.12.1996, n. 662, nel testo risultante
dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del
T.U. 06.06.2001 n. 380); in tali limiti va,
pertanto, interpretato il comma 7 dell’art.
4 sopracitato, il quale ha subordinato alla
denunzia d'inizio d'attività gli interventi
ivi indicati (tra i quali "recinzioni,
mura di cinta e cancellate") e che
erroneamente -in punto di fatto- il
ricorrente invoca a proprio vantaggio.
---------------
In proposito, è
sufficiente richiamare, ex multis, la
sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165,
secondo la quale, nel caso in cui la
funzione del muro sia quella di sostenere,
il muro stesso deve essere autorizzato
mediante il rilascio di una concessione
edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una
consistenza diversa dalle recinzioni, dalle
quali si differenziano per funzione (che non
è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma,
essenzialmente, di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello
stesso) e struttura (che deve, appunto,
essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può
essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, il muro di contenimento,
destinato a contenere o sostenere esso
stesso dei volumi ulteriori, invece, viene
assimilato alla categoria delle costruzioni:
in tal caso, infatti, il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico (cfr. TAR
Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106;
27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte 07.05.2003,
n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n.
492; 19.10.1994, n. 345)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.07.2012 n. 1265 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica.
-------------
Occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle
caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dal ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento –non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato in modo
autonomo e separato (ndr: garage interrato
regolarmente avente una superficie di 48,50
mq. e con altezza di 2,30 mt.)– non può
ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì
da escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
---------------
La mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
---------------
L’ordinanza di demolizione non richiede, in
linea generale, una specifica motivazione;
l’abusività costituisce di per sé
motivazione sufficiente per l’adozione della
misura repressiva in argomento. Ne consegue
che, in presenza di un’opera abusiva,
l’autorità amministrativa è tenuta ad
intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere.
Infatti, l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi”.
Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza
di demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l’ordinanza atto dovuto, essa è
sufficientemente motivata con l’accertamento
dell’abuso, essendo “in re ipsa” l’interesse
pubblico alla sua rimozione e sussistendo
l’eventuale obbligo di motivazione al
riguardo solo se l’ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall’ultimazione dell’opera avendo l’inerzia
dell’amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato.
---------------
In presenza di un intervento edilizio
realizzato in assenza del prescritto
permesso di costruire, l'ordine di
demolizione costituisce atto dovuto, mentre
la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi.
-------------
I provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241
del 1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione.
Oggetto della
presente controversia è il provvedimento con
il quale il Comune di Somma Vesuviana ha
ingiunto al ricorrente di demolire un
manufatto realizzato sopra un garage
interrato regolarmente assentito con DIA del
23.04.2004 (prot. 5638), avente una
superficie di 48,50 mq. e con altezza di
2,30 mt.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta
che l’intervento edilizio contestato,
concretandosi nella realizzazione di un
volume tecnico, ricadrebbe nella disciplina
di cui all’art. 22, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001 con l’applicazione, in ipotesi,
della sola sanzione pecuniaria.
Il motivo non ha pregio.
Il ricorrente ha realizzato un nuovo volume,
di rilevanti dimensioni, al di sopra di un
garage interrato e ciò avrebbe richiesto, ex
art. 10, comma 1, lett. a), del D.P.R. n.
380/2001 la previa acquisizione del permesso
di costruire nonché, trattandosi di zona paesaggisticamente vincolata ai sensi del
d.lgs. n. 42/2004, dell’autorizzazione
paesaggistica; con la conseguenza che
l’amministrazione, constatata l’assenza dei
predetti titoli, ha correttamente ordinato
la demolizione dell’opera ai sensi dell’art.
31 del D.P.R. n. 380/2001.
Il nuovo manufatto non può, poi, per le sue
caratteristiche essere considerato né volume
tecnico (seppure così formalmente definito
dal provvedimento), né pertinenza
dell’abitazione (primo e secondo motivo).
Si è, in particolare, evidenziato come nella
fattispecie si tratti di un nuovo volume
della superficie di circa 48 mq. con altezza
di circa 2 metri che sorge su un garage
interrato, sicuramente suscettibile di
autonoma utilizzazione. Sul punto la
giurisprudenza ha statuito che “La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica” (ex multis, TAR Piemonte
Torino, sez. I, 14.01.2011 , n. 16).
Quanto alla censura circa la natura
pertinenziale delle opere abusive in
questione, secondo una consolidata
giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 365;
TAR Lazio, sez. II, 04.02.2005, n.
1036) occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire. Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento
abusivo realizzato dal ricorrente risultanti
dalla motivazione dell’ordine di
demolizione, il predetto intervento –non
essendo coessenziale ad un bene principale e
potendo essere successivamente utilizzato in
modo autonomo e separato– non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
In relazione alla censura inerente la
mancata verifica della reale difformità
dell’abuso rispetto al titolo posseduto,
osserva il Collegio come il provvedimento
indichi con chiarezza che l’intervento
edilizio colpito dalla sanzione
ripristinatoria è il volume edificato sopra
il garage (regolarmente assentito). L’opera
in questione è stata realizzata in totale
difformità dal titolo –la DIA del 23.03.2004– il cui contenuto era limitato alla
realizzazione di un parcheggio interrato.
Legittima sotto questo profilo
l’applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n.
380/2001.
Nessun dubbio può quindi porsi sull’oggetto
della disposta demolizione mentre, come più
volte affermato dalla giurisprudenza, la
mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
Non rileva neppure che il parcheggio sia
stato in precedenza considerato legittimo
dal punto di vista urbanistico. La
circostanza, infatti, che l’amministrazione
abbia consentito la costruzione di un
manufatto interrato non implica la
possibilità per il ricorrente di edificarvi,
senza alcun titolo, un ulteriore volume.
Infondato anche la censura di difetto di
motivazione per non aver l’amministrazione
qualificato la gravità dell’illecito
edilizio. Come affermato dalla
giurisprudenza in presenza di un abuso
edilizio “l’ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l’abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l’adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un’opera
abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma,
sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti
“l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona,
sez. I, 12.10.2006 , n. 824) ed,
ancora, “presupposto per l'emanazione
dell'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in
totale difformità del titolo concessorio,
con la conseguenza che, essendo l’ordinanza
atto dovuto, essa è sufficientemente
motivata con l’accertamento dell’abuso,
essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico
alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale
obbligo di motivazione al riguardo solo se
l’ordinanza stessa intervenga a distanza di
tempo dall’ultimazione dell’opera avendo
l’inerzia dell’amministrazione creato un
qualche affidamento nel privato” (Consiglio
di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270).
Peraltro, in presenza di un intervento
edilizio realizzato in assenza del
prescritto permesso di costruire, l'ordine
di demolizione costituisce atto dovuto,
mentre la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi (secondo motivo).
Destituita di ogni fondamento risulta la
censura incentrata sulla omissione della
fase partecipativa al procedimento
(violazione dell’art. 7 della legge n. 241
del 1990 – terzo motivo) in quanto i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
(ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV
12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n.
651), perché trattasi di provvedimenti
tipizzati e vincolati, che presuppongono un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si
aderisse all’orientamento che ritiene
necessaria tale comunicazione anche per gli
ordini di demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies,
comma 2 della legge n. 241 del 1990
(introdotto dalla legge n. 15/2005), nella
parte in cui dispone che “non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3048 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di “pertinenza urbanistica” nel
campo urbanistico-edilizio è meno ampia di
quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque
non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché
destinate al servizio di un bene qualificato
principale.
La
nozione di “pertinenza urbanistica”
nel campo urbanistico-edilizio è, infatti,
meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e dunque non può consentire la
realizzazione di opere di grande consistenza
soltanto perché destinate al servizio di un
bene qualificato principale.
All’opposto, deve dirsi che la natura
pertinenziale dell’opera va esclusa per il
muro in questione che ha una ragguardevole
dimensione, presentando una lunghezza di
metri lineari 37,00, un’altezza di metri
0,75 e una profondità di metri 0,45;
inoltre, lo stesso è stato elevato di
ulteriori metri 2,00 e ha raggiunto una
lunghezza di metri 12,00.
Per quanto le osservazioni appena svolte
appaiano dirimenti, deve, osservarsi, ‘ad
abundantiam’ che, quand’anche si
ritenessero le opere pertinenziali e,
quindi, assentibili con mera D.I.A.,
l’applicazione della sanzione demolitoria ai
sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 non
potrebbe essere esclusa in ragione della
insistenza delle opere in questione in area
vincolata.
Le stesse argomentazioni valgono a
respingere l’obiezione che si tratterebbe di
opere di modesta entità e irrilevanti sotto
il profilo urbanistico, posto che a
differenza di quanto sostenuto dal
ricorrente, la costruzione di un muro delle
riportate dimensioni ha una valenza di tipo
paesaggistico e comporta una duratura
trasformazione del territorio, che è
assoggettato a vincolo paesaggistico.
Tali interventi necessitano, quindi, sia del
previo titolo abilitativo sotto il profilo
paesaggistico che di quello
edilizio/urbanistico, ovvero, quanto a
quest’ultimo, del permesso di costruire (o
di titolo alternativo ai sensi dell’art. 22,
comma 3, d.P.R. 380 del 2001)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.06.2012 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto riguarda l’asserito
carattere pertinenziale di una tettoia, va
ricordato che:
- la regola dell'assoggettamento al previo
rilascio del permesso di costruire di ogni
attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio non
riguarda la sola attività di edificazione,
ma tutti i manufatti che modificano in modo
apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione con
rilievo ambientale, estetico o anche solo
funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica;
- ai fini urbanistici, la strumentalità
propria della nozione civilistica di
pertinenza prescinde dalla destinazione
soggettivamente data dal proprietario, non
potendosi in specie ritenere beni
pertinenziali quegli interventi edilizi che,
pur legati da un vincolo di servizio al bene
principale, tuttavia non sono coessenziali
ma ulteriori ad esso, in quanto per un verso
suscettibili di utilizzo autonomo e, per
altro verso, tali da occupare aree e volumi
diversi;
- in tali casi l'impatto volumetrico
dell'intervento, incidendo in modo
permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, giustifica la
necessità del permesso di costruire, con
conseguente applicabilità del regime
demolitorio.
Per quanto riguarda l’asserito carattere
pertinenziale di una tettoia, va ricordato
che:
- la regola dell'assoggettamento al previo
rilascio del permesso di costruire di ogni
attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio non
riguarda la sola attività di edificazione,
ma tutti i manufatti che modificano in modo
apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione con
rilievo ambientale, estetico o anche solo
funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica;
- ai fini urbanistici, la strumentalità
propria della nozione civilistica di
pertinenza prescinde dalla destinazione
soggettivamente data dal proprietario, non
potendosi in specie ritenere beni
pertinenziali quegli interventi edilizi che,
pur legati da un vincolo di servizio al bene
principale, tuttavia non sono coessenziali
ma ulteriori ad esso, in quanto per un verso
suscettibili di utilizzo autonomo e, per
altro verso, tali da occupare aree e volumi
diversi;
- in tali casi l'impatto volumetrico
dell'intervento, incidendo in modo
permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, giustifica la
necessità del permesso di costruire, con
conseguente applicabilità del regime
demolitorio (cfr. Cons. St. Sez. IV, 13.10.2010 n. 7481; Tar Campania, VI,
07.09.2009 n. 4899; Tar Basilicata,
29.11.2008, n. 915) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.05.2012 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Occorre
distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle
caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dalla ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento -non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato anche in
modo autonomo e separato- non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
Allo stesso modo, è del tutto irrilevante la
pretesa modestia delle opere realizzate, una
volta accertato che per la realizzazione
delle stesse occorreva il permesso di
costruire
Risulta infondata la censura incentrata
sulla natura pertinenziale delle opere
abusive in questione. Infatti secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis TAR
Lombardia Milano, Sez. II, 11.02.2005,
n. 365; TAR Lazio, Sez. II, 04.02.2005, n. 1036) occorre distinguere il
concetto di pertinenza previsto dal diritto
civile dal più ristretto concetto di
pertinenza inteso in senso urbanistico, che
non trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento
abusivo realizzato dalla ricorrente
risultanti dalla motivazione dell’ordine di
demolizione, il predetto intervento -non
essendo coessenziale ad un bene principale e
potendo essere successivamente utilizzato
anche in modo autonomo e separato- non può
ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì
da escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
Allo stesso modo, è del tutto irrilevante la
pretesa modestia delle opere realizzate, una
volta accertato che per la realizzazione
delle stesse occorreva il permesso di
costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza
14.05.2012 n.
2230 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione civilistica di pertinenza è più
ampia di quella applicata nella materia
urbanistica, nel senso che beni, che in
diritto civile assumono senz'altro natura
pertinenziale, non sono tali ai fini
dell'applicazione delle regole che governano
l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono
autonomia rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio; pertanto, in materia edilizia
sono qualificabili come pertinenze solo le
opere prive di autonoma destinazione e che
esauriscano la loro destinazione d'uso nel
rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
Quanto al
terzo motivo, giova osservare che la
sentenza impugnata ha fatto corretta
applicazione della nozione di “pertinenza”
ai fini edilizi, come elaborata dalla
giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato,
sez. IV, 23.07.2009 n. 4636), secondo la
quale la nozione civilistica di pertinenza è
più ampia di quella applicata nella materia
urbanistica, nel senso che beni, che in
diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini
dell'applicazione delle regole che governano
l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono
autonomia rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio; pertanto, in materia edilizia
sono qualificabili come pertinenze solo le
opere prive di autonoma destinazione e che
esauriscano la loro destinazione d'uso nel
rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
10.05.2012 n. 2723 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: a)
la nozione di “pertinenza urbanistica” ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono
da quella civilistica: si deve trattare,
invero, di un’opera -che abbia comunque una
propria individualità fisica e una propria
conformazione strutturale e non sia parte
integrante o costitutiva di altro
fabbricato- preordinata a un’oggettiva
esigenza dell’edificio principale,
funzionalmente e oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell’edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile cui accede. La
pertinenza, in definitiva, esaurisce la
propria destinazione d’uso nel rapporto
funzionale con l’edificio principale, così
da non incidere sul carico urbanistico;
b) nello specifico, la relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in
ogni caso, non d’integrazione ma “di
servizio”, allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale), sicché non può
ricondursi alla nozione in esame
l’ampliamento di un edificio mediante
l’edificazione di un vano e relativi
servizi, che, per la relazione di
connessione fisica, costituisce parte di
esso quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché
soddisfi ai bisogni cui è destinato.
Secondo
giurisprudenza consolidata:
a) la nozione di “pertinenza urbanistica”
ha peculiarità sue proprie, che la
distinguono da quella civilistica: si deve
trattare, invero, di un’opera -che abbia
comunque una propria individualità fisica e
una propria conformazione strutturale e non
sia parte integrante o costitutiva di altro
fabbricato- preordinata a un’oggettiva
esigenza dell’edificio principale,
funzionalmente e oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell’edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile cui accede. La
pertinenza, in definitiva, esaurisce la
propria destinazione d’uso nel rapporto
funzionale con l’edificio principale, così
da non incidere sul carico urbanistico (TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 25.01.2012, n.
164; TAR Marche, Ancona, sez. I, 01.08.2011,
n. 634; TAR Abruzzo Pescara, sez. I,
17.11.2010, n. 1221).
b) nello specifico, la relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in
ogni caso, non d’integrazione ma “di
servizio”, allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale), sicché non può
ricondursi alla nozione in esame
l’ampliamento di un edificio mediante
l’edificazione di un vano e relativi
servizi, che, per la relazione di
connessione fisica, costituisce parte di
esso quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché
soddisfi ai bisogni cui è destinato
(Cassazione penale, sez. III, 24.03.2010, n.
24241).
Ora, nel caso di specie, trattasi di vano,
con relativi servizi, privo di una propria
individualità fisica e di una propria
conformazione strutturale in quanto parte di
altro fabbricato (l’abitazione già
esistente), della quale costituisce un
ampliamento, completandola per i bisogni cui
è destinato (a residenza familiare),
valutabile in termini di cubatura (mq. 47,12
pari a mc. 162,50: cfr. dichiarazione del 6
dicembre 2004, allegata alla domanda di
definizione degli illeciti edilizi) e,
dunque, tale incidere sul carico
urbanistico.
Incorre, pertanto, nell’abuso edilizio colui
che realizza un ampliamento dell’abitazione
di proprietà, già sanata, in una zona
sottoposta a vincolo paesaggistico, non
suscettibile, per i motivi anzidetti, di
sanatoria edilizia (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 02.05.2012 n. 757 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza sulle piscine è molto
variegata e questo stesso tribunale ha
affermato che le piscine in generale hanno
la natura di opere pertinenziali che
non implicano consumo dei suoli per le loro
caratteristiche; vi è comunque
una giurisprudenza maggioritaria che afferma
l’illegittimità degli atti di diniego
assunti dall’amministrazione motivati con
espressioni stereotipate, generiche che non
facciano riferimento ad elementi concreti
della fattispecie considerata quali la
visibilità o l’impatto del manufatto le
dimensioni della piscina in relazione alla
estensione del terreno circostante in cui la
stessa è collocata.
Invero, l'Amministrazione, nell'adottare un
provvedimento di diniego del richiesto
nulla-osta per la costruzione in area
soggetta a vincolo paesaggistico, non può
limitare la sua valutazione al mero
riferimento ad un pregiudizio ambientale,
utilizzando espressioni vaghe o formule
stereotipate, ma tale motivazione deve
contenere una sufficiente esternazione delle
specifiche ragioni per le quali si ritiene
che un'opera non sia idonea ad inserirsi
nell'ambiente, attraverso l'individuazione
degli elementi di contrasto; pertanto,
occorre un concreto ed analitico
accertamento del disvalore delle valenze
paesaggistiche (nel caso di specie, la
motivazione del diniego era del tutto
generica e stereotipata, non essendovi nel
provvedimento alcun riferimento puntuale al
progetto presentato o alla situazione dei
luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare
la piscina).
Premesso che la giurisprudenza sulle piscine
è molto variegata e questo stesso tribunale
ha affermato che le piscine in generale
hanno la natura di opere pertinenziali che
non implicano consumo dei suoli per le loro
caratteristiche (TAR Liguria Genova, sez.
I, 16.02.2008, n. 299); vi è comunque
una giurisprudenza maggioritaria che afferma
l’illegittimità degli atti di diniego
assunti dall’amministrazione motivati con
espressioni stereotipate, generiche che non
facciano riferimento ad elementi concreti
della fattispecie considerata quali la
visibilità o l’impatto del manufatto le
dimensioni della piscina in relazione alla
estensione del terreno circostante in cui la
stessa è collocata.
Si è infatti affermato che
“L'Amministrazione, nell'adottare un
provvedimento di diniego del richiesto nulla
osta per la costruzione in area soggetta a
vincolo paesaggistico, non può limitare la
sua valutazione al mero riferimento ad un
pregiudizio ambientale, utilizzando
espressioni vaghe o formule stereotipate, ma
tale motivazione deve contenere una
sufficiente esternazione delle specifiche
ragioni per le quali si ritiene che un'opera
non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente,
attraverso l'individuazione degli elementi
di contrasto; pertanto, occorre un concreto
ed analitico accertamento del disvalore
delle valenze paesaggistiche (nel caso di
specie, la motivazione del diniego era del
tutto generica e stereotipata, non essendovi
nel provvedimento alcun riferimento puntuale
al progetto presentato o alla situazione dei
luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare
la piscina)" (TAR Lazio Roma, sez. II, 08.10.2008, n. 8829).
Ora senza giungere a quelle affermazioni
perentorie che pure si trovano in
giurisprudenza secondo le quali “L'introduzione dell'elemento «piscina» in
uno scenario naturalistico bello come quello
dell'Isola di Capri non comporta, di regola,
l'eliminazione di essenze arboree (o
comunque ne comporta un'eliminazione assai
limitata) e migliora significativamente
l'impatto ambientale” (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n.
19288), tuttavia va riconosciuto come
afferma il ricorso che nel caso di specie,
non vi è alcun elemento di specificità nel
provvedimento impugnato che consenta al
lettore neppure di immaginare le dimensioni
del manufatto ed il suo rapporto con
l’ambiente circostante.
Ciò denuncia l’esistenza dei numerosi
profili di eccesso di potere lamentati con
il primo motivo di ricorso in relazione alle
notevoli dimensioni del terreno (17.000 mq.)
mantenuto a giardino e parco alberato,
all’interno del quale la piscina di modeste
dimensioni (m. 10,25 per m. 5,30) è collocata.
La documentazione fotografica mostra poi
come il muro di sostegno regolarmente
autorizzato mascheri l’impatto della piscina
risultando pertanto apodittiche e smentite
dai documenti sia “le notevoli dimensioni
del manufatto” apprezzabili solo in
relazione all’estensione ed alla
destinazione dell’ambiente circostante, sia
con riferimento all’affermazione senza
ulteriori specificazioni secondo la quale la
piscina “non si inserirebbe in maniera
appropriata” nel contesto naturalistico
sottoposto a tutela
(TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 27.04.2012 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
la tettoia è ingombrante non ha carattere pertinenziale ed
è quindi necessario il
permesso di costruire.
Il Giudice capitolino nella sentenza in
esame ha ritenuto infondata la censura
formulata dal ricorrente secondo la quale le
tettoie in contestazione avrebbero carattere
pertinenziale: tale natura va infatti negata
alle opere che, pur accedendo ad un edificio
principale, abbiano un ingombro non
indifferente.
Le fotografie in atti, unitamente alla
descrizione delle opere recata nell’atto
impugnato con l’indicazione delle dimensioni
delle stesse, consentono di escludere che le
tettoie abbiano una funzione di mera
protezione dell’immobile dalle intemperie:
esse realizzano infatti una modifica non
indifferente al prospetto dell’edificio, che
avrebbe richiesto di essere preceduto da
permesso di costruire
(TAR Lazio, Sez. I-quater,
sentenza 11.04.2012 n. 3258
- massima
tratta da
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una tettoia
(di non irrilevante consistenza
dimensionale) ancorata al suolo costituisce
opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi
e a trasformare il territorio
permanentemente ed è tale da richiedere il
rilascio del permesso di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale. In
altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
dell'opera.
---------------
La nozione di pertinenza in materia edilizia
è più ristretta di quella civilistica ed è
riferibile ai soli manufatti di dimensioni
tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono da potersi considerare
sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo
edilizio, non potendosi, conseguentemente,
attribuire carattere pertinenziale ai fini
edilizi ad opere di rilevante consistenza,
anche se destinate al servizio od ornamento
del bene principale.
● Considerato, in punto di diritto, che le
disposizioni della legge n. 326 del 2003
subordinano il rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria –tra
l’altro- alla:
- riconducibilità delle opere realizzate alle tipologie d’illecito
descritte nell’allegato 1, con la
precisazione, contenuta nell’art. 32, comma
26, lett. a), della legge n. 326 del 2003,
che, nell'ambito degli immobili soggetti a
vincolo di cui all'articolo 32 della legge
28.02.1985, n. 47, sono ammesse (unicamente)
le tipologie descritte ai numeri 4, 5 e 6
ovvero:
a) opere di restauro e risanamento
conservativo come definite dall'articolo 3,
comma 1, lettera c) del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, realizzate in assenza o in
difformità dal titolo abilitativo edilizio,
nelle zone omogenee A di cui all'articolo 2
del decreto ministeriale 02.04.1968, n.
1444;
b) opere di restauro e risanamento
conservativo come definite dall'articolo 3,
comma 1, lettera c) del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, realizzate in assenza o in
difformità dal titolo abilitativo edilizio;
c) opere di manutenzione straordinaria, come
definite all'articolo 3, comma 1, lettera b)
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, realizzate in
assenza o in difformità dal titolo
abilitativo edilizio; opere o modalità di
esecuzione non valutabili in termini di
superficie o di volume;
- insussistenza di preclusioni alla sanatoria ai sensi dell’art.
32, comma 27, della legge medesima e degli
artt. 32 e 33 della L. 28.02.1985, n. 47;
● Considerato che il punto nodale della
vicenda oggetto di contenzioso consiste, ad
avviso del Collegio, nello stabilire se le
opere per le quali il ricorrente ha invocato
il condono siano da considerarsi “nuova
costruzione”, dato che la
riconducibilità o meno a tale categoria
appare dirimente ai fini della valutazione
in ordine alla loro condonabilità, anche
avuto riguardo a quanto stabilito dall’art.
2 della L.R. 10.11.2004, n. 33, recante
disposizioni regionali per l’attuazione
della sanatoria edilizia degli abusi edilizi
prevista dall'articolo 32 del decreto-legge
30.09.2003, n. 269, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24.11.2003, n.
326, che precisa, per l’appunto, che “ai
fini della presente legge si intende per
nuova costruzione il manufatto che risulti
realizzato in forma autonoma non connesso o
pertinente ad altro manufatto esistente”,
lasciando, conseguentemente, intendere che
la sola “nuova costruzione” incontra
i limiti imposti dalla normativa sul
condono;
● Considerato che la realizzazione di una
tettoia (di non irrilevante consistenza
dimensionale) ancorata al suolo costituisce
opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi
e a trasformare il territorio
permanentemente ed è tale da richiedere il
rilascio del permesso di costruire (TAR
Piemonte, sez. I, 16.03.2009, n. 752);
● Considerato che è noto, del resto, che la
nozione di costruzione, ai fini del rilascio
del permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309; C.d.S., sez. IV, n. 2705 del 2008).
In altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.
I-quater, n. 11679 del 23.11.2007);
● Considerato che, applicando le coordinate
su indicate al caso di specie, si può
affermare che il manufatto realizzato,
ancorché collocato all’interno della
proprietà del ricorrente e deputato a
servizio dell’edificio principale, per i
materiali utilizzati, le caratteristiche
strutturali e le dimensioni (copre una
superficie di mq. 50,40), sia tale da
configurare una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio
suscettibile di autonomo utilizzo,
preordinato a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale, in
quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi ed a comportare una significativa
trasformazione del territorio (cfr., ex
multis, C.d.S., sez. V, 13.06.2006, n.
3490; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.06.2008,
n. 5965; id., sez. I-quater, 23.11.2007, n.
11679), dato –tra l’altro- che non appare
condivisibile la riduttiva definizione
dell’intervento sopra descritto come mera
pertinenza, atteso che, per principio
pacifico, la nozione di pertinenza in
materia edilizia è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile ai soli
manufatti di dimensioni tanto modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da
potersi considerare sostanzialmente
irrilevanti sotto il profilo edilizio, non
potendosi, conseguentemente, attribuire
carattere pertinenziale ai fini edilizi ad
opere di rilevante consistenza, anche se
destinate al servizio od ornamento del bene
principale (fra le tante, TAR Lombardia
Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045);
● Considerato, in ogni caso, che non sono
stati offerti in questa sede elementi per
poter verificare la sussumibilità della
tettoia realizzata tra gli interventi
pertinenziali non costituenti nuova
costruzione, secondo la definizione
ritraibile dalla lettura “a contrario”
dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R.
n. 380 del 2001, dato che il ricorrente non
ha ritenuto di portare a conoscenza di
questo giudice il volume dell’edificio
principale, sì da consentire di accertare
che quello dell’opera abusiva realizzata è
effettivamente inferiore al 20% del primo,
come dallo stesso, invero, solo
ripetutamente affermato;
● Considerato, inoltre, che, nella zona ove
è stata realizzata l’opera, il PRGC non
consente la realizzazione di parcheggi, se
non nel sottosuolo o al piano terra degli
edifici, derivandone, anche per tale motivo,
che le opere deputate a tale funzione
realizzate isolatamente, come la tettoia in
questione, costituiscono nuova costruzione;
● Considerato, altresì, che, ai fini della
qualificazione di una costruzione, rilevano
le caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta
(fra le tante TAR Campania-Napoli, sez. II,
sentenza 31.10.2011 n. 5093);
● Ritenuto, conseguentemente, che, alla luce
delle considerazioni innanzi svolte, debba
ritenersi corretta la qualificazione
dell’illecito quale nuova costruzione,
riconducibile alla tipologia n. 1 (“opere
realizzate in assenza o in difformità del
titolo abilitativo edilizio e non conformi
alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici”)
dell’allegato 1 alla legge n. 326 del 2003,
in quanto tale non suscettibile di sanatoria
edilizia ai sensi dell’art. 32, comma 26,
lett. a), della legge medesima, data la
sottoposizione della zona nell’ambito della
quale è ubicato il manufatto abusivo a
vincolo ambientale e paesaggistico ai sensi
del D.Lgs. n. 42/2004, ove sono ammesse a
sanatoria solo le tipologie di illecito 4, 5
e 6 descritte nel medesimo allegato 1;
● Ritenuto, invero, che le censure svolte
dal ricorrente (“Violazione e/o falsa
applicazione di legge con rifermento agli
artt. 3 e 10-bis della legge 07.08.1990, n.
241 e s.m.i.; all’art. 4 della L.R.
Piemontese 08.07.1999, n. 19; all’art. 4
della L.R. Piemontese 10.11.2004, n. 33;
nonché all’art. 1, commi 37 e 39, della
legge 15.12.2004, n. 308 e s.m.i.;
violazione del principio del giusto
procedimento e del legittimo affidamento.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti
e dei presupposti; difetto e/o insufficienza
di istruttoria e di motivazione;
irragionevolezza, contraddittorietà,
ingiustizia grave e manifesta; illogicità,
perplessità, sviamento”) non siano in
grado di inficiare la legittimità del
diniego opposto (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 11.04.2012 n. 438 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La nozione edilizia di pertinenzialità ha
connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa
rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico, e cioè
che la prima risulti priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato
e che esaurisca la propria destinazione
d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una
categoria di interventi individuata non
attraverso la nozione civilistica di cui
all'art. 817 c.c. ma in ragione della
modesta rilevanza economica e del limitato
peso per il territorio.
Una pertinenza, per poter essere definita
tale, deve avere una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale e non essere parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato. Deve,
inoltre, essere preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede. Ciò che
più rileva è il rapporto con la costruzione
preesistente che deve essere, quindi, non di
integrazione ma asservimento, per cui deve
renderne più agevole e funzionale l'uso, ma
non divenire parte essenziale dello stesso.
Occorre verificare, in particolare, se possa
condividersi la tesi attorea secondo cui le
opere suindicate -una tettoia chiusa
adibita a wc e lavanderia- integri la
nozione di "intervento pertinenziale" ex
art. 3, comma 1, lett. e.6) d.P.R. n.
380/2001.
A tal fine, devono richiamarsi i criteri
definitori della suddetta nozione così come
elaborati dalla giurisprudenza:
- la nozione edilizia di pertinenzialità ha
connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa
rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico, e cioè
che la prima risulti priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato
e che esaurisca la propria destinazione
d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.10.2010, n. 7549);
- sul piano urbanistico le pertinenze sono
una categoria di interventi individuata non
attraverso la nozione civilistica di cui
all'art. 817 c.c. ma in ragione della
modesta rilevanza economica e del limitato
peso per il territorio (v. Consiglio di
Stato, sez. IV 13.01.2010, n. 41;
TAR Brescia, sez. I 13.10.2008, n.
1259; TAR Brescia, sez. I, 22.09.2010, n. 3555);
- una pertinenza, per poter essere definita
tale, deve avere una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale e non essere parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato. Deve,
inoltre, essere preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede. Ciò che
più rileva è il rapporto con la costruzione
preesistente che deve essere, quindi, non di
integrazione ma asservimento, per cui deve
renderne più agevole e funzionale l'uso, ma
non divenire parte essenziale dello stesso
(TAR Marche Ancona, sez. I, 20.04.2010, n. 182).
Ebbene, ritiene il Tribunale che l'immobile
oggetto di controversia risponda alla
definizione di pertinenza, urbanisticamente
rilevante, offerta dalle massime citate.
In primo luogo, infatti, lo stesso è
caratterizzato da una modesta rilevanza
economica e dimensionale: dall'ordinanza di
demolizione del 05.01.2010 si evince infatti
che il manufatto de quo occupa una
superficie di soli mq. 13,40 ed ha un
ingombro volumetrico di appena mc. 38,20.
Inoltre, non può negarsi che l'immobile in
questione sia funzionalmente asservito
all'abitazione cui accede: basti osservare
che la sua destinazione a wc e lavanderia e
la sua contiguità spaziale all'immobile
principale non consentono di ipotizzare un
uso autonomo rispetto a quest'ultimo,
essendo destinato ad assolvere ad integrare
le utilità che esso è in grado di offrire ai
suoi utilizzatori.
Infine, deve escludersi che il manufatto de
quo costituisca parte integrante
dell'immobile principale, essendo
sufficiente, a denotarne l'autonomia
rispetto ad esso, la presenza di un ingresso
autonomo (cfr. pag. 6 dell'atto di
intervento ad opponendum).
La natura pertinenziale delle opere di cui
si discute, non presa in considerazione
dall'amministrazione intimata sebbene
evidenziata dalla parte ricorrente con
l'istanza di accertamento di conformità
urbanistica e paesaggistica oggetto di
diniego, è sufficiente a determinare
l'illegittimità, per difetto di motivazione,
dei provvedimenti impugnati.
E' evidente, infatti, che il suo positivo
riconoscimento avrebbe quantomeno inciso sul
regime sanzionatorio applicabile, non
potendo questo identificarsi -ove non sia
configurabile una "nuova costruzione"- in
quello ripristinatorio
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.02.2012 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Cassazione chiarisce i
significati di volume tecnico e pertinenza
urbanistica. Il titolo edilizio non può
essere eluso parcellizzando l’attività.
● Il regime dei titoli
abilitativi edilizi non può essere eluso
attraverso la suddivisione dell’attività
edificatoria finale nelle singole opere che
concorrono a realizzarla. L’opera deve
essere considerata unitariamente nel suo
complesso, senza che sia consentito scindere
e considerare separatamente i suoi singoli
componenti.
● Volumi tecnici sono
quelli non utilizzabili né adattabili a uso
abitativo strettamente necessari a
consentire l’eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
stessi non altrimenti soddisfabili, trovare
allocazione all’interno della parte
abitativa dell’edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche. I
volumi tecnici, dovendosi porre rispetto
alla costruzione come elementi tecnicamente
essenziali per l’utilizzazione della stessa,
non possono ricomprendere gli spazi
destinati ad assolvere a funzioni
complementari.
● La pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie che
la distinguono da quella civilistica:
trattasi di un’opera avente propria
individualità fisica e conformazione
strutturale, che non è parte integrante di
altro fabbricato e che è preordinata a
un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale, funzionalmente e oggettivamente
inserita al servizio dello stesso allo scopo
di renderne più agevole e funzionale l’uso
(nesso di strumentalità funzionale), come
tale sfornita di un autonomo valore di
mercato e non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo, tale da non consentire una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile cui accede.
---------------
Con la
sentenza 14.02.2012 n. 5618
la Corte di Cassazione, Sez. III penale, fa
nuovamente il punto su alcune importanti
questioni in materia di titoli abilitativi
edilizi e di inerenti fattispecie criminose,
con particolare riguardo a quelle realizzate
mediante pratiche elusive.
Le questioni rilevanti.
Vengono in rilevo, segnatamente, le seguenti
questioni:
- l’individuazione dell’ambito di
riferimento del permesso di costruire, se
come intervento complessivo ovvero come
singole opere in cui esso si estrinseca, con
quanto ne consegue in ordine al fenomeno
della parcellizzazione dell’attività
edificatoria;
- la nozione di “volume tecnico” e la
sua riferibilità o meno alle parti di
edificio destinate all’assolvimento di
funzioni complementari;
- la puntualizzazione del concetto di “pertinenza
urbanistica”, con particolare
riferimento ai profili della strumentalità
funzionale e della individualità strutturale
rispetto all’edificio principale.
Le soluzioni.
La pronuncia in commento riafferma,
ponendosi in linea di continuità con una
consolidata giurisprudenza sia di
legittimità che amministrativa, la rilevanza
penale degli interventi edilizi che non
trovino abilitazione in un corrispondente
permesso di costruire, nonché l’approccio
sostanziale che deve guidare tali riscontri.
La suddivisione
dell’attività edificatoria.
Viene ribadito, segnatamente, che la realizzazione di opere riguardanti un
preesistente fabbricato necessita sempre di
un permesso di costruire, la cui valenza
abilitativa va riferita all’intervento
complessivo, al fine di evitare che i
vincoli urbanistici possano essere aggirati
per il tramite di pratiche elusive
consistenti nella artificiosa
parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi
edilizi non può essere eluso attraverso la
suddivisione dell’attività edificatoria
finale nelle singole opere che concorrono a
realizzarla, facendo leva sul fatto che le
stesse sono astrattamente suscettibili di
forme di controllo preventivo più limitate,
in ragione della loro più modesta incisività
sull’assetto territoriale. Per contro,
l’opera deve essere sempre “considerata
unitariamente nel suo complesso, senza che
sia consentito scindere e considerare
separatamente i suoi singoli componenti”
(Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent.
11.10.2005).
Al citato fine antielusivo, la Cassazione
puntualizza inoltre i contenuti di alcune
nozioni urbanistiche che sovente sono
invocate al fine, per l’appunto
stigmatizzato dal Giudice della legittimità,
di reperirvi una pretesa giustificazione in
ordine a interventi edilizi sostanzialmente
ampliativi dei fabbricati preesistenti.
Il volume tecnico.
Un primo concetto in tal senso esaminato è
quello di volume tecnico. La Cassazione ne
ribadisce una interpretazione restrittiva,
rigorosamente ancorata al dato funzionale e
perimetrata in termini di effettiva
indispensabilità tecnica. In questa
prospettiva, richiamandosi la risalente e
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato (sez. V, sent. n. 6038 del
16.09.2004), vengono individuati come tali
esclusivamente i volumi che siano “strettamente
necessari a consentire l’eccesso di quelle
parti degli impianti tecnici che non
possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
allocazione all’interno della parte
abitativa dell’edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
Trattasi, in altri termini, di volumi “che,
per funzione e dimensione, si pongono
rispetto alla costruzione come elementi
tecnici essenziali per l’utilizzazione della
stessa” (Cons. Stato, sez. V, sent. n.
239/1982; sez. V, sent. n. 44/1991) e ai
quali, soltanto e nella misura delineata
dalla necessità tecnica ineludibile, è
consentito eccedere rispetto ai limiti
urbanistici posti alla parte abitativa, la
quale, diversamente, si vedrebbe
pregiudicata con riferimento a profili
funzionali essenziali.
Dalle esposte premesse discende una serie di
più articolate conseguenze. In primis,
quella per cui i volumi tecnici, quali “parti
di edificio destinate a comprendere gli
impianti tecnici che, per la loro
funzionalità, non possono essere contenuti
entro i limiti volumetrici previsti dalla
legge” (Cass., sez. III, sent.
28.10.1981), non possono mai fare
riferimento all’intero edificio,
legittimandone indifferenziati e
generalizzati aumenti di volume, bensì
soltanto a porzioni ben individuate
dell’edificio stesso, la cui eccedenza
rispetto ai limiti urbanistici non può che
essere commisurata e perimetrata in ragione
di quanto necessario e sufficiente ad
assicurare la funzionalità degli impianti.
Ne discende, ancora, che possono
qualificarsi come volumi tecnici soltanto
quelli destinati a ospitare “le parti
degli impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti stessi, trovare allocazione
all’interno della parte abitativa
dell’edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche”, con
esclusione dunque di ogni ampliamento
volumetrico che fosse invece finalizzato a
contenere parti di impianti
che ben potrebbero, senza alcun pregiudizio
funzionale, essere localizzate e contenute
all’interno della parte abitativa.
Ulteriore corollario attiene al fatto che i
volumi tecnici “non sono utilizzabili né
adattabili a uso abitativo” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 638/2004, richiamata
da Cass., sez. III, sent. n. 5618/2012 in
commento), non potendosi, in buona sostanza,
approfittare della copertura offerta dal
regime abilitativo di favore consentito, in
via di stretta eccezione, per fronteggiare
le necessità tecniche essenziali ineludibili
degli impianti al fine distorto ed elusivo
dei vincoli urbanistici e, come tale,
illecito di espandere il volume della parte
abitativa oltre quanto obiettivamente
indispensabile in relazione alle necessità
tecniche suddette.
Un’altra importante conseguenza è quella per
cui i volumi tecnici “non ricomprendono
quelli suscettibili di assolvere a funzioni
complementari” (Cons. Stato, sez. V,
sent. n. 239 del 19.03.1982; sez. V, sent.
n. 44 del 14.01.1991). Ciò è connesso al
carattere di “funzionalità essenziale”
che il volume tecnico deve rivestire,
dovendo trattarsi, ai fini dell’esclusione
del calcolo della volumetria ammissibile, di
spazi destinati e “strettamente necessari
a contenere o a consentire l’accesso a
quelle parti degli impianti (es. idrico,
termico, elevatoio, televisivo, di
parafulmine, di ventilazione ecc.)” che
pur non potendo “per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
luogo entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche” “si pongono rispetto
alla costruzione come elementi tecnici
essenziali per l’utilizzazione della stessa”,
il cui difetto ne pregiudicherebbe pertanto
l’obiettiva attitudine all’uso essenziale
(abitativo) cui essa è destinata (Cons.
Stato, sent. n. 6038/2004). Non può quindi
invocarsi il regime di favore in relazione
ad ampliamenti volumetrici connessi alla
realizzazione di finalità complementari,
stante la non essenzialità ad assicurare la
funzionalità del fabbricato, attenendo
piuttosto gli stessi a una maggiore
valorizzazione del costrutto che non trova
giustificazione in termini di ineludibile
necessità e che, come tale, è soggetta
all’ordinario regime abilitativo.
La suddetta caratteristica di strumentalità
necessaria è inoltre presidiata per il
tramite della remissione dell’individuazione
della tipologia e della volumetria delle
parti di impianti qualificabili come volumi
tecnici, cui consegue l’ammissione al regime
derogatorio di favore, alle specifiche
elencazioni e ai relativi indici come
definiti, per ciascuna zona, a opera dei
competenti strumenti urbanistici.
Elencazioni e prescrizioni alle quali la
giurisprudenza riconosce “natura
tassativa” (Cons. Stato, sent. n.
6038/2004), con conseguente esclusione della
invocabilità del favorevole regime
derogatorio di non computo del volume
tecnico con riferimento sia a tipologie di
impianti che esulino da quelle
tassativamente elencate e sia a volumi
eccedenti rispetto agli indici altrettanto
tassativamente prescritti.
In tale prospettiva, è stato escluso dalla
sentenza penale in commento che
l’insediamento di tipologia di impianto
esulante dalla tassativa elencazione
contenuta nello strumento urbanistico
potesse giustificare la maggiore altezza di
tutto l’edificio in termini di destinazione
al volume tecnico, ritenendosi piuttosto che
si trattasse di una vera e propria
sopraelevazione, assolvente a funzioni
complementari all’abitazione e non invece “alla
necessaria funzionalità degli impianti del
fabbricato preesistente”.
A tale ultimo riguardo va sottolineata
l’importanza del riferimento della
funzionalità necessaria al fabbricato
preesistente, che sottende l’esclusione del
beneficio della scomputabilità del volume
tecnico con riferimento alla sopraelevazione
o ultraedificazione a beneficio di parte del
fabbricato che non sia sorretta da un
corrispondente titolo abilitante. In altri
termini, il volume tecnico può riferirsi
soltanto agli spazi eccedentari che sono
necessari ad assicurare la funzionalità
degli impianti a servizio essenziale del
preesistente fabbricato, sul presupposto e
nella misura in cui lo stesso sia conforme
alle abilitazioni edilizie, dovendo invece
escludersi che lo scomputo volumetrico possa
invocarsi anche con riferimento agli spazi
destinati a servire la sopraelevazione o
ultraedificazione illegittima.
Ciò in quanto l’illiceità della stessa,
conseguente al difetto ab origine di
un idoneo titolo abilitante, si estende
automaticamente e conseguenzialmente anche a
ogni opera che sia servente rispetto a
quella abusiva. In tal senso la
giurisprudenza ha precisato che “Il
regime delle pertinenze urbanistiche … non è
applicabile allorché l’accessorio acceda a
un manufatto principale abusivo non sanato
ex art. 13 della legge n. 47/1985 e non
condonato. […] Infatti: il regime
pertinenziale è un regime eccezionale di
favore che non può essere esteso a
situazioni non corrispondenti alla sua ratio;
l’accessorio è intimamente connesso al
principale, per cui se quest’ultimo è
abusivo non vi è alcuna ragione per
agevolare la costruzione di altra opera
destinata a produrre una compromissione del
territorio ulteriore rispetto a quella
causata dal manufatto principale; la non
conformità, o comunque la mancata verifica
di conformità allo strumento urbanistico
dell’opera principale, realizzata in assenza
di concessione edilizia, priva il comune del
parametro di legalità in relazione al quale
può essere esercitato il potere di
autorizzare opere pertinenziali che
costituiscono completamento di quanto
conserva caratteristiche di contrarietà
all’assetto urbanistico del territorio”
(Cass. pen., sez. VI, sent. n. 4164 del
19.07.1995, richiamata da Cass. pen., sez.
III, sent. n. 4087 del 28.01.2008).
La pertinenza urbanistica.
L’ulteriore nozione disaminata dalla
sentenza penale in commento, con il fine di
puntualizzarne i contenuti in senso
antielusivo, è quella di pertinenza
urbanistica, anch’essa sovente invocata
nella prassi quale possibile escamotage, per
l’appunto stigmatizzato dal giudice della
legittimità, per la pretesa giustificazione
di abusi edilizi. Anche per le pertinenze
urbanistiche nonché per le costruzioni di
natura accessoria è previsto un regime di
favore, potendo le stesse essere sottratte
alle disposizioni degli strumenti
urbanistici relative ai fabbricati e alle
norme sulle distanze integrative del codice
civile sulla base e nei limiti delle
espresse previsioni derogatoria che siano in
tal senso eventualmente sancite dagli
strumenti urbanistici (Cass. civ., sez. II,
sent. n. 4208 del 06.05.1987).
La giurisprudenza ha meglio delineato i
tratti distintivi della pertinenza
urbanistica rispetto alla nozione
civilistica.
Quest’ultima è fornita dall’art. 817 c.c.,
che definisce tali “le cose destinate in
modo durevole a servizio od ornamento di
un’altra cosa”; il nesso funzionale
stabile che contrassegna ontologicamente il
rapporto pertinenziale si traduce nella
regola generale, salvo diversa disposizione
legislativa o contrattuale,
dell’assoggettamento della pertinenza al
medesimo regime e destino giuridico del bene
principale (artt. 818, 819 c.c.).
Più articolato è il concetto di pertinenza
urbanistica, che riflette “il
preminente rilievo che nel settore
urbanistico hanno le esigenze di tutela del
territorio”. In tale prospettiva, “mentre
nella pertinenza civilistica rilevano sia
l’elemento obiettivo che quello soggettivo,
nella pertinenza urbanistica acquista
rilevanza solo l’elemento oggettivo”.
Proprio con riferimento all’elemento
oggettivo il Legislatore, “con il Testo
unico dell’edilizia approvato con Dpr n.
380/2001, per superare le incertezze
derivanti dal criterio quantitativo indicato
dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha
fissato due criteri per precisare quando
l’intervento perde le caratteristiche della
pertinenza per assumere i caratteri della
nuova costruzione: il primo rinvia alla
determinazione delle norme tecniche degli
strumenti urbanistici, che dovranno tenere
conto della zonizzazione e del pregio
ambientale e paesistico delle aree; il
secondo, alternativo al primo, qualifica
come nuova opera gli interventi che
comportino la realizzazione di un volume
superiore al 20% di quello dell’edificio
principale” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504 del 18.07.2007).
A ogni modo, va precisato che “una
trasformazione urbanistica e/o edilizia per
essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio in senso ampio dell’autorità
amministrativa non deve essere ‘precaria’:
un’opera oggettivamente finalizzata a
soddisfare esigenze improvvise o transeunti
non è destinata a produrre, infatti, quegli
effetti sul territorio che la normativa
urbanistica è rivolta a regolare.
Restano esclusi, pertanto, dal regime del
permesso di costruire i manufatti di
assoluta ed evidente precarietà, destinati
cioè a soddisfare esigenze di carattere
contingente e a essere presto eliminati”
(Cass. pen., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Anche con riferimento al profilo della
precarietà, l’approccio valutativo,
trattandosi di “tutela del territorio”,
deve essere sempre “oggettivo e non
soggettivo”. Segnatamente, detta
caratteristica “non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale dell’opera
a un uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione”
(Cass., sez. III, sentenze n. 26573 del
26.06.2009; n. 25965 del 22.06.2009; n.
22054 del 25.02.2009; tutte richiamate da
sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Inoltre “la natura precaria di una
costruzione non dipende dalla natura dei
materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il
manufatto è destinato a soddisfare e cioè
dalla stabilità dell’insediamento indicativa
dell’impegno effettivo e durevole del
territorio”. La precarietà va esclusa
“quando trattasi di struttura destinata a
dare un’utilità prolungata nel tempo,
indipendentemente dalla facilità della sua
rimozione, a nulla rilevando la temporaneità
della destinazione data all’opera del
proprietario, in quanto occorre valutare la
stessa alla luce della sua obiettiva e
intrinseca destinazione naturale” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 3321 del 15.06.2000;
sent. n. 97 del 23.01.1995).
Anche a tale fine, l’approccio valutativo
deve essere globale e non parcellizzato:
invero, “l’opera deve essere considerata
unitariamente e non nelle sue singole
componenti” (Cass., sez. III, sent. del
27.05.2004). “La stabilità non va confusa
con l’irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione a essa
assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva
destinazione dell’opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell’attitudine a una
utilizzazione che non sia temporanea e
contingente” (Cass., sez. III, sent. del
07.06.2006).
È stato anche precisato che “la
precarietà non va confusa con la
stagionalità, vale a dire con l’utilizzo
annualmente ricorrente della struttura,
poiché un utilizzo siffatto non esclude la
destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali
e contingenti, ma permanenti nel tempo”
(Cass., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Proseguendo nel solco tracciato dagli
esposti orientamenti giurisprudenziali, la
pronuncia n. 5618/2012 in commento,
individua la pertinenza urbanistica nella “opera
che abbia comunque una propria individualità
fisica e una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato preordinata
a un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale, funzionalmente e oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita
di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell’edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell’immobile cui accede”
(artt. 22, 100 e 101 del Dpr n. 380/2001;
Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010,
sent. n. 4134/1998). Due, in sostanza, i
requisiti, uno di carattere strutturale e
l’altro di carattere funzionale.
Sotto il profilo strutturale, l’opera deve
essere dotata di una individualità sua
propria, che sia distinta, autonoma e
separata dall’edificio principale, così come
da ogni altro fabbricato; in relazione al
detto requisito strutturale, la pronuncia in
commento esclude la qualificabilità in
termini pertinenziali di ogni opera che sia
fisicamente parte integrante o costitutiva
di altro fabbricato nonché dell’“ampliamento
di un edificio che per la relazione di
connessione fisica costituisce parte di esso
quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché
soddisfi i bisogni cui è destinato” (in
tal senso anche Cass. pen., sez. III, sent.
n. 36941/2007, e 40843/2005 e Cass. pen.,
sez. III, n. 24241/2010, che ha escluso la
natura pertinenziale della edificazione di
una tettoia-portico, che, per la relazione
di connessione fisica con l’edificio, ne
costituisce parte integrante, attenendo
all’essenza dell’immobile e completandola
affinché lo stesso soddisfi i bisogni cui è
destinato, dovendo pertanto qualificarsi in
termini di ampliamento).
Invero, è incompatibile con la nozione di
pertinenza che la stessa possa essere parte
integrante della cosa principale ovvero
rappresentare un elemento indispensabile per
la sua esistenza. In tal senso, “L’elemento
distintivo tra la parte e la pertinenza non
consiste solo in una relazione di
congiunzione fisica, normalmente presente
nella prima e assente nella seconda, ma
anche e soprattutto in un diverso
atteggiamento del collegamento funzionale
della parte al tutto e della pertinenza alla
cosa principale: tale collegamento si
esprime per la parte come necessità di
questa per completare la cosa affinché essa
soddisfi ai bisogni cui è destinata: la
parte quindi è elemento della cosa. Nella
pertinenza, invece, il collegamento
funzionale consiste in un servizio od
ornamento che viene realizzato in una cosa
già completa e utile di per sé: la funzione
pertinenziale attiene non all’essenza della
cosa ma alla sua gestione economica e alla
sua forma estetica. Inoltre […] la
pertinenza si riferisce a un’opera autonoma
dotata di propria individualità mentre la
parte di un edificio è compresa nella
struttura di esso ed è quindi priva di
autonomia” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504/2007).
Per quanto concerne il profilo funzionale,
l’unità pertinenziale, strutturalmente
separata da quella principale, deve essere
caratterizzata da una destinazione servente
alle obiettive esigenze dell’edificio
principale, “allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale)”. Tale
destinazione funzionale servente deve essere
ineludibile e trovare rispondenza, da un
lato, nella congruità della struttura della
pertinenza rispetto alle obiettive esigenze
della struttura principale e, dall’altro
lato, nella altrettanto oggettiva
impossibilità di destinare la pertinenza
stessa, proprio in relazione alla sua
conformazione strutturale inevitabilmente
servente, ad alcuna destinazione autonoma o
diversa da quella a servizio dell’immobile
cui accede.
L’esposta configurazione funzionale
ineludibilmente servente della pertinenza
urbanistica si riflette nella sua non
negoziabilità in via autonoma e nella
conseguente assenza di un autonomo valore di
mercato, che sola può giustificare,
unitamente alla modestia dimensionale del
volume rispetto all’edificio principale “in
modo da evitare il cosiddetto carico
urbanistico”, la non valutabilità della
stessa in termini di cubatura e la diversità
di regime abilitativo (Cons. Stato, sez. VI,
sent. n. 1174/2000; sez. V, sent. n.
2325/2001; sez. V, sent. n. 7822/2003). In
assenza invece degli esposti stringenti
requisiti strutturali e funzionali, la
nozione di pertinenza urbanistica, nonché il
corrispondente regime derogatorio di non
computo volumetrico, non sono invocabili e
torna quindi a riespandersi la regola
generale della necessità del permesso di
costruire.
Resta a ogni modo fermo che il regime
agevolato delle pertinenze non può mai
trovare applicazione in caso di contrasto
con gli strumenti urbanistici (Cass. pen.,
sez. III, sent. n. 32939/2010).
Una chiara concretizzazione dei principi
suesposti la si ha, ad esempio, in relazione
alla diversa disciplina che la
giurisprudenza ha individuato con
riferimento al muro di contenimento ovvero
al muro di cinta, che costituisce specifico
oggetto della pronuncia n. 5618/2012 in
commento.
In proposito, costituisce orientamento
consolidato che, “mentre il muro di cinta
può essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, non così il muro di contenimento
che viene assimilato alla categoria delle
costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della
realizzazione sia la delimitazione della
proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il
rilascio della concessione (Tar Emilia
Romagna, Parma, n. 106/2001; Tar Liguria,
sez. I, sent. n. 492/1996; Tar Liguria,
sent. n. 345/1994). Diversa è la situazione,
allorché il muro è destinato non solo a
recingere un fondo, ma contiene o sostiene
esso stesso dei volumi ulteriori (Tar Emilia
Romagna, Parma, sent. n. 246/2001; Tar
Lazio, sez. II, sent. n. 8923/2000); in tal
caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello
economico” (Tar Piemonte, sent. n.
657/2003)”, “si eleva al di sopra del suolo
ed è destinato a trasformare durevolmente
l’area impegnata, come tale qualificabile
intervento di nuova costruzione”, con
conseguente necessità del permesso di
costruire (Tar Liguria, sez. I, sent. n.
4131/2009; Cass., sez. III, sent. n.
35898/2008) (commento tratto da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 4/2012 -
Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 14.02.2012 n. 5618 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Differenza tra "nuova
costruzione" e "pertinenza".
Ciò che caratterizza una “nuova
costruzione”, è il carattere di
stabilità e permanenza del manufatto, tale
da implicare una trasformazione del
territorio.
Quanto al concetto di “pertinenza”,
ai sensi e per i fini di cui all’art. 7 d.l.
n. 9/1982, conv. in l. n. 92/1982, tale da
richiedere non già la concessione edilizia,
bensì la mera “autorizzazione”, la
giurisprudenza amministrativa ne ha rilevato
la differenza da quello di cui all’art. 817
cod. civ., affermando che esso è
caratterizzato sia da un oggettivo nesso
funzionale e strumentale tra cosa accessoria
e principale, cioè da un nesso che non
consenta, per natura e struttura
dell'accessorio, altro che la destinazione
della cosa ad un uso pertinenziale durevole;
sia dalle dimensioni ridotte e modeste del
manufatto rispetto alla cosa cui esso
inerisce, per cui soggiace a concessione
edilizia la realizzazione di un'opera di
rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto
del territorio e che occupa aree e volumi
diversi rispetto alla "res principalis",
indipendentemente dal vincolo di servizio o
d'ornamento nei riguardi di essa (Cons.
Stato, sez. II, 12.05.1999 n. 729; sez. V,
23.03.2000 n. 1600).
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto
che il manufatto per cui e' causa non possa
essere definito quale “pertinenza”,
posto che esso è di notevoli dimensioni
(oltre 180 mq. di superficie), è stabilmente
collegato al suolo, rappresenta di fatto uno
stabile ampliamento dell’immobile cui
inerisce ed è tale da comportare una
durevole e non irrilevante trasformazione
del territorio (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.02.2012 n. 615 -
massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
nozione di pertinenza, in materia edilizia,
è più ristretta di quella civilistica ed è
riferibile solo a manufatti tali da non
alterare in modo significativo l'assetto del
territorio, cioè di dimensioni modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.
La giurisprudenza richiede che dette opere,
per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di
autonomo valore di mercato e non valutabili
in termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e
separatamente dal manufatto cui accedono.
La strumentalità non può mai desumersi dalla
destinazione soggettivamente data dal
proprietario e devono comportare una
circoscritta incisione sul cd. “carico
urbanistico”.
La norma regionale -pur non fornendo una
definizione del concetto di pertinenzialità,
sicché deve farsi riferimento al concetto,
generalmente accettato, di pertinenza in
materia edilizia- ha cura di specificare che
le strutture pertinenziali debbono essere
“prive di funzionalità autonoma”.
La proporzionalità del manufatto accessorio
rispetto a quello principale non può
costituire l’unico criterio di giudizio,
dovendo in concomitanza operare anche il
criterio oggettivo, dato che, in caso
contrario, si perverrebbe a riconoscere
carattere pertinenziale a qualsiasi nuova
costruzione, in palese contrasto con la
ratio sottesa alla norma regionale
Al
riguardo va rilevato (cfr. TAR Brescia Sez.
I, 01.07.2010 n. 2408) che:
- la nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile solo a manufatti
tali da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio, cioè di dimensioni
modeste e ridotte rispetto alla cosa cui
ineriscono.
- la giurisprudenza richiede (cfr. Cons. St.
Sez. IV, 17.05.2010 n. 3127 e precedenti
ivi richiamati) che dette opere, per loro
natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di
autonomo valore di mercato e non valutabili
in termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e
separatamente dal manufatto cui accedono.
- la Sezione (cfr. TAR Brescia 11.01.2006 n.
32) ha sottolineato che la strumentalità non
può mai desumersi dalla destinazione
soggettivamente data dal proprietario e
devono comportare una circoscritta incisione
sul cd. “carico urbanistico”.
- la norma regionale -pur non fornendo una
definizione del concetto di pertinenzialità,
sicché deve farsi riferimento al concetto,
generalmente accettato, di pertinenza in
materia edilizia- ha cura di specificare
che le strutture pertinenziali debbono
essere “prive di funzionalità autonoma”.
- la proporzionalità del manufatto
accessorio rispetto a quello principale non
può costituire l’unico criterio di giudizio,
dovendo in concomitanza operare anche il
criterio oggettivo, dato che, in caso
contrario, si perverrebbe a riconoscere
carattere pertinenziale a qualsiasi nuova
costruzione, in palese contrasto con la
ratio sottesa alla norma regionale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 31.01.2012 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
È riconosciuto carattere
pertinenziale alle piscine private poste al
servizio esclusivo di abitazioni signorili o
ville.
Quanto al titolo abilitativo necessario per
la piscina, va considerato che la legge reg.
n. 31 del 2002 assoggetta a denuncia di
inizio attività le “opere pertinenziali
purché non qualificate come interventi di
nuova costruzione …” (art. 8, comma 1,
lett. l) onde ne risultano esclusi solo gli
“interventi pertinenziali che le norme
tecniche degli strumenti urbanistici, in
relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico delle aree,
qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la
realizzazione di un volume superiore al 20
per cento del volume dell’edificio
principale” (lett. g.6 dell’allegato
alla legge), dal che si evince la
sussistenza, nella fattispecie, dei
requisiti fissati dalla disciplina regionale
perché l’opera in questione (piscina
interrata con lati di 8 e 4 metri, poi
variati in 10 e 3,50 metri) sia sottratta al
regime del permesso di costruire; è noto,
d’altra parte, il carattere pertinenziale
riconosciuto alle piscine private poste al
servizio esclusivo di abitazioni signorili o
ville e aventi dimensioni così limitate da
non determinare un significativo impatto
sull’assetto del territorio (v. Cons. Stato,
Sez. IV, 08.08.2006 n. 4780; TAR Lombardia,
Brescia, Sez. I, 06.05.2008 n. 482; TAR
Liguria, Sez. I, 16.02.2008 n. 299; TAR
Toscana, Sez. II, 31.01.2000 n. 22; v.,
anche, Cass. pen., Sez. III, 21.05.2009 n.
39067), tutte condizioni che si rinvengono
nel presente caso, così legittimando la
scelta operata dal privato.
Quanto, poi, alla questione delle distanze,
appare evidente che l’invocato art. 52 del
regolamento edilizio comunale circoscrive le
varie tipologie di distanze minime dai
confini di proprietà alla
realizzazione/variazione di manufatti fuori
terra (“…nei casi di nuova costruzione e
di sopraelevazione e ampliamento dei
fabbricati esistenti. Il calcolo delle
distanze si effettua sulla sagoma
rappresentata dalla proiezione orizzontale
dei fili esterni delle strutture e dei
tamponamenti perimetrali … Metri lineari 3,
in caso di ampliamenti o sopraelevazioni che
non comportino pareti finestrate sul lato
prospettante il confine di proprietà. Metri
lineari 5, in caso di nuova costruzione,
anche in presenza di pareti non finestrate,
e ampliamenti o sopraelevazioni che
comportino pareti finestrate sul lato
prospettante il confine di proprietà …”);
la circostanza, allora, che la piscina
contestata costituisca opera interrata rende
inapplicabile al caso di specie la
disciplina di che trattasi (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza
24.01.2012 n. 29 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture che siano
comunque apposte a parti di preesistenti
edifici come strutture accessorie di
protezione o di riparo di spazi liberi, cioè
non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono
ritenersi sottratti al regime del permesso
di costruire soltanto ove la loro
conformazione e le loro ridotte dimensioni
rendono evidente e riconoscibile la loro
finalità di semplice decoro o arredo o di
riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) della parte dell'immobile cui
accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono.
Utilizzando tali criteri anche la
realizzazione di una tettoia (di non
irrilevante consistenza dimensionale)
ancorata al suolo costituisce opera idonea
ad alterare lo stato dei luoghi e a
trasformare il territorio permanentemente e
perciò richiede il rilascio di un permesso
di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale. In
altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
dell'opera.
---------------
L'ordine di demolizione di opere abusive è
un atto dovuto in presenza di opere
realizzate senza alcun titolo abilitativo e
quindi abusivamente e non necessita di
particolare motivazione sull'interesse
pubblico o sulla eventuale sanabilità delle
opere.
-------------
La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile ai soli
manufatti di dimensioni tanto modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da
potersi considerare sostanzialmente
irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale.
Si deve ricordare che, per giurisprudenza
costante di questo Tribunale (fra le più
recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n.
3870 del 13.07.2009, n. 492 del 29.01.2009;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del
18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III,
n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi
consistenti nella installazione di tettoie o
di altre strutture che siano comunque
apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di
riparo di spazi liberi, cioè non compresi
entro coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di
semplice decoro o arredo o di riparo e
protezione (anche da agenti atmosferici)
della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono (in termini TAR Campania
Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009
cit., TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754
del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato,
Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Utilizzando tali criteri anche la
realizzazione di una tettoia (di non
irrilevante consistenza dimensionale)
ancorata al suolo costituisce opera idonea
ad alterare lo stato dei luoghi e a
trasformare il territorio permanentemente e
perciò richiede il rilascio di un permesso
di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I,
16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del
2008). In altri termini, rilevano non
soltanto gli elementi strutturali
(composizione dei materiali, smontabilità o
meno del manufatto) ma anche i profili
funzionali dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma,
Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si
deve ritenere che la tettoia oggetto del
provvedimento impugnato, realizzata con
orditura in legno e sovrastante manto di
perline e tegole poggiante da una parte
sulle staffe in ferro infisse alla parete
del fabbricato preesistente e dall’altra
parte su tre pilastri in muratura, non possa
ritenersi irrilevante sotto il profilo
edilizio per la sua tipologia (muratura e
struttura non leggera), per la sua
dimensione (22 mq.), perché suscettibile di
autonoma utilizzazione e perché ha
determinato una non irrilevante alterazione
dello stato dei luoghi, con la conseguenza
che per l'installazione di tale struttura
era necessario il permesso di costruire (e
non una semplice DIA), con l'ulteriore
conseguenza che la realizzazione della
stessa in assenza del titolo dovuto ne ha
determinato l'abusività e quindi
l'irrogazione della prevista sanzione
ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del
2001).
Del resto l'ordine di demolizione di opere
abusive è un atto dovuto in presenza di
opere realizzate senza alcun titolo
abilitativo e quindi abusivamente
(giurisprudenza costante anche di questa
Sezione, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743
del 28.06.2004) e non necessita di
particolare motivazione sull'interesse
pubblico o sulla eventuale sanabilità delle
opere.
Si deve aggiungere che risulta irrilevante
(ai fini della legittimità edilizia) la -per
la verità indimostrata- destinazione
pertinenziale della tettoia.
Per principio pacifico infatti la nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più
ristretta di quella civilistica ed è
riferibile ai soli manufatti di dimensioni
tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono da potersi considerare
sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo
edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale
(fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II,
17.06.2008, n. 2045).
Insomma, la struttura oggetto del
provvedimento impugnato per la sua tipologia
e dimensione doveva essere realizzata con un
permesso di costruire e la mancanza di tale
titolo ha determinato l'abusività dell'opera
e la conseguente irrogazione della prevista
sanzione ripristinatoria (mentre la sanzione
pecuniaria è prevista per le opere
realizzate in assenza della DIA)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 19.01.2012 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici possono
essere considerati pertinenza urbanistica.
Il ricorrente ha realizzato alcune opere
abusive utilizzate per l’allevamento dei
cavalli nonché per servizi vari funzionali
all’attività allevatoriale e sportiva.
Il Comune constatato il loro carattere
abusivo, per assenza del titolo edilizio, ne
ordinava la demolizione ed il ripristino
dello stato dei luoghi con il provvedimento
in epigrafe indicato.
...
Le opere abusive analiticamente descritte
nell’ordinanza impugnata e nel verbale di
accertamento degli abusi edilizi
richiedevano il rilascio di un permesso di
costruzione.
Infatti, le opere realizzate per le loro
caratteristiche strutturali hanno un proprio
impatto volumetrico e sono destinate ad usi
di natura permanente, come dimostra la
circostanza della loro presenza almeno
ventennale. Inoltre, non sono affatto di
modeste dimensioni sia considerate
complessivamente sia considerate
singolarmente, come emerge dal provvedimento
impugnato.
Quindi, incidendo in modo permanente e non
precario sull’assetto edilizio del
territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V,
sent. 15.06.2000, n. 3321 che richiede la
concessione anche per un container non
infisso al suolo essendo destinato ad usi
permanenti) sono assoggettabili a permesso
di costruzione ed al conseguente regime demolitorio di cui all’articolo 7 della
legge n. 47 del 1985, come esattamente
rilevato dall’Amministrazione nel
provvedimento impugnato (cfr. TAR
Emilia-Romagna, sez. II, n. 463 del
14.04.2006; TAR Emilia-Romagna, sez. II,
n. 681 dell'01/06/2006; TAR Emilia-Romagna,
sez. II, n. 2970 del 13/11/2006).
Del resto le stesse non hanno natura
pertinenziale.
Infatti, le opere edilizie in contestazione
non hanno natura di pertinenza urbanistica,
essendo suscettibili di un autonomo
utilizzo, ed hanno un proprio impatto
volumetrico. Quindi, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio del territorio (cfr. Cons. Stato,
sez. V, sent. 15/06/2000, n. 3321 che
richiede la concessione anche per un
container non infisso al suolo essendo
destinato ad usi permanenti; TAR per
l’Emilia Romagna, sez. II, n. 463 del
14/04/2006; TAR per l’Emilia Romagna,
sez. II, n. 16 dell'08/01/2004) sono
assoggettabili, come sopra evidenziato, a
permesso di costruzione con conseguente
obbligo di demolizione, ai sensi
dell’articolo 7 della legge n. 47 del 1985,
in caso di realizzazione abusiva.
In proposito, infatti, costituisce un
orientamento consolidato di questa sezione
quello per cui il concetto di pertinenza
urbanistica è diverso dal concetto di
pertinenza civilistica. Infatti, la
pertinenza urbanistica, assoggettata ad un
regime edilizio particolarmente semplice e
favorevole, riguarda soltanto opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad
un'opera principale, quali ad esempio i
piccoli manufatti per il contenimento di
impianti tecnologici, e non può riguardare
opere che dal punto di vista delle
dimensioni e della funzione possono avere
una propria autonomia rispetto all'opera
cosiddetta principale. Nel caso in esame,
tali requisiti non ricorrono in quanto le
dimensioni e la destinazione dell’opera ne
evidenziano l’autonoma rilevanza anche
funzionale dal punto di vista edilizio con
conseguente assoggettazione al regime del
permesso di costruzione necessario per la
sua realizzazione (TAR per l’Emilia
Romagna, sez. II, n. 462 del 14/04/2006).
E’, inoltre, irrilevante l’epoca di
realizzazione degli abusi edilizi in parola
in quanto la repressione degli abusi edilizi
costituisce un attività dovuta a carattere
vincolato e non è soggetta a termini di
prescrizione e decadenza (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 09.01.2012 n. 11 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Piscina -
Contrasto con le prescrizioni di zona -
Vincolo pertinenziale - Non sussiste.
Non si configura vincolo pertinenziale
tra l'abitazione (cosa principale) e la
piscina (pertinenza) in caso di contrasto di
quest'ultima con le prescrizioni
urbanistiche di zona
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
14.11.2011 n.
2734 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze.
Le caratteristiche peculiari della
pertinenza urbanistica possono essere così
sintetizzate: deve trattarsi di un'opera che
abbia comunque una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato; deve essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso; deve essere sfornita di un autonomo
valore di mercato; non deve essere
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo (non superiore,
in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio
principale) tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede; la
relazione con la costruzione preesistente
deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio", allo
scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità
funzionale) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 04.11.2011 n. 40031 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una tettoia, per i materiali
utilizzati, le caratteristiche strutturali e
le dimensioni (copre una superficie di mq.
19,35), configura una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio
suscettibile di autonomo utilizzo,
preordinato a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale, in
quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi ed a comportare una significativa
trasformazione del territorio.
Non appare condivisibile neanche la
riduttiva definizione dell’intervento sopra
descritto come mera pertinenza, atteso che
la nozione urbanistica di pertinenza non
coincide con quella più ampia fornita
dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere
perimetrata in modo compatibile con i
principi della materia e riferita, quindi,
alle sole opere edilizie minori, che abbiano
scarso o nullo peso dal punto di vista del
carico edilizio ed urbanistico.
Nella nozione di “volume
tecnico” sono da comprendere esclusivamente
le porzioni di fabbricato destinate ad
ospitare impianti, legati da un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzazione
dello stesso. Invero, ai fini della
qualificazione di una costruzione, rilevano
le caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta.
... i ricorrenti contestano la legittimità
del parere contrario al rilascio del
permesso di costruire in sanatoria,
richiesto ex art. 36 del D.P.R. n.380 del
2001, espresso dalla commissione edilizia
del Comune di San Paolo Bel Sito e
comunicato agli interessati con l’atto
individuato in epigrafe, per una tettoia
realizzata sul terrazzo al secondo piano.
...
Anzitutto, i lavori eseguiti non appaiono
inquadrabili nell’attività di manutenzione
straordinaria –che, ai sensi dell’art. 2,
lettera b), del T.U. sull’edilizia, è
qualificata dal duplice aspetto della
finalità dei lavori, diretti alla mera
sostituzione o al puro rinnovo di un
preesistente manufatto, e dal divieto di
alterarne i volumi e le superfici (cfr., tra
le tante, con riferimento anche all’analoga
nozione già prevista dall’art. 31 della
legge n.457 del 1978, Consiglio di Stato,
Sezione V, 22.07.1992 n. 336; Sezione VI,
30.09.2008 n. 4694; TAR Campania, Sezione II,
17.04.2009 n. 1994; Sezione IV, 04.07.2001
n. 3072)– in quanto i ricorrenti non hanno
fornito neanche un principio di prova in
ordine ad un’eventuale preesistenza sicché
la struttura si configura indubbiamente come
un quid novi.
Nel caso di specie, il manufatto realizzato,
per i materiali utilizzati, le
caratteristiche strutturali e le dimensioni
(copre una superficie di mq. 19,35),
configura, piuttosto, una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio
suscettibile di autonomo utilizzo,
preordinato a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale, in
quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi ed a comportare una significativa
trasformazione del territorio (cfr., ex
multis, Consiglio di Stato, Sezione V,
13.06.2006 n. 3490; TAR Lazio, Roma, Sezione
I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater,
23.11.2007 n. 11679).
Non appare condivisibile neanche la
riduttiva definizione dell’intervento sopra
descritto come mera pertinenza, atteso che,
come chiarito dalla giurisprudenza (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n.
1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR
Lazio, Sezione II-ter, 06.09.2000 n. 6900;
TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402
e Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio,
Latina, 04.07.2006 n. 428), la nozione
urbanistica di pertinenza non coincide con
quella più ampia fornita dall’art. 817 del
cod. civ., dovendo essere perimetrata in
modo compatibile con i principi della
materia e riferita, quindi, alle sole opere
edilizie minori, che abbiano scarso o nullo
peso dal punto di vista del carico edilizio
ed urbanistico.
Né può farsi utilmente ricorso alla nozione
di “volume tecnico”. Tale categoria,
infatti, comprende esclusivamente le
porzioni di fabbricato destinate ad ospitare
impianti, legati da un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzazione
dello stesso. Invero, ai fini della
qualificazione di una costruzione, rilevano
le caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta
(cfr. Consiglio di Stato, V Sezione,
21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR
Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 31.10.2011 n. 5093 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze e volumi interrati.
Deve
escludersi l'applicabilità del regime delle
pertinenze urbanistiche ove l'opera edilizia
accessoria acceda ad un manufatto principale
abusivo. I locali interrati debbono essere
computati a fini volumetrici (tratto da
www.lexambiente.it - Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 29.09.2011 n. 35283). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza,
previsto dal diritto civile, va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso edilizio e urbanistico, che non
trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
La
giurisprudenza consolidata in materia ha
avuto da tempo modo di chiarire che il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto
civile, va distinto dal più ristretto
concetto di pertinenza inteso in senso
edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato (cfr., Cons. St., sez. IV,
23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 01.09.2009, n. 4848)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1359 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
accessori e le pertinenze che abbiano
dimensioni consistenti e siano stabilmente
incorporati al resto dell'immobile in
maniera tale da ampliarne la superficie o la
funzionalità pratico-economica oltre alla
superficie e alla funzionalità, assumono il
carattere di costruzione anche sotto il
profilo delle distanze tra edifici che
devono essere calcolate non dall'edificio
principale bensì dal nuovo complesso
edilizio unitario.
Ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali stabilite dagli
artt. 873 e seguenti c.c. e delle
disposizioni legislative e regolamentari
aventi carattere integrativo, gli accessori
e le pertinenze che abbiano dimensioni
consistenti e siano stabilmente incorporati
al resto dell'immobile, in guisa da
ampliarne la superficie o la funzionalità
pratico-economica, costituiscono con
l'immobile principale una costruzione
unitaria, che va considerata nel suo insieme
indipendentemente dallo sviluppo orizzontale
o verticale dei singoli corpi di fabbrica di
cui si compone, e senza distinguere tra
immobile principale e accessori o pertinenze
aventi le ridette caratteristiche, di guisa
che le distanze devono essere calcolate non
dalla parete dell'edificio maggiore, ma da
quella che risulti più prossima alla
proprietà antagonista
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza n. 4277/2011 - link a www.pausania.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di pertinenza urbanistica
e differenze rispetto alla sua nozione
civilistica.
Nel campo urbanistico, la nozione di
pertinenzialità ha peculiarità sue proprie
che la differenziano da quella civilistica,
atteso che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere,
oltre che di volume modesto affinché non
comporti il c.d. carico urbanistico, altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato in virtù
dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (Cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010, n. 3127; id., 15.09.2009, n.
5509, 23.07.2009, n. 4636 e 07.07.2009, n.
3379).
Non possono essere considerate pertinenze,
sotto il profilo urbanistico, dei box che
sarebbero asserviti ad alloggi IACP, ma che
non sono legati a questi ultimi da alcun
vincolo di natura giuridico-funzionale, dal
momento che nulla è di ostacolo al loro
utilizzo e diposizione separata
dall’alloggio (1).
---------------
(1) Ha osservato la sentenza in rassegna
che, nella specie, doveva escludersi anche
la ricorrenza della pertinenzialità ai sensi
dell’art. 817 cod. civ. costituita, com’è
noto, non solo dall’elemento oggettivo della
destinazione di una cosa al servizio (o
ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento
soggettivo inteso quale volontà del
proprietario della cosa principale ad
imprimere la destinazione in parola, atteso
che le unità immobiliari a cui i box
accederebbero non appartengono agli stessi
soggetti proprietari dei medesimi box, bensì
allo IACP (o oggi l’organismo ad esso
succeduto), di cui detti proprietari sono
affittuari.
Pertanto, è stata esclusa la stessa
configurabilità di pertinenza anche nella
più ampia nozione civilistica, dunque a
maggior ragione sotto il profilo
urbanistico-edilizio (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione urbanistica di pertinenzialità
richiede che il manufatto sia altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato.
Com’è noto, in materia urbanistica la
nozione di pertinenzialità ha peculiarità
sue proprie che la differenziano da quella
civilistica, atteso che il manufatto deve
essere non solo preordinato ad una oggettiva
esigenza dell’edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere, oltre che di volume modesto
affinché non comporti il c.d. carico
urbanistico, altresì sfornito di autonoma
destinazione ed autonomo valore di mercato
in virtù dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509,
23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza
di tali precise condizioni per le
circostanze descritte dallo stesso
ricorrente in primo grado, ossia per il
fatto che i box di cui si controverte, che
sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non
sono legati da alcun vincolo di natura
giuridico-funzionale, dal momento che nulla
è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione
separata dall’alloggio; ciò dal momento che
solo in forza di “un’organizzazione
volontaristica” accadrebbe che “allorquando
un affittuario lascia i locali dello IACP,
nel godimento e proprietà del box subentra
il nuovo affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame
manca lo stesso fondamento della
pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod.
civ. costituito, com’è, non solo
dall’elemento oggettivo della destinazione
di una cosa al servizio (o ornamento)
dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo
inteso quale volontà del proprietario della
cosa principale ad imprimere la destinazione
in parola, atteso che le unità immobiliari a
cui i box accederebbero non appartengono
agli stessi soggetti proprietari dei
medesimi box, bensì allo IACP (o oggi
l’organismo ad esso succeduto), di cui detti
proprietari sono affittuari.
Pertanto, va esclusa la stessa
configurabilità di pertinenza anche nella
più ampia nozione civilistica, dunque a
maggior ragione sotto il profilo
urbanistico-edilizio (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di pertinenzialità - Differenziazione
rispetto alla nozione civilistica.
In materia urbanistica la nozione di
pertinenzialità ha peculiarità sue proprie
che la differenziano da quella civilistica,
atteso che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere,
oltre che di volume modesto affinché non
comporti il c.d. carico urbanistico, altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato in virtù
dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509,
23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una pertinenza, per poter essere
definita tale, «deve avere una propria
individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale, non essere parte
integrante o costitutiva di altro
fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita
di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede».
Ciò che rileva è il rapporto con la
costruzione preesistente che deve essere,
quindi, non di integrazione ma di
asservimento, per cui deve renderne più
agevole e funzionale l'uso, ma non divenire
parte essenziale dello stesso.
In materia urbanistica, a differenza che
nella materia civilistica, possono
costituire pertinenza solo i manufatti di
dimensioni modeste e ridotte, inidonei,
quindi, ad alterare in modo significativo
l'assetto del territorio. Pertanto, le opere
abusive per dimensioni e per tipologia (una
tendo-struttura modulare in acciaio con
copertura e tamponatura laterale in telo di
PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml.
36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia
con copertura in lamiera ondulata
parzialmente tamponata con telo in PVC delle
dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00;
la pavimentazione di un’area attrezzata (con
sottoservizi) di circa 11.000,00 mq.,
realizzata parte in conglomerato bituminoso
e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo
betonella), nonché per l’indubbio impatto
sul territorio, non possono rientrare nella
tipologia delle c.d. pertinenze.
---------------
La precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio di un
titolo edilizio, non va desunta dalla facile
e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero
dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio
al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità
contingente e non prolungata nel tempo.
Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di
pertinenza edilizia può essere estesa fino a
comprendere elementi essenziali, e non solo
di carattere accessorio, dell'impianto
industriale.
Come osserva la giurisprudenza, una
pertinenza, per poter essere definita tale,
«deve avere una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale, non essere parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre
essere preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede» (cfr. Cons. Stato, IV,
05.03.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il
rapporto con la costruzione preesistente che
deve essere, quindi, non di integrazione ma
di asservimento, per cui deve renderne più
agevole e funzionale l'uso, ma non divenire
parte essenziale dello stesso (cfr. Tar
Veneto, II, 07.03.2011, n. 374; Tar
Campania, Napoli, II, 26.09.2008, n. 11309).
Come ben si evince dagli atti e dalla
documentazione fotografica, nella specie le
opere da demolire sono manufatti
assolutamente autonomi, trattandosi di
fabbricati destinati al deposito e allo
stoccaggio di materie prime e di prodotti
finiti, conseguenti all’installazione di due
nuove linee di produzione all’interno dello
stabilimento industriale esistente. Ne
discende che il concetto di pertinenza, come
pure quello di impianto tecnologico al
servizio di un edificio o di una
attrezzatura esistente, appare allora non
applicabile alla fattispecie in esame,
mancando la relazione di asservimento ed
essendo le opere da abbattere essenziali
allo svolgimento dell'attività in questione.
Peraltro il carattere di mera "pertinenza"
delle opere in questione che, in quanto
tali, sarebbero state soggette a semplice
autorizzazione edilizia, la mancanza della
quale poteva comportare soltanto la sanzione
pecuniaria, va escluso anche per
un’ulteriore ragione. Secondo la costante
giurisprudenza amministrativa, dalla quale
il Collegio non ravvisa valide ragioni per
discostarsi, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Cons. Stato, IV, 13.01.2010, n. 41; Cons.
Stato, IV, 15.09.2009, n. 5509).
Nel caso di specie, invece, le opere abusive
per dimensioni e per tipologia (una
tendo-struttura modulare in acciaio con
copertura e tamponatura laterale in telo di
PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml.
36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia
con copertura in lamiera ondulata
parzialmente tamponata con telo in PVC delle
dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00;
la pavimentazione di un’area attrezzata (con
sottoservizi) di circa 11.000,00 mq.,
realizzata parte in conglomerato bituminoso
e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo
betonella), nonché per l’indubbio impatto
sul territorio, non possono rientrare nella
tipologia delle c.d. pertinenze (cfr. TAR
Veneto, II, 27.11.2008, n. 3703).
Tale conclusione determina, altresì,
l’irrilevanza delle osservazioni relative al
fatto che il volume e la superficie delle
opere realizzate siano inferiori al 20% del
volume e della superficie dello stabilimento
produttivo regolarmente edificato, giacché
l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera
e.6), presuppone la qualificazione
dell’intervento come pertinenziale.
---------------
Con riguardo, infine, alla dedotta
provvisorietà delle opere realizzate dalla
Silcart. s.r.l., il Collegio rileva che la
precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio di un
titolo edilizio, non va desunta dalla facile
e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero
dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio
al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità
contingente e non prolungata nel tempo (cfr.
Tar Campania, Napoli, IV, 22.03.2007, n.
2725).
Al riguardo merita, allora, di essere
evidenziato che dalle stesse osservazioni
presentate dalla società ricorrente, a
seguito della comunicazione di avvio del
procedimento sanzionatorio, emerge la non
precarietà e non provvisorietà delle opere
realizzate in quanto funzionali all’avvenuta
installazione di due nuove linee di
produzione, resesi necessarie per mantenere
l’incremento produttivo determinatosi a
partire dal 2000 e per creare ulteriori
prodotti a corredo di quelli già realizzati,
onde competere con le altre società del
settore anche in campo internazionale. La
stessa società ricorrente, del resto,
evidenzia la funzionalità del deposito di
materie prime con il metodo produttivo che
le pone a monte del processo di lavorazione,
determinando un risparmio di tempo nella
lavorazione del prodotto.
Alla luce delle richiamate argomentazioni
deve, pertanto, escludersi sia la natura
pertinenziale sia la natura precaria delle
opere realizzate con conseguente
sussumibilità delle stesse per dimensioni e
tipologia nel disposto dell’art. 3, comma 1,
lettera e), del citato d.P.R. n. 380/2001,
implicando le stesse una trasformazione
urbanistica ed edilizia permanente del
territorio mediante l’esecuzione di lavori
di installazione di manufatti, in parte
prefabbricati, destinati a deposito di
materiali e non diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee. Da qui anche
la legittimità dell’irrogazione della
sanzione demolitoria e non di quella
meramente pecuniaria
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.04.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza di manufatto rispetto
ad azienda agricola.
Non è possibile parlare di pertinenza di un
manufatto rispetto ad una azienda agricola
in quanto questa esula dal concetto di “cosa”
nell’accezione di cui all’art. 817 c.c..
In ogni caso per esplicita volontà
legislativa il vincolo pertinenziale
riguarda edifici e non fondi rustici (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.03.2011 n. 13125 -
link a www.lexambiente.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L'autorimessa
è una pertinenza urbanistica, sostanziandosi
nella destinazione strumentale alle esigenze
dell’immobile principale, risultante sotto
il profilo funzionale da elementi oggettivi,
dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione all’immobile al
cui servizio è complementare,
dall’ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cosa principale e dall’assenza
del c.d. carico urbanistico.
Per quanto
riguarda l’autorimessa si deve ritenere che
abbia le caratteristiche della pertinenza
urbanistica, sostanziandosi nella
destinazione strumentale alle esigenze
dell’immobile principale, risultante sotto
il profilo funzionale da elementi oggettivi,
dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione all’immobile al
cui servizio è complementare,
dall’ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cosa principale e dall’assenza
del c.d. carico urbanistico (Cons. St., sez.
V, 13.06.2006, n. 3490, e 11.11.2004, n.
7325).
In considerazione di ciò si deve ritenere
che essa fosse soggetta al regime
autorizzatorio con conseguente esclusione
della sanzione demolitoria (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
In ogni caso, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio.
Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania,
Sez. I, 19.04.2010, 1154) ha di recente
ribadito che “la nozione di pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie, che
la differenziano da quella civilistica dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2009, n.
5509; TAR Piemonte Torino, sez. I,
04.09.2009, n. 2247)
In ogni caso, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 13.01.2010, n.
41).
Coerentemente, la normativa nazionale, al di
là della immediata applicabilità in Sicilia,
ex art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380,
fissa nel 20% del volume dell'edificio
principale, il limite massimo per ritenere
configurabile una pertinenza” (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.11.2010 n. 4564 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza urbanistica - Nozione -
Ampliamento di un edificio - Conducibilità
alla nozione di pertinenza - Esclusione.
La nozione di "pertinenza urbanistica"
ha peculiarità sue proprie, che la
distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un'opera -che abbia
comunque una propria individualità fisica ed
una propria conformazione strutturale e non
sia parte integrante o costitutiva di altro
fabbricato- preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede.
La relazione con la costruzione preesistente
deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio", allo
scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità
funzionale), sicché non può ricondursi alla
nozione in esame l'ampliamento di un
edificio che per la relazione di connessione
fisica, costituisce parte di esso quale
elemento che attiene all'essenza
dell'immobile e lo completa affinché
soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cass.,
Sez. 3: 29.05.2007, Rossi; 11.05.2005,
Grida; 17.01.2003, Chiappatone. Nello stesso
senso anche C. Stato, Sez. 5, 22.10.2007, n.
5515) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2010 n. 42163 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
pertinenza, per poter essere definita tale
dal punto di vista urbanistico, deve
possedere una propria individualità fisica
ed una propria conformazione strutturale e
non essere parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato, ed inoltre essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
Una pertinenza, per poter essere definita
tale dal punto di vista urbanistico, deve
possedere una propria individualità fisica
ed una propria conformazione strutturale e
non essere parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato, ed inoltre essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
In sostanza, la pertinenza esaurisce la
propria destinazione d'uso nel rapporto
funzionale con l'edificio principale, così
da non incidere sul carico urbanistico (tra
le tante, Consiglio di Stato, sez. IV,
05.03.2010, n. 1277; sez. IV, 31.03.2010, n.
1842)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 17.11.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di pertinenza - Regione
Lombardia - Art. 27, c. 1, lett. e-6 L.r.
12/2005 - Volume della pertinenza - Limite
del 20% rispetto all’edificio principale -
Mediazione degli strumenti urbanistici
comunali.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una
categoria di interventi individuata non
attraverso la nozione civilistica di cui
all’art. 817 c.c. ma in ragione della
modesta rilevanza economica e del limitato
peso per il territorio (v. CS Sez. IV
13.01.2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I
13.10.2008 n. 1259).
Nella Regione Lombardia, l’art. 27, comma 1,
lett. e-6, della LR 12/2005 esclude che si
possa definire pertinenza una costruzione il
cui volume sia superiore al 20% del volume
dell'edificio principale. Al di sotto di
questa soglia le costruzioni collegate ad
altri edifici non sono comunque
automaticamente qualificabili come
pertinenze.
La predetta norma regionale (come la
corrispondente norma statale) richiede
infatti che la qualificazione delle
pertinenze sia mediata dagli strumenti
urbanistici comunali e dai regolamenti
edilizi.
Dunque la deroga alle regole stabilite per
le nuove costruzioni è ammissibile solo
quando la disciplina comunale contenga un
criterio idoneo a differenziare le
pertinenze dal resto dell’attività
edificatoria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.09.2010 n. 3555 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono
da quella civilistica; deve trattarsi di una
opera preordinata ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato e dotata di un volume minimo, tale
da non consentire, anche in relazione alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede.
Per la Cassazione, “La nozione di
pertinenza urbanistica ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da quella
civilistica; deve trattarsi di una opera
preordinata ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato e dotata di un volume minimo, tale
da non consentire, anche in relazione alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede”
(Cassazione penale, sezione III, 19.02.1998,
n. 4134).
Nella fattispecie il patio di m. 3,50 x 25 è
stato chiuso con struttura in alluminio e
vetri ed è servito a realizzare un aumento
di cubatura della parte già abusiva del
ristorante e destinata ad ospitare altri
tavoli, per come si evince dall’apparato
fotografico offerto dal Comune.
Per giurisprudenza costante la chiusura del
patio o di un portico determina una maggiore
volumetria, con la conseguenza che non può
essere assoggettato a semplice regime
autorizzatorio, (Cassazione penale, sezione
III, 17.03.2000, n. 8521), ma richiede il
permesso a costruire
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 31.07.2010 n. 29497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Opera abusiva -
Pertinenza - Nozione ai fini della sanatoria
- Manufatto privo di funzionalità autonoma.
2. Pertinenza - Strumentalità - Destinazione
soggettiva - Non sufficiente - Criterio
oggettivo - Parametro necessario.
1. La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile solo a manufatti
tali da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio, funzionalmente ed
esclusivamente inseriti al servizio di un
manufatto principale, e privi di autonomo
valore di mercato e non valutabili in
termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e
separatamente dal manufatto cui accedono.
2.
La strumentalità non può mai desumersi dalla
destinazione soggettivamente data dal
proprietario e devono comportare una
circoscritta incisione sul cd. "carico
urbanistico" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n.
2408 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
4 -
Quanto alla nozione di pertinenza
urbanistica
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza urbanistica.
In materia edilizia, per pertinenza deve
intendersi un'opera che non sia parte
integrante o costitutiva di un altro
fabbricato, bensì al servizio dello stesso
onde renderne più agevole e funzionale l'uso
(in applicazione di tale principio la
Corte ha escluso la natura pertinenziale di
un locale residenziale, ricavato dalla
chiusura su due lati di un
lavatoio-stenditoio, collegato tramite scala
esterna con l'appartamento sottostante)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.05.2010 n. 20349 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione abusiva di un
manufatto di non trascurabili dimensioni
rientra a pieno titolo tra quelle
trasformazioni fisiche del territorio a
carattere permanente assoggettate a previo
rilascio del permesso di costruire.
La nozione urbanistica di pertinenza è assai
più ristretta di quella contenuta nell’art.
817 del codice civile, essendo la prima
configurabile solo quando l’opera non abbia
un consistente e autonomo impatto sul
territorio.
La costruzione abusiva di un manufatto di
non trascurabili dimensioni (m. 2,05 x 2,55
con altezza di m. 2,05) rientra a pieno
titolo tra quelle trasformazioni fisiche del
territorio a carattere permanente che l’art.
1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca
vigente) assoggettava a previo rilascio
della concessione edilizia (ora permesso di
costruire).
Nemmeno può condividersi la tesi di parte
ricorrente che, con il terzo motivo, assume
il carattere pertinenziale del manufatto in
questione (prefabbricato destinato a legnaia
o, secondo la prospettazione degli
interessati, adibito a ricovero attrezzi),
con conseguente asserita sottrazione dello
stesso al regime concessorio in favore di
quello autorizzatorio.
Il Collegio osserva, infatti, che detto
manufatto, ancorché di non considerevoli
dimensioni, non può essere qualificato come
pertinenza ai sensi dell’art. 7 del D.L. n.
9 del 1982, convertito, con modificazioni,
dalla L. n. 94 del 1982, in quanto la
nozione urbanistica di pertinenza è assai
più ristretta di quella contenuta nell’art.
817 del codice civile, essendo la prima
configurabile solo quando l’opera non abbia
un consistente e autonomo impatto sul
territorio (v. TAR Emilia–Romagna –BO- sez.
II n. 3735 del 2010 cit. e anche
TAR Lombardia –BS- n. 204 del 2010).
Nella specie, pertanto, ove il manufatto ha
dimensioni non trascurabili, ha oggettiva
autonomia funzionale rispetto all’edificio
residenziale principale e risulta destinato
a esigenze di carattere permanente, si deve
concludere che é stata realizzata una nuova
costruzione che era soggetta a previo
rilascio di concessione edilizia, con
conseguente legittimità della sanzione
demolitoria prevista dall’art. 7 L. n. 47
del 1985 proprio per reprimere tale
tipologia di abusi edilizi (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia per essere definita "pertinenza"
urbanistica
deve essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
In merito
all’asserita natura pertinenziale delle
tettoie:
- (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.03.2010 n.
1277) per poter essere definita pertinenza
dal punto di vista urbanistico, la res
deve essere preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede;
- nella fattispecie, le tettoie non accedono
ad alcun edificio principale;
- in ogni caso, la realizzazione di una
tettoia, ancorché avente natura
pertinenziale, è configurabile come
intervento di ristrutturazione edilizia ai
sensi dell'articolo 3, comma 1°, lettera d),
del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza <<l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti>>, ed è quindi
subordinata al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma
primo, lettera c), dello stesso D.P.R.
laddove comporti, una modifica della sagoma
o del prospetto del fabbricato cui inerisce
(cfr. TAR Campania, sez. IV, 28.12.2009 n.
9605, idem 21.12.2007, n. 16493);
- la nozione di costruzione, ai fini della
necessità della concessione edilizia, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione del tessuto urbanistico
ed edilizio, anche se esse non consistano in
opere murarie, essendo realizzate in
metallo, in laminati di plastica, in legno
od altro materiale, in presenza di
trasformazioni preordinate a soddisfare
esigenze non precarie del costruttore (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 06.06.2008)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.05.2010 n. 2143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto
civile, va distinto dal più ristretto
concetto di pertinenza inteso in senso
edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
Per
giurisprudenza costante, alla quale questo
Collegio presta adesione, il concetto di
pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di
pertinenza inteso in senso edilizio e
urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur
potendo essere qualificate come beni
pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione
autonoma rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio, come nel caso di un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene
principale e che possa essere utilizzato in
modo autonomo e separato (cfr., ex multis,
TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n.
4848).
Con specifico riferimento alle opere in
contestazione deve essere rilevato che dalla
documentazione versata in atti emerge che i
manufatti prefabbricati oltre a non
rivestire alcun carattere di precarietà
strutturale sono stati, sotto il profilo
funzionale, destinati ad uso permanente
(servizi igienici, magazzini ed uffici) e
non già preordinati a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo; ciò
con la conseguenza che l'alterazione del
territorio dagli stessi determinata non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante ed in relazione a tali opere era
necessario il preventivo rilascio della
concessione edilizia. (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n.
3973)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2124 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono pertinenze le strutture
asservite a esclusivamente a manufatti
principali.
Giova richiamare il consolidato orientamento
che riconosce il detto carattere
pertinenziale alle opere che, per loro
natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di
autonomo valore di mercato e non valutabili
in termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e
separatamente dal manufatto cui accedono
(cfr. Cass. pen., sez. III, 27.11.1997, nr.
2660; Cons. Stato, sez. V, 07.12.2002, nr.
6126; id., 30.11.2000, nr. 6538) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2010 n. 3127 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia avente carattere di stabilità,
realizzata in aderenza ad un preesistente
fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione
autonoma, oltre a non poter essere
considerata una mera pertinenza, costituisce
un'opera esterna per la cui realizzazione
occorre la concessione edilizia (ora
permesso di costruire).
In considerazione delle caratteristiche del
manufatto, del materiale utilizzato per la
realizzazione, dell'ubicazione e del suo
utilizzo, il Collegio ritiene di poter
confermare quell'indirizzo giurisprudenziale
(cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005,
n. 4655) secondo cui una tettoia avente
carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Alla medesima conclusione si può addivenire
anche tenendo ferma la natura pertinenziale
del manufatto, considerata l'idoneità di
questo ad incidere sull'assetto edilizio
preesistente (cfr. TAR Campania, Napoli,
sez. IV, 16.07.2002, n. 4107 e TAR Sicilia,
Palermo, sez. I, 08.07.2002, n. 1936).
Non può poi sottacersi (non condividendo sul
punto l'opinione della ricorrente) che le
descritte caratteristiche depongano per
ritenere che si tratti di opere nuove che
attuano una trasformazione permanente del
territorio, ciò sia per il materiale
utilizzato per la sua realizzazione (che non
consente un'agevole rimovibilità) che per la
sua localizzazione e per la funzione a cui
risulta adibito (deposito automezzi ed
attrezzi).
Ulteriore elemento che depone a favore della
necessità del previo rilascio del permesso
di costruire è possibile rinvenire nella
definizione di “nuova costruzione”
contenuta nell'art. 3 del DPR n. 380/2001,
ribadita dall'art. 27 della L.R. n. 12/2005.
Ed invero, l'art. 3, comma 1, lett. e.5),
del DPR n. 380/2001 annovera tra gli
interventi di nuova costruzione “l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Ciò posto, la realizzazione dei manufatti in
argomento avrebbe dovuto essere preceduta
dal rilascio del permesso di costruire, la
cui assenza giustifica l'adozione
dell'ordinanza impugnata
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 06.05.2010 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione di un'autorimessa
e di un deposito di legname non possono
essere considerati quali opere pertinenziali
dell'edificio principale.
Il Comune ha ingiunto agli odierni
ricorrenti, ai sensi dell’art. 14 della L.
n. 47 del 1985, di demolire due manufatti,
adibiti rispettivamente ad autorimessa e a
deposito di legname e realizzati
abusivamente su area appartenente al demanio
dello Stato.
I suddetti manufatti non possono essere
qualificati –come erroneamente sostiene la
difesa dei ricorrenti– alla stregua del
suddetto muro di contenimento, quali opere
pertinenziali dell’edificio principale (TAR
Emilia Romagna –BO- sez. II, 13/09/2006 n.
2030), e tanto meno essi possono essere
considerati quali manufatti precari; “a
contrario” essendo tali opere preposte a
soddisfare esigenze di carattere permanente
e non già provvisorio (v. TAR Emilia Romagna
–BO- sez. II, 21/01/2009 n. 67; TAR Campania
–NA- sez. VII, 05/06/2009 n. 875; sez. VI,
06/11/2008 n. 19292)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.03.2010 n. 2778 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza,
previsto dal diritto civile, va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso edilizio e urbanistico, che non
trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
Ai fini della legittima installazione di un
box, è necessaria la concessione edilizia,
posto che soltanto le costruzioni aventi
intrinseche caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo, sono
esenti dall'assoggettamento alla concessione
edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al
predetto regime un box che, pur se non
infisso al suolo ma solo aderente in modo
stabile, sia destinato ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o
irrilevante.
Perché un'opera edilizia avente carattere
precario, in forza della sua facile
amovibilità, venga sottratta all'obbligo di
concessione edilizia, è necessario che sia
destinata ad un uso molto limitato nel
tempo, per fini specifici e temporanei.
Non può considerarsi pertinenza in senso
urbanistico ed edilizio il manufatto che,
per essere costruito a ridosso e con
appoggio su un fabbricato principale,
realizza in effetti un ampliamento dello
stesso, diventando parte integrante di esso.
Nella
fattispecie in esame, come emerge
dall’ordinanza di demolizione gravata, le
opere contestate sono consistite nella
realizzazione di una tettoia e nella
collocazione di due box prefabbricati che,
secondo quanto affermato dalla stessa difesa
dei ricorrenti nell’atto introduttivo del
presente giudizio, sono stati collocati su
pavimento battuto in cemento.
Per giurisprudenza costante, alla quale
questo Collegio presta adesione, il concetto
di pertinenza, previsto dal diritto civile,
va distinto dal più ristretto concetto di
pertinenza inteso in senso edilizio e
urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur
potendo essere qualificate come beni
pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione
autonoma rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio, come nel caso di un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene
principale e che possa essere utilizzato in
modo autonomo e separato (cfr., ex multis,
TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n.
4848).
Con specifico riferimento ai box
prefabbricati la stessa giurisprudenza ha
anche evidenziato che, ai fini della
legittima installazione di un box, è
necessaria la concessione edilizia, posto
che soltanto le costruzioni aventi
intrinseche caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo, sono
esenti dall'assoggettamento alla concessione
edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al
predetto regime un box che, pur se non
infisso al suolo ma solo aderente in modo
stabile, sia destinato ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o
irrilevante. Pertanto perché un'opera
edilizia avente carattere precario, in forza
della sua facile amovibilità, venga
sottratta all'obbligo di concessione
edilizia, è necessario che sia destinata ad
un uso molto limitato nel tempo, per fini
specifici e temporanei (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n.
3973).
Applicando tali coordinate ermeneutiche alla
fattispecie oggetto del presente giudizio
non vi è dubbio che il carattere
pertinenziale delle opere abusivamente poste
in essere debba essere escluso emergendo,
peraltro, lo stabile collocamento dei box
sul pavimento cementato, la destinazione ad
uso non temporaneo e l’irreversibile
trasformazione del territorio che la loro
collocazione ha comportato. Con specifico
riferimento alla tettoia, inoltre, la
censura si palesa inammissibile per
genericità prima ancora che infondata, posto
che il carattere pertinenziale della stessa
viene solo asserito ma non vengono
articolate argomentazioni, riferite alle
caratteristiche strutturali e funzionali,
idonee a confortare la pretesa accessorietà
della stessa.
Deve essere evidenziato, inoltre, che, come
affermato dalla giurisprudenza del Consiglio
di Stato, non può considerarsi pertinenza in
senso urbanistico ed edilizio il manufatto
che, per essere costruito a ridosso e con
appoggio su un fabbricato principale,
realizza in effetti un ampliamento dello
stesso, diventando parte integrante di esso
(Cons. St., sez. IV, 12.03.2007, n. 1219)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 940 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SILOS PER USI AGRICOLI: E'
PERTINENZA EDILIZIA?
Pertinenza edilizia -
Nozione.
E' pertinenza edilizia soltanto quella
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, in relazione alle caratteristiche di
quest'ultimo, sfornita di un valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o, comunque, dotata di un volume
minimo, sicché sono qualificabili come
pertinenze in materia edilizia solo le opere
che siano prive di autonoma destinazione, e
che esauriscano la loro destinazione d'uso
del rapporto funzionale con l'edificio
principale così da non incidere sul carico
urbanistico (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 928 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una tettoia,
configurandosi quale opera di trasformazione
urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze, è
subordinata al rilascio del permesso di
costruire, diversamente dal pergolato, che è
una struttura aperta sia lateralmente che
nella parte superiore; la tettoia, invece,
può essere utilizzata anche come riparo ed
aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per
l’assenza di tamponature laterali e di
copertura. La trasformazione del pergolato
in tettoia (realizzata, come nel caso di
specie, in cemento e con copertura in
tegole) determina la creazione di un nuovo
volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che
la realizzazione di una tettoia,
configurandosi quale opera di trasformazione
urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze, è
subordinata al rilascio del permesso di
costruire, diversamente dal pergolato, che è
una struttura aperta sia lateralmente che
nella parte superiore; la tettoia, invece,
può essere utilizzata anche come riparo ed
aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile
(Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.03.2010 n. 1168 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Pertinenza
urbanistica - Nozione.
2. Pertinenza
urbanistica - Elementi costitutivi.
3. Pertinenza
urbanistica - Sopraelevazione perfettamente
inserita nell'edificio e priva di autonomia
- Carattere di pertinenzialità - Non
sussiste - Permesso di costruire -
Necessità.
1. La nozione di pertinenza urbanistica
possiede caratteristiche differenti da
quella contemplata dal codice civile,
sostanziandosi nella destinazione
strumentale alle esigenze dell'immobile
principale, risultante sotto il profilo
funzionale da elementi oggettivi, dalla
ridotta dimensione sia in senso assoluto sia
in relazione all'immobile al cui servizio è
complementare, dall'ubicazione, dal valore
economico rispetto alla cosa principale e
dall'assenza del c.d. carico urbanistico
(Cons. di Stato, sent. nn. 3490/2006 e
7325/2004; TAR Milano, sent. n. 28/2010).
2. Gli elementi costitutivi della pertinenza
urbanistica sono, sotto il profilo
strutturale, l'autonomia rispetto
all'edificio principale ed il collegamento
funzionale con il bene principale attraverso
un rapporto di stretta strumentalità (TAR
Veneto, sent. n. 2051/2001).
3. Nel caso di sopraelevazione perfettamente
inserita nell'edificio -allineata alla
sagoma dell'edificio preesistente- e priva
di autonomia rispetto ad esso, non ricorre
la fattispecie della pertinenzialità ed è
pertanto necessario idoneo titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
271 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza - nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica.
Infatti, per essere riconosciuto tale, il
manufatto deve essere non solo preordinato
ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, ma deve essere anche sfornito di
autonomo valore di mercato e dotato comunque
di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il c.d.
carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.01.2010 n. 204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione di costruzione -
Pertinenza urbanistica - Nozione.
La nozione di pertinenza urbanistica
sottoposta in quanto tale al regime
autorizzatorio in luogo di quello
concessorio, ha peculiarità proprie che la
distinguono da quella civilistica: il
manufatto deve essere non solo deve essere
preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di un autonomo valore di
mercato e dotato comunque di un volume
modesto rispetto all'edificio principale in
modo da evitare il cosiddetto aumento del
carico urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
13.01.2010 n. 28 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
ambito urbanistico il concetto di pertinenza
viene costantemente interpretato alla luce
dei principi della materia edilizia e non di
quelli civilistici di cui agli artt. 817 ss.
c.c., nel senso che sono esclusi dal raggio
di operatività della concessione i soli
interventi edilizi minori: si accoglie in
particolare un'accezione oggettiva e
quantitativa di pertinenza, rientrandovi
solo i manufatti di dimensioni modeste e
ridotte rispetto al fabbricato cui
ineriscono, ossia le piccole opere
accessorie -prive di capacità di un utilizzo
separato ed indipendente- strettamente poste
al servizio di quelle principali e di
consistenza tale da non alterare in modo
significativo l'assetto del territorio.
Posto che la strumentalità non può mai
desumersi dalla destinazione soggettivamente
data dal proprietario, per consolidata
giurisprudenza le opere devono essere
altresì prive di un autonomo valore di
mercato e dotate comunque di un volume
modesto rispetto all'edificio principale, in
modo da importare una circoscritta incisione
sul cd. "carico urbanistico".
Secondo la definizione codicistica (art. 817
c.c.) la pertinenza è un bene strumentale e
complementare che, pur conservando una
propria individualità ed autonomia, è posto
in durevole rapporto di subordinazione con
altro (principale) preesistente, per
renderne più agevole e funzionale l'uso in
modo tale che l'uno sia posto a servizio o
ad ornamento dell'altro.
In ambito urbanistico il concetto di
pertinenza viene costantemente interpretato
alla luce dei principi della materia
edilizia e non di quelli civilistici di cui
agli artt. 817 ss. c.c., nel senso che sono
esclusi dal raggio di operatività della
concessione i soli interventi edilizi
minori: si accoglie in particolare
un'accezione oggettiva e quantitativa di
pertinenza, rientrandovi solo i manufatti di
dimensioni modeste e ridotte rispetto al
fabbricato cui ineriscono, ossia le piccole
opere accessorie -prive di capacità di un
utilizzo separato ed indipendente-
strettamente poste al servizio di quelle
principali e di consistenza tale da non
alterare in modo significativo l'assetto del
territorio (Consiglio di Stato, sez V -
30/10/2000 n. 5828; sez. VI - 08/03/2000 n.
1174).
Posto che la strumentalità non può mai
desumersi dalla destinazione soggettivamente
data dal proprietario, per consolidata
giurisprudenza le opere devono essere
altresì prive di un autonomo valore di
mercato e dotate comunque di un volume
modesto rispetto all'edificio principale, in
modo da importare una circoscritta incisione
sul cd. "carico urbanistico" (TAR
Lazio, sez. II-ter - 04/02/2005 n. 1036; TAR
Umbria - 08/08/2003 n. 648; Consiglio di
Stato, sez. V - 01/12/2003 n. 7822).
Le opere compiute dalla parte ricorrente non
rivestono certamente natura di pertinenze,
posto che si tratta di “un manufatto in
metallo di mq. 231 composto di n. 10 travi
portanti in copertura a tetto a due falde”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.01.2010 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
porticato non può essere ricondotto alla
nozione di pertinenza in quanto esso
modifica la sagoma dell’edificio e
costituisce un volume autonomo, oltre ad
essere collegato stabilmente al suolo.
Deve escludersi la riconducibilità del
porticato al concetto di pertinenza, posto
che, secondo l’orientamento
giurisprudenziale prevalente (ex multis
TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26.09.2008 n.
11309, Sez. VIII, 24.04.2009 n. 2163,
28.05.2009, n. 2999, TAR Abruzzo, L’Aquila
13.11.2008 n. 1206) il porticato non può
essere ricondotto alla nozione di pertinenza
in quanto esso modifica la sagoma
dell’edificio e costituisce un volume
autonomo, oltre ad essere collegato
stabilmente al suolo; inoltre, nel caso in
parola, suffragano questa tesi sia le
modalità di costruzione (pilastri in cemento
armato e con copertura metallica) sia le
notevoli dimensioni del manufatto (ml. 5,10
per 2,75 di altezza media di ml. 2,45
circa). La stessa permanenza dell’opera nel
tempo, secondo l’assunto della parte
ricorrente, fa discendere la stabile
modificazione urbanistico-edilizia
intervenuta, determinante ai fini del
riconoscimento o meno della natura
pertinenziale.
L’opera pertanto non poteva essere soggetta
a denunzia di inizio attività, ma doveva
essere previamente richiesta la licenza
edilizia (ora permesso di costruire)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 07.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza -
Nozione ex art. 7, cpv. lett. a), L. 94/1982 -
Chiusura con muratura di un terrazzo con
ampliamento di superficie e volumetria - Non
è tale.
La nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica, dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
Pertanto, non può ricondursi alla nozione di
pertinenza urbanistica l'ampliamento di un
edificio che costituisce parte integrante o
costitutiva dello stesso, difettando in tal
caso la relazione di servizio,
indispensabile per l'identificazione del
rapporto pertinenziale.
In particolare, è escluso che la chiusura
con muratura del terrazzo posto a livello di
un appartamento, con ampliamento di
superficie e di volumetria, rientri nella
nozione di pertinenza ex art. 7, capoverso,
lett. a), l. 25.03.1982, n. 94 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
28.12.2009 n. 2615 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie
idonee a trasformare in modo permanente il
territorio, a causa dell'uso stabile delle
stesse poiché in materia edilizia rileva
l'oggettiva idoneità delle strutture
installate ad incidere sullo stato dei
luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la
precarietà ogni volta che l'opera sia
destinata a fornire un'utilità prolungata
nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre la concessione
edilizia.
Come chiarito dalla recente giurisprudenza,
ormai consolidata, alla quale questo
Collegio aderisce, il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia
(cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina,
19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez.
III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si
ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei
ricorrenti, di qualificare l’opera come
tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra
le opere edilizie idonee a trasformare in
modo permanente il territorio, a causa
dell'uso stabile delle stesse poiché in
materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità
delle strutture installate ad incidere sullo
stato dei luoghi, dovendosi, peraltro,
escludere la precarietà ogni volta che
l'opera sia destinata a fornire un'utilità
prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia
Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n.
1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771;
TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008,
n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I,
18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel
ritenere, peraltro, che anche la tettoia
avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n.
771; TAR Lombardia Milano, sez. II,
04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3639 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Concetto di pertinenza - Diritto
civile - Diritto urbanistico ed edilizio -
Differenza - Funzione autonoma rispetto ad
altra costruzione - Regime concessorio.
Il concetto di pertinenza, previsto dal
diritto civile, va distinto dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato (cfr., Cons. St., sez. IV,
23.07.2009, n. 4636; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 01.09.2009, n. 4848) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3638 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di manutenzione
straordinaria si fonda sul duplice
presupposto che i lavori siano preordinati
alla mera rinnovazione o sostituzione di
parti dell'edificio o alla realizzazione di
impianti igienico-sanitari o tecnologici e
che i volumi e le superfici preesistenti non
vengano alterati o non siano destinati ad
altro uso.
La realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia poiché, pur avendo
carattere pertinenziale rispetto
all'immobile cui accede, incide sull'assetto
edilizio preesistente.
Il manufatto realizzato (ndr: senza permesso
di costruire) consiste in una tettoia che
insiste nella parte esterna del terrazzino
di mq. 9,00 (mt. 3,00 x 3,00) che è chiuso
per tre lati nella parte interna e termina
con un balcone aggettante (mt. 3,00 x 1,5 =
mq. 4,50).
Il tipo di manufatto realizzato non può
essere considerato opera di manutenzione
straordinaria soggetta a D.I.A., in quanto
il concetto di manutenzione straordinaria si
fonda sul duplice presupposto che i lavori
siano preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienico-sanitari
o tecnologici e che i volumi e le superfici
preesistenti non vengano alterati o non
siano destinati ad altro uso (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725).
Nel caso di specie i lavori realizzati
esulano dalla mera rinnovazione o
sostituzioni di parti dell’edificio e
risultano essere state alterate le
superficie ed i volumi, anche considerando
la chiusura in alluminio e vetri operata
nella parte superiore.
Detti lavori comportano una rilevante
modifica dell'assetto edilizio preesistente
che richiedeva il rilascio del permesso di
costruire ed, in tal senso, esulano altresì
dalla nozione di pertinenza, che consente di
derogare al regime abilitativo, in quanto
quest’ultima va definita, oltre che in
ragione della necessità e oggettività del
rapporto pertinenziale, anche in relazione
alla consistenza dell'opera, che non deve
essere tale da alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309).
In ogni caso, pur se si volesse considerare
la tettoia quale pertinenza dell’immobile
principale, si richiama quella
giurisprudenza secondo cui la realizzazione
di una tettoia è soggetta a concessione
edilizia poiché, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui
accede, incide sull'assetto edilizio
preesistente (TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
16.07.2002, n. 4107; TAR Sicilia, Palermo,
Sez. I, 08.07.2002, n. 1936; TAR Campania
Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR
Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n.
9725) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 04.11.2009 n. 6876 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Le pertinenze
edilizie sono una categoria di interventi
che non fa riferimento al concetto
civilistico di pertinenza ex art. 817 c.c.
ma si basa sulla modesta rilevanza economica
dell’opera e sul limitato peso per il
territorio.
Anche la realizzazione di impianti
tecnologici può variare lungo una scala di
rilevanza che parte dalla manutenzione
ordinaria (integrazione e mantenimento in
efficienza degli impianti esistenti), passa
per il risanamento conservativo e per la
ristrutturazione (inserimento di nuovi
impianti), e arriva a differenti tipologie
di nuova costruzione (realizzazione di
infrastrutture e impianti con trasformazione
permanente di suolo inedificato;
realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto).
La
disciplina di favore prevista per le
pertinenze e gli impianti tecnologici
dall’art. 7, comma 2, del DL 9/1982 non deve
essere interpretata nel senso di una
generale liberalizzazione di questi
interventi.
Le pertinenze edilizie sono una categoria di
interventi che non fa riferimento al
concetto civilistico di pertinenza ex art.
817 c.c. ma si basa sulla modesta rilevanza
economica dell’opera e sul limitato peso per
il territorio. L’applicazione puntuale di questi criteri è
mediata dagli strumenti urbanistici
comunali, ai quali ora espressamente l’art.
27, comma 1, lett.e6, della LR 11.03.2005 n. 12
affida il compito di distinguere le
pertinenze dalle nuove costruzioni
assoggettate a permesso di costruire.
Anche
la realizzazione di impianti tecnologici può
variare lungo una scala di rilevanza che
parte dalla manutenzione ordinaria
(integrazione e mantenimento in efficienza
degli impianti esistenti), passa per il
risanamento conservativo e per la
ristrutturazione (inserimento di nuovi
impianti), e arriva a differenti tipologie
di nuova costruzione (realizzazione di
infrastrutture e impianti con trasformazione
permanente di suolo inedificato;
realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto).
La materia è stata
riordinata ma sotto questi profili non
innovata dall’art. 27, comma 1, della LR
12/2005.
Applicando i parametri indicati sopra risulta evidente che le pensiline
realizzate dal ricorrente non possono essere
qualificate come pertinenze perché ampliano
in modo significativo la superficie
aziendale coperta. In effetti sono
interventi edilizi che si integrano
strutturalmente nell’edificio esistente
aumentandone il valore economico e le
potenzialità produttive. Il fatto che lo
spazio coperto dalle pensiline sia destinato
a impianti tecnologici conferma questa
interpretazione. Non si tratta in realtà di
impianti serventi come quelli inseriti in un
edificio residenziale ma di veri e propri
impianti produttivi collocati all’esterno,
con la medesima funzione del resto
dell’immobile e con occupazione permanente
di suolo in precedenza inedificato.
Di conseguenza la classificazione corretta
appare quella di nuove costruzioni, soggette
a concessione edilizia all’epoca dei fatti e
ora a permesso di costruire. A questi titoli
edilizi si collega l’obbligo di versare i
contributi concessori, il cui importo non
può quindi essere rimborsato al ricorrente (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 13.10.2008 n. 1259 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze (piscina).
Una piscina posta al servizio esclusivo di
una residenza privata legittimamente
edificata non è di per sé estranea al
concetto di "pertinenza urbanistica" ma può
diventarlo quando abbia dimensioni non
trascurabili o si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione
ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe
comunque avere una destinazione autonoma
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39067 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze (locale serbatoi).
In tema di pertinenze, la relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in
ogni caso, non di integrazione ma "di
servizio", allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale), sicché non può
ricondursi alla nozione in esame la
realizzazione di un autonomo corpo di
fabbrica in ampliamento e adiacente a quello
principale, soggettivamente destinato a "locale
serbatoi" ma che, per le oggettive
caratteristiche costruttive e per la
ripartizione interna dei locali, è
utilizzabile economicamente con destinazione
residenziale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39065 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla nozione di pertinenza
edilizio-urbanistica.
Rimarca, al riguardo, la Sezione come sia
fin troppo noto che la giurisprudenza
amministrativa scolpisce una nozione di
pertinenza edilizia assolutamente divergente
dall’accezione civilistica di pertinenza e
più ristretta di quest’ultima,
circoscrivendola a quei manufatti tali da
non alterare in modo significativo l'assetto
del territorio, cioè di dimensioni modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono;
deve, inoltre, trattarsi di opera preordinata
ad una esigenza necessaria dell'edificio
principale (TAR Basilicata, sez. I,
24.01.2009, n. 1) e funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, riguarda soltanto opere di modesta
entità ed accessorie rispetto ad un'opera
principale, quali ad esempio i piccoli
manufatti per il contenimento di impianti
tecnologici et similia, ma non anche
opere che dal punto di vista delle
dimensioni e della funzione si connotino per
una propria autonomia rispetto all'opera
cosiddetta principale (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II, 05.11.2008, n.
4473) e non siano quindi coessenziali al
bene principale (TAR Campania–Napoli, Sez.
IV, n. 10138/2008).
Ed è opportuno rimarcare che presupposto
imprescindibile della nozione di pertinenza
urbanistico–edilizia è, ad avviso della
Sezione, l’esistenza di una res
principalis, che deve di necessità
consistere in un immobile materiale e non
può coincidere con un’impresa. A nulla giova
al ricorrente, dunque, allegare che i
manufatti abusivi da lui realizzati, dal
preteso carattere pertinenziale, siano
accessivi alla sua impresa, se poi difetta
il predetto ineludibile presupposto
materiale costituito dalla previa esistenza
e consistenza di una res immobiliare
principale
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.09.2009 n. 2247 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
IL concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso edilizio e urbanistico, che non
trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione.
Questa Sezione
ha già avuto modo di affermare –secondo
consolidata impostazione giurisprudenziale-
che il concetto di pertinenza previsto dal
diritto civile, va distinto dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato (TAR Campania Napoli, sez. IV,
15.09.2008, n. 10138).
Ed al fine di qualificare pertinenza un
manufatto dal punto di vista strettamente
edilizio, non può aversi riguardo al solo
profilo strutturale del bene, ossia alla sua
fisica amovibilità (anche in ragione dei
materiali utilizzati ed alla tecnica
costruttiva), bensì al profilo funzionale
(TAR Campania Napoli, sez. VIII, 24.04.2009,
n. 2163), ovvero alla possibilità di fruire
autonomamente del manufatto.
D’altra parte, nel concetto di nuova
costruzione deve farsi rientrare ogni
intervento edilizio che abbia rilevanza
urbanistica in quanto incide sull'assetto
del territorio ed aumenta il c.d. carico
urbanistico (Cons. Stato, sez. V,
15.06.2002, n. 3176).
In particolare, per ciò che concerne i
locali realizzati sugli sporti delle
abitazioni al fine di ottenere un
ripostiglio, questa Sezione (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 12.06.2001, n. 2708) ha già
chiarito che non si tratta di interventi di
mera manutenzione straordinaria, cui è
connessa la necessità di non alterare la
identità strutturale e funzionale
dell'organismo edilizio originario, mentre
con la realizzazione della
veranda-ripostiglio l'appartamento risulta
dotato di terrazzo ma una struttura nuova e
aggiuntiva, estranea alla originaria
conformazione dell'appartamento.
Morfologicamente e funzionalmente diversa
dal terrazzo la veranda sottrae spazio al
balcone riducendo le dimensioni dello stesso
e innovando la unità abitativa della quale
altera, sia pure parzialmente, la
fisionomia, e creando nuovo volume mediante
l'aggregazione al preesistente organismo di
una entità edilizia ulteriore ad esso
organismo estranea (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 01.09.2009 n. 4849 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
realizzare una tettoia occorre il permesso
di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere
annoverata nel concetto di manutenzione
straordinaria; è priva del carattere della
precarietà ed amovibilità; non può essere
considerata pertinenza.
Il Collegio condivide l’interpretazione
giurisprudenziale secondo la quale “La
realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia ai sensi dell'art. 1,
l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur
avendo carattere pertinenziale rispetto
all'immobile cui accede, incide sull'assetto
edilizio preesistente. La costruzione di una
tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che
quest'ultima si fonda sul duplice
presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienici sanitari
e che i volumi e le superfici preesistenti
non vengano alterati o non siano destinati
ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez.
VI, 17.12.2008, n. 21346).
“La tettoia realizzata sul terrazzo di un
fabbricato, in quanto struttura stabilmente
ancorata al pavimento e destinata a
soddisfare non una esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo, è
priva del carattere della precarietà ed
amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal
momento che comporta una rilevante modifica
dell'assetto edilizio preesistente" (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n.
16493).
"Una tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre il permesso di
costruire” (TAR Lombardia Milano, sez.
II, 04.12.2007, n. 6544)
(TAR Lazio-Roma,
sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di “pertinenza
urbanistica”
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.07.2009 n. 28530 -
link a www.simoline.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli interventi consistenti nella
installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di semplice
decoro o arredo o di riparo e protezione
(anche da agenti atmosferici) della parte
dell’immobile cui accedono.
La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile ai soli
manufatti di dimensioni tanto modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da
potersi considerare sostanzialmente
irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Per giurisprudenza costante (fra le più
recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n.
492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli,
Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR
Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del
09.09.2008), gli interventi consistenti
nella installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di semplice
decoro o arredo o di riparo e protezione
(anche da agenti atmosferici) della parte
dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono (in termini TAR Campania
Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008
cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001
n. 1442).
Anche di recente si è affermato che la
realizzazione di una tettoia ancorata al
suolo costituisce opera idonea ad alterare
lo stato dei luoghi e a trasformare il
territorio permanentemente e perciò richiede
il rilascio di un permesso di costruire (TAR
Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n.
752).
Del resto, è noto che la nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del
2008). In altri termini, rilevano non
soltanto gli elementi strutturali
(composizione dei materiali, smontabilità o
meno del manufatto) ma anche i profili
funzionali dell’opera (cfr. TAR Lazio, Roma,
Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si
deve ritenere che la tettoia oggetto del
provvedimento impugnato, realizzata dalla
ricorrente in lamiere coibentate sorrette da
elementi scatolari in ferro bullonati, non
può ritenersi irrilevante sotto il profilo
edilizio per la sua tipologia (struttura
metallica non leggera) e soprattutto per la
sua dimensione (86 mq.), perché suscettibile
di autonoma utilizzazione e perché ha
determinato una non irrilevante alterazione
dello stato dei luoghi e del prospetto degli
edifici interessati, con la conseguenza che
per la installazione di tale struttura era
necessario il permesso di costruire, con
l’ulteriore conseguenza che la realizzazione
delle stesse in assenza del titolo dovuto ne
ha determinato l’abusività e quindi
l’irrogazione della prevista sanzione
ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del
2001).
Del resto l’ordine di demolizione di opere
abusive è un atto dovuto in presenza di
opere realizzate senza alcun titolo
abilitativo e quindi abusivamente
(giurisprudenza costante anche di questa
Sezione, cfr. anche, fra le tante, Consiglio
di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e
non necessita di particolare motivazione
sull’interesse pubblico o sulla eventuale
sanabilità delle opere.
Nel richiamare
quanto già in precedenza affermato, si deve
aggiungere, in relazione alla natura delle
opere realizzate, che risulta irrilevante
(ai fini della legittimità edilizia) la
destinazione pertinenziale della tettoia e
l’utilizzo a parcheggio dell’area
interessata.
Per principio pacifico infatti la nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più
ristretta di quella civilistica ed è
riferibile ai soli manufatti di dimensioni
tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono da potersi considerare
sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo
edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale
(fra le più recenti, TAR Lombardia Milano,
sez. II, 17.06.2008, n. 2045)
(TAR Campania-Napli, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza in senso urbanistico
ed edilizio è più ristretto della nozione
civilistica.
Il concetto di pertinenza in senso
urbanistico ed edilizio è più ristretto
della nozione civilistica, posto che il
primo richiede, che il manufatto sia non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio ma anche che sia
sfornito di un autonomo valore di mercato e
dotato, comunque, di un volume modesto
rispetto all’edificio principale, in modo da
evitare in cosiddetto carico urbanistico
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. V,
22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V,
11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV,
12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza,
29.11.2008, n. 915; Tar Campania-Napoli,
sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte,
sez. I, 13.06.2008, n. 1368)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
collocazione al di sopra di un muro di
sostegno di n. 22 fioriere in cemento
dell’altezza di cm. 60 ben può essere
ricompresa nell'ambito delle «opere
costituenti pertinenze od impianti
tecnologici al servizio di edifici già
esistenti», di cui all'art. 7 comma 2, d.l.
23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano
possedere tutte le caratteristiche che la
consolidata elaborazione giurisprudenziale
connette al concetto di pertinenza edilizia.
La collocazione al di sopra di un muro di
sostegno di n. 22 fioriere in cemento
dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da
elementi di cemento dell’altezza di cm. 15)
ben può essere ricompresa nell'ambito delle
«opere costituenti pertinenze od impianti
tecnologici al servizio di edifici già
esistenti», di cui all'art. 7 comma 2,
d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano
possedere tutte le caratteristiche che la
consolidata elaborazione giurisprudenziale
(cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n.
647) connette al concetto di pertinenza
edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e
funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e
struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo
diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale
propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente
edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di
mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L.
n. 47/1985, la sola applicabilità nella
specie della sanzione pecuniaria, con il
conseguente annullamento dell’ordinanza di
demolizione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura di un'opera pertinenziale.
La collocazione al di sopra di un muro di
sostegno di n. 22 fioriere in cemento
dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da
elementi di cemento dell’altezza di cm. 15)
ben può essere ricompresa nell'ambito delle
«opere costituenti pertinenze od impianti
tecnologici al servizio di edifici già
esistenti», di cui all'art. 7 comma 2,
d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano
possedere tutte le caratteristiche che la
consolidata elaborazione giurisprudenziale
(cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n.
647) connette al concetto di pertinenza
edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e
funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e
struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo
diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale
propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente
edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di
mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L.
n. 47/1985, la sola applicabilità nella
specie della sanzione pecuniaria, con il
conseguente annullamento dell’ordinanza di
demolizione
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia in pali di ferro e
copertura in plastica. Occorre il permesso
di costruire?
Una tettoia di
tela plastificata, sostenuta da tubi
metallici fissati nel terreno e dal medesimo
realizzata al fine di ricoverarvi le
macchine agricole ha natura pertinenziale
viste le modeste dimensioni dell’opera e i
materiali con i quali è stata realizzata la
copertura (tela), oltre alle concrete
finalità assolte dalla stessa (ricovero di
macchine agricole, in relazione all’attività
di coltivatore diretto)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 29.06.2009 n. 1013 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Criteri di individuazione delle
pertinenze soggette a permesso di costruire.
La norma per individuare le pertinenze
soggette a permesso di costruire indica due
criteri: uno qualitativo, che si sostanzia
nella possibilità concessa ai Comuni di
restringere ulteriormente l’area delle opere
pertinenziali, realizzabili con la semplice
denuncia di inizio attività, sottoponendo a
permesso di costruire tutti gli interventi
che, in ragione delle caratteristiche delle
aree in cui si intende operare, richiedono
un più penetrante controllo; ed uno
quantitativo, che si concreta nel
considerare comunque nuova costruzione
l’intervento pertinenziale che determina un
aumento del 20% del volume dell’edificio
principale. In questo caso, dunque, il
legislatore presume che un volume superiore
al limite quantitativo prefissato determini
senz’altro un aggravio al carico urbanistico
esistente (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 26.06.2009 n. 26573 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia (esclusione della natura
di pertinenza).
In tema di reati edilizi, deve ritenersi che
la tettoia di un edificio non rientra nella
nozione tecnico-giuridica dì pertinenza, ma
costituisce piuttosto parte dell’edificio
cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica
il concetto di pertinenza ha caratteristiche
sue proprie, diverse da quelle definite dal
cod. civ., riferendosi ad un'opera autonoma
dotata di una propria individualità, in
rapporto funzionale con l’edificio
principale, laddove la parte dell’edificio
appartiene senza autonomia alla sua
struttura (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 18.06.2009 n. 25530 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
recinzione è da qualificare come "pertinenza
edilizia" laddove possiede tutte le
caratteristiche che la giurisprudenza,
appunto, riconduce al concetto di pertinenza
edilizia, quali:
a) un nesso oggettivo strumentale e
funzionale con la cosa principale; b) il
mancato possesso, per natura e struttura, di
una pluralità di destinazioni; c) un
carattere durevole; d) la non
utilizzabilità economica in modo diverso; e)
una ridotta dimensione; f) una individualità
fisica e strutturale propria; g)
l’accessione ad un edificio preesistente
edificato legittimamente (dovendosi, nel
caso specifico, tale dato riferire al corpo
di fabbrica originario, in relazione al
quale non sussiste contestazione fra le
parti); h) l’assenza di un autonomo valore
di mercato.
Ne deriva che eventuali difformità nella
realizzazione della recinzione, avente
natura pertinenziale e costituente
manifestazione dello “ius excludendi alios”
insito nel diritto di proprietà, soggetta
non già a “concessione edilizia” (oggi:
“permesso di costruire”), ma ad
“autorizzazione” gratuita, già nel sistema
anteriore all’entrata in vigore del D.P.R.
n. 380 del 2001, non potevano essere
assoggettate alla sanzione dell’ordine di
demolizione ma, al massimo, all’applicazione
di una sanzione pecuniaria, ai sensi
dell'art. 10 della legge n. 47 del 1985.
La regolamentazione anzidetta non appare
sostanzialmente mutata nel nuovo quadro
legislativo, rappresentato dal D.P.R.
06.06.2001 n. 380 (T.U. dell'Edilizia), che
non comprende le recinzioni fra le attività
che non richiedono alcun titolo abilitativo
(art. 6), ma nemmeno fra quelle soggette a
permesso di costruire (art. 10), con
conseguente riconducibilità delle stesse
alla nozione residuale degli "interventi
subordinati a denuncia di inizio attività"
(art. 22), i quali, se realizzati in assenza
od in contrasto rispetto a detta denuncia,
sono sottoposti a "sanzione pecuniaria, pari
al doppio dell'aumento di valore venale
dell'immobile, conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi, e
comunque in misura non inferiore a 516 euro"
(art. 37, comma 1), a meno che non
sussistano vincoli, tali da comportare la
restituzione in pristino (art. 37 cit.,
comma 2).
I ricorrenti lamentano, innanzi tutto, che,
non essendo mai stato revocato né annullato
il titolo abilitativo alla realizzazione
della recinzione de qua, costituito
dall’autorizzazione sindacale n. 1392 del
06.03.1987, nella specie non sussisterebbe
l’unico presupposto, che avrebbe potuto
legittimare la P.A. all’applicazione di
misure sanzionatorie, consistente nella
difformità dell’opera realizzata rispetto al
predetto titolo, ai sensi dell’art. 27 e 35
del D.P.R. n. 380 del 2001, assumendo come
parametro di riferimento il tracciato del
vecchio confine, segnato dalla preesistente
recinzione in rete metallica, espressamente
richiamato nel precitato titolo abilitativo.
Inoltre, vertendosi in relazione ad un “intervento
edilizio minore”, improduttivo di alcun
incremento volumetrico, oggi riconducibile
nel novero degli interventi assentibili ai
sensi dell’art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R.
n. 380 del 2001, nella specie non potrebbe
trovare applicazione l’art. 35 del D.P.R. n.
380 del 2001, ma, al massimo, potrebbe
essere comminata una sanzione pecuniaria, ai
sensi dell’art. 37 del medesimo D.P.R. n.
380 del 2001.
Sotto altro aspetto, i ricorrenti deducono
che, diversamente da quanto affermato
nell’ordinanza cautelare di questo Tribunale
n. 171 del 2008, la P.A., nella nuova
riedizione del potere, si sarebbe limitata a
richiamare, sostanzialmente, i medesimi
accertamenti tecnici, già posti alla base
della diffida n.1 del 30.11.2007, senza
dimostrare la presunta occupazione parziale
di area demaniale stradale, in relazione al
confine effettivo fra proprietà pubblica e
proprietà privato, già segnato dalla vecchia
recinzione in rete metallica, cui fa
riferimento l’autorizzazione sindacale n.
1392 del 06.03.1987, rilasciata ai
ricorrenti ed ancora vigente.
Ciò, ad avviso degli esponenti,
determinerebbe sia la violazione del comando
giurisdizionale contenuto nell’ordinanza
cautelare di questo Tribunale n. 171 del
2008, per difetto di istruttoria, sia
contraddittorietà nel comportamento della
P.A., che, dapprima ha proceduto ad
annullare in via di autotutela la diffida
n.1 del 30.11.2007, riconoscendone
l’illegittimità e, poi, ha emanato un nuovo
provvedimento, nella sostanza reiterativo
dei medesimi contenuti di quello annullato.
L’opera di recinzione in questione risulta
regolarmente assentita con autorizzazione
sindacale n. 1392 del 06.03.1987, a suo
tempo rilasciata, perciò, ai sensi all’art.
7, comma II, lett. a), del D.L. 23.01.1982
n. 9, in quanto ricadente nel novero delle “opere
costituenti pertinenze od impianti
tecnologici al servizio di edifici già
esistenti”.
Invero, essa possiede tutte le
caratteristiche che la giurisprudenza (cfr.
anche Cass. Pen., Sez. III, 05.11.2002 n.
239) riconduce al concetto di pertinenza
edilizia, quali:
a) un nesso oggettivo strumentale e
funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e
struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo
diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale
propria;
g) l’accessione ad un edificio preesistente
edificato legittimamente (dovendosi, nel
caso specifico, tale dato riferire al corpo
di fabbrica originario, in relazione al
quale non sussiste contestazione fra le
parti);
h) l’assenza di un autonomo valore di
mercato.
Ne deriva che eventuali difformità nella
realizzazione della recinzione, avente
natura pertinenziale e costituente
manifestazione dello “ius excludendi
alios” insito nel diritto di proprietà,
soggetta non già a “concessione edilizia”
(oggi: “permesso di costruire”), ma
ad “autorizzazione” gratuita, già nel
sistema anteriore all’entrata in vigore del
D.P.R. n. 380 del 2001, non potevano essere
assoggettate alla sanzione dell’ordine di
demolizione ma, al massimo, all’applicazione
di una sanzione pecuniaria, ai sensi
dell'art. 10 della legge n. 47 del 1985
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16.10.2002 n.
5610; TAR Emilia Romagna-Parma, 31.07.2001
n. 651; TAR Lombardia-Brescia, 02.11.2000 n.
842; TAR Lazio- Roma, sez. II, 25.05.2000 n.
4336; TAR Friuli Venezia Giulia, 16.09.1999
n. 93; TAR Piemonte, Sez. I, 14.04.2003 n.
582).
La regolamentazione anzidetta non appare
sostanzialmente mutata nel nuovo quadro
legislativo, rappresentato dal D.P.R.
06.06.2001 n. 380 (T.U. dell'Edilizia), che
non comprende le recinzioni fra le attività
che non richiedono alcun titolo abilitativo
(art. 6), ma nemmeno fra quelle soggette a
permesso di costruire (art. 10), con
conseguente riconducibilità delle stesse
alla nozione residuale degli "interventi
subordinati a denuncia di inizio attività"
(art. 22), i quali, se realizzati in assenza
od in contrasto rispetto a detta denuncia,
sono sottoposti a "sanzione pecuniaria,
pari al doppio dell'aumento di valore venale
dell'immobile, conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi, e
comunque in misura non inferiore a 516 euro"
(art. 37, comma 1), a meno che non
sussistano vincoli, tali da comportare la
restituzione in pristino (art. 37 cit.,
comma 2) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 513 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza - Nozione - Permesso
di costruire.
La nozione di pertinenza quale risulta
dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l.
23.01.1982 n. 9, convertito dalla l.
25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata
in modo compatibile con i principi della
materia e non può quindi valere a sottrarre
al regime del permesso di costruire la
realizzazione di opere di rilevante
consistenza urbanistica solo perché
destinate a servizio ed ornamento del bene
principale; proprio con riferimento ad un
nuovo manufatto si afferma che il rapporto
pertinenziale non può esonerare dalla
concessione di opere che, da un punto di
vista edilizio ed urbanistico, si pongono
come ulteriori, in quanto occupano aree e
volumi diversi rispetto alla "res
principalis" (Consiglio Stato sez. II,
21.02.1996, n. 1895).
E’ infatti soggetta a concessione edilizia
(ora permesso di costruire) ed al
conseguente rispetto delle prescrizioni
urbanistiche relative al tipo d'intervento,
la realizzazione di un manufatto edilizio
destinato a soddisfare esigenze non
temporanee del soggetto attuatore e, al
contempo, ad alterare in modo permanente
l'assetto urbanistico di zona,
indipendentemente dalla natura dei materiali
adoperati (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2000,
n. 1507; TAR Campania, sez. IV, 22.02.2003,
n. 1398) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.04.2009 n. 2142 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze.
La nozione di pertinenza quale risulta
dall'art. 7, comma 2, lett. a), d.l.
23.01.1982 n. 9, convertito dalla l.
25.03.1982 n. 94, debba essere interpretata
in modo compatibile con i principi della
materia e non può quindi valere a sottrarre
al regime del permesso di costruire la
realizzazione di opere di rilevante
consistenza urbanistica solo perché
destinate a servizio ed ornamento del bene
principale; proprio con riferimento ad un
nuovo manufatto si afferma che il rapporto
pertinenziale non può esonerare dalla
concessione di opere che, da un punto di
vista edilizio ed urbanistico, si pongono
come ulteriori, in quanto occupano aree e
volumi diversi rispetto alla "res
principalis".
E’ infatti soggetta a concessione edilizia
(ora permesso di costruire) ed al
conseguente rispetto delle prescrizioni
urbanistiche relative al tipo d'intervento,
la realizzazione di un manufatto edilizio
destinato a soddisfare esigenze non
temporanee del soggetto attuatore e, al
contempo, ad alterare in modo permanente
l'assetto urbanistico di zona,
indipendentemente dalla natura dei materiali
adoperati (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.04.2009 n. 2142 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza e ampliamento.
Nella materia edilizia per pertinenza deve
intendersi un’opera che non sia parte
integrante o costitutiva di un altro
fabbricato, così che deve escludersi tale
qualifica all’ampliamento di un edificio
anche se finalizzato al completamento o
miglioramento dei bisogni cui l’immobile
principale è destinato. Il concetto di
pertinenza non va confuso con quello di
parte dell’edificio.
In materia di reati edilizi, l’ampliamento
di un fabbricato preesistente non può
considerarsi pertinenza, ma diventa parte
dell'edificio perché, una volta realizzato,
ne completa la struttura per meglio
soddisfare i bisogni cui è destinato in
quanto privo di autonomia rispetto
all’edificio medesimo. Invece la pertinenza,
ancorché posta a servizio dell’edificio
principale, deve avere una propria autonomia
strutturale.
D’altra parte, non ogni intervento
pertinenziale è esonerato dal permesso di
costruire, ma esclusivamente quelli di
scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo
quantitativo (ossia, quelli con volumetria
non superiore al quinto di quella
dell’edificio principale), ma anche sotto
quello qualitativo (e, cioè, sempre che le
norme tecniche degli strumenti urbanistici
non li considerino comunque "interventi
di nuova costruzione", tenuto conto
della zonizzazione e del loro impatto
ambientale e paesaggistico), come risulta
dalla previsione dell’art. 3, comma primo,
lett. e.) del testo unico sull’edilizia
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.04.2009 n. 15260 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Differenza tra tettoia e
pergolato - Trasformazione urbanistica del
territorio - Permesso di costruire, DIA e
normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto
opera di trasformazione urbanistica del
territorio non rientrante nella categoria
delle pertinenze è subordinata al rilascio
della concessione edilizia ed attualmente
del permesso di costruire (Cass. pen. sez. 3
- n. 22126 del 03.06.2008). A differenza del
pergolato che è una struttura aperta sia
lateralmente che nella parte superiore, la
tettoia, invero, può essere utilizzata anche
come riparo ed aumenta quindi l’abitabilità
dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del
19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che
il rilascio di una DIA o anche del permesso
di costruire non escluda gli adempimenti
richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di
costruire - Equiparazione di una tettoia ad
un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo
richiesto per le tettoie è il permesso di
costruire (a differenza del pergolato essa
può essere utilizzata anche come riparo). E'
illegittima pertanto l'equiparazione della
tettoia ad un pergolato e conseguentemente
la ritenuta validità della DIA rilasciata
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2009 n. 10534 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione
urbanistica di pertinenza è assai più
ristretta di quella prevista dall’art. 817 cod.civ.,
essendo configurabile solo quando l’opera
non abbia un consistente ed autonomo impatto
sul territorio.
Nel caso di
costruzione, senza previo titolo
abilitativo, di un capanno per ricovero
attrezzi e di due tettoie per la copertura
di auto e per la conservazione di legna
(strutture in legno obiettivamente idonee a
determinare una duratura e rilevante,
ancorché non irreversibile, modificazione
dello stato dei luoghi) non si può parlare
di opere pertinenziali, in quanto la nozione
urbanistica di pertinenza è assai più
ristretta di quella prevista dall’art. 817
cod.civ., essendo configurabile solo quando
l’opera non abbia un consistente ed autonomo
impatto sul territorio (v., tra le altre,
TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II,
11.10.2007 n. 2286); e, in effetti, le
dimensioni dei manufatti oggetto della
controversia ne evidenziano la capacità di
alterare in modo significativo l’assetto del
territorio
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 27.01.2009 n. 22 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza e ampliamento
di edificio.
In tema di pertinenza urbanistica la
relazione con la costruzione preesistente
deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio ", allo scopo
di renderne più agevole e funzionale l'uso
(carattere di strumentalità funzionale),
sicché non può ricondursi alla nozione in
esame l’ampliamento di un edificio che per
la relazione di connessione fisica,
costituisce parte di esso quale elemento che
attiene all'essenza dell'immobile e lo
completa affinché soddisfi ai bisogni cui è
destinato
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 02.10.2008 n. 37460 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza urbanistica
(presupposti).
In materia edilizia, affinché un manufatto
presenti il carattere di pertinenza si
richiede che esso acceda ad un edificio
preesistente legittimamente edificato, che
abbia ridotte dimensioni, che sia
insuscettibile di destinazione autonoma e
che non si ponga in contrasto con gli
strumenti urbanistici vigenti (nella specie,
la Corte ha escluso la natura pertinenziale
di una piscina posta al servizio esclusivo
di una residenza privata) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.10.2008 n. 37257 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul concetto di "costruzione" e
di "pertinenza".
La nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un’evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (cfr.
ex multis CdS, Sez. IV, N. 2705/2008 in tal
senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006,
n. 3490).
In altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
(cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n.
11679 del 23.11.2007).
Ed appare di tutta evidenza come, nella
stessa prospettazione di parte, il manufatto
in contestazione non sia stato eretto per
far fronte, in via provvisoria, ad esigenze
contingenti, bensì risulti contraddistinto
da un impiego tendenzialmente permanente.
Le medesime ragioni inducono ad escludere la
sussistenza di un rapporto di tipo
pertinenziale: come afferma la
giurisprudenza, la nozione di pertinenza va
definita sia in relazione alla necessità e
oggettività del rapporto pertinenziale, sia
alla consistenza dell'opera, che non deve
essere tale da alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Consiglio di stato, sez. IV, 07.07.2008 , n.
3379).
Tano più che il concetto di "pertinenza non
può essere esteso ad opere utili
all'esercizio dell'attività di una azienda o
impresa (cfr. Cassazione penale, sez. III,
24.10.1997, n. 10709) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.09.2008 n. 11309 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze, requisiti.
Anche ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, che non prevede più
il riferimento all'edilizia residenziale come desumibile dalla legge n.
94 del 1992, per aversi "pertinenza" si richiede:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) che non sia consentita, per natura e struttura, una pluralità di
destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente, edificato legittimamente;
h) l'assenza di un autonomo valore di mercato.
Pertanto, tra i requisiti della nozione di "pertinenza", vi è quello
della accessione dell'opera ad un edificio preesistente legittimamente
costruito, in quanto non può prescindersi dal collegamento tra la
pertinenza ed un edificio, quantunque non necessariamente residenziale
(fattispecie relativa ad una strada e una piazzola a servizio di un
terreno agricolo, in zona vincolata paesaggisticamente) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
19.06.2008 n. 25124
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EDILIZIA PRIVATA: Urbanistica.
Nozione di pertinenza.
In materia urbanistico-edilizia la nozione di pertinenza, sottratta al
regime del permesso di costruire ed assoggettata a quello
dell'autorizzazione gratuita, deve essere preordinata ad una esigenza
effettiva dell'edificio principale al cui servizio deve essere posta in
via funzionale ed oggettiva. Non deve quindi essere possibile una
destinazione autonoma e diversa da quella al servizio dell' immobile cui
accede e conseguentemente un autonomo valore di mercato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
19.06.2008 n. 25113
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Opere pertinenziali - Nozione civilistica e
nozione urbanistica - Differenze - Rapporto
di pertinenzialità - Quando sussiste.
2. Opere pertinenziali - Rapporto di pertinenzialità
- Quando non sussiste - Fattispecie.
1. La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile a manufatti di
dimensioni modeste e ridotte rispetto alla
cosa cui ineriscono; pertanto, di carattere pertinenziale può ritenersi l'opera che, pur
avendo una propria individualità fisica ed
una propria conformazione strutturale, sia
funzionalmente diretta a realizzare
un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, e sia dotata di un volume
minimo, che non consenta una sua
destinazione autonoma diversa da quella
dell'asservimento all'edificio principale.
In ogni caso la strumentalità rispetto
all'edificio principale deve essere
oggettiva, ossia connaturale alla struttura
dell'opera e non può desumersi dalla
destinazione soggettivamente data dal
proprietario o dal possessore.
2. La nozione di pertinenza urbanistica non
può consentire la realizzazione di opere di
rilevante consistenza solo perché destinate
a servizio od ornamento del bene principale;
mentre il rapporto pertinenziale non può
esonerare dalla concessione opere che, da un
punto di vista edilizio ed urbanistico, si
pongono come ulteriori in quanto occupano
aree e volumi diversi rispetto alla res
principalis (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
1895/1996, sent. n. 1600/2000). Nella
fattispecie, non sono rinvenibili
caratteristiche pertinenziali, trattandosi
di manufatti (capannoni e tettoia) che per
dimensioni eccedono di gran lunga il box di
cui sarebbero pertinenza e che sono inoltre
adibite ad una funzione -deposito merci per
esercizio di attività commerciale- non
omogenea a quella -residenziale- propria
dell'edificio principale, che si identifica
con la casa abitazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.06.2008 n.
2045 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza in senso urbanistico-edilizio
elaborata dalla giurisprudenza amministrativa non coincide
con il concetto civilistico di pertinenza ai sensi dell’art.
817 c.c., atteso che la prima richiede, ai fini della
qualificazione dell’opera come pertinenziale, che essa non
costituisca un volume autonomo né modifichi la sagoma
dell’edificio principale e che non sia stabilmente vincolata
al suolo in modo permanente, tutte caratteristiche invece
presenti nel manufatto individuato nel provvedimento
impugnato.
Ai fini di conformità edilizia, quindi, non rileva neanche
l’eventuale carattere provvisorio della struttura ma
l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato
dei luoghi, a prescindere dall’intenzione del proprietario
in ordine alla sua utilizzabilità, con la conseguenza che la
precarietà è esclusa ogni qualvolta l’opera sia destinata a
dare un’utilità prolungata nel tempo, in relazione alla
obiettiva e intrinseca destinazione naturale dell’edificio
stesso.
Sempre sotto tale profilo, non è consentibile la
realizzazione di opere di rilevante consistenza che
determinano un ulteriore carico urbanistico, sol perché
destinate dal proprietario dell’edificio (principale) a
servizio dello stesso, ed alterano in modo significativo
l’assetto urbanistico del territorio, come riscontrabile
invece nel caso di specie, ove l’opera così realizzata ha
dato luogo all’aumento della superficie utile commerciale
con relativo aumento del carico antropico.
Il Collegio rileva
che la nozione di pertinenza in senso urbanistico-edilizio
elaborata dalla giurisprudenza amministrativa non coincide
con il concetto civilistico di pertinenza ai sensi dell’art.
817 c.c., atteso che la prima richiede, ai fini della
qualificazione dell’opera come pertinenziale, che essa non
costituisca un volume autonomo né modifichi la sagoma
dell’edificio principale e che non sia stabilmente vincolata
al suolo in modo permanente (TAR Em. Rom., Bo, Sez. II,
03.12.2007, n. 3781), tutte caratteristiche invece presenti
nel manufatto individuato nel provvedimento impugnato.
Ai fini di conformità edilizia, quindi, non rileva neanche
l’eventuale carattere provvisorio della struttura ma
l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato
dei luoghi, a prescindere dall’intenzione del proprietario
in ordine alla sua utilizzabilità, con la conseguenza che la
precarietà è esclusa ogni qualvolta l’opera sia destinata a
dare un’utilità prolungata nel tempo, in relazione alla
obiettiva e intrinseca destinazione naturale dell’edificio
stesso (TAR Basilicata, 19.01.2008, n. 11).
Sempre sotto tale profilo, non è consentibile la
realizzazione di opere di rilevante consistenza che
determinano un ulteriore carico urbanistico, sol perché
destinate dal proprietario dell’edificio (principale) a
servizio dello stesso, ed alterano in modo significativo
l’assetto urbanistico del territorio (TAR Lazio, Lt,
10.12.07, n. 1557), come riscontrabile invece nel caso di
specie, ove l’opera così realizzata ha dato luogo
all’aumento della superficie utile commerciale con relativo
aumento del carico antropico (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.06.2008 n. 1368 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Realizzazione
di porticato ligneo in aderenza a preesistente fabbricato - Carattere di pertinenzialità - Sussiste.
2. Opere pertinenziali - Configurabilità come nuova
costruzione - Quando ricorre.
1. La nozione di ristrutturazione edilizia
presuppone che la trasformazione
dell'organismo edilizio avvenga attraverso
"un insieme sistematico di opere", ex art.
3, primo comma, lett. d), D.P.R. 380/2001,
ipotesi che non ricorre nel caso in cui, sul
fianco di un edificio venga innestata una
tettoia, sostenuta da pilastri in legno:
essa presenta piuttosto le caratteristiche
della pertinenza, trattandosi di opera di
dimensione modesta, insuscettibile di
utilizzazione autonoma, posta a servizio
della cosa principale, al fine di
accrescerne il valore e l'utilità (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 1174/2000).
2. Gli interventi pertinenziali
devono considerarsi interventi di nuova
costruzione solo se qualificati come tali
dalle norme tecniche degli strumenti
urbanistici, in relazione alla zonizzazione
e al pregio ambientale e paesaggistico delle
aree, ovvero se comportano la realizzazione
di un volume superiore al 20% del volume
dell'edificio principale, ex art. 3, primo
comma, lett. d), D.P.R. 380/2001 (nel caso
di specie il TAR ha escluso la
configurabilità del manufatto in questione
come nuova costruzione e lo ha ricondotto
negli interventi da realizzare previa
presentazione di DIA)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.06.2008 n.
1964 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di pertinenza.
La nozione penalistica del concetto di pertinenza presuppone
l'autonomia dei due manufatti, di guisa che quel concetto non può mai
riguardare un manufatto che sia parte dell'altro principale, come è
nell'ipotesi dell'ampliamento (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
06.06.2008 n. 22728
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla necessità o meno della concessione edilizia per la
costruzione di una tettoia.
Ai sensi dell’art. 1 l. 28.01.1977
n. 10 necessita di concessione edilizia la costruzione di una tettoia in
quanto essa (anche se costituisce pertinenza dell’immobile), incide
sulla costruzione preesistente (Consiglio Stato, II, 05.02.1997, n.
336). La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione
edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante
modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa
avvenga mediante realizzazione di opere murarie. Nella specie, deve
ritenersi necessario il rilascio del titolo edilizio ed è considerato
irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati
di plastica, in legno o altro materiale, in presenza della evidente
trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse,
perché preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta sotto
il profilo funzionale (in tal senso anche Consiglio Stato, V,
13.06.2006, n. 3490) (Consiglio
di Stato, Sez, IV,
sentenza 06.06.2008 n. 2705
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione
tettoia.
La realizzazione di una tettoia, in quanto opera di trasformazione
urbanistica del territorio, non rientrante nella categoria delle
pertinenze, è subordinata al rilascio della concessione edilizia ed
attualmente del permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza
03.06.2008 n. 22126
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Differenza
tra pergolato e tettoia.
Mentre il pergolato, costituisce una struttura aperta sia nei
lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la
tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi
l'abitabilità dell'immobile. Per la realizzazione di una tettoia di non
modeste dimensioni, secondo l'orientamento della corte, occorre il
permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.05.2008
n. 19973 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia avente carattere di stabilità ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Il Collegio
ritiene di poter confermare quell’indirizzo
giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma,
sez. II, 08.06.2005, n. 4655 e TAR
Lombardia, sez. II, 23.11.2006, n. 2834 e
04.12.2007 n. 6544) secondo cui una tettoia
avente carattere di stabilità ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Va, invero, osservato che le descritte
caratteristiche del manufatto depongono per
ritenere che si tratti di opere nuove che
attuano una trasformazione permanente del
territorio, ciò sia per il materiale
utilizzato per la loro realizzazione (che,
comunque, non consente un’agevole
rimovibilità) che per la funzione a cui
risultano adibite (deposito prodotti).
Ulteriore elemento che depone a favore della
necessità del previo rilascio della
concessione edilizia è possibile rinvenire
nella definizione di “nuova costruzione”
contenuta ora nell’art. 3 del DPR n.
380/2001, che, sebbene non applicabile
ratione temporis al caso di specie,
fornisce elementi utili dal punto di vista
interpretativo.
Ed invero, l’art. 3, comma 1, lett. e.5) del
DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi
di nuova costruzione “l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 07.04.2008 n. 2904 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza previsto dal diritto
civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da
quello inteso in senso urbanistico (vd. art.
7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9
convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per
cui non assumono carattere di pertinenza
quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa civilistica, sono suscettibili
di svolgere una funzione autonoma rispetto
ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa, come nel caso di specie, essere
successivamente utilizzato in modo autonomo
e separato.
La
giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che
il concetto di pertinenza previsto dal
diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va
distinto da quello inteso in senso
urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a)
d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l.
25.03.1982 n. 94), per cui non assumono
carattere di pertinenza quelle costruzioni
che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa
civilistica, sono suscettibili di svolgere
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa, come nel caso di specie, essere
successivamente utilizzato in modo autonomo
e separato (per tutte, TAR Toscana, sez. III,
27.11.2006, n. 6052 e Cons. St., sez. V,
13.06.2006, n. 3490)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 07.04.2008 n. 2904 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione urbanistica di pertinenza non
coincide con quella più ampia fornita
dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere
perimetrata in modo compatibile con i
principi della materia e riferita, quindi,
alle sole opere edilizie minori, che abbiano
scarso o nullo peso dal punto di vista
dell’ingombro e del carico edilizio ed
urbanistico.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n.
1600 ; TAR Lazio, II-ter, 06.09.2000 n.
6900; TAR Campania, Sezione IV, 03.01.2002
n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428;
TAR Toscana, Sezione III, 27.11.2006, n.
6052; TAR Emilia Romagna, Sezione II,
11.10.2007 n. 2286), la nozione urbanistica
di pertinenza non coincide con quella più
ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ.,
dovendo essere perimetrata in modo
compatibile con i principi della materia e
riferita, quindi, alle sole opere edilizie
minori, che abbiano scarso o nullo peso dal
punto di vista dell’ingombro e del carico
edilizio ed urbanistico
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di pertinenza.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da, quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un' opera - che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di
altro fabbricato - preordinata ad un' oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o
comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire,
in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell’'immobile cui accede. La relazione
con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso,
non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne
più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità
funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame
l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di
congiunzione fisica, costituisce parte di esso quale
elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa
affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2008 n. 4087
-
link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza
(legnaia).
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono
da quella civilistica: deve trattarsi,
invero, di un'opera - che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale e non sia parte
integrante o costitutiva di altro fabbricato
- preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'
edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell' edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell‘immobile
cui accede. La strumentalità rispetto
all'immobile principale, ossia la relazione
funzionale con la costruzione preesistente,
deve essere in ogni caso "oggettiva", cioè
connaturale alla struttura dell' opera. e
non può desumersi, a differenza di quanto
consente la nozione civilistica di
pertinenza. esclusivamente dalla
destinazione soggettivamente data dal
proprietario o dal possessore, sicché non
può ricondursi alla nozione in esame
l'edificazione di un manufatto che,
asseritamente destinato a legnaia, consenta
invece, per natura e struttura. una
pluralità di destinazioni e sia logicamente
ed economicamente utilizzabile in altro modo
che non sia quello di servire l'immobile al
quale accede
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2008 n. 4081
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione
di tettoia in aderenza ad un preesistente
fabbricato con carattere di stabilità,
autonoma utilizzazione e dimensioni non
irrilevanti - Necessità del permesso di
costruire in quanto considerabile come
"nuova costruzione" ai sensi dell'art. 3
D.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 27 L.R. n.
12/2005 - Sussiste.
Una tettoia avente carattere di stabilità,
realizzata in aderenza ad un preesistente
fabbricato, idonea ad un'utilizzazione
autonoma e di dimensioni non irrilevanti,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre il permesso di
costruire e, conseguentemente, non può
essere dunque considerata una mera
pertinenza in considerazione della sua
idoneità ad incidere sull'assetto edilizio
preesistente. La necessità del previo
rilascio del permesso di costruire è
rinvenibile nella definizione di "nuova
costruzione" contenuta nell'art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001 e ribadita dall'art. 27
della L.R. n. 12/2005
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.12.2007 n. 6544
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
piscina realizzata in una proprietà privata
a corredo esclusivo della stessa, non
possiede una sua autonomia immobiliare, ma
deve considerarsi quale pertinenza
dell'immobile esistente, in quanto destinata
ad essere usata a servizio dello stesso,
nella sua configurazione di bene principale.
Secondo una nota giurisprudenza, anche del
TAR per il Veneto, una piscina realizzata in
una proprietà privata a corredo esclusivo
della stessa, non possiede una sua autonomia
immobiliare, ma deve considerarsi quale
pertinenza dell'immobile esistente, in
quanto destinata ad essere usata a servizio
dello stesso, nella sua configurazione di
bene principale (Consiglio Stato , sez. IV,
14.08.2006, n. 4780).
Inoltre, l’opera non altera in modo
significativo l'assetto del territorio;
pertanto, nella fattispecie in esame, la
piscina, di contenuto rilievo dimensionale e
di ridotto impatto dal punto di vista
urbanistico, va considerata un manufatto
avente rilievo pertinenziale
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 31.10.2007 n. 3489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sopraelevare un muro di cinta: il titolo edilizio è
l’autorizzazione.
Il fatto che il territorio del
Comune sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico,
di per sé non comporta l'assoggettamento di qualsiasi
intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilità
della procedura cosiddetta di denuncia dell’inizio
dell'attività, sempre che si dimostri l'esistenza di uno
specifico vincolo gravante sull'immobile oggetto
dell'intervento.
Il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in
questione al regime concessorio deve essere condotto alla
stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla
riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che
l'art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito in l. 25.03.1982
n. 94, assoggetta al regime autorizzatorio.
La sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di
altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per
sostituire la barriera metallica preesistente e quindi
conferire una migliore protezione alla proprietà, senza
alterare l’altezza complessiva della recinzione medesima,
non solo conferma il già acquisito vincolo pertinenziale ma
rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere
sul carico urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2007 n. 5515
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: Nozione
di pertinenza - Concetto urbanistico di pertinenza -
Configurabilità.
Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a
servizio o ornamento di altra cosa senza diventare parte
integrante della stessa e senza rappresentare elemento
indispensabile per la sua esistenza. Il concetto urbanistico
di pertinenza differisce in parte da quello civilistico
perché nel settore urbanistico acquistano preminente rilievo
le esigenze di tutela del territorio. Per la configurabilità
della pertinenza urbanistica, l'opera deve essere
preordinata a soddisfare un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita a
servizio dello stesso, sfornita di autonomo valore di
mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire
anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio
principale una sua destinazione autonoma e diversa da quella
a servizio dell'immobile cui accede (Cass. n. 4134/1998).
Pertinenza urbanistica e pertinenza civilistica -
Differenza - D.P.R. n. 380/2001 - Art. 817 cod.civ..
La pertinenza urbanistica si distingue da quella civilistica
perché, mentre in quest'ultima rilevano sia l'elemento
obiettivo che quello soggettivo, nella prima acquista
rilevanza solo l'elemento oggettivo. Il legislatore, con il
testo unico dell'edilizia approvato con D.P.R. n. 380 del
2001, per superare le incertezze derivanti dal criterio
quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le
pertinenze, ha fissato due criteri per precisare quando
l'intervento perde le caratteristiche della pertinenza per
assumere i caratteri della nuova costruzione: il primo
rinvia alla determinazione delle norme tecniche degli
strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della
zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle
aree; il secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova
opera gli interventi che comportino la realizzazione di un
volume superiore al 20% di quello dell'edificio principale.
In ogni caso non bisogna confondere il concetto di
pertinenza con quello di parte dell'edificio. Da ciò
consegue che l'ampliamento di un edificio preesistente non
può considerarsi pertinenza ma diventa parte dell'edificio
stesso perché, una volta realizzato, completa l'edificio
preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni cui è
destinato.
Elemento distintivo tra la parte e la pertinenza -
Congiunzione fisica - Collegamento funzionale.
L'elemento distintivo tra la parte e la pertinenza non
consiste solo in una relazione di congiunzione fisica,
normalmente presente nella prima ed assente nella seconda,
ma anche e soprattutto in un diverso atteggiamento del
collegamento funzionale della parte al tutto e della
pertinenza alla cosa principale: tale collegamento si
esprime per la parte come necessità di questa per completare
la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è destinata:
la parte quindi è elemento della cosa. Nella pertinenza,
invece, il collegamento funzionale consiste in un servizio o
ornamento che viene realizzato in una cosa già completa ed
utile di per sé: la funzione pertinenziale attiene non
all'essenza della cosa ma alla sua gestione economica ed
alla sua forma estetica. Inoltre -ed è questo l'elemento più
rilevante ai fini della distinzione- la pertinenza si
riferisce ad un opera autonoma dotata di propria
individualità mentre la parte di un edificio è compresa
nella struttura di esso ed è quindi priva di autonomia. Da
ciò consegue che l'ampliamento di un edificio preesistente
non può considerarsi pertinenza ma diventa parte
dell'edificio stesso perché, una volta realizzato, completa
l'edificio preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni
cui è destinato (Cass. sez. III 17.01.2003 Chiappalone; 3160
del 2003; nn 36941 e 40843 del 2005).
Art. 44 lett. b) D.P.R. n. 380/2001 - Momento di
cessazione della condotta criminosa.
La contravvenzione già prevista dall'art. 20 lett. B) legge
n. 47 del 1985 ora dall'art. 44 lett. b) D.P.R. n. 380 del
2001, si realizza al momento dell'inizio dei lavori e
perdura per tutta la durata degli stessi. La condotta
criminosa cessa con l'ultimazione dell'opera o con la
cessazione dell'attività criminosa per fatto proprio, per
imposizione dell'autorità o al limite con la sentenza di
primo grado. Pres.
Zone paesisticamente vincolate - Tutela - Reato di
pericolo astratto - Art. 181 D. L.vo n. 42/2004 -
Configurabilità dell'illecito - Presupposti.
Il reato di cui all' art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (ora
181 del decreto legislativo n 42 del 2004) è reato di
pericolo astratto, pertanto, per la configurabilità
dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte
penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano
inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del
paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici (Cass., Sez.
3^: 27.11.1997, ric. Zauli ed altri; 07.05.1998, ric.
Vassallo; 13.01.2000, ric. Mazzocco ed altro, 05.10.2000,
ric. Lorenzi; 29.11.2001, ric. Zecca ed altro; 15.04.2002,
ric. P.G. in proc. Negri; 14.05.2002, ric. Migliore;
04.10.2002, ric. Debertol; 23880 del 2004). Nelle zone
paesisticamente vincolate è inibita -in assenza
dell'autorizzazione- ogni modificazione dell'assetto del
territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto
edilizia ma "di qualunque genere", ad eccezione degli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di
consolidamento statico o restauro conservativo, purché non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici nonché degli altri interventi analiticamente
indicati nell'articolo 149 del decreto legislativo n 42 del
2004, il quale ha sostituito l'articolo 152 del decreto
legislativo n 490 del 1999 (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 18.07. 2007 n. 28504
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La destinazione in modo durevole al servizio
od ornamento della cosa principale, che ai
sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la
pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed
edilizio ai fini dell’uso, non già per
sovvertire il dato materiale-strutturale del
manufatto (preesistente) che per materiali e
tecnica di realizzazione occupi parti
circoscritte e ben individuate di suolo e
volume.
L'entità strutturale della tettoia,
aperta ai lati e realizzata mediante tavole
di legno, non è assimilabile ad una costruzione
mediante l’attribuzione dell’attributo
giuridico del carattere pertinenziale.
La destinazione in modo durevole al servizio
od ornamento della cosa principale, che ai
sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la
pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed
edilizio ai fini dell’uso, non già per
sovvertire il dato materiale-strutturale
del
manufatto (preesistente) che per materiali e
tecnica di realizzazione occupi parti
circoscritte e ben individuate di suolo e
volume (in termini, da ultimo Cons. St.,
sez. IV, 15.09.2006 n. 5375)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nozione di “pertinenza urbanistica” - Relazione "di
servizio" con la costruzione preesistente - Fattispecie.
La nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un’opera preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o
comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire,
in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede. La relazione con
la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, "di
servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità funzionale), cosicché non
può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di due
vani che non hanno una propria autonomia individuale e
funzionale ma si uniscono ad un preesistente edificio ed
entrano a far parte di esso, costituendone ampliamento.
(vedi Cass., Sez. I: 11.10.2005, ric. Daniele; 11.05.2005,
ric. Gricia; 09.12.2004, ric. Bufano; 18.12.2000, ric,
Privitera; 18.03.1999, ric. Vigliotti; 27.11.1997, rie.
Spanò).
Nozione dei "c.d. volumi tecnici" - Inutilizzabilità
né adattabilità ad uso abitativo.
Sono "volumi tecnici" quelli - non utilizzabili né
adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile
nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.05.2007 n. 21111
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Pertinenza:
la nozione in diritto urbanistico è più ristretta che nel
diritto comune.
La nozione di pertinenza
dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola
la materia urbanistica, per cui beni che, secondo la
normativa privatistica, assumono senz'altro natura
pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle
regole che governano l'attività edilizia, perlomeno in tutti
quei casi in cui gli stessi assumano una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio.
Ne consegue che non può ritenersi pertinenza un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che
possa essere successivamente utilizzato in modo autonomo e
separato; in ogni caso un'opera pertinenziale è tale
soltanto se sia effettivamente strumentale rispetto
all'opera principale, senza che possa essere utilizzata in
modo diverso dal dominus ed a prescindere dalla destinazione
impressa da quest'ultimo.
In materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza
urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia
e assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, ha
peculiarità proprie e distinte dalla nozione civilistica,
giacché deve avere una propria identità fisica ed una
propria conformazione strutturale ed essere preordinata ad
un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui
servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva,
mentre non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel
senso che il suo volume non deve consentire una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a servizio
dell'immobile cui accede
(TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 13.09.2006 n. 2029
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di costruzione, ai fini del rilascio della
concessione edilizia, si configura in presenza di opere che
attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi,
a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante
realizzazione di opere murarie.
Correttamente, pertanto, la sentenza di primo grado ha
ritenuto necessario il rilascio di un titolo edilizio e
considerato irrilevante che le opere fossero realizzate in
metallo, in laminati di plastica, in legno o altro
materiale, in presenza dell’evidente trasformazione del
tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse, perché
preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta
sotto il profilo funzionale.
--------------
Costante giurisprudenza ravvisa nella pertinenza urbanistica
caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice
civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle
esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il
profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta
dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella
al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore
economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del
cosiddetto carico urbanistico.
Il numero e le dimensioni dei manufatti realizzati sono
analiticamente descritti nell’ordinanza del Dirigente
responsabile di settore del comune e riportati nella memoria
di costituzione nell’appello: trattasi di un capannone con
struttura in ferro e PVC, di quattro baracche realizzate con
vari materiali (plastico, di recupero, ligneo) e di tre
tettoie con struttura in ferro e copertura in onduline. Il
tutto per oltre 530 mq. complessivi.
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato,
VI, 27.01.2003, n. 419; V, 09.02.2001, n. 577), la nozione
di costruzione, ai fini del rilascio della concessione
edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con
perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere
dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere
murarie.
Correttamente, pertanto, la sentenza di primo grado
ha ritenuto necessario il rilascio di un titolo edilizio e
considerato irrilevante che le opere fossero realizzate in
metallo, in laminati di plastica, in legno o altro
materiale, in presenza dell’evidente trasformazione del
tessuto urbanistico ed edilizio proprio di esse, perché
preordinate a soddisfare esigenze non precarie della ditta
sotto il profilo funzionale.
Gli appellanti non hanno poi contestato che le opere hanno
le dimensioni descritte nell’ordinanza e che insistono in
tutto od in parte su di un’area agricola contigua allo
stabilimento, salvo un manufatto, sito nell’area di servizio
dello stabilimento, di dimensioni superiori allo stesso.
Va perciò condivisa la conclusione della sentenza appellata,
che esclude il rapporto pertinenziale delle opere e lo
stabilimento, con richiamo alla costante giurisprudenza che
ravvisa nella pertinenza urbanistica caratteristiche diverse
da quella contemplata dal codice civile (Cass. pen., sez.
III, 21.03.1997, n. 4056), sostanziandosi nella destinazione
strumentale alle esigenze dell'immobile principale,
risultante sotto il profilo funzionale da elementi
oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto
sia in relazione a quella al cui servizio è complementare,
dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa
principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico
(Cassazione penale, sez. III, 19.08.1993; 06.02.1990;
06.12.1989).
Siffatte caratteristiche appaiono del tutto estranee alle
opere degli appellanti, caratterizzate da un rilevante
numero di manufatti, taluni dei quali di notevoli
dimensioni, comportanti come tali un considerevole carico
urbanistico. Non ha pregio il richiamo degli appellanti alla
circolare 06.11.1977, n. 1918 del Ministero dei lavori
pubblici che esclude dall’obbligo di concessione le opere a
servizio di impianti industriali di carattere precario o
facilmente amovibili, quali le baracche ad elementi
componibili in legno od altri materiali, i basamenti di
sostegno e le tettoie di protezione.
La stessa circolare esplicita che le opere in questione non
devono compromettere aspetti ambientali o paesaggistici,
comportare aumenti di densità urbanistica e né determinare
pregiudizi di altro genere oltre che essere in regola con i
regolamenti edilizi: circostante queste affatto dimostrate
dagli interessati, sia nel precedente che nel presente grado
di giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2006 n. 3490 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
La pertinenza urbanistica
ha caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice
civile, comportando l'impossibilità di destinazioni ed
utilizzazioni autonome e sostanziandosi nei requisiti della
destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile
principale, risultante sotto il profilo funzionale da
elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è
complementare, dall'ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cassa principale e dall'assenza del cosiddetto
carico urbanistico.
Ne deriva che il porticato non rientra nel novero delle
pertinenze, poiché manca il requisito della individualità e
della autonoma utilizzabilità, con la conseguenza che la sua
realizzazione necessita di concessione edilizia e non è
invece soggetta al regime autorizzatorio.
Giova rimarcare che la pertinenza urbanistica ha
caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice
civile, comportando l'impossibilità di destinazioni ed
utilizzazioni autonome e sostanziandosi nei requisiti della
destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile
principale, risultante sotto il profilo funzionale da
elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è
complementare, dall'ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cassa principale e dall'assenza del cosiddetto
carico urbanistico.
Ne deriva che il porticato non rientra nel novero delle
pertinenze, poiché manca il requisito della individualità e
della autonoma utilizzabilità (cfr. Cassazione penale sez.
III, 21.03.1997, n. 4056), con la conseguenza che la sua
realizzazione necessita di concessione edilizia e non è
invece soggetta al regime autorizzatorio
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 19.07.2005 n. 9988 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94 un'opera
che abbia natura pertinenziale è soggetta all'autorizzazione
gratuita anziché alla concessione edilizia; ma senza deroga
alla regola generale che impone la conformità delle
iniziative edilizie a quanto stabilito dagli strumenti
urbanistici, limitando, al contrario, l'art. 7 cit. il
rilascio dell'autorizzazione alle opere <<conformi alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti.
---------------
- La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più
ampia di quella che regola la materia urbanistica, onde beni
che, secondo quella normativa, assumono senz'altro natura
pertinenziale tali invece non sono ai fini dell'applicazione
delle regole ch e governano l'attività edilizia.
- Considerata la nozione di pertinenza urbanistica, quali
possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e
ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può
essere permessa la costruzione di opere di rilevante
importanza soltanto perché destinate al servizio ed
all'ornamento del bene principale; ed è perciò necessaria la
concessione edilizia per l'esecuzione di opere che da un
punto di vista edilizio ed urbanistico sono da considerarsi
come ulteriori rispetto al bene principale, poiché occupano
aree e volumi diversi.
- Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di
un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del
territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla
"res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio
o d'ornamento nei riguardi di essa.
4. Del pari inconferente è il richiamo operato
dall’appellante alla normativa ex Legge n. 94/1982
(conversione in legge del D.L. n. 9/1982) posto che ai sensi
dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94 un'opera che abbia natura
pertinenziale è soggetta all'autorizzazione gratuita anziché
alla concessione edilizia; ma senza deroga alla regola
generale che impone la conformità delle iniziative edilizie
a quanto stabilito dagli strumenti urbanistici, limitando,
al contrario, l'art. 7 cit. il rilascio dell'autorizzazione
alle opere <<conformi alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti>> (Cons. Stato, sez. V, 23/06/1997,
n. 704; Cons. Stato, sez. II, 08/05/1996, n. 3029).
In disparte il rilievo della nozione più ristretta di
pertinenza (rispetto a quella accolta dal diritto civile)
propria del diritto amministrativo che non si attaglia
all’intervento per cui è causa (<<La nozione di
pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella
che regola la materia urbanistica, onde beni che, secondo
quella normativa, assumono senz'altro natura pertinenziale
tali invece non sono ai fini dell'applicazione delle regole
ch e governano l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez.
V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la nozione di
pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo
manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa
a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione
di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate
al servizio ed all'ornamento del bene principale; ed è
perciò necessaria la concessione edilizia per l'esecuzione
di opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico
sono da considerarsi come ulteriori rispetto al bene
principale, poiché occupano aree e volumi diversi>>
Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358; cfr. altresì Cons.
Stato, sez. V, 30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a
concessione edilizia la realizzazione di un'opera di
rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio
e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res
principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o
d'ornamento nei riguardi di essa>> Cons. Stato, sez. V,
23/03/2000, n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n.
1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n. 729; Cons. Stato,
sez. II, 21/02/1996, n. 1895)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n. 7325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con la nozione di pertinenza
urbanistica, quali possono considerarsi solo
manufatti di dimensioni modeste e ridotte
rispetto alla casa a cui sono annessi, non
può essere permessa la costruzione di opere
di rilevante importanza soltanto perché
destinate al servizio ed all'ornamento del
bene principale.
<<La nozione
di pertinenza dettata dal diritto civile è
più ampia di quella che regola la materia
urbanistica, onde beni che, secondo quella
normativa, assumono senz'altro natura
pertinenziale tali invece non sono ai fini
dell'applicazione delle regole che governano
l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez.
V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la
nozione di pertinenza urbanistica, quali
possono considerarsi solo manufatti di
dimensioni modeste e ridotte rispetto alla
casa a cui sono annessi, non può essere
permessa la costruzione di opere di
rilevante importanza soltanto perché
destinate al servizio ed all'ornamento del
bene principale; ed è perciò necessaria la
concessione edilizia per l'esecuzione di
opere che da un punto di vista edilizio ed
urbanistico sono da considerarsi come
ulteriori rispetto al bene principale,
poiché occupano aree e volumi diversi>>
Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358;
cfr. altresì Cons. Stato, sez. V,
30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a
concessione edilizia la realizzazione di
un'opera di rilevanti dimensioni, che
modifica l'assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res
principalis", indipendentemente dal vincolo
di servizio o d'ornamento nei riguardi di
essa>> Cons. Stato, sez. V, 23/03/2000,
n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n.
1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n.
729; Cons. Stato, sez. II, 21/02/1996, n.
1895)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n. 7324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Opera pertinenziale al servizio di edifici già
esistenti - recinzione - è soggetta non a concessione
edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - è soggetta non
a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita -
il potere sanzionatorio in materia edilizia.
La giurisprudenza è univoca e costante nell’affermare che,
ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 9 del 1982, ogni opera
pertinenziale al servizio di edifici già esistenti, tra le
quali rientra anche una recinzione, nella misura in cui se
ne accerti l’effettiva funzione pertinenziale nei riguardi
di un fabbricato già esistente, è soggetta non a concessione
edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita.
Pertanto, poiché nel provvedimento si fa riferimento ad una
mera recinzione -e non già ad una opera più complessa, quale
una recinzione composta da muro di sostegno con sovrastante
rete metallica, che costituendo una vera e propria
costruzione idonea a modificare l’assetto
urbanistico-edilizio del territorio, avrebbe comportato il
previo rilascio del titolo concessorio- si appalesa
illegittimo il provvedimento con il quale il Sindaco ha
ordinato la demolizione della recinzione dell’edificio, in
base al presupposto che si trattasse di opera soggetta a
concessione.
Né il provvedimento potrebbe essere giustificato dalla
rilevata circostanza che la recinzione di cui trattasi
graverebbe su tratto di strada mulattiera, perché al fine di
rimuovere tale situazione il sindaco non avrebbe dovuto
esercitare il potere sanzionatorio in materia edilizia, ma,
tempestivamente, a suo tempo (allorché lo stato di fatto
preesistente, come sembra emergere dalle planimetrie
allegate alla perizia tecnica, alla quale si è in precedenza
accennato, era stato pregiudicato non dalla recinzione, ma
dallo stesso edificio, che aveva invaso con il piano
seminterrato l’angolo sud/est della strada mulattiera,
impedendone il transito), avrebbe dovuto ordinare la rimessa
in pristino della strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi
degli artt. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F e 15, d.l.lgt.
01.09.1918 n. 1446 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.10.2002 n. 5610 -
massima tratta da www.ambientediritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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