dossier LICENZA EDILIZIA
(necessità) |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Pur avendo,
il ricorrente, fornito un principio di prova circa
la realizzazione dell’immobile anteriormente al 1967 e, dunque, prima che l.
n. 765/1967 (c.d. “legge ponte”) introducesse un obbligo
generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la
realizzazione di opere in qualsiasi parte del territorio comunale- lo stesso non
ha, invece, in alcun modo dimostrato che esso si trovasse al di fuori del
centro abitato, atteso che, nei centri abitati, prima di allora
l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 già prevedeva tale obbligo,
disponendo che “chiunque intenda eseguire nuove costruzioni ovvero
ampliare quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri abitati e
dove esiste il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione
di cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza edilizia”.
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La giurisprudenza amministrativa è da sempre consolidata nel
ritenere che l’onere di fornire la prova rigorosa della collocazione dei
manufatti -tanto nello spazio, quanto nel tempo- incomba sull’interessato,
l’unico in grado di fornire atti e documenti che offrano al riguardo una
ragionevole certezza dell’epoca e delle condizioni di realizzazione di un
manufatto, e non già sull’amministrazione, che, in presenza di un’opera
edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha, invece,
il dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ne ricorrano i
presupposti, il provvedimento di demolizione.
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Sia il ricorso introduttivo che il successivo ricorso per motivi aggiunti
sono infondati, attesa la legittimità, sotto i profili contestati, degli
impugnati provvedimenti di demolizione e conseguente acquisizione al
patrimonio comunale.
Non sono, infatti, meritevoli di accoglimento le censure con cui si tenta di
dimostrare la piena legittimità delle opere sanzionate, non valendo quanto
affermato e prodotto in giudizio a smentire il carattere abusivo del
manufatto per cui è causa, effettivamente eseguito (come riconosciuto dallo
stesso ricorrente) in assenza di un titolo edilizio.
Rileva, infatti, come egli -pur avendo fornito un principio di prova circa
la realizzazione dell’immobile anteriormente al 1967 e, dunque, prima che l.
n. 765/1967 (c.d. “legge ponte”) introducesse un obbligo
generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la
realizzazione di opere in qualsiasi parte del territorio comunale- non
abbia, invece, in alcun modo dimostrato che esso si trovasse al di fuori del
centro abitato di Scafati, atteso che, nei centri abitati, prima di allora
l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 già prevedeva tale obbligo,
disponendo che “chiunque intenda eseguire nuove costruzioni ovvero
ampliare quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri abitati e
dove esiste il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione
di cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza edilizia”.
Parte ricorrente si limita, infatti, a tal proposito a riferire “che il
manufatto in questione è posto assolutamente al di fuori del centro abitato:
ancor oggi, tra l’altro, la località ove è ubicato l’immobile di proprietà
del ricorrente è rappresentata all’esterno del centro abitato”, senza
depositare alcun documentazione atta a dimostrare, almeno nell’attualità,
tale circostanza.
La giurisprudenza amministrativa è, infatti, da sempre consolidata nel
ritenere che l’onere di fornire la prova rigorosa della collocazione dei
manufatti -tanto nello spazio, quanto nel tempo- incomba sull’interessato,
l’unico in grado di fornire atti e documenti che offrano al riguardo una
ragionevole certezza dell’epoca e delle condizioni di realizzazione di un
manufatto, e non già (come vorrebbe parte ricorrente) sull’amministrazione,
che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio
che la legittimi, ha, invece, il dovere di sanzionarla ai sensi di legge e
di adottare, ove ne ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione
(in tal senso, TAR Napoli, Campania, sezione VIII, n. 4122/2017) (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 14.10.2022 n. 2668 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
ribadito l’orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato secondo
cui grava sul proprietario, e non sulla P.A.,
l’onere di dimostrare l’epoca di realizzazione dell’opera edilizia abusiva:
“In tema di costruzione abusive, l'onere della prova circa la data di
realizzazione dell'opera edilizia abusiva grava sul privato; la p.a., non
deve dare indicazioni in ordine all'epoca di realizzazione dell'illecito,
non rientrando tale verifica tra i contenuti dell'ordinanza di demolizione”
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Va ribadita la legittimità e l’applicabilità delle disposizioni
regolamentari comunali prescrittive del rilascio del titolo abilitativo alle
costruzioni al di fuori del perimetro urbano e, quindi, derogatorie rispetto
al regime liberalizzato sancito dall’art. 31, comma 1, della l. n.
1150/1942, atteso che,
- come è già stato condivisibilmente osservato “queste ben possono
assoggettare ad autorizzazione sindacale una serie di opere edili o di
attività costruttive, che presentino la comune caratteristica di provocare
mutamenti ambientali –tali da concretarsi in veri e propri interventi
edificatori, o in innovazioni funzionali, o in migliorie meramente
estetiche–, con ciò introducendo un controllo oggettivo più forte di quello
stabilito da norme primarie in materia edilizia, all'evidente fine di
sottoporre l'assetto del territorio comunale ad una più penetrante e
rigorosa tutela”;
- così come, nello stesso senso, milita pure il tenore letterale
dell’art. 31, comma 5, della l. n. 47/1985, che ammette al regime di
sanatoria le opere ultimate anteriormente al 01.09.1967 per le quali era
richiesto il rilascio della licenza di costruzione non solo «ai sensi
dell’art. 31, primo comma, della l. 17.08.1942, n. 1150», ma anche ai sensi
«dei regolamenti edilizi comunali».
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L’adozione dell’ordinanza di demolizione non presuppone l’accertamento della
responsabilità nella commissione dell’illecito, ma l’esistenza di una
situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione
urbanistico-edilizia.
L’ordine di demolizione inoltre è un atto vincolato, ancorato esclusivamente
alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione
circa la sussistenza del concreto interesse pubblico alla rimozione neppure
quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione, non
potendo configurarsi alcun legittimo affidamento in relazione a situazioni
contra legem, essendo stata la relativa ponderazione tra l’interesse
pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore.
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8. Va in primo luogo ribadito l’orientamento giurisprudenziale assolutamente
consolidato che stabilisce che grava sul proprietario, e non sulla P.A.,
l’onere di dimostrare l’epoca di realizzazione dell’opera edilizia abusiva:
“In tema di costruzione abusive, l'onere della prova circa la data di
realizzazione dell'opera edilizia abusiva grava sul privato; la p.a., non
deve dare indicazioni in ordine all'epoca di realizzazione dell'illecito,
non rientrando tale verifica tra i contenuti dell'ordinanza di demolizione”
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 16/02/2022, n. 1152).
Nel caso in esame, la ricorrente non ha provato, contrariamente a quanto
genericamente asserito nel ricorso, la data di realizzazione delle opere
contestate.
9. Piuttosto, la prospettazione della parte, secondo cui tutte le opere
contestate risulterebbero esistenti dagli inizi degli anni sessanta o
quantomeno dal 1994, allorché fu svolta la perizia del C.T.U. del Tribunale
di Nocera Inferiore (cfr. all. 2 ricorso), risulta smentita per tabulas,
dal momento che le tavole aerofotogrammetriche relative al volo del 2003,
allegate al verbale di accertamento tecnico prot. n. 176974 del 25/11/2015
dimostrano l’assenza, a tale data, della superfetazione in lamiera
metallica, indicata al punto 2, e della tettoia a struttura metallica,
indicata al punto 3 dell’ordinanza impugnata.
A conferma di ciò, dalla stessa perizia del 1994, risulta che sull’immobile
in questione, «interamente compreso in area di rispetto ferroviario, non
edificabile» (cfr. p. 7 perizia), erano all’epoca presenti solo una
baracca in blocchi di cemento con copertura in lamiera ondulata e luci di
accesso chiuse da due saracinesche in ferro, di dimensioni circa m 6,5 x 5,
altezza m. 3, e un piccolo locale w.c. in blocchi di cemento, opere che,
oltre a essere evidentemente differenti rispetto alle strutture rilevate nel
2015 dai tecnici della P.A., comprovano piuttosto l’inesistenza all’epoca
delle opere abusive indicate al secondo, terzo e quarto punto dell’impugnata
ordinanza n. 16/2016.
Ne è risultato, come accertato nel verbale 176974/2015, un complessivo
intervento abusivo realizzato in più epoche, caratterizzato da “un’unica
organicità dell’opera”.
10. È evidente quindi come la ricorrente non abbia compiutamente provato il
carattere risalente -ante cd. Legge Ponte del 1967- dei manufatti, né
conseguentemente la legittimità delle opere contestate attraverso idonei
titoli edilizi, opere che ricadono, tra l’altro, in area di rispetto
ferroviario e soggiacciono certamente al disposto dell’art. 49 del DPR n.
753/1980, secondo cui: “Lungo i tracciati delle linee ferroviarie è
vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi
specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di
metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia”.
11. Sul punto, non può poi condividersi quanto osservato in replica dalla
ricorrente circa la non obbligatorietà dell’allora vigente Regolamento
Edilizio Comunale, approvato con deliberazione del Commissario Prefettizio
n. 800 del 12/04/1954, che prevedeva l’obbligo di munirsi di licenza
edilizia per gli interventi di costruzione o modifica da effettuarsi
nell’ambito dell’intero territorio comunale, in quanto -ad avviso della
parte- previsione in contrasto con la legge urbanistica n. 1150/1942 che
limitava invece la necessità del titolo edilizio ai soli centri abitati.
Vale infatti ribadire la legittimità e l’applicabilità delle disposizioni
regolamentari comunali prescrittive del rilascio del titolo abilitativo alle
costruzioni al di fuori del perimetro urbano e, quindi, derogatorie rispetto
al regime liberalizzato sancito dall’art. 31, comma 1, della l. n.
1150/1942, atteso che,
- come è già stato condivisibilmente osservato “queste
ben possono assoggettare ad autorizzazione sindacale una serie di opere
edili o di attività costruttive, che presentino la comune caratteristica di
provocare mutamenti ambientali –tali da concretarsi in veri e propri
interventi edificatori, o in innovazioni funzionali, o in migliorie
meramente estetiche–, con ciò introducendo un controllo oggettivo più forte
di quello stabilito da norme primarie in materia edilizia, all'evidente fine
di sottoporre l'assetto del territorio comunale ad una più penetrante e
rigorosa tutela” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17.10.1995, n. 1425);
- così come, nello stesso senso, milita pure il tenore letterale dell’art.
31, comma 5, della l. n. 47/1985, che ammette al regime di sanatoria le
opere ultimate anteriormente al 01.09.1967 per le quali era richiesto il
rilascio della licenza di costruzione non solo «ai sensi dell’art. 31,
primo comma, della l. 17.08.1942, n. 1150», ma anche ai sensi «dei
regolamenti edilizi comunali» (Tar Campania, Salerno, sentenza n.
1678/2018).
12. Quanto al profilo della responsabilità del proprietario, vale osservare
che l’adozione dell’ordinanza di demolizione non presuppone l’accertamento
della responsabilità nella commissione dell’illecito, ma l’esistenza di una
situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione
urbanistico-edilizia (Tar Campania, Salerno, sentenza n. 215/2022).
12. L’ordine di demolizione inoltre è un atto vincolato, ancorato
esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una
specifica motivazione circa la sussistenza del concreto interesse pubblico
alla rimozione neppure quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla
sua realizzazione, non potendo configurarsi alcun legittimo affidamento in
relazione a situazioni contra legem, essendo stata la relativa ponderazione
tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore (TAR
Campania-Salerno, Sez. III,
sentenza 13.10.2022 n. 2661 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
consolidato insegnamento giurisprudenziale, l'onere di dimostrare che le
opere rientrano fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis
incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella
disponibilità di documenti e di elementi probatori in grado di attestare con
ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto.
In secondo luogo, l'art. 31 l. 1150/1942, nella formulazione precedente alla
modifica apportata dalla l. Ponte, assoggettava a licenza edilizia le opere
realizzate «nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale».
Pertanto, anteriormente al 01.09.1967, potevano essere legittimamente
edificate senza titolo costruzioni al di fuori dei centri abitati e sempre
purché il relativo comune non fosse già dotato di piano regolatore.
Ebbene,
il primo piano regolatore generale del Comune, esteso a tutto il
territorio comunale risale al 1959,
sicché la dimostrazione dell'anteriorità dell'opera al 01.09.1967 non
spiegherebbe alcun effetto in favore del ricorrente.
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8. L'unico profilo per cui il momento di esecuzione dell'opera
può assumere rilevanza attiene all'applicabilità della l. 765/1967 (l.
Ponte) che, modificando l'art. 31 l. 1150/1942, ha per la prima volta
imposto il rilascio della licenza edilizia per le costruzioni, iniziate a
partire dal 01.09.1967 (data di entrata in vigore della l. Ponte),
anche al di fuori dei centri abitati dei comuni privi di piano regolatore.
Su tale aspetto è incentrato il secondo motivo di ricorso, per mezzo del
quale il ricorrente deduce che l'opera sia stata realizzata anteriormente al
01.09.1967 e non abbisognasse il rilascio di alcun titolo edilizio.
La censura è infondata per due ragioni.
In primo luogo, l'affermazione attorea è priva di prova e, per consolidato
insegnamento giurisprudenziale, l'onere di dimostrare che le opere rientrano
fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis incombe sul
privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di
documenti e di elementi probatori in grado di attestare con ragionevole
certezza l'epoca di realizzazione del manufatto (ex multis, tra le ultime,
Cons. Stato, Sez. VI , 27.01.2022, n. 570; TAR Milano, Sez. II, 26.08.2020, n. 1616).
In secondo luogo, l'art. 31 l. 1150/1942, nella formulazione precedente alla
modifica apportata dalla l. Ponte, assoggettava a licenza edilizia le opere
realizzate «nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale».
Pertanto, anteriormente al 01.09.1967, potevano essere legittimamente
edificate senza titolo costruzioni al di fuori dei centri abitati e sempre
purché il relativo comune non fosse già dotato di piano regolatore. Ebbene,
il primo piano regolatore generale del Comune di Torino, esteso a tutto il
territorio comunale –ivi inclusa la zona collinare a est del Po, ove si
trova la palazzina di via ...– risale al 1959 (doc. 21 Comune),
sicché la dimostrazione dell'anteriorità dell'opera al 01.09.1967 non
spiegherebbe alcun effetto in favore del ricorrente (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 07.10.2022 n. 822 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: L'art.
10 della legge 06.08.1967, n. 765, ha introdotto l'obbligo generalizzato
della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove
costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti,
nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale. Prima di
allora, l'art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva tale obbligo
limitatamente ai centri abitati.
Nel caso di specie, è pacifico che all’epoca in cui sono stati posti in
essere gli abusi, il Comune fosse già dotato di Regolamento
edilizio e piano di fabbricazione, come evidenziato nell’ordinanza di
demolizione.
Pertanto, per tutto il territorio del Comune, la necessità del
titolo abilitativo edilizio risale al 1955, in forza dell’approvazione del
relativo regolamento edilizio. Il comune infatti, pur in assenza di una
norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo
per effettuare interventi edificatori, aveva adottato il citato regolamento
edilizio con cui si prevedeva l’obbligo di chiedere apposita licenzia per
costruire, ricostruire o modificare sostanzialmente edifici (art. 3).
È orientamento giurisprudenziale pacifico e condiviso dal Collegio che
l’obbligo imposto dal regolamento edilizio fosse valido e cogente anche in
assenza della legge urbanistica. Infatti, la previsione di una
pianificazione e di un controllo obbligatori limitata ai centri abitati
contenuta nella legge del 1942 certamente non impediva ai Comuni di
estendere all'intero territorio comunale (anticipando il contenuto della L.
n. 765 del 1967) il potere di pianificazione e controllo dell'attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi di una tipica
prerogativa ad essi spettante.
Da quanto sopra, consegue che le opere realizzate in difformità dalla
licenza edilizia del 18.02.1965 devono considerarsi abusive, in quanto in
quella data era cogente nel territorio comunale l’obbligo di
dotarsi di titolo edilizio.
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1. Il ricorso è articolato in tre motivi, con i quali si deduce
(i) che non fosse necessario alcun titolo per la realizzazione
dell’immobile, in quanto edificato in epoca antecedente all’entrata in
vigore della Legge n. 765/1967, e quindi non sarebbero rilevanti le
difformità rispetto alla licenza edilizia,
(ii) che la sanzione demolitiva irrogata sarebbe incongrua in
relazione al lasso di tempo decorso e che
(iii) l’avvenuto rilascio del certificato di abitabilità
configurerebbe un implicito atto di sanatoria.
2. Il ricorso è infondato.
3. In relazione al primo motivo, va osservato in termini generali che
l'art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, ha introdotto l'obbligo
generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi
(intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di
manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sul territorio
comunale. Prima di allora, l'art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150
prevedeva tale obbligo limitatamente ai centri abitati.
Nel caso di specie, è pacifico che all’epoca in cui sono stati posti in
essere gli abusi, il Comune di Merate fosse già dotato di Regolamento
edilizio e piano di fabbricazione, come evidenziato nell’ordinanza di
demolizione.
Pertanto, per tutto il territorio del Comune di Merate, la necessità del
titolo abilitativo edilizio risale al 1955, in forza dell’approvazione del
relativo regolamento edilizio. Il comune infatti, pur in assenza di una
norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo
per effettuare interventi edificatori, aveva adottato il citato regolamento
edilizio con cui si prevedeva l’obbligo di chiedere apposita licenzia per
costruire, ricostruire o modificare sostanzialmente edifici (art. 3).
È orientamento giurisprudenziale pacifico e condiviso dal Collegio che
l’obbligo imposto dal regolamento edilizio fosse valido e cogente anche in
assenza della legge urbanistica. Infatti, la previsione di una
pianificazione e di un controllo obbligatori limitata ai centri abitati
contenuta nella legge del 1942 certamente non impediva ai Comuni di
estendere all'intero territorio comunale (anticipando il contenuto della L.
n. 765 del 1967) il potere di pianificazione e controllo dell'attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi di una tipica
prerogativa ad essi spettante (cfr. in tema, ex plurimis, TAR
Campania, Napoli, Sez. IV, 12.06.2014, n. 3245; Consiglio di Stato, Sez.
VII, 23.05.2022, n. 4083; TAR Venezia, Sez. II, 01.04.2022, n.
524; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 23.12.2019, n. 2730).
Da quanto sopra, consegue che le opere realizzate in difformità dalla
licenza edilizia del 18.02.1965 devono considerarsi abusive, in quanto in
quella data era cogente nel territorio comunale di Merate l’obbligo di
dotarsi di titolo edilizio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.06.2022 n. 1345 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
termini generali, è noto che l’art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, ha
introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli
interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e
demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti
sul territorio comunale.
Prima di allora, l’art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva tale
obbligo limitatamente ai centri abitati, disponendo che: «chiunque intenda eseguire nuove costruzioni
ovvero ampliare quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri
abitati e dove esiste il Piano Regolatore Comunale anche dentro le zone di
espansione di cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza
edilizia».
La definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci
dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione.
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8. Con il primo motivo di appello si eccepisce la falsa applicazione
dell’art. 31 della l. 1150/1942.
In particolare si contesta l’assunto secondo il quale prima del 01.09.1967 -e più precisamente dal 1942- le nuove costruzioni e gli ampliamenti
di costruzioni esistenti erano già soggette all’ottenimento del titolo
edilizio, se ricadenti all’interno del centro abitato ovvero delle zone di
espansione.
Si sostiene che:
- l’art. 31 della l. 1150/1942, nel testo antecedente alle modifiche
apportate dalla l. 765/1967, imponeva la licenza edilizia «nei centri
abitati ed ove esista il Piano Regolatore Comunale, anche dentro le zone di
espansione di cui al n. 2 dell’art. 7»;
- nei comuni (come quello di Grassobbio) non soggetti all’obbligo di dotarsi
di Piano Regolatore Generale ex art. 8, comma 2, l. 1150/1942, la licenza
edilizia era obbligatoria esclusivamente nel “centro abitato” e non nelle
“zone di espansione”;
- il Programma di Fabbricazione del 1961 dimostra sia che l’area in cui
sorge il fabbricato era collocata in “zona semintensiva”, diversa e distinta
dal centro abitato, sia che in Grassobbio non vigeva, all’epoca, alcun Piano
Regolatore Generale;
- il fondo per cui è causa ricadeva, all’epoca, nella parte del territorio
comunale completamente inedificata, posta ad Est dell’asse autostradale, a
considerevole distanza dall’abitato di Grassobbio e che nella “zona semintensiva” non esisteva alcun aggregato di case continue e vicine.
Alla luce di queste considerazioni si censurano gli argomenti addotti dal
primo giudice per sostenere che, nella specie, la costruzione necessitasse
di licenza edilizia:
- il “centro abitato” che la legge urbanistica ha assoggettato all’obbligo
di licenza sin dalla sua entrata in vigore non coincide affatto con le tutte
zone regolate dai programmi di fabbricazione, e il fabbricato di cui si
discute era fuori dal centro abitato;
- l’obbligo di licenza non esiste in tutte le aree di nuovo impianto, bensì
soltanto in quelle ove esista il P.R.G.
Il motivo è fondato.
8.1 In termini generali, è noto che l’art. 10 della legge 06.08.1967, n.
765, ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti
gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti,
modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di
urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale. Prima di allora, l’art. 31
della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva tale obbligo limitatamente ai
centri abitati, disponendo che: «chiunque intenda eseguire nuove costruzioni
ovvero ampliare quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri
abitati e dove esiste il Piano Regolatore Comunale anche dentro le zone di
espansione di cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza
edilizia».
La definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini
univoci dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione
(Cons. Stato, Sezione VI, 21.02.2022, n. 1222).
Nel caso di specie è indubbio che all’epoca in cui fu posto in essere
l’asserito abuso originario il Comune fosse privo di Piano Regolatore e che,
sulla base della documentazione prodotta dall’appellante, l’immobile de qua
si trovasse in una zona chiaramente distinta dal centro abitato inteso in
senso formale e sostanziale (a quest’ultimo riguardo nell’accezione accolta
da questa Sezione e prima richiamata).
Ne deriva che nessun abuso è configurabile nell’ipotesi in cui siano stati
realizzati, senza titolo, interventi edilizi in area posta fuori dal centro
abitato, in un momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la
necessità del titolo abilitativo fuori dal centro abitato. Tali opere sono
legittime e pertanto il provvedimento di primo grado poggia su un
presupposto erroneo (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.05.2022 n. 3807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
tempo trascorso fra la realizzazione dell'abuso e l'adozione dell'ordine di
demolizione non determina, in capo al privato, l'insorgenza di uno stato di
legittimo affidamento e né innesta in capo all'amministrazione uno specifico
onere di motivazione, ciò in quanto il decorso del tempo rafforza il
carattere abusivo dell'intervento edilizio.
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L’introduzione dell’obbligo del possesso del titolo abilitativo per
l’esercizio dello ius aedificandi, pena la riduzione in pristino, è da farsi
risalire in generale al 1942 per i centri storici con la legge urbanistica
e, per tutto il territorio nazionale, al 1967, in seguito all’entrata in
vigore della l. n. 765 del 1967.
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Peraltro, in relaziona al caso di specie, non può aver alcuna
incidenza la asserita risalenza nel tempo degli abusi realizzati, di per sé
da considerarsi smentita per tabulas dalla documentazione prodotta in atti
dall’odierno interventore ad opponendum, non potendo ammettersi la
sussistenza di alcun legittimo affidamento a vedere conservata una
situazione di fatto contra ius che il trascorrere del tempo non può
legittimare.
Come evidenziato in giurisprudenza, “il tempo trascorso fra la realizzazione
dell'abuso e l'adozione dell'ordine di demolizione non determina, in capo al
privato, l'insorgenza di uno stato di legittimo affidamento e né innesta in
capo all'amministrazione uno specifico onere di motivazione, ciò in quanto
il decorso del tempo rafforza il carattere abusivo dell'intervento edilizio”
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. II, 09.05.2019, n. 2500), trattandosi
peraltro, di per sé, di un illecito avente carattere permanente.
Era onere della ricorrente, dunque, fornire piena prova della preesistenza
al 1935 -e non già, al 1967- dell’opera in questione, in applicazione della
regola generale contenuta nell’art. 2697 c.c. (per quanto riguarda il
processo amministrativo, dall’art. 64, comma 1, d.lgs. n. 104 del 2010,
secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che
siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle
domande e delle eccezioni”).
È del resto largamente noto che nel territorio del Comune di Napoli
l’obbligo di munirsi di un titolo edilizio sia in vigore dal 1935, ossia da
ben prima della legge ponte del 06.08.1967, n. 765.
Invero, per le costruzioni da realizzare nel territorio del Comune di
Napoli, l’obbligo per gli interessati di richiedere la licenza edilizia è
stato introdotto dall’art. 1, Regolamento Edilizio del Comune di Napoli dal
1935, con la conseguenza che ai fini della legittimità -sotto il profilo urbanistico-edilizio- di un’opera non è sufficiente dimostrarne la
realizzazione in data antecedente al 1967, ma è necessario provare che la
stessa sia stata eseguita in epoca anteriore al 1935; occorre in proposito
conseguentemente ribadire che “l’introduzione dell’obbligo del possesso del
titolo abilitativo per l’esercizio dello ius aedificandi, pena la riduzione
in pristino, è da farsi risalire in generale al 1942 per i centri storici
con la legge urbanistica e, per tutto il territorio nazionale, al 1967, in
seguito all’entrata in vigore della l. n. 765 del 1967. Per tutto il
territorio del Comune di Napoli, la necessità del titolo abilitativo
edilizio risale addirittura al 1935, in forza del regolamento edilizio, ben
prima quindi della l. n. 47 del 1985” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV,
08.09.2014, n. 4745).
A tutto voler concedere, l’assunto della vetustà, poi, oltre ad essere
indimostrato nel suo risalire ad epoca anteriore al 1935, è comunque
autonomamente smentito dalle planimetrie allegate all’atto di compravendita
del 2008. In dette planimetrie il lucernaio oggetto di controversia è
assente, potendosene di conseguenza presumere in modo realistico la
realizzazione solo successivamente a tale data (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 16.05.2022 n. 3274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per consolidata giurisprudenza, rispetto al
periodo antecedente al 1967, la definizione di centro abitato non è
rinvenibile in termini univoci, dovendosi fare riferimento a criteri
empirici, per cui il centro abitato va individuato nella situazione di fatto
costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, anche
distante dal centro, con interposte strade, piazze o simili.
---------------
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Non è in contestazione tra le parti che il fabbricato oggetto di causa sia
stato edificato negli anni 1954/1955.
L’art. 31 della legge urbanistica del 1942, nel testo vigente al momento in
cui il fabbricato oggetto è stato realizzato, ossia nell’anno 1955,
richiedeva la licenza per “eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero
ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri
abitati ed ove esista il piano regolatore comunale”.
Osserva che Collegio che «Per consolidata giurisprudenza, rispetto al
periodo antecedente al 1967, la definizione di centro abitato non è
rinvenibile in termini univoci, dovendosi fare riferimento a criteri
empirici, per cui il centro abitato va individuato nella situazione di fatto
costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, anche
distante dal centro, con interposte strade, piazze o simili» (cfr. Cons.
Stato, Sez. II, 11.10.2021, n. 6770 di recente Cons. Stato Sez. VI,
21.06.2021, n. 4771; Sez. II, 09.06.2020, n. 3677) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 21.04.2022 n. 1357 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: - in termini generali, è noto che l’art. 10 della legge
06.08.1967, n.
765, ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti
gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti,
modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di
urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale;
- prima di allora, l’art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva
tale obbligo limitatamente ai centri abitati, disponendo che: «chiunque
intenda eseguire nuove costruzioni ovvero ampliare quelle già esistenti o
modificare la struttura nei centri abitati e dove esiste il piano regolatore
comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7 deve
chiedere apposita licenza edilizia»;
- la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci
dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione;
- ciò posto, l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza
dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso, mentre solo la
deduzione da parte di quest’ultimo di concreti elementi di riscontro
trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo
all’amministrazione.
---------------
Considerato in diritto che
- in via preliminare, va rimarcato che, non avendo il Comune di Arce
proposto appello incidentale, sono passati in giudicati i capi di sentenza
che hanno accolto i primi due motivi di ricorso (segnatamente:
l’incompetenza del Comune a contestare la mancanza dell’autorizzazione
sismica; l’omesso previo annullamento del titolo edilizio consistente nel
permesso di costruire in sanatoria n. 2/2017, con cui era stato regolarmente
assentito il porticato in legno);
- in termini generali, è noto che l’art. 10 della legge 06.08.1967, n.
765, ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti
gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti,
modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di
urbanizzazione) eseguiti sul territorio comunale;
- prima di allora, l’art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva
tale obbligo limitatamente ai centri abitati, disponendo che: «chiunque
intenda eseguire nuove costruzioni ovvero ampliare quelle già esistenti o
modificare la struttura nei centri abitati e dove esiste il piano regolatore
comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7 deve
chiedere apposita licenza edilizia»;
- la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci
dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione;
- ciò posto, l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza
dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso, mentre solo la
deduzione da parte di quest’ultimo di concreti elementi di riscontro
trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.02.2022 n. 1222 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
E' noto che l’obbligo generalizzato di
richiedere la licenza edilizia per eseguire nuove costruzioni, ampliare,
modificare o demolire quelle esistenti, ovvero per procedere all’esecuzione
di opere di urbanizzazione sul terreno, è stato generalizzato dall’art. 10
L. 06.08.1967 n. 765 (mentre in precedenza l’art. 31, comma 1, L. 17.08.1942
n. 1150 imponeva di premunirsi di licenza edilizia solo per gli interventi
nei centri abitati e nelle zone di espansione previste dal piano
regolatore).
---------------
Priva di pregio risulta la considerazione secondo la quale poiché gli
interventi in questione si collocherebbero all’interno di una zona del
territorio comunale classificata “zona di espansione”, andrebbero
automaticamente qualificati come “modifiche di lieve entità”.
Ed invero è noto che l’obbligo generalizzato di richiedere la licenza
edilizia per eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire
quelle esistenti, ovvero per procedere all’esecuzione di opere di
urbanizzazione sul terreno, è stato generalizzato dall’art. 10 L. 06.08.1967
n. 765 (mentre in precedenza l’art. 31, comma 1, L. 17.08.1942 n. 1150
imponeva di premunirsi di licenza edilizia solo per gli interventi nei
centri abitati e nelle zone di espansione previste dal piano regolatore).
E nel caso di specie le opere realizzate dalla ricorrente, alterando lo
stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico, avrebbero richiesto
per la loro consistenza, il previo rilascio del permesso di costruire,
sicché legittimamente ne è stata ordinata la demolizione (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 29.10.2021 n. 2933 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
consolidata giurisprudenza, rispetto al periodo antecedente al 1967, la
definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci,
dovendosi fare riferimento a criteri empirici, per cui il centro abitato va
individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un
aggregato di case continue e vicine, anche distante dal centro, con
interposte strade, piazze o simili
---------------
La stessa difesa comunale ha rilevato che la licenza è stata rilasciata ai
sensi dell’art. 31 della legge 17.08.1942 n. 1150, e che il primo piano
regolatore del Comune di Fano è stato adottato con la delibera del consiglio
comunale del 27.08.1963 (poi approvato con decreto del 16.09.1966).
L’art. 31 della legge urbanistica del 1942, nel testo allora vigente,
richiedeva la licenza per “eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero
ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri
abitati ed ove esista il piano regolatore comunale”.
Per consolidata giurisprudenza, rispetto al periodo antecedente al 1967, la
definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci,
dovendosi fare riferimento a criteri empirici, per cui il centro abitato va
individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un
aggregato di case continue e vicine, anche distante dal centro, con
interposte strade, piazze o simili (cfr. di recente Cons. Stato Sez. VI,
21.06.2021, n. 4771; Sez. II, 09.06.2020, n. 3677).
Nel caso di specie, il titolo risulta rilasciato per la realizzazione di una
casa colonica; la intera area è stata classificata ancora nel PRG adottato
nel 1963 come zona rurale.
Non trattandosi di centro abitato, si deve, pertanto, ritenere applicato, in
via di salvaguardia, il piano regolatore adottato con delibera del Consiglio
comunale del 27.08.1963, con conseguente applicazione anche dell’art. 21
delle NTA del PRG adottato, che prevedeva il lotto minimo di 5000 metri
quadri, raggiunto solo con l’intero lotto di proprietà, e conseguente
valutazione dell’intero lotto ai fini del rilascio della licenza
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 11.10.2021 n. 6770 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: È noto che l’art. 10 della legge
06.08.1967, n. 765, ha introdotto
l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi
edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e
demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti
sul territorio comunale.
Prima di allora, l’art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva tale obbligo limitatamente ai centri abitati,
disponendo che: «chiunque intenda eseguire nuove costruzioni ovvero ampliare
quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri abitati e dove
esiste il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di
cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza edilizia».
La definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci
dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione.
---------------
8.‒ In ragione dell’epoca di realizzazione del
portico-manufatto, nell’anno 1954, la sua costruzione non richiedeva alcun
titolo abilitativo. È dunque erronea la qualificazione di ‘abusività’
presupposta negli atti impugnati.
8.1‒ I rilievi mossi dall’Amministrazione nella memoria depositata in vista
dell’udienza pubblica ‒in cui si sostiene che le risultanze istruttorie non
confermerebbero la fondatezza delle argomentazioni di parte appellante‒ non
colgono nel segno.
8.2.‒ Il distacco del manufatto dall’edificio limitrofo (al quale si fa
riferimento nella relazione) non pone in discussione la circostanza che
l’edificio rappresentato nelle Ortofoto sia lo stesso fatto oggetto dei
provvedimenti impugnati.
8.3.‒ La circostanza che il manto di copertura con onduline e vetroresina
sia stato realizzato in epoca successiva all’anno 1967, non ha rilievo ai
fini del presente giudizio: il diniego e l’ordine di demolizione si
riferiscono infatti all’intero edificio, senza distinguere tra la parte
muraria (stimata in epoca anteriore al 1967) ed il manto di copertura
realizzato con onduline e vetroresina (strutture quest’ultime che, peraltro,
gli appellanti affermano che sarebbero state eliminate una volta assentita
la trasformazione del portico in garage).
8.4.‒ La deduzione secondo cui gli immobili di cui si discute sarebbero
stati situati all’interno del centro abitato del Comune di Cassolnovo,
ragione per cui nemmeno la loro datazione ad epoca antecedente al 1954
sarebbe idonea a far ritenere la loro edificazione ‘libera’, è sfornita di
qualunque riscontro.
È noto che l’art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, ha introdotto
l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi
edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e
demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti
sul territorio comunale. Prima di allora, l’art. 31 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevedeva tale obbligo limitatamente ai centri abitati,
disponendo che: «chiunque intenda eseguire nuove costruzioni ovvero ampliare
quelle già esistenti o modificare la struttura nei centri abitati e dove
esiste il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di
cui al n. 2 dell'art. 7 deve chiedere apposita licenza edilizia».
La definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci
dovendosi fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla
giurisprudenza, secondo cui il centro abitato va individuato nella
situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case
continue e vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di espansione.
Ebbene, nel caso di specie, l’Amministrazione ‒oltre a non allegare la
vigenza di un piano regolatore all’epoca dei fatti‒ non ha depositato alcun
elaborato cartografico da cui risulti che, storicamente, i terreni di
proprietà degli appellanti fossero compresi in una zona contrassegnata dalla
presenza di case continue e vicine (circostanza contestata dagli appellanti
secondo cui trattavisi di portico agricolo eretto in aperta campagna, come
dimostrato dalla struttura tipicamente rurale che il piccolo borgo di
Cassolnovo) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.06.2021 n. 4771 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza ha chiarito che nel sistema giuridico vigente la definizione
di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre fare
riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui
il centro abitato va individuato nella situazione di fatto costituita dalla
presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di
espansione.
Nell'ambito urbanistico edilizio, in riferimento alla nozione di 'centro abitato', si fonda essenzialmente sulla presenza di immobili, opere e
strutture già idonee a fare ritenere che la zona sia in qualche modo già
antropizzata.
Anche questa sezione ha recentemente affermato che in assenza di un atto
urbanistico di perimetrazione del centro abitato, la nozione di centro
abitato urbanisticamente rilevante deve essere ancorata alla sussistenza di
circostanze di fatto (aggregato di case continue e vicine), piuttosto che a
formali qualificazioni provvedimentali, che possono semmai fungere da
supporto probatorio di carattere integrativo.
---------------
Il motivo di ricorso non può essere accolto.
A prescindere da ogni approfondimento circa la preesistenza dell’immobile in
questione alla data del 1967, infatti, risulta dagli atti di causa che
l’immobile non si trova al di fuori dalla perimetrazione del centro abitato.
Come rilevato il Comune nelle sue difese e comprovato dagli atti di causa,
l’area su cui fu costruito il manufatto oggetto del presente gravame era già
all’epoca della sua costruzione qualificabile come un agglomerato
urbano/residenziale. La circostanza è provata dalla foto aerea dell’Istituto
Geografico Militare (datata 1964), dal testamento del 1973 e dai rilievi
catastali (datati 1982), da cui emerge che la proprietà è circondata da
altri beni immobili.
La giurisprudenza ha sul punto chiarito che nel sistema giuridico vigente la
definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui
occorre fare riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza,
secondo cui il centro abitato va individuato nella situazione di fatto
costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine,
comunque suscettibile di espansione (Consiglio di Stato sez. IV,
19/08/2016, n. 3656).
Nell'ambito urbanistico edilizio, in riferimento alla nozione di 'centro abitato', si fonda essenzialmente sulla presenza di immobili, opere e
strutture già idonee a fare ritenere che la zona sia in qualche modo già
antropizzata (TAR Campania, Salerno, sez. II, 22/01/2021, n. 199).
Anche questa sezione ha recentemente affermato che in assenza di un atto
urbanistico di perimetrazione del centro abitato, la nozione di centro
abitato urbanisticamente rilevante deve essere ancorata alla sussistenza di
circostanze di fatto (aggregato di case continue e vicine), piuttosto che a
formali qualificazioni provvedimentali, che possono semmai fungere da
supporto probatorio di carattere integrativo (TAR Campania Napoli, sez. II, 02/10/2020, n. 4183).
Alla luce di tali principi giurisprudenziali, deve ritenersi che anche ante
1967 nell’area in cui si trova l’immobile in esame occorreva il rilascio di
un titolo edilizio, dovendo qualificarsi l’area entro la quale esso è
situato come “centro abitato” (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 08.06.2021 n. 3840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: È
noto che l’art. 31 della legge urbanistica
n. 1150/1942, nel testo originario, imponeva
di chiedere il preventivo rilascio della
licenza edilizia unicamente a chi intendesse
costruire all’interno dei centri abitati.
L’estensione all’intero territorio comunale
della necessità di munirsi del titolo
edilizio è stata generalizzata dalla novella
apportata all’art. 31 cit. dalla c.d.
legge-ponte n. 765/1967.
Prima della novella, per le costruzioni
realizzate al di fuori del centro abitato
detta necessità va verificata alla luce
delle discipline regolamentari locali
eventualmente esistenti: secondo
un’acquisizione risalente in giurisprudenza
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 14.03.1980, n.
287), queste non sono state infatti travolte
dalla legge del 1942, la quale aveva inteso
stabilire uno standard minimo uniforme sul
territorio nazionale, senza tuttavia
incidere sui regolamenti comunali che già
richiedessero la licenza anche fuori del
centro abitato o delle zone di espansione.
Tale indirizzo, successivamente affermatosi
e già condiviso da questo TAR, merita di
essere ribadito. Esso, del resto, non è
smentito dai precedenti citati nella memoria
di replica dei ricorrenti allo scopo di
sostenere che l’unico parametro idoneo per
valutare la natura abusiva o meno di un
intervento edificatorio sarebbe costituito
dalla legge urbanistica del 1942, mentre
sarebbe irrilevante la normativa locale
eventualmente previgente.
A ben vedere, quei precedenti (TAR Toscana,
sez. III, 04.02.2011, n. 197, che a sua
volta rinvia a Cons. Stato, sez. V,
21.10.1998, n. 1514) non affrontano affatto
il tema della sorte dei regolamenti edilizi
comunali previgenti una volta entrata in
vigore la legge urbanistica, limitandosi a
richiamare le “posizioni contrastanti sia in
giurisprudenza che in dottrina” (così Cons.
Stato, n. 1514/1998, cit.); e, in
definitiva, non fanno altro che fornire
un’interpretazione costituzionalmente
orientata della legge n. 47/1985,
individuando nell’entrata in vigore della
legge urbanistica il termine iniziale di
commissione degli abusi edilizi in relazione
ai quali occorreva la presentazione di
un’istanza di sanatoria: termine valevole
sull’intero territorio nazionale e
indipendente, per ragioni di uniformità, da
eventuali discipline regolamentari che
avessero richiesto sin da epoca anteriore il
rilascio della licenza edilizia.
Le pronunce ora richiamate, in altre parole,
non affermano in alcun modo che la legge
urbanistica del 1942 avrebbe determinato
l’abrogazione dei regolamenti edilizi
comunali previgenti.
---------------
2. Con il primo motivo di
impugnazione, i ricorrenti negano che i
garage di loro proprietà necessitino di
sanatoria edilizia, giacché ad essi
troverebbe applicazione l’art. 207 della
legge regionale toscana n. 65/2014, in forza
del quale le opere eseguite prima del 1967
all’esterno del perimetro del centro abitato
sono da considerarsi consistenze legittime
dal punto di vista urbanistico-edilizio.
Il motivo è infondato.
È noto che l’art. 31 della legge urbanistica
n. 1150/1942, nel testo originario, imponeva
di chiedere il preventivo rilascio della
licenza edilizia unicamente a chi intendesse
costruire all’interno dei centri abitati.
L’estensione all’intero territorio comunale
della necessità di munirsi del titolo
edilizio è stata generalizzata dalla novella
apportata all’art. 31 cit. dalla c.d.
legge-ponte n. 765/1967. Prima della
novella, per le costruzioni realizzate al di
fuori del centro abitato detta necessità va
verificata alla luce delle discipline
regolamentari locali eventualmente
esistenti: secondo un’acquisizione risalente
in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V,
14.03.1980, n. 287), queste non sono state
infatti travolte dalla legge del 1942, la
quale aveva inteso stabilire uno standard
minimo uniforme sul territorio nazionale,
senza tuttavia incidere sui regolamenti
comunali che già richiedessero la licenza
anche fuori del centro abitato o delle zone
di espansione.
Tale indirizzo, successivamente affermatosi
e già condiviso da questo TAR (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 29.07.2019, n. 5330; id.,
sez. VI, 07.08.2015, n. 3899; TAR Toscana,
sez. III, 27.01.2014, n. 174), merita di
essere ribadito. Esso, del resto, non è
smentito dai precedenti citati nella memoria
di replica dei ricorrenti allo scopo di
sostenere che l’unico parametro idoneo per
valutare la natura abusiva o meno di un
intervento edificatorio sarebbe costituito
dalla legge urbanistica del 1942, mentre
sarebbe irrilevante la normativa locale
eventualmente previgente.
A ben vedere, quei precedenti (TAR Toscana,
sez. III, 04.02.2011, n. 197, che a sua
volta rinvia a Cons. Stato, sez. V,
21.10.1998, n. 1514) non affrontano affatto
il tema della sorte dei regolamenti edilizi
comunali previgenti una volta entrata in
vigore la legge urbanistica, limitandosi a
richiamare le “posizioni contrastanti sia
in giurisprudenza che in dottrina” (così
Cons. Stato, n. 1514/1998, cit.); e, in
definitiva, non fanno altro che fornire
un’interpretazione costituzionalmente
orientata della legge n. 47/1985,
individuando nell’entrata in vigore della
legge urbanistica il termine iniziale di
commissione degli abusi edilizi in relazione
ai quali occorreva la presentazione di
un’istanza di sanatoria: termine valevole
sull’intero territorio nazionale e
indipendente, per ragioni di uniformità, da
eventuali discipline regolamentari che
avessero richiesto sin da epoca anteriore il
rilascio della licenza edilizia.
Le pronunce ora richiamate, in altre parole,
non affermano in alcun modo che la legge
urbanistica del 1942 avrebbe determinato
l’abrogazione dei regolamenti edilizi
comunali previgenti.
Di contro, l’art. 207 l.r. n. 64/2015, posto
in origine a fondamento della censura in
esame, nelle more del giudizio è stato
dichiarato incostituzionale per contrasto
con l’art. 117, co. 3 Cost. (Corte Cost.,
19.11.2015, n. 233) e non vale più a
legittimare il fabbricato adibito a garage
di proprietà dei ricorrenti, ultimato nel
1965 in costanza del regolamento edilizio di
Sesto Fiorentino del 02.05.1931.
Il regolamento –che, per le ragioni già
esposte, deve ritenersi sopravvissuto
all’entrata in vigore della legge n.
1150/1942– agli artt. 1 e 8 prevedeva la
richiesta della licenza/autorizzazione
scritta da parte di chiunque intendesse
intraprendere opere edilizie “nei limiti
del territorio del Comune”.
L’edificazione senza titolo dei garage per
cui è causa costituisce, dunque, una
frontale violazione della disciplina
comunale.
Tanto basta per concludere che, trattandosi
di opere abusive ai sensi della legge n.
47/1985, esse avrebbero necessitato del
condono, senza che a questo punto occorra
verificare se ricadessero o meno nel
perimetro del centro abitato (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 08.04.2021 n. 482 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Regolamento Edilizio comunale del 25.05.1938, dal
quale risulta l’obbligo di munirsi di titolo edilizio anche per le opere
realizzate fuori dal centro abitato, non può ritenersi illegittimo in quanto
-secondo la giurisprudenza- non può fondatamente sostenersi che
il regolamento edilizio comunale fosse divenuto illegittimo e non più
applicabile una volta entrata in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art.
31, limitava la necessità della licenza edilizia all’attività edificatoria
svolta all’interno dei centri abitati e nelle zone di espansione previste
dai piani.
Infatti, la previsione di una pianificazione e di un controllo
obbligatori limitata ai centri abitati, certamente non impediva ai Comuni di
estendere all’intero territorio comunale (anticipando il contenuto della L.
n. 765 del 1967) il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi di una tipica
prerogativa ad essi spettante.
---------------
7.2 Ad abundantiam occorre specificare che il motivo è infondato anche nella
parte in cui afferma che le opere realizzate fuori dal centro storico negli
anni tra il 1950 ed il 1960 non richiedevano titolo edilizio in quanto il
Comune ha depositato il Regolamento Edilizio del Comune di Senago 25.05.1938 dal quale risulta l’obbligo di munirsi di titolo edilizio anche per le
opere realizzate fuori dal centro abitato.
Né in merito può ritenersi che tale regolamento fosse illegittimo in quanto
secondo la giurisprudenza (TAR Abruzzo-Pescara - Sez. I, 14.01.2010, n. 23;
TAR Veneto, Sez. II, 30.01.2014 n. 121) non può fondatamente sostenersi che
il regolamento edilizio comunale fosse divenuto illegittimo e non più
applicabile una volta entrata in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art.
31, limitava la necessità della licenza edilizia all’attività edificatoria
svolta all’interno dei centri abitati e nelle zone di espansione previste
dai piani. Infatti, la previsione di una pianificazione e di un controllo
obbligatori limitata ai centri abitati, certamente non impediva ai Comuni di
estendere all’intero territorio comunale (anticipando il contenuto della L.
n. 765 del 1967) il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi di una tipica
prerogativa ad essi spettante (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.12.2019 n. 2730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Verifica dello stato legittimo degli immobili
risalenti nel tempo
(Regione Emilia Romagna,
nota 11.07.2019 n. 592534 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Comune di Châtillon – necessità titolo
abilitativo opere precedenti legge n. 765/1967 – Regolamento
comunale del 1938 disciplinante fattispecie autorizzatorie –
applicabilità – parere (Legali Associati per Celva,
nota 26.03.2019 - tratto da www.celva.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non appaiono sufficienti
a comprovare in modo dirimente l’effettiva data di
ultimazione delle opere di realizzazione del capannone le
sole dichiarazioni rese da terzi in mancanza di altri
elementi precisi e concordanti che nel caso all’esame non
sono allegati.
---------------
La tesi secondo la quale il regolamento
edilizio comunale (che
subordinava espressamente al rilascio di specifica
autorizzazione l’esecuzione di interventi edilizi) dovrebbe ritenersi
abrogato dall’entrata in vigore della legge 17.08.1942,
n. 1150, non è corretta perché, come è stato condivisibilmente
affermato, non può fondatamente sostenersi
●
“che tale regolamento
fosse divenuto illegittimo e non più applicabile una volta
entrata in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art. 31,
limitava la necessità della licenza edilizia all’attività
edificatoria svolta all’interno dei centri abitati e nelle
zone di espansione previste dai piani. Infatti, la
previsione di una pianificazione e di un controllo
obbligatori limitata ai centri abitati, certamente non
impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi
di una tipica prerogativa ad essi spettante”
ovvero, in altre parole, come è stato evidenziato
●
“nella detta
materia, a fronte di opinione minoritaria, che ritiene una
valenza abrogatrice svolta dalla legge 1150 del 1942 sui
precedenti regolamenti edilizi, la giurisprudenza
maggioritaria, negando tale portata abrogante o
disapplicativa della normativa edilizia, ha evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza del titolo edilizio, anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione, ove l’obbligo sia previsto dai regolamenti
edilizi comunali”.
---------------
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con il primo motivo l’Associazione ricorrente contesta il
diniego impugnato valorizzando la circostanza che il
capannone sarebbe stato costruito negli anni ’50 quando non
era necessario il rilascio di un titolo edilizio.
La censura non merita accoglimento.
Infatti va in primo luogo evidenziato che non appaiono
sufficienti a comprovare in modo dirimente l’effettiva data
di ultimazione delle opere di realizzazione del capannone le
sole dichiarazioni rese da terzi in mancanza di altri
elementi precisi e concordanti che nel caso all’esame non
sono allegati (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 09.01.2017, n. 37; Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.05.2016, n. 2179).
In secondo luogo va osservato che correttamente
l’Amministrazione comunale è giunta alla conclusione secondo
la quale, quand’anche il manufatto fosse stato
effettivamente realizzato in quegli anni, sarebbe stato
comunque necessario il rilascio di un titolo edilizio.
Infatti è vero che l’art. 31 della legge 17.08.1942, n.
1150, nel testo antecedente alle modifiche ad esso apportate
dall’articolo 10, della legge 06.08.1967, n. 765, in
linea generale prevedeva l’obbligo del previo rilascio della
licenza edilizia solo per interventi da eseguire nei centri
abitati.
Tuttavia, come controdedotto dal Comune e chiarito dalla
giurisprudenza (cfr. Tar Veneto, Sez. II, 21.03.2018, n.
326; id. 07.12.2015, n. 1296; id. 16.10.2015, n.
1058; id. 22.06.2015, n. 694; id. 24.03.2015, n. 342;
id. 30.01.2014, n. 121) è necessario tener conto che
quando il manufatto è stato realizzato era comunque in
vigore il regolamento edilizio comunale approvato
dall’Amministrazione Comunale con le determinazioni 12.11.1929 n. 50859 e 10.07.1930 n. 29512, il quale
all’art. 2 subordinava espressamente al rilascio di
specifica autorizzazione l’esecuzione di interventi edilizi
(sul punto della valenza del regolamento comunale si vedano
la pronunce Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.07.2017, n.
3789; id. 28.01.2014, n. 435; Tar Lombardia, Milano,
Sez. II, 14.06.2017 n. 1354).
La tesi secondo la quale tale regolamento dovrebbe ritenersi
abrogato dall’entrata in vigore della legge 17.08.1942,
n. 1150, non è corretta perché, come è stato condivisibilmente affermato (cfr. la già citata sentenza Tar
Veneto, Sez. II, 30.01.2014, n. 121, confermata dalla
sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.07.2016, n.
3389) non può fondatamente sostenersi “che tale regolamento
fosse divenuto illegittimo e non più applicabile una volta
entrata in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art. 31,
limitava la necessità della licenza edilizia all’attività
edificatoria svolta all’interno dei centri abitati e nelle
zone di espansione previste dai piani. Infatti, la
previsione di una pianificazione e di un controllo
obbligatori limitata ai centri abitati, certamente non
impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi
di una tipica prerogativa ad essi spettante” ovvero, in
altre parole, come è stato evidenziato (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3899) “nella detta
materia, a fronte di opinione minoritaria, che ritiene una
valenza abrogatrice svolta dalla legge 1150 del 1942 sui
precedenti regolamenti edilizi, la giurisprudenza
maggioritaria, negando tale portata abrogante o
disapplicativa della normativa edilizia, ha evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza del titolo edilizio, anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione, ove l’obbligo sia previsto dai regolamenti
edilizi comunali” (nello stesso senso della perdurante
efficacia dei regolamenti adottati prima della legge 17.08.1942, n. 1150, sulla base della legislazione
antecedente cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.01.2015, n. 13; Tar Liguria, Sez. I, 30.12.2014, n. 1975;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.07.2008, n. 5141;
Consiglio di Stato, Sez. V, 14.03.1980, n. 287).
Infine per completezza va anche rilevato che in ogni caso il
piano regolatore del Comune di Venezia è stato adottato con
delibera Commissariale n. 15429 del 20.03.1959 in data
verosimilmente antecedente alla data dichiarata come quella
di realizzazione del manufatto quando il piano era efficace
perché in regime di salvaguardia nelle more
dell’approvazione in seguito avvenuta con DPR del 17.12.1962.
Pertanto, poiché non può ritenersi provata la data di
realizzazione dell’immobile dichiarata, e in ogni caso,
quand’anche provata, non verrebbe meno la necessità di
dimostrare l’esistenza di un titolo edilizio al fine di
dimostrarne la legittimità perché il Comune era dotato del
regolamento edilizio del 1929 e del piano regolatore del
1959, il primo motivo deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.07.2018 n. 790 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda, il capannone, rileva come parte ricorrente
non abbia fornito alcuna prova circa la realizzazione dello stesso
anteriormente al 1967 e, dunque, prima che l. n. 765/1967 (c.d. “legge
ponte”) introducesse un obbligo generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la realizzazione di opere in qualsiasi parte del
territorio comunale (prima, invece, sussistente, ai sensi dell’art. 31 della
legge urbanistica n. 1150/1942, solo per edificare nei centri abitati, a
prescindere dalla dotazione o meno di strumenti urbanistici da parte dei
Comuni).
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è da sempre consolidata nel
ritenere che l’onere di fornire la prova rigorosa dell’ultimazione delle
opere abusive incomba sull’interessato, l’unico in grado di fornire atti e
documenti che offrano la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di
un manufatto, e non già sull’amministrazione che, in presenza di un’opera
edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha, invece,
il dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ne ricorrano i
presupposti, il provvedimento di demolizione.
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Il ricorso è infondato, in ragione della legittimità sotto i profili
contestati dell’impugnata ordinanza di demolizione.
Non sono, innanzi tutto, meritevoli di accoglimento le censure articolare in
ricorso con cui parte ricorrente tenta di dimostrare la piena legittimità
delle opere sanzionate, non valendo quanto affermato e prodotto in giudizio
da parte ricorrente a smentire il carattere abusivo di tali interventi,
effettivamente eseguiti in assenza di un titolo edilizio nonostante
rientrino (come correttamente ritenuto dall’amministrazione comunale) in
parte -per quanto riguarda, il capannone, il manufatto destinato a
spogliatoi e wc e il locale destinato alla guardiania- “tra quelle indicate
nell’art. 31 del DPR 06.06.2001 n. 380” (“Interventi eseguiti in assenza di
permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”)
ed, in parte -per quel che concerne le tettoie ed il locale tecnologico
antincendio- “tra quelle indicate nell’art. 33 del DPR 06.06.2001 n. 380”
(“Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di
costruire o in totale difformità”).
Per quanto riguarda, il capannone, rileva, infatti, come parte ricorrente
non abbia fornito alcuna prova circa la realizzazione dello stesso
anteriormente al 1967 e, dunque, prima che l. n. 765/1967 (c.d. “legge
ponte”) introducesse un obbligo generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la realizzazione di opere in qualsiasi parte del
territorio comunale (prima, invece, sussistente, ai sensi dell’art. 31 della
legge urbanistica n. 1150/1942, solo per edificare nei centri abitati, a
prescindere dalla dotazione o meno di strumenti urbanistici da parte dei
Comuni), essendo la giurisprudenza amministrativa da sempre consolidata nel
ritenere che l’onere di fornire la prova rigorosa dell’ultimazione delle
opere abusive incomba sull’interessato, l’unico in grado di fornire atti e
documenti che offrano la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di
un manufatto, e non già -come vorrebbe parte ricorrente-
sull’amministrazione che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da
un titolo edilizio che la legittimi, ha, invece, il dovere di sanzionarla ai
sensi di legge e di adottare, ove ne ricorrano i presupposti, il
provvedimento di demolizione (in tal senso, da ultimo, TAR Napoli,
Campania, sezione VIII, n. 4122/2017, nonché, in epoca più risalente, TAR
Toscana, sezione II, n. 158/1992).
A ciò si aggiunga come parte ricorrente abbia dichiarato che lo stabilimento
produttivo sarebbe “composto da vari capannoni, per una superficie coperta
di oltre 10.000 mq” per poi produrre in atti titoli edilizi cumulativamente
idonei ad assentirne soltanto 5.545 metri quadri circa (in tal senso la
denunzia prodotta in giudizio da parte ricorrente, alla quale avrebbe fatto
seguito la citata ordinanza comunale del 14.05.1972) (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 15.06.2018 n. 951 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
È illegittima la consistenza edilizia che, pur
realizzata anteriormente al 1967 ma in assenza di titolo
abilitativo, in esito a C.T.U. si riveli ricadente in ambito
territoriale all’epoca di edificazione già ampiamente
urbanizzato.
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4. Con il primo motivo di impugnazione parte
ricorrente contesta il carattere abusivo dell’opera.
Sul punto è stata svolta c.t.u., la quale con valutazione
condivisibile e priva di vizi logici, ha anzitutto (cfr.
relazione originaria e successiva integrazione) descritto
l’immobile oggetto della controversia (cfr. p. 4 della
relazione depositata in data 16.08.2012).
L’immobile in
questione risulta realizzato in data anteriore al 1967, con
la conseguenza che, come precisato dall’art. 31 della l. n.
1150 del 1942, “chiunque intenda eseguire nuove
costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o
modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed
ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le
zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve
chiederne apposita licenza al Podestà del Comune”. La
rigorosa individuazione delle fattispecie soggette a licenza
edilizia determinò, per esclusione, che al di fuori dei
centri abitati o nelle zone non comprese nella
pianificazione urbanistica lo jus aedificandi non fosse
soggetto a limiti.
Il citato art. 31 fu poi sostituito dall’art. 10 della legge
765/1967 (c.d. legge Ponte), in cui fu previsto che
“chiunque intenda nell’ambito del territorio comunale
eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire
quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di
urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza
al Sindaco”, e, a seguito dell’entrata in vigore della legge
10/1977 (c.d. legge Bucalossi), fu stabilito che “ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a
concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente
legge”.
Nel 1959, anno di realizzazione dei fabbricati, il Comune
risultava privo di strumenti urbanistici, con la conseguenza
che occorre valutare, anche a prescindere dalla mancanza di
una puntuale regolamentazione e indiretta applicazione
dell’art. 31 della l. n. 1150 del 1942, se il fabbricato
ricada o meno all’interno del centro abitato.
In seguito
alla richiesta di integrazione formulata dal collegio, il
consulente con la relazione integrativa depositata, esente
da vizi logici e quindi pienamente condivisibile, ha
concluso nel senso della collocazione dell’immobile
all’interno del centro abitato, sulla base di una serie di
indici (p. 2 ss. della relazione integrativa, la relativa
documentazione risulta allegata alla stessa, nonché le
osservazioni alle controdeduzioni del c.t.p. p. 5 ss.), ai
quali si rinvia.
La documentazione in questione, in quanto
depositata presso enti pubblici in base a una richiesta
formulata da ordinanza istruttoria e acquisita
tempestivamente risulta utilizzabile nel corso del giudizio.
Per quanto concerne il diritto di difesa si può precisare
che il ricorrente ha avuto modo di contraddire su tale
documentazione e non ne ha contestato l’autenticità, né deve
ritenersi necessaria la partecipazione di tutte le parti del
giudizio ad ogni attività svolta dal consulente, specie se
tale mancata partecipazione non si traduca in un vizio del
contraddittorio o del diritto di difesa.
In particolare: (punto n. 1) già nel 1910 nel progetto
redatto dall’ing. So., per conto del comune per la
realizzazione della scuola esistente di fronte agli edifici
oggetto del giudizio, si precisa che in tale zona sono già
sorti numerosi fabbricati, lasciando il suolo destinato
all’edificio scolastico nel centro di essi; nel 1930 (punto
n. 2), sempre con riferimento all’edificio scolastico,la
relazione tecnica redatta dall’ing. Fr. osserva che
l’edificio sorgerà sull’area segnata nella planimetria
dell’abitato già scelto dalla commissione tecnica sanitaria;
negli anni ’50, diverse delibere e atti del Comune fanno
riferimento alla zona qualificandola come abitato o centro
abitato (punti nn. 3,4,5); negli anni ‘40 e ‘50 risulta il
completamento, la realizzazione o la stipulazione di
contratti relativi al sistema fognario (punti 5,7), al
sistema di illuminazione (punto 7), all’acquedotto (punto
6), alla nettezza urbana (punto n. 9).
Si tratta di documenti che, complessivamente valutati e come
condivisibilmente analizzati dal consulente nelle relazioni
depositate, consentono di ritenere adeguatamente provato ai
fini del giudizio (nella traduzione fornita dalla
giurisprudenza del “più probabile che non”) che l’immobile
si trovasse all’interno del centro abitato e che nella zona
in cui esso si trovava vi fosse già un agglomerato di
edifici e delle strutture idonee a fornire servizi pubblici.
Ne discende che il primo motivo di ricorso non può trovare
accoglimento (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 05.01.2018 n. 17 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
Comune di Ayas – Regolarità edilizia di manufatti realizzati
prima del 1967 fuori dai centri abitati – Parere (Legali
Associati per Celva,
nota 04.12.2017
- tratto da www.celva.it).
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Problema riscontrato: Il Comune di Ayas ha
approvato, in data 09/08/1940 con Deliberazione del
Commissario Prefettizio, il Regolamento edilizio che
richiedeva la preventiva autorizzazione del Podestà per
eseguire attività edilizie.
La Legge n. 1150/1942 ha disciplinato la materia edilizia a
livello nazionale introducendo l'obbligo di preventivo
titolo abilitativo esclusivamente nei centri abitati e nelle
zone di espansione previste nei PRGC. Considerato che il
Comune di Ayas tra il 1942 e il 1967 non era dotato di PRGC
né adottato né approvato, ai sensi della Legge specificata
necessitava di titolo abilitativo esclusivamente l'attività
edilizia all'interno dei centri abitati.
Si rileva, quindi, che il Regolamento comunale specificato
risultava in contrasto con la Legge urbanistica.
La prima perimetrazione dei centri abitati è stata approvata
dal Consiglio comunale il 20/03/1969 con Deliberazione n.
23. Di conseguenza, per semplificazione, i centri abitati
tra il 1942 e il 1967 vengono fatti coincidere con i centri
storici dei piani regolatori attualmente approvati.
Agli atti del Comune esistono pratiche edilizie anteriori al
1967 e relative ad immobili esterni agli attuali centri
storici che presentano regolari Permessi edilizi rilasciati
dal Comune con relativi progetti approvati e talvolta anche
dichiarazioni di abitabilità, si presume rilasciati in
ottemperanza al Regolamento Edilizio.
Il TAR Toscana, Sez. III, con Sentenza del 29.05.2014, n.
899 esprime il principio che: "Ai fini dell'accertamento
della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di
fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in
vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la
norma primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150
del 1942 che ha introdotto, a livello nazionale, l'obbligo
di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili
ricadenti nei centri abitati; cosicché essa deve
considerarsi prevalente rispetto alla disciplina
regolamentare locale preesistente atteso che, come ha
sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003,
la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell'ambito dei
principi fondamentali della materia edilizia che la
Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V)
riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di
garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto
di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in
coerenza con la riserva di legge prevista dall'art. 42
....".
Riferimenti normativi: Regolamento edilizio approvato
con Deliberazione del Commissario prefettizio in data
09/08/1940
Legge Urbanistica 1150 del 17/08/1942
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: Nessuna
Quesiti: Con la presente si richiede quindi, se in
fase di accertamento della regolarità edilizia il Comune sia
tenuto a considerare i progetti edilizi autorizzati
anteriormente al 06/08/1967, rilasciati ai sensi del
Regolamento edilizio del 1940, e che riguardano immobili
edificati esternamente agli attuali centri storici. |
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto, soltanto con l’entrata in vigore dell’articolo 10
della legge 06.08.1967, n. 765 (c.d. “legge ponte”) è stato
novellato l’articolo 31 della legge urbanistica 17.08.1942,
n. 1150, mediante l’introduzione dell’obbligo generalizzato
di munirsi della licenza edilizia per tutte le
trasformazioni edificatorie dei suoli eseguite nell’intero
territorio comunale. In precedenza, tale obbligo aveva
invece una portata limitata, in quanto il richiamato
articolo 31 stabiliva, al primo comma, che “Chiunque intenda
eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle
esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri
abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche
dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7,
deve chiedere apposita licenza al podestà del comune”.
Dalla suddetta disposizione deriva che, per le costruzioni
realizzate prima dell’entrata in vigore della novella del
1967, la licenza edilizia non fosse richiesta, salvo che
l’opera ricadesse nel centro abitato o nelle zone di
espansione, e salvo inoltre –secondo l’orientamento fatto
proprio recentemente dalla Sezione– il caso in cui l’obbligo
di munirsi del titolo edilizio fosse comunque previsto dai
regolamenti edilizi comunali.
La giurisprudenza ha, inoltre, ripetutamente affermato che
“l’onere della prova sul possesso del titolo edilizio
richiesto e, più in generale, circa l’epoca di realizzazione
delle opere della cui demolizione di tratta e sulla
legittimità degli interventi effettuati grava sul privato e
non sulla P.A.”.
---------------
Ritiene il Collegio che, con riferimento alle opere
realizzate prima del 1967, l’applicazione di quest’ultimo
principio comporti, ai fini del riparto dell’onere della
prova, che spetta all’interessato dimostrare che l’edificio
sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore della
novella che ha generalizzato l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio, e che tuttavia, una volta che la parte abbia dato
questa prova, sia onere del Comune dimostrare che,
nonostante l’epoca di realizzazione, l’edificazione
richiedesse comunque il rilascio del titolo edilizio.
Ciò sia in quanto l’esistenza di una delle condizioni
comportanti comunque la necessità della licenza costituisce
un fatto impeditivo del dispiegarsi della situazione
soggettiva allegata dal privato, sia per ragioni di
prossimità della prova, atteso che, a distanza di molti
anni, può risultare estremamente difficile per l’interessato
acquisire la documentazione necessaria a dimostrare –in
negativo– che la costruzione, all’epoca della sua
realizzazione, non ricadesse in alcuna delle situazioni che
avrebbero richiesto il previo rilascio del titolo edilizio.
---------------
1. Con la proposizione del ricorso introduttivo del presente
giudizio, la signora An.Ca.Da. ha impugnato l’ordinanza del
Comune di Mandello del Lario in data 30.12.2015, con la
quale le è stata ordinata la rimessione in pristino delle
opere realizzate in difformità dal “Nulla Osta esecuzione
opere edilizie” n. 1749 del 26.02.1962, con conseguente
riconduzione dell’unità abitativa posta al quarto piano –
sottotetto del fabbricato in Via ... 16/H alla destinazione
di “ripostiglio”.
2. La ricorrente allega di aver acquistato nel 2011,
mediante la stipulazione di un contratto di compravendita,
la mansarda oggetto del provvedimento repressivo comunale.
L’unità immobiliare, secondo quanto pure evidenziato dalla
parte, sarebbe stata realizzata, con le stesse
caratteristiche con le quali si presenta oggi, nel 1963,
allorché fu costruito il fabbricato nel quale si colloca, e
da allora sarebbe stata sempre destinata ad uso abitativo.
L’esistenza della mansarda sarebbe peraltro nota da tempo
all’Amministrazione, in quanto indicata nella relazione e
certificato di collaudo delle opere in cemento armato del
1963, presente agli atti del Comune.
...
7. Il ricorso è fondato, dovendo trovare accoglimento il
terzo motivo articolato dalla ricorrente, per le ragioni
che di seguito si espongono.
8. Il provvedimento impugnato ha ordinato il ripristino
della destinazione a ripostiglio della mansarda di proprietà
della ricorrente, sulla base del riscontro della difformità
della destinazione d’uso impressa all’immobile rispetto a
quanto previsto dal nulla osta rilasciato nel 1962 per la
costruzione dell’edificio ove è posto l’appartamento. La
medesima ordinanza fa, inoltre, riferimento alla circostanza
che l’unità abitativa non è indicata nel certificato di
abitabilità, che si riferisce alle unità fino al terzo piano
(mentre l’appartamento della ricorrente, come detto, si pone
al quarto piano, costituito dal sottotetto).
9. Al riguardo, deve tenersi presente che come è noto,
soltanto con l’entrata in vigore dell’articolo 10 della
legge 06.08.1967, n. 765 (c.d. “legge ponte”) è stato
novellato l’articolo 31 della legge urbanistica 17.08.1942,
n. 1150, mediante l’introduzione dell’obbligo generalizzato
di munirsi della licenza edilizia per tutte le
trasformazioni edificatorie dei suoli eseguite nell’intero
territorio comunale. In precedenza, tale obbligo aveva
invece una portata limitata, in quanto il richiamato
articolo 31 stabiliva, al primo comma, che “Chiunque
intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare
quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei
centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale,
anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art.
7, deve chiedere apposita licenza al podestà del comune”.
9.1 Dalla suddetta disposizione deriva che, per le
costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della
novella del 1967, la licenza edilizia non fosse richiesta,
salvo che l’opera ricadesse nel centro abitato o nelle zone
di espansione, e salvo inoltre –secondo l’orientamento fatto
proprio recentemente dalla Sezione– il caso in cui l’obbligo
di munirsi del titolo edilizio fosse comunque previsto dai
regolamenti edilizi comunali (per quest’ultimo profilo v.
Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3899; Id., Sez. IV,
21.10.2008, n. 5141; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
09.01.2017, n. 37).
9.2 La giurisprudenza ha, inoltre, ripetutamente affermato
che “l’onere della prova sul possesso del titolo edilizio
richiesto e, più in generale, circa l’epoca di realizzazione
delle opere della cui demolizione di tratta e sulla
legittimità degli interventi effettuati grava sul privato e
non sulla P.A.” (in questo senso, ex multis:
Cons. Stato, Sez. VI, 05.01.2015, n. 13).
Ritiene il Collegio che, con riferimento alle opere
realizzate prima del 1967, l’applicazione di quest’ultimo
principio comporti, ai fini del riparto dell’onere della
prova, che spetta all’interessato dimostrare che l’edificio
sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore della
novella che ha generalizzato l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio, e che tuttavia, una volta che la parte abbia dato
questa prova, sia onere del Comune dimostrare che,
nonostante l’epoca di realizzazione, l’edificazione
richiedesse comunque il rilascio del titolo edilizio. Ciò
sia in quanto l’esistenza di una delle condizioni
comportanti comunque la necessità della licenza costituisce
un fatto impeditivo del dispiegarsi della situazione
soggettiva allegata dal privato, sia per ragioni di
prossimità della prova, atteso che, a distanza di molti
anni, può risultare estremamente difficile per l’interessato
acquisire la documentazione necessaria a dimostrare –in
negativo– che la costruzione, all’epoca della sua
realizzazione, non ricadesse in alcuna delle situazioni che
avrebbero richiesto il previo rilascio del titolo edilizio.
10. Facendo applicazione di questi principi nel caso oggetto
del presente giudizio, deve riscontrarsi che il fabbricato
in cui è posta l’unità abitativa della ricorrente risulta
essere stato realizzato nel 1963, come emerge dalla
circostanza che in quell’anno furono emessi non solo il
collaudo dei cementi armati (doc. 8 della ricorrente), ma
anche il permesso di abitabilità (doc. 9 della ricorrente).
La signora Da. ha inoltre affermato che l’unità abitativa di
sua proprietà, posta nel sottotetto, è stata realizzata con
le attuali caratteristiche sin dal momento della costruzione
dell’edificio, e a comprova di questa circostanza ha
richiamato la relazione e certificato di collaudo delle
opere in cemento armato del 1963, ove si legge che “Il
sottotetto è accessibile mediante scala: nello stesso
sottotetto sono stati ricavati due piccoli appartamenti in
falda di tetto” (v. ancora il doc. 8 della ricorrente).
Sulla scorta di questi elementi di fatto, deve ritenersi
effettivamente dimostrato che la destinazione del sottotetto
a residenza sia avvenuta in epoca precedente al 1967.
Circostanza, questa, peraltro non contestata
dall’Amministrazione, né nel provvedimento impugnato, né in
giudizio.
11. A fronte di questo dato, il Comune aveva perciò l’onere,
secondo quanto sopra si è detto, di accertare –dandone conto
nella motivazione dell’ordinanza di demolizione– che,
nonostante l’epoca di realizzazione, le opere fossero
soggette al rilascio del titolo edilizio.
11.1 Ciò, tuttavia, non emerge dalla lettura del
provvedimento impugnato, il quale si limita a riscontrare la
difformità del locale sottotetto rispetto al nulla osta
rilasciato per l’edificazione dell’intero fabbricato nel
1962. La circostanza che sia stato emesso un “nulla osta”
per l’esecuzione dell’intervento edificatorio non dimostra
però, di per sé, che il previo rilascio del titolo fosse
condizione necessaria per l’edificazione. E, d’altro canto,
ove il titolo non fosse stato indispensabile, dovrebbe pure
ritenersi irrilevante la circostanza che, nella
realizzazione dell’intervento, l’allora proprietario si sia
discostato dal nulla osta rilasciatogli.
11.2 Deve poi rilevarsi che, soltanto in giudizio, il Comune
ha sostenuto, nelle proprie difese, che il fabbricato nel
quale è situato il sottotetto si troverebbe “nel nucleo
abitato consolidato del Comune” (v. memoria comunale in
data 11.04.2016, p. 7). Secondo la prospettazione
dell’Amministrazione, ciò si desumerebbe:
- dalla perimetrazione del centro edificato operata ai sensi
della legge n. 865 del 1971, risultante dal Piano Regolatore
Generale, la quale evidenzierebbe come l’abitato sia
largamente sviluppato intorno all’edificio (doc. 5 del
Comune);
- dalla fotografia tratta da Google Maps datata settembre
2010, che permetterebbe di riscontrare l’edificazione in
epoca risalente dei fabbricati circostanti (doc. 14 del
Comune).
I suddetti elementi, come anticipato, non risultano tuttavia
essere stati fatti oggetto dell’istruttoria procedimentale
e, comunque, non sono idonei a dimostrare la precisa
circostanza che, nel 1963, l’area su cui sorge il fabbricato
facesse parte del centro abitato.
11.3 Sotto altro profilo, non è dirimente, al fine di
sorreggere la legittimità dell’ordinanza di demolizione, la
circostanza che l’area entro la quale ricade l’immobile sia
soggetta a vincolo paesaggistico.
Secondo l’Amministrazione, da questo dato dovrebbe
discendere la necessarietà del provvedimento adottato,
essendo stata disattesa l’autorizzazione rilasciata dalla
Soprintendenza in relazione al progetto del 1962.
Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che dalle motivazioni
dell’ordinanza emerge che il profilo di difformità
riscontrato rispetto all’autorizzazione paesaggistica
attiene solo al numero e alle dimensioni delle finestre,
ossia a profili che di per sé avrebbero potuto giustificare
unicamente un provvedimento diretto a disporre la
regolarizzazione delle aperture, ma non anche il ripristino
della destinazione del sottotetto a ripostiglio. E ciò in
quanto il mero utilizzo del locale sottotetto per finalità
abitative, e la realizzazione di opere interne atte a
realizzare la predetta destinazione, non incidono, di per se
stessi, sull’aspetto esteriore dell’edificio, e sono quindi
irrilevanti, come tali, dal punto di vista paesaggistico.
12. In definitiva, il provvedimento impugnato risulta
affetto dai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di
motivazione, sotto i profili illustrati.
Il ricorso va quindi accolto, con assorbimento delle
rimanenti censure, e va disposto, per l’effetto,
l’annullamento del provvedimento impugnato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.06.2017 n. 1354 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: risposta alla richiesta di parere circa la prova
dell’esistenza di un edificio costruito ante 1967
(Regione Emilia Romagna,
nota
30.05.2017 n. 402646 di prot.).
---------------
1. Viene richiesto parere in oggetto, in quanto alla
richiesta di un certificato di conformità edilizia, da parte
di un privato, per un intervento su un immobile, da
sottoporre a SCIA, di cui risulta esservi il solo
accatastamento nel 2007 e che risulta essere costruito in un
lasso di tempo tra il 1940 e il 1949, un Comune, ha
richiesto l’attestazione dell’esistenza dell’edificio di cui
sopra, prima del 1950.
Da quanto sopra descritto ed in buona sostanza si chiede se
un edificio, originariamente posto in zona agricola e
realizzato prima del 01.09.1967 e quindi prima dell’entrata
in vigore della Legge 06.08.1967, n.765 (c.d. Legge Ponte),
sia illegittimo, se privo di titolo edilizio. Si premette
che il parere richiesto viene fornito rispetto a questioni
generali che vengono considerate in astratto, escludendo
quindi valutazioni sul caso specifico, il cui apprezzamento
spetterà al Comune. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
E’ assolutamente pacifico in giurisprudenza che
l’onere di provare la preesistenza rispetto ad una data di
riferimento (con “ragionevole certezza”) incombe
esclusivamente all’interessato, unico ad averne la
disponibilità: è dunque il proprietario (o il responsabile
dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione che ha
l’onere di dimostrare il carattere risalente del manufatto
della cui demolizione si tratta con riferimento a epoca
anteriore alla c.d. Legge "ponte" n. 765 del 1967, con la
quale l'obbligo di previa licenza edilizia venne esteso alle
costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro
urbano.
E’ stato tuttavia introdotto un temperamento secondo
ragionevolezza nel caso in cui, il privato da un lato porti
a sostegno della propria tesi sulla realizzazione
dell’intervento prima del 1967 elementi non implausibili e,
dall’altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine
alla presumibile data della realizzazione del manufatto
privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali sulla
base del combinato disposto di cui agli articoli 32 e 10 del
D.P.R. 327 del 2001.
Il Collegio ritiene di valorizzare la dichiarazione
dell’attuale proprietario dei manufatti, il quale dal
07/06/2005 ha la disponibilità dei manufatti e ha fornito
puntuali chiarimenti innanzi agli agenti di polizia
giudiziaria. Contrariamente a quanto sostiene parte
ricorrente nella memoria di replica sull’utilizzabilità
delle suddette dichiarazioni nel processo, questo TAR
(pronunciandosi in materia di legalizzazione del rapporto di
lavoro irregolare dei cittadini stranieri) ha ripetutamente
affermato che le dichiarazioni rese in sede di
interrogatorio alla polizia giudiziaria fanno fede in ordine
agli elementi di fatto rilevanti nel procedimento.
In materia, i giudici d’appello hanno sottolineato che “le
dichiarazioni rilasciate dal datore di lavoro agli ufficiali
di polizia giudiziaria, ancorché non rese nella forma
dell’interrogatorio, sono assistite da una fede privilegiata
ed hanno una valenza probatoria particolarmente forte, in
quanto esse, per l’immediatezza della forma orale e per
l’autorevolezza del destinatario qualificato, assicurano una
genuinità ben maggiore di eventuali successive dichiarazioni
di parte, scritte a freddo e in funzione eventualmente
difensiva, anche in sede procedimentale o in prospettiva di
un eventuale contenzioso”.
--------------
2. Il secondo motivo è parzialmente fondato. Esso in
particolare investe i 2 box in lamiera, il manufatto adibito
a bagno, la struttura con copertura in lamiera, il deposito
in muratura e il barbecue in muratura, i quali sarebbero
stati realizzati da tempo immemorabile e comunque in data
anteriore all’01/09/1967, potendo così essere ricondotti alla
cosiddetta attività edilizia libera.
2.1 E’ assolutamente pacifico in giurisprudenza (TAR
Veneto, sez. II – 02/02/2017 n. 121 e l’ampia giurisprudenza
citata, tra cui Consiglio di Stato, sez. V – 20/08/2013 n.
4182) che l’onere di provare la preesistenza rispetto ad una
data di riferimento (con “ragionevole certezza”) incombe
esclusivamente all’interessato, unico ad averne la
disponibilità: è dunque il proprietario (o il responsabile
dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione che ha
l’onere di dimostrare il carattere risalente del manufatto
della cui demolizione si tratta con riferimento a epoca
anteriore alla c.d. Legge "ponte" n. 765 del 1967, con la
quale l'obbligo di previa licenza edilizia venne esteso alle
costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro
urbano.
2.2 E’ stato tuttavia introdotto un temperamento secondo
ragionevolezza nel caso in cui, il privato da un lato porti
a sostegno della propria tesi sulla realizzazione
dell’intervento prima del 1967 elementi non implausibili e,
dall’altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine
alla presumibile data della realizzazione del manufatto
privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali sulla
base del combinato disposto di cui agli articoli 32 e 10 del
D.P.R. 327 del 2001 (Consiglio di Stato, sez. VI – 18/07/2016
n. 3177).
2.3 Il Collegio ritiene di valorizzare la dichiarazione
dell’attuale proprietario dei manufatti -OMISSIS- -OMISSIS-,
il quale dal 07/06/2005 ha la disponibilità dei manufatti e ha
fornito puntuali chiarimenti innanzi agli agenti di polizia
giudiziaria. Contrariamente a quanto sostiene parte
ricorrente nella memoria di replica sull’utilizzabilità
delle suddette dichiarazioni nel processo, questo TAR
(pronunciandosi in materia di legalizzazione del rapporto di
lavoro irregolare dei cittadini stranieri) ha ripetutamente
affermato –richiamandosi all’avviso manifestato dal
Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia (cfr. 08/10/2013 n. 753)– che le dichiarazioni rese in sede di
interrogatorio alla polizia giudiziaria fanno fede in ordine
agli elementi di fatto rilevanti nel procedimento (in quel
caso, regolarizzazione ex lege 102/2009: sentenze brevi sez.
II – 11/02/2014 n. 142; 14/04/2014 n. 384; 29/05/2014 n. 579;
29/07/2014 n. 858; 29/10/2016 n. 1417).
In materia, i giudici
d’appello hanno sottolineato che “le dichiarazioni
rilasciate dal datore di lavoro agli ufficiali di polizia
giudiziaria, ancorché non rese nella forma
dell’interrogatorio, sono assistite da una fede privilegiata
ed hanno una valenza probatoria particolarmente forte, in
quanto esse, per l’immediatezza della forma orale e per
l’autorevolezza del destinatario qualificato, assicurano una
genuinità ben maggiore di eventuali successive dichiarazioni
di parte, scritte a freddo e in funzione eventualmente
difensiva, anche in sede procedimentale o in prospettiva di
un eventuale contenzioso” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III
– 21/08/2015 n. 3976).
Nella fattispecie, la credibilità
delle dichiarazioni è rafforzata dalla provenienza dal
proprietario attuale e dalla loro acquisizione
nell’imminenza della scoperta dei fatti: il Sig. -OMISSIS-
ha dal giugno 2005 la disponibilità dei beni ed è in grado
di ricostruirne le dinamiche. Peraltro, l’opposta versione
proveniente dalla difesa di parte ricorrente è suffragata da
una generica dichiarazione a sommarie informazioni del
precedente titolare Gi.Fr., il quale fa
riferimento a “manufatti esistenti da tempo” senza ulteriori
specificazioni, con la sola eccezione del “casotto” che
avrebbe ospitato un incontro di Benito Mussolini. Le 3
dichiarazioni di atto notorio affermano che i manufatti
elencati risalgono a data anteriore al 1967, e tuttavia
(rispetto alle precedenti) non sono assistite da fede
privilegiata.
2.4 Peraltro, il Collegio ritiene che l’esaustiva
ricostruzione del Sig. -OMISSIS- permetta di addivenire a
conclusioni differenziate. In particolare, l’interessato
ammette lo spostamento del box in lamiera già esistente nel
2007, la ristrutturazione del bagno in muratura nello stesso
anno, la modifica della copertura in lamiera nel 2006 (da
plastica in lamiera coibentata) e ristrutturazione del box
(in muratura) adibito a cantina nel 2007. La provenienza
delle affermazioni dal proprietario e la forma delle stesse
(sono state rese innanzi agli agenti di p.g.) le rende
sufficientemente attendibili, come già argomentato al
precedente paragrafo 2.3.
Dunque, per tali 4 manufatti la
natura risalente è smentita dalla testuali asserzioni
dell’acquirente, il quale ha eseguito interventi
significativi (di traslazione, ristrutturazione, rifacimento
dei connotati essenziali) che precludono la loro
sottoposizione al regime anteriore al 1967: si tratta, ad
avviso del Collegio, di modifiche sensibili che connotano di
novità le opere, per cui l’interessato non può
avvantaggiarsi della normativa vigente molti anni orsono.
2.5 Un ragionamento differente deve essere condotto per il
box in lamiera contenente un tavolo, 4 sedie, una credenza
un frigorifero e un lavandino, la struttura in ferro (4
tubolari adibiti a supporto per piante rampicanti) e il
barbecue in mattoni, che l’attuale proprietario riferisce
essere stati già presenti al momento dell’acquisto. A fronte
di tali affermazioni, e delle concordanti dichiarazioni
sostitutive di atto notorio depositate dalla parte
ricorrente, si può ritenere che tali univoci elementi
rendano plausibile (o comunque suscettibile di ulteriori
approfondimenti) l’esecuzione delle opere prima del 1967.
Rispetto a tali manufatti, dunque, la pretesa di parte
ricorrente merita accoglimento
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 26.04.2017 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
regola, che la giurisprudenza e la pratica hanno derivato
dal succedersi della disciplina urbanistica nel tempo (l.
1150/1942 e legge-ponte n. 765/1967), è che soltanto a
decorrere dal primo settembre 1967, in seguito all’entrata
in vigore della cosiddetta legge-ponte n. 765 del 1967,
sussiste l’obbligo generalizzato di preventivo titolo
edilizio autorizzatorio per la realizzazione di opere in
qualsiasi parte del territorio comunale; prima di quella
data, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150/1942,
sussisteva l’obbligo di previa licenza solo per edificare
nei centri abitati o nelle zone di espansione previste dal
piano regolatore generale.
Pertanto, se si sono realizzati senza titolo interventi
edilizi in area posta al di fuori del centro abitato, in un
momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la
necessità del titolo abilitativo fuori del centro abitato,
non è configurabile alcun abuso edilizio e quindi tali opere
devono ritenersi legittime e non può essere irrogata la
sanzione della demolizione.
---------------
Il Collegio osserva che, nella detta materia, a fronte di
opinione minoritaria, che ritiene una valenza abrogatrice
svolta dalla legge 1150 del 1942 sui precedenti regolamenti
edilizi, la giurisprudenza maggioritaria, negando tale
portata abrogante o disapplicativa della normativa edilizia,
ha evidenziato l’assoggettamento alla sanzione della
demolizione per le costruzioni realizzate in assenza del
titolo edilizio, anche se eseguite al di fuori del centro
abitato o delle zone di espansione, ove l’obbligo sia
previsto dai regolamenti edilizi comunali. Di tale regola
hanno fatto applicazione il Comune e il primo giudice.
Ad opinione del Collegio, tuttavia, tale articolato regime
normativo, che impone l’obbligo di munirsi del titolo
abilitativo (da intendersi come licenza edilizia o simile),
dovendosi intendere tale dovere in senso ristretto -e cioè
laddove espressamente tipizzato e obiettivamente
riconoscibile dalla disciplina ratione temporis vigente-,
non può rinvenirsi in norma regolamentare quale quella presa
in esame dal giudice di primo grado: ed infatti, in disparte
la questione della titolarità dell’asserito potere
permissivo (perché esercitato dalla Giunta Provinciale,
valevole per i Comuni della Provincia di Savona, ma non
certo di livello comunale), nei suoi contenuti, prevedeva
soltanto un “obbligo di denuncia” al Podestà, sicché pare
del tutto irragionevole desumerne la violazione dell’obbligo
(operante solo in quanto, appunto, normativamente tipizzato
anteriormente alla legge urbanistica del 1942) di munirsi di
titolo abilitativo edilizio e sostenere la conseguente
afflittiva abusività dei manufatti allora realizzati.
---------------
L’appello è fondato nei sensi che seguono.
L’appellante ha sostenuto e dimostrato, con la produzione in
giudizio nel fascicolo di primo grado, che il “Regolamento
Edilizio Tipo” approvato dalla Giunta provinciale
nell’anno 1929, ritenuto dal primo giudice non abrogato
dalla entrata in vigore della legge n. 1150 del 1942 ai
sensi dell’art. 31 della suddetta legge, in realtà non
prevedeva un obbligo di autorizzazione o licenza, ma
soltanto un obbligo di denuncia al Podestà (art. 1 del
regolamento) per ogni intervento edilizio da realizzare nei
Comuni della Provincia di Savona.
La regola, che la giurisprudenza e la pratica hanno derivato
dal succedersi della disciplina urbanistica nel tempo (la
legge n. 1150 del 1942 e la legge-ponte n. 765 del 1967), è
che soltanto a decorrere dal primo settembre 1967, in
seguito alla entrata in vigore della cosiddetta legge-ponte
n. 765 del 1967, sussiste l’obbligo generalizzato di
preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la
realizzazione di opere in qualsiasi parte del territorio
comunale; prima di quella data, ai sensi dell’art. 31 della
legge n. 1150 del 17.08.1942, sussisteva l’obbligo di previa
licenza solo per edificare nei centri abitati o nelle zone
di espansione previste dal piano regolatore generale.
Pertanto, se si sono realizzati senza titolo interventi
edilizi in area posta al di fuori del centro abitato, in un
momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la
necessità del titolo abilitativo fuori del centro abitato,
non è configurabile alcun abuso edilizio e quindi tali opere
devono ritenersi legittime e non può essere irrogata la
sanzione della demolizione.
Il primo giudice ha ritenuto sussistere, ratione temporis,
l’obbligo di munirsi di licenza edilizia sulla base della
previdenza del regolamento edilizio comunale, risalente al
1929.
L’appello, al contrario, rimarca che, in primo luogo, non si
tratterebbe di regolamento edilizio comunale, ma di tipo
provinciale e, soprattutto, che in esso non sarebbe previsto
l’obbligo di dotarsi della licenza edilizia o di
autorizzazione.
Il Collegio osserva che, nella detta materia, a fronte di
opinione minoritaria, che ritiene una valenza abrogatrice
svolta dalla legge 1150 del 1942 sui precedenti regolamenti
edilizi, la giurisprudenza maggioritaria, negando tale
portata abrogante o disapplicativa della normativa edilizia,
ha evidenziato l’assoggettamento alla sanzione della
demolizione per le costruzioni realizzate in assenza del
titolo edilizio, anche se eseguite al di fuori del centro
abitato o delle zone di espansione, ove l’obbligo sia
previsto dai regolamenti edilizi comunali (tra varie, Cons.
Stato, 5141 del 21.10.2008; n. 287 del 14 marzo 1980). Di
tale regola hanno fatto applicazione il Comune e il primo
giudice.
Ad opinione del Collegio, tuttavia, tale articolato regime
normativo, che impone l’obbligo di munirsi del titolo
abilitativo (da intendersi come licenza edilizia o simile),
dovendosi intendere tale dovere in senso ristretto -e cioè
laddove espressamente tipizzato e obiettivamente
riconoscibile dalla disciplina ratione temporis
vigente-, non può rinvenirsi in norma regolamentare quale
quella presa in esame dal giudice di primo grado: ed
infatti, in disparte la questione della titolarità
dell’asserito potere permissivo (perché esercitato dalla
Giunta Provinciale, valevole per i Comuni della Provincia di
Savona, ma non certo di livello comunale), nei suoi
contenuti, prevedeva soltanto un “obbligo di denuncia”
al Podestà, sicché pare del tutto irragionevole desumerne la
violazione dell’obbligo (operante solo in quanto, appunto,
normativamente tipizzato anteriormente alla legge
urbanistica del 1942) di munirsi di titolo abilitativo
edilizio e sostenere la conseguente afflittiva abusività dei
manufatti allora realizzati.
E’ vero che, in caso di manufatto realizzato al di fuori del
centro abitato, colui che contesta l’ordine di demolizione
deve fornire almeno un principio di prova in ordine al tempo
di realizzazione e ultimazione dello stesso, se si asserisce
la precedenza rispetto alla entrata in vigore della
legge-ponte n. 765 del 1967, e cioè per quando per tali tipi
di costruzione non era prescritta alcuna licenza edilizia
(in tal senso, tra varie, Cons. Stato, V, 13.02.1998, n.
157); nella specie, la collocazione temporale della
realizzazione dei manufatti all’inizio degli anni sessanta
non è in sé contestata dal Comune, che ha appuntato la sua
attenzione sulla previgenza del su richiamato regolamento.
L’accoglimento del motivo di appello relativo alla assenza
di regolamenti edilizi propriamente recanti l’obbligo
preesistente di munirsi di licenza, o altro titolo
abilitativo edilizio, per manufatti realizzati negli anni
sessanta (prima della legge-ponte n. 765 del 1967) al di
fuori del centro abitato, per la regola dell’assorbimento
sulla base del principio dell’economia di giudizio (in tal
senso, Ad. Plenaria, n. 5 del 27.04.2015), rende superfluo
l’esame degli altri motivi di appello.
Soltanto per completezza, il Collegio osserva che le
richiamate diverse oscillanti opinioni sull’assenza di
affidamento per decorso del tempo in caso di realizzazione
di abusi edilizi (ritenuta continuamente da questo Consesso,
tra varie, Cons. Stato, V, 15.07.2013, n. 3847) e sulla
eventuale attenuazione di tale principio, affermatasi in
taluni casi soprattutto dal giudice di primo grado, non
possono che valutarsi compiutamente soltanto in relazione
alle varie circostanze dei casi concreti, e non già in
astratto e secondo una incondizionata ed inderogabile regola
generale.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, l’appello va
accolto e, conseguentemente, in riforma dell’appellata
sentenza, va accolto il ricorso originario, con conseguente
annullamento degli atti impugnati
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.08.2015 n. 3899 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'obbligo di richiedere il titolo abilitativo per
realizzare nuove edificazioni è stato introdotto per la
prima volta nel nostro ordinamento dal regio decreto-legge
25.03.1935, n. 640. L’obbligo, poi ribadito dall’art. 31
della legge 17.08.1042, n. 1150, non riguardava tuttavia
tutto il territorio comunale ma solo il centro abitato.
Il Comune, con regolamento vigente dal 25.09.1936, approvato
ai sensi della legge n. 2248 del 1865 All. A e del relativo
regolamento di attuazione approvato con regio decreto n.
2321 del 1865, nella versione modificata nell’anno 1939,
aveva a sua volta ribadito siffatto obbligo, stabilendo che
chi intendeva effettuare interventi edilizi avrebbe dovuto
farne preventivamente denuncia al podestà. Anche per il
regolamento comunale, l’obbligo riguardava però solo le
costruzioni realizzate nel centro abitato, mentre rimaneva
libera l’attività edilizia esterna al suo perimetro.
Solo con la legge 06.08.1967, n. 765, l’obbligo è stato
esteso a tutto territorio comunale.
Ciò premesso, si deve ora osservare che, secondo la
giurisprudenza, il soggetto che contesta il carattere
abusivo di un’opera deducendone la realizzazione in epoca
antecedente all’entrata in vigore delle disposizioni che
hanno introdotto l’obbligo di munirsi di titolo abilitativo,
non può limitarsi ad allegare tale circostanza ma deve
fornire, perlomeno, un principio di prova in ordine al tempo
di ultimazione dell’opera stessa.
28. Nel caso concreto, il ricorrente sostiene proprio che i
manufatti oggetto dei provvedimenti impugnati sarebbero
stati eretti prima dell’anno 1942 in area agricola/rurale
all’epoca non soggetta ad alcun vincolo e non soggetta al
rilascio di titoli abilitativi. Pertanto, a suo giudizio, le
opere sarebbero state legittimamente realizzate.
29. In proposito si osserva quanto segue.
30. L'obbligo di richiedere il titolo abilitativo per
realizzare nuove edificazioni è stato introdotto per la
prima volta nel nostro ordinamento dal regio decreto-legge
25.03.1935, n. 640. L’obbligo, poi ribadito dall’art. 31
della legge 17.08.1042, n. 1150, non riguardava tuttavia
tutto il territorio comunale ma solo il centro abitato.
31. Il Comune di Abbiategrasso, con regolamento vigente dal
25.09.1936, approvato ai sensi della legge n. 2248
del 1865 All. A e del relativo regolamento di attuazione
approvato con regio decreto n. 2321 del 1865, nella versione
modificata nell’anno 1939, aveva a sua volta ribadito
siffatto obbligo, stabilendo che chi intendeva effettuare
interventi edilizi avrebbe dovuto farne preventivamente
denuncia al podestà. Anche per il regolamento comunale,
l’obbligo riguardava però solo le costruzioni realizzate nel
centro abitato, mentre rimaneva libera l’attività edilizia
esterna al suo perimetro.
32. Solo con la legge 06.08.1967, n. 765, l’obbligo è
stato esteso a tutto territorio comunale.
33. Ciò premesso, si deve ora osservare che, secondo la
giurisprudenza, il soggetto che contesta il carattere
abusivo di un’opera deducendone la realizzazione in epoca
antecedente all’entrata in vigore delle disposizioni che
hanno introdotto l’obbligo di munirsi di titolo abilitativo,
non può limitarsi ad allegare tale circostanza ma deve
fornire, perlomeno, un principio di prova in ordine al tempo
di ultimazione dell’opera stessa (cfr. TAR Campania
Napoli, sez. VI, 03.12.2014, n. 6321; TAR Piemonte,
sez. I, 18.10.2012, n. 1112).
34. Come anticipato, il ricorrente sostiene che i due
manufatti di cui è causa sarebbero stati realizzati prima
del 1942 in area esterna al centro abitato.
35. Tale allegazione però non è stata suffragata da alcun
elemento di prova.
36. Per quanto concerne il profilo spaziale, va osservato
che il Comune di Abbiategrasso ha depositato in giudizio la
planimetria allegata al regolamento edilizio del 1936, dalla
quale si desume che l’area di proprietà del sig. Dell’A.
ricadeva già all’epoca all’interno dell’aggregato urbano
(cfr. doc. 21 del Comune di Abbiategrasso). Questa
circostanza non può pertanto essere messa in discussione;
con la conseguenza che, per sostenere la regolarità degli
immobili di cui è causa, si dovrebbe provare che essi sono
stati costruiti prima dell’anno 1939.
37. A questo proposito, il ricorrente tenta di dimostrare
l’anteriorità della realizzazione richiamando la relazione
del tecnico allegata alla domanda di accertamento di
conformità (doc. 61 di parte ricorrente, depositato in data
22.05.2014) ed una polizia assicurativa stipulata da un
precedente proprietario, risalente all’anno 1954 (doc. 3 di
parte ricorrente, depositato in data 03.04.2015).
38. Con riferimento alla relazione del tecnico, si deve
osservare che questi, per stabilire la data di
realizzazione, si limita a richiamare imprecisate “notizie”,
nonché le dichiarazioni rese dalla proprietà (cfr. pag. 3
della relazione). Si tratta, all’evidenza, di elementi che
non possono costituire prova delle allegazioni di parte.
39. Per quando riguarda la polizza assicurativa, va
osservato che in essa si fa riferimento ad un portichetto
piccolo addossato al muro di cinta e aperto sugli altri
lati, posto a circa tre metri dal fabbricato, e ad un
piccolo portichetto addossato al muro di cinta posto a
cinque metri dal fabbricato. Risulta dall’atto prodotto che
entrambi i manufatti erano adibiti a ripostiglio di legna da
ardere, e che quello più lontano dal corpo di fabbrica
principale era adibito anche a ricovero di ruotabili e
gabinetto.
40. Si tratta, con tutta evidenza, di manufatti
completamente diversi da quelli oggetto dei provvedimenti
impugnati (anche se probabilmente posti in posizione
analoga), i quali, si ricorda, consistono in un box di ben
42 mq., chiuso su tutti i lati e munito di porte basculanti,
ed in una tettoria avente superficie di 14,75 mq.
41. In ogni caso la polizza assicurativa risale all’anno
1954; essa pertanto non dimostra che gli immobili siano
stati realizzati prima del 1939.
42. Il ricorrente fa, infine, riferimento ad alcune
fotografie aree scattate nell’anno 1982, che dimostrerebbero
la preesistenza rispetto, a quell’anno, dei due manufatti.
43. Anche tale elemento, per le medesime ragioni sopra
illustrate, è però del tutto ininfluente.
44. Si deve pertanto ritenere che, come anticipato, il
ricorrente non abbia fornito alcun elemento atto a
dimostrare che la costruzione delle opere di cui è causa sia
avvenuta in epoca antecedente all’introduzione dell’obbligo
di munirsi di titolo abilitativo. Ne consegue che dette
opere vanno considerate senz’altro abusive e che, quindi,
correttamente l’Amministrazione ha accertato la loro
compatibilità con il vincolo esistente al momento di
valutazione della domanda di sanatoria.
45. Va, pertanto, ribadita l’infondatezza del motivo in
esame.
...
74. Altrettanto può dirsi con riferimento alla censura che
lamenta il fatto che, con la nuova ordinanza -diversamente
dalla precedente che ingiungeva solo la demolizione- è stato
per la prima volta disposto anche il ripristino dello stato
dei luoghi. Va invero osservato, al di là di ogni altra
considerazione, che le due misure sono del tutto
equivalenti.
75. Con il motivo rubricato sub. B4 il ricorrente ripropone
le censure dedotte avverso l’ordinanza di demolizione n. 23
del 22.04.2013 che, a suo dire, varrebbero anche per la
nuova ordinanza. La parte rileva innanzitutto che il Comune
non avrebbe dimostrato che gli immobili di cui è causa
fossero ricompresi, dalla planimetria allegata al
regolamento edilizio del 1936, nel perimetro del centro
abitato.
76. La censura non può essere condivisa, in quanto, come
detto, l’Amministrazione ha depositato in
giudizio una copia dalla suddetta planimetria
(cfr. doc. 21 del Comune di Abbiategrasso)
da cui si evince chiaramente che gli immobili ricadevano
all’interno dell’aggregato urbano.
77. Parte ricorrente sostiene che tale atto
sarebbe inattendibile in quanto privo di data e di firma e,
comunque, illeggibile.
78. In proposito si deve osservare che la
mancanza di data e di firma sulla planimetria non denotano
l’inattendibilità della stessa, a meno che non si voglia
sostenere che il Comune abbia deliberatamente prodotto in
giudizio un documento falso, diverso da quello allegato al
regolamento edilizio del 1936
(ma neppure parte ricorrente allega tale circostanza,
limitandosi la stessa ad affermazioni generiche).
79. Si deve poi aggiungere che la
planimetria prodotta traccia con chiarezza il perimetro del
centro abitato e che il Comune ha individuato sulla stessa
gli immobili di proprietà del ricorrente. L’individuazione
non è stata smentita da quest’ultimo, il quale anche per
questo profilo si è limitato ad affermazioni generiche. Non
può essere pertanto condivisa la tesi che sostiene
illeggibilità dell’atto prodotto.
80. Si deve quindi ribadire che, dalla
documentazione depositata in giudizio, emerge che l’area su
cui sorgono i fabbricati oggetto degli atti impugnati
ricadeva, all’epoca di vigenza del regolamento edilizio del
1936, all’interno del centro abitato.
81. La censura in esame è dunque infondata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.08.2015 n. 1891 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’argomento introdotto dalla ricorrente nella
memoria conclusiva per cui il regolamento edilizio del 1924
del Comune sarebbe da ritenersi abrogato, ovvero invalido e
non più applicabile una volta entrata in vigore la L. n.
1150/1942 (che, all’art. 31, limitava la necessità della
licenza edilizia all’attività edificatoria svolta
all’interno dei centri abitati e nelle zone di espansione
previste dai piani), è da ritenersi infondato.
La previsione di una pianificazione e di un controllo
obbligatori limitata ai centri abitati, certamente non
impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza.
Si veda inoltre l’art. 31, comma 5, della l. n. 47/1985 a
conferma della possibilità, anche prima della l. n.
765/1967, di richiedere, da parte dei comuni dotati di
regolamenti edilizi “ad hoc”, la licenza edilizia non solo
per le costruzioni da realizzare entro il perimetro dei
centri abitati.
Con il presente gravame la ricorrente impugna il
provvedimento indicato in epigrafe, di diniego del rilascio
del permesso di costruire in sanatoria, relativo alla
ristrutturazione e all’ampliamento di una concimaia mediante
innalzamento delle pareti laterali e realizzazione della
copertura.
A fondamento del diniego il Comune di Verona ha opposto,
principalmente, che l’intervento non può essere qualificato
come “manutenzione straordinaria” bensì, deve essere
considerato come “nuova costruzione”, avendo ad
oggetto un manufatto privo di titolo edilizio.
Infatti, sostiene il Comune, l’indicazione di manufatto
esistente nella cartografia EIRA del 1961 non sarebbe
sufficiente a legittimare la costruzione, in quanto, nel
Comune di Verona il nulla osta per la realizzazione di nuove
costruzioni era richiesto già dal Regolamento Edilizio del
02.10.1924; inoltre, il manufatto ricade in zona sottoposta
a vincolo paesaggistico, con conseguente impossibilità di
sanare nuovi volumi.
A sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto che il
manufatto esisteva sin dal 1961 e pertanto, per la sua
realizzazione non era richiesto alcun titolo edilizio;
mentre, il Regolamento Edilizio del Comune di Verona non
poteva essere applicato alla fattispecie, in quanto il
mappale interessato dalla costruzione alla data del
02.10.1924 non faceva parte del Comune di Verona, bensì del
Comune di Avesa, aggregato al Comune di Verona nel 1927.
Quindi, la ricorrente ha dedotto che l’intervento non poteva
essere qualificato come di nuova costruzione bensì di
manutenzione straordinaria di un manufatto preesistente.
Si è costituito il Comune di Verona per resistere al
gravame.
In vista dell’udienza di discussione le parti hanno
depositato memorie conclusive e di replica.
All’udienza del 21.05.2015 il ricorso è stato trattenuto in
decisione.
Il ricorso è infondato.
E’ pacifico che la concimaia in questione sia stata
realizzata nella prima metà degli anni “60, dunque in epoca
anteriore al 1967, al di fuori del centro abitato, sotto il
vigore della legge n. 1150/1942 che, nella sua formulazione
originaria, prescriveva l'obbligo della licenza edilizia
solo nell'ambito dei centri abitati e ove esistesse il piano
regolatore comunale.
Tuttavia, come rilevato dall’amministrazione nella
motivazione del provvedimento impugnato, in quell’epoca era
in vigore il Regolamento Edilizio del Comune di Verona del
1924 che, già da allora, prescriveva la preventiva
autorizzazione del Sindaco per la realizzazione di qualsiasi
opera edilizia nel territorio comunale (e dunque non solo
all’interno del centro abitato).
Risulta poi totalmente irrilevante che il Comune di Avesa
sia stato aggregato al Comune di Verona nel 1927, non
essendo né dedotto né dimostrato che il manufatto sia stato
realizzato tra il 1924 e il 1927.
Infine l’argomento introdotto dalla ricorrente nella memoria
conclusiva per cui il regolamento edilizio del Comune di
Verona sarebbe da ritenersi abrogato, ovvero invalido e non
più applicabile una volta entrata in vigore la L. n.
1150/1942 (che, all’art. 31, limitava la necessità della
licenza edilizia all’attività edificatoria svolta
all’interno dei centri abitati e nelle zone di espansione
previste dai piani), è da ritenersi inammissibile in quanto
non proposto nella forma dei motivi aggiunti di cui all’art.
43 del c.p.a., come eccepito dalla difesa del Comune di
Verona nella memoria di replica.
In ogni caso, tale argomento è infondato.
Infatti, la previsione di una pianificazione e di un
controllo obbligatori limitata ai centri abitati, certamente
non impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza.
Si veda inoltre l’art. 31, comma 5, della l. n. 47/1985 a
conferma della possibilità, anche prima della l. n.
765/1967, di richiedere, da parte dei comuni dotati di
regolamenti edilizi “ad hoc”, la licenza edilizia non
solo per le costruzioni da realizzare entro il perimetro dei
centri abitati (cfr. TAR Veneto, II sez., 30.01.2014 n. 121;
Cons. St. VI, 05.01.2015, n. 13).
E’ pertanto evidente che l’intervento di manutenzione
straordinaria in questione non poteva essere assentito
avendo ad oggetto un manufatto privo di titolo edilizio.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.06.2015 n. 642 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
la giurisprudenza le risultanze catastali costituiscono
sempre un elemento probatorio generico e di carattere
sussidiario, al quale si può ricorrere solo nei casi di
obiettiva e assoluta mancanza di altri elementi e che non
può assumere una rilevanza probatoria assoluta, quale è
quella che, invece, illegittimamente ha inteso attribuirgli
il Comune.
E nel caso di specie, a supporto dell’ordinanza di
demolizione gravata il Comune ha indicato il mero confronto
tra mappe catastali da cui risulterebbero incongruenze che
secondo il Comune stesso testimonierebbero l’esecuzione di
opere abusive oltre che su di una CTU dalla quale
emergerebbe la natura abusiva delle opere realizzate sui
lotti in questione.
Il Comune, tuttavia, non ha ritenuto di effettuare nemmeno
un sopralluogo per verificare la situazione di fatto ed
accertare se la differenza tra le mappe catastali osservate
fosse effettivamente dovuta ad un intervento abusivo ovvero
ad un’imperfetta rappresentazione operata in sede di
redazione grafica delle tavole catastali.
---------------
Nella relazione del CTU, depositata nel giudizio pendente
innanzi al Tribunale civile, si afferma che all’esito del
sopralluogo compiuto dal CTU in data 10.03.2014: <<si è
osservato, oltre allo stato dei luoghi in riferimento alle
planimetrie catastali in possesso finora descritto e
graficizzato, anche lo stato delle murature che
costituiscono i fabbricati oggetto di causa per riuscire a
fare un’esatta analisi storica. Si è riscontrata l’antichità
della costruzione che presenta pareti in muratura formate da
ciottoli e si può affermare, pertanto, che data l’antica
tipologia costruttiva il fabbricato è sicuramente precedente
al 1967>>.
Nella successiva relazione depositata in data 01.12.2014 nel
medesimo giudizio civile, lo stesso CTU rileva inoltre la
scarsa affidabilità delle planimetrie catastali, ribadendo
che l’edificio non ha subito ampliamenti negli ultimi 50
anni.
Il presupposto del gravato provvedimento consistente nella
realizzazione di interventi non autorizzati in epoca
successiva al 1967 risulta contraddetto in modo convincente
e circostanziato nella ripetuta relazione di CTU che ha
posto in evidenza taluni elementi fattuali (stile
architettonico e materiali adoperati) che depongono
univocamente per la conclusione ivi raggiunta dal CTU,
secondo cui gli ultimi interventi sul fabbricato di
proprietà del ricorrente risalgono ad oltre 50 anni fa.
---------------
La giurisprudenza consolidata evidenzia che l'obbligo di
richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire)
per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto
dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale.
... per l'annullamento dell’ordinanza del Responsabile del
Settore Urbanistica del Comune di Bojano n. 8 del
22.01.2014, successivamente notificata in data 27.01.2014
con cui viene ingiunta al ricorrente la demolizione e
rimessa in pristino di una parte del fabbricato di proprietà
e di ogni ulteriore atto presupposto, consequenziale e
comunque connesso;
- nonché per la condanna del Comune di Bojano al
risarcimento dei danni subiti e subendi dal ricorrente per
effetto dei provvedimenti impugnati e della condotta
gravemente colposa dell'Amministrazione.
...
Il motivo di ricorso è meritevole di accoglimento alla
stregua delle puntualizzazioni che di seguito si espongono.
In effetti a supporto dell’ordinanza gravata il Comune di
Bojano ha indicato il mero confronto tra mappe catastali da
cui risulterebbero incongruenze che secondo il Comune
testimonierebbero l’esecuzione di opere abusive oltre che su
di una CTU dalla quale emergerebbe la natura abusiva delle
opere realizzate sui lotti in questione.
Il Comune, tuttavia, non ha ritenuto di effettuare nemmeno
un sopralluogo per verificare la situazione di fatto ed
accertare se la differenza tra le mappe catastali osservate
fosse effettivamente dovuta ad un intervento abusivo ovvero
ad un’imperfetta rappresentazione operata in sede di
redazione grafica delle tavole catastali.
A tale proposito il Collegio rileva che secondo la
giurisprudenza le risultanze catastali costituiscono sempre
un elemento probatorio generico e di carattere sussidiario,
al quale si può ricorrere solo nei casi di obiettiva e
assoluta mancanza di altri elementi e che non può assumere
una rilevanza probatoria assoluta, quale è quella che,
invece, illegittimamente ha inteso attribuirgli il Comune di
Bojano (cfr. ex multis TAR Basilicata, 14.09.2014, n.
584).
Vero è che l’ordinanza richiama anche una relazione
peritale, ma dalle risultanze ivi rassegnate il Collegio
ritiene non potersi giungere ad alcuna conclusione che
avvalori la pretesa natura abusiva delle opere indicate nel
gravato provvedimento.
Diversamente la relazione del medesimo CTU, depositata nel
giudizio pendente innanzi al Tribunale civile di Bucarest
(RG n. 1111/2010) depone per la conclusione esattamente
opposta. Nella relazione si afferma che all’esito del
sopralluogo compiuto dal CTU in data 10.03.2014: <<si è
osservato, oltre allo stato dei luoghi in riferimento alle
planimetrie catastali in possesso finora descritto e
graficizzato, anche lo stato delle murature che
costituiscono i fabbricati oggetto di causa per riuscire a
fare un’esatta analisi storica. Si è riscontrata l’antichità
della costruzione che presenta pareti in muratura formate da
ciottoli e si può affermare, pertanto, che data l’antica
tipologia costruttiva il fabbricato è sicuramente precedente
al 1967>>. Nella successiva relazione depositata in data
01.12.2014 nel medesimo giudizio civile, lo stesso CTU
rileva inoltre la scarsa affidabilità delle planimetrie
catastali, ribadendo che l’edificio non ha subito
ampliamenti negli ultimi 50 anni.
Il presupposto del gravato provvedimento consistente nella
realizzazione di interventi non autorizzati in epoca
successiva al 1967 risulta contraddetto in modo convincente
e circostanziato nella ripetuta relazione di CTU che ha
posto in evidenza taluni elementi fattuali (stile
architettonico e materiali adoperati) che depongono
univocamente per la conclusione ivi raggiunta dal CTU,
secondo cui gli ultimi interventi sul fabbricato di
proprietà del ricorrente risalgono ad oltre 50 anni fa.
Ciò sottrae eventuali ampliamenti realizzati sul corpo di
fabbrica del ricorrente alla disciplina edilizia
autorizzativa introdotta a partire dalla l. n. 765/1967.
E infatti, la giurisprudenza consolidata evidenzia che
l'obbligo di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di
costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato
introdotto dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale
(TAR Umbria, Sez. I, 10.05.2013, n. 281; TAR Campania, sez.
VI, 15.09.2010, n. 17416; TAR Umbria, sez. I, 14.07.1981, n.
250).
Tali rilievi, unitamente all’evidenziato deficit
dell’istruttoria comunale sottesa al gravato provvedimento
conducono all’accoglimento del gravame, non potendosi
riscontrare alcuna mancanza di titoli abilitativi, come
invece ritenuto nell’impugnato provvedimento.
Né potrebbe disporsi la sospensione del presente
procedimento, come richiesto da parte resistente, atteso che
esso non “dipende” in alcun modo da quello pendente
innanzi al Tribunale civile di Campobasso.
Nel presente giudizio, assume rilievo la CTU predisposta nel
procedimento pendente innanzi al Tribunale di Campobasso
limitatamente all’analisi e descrizione della situazione di
fatto, senza che assuma rilievo l’esito di quel giudizio del
tutto distinto ed autonomo dal presente.
Peraltro, la ragionevolezza degli argomenti impiegati e
l’assenza di evidenti vizi logici, consentono al Collegio di
utilizzare le medesime risultanze anche per fondare il
proprio convincimento, senza la necessità di esperire un
analogo accertamento sulla datazione delle opere oggetto di
causa anche nel presente giudizio.
Il ricorso deve pertanto essere accolto e il diniego
impugnato dichiarato illegittimo ed annullato
(TAR Molise,
sentenza 04.05.2015 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’onere
della prova circa la data di realizzazione di un immobile
abusivo spetta a chi ha commesso l'abuso: secondo il
principio generale previsto dall'art. 2697 del codice
civile, infatti, <<chi vuol far valere un diritto in
giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento>>, e con riguardo alla data di realizzazione di
opere, si è affermato che è onere del privato fornire la
prova sulla data di ultimazione dell'abuso, in quanto la
pubblica Amministrazione non può di solito materialmente
accertare quale fosse la situazione dell'intero suo
territorio alla data prevista dalla legge, mentre il privato
è normalmente in grado di esibire idonea documentazione
comprovante la conclusione dell’opera.
---------------
La giurisprudenza consolidata evidenzia che l'obbligo di
richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire)
per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto
dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale.
Elemento centrale del giudizio odierno consiste nello
stabilire se le opere indicate nell’istanza di Permesso di
costruire e, precedentemente, nell’ordine di demolizione n.
28 del 20.09.2010 costituiscano o meno manufatti abusivi,
realizzati, cioè, ex novo in violazione delle
disposizioni urbanistiche ovvero, come sostenuto dal
ricorrente, si tratti solo di parti dell’edificio
preesistenti oggetto di semplici interventi di manutenzione.
Ciò premesso, in linea di principio l’onere della prova
circa la data di realizzazione di un immobile abusivo spetta
a chi ha commesso l'abuso (Cons. Stato, sez. IV, 31.01.2012,
n. 478): secondo il principio generale previsto dall'art.
2697 del codice civile, infatti, <<chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne
costituiscono il fondamento>>, e con riguardo alla data
di realizzazione di opere, si è affermato che è onere del
privato fornire la prova sulla data di ultimazione
dell'abuso, in quanto la pubblica Amministrazione non può di
solito materialmente accertare quale fosse la situazione
dell'intero suo territorio alla data prevista dalla legge,
mentre il privato è normalmente in grado di esibire idonea
documentazione comprovante la conclusione dell’opera (cfr.
da ultimo TAR Molise, 13.03.2015, n. 107; TAR Lombardia
Brescia, Sez. II, 02.10.2013, n. 814; Consiglio di Stato,
sez. IV, 27.11.2010 n. 8298; si veda anche TAR Campania,
sez. VIII – 02.07.2010 n. 16569; TAR Lombardia Brescia, sez.
I – 08.04.2010, n. 1506; TAR Lombardia Brescia, Sez. II,
02.10.2013, n. 814).
Ritiene il Collegio che tale onere sia stato assolto nella
fattispecie con il deposito da parte della ricorrente in
data 02.01.2015 della Consulenza Tecnica d’Ufficio eseguita
nell’ambito del procedimento civile (contrassegnato dal
numero di RG 1111/2010) pendente innanzi al Tribunale di
Campobasso civile tra lo stesso sig. -OMISSIS- e la società
proprietaria di un terreno confinante, avente ad oggetto i
terreni e le opere su cui verte anche il presente giudizio.
La relazione preparata dal CTU incaricato dal Tribunale,
esamina dettagliatamente lo stato dei luoghi, confrontandoli
con le risultanze catastali ed evidenzia che queste ultime
non corrispondono perfettamente ai primi. Con particolare
riferimento alla particella catastale 564 (fg. 24) su cui in
particolare insisterebbero, secondo quanto rilevato
nell’ordinanza di demolizione n. 28/2010, gli ampliamenti
abusivamente realizzati per i quali è stato richiesto il
Permesso in sanatoria, la relazione premette che i rilievi
aerofotogrammetrici eseguiti nel 1963 testimoniano
l’esistenza, già a quel tempo, di una costruzione nella zona
in questione.
Ciò che più rileva, però, è la specifica considerazione del
consulente tecnico (contenuta alla pag. 12 della relazione
de 14.09.2014) secondo cui la contestazione effettuata in
quel giudizio in base alla quale sarebbero stati realizzati
sulla particella 564 interventi edilizi successivi alla
costruzione “non è stata riscontrata, in quanto,
dall’analisi del fabbricato, non risultano effettuati di
recente ampliamenti o opere rientranti nella straordinaria
manutenzione, ma solo opere, sia interne che esterne,
ordinaria manutenzione come riscontrato anche dal tecnico
comunale”.
Ne consegue che il presupposto dell’assenza di titoli
abilitativi per gli interventi realizzati sulla predetta
particella su cui si fonda l’ordine di demolizione e, per
quello che interessa nel presente giudizio, anche il gravato
diniego di rilascio del Permesso in sanatoria risultano
smentiti dalla ripetuta relazione di CTU, in modo
convincente e circostanziato evidenziando taluni elementi
fattuali (stile architettonico e materiali adoperati) che
depongono univocamente per la conclusione secondo cui gli
ultimi interventi edilizi sul fabbricato di proprietà del
ricorrente risalirebbero ad oltre 50 anni fa.
Ciò sottrae eventuali ampliamenti realizzati sul corpo di
fabbrica del ricorrente alla disciplina edilizia
autorizzativa introdotta a partire dalla l. n. 765/1967 e
dal conseguente obbligo di munirsi di eventuali titoli
abilitativi.
E infatti, la giurisprudenza consolidata evidenzia che
l'obbligo di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di
costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato
introdotto dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale
(TAR Umbria, Sez. I, 10 maggio 2013, n. 281; TAR Campania,
sez. VI, 15 settembre 2010, n. 17416; TAR Umbria, sez. I, 14
luglio 1981, n. 250)
(TAR Molise,
sentenza 04.05.2015 n. 182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In via preliminare, la generale necessità, “ex
lege”, della licenza edilizia per l’esercizio dello “jus
aedificandi” va fatta risalire al 1942 per i soli centri
abitati (v. art. 31 della l. n. 1150/1942) e, per l’intero
territorio comunale, al 1967 (v. art. 10 della l. n.
765/1967; si veda inoltre l’art. 31, comma 5, della l. n.
47/1985 a conferma della possibilità, anche prima della l.
n. 765/1967, di richiedere, da parte dei comuni dotati di
regolamenti edilizi “ad hoc”, la licenza edilizia non solo
per le costruzioni da realizzare entro il perimetro dei
centri abitati).
I rilievi di parte appellante non persuadono il collegio.
In contrario, a conferma della sostanziale correttezza delle
conclusioni alle quali si è giunti in sentenza, vale
osservare –e comunque ribadire- quanto segue:
- in via preliminare, la generale necessità, “ex lege”,
della licenza edilizia per l’esercizio dello “jus
aedificandi” va fatta risalire al 1942 per i soli centri
abitati (v. art. 31 della l. n. 1150/1942) e, per l’intero
territorio comunale, al 1967 (v. art. 10 della l. n.
765/1967; si veda inoltre l’art. 31, comma 5, della l. n.
47/1985 a conferma della possibilità, anche prima della l.
n. 765/1967, di richiedere, da parte dei comuni dotati di
regolamenti edilizi “ad hoc”, la licenza edilizia non
solo per le costruzioni da realizzare entro il perimetro dei
centri abitati)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.01.2015 n. 13 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In questa sede occorre accertare se per opere
realizzate fuori dal centro abitato e dalle zone di
espansione prima del 01.09.1967 (entrata in vigore della
legge ponte) la presenza di un regolamento edilizio che
imponesse un titolo edilizio possa essere idoneo a fondare
oggi un giudizio di abusività e la conseguente applicazione
delle relative sanzioni.
Preliminare appare delineare il quadro normativo in subiecta
materia.
Tralasciando normative anteriori che pure contemplavano i
regolamenti comunali senza, tuttavia, dettare un specifica
disciplina occorre prendere le mosse dall’art. 3 r.d.
22.11.1937 n. 2105 (che ai sensi dell’art. 1 sostituiva le
disposizioni di cui al rd 25.03.1935 n. 640) che statuiva
“In tutti i comuni del regno nei quali non è prescritta
l’osservanza delle norme contenute negli articoli 7 e
successivi le amministrazioni comunali devono provvedere a
che nei regolamenti edilizi di cui all’art. 3 del testo
unico della legge comunale e provinciale vigente sia resa
obbligatoria osservanza delle disposizioni contenute nei
seguenti articoli 4, 5 e 6”.
Il successivo articolo 6 stabiliva che “coloro che intendono
fare nuove costruzioni ovvero modificare od ampliare quelle
esistenti debbono chiedere al podestà apposita
autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme particola
idei regolamenti di edilizia e d’igiene comunali”. Lo stesso
articolo contemplava poi la possibilità di irrogare al
demolizione in caso di costruzione in assenza di
autorizzazione.
Dall’esame della normativa di cui sopra si evince come la
potestà regolamentare trovasse il proprio fondamento nella
legge, fosse prevista a tutela di interessi sostanziali e
fosse altresì presidiata dalla sanzione della demolizione.
Anzi la legge imponeva alle amministrazioni comunali il
recepimento delle norme di cui sopra.
Successivamente l’art. 31, comma 1, l. 1150/1942 nel testo
originario ha previsto che: “Chiunque intenda eseguire nuove
costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o
modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed
ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le
zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere
apposita licenza al podestà del comune”. La legge 1150/1942,
inoltre, disciplinava all’art. 33 il contenuto dei
regolamenti edilizi comunali prevedendo che “I comuni
debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con
le disposizioni contenute nella presente legge e nel Testo
unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27.07.1934,
n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti
materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle
riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle
riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio
comunale”.
La legge urbanistica stabiliva l’obbligo cogente di
richiedere la licenza edilizia nel centro abitato e nelle
zone di espansione e ciò senza la mediazione di regolamenti
edilizi comunali mentre rimetteva ai regolamenti edilizi la
valutazione in ordine alla necessità della licenza edilizia
nella restante parte del territorio comunale. Pertanto ove
le amministrazioni comunali avessero già provveduto ai sensi
della normativa previgente i regolamenti emessi in
ottemperanza delle disposizioni del rd. 22.11.1937 n. 2105 i
relativi regolamenti venivano fatti salvi rientrando nella
potestà discrezionale del Comune intervenire o meno su di
essi. Del pari il Comune avrebbe potuto, nell’esercizio
della propria discrezionalità, introdurre o meno l’obbligo
delle licenza edilizia nelle zone diverse dal centro abitato
e dalla zone di espansione.
La legge urbanistica, da un lato, superava il precedente
sistema di autorizzazione e, al contempo, dall’altro lato,
fondava il potere dei regolamenti edilizi comunali,
legittimando altresì i regolamenti previgenti..
Ne conseguiva la legittimità dei regolamenti edilizi che
avessero inteso imporre l’obbligo delle licenza edilizia a
tutto il territorio comunale irrilevante essendo la
circostanza che tali regolamenti fossero anteriori o
successivi all’entrata in vigore del 22.11.1937 n. 2105 e
della legge 1150/1942, atteso che il primo decreto
obbligando i Comuni ad adottare i regolamenti non poteva che
fare salvi i regolamenti già adottati (che fossero conformi
alle sue disposizioni) e atteso altresì che la legge
1150/1942 rimettendo alla amministrazione comunale tali
valutazioni, ne faceva salve le determinazioni
precedentemente assunte. In altre parole nel momento in cui
la legge attribuiva ai regolamenti la valutazione
discrezionale in ordine alla necessità di licenza edilizia
comunale al di fuori delle zone in cui la stessa era
obbligatoria per legge, al contempo legittimava,
ratificandoli, i regolamenti che tale scelta avessero già in
precedenza compiuto.
Conseguiva a tale sistema l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio per tutte le costruzioni in qualunque zona fossero
state edificate, ove tale obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali e l’applicazione delle relative
sanzioni per il caso di inosservanza.
Deve notarsi, come già in precedenza evidenziato, come in
questo sistema i regolamenti edilizi comunali trovassero il
fondamento nella legge, rispondessero ad esigenze di tutela
non meramente formale ma sostanziale e fossero presidiati
dalla sanzione della demolizione.
La giurisprudenza prevalente ha, pertanto, evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza di titolo edilizio anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione pure il relativo obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali.
La giurisprudenza contraria che pure esiste fonda il proprio
assunto su una efficacia abrogatrice della l. 1150/1942
sulle previsioni dei regolamenti edilizi precedenti che ad
avviso del Collegio non è riscontrabile alla luce delle
disposizioni legislative precedentemente trascritte.
La conclusione sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria
del resto è conforme a quanto previsto dall’ultimo comma
dell’art. 31 l. 47/1985, che prevede: “Per le opere ultimate
anteriormente al 01.09.1967 per le quali era richiesto, ai
sensi dell'art. 31, primo comma, della L. 17.08.1942, n.
1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della
licenza di costruzione, i soggetti di cui ai commi primo e
terzo del presente articolo conseguono la concessione in
sanatoria previo pagamento, a titolo di oblazione, della
somma determinata a norma dell'articolo 34 della presente
legge”.
La norma nel prevedere la condonabilità degli abusi li
individua con riferimento anche all’obbligo del titolo
edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Il ricorso è rivolto avverso un ordine di demolizione.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi devono essere esaminati congiuntamente e
respinti.
Si sostiene, sulla scorta dell’indicazioni presenti sul
verbale di sopralluogo secondo cui le opere sarebbero “di
antica realizzazione” che gli stessi non
necessiterebbero di titolo edilizio in quanto realizzati
antecedentemente all’entrata in vigore della l. 1150/1942 in
zone esterna al centro abitato e non ricompresa nelle zone
d’espansione.
Sul punto deve rilevarsi come la prova in ordine
all’anteriorità dei manufatti incomba sui ricorrenti e che
gli stessi non riescano a datare la realizzazione degli
stessi, onde la reiezione dei motivi.
Da altro punto di vista occorre rilevare come nel Comune di
Genova fin dal 1929 esistesse un regolamento edilizio
approvato con delibera della Giunta comunale 30.08.1929 n.
2065 che prevedeva l’obbligo di denuncia al Comune delle
costruzioni che si intendessero eseguire nel Comune di
Genova.
In questa sede occorre pertanto accertare se per opere
realizzate fuori dal centro abitato e dalle zone di
espansione prima del 01.09.1967 (entrata in vigore della
legge ponte) la presenza di un regolamento edilizio che
imponesse un titolo edilizio possa essere idoneo a fondare
oggi un giudizio di abusività e la conseguente applicazione
delle relative sanzioni.
Preliminare appare delineare il quadro normativo in
subiecta materia.
Tralasciando normative anteriori che pure contemplavano i
regolamenti comunali senza, tuttavia, dettare un specifica
disciplina occorre prendere le mosse dall’art. 3 r.d.
22.11.1937 n. 2105 (che ai sensi dell’art. 1 sostituiva le
disposizioni di cui al rd 25.03.1935 n. 640) che statuiva “In
tutti i comuni del regno nei quali non è prescritta
l’osservanza delle norme contenute negli articoli 7 e
successivi le amministrazioni comunali devono provvedere a
che nei regolamenti edilizi di cui all’art. 3 del testo
unico della legge comunale e provinciale vigente sia resa
obbligatoria osservanza delle disposizioni contenute nei
seguenti articoli 4, 5 e 6”.
Il successivo articolo 6 stabiliva che “coloro che
intendono fare nuove costruzioni ovvero modificare od
ampliare quelle esistenti debbono chiedere al podestà
apposita autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme
particola idei regolamenti di edilizia e d’igiene comunali”.
Lo stesso articolo contemplava poi la possibilità di
irrogare al demolizione in caso di costruzione in assenza di
autorizzazione.
Dall’esame della normativa di cui sopra si evince come la
potestà regolamentare trovasse il proprio fondamento nella
legge, fosse prevista a tutela di interessi sostanziali e
fosse altresì presidiata dalla sanzione della demolizione.
Anzi la legge imponeva alle amministrazioni comunali il
recepimento delle norme di cui sopra.
Successivamente l’art. 31, comma 1, l. 1150/1942 nel testo
originario ha previsto che: “Chiunque intenda eseguire
nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti
o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed
ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le
zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere
apposita licenza al podestà del comune”. La legge
1150/1942, inoltre, disciplinava all’art. 33 il contenuto
dei regolamenti edilizi comunali prevedendo che “I comuni
debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con
le disposizioni contenute nella presente legge e nel Testo
unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27.07.1934,
n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti
materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle
riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle
riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio
comunale”.
La legge urbanistica stabiliva l’obbligo cogente di
richiedere la licenza edilizia nel centro abitato e nelle
zone di espansione e ciò senza la mediazione di regolamenti
edilizi comunali mentre rimetteva ai regolamenti edilizi la
valutazione in ordine alla necessità della licenza edilizia
nella restante parte del territorio comunale. Pertanto ove
le amministrazioni comunali avessero già provveduto ai sensi
della normativa previgente i regolamenti emessi in
ottemperanza delle disposizioni del rd. 22.11.1937 n. 2105 i
relativi regolamenti venivano fatti salvi rientrando nella
potestà discrezionale del Comune intervenire o meno su di
essi. Del pari il Comune avrebbe potuto, nell’esercizio
della propria discrezionalità, introdurre o meno l’obbligo
delle licenza edilizia nelle zone diverse dal centro abitato
e dalla zone di espansione.
La legge urbanistica, da un lato, superava il precedente
sistema di autorizzazione e, al contempo, dall’altro lato,
fondava il potere dei regolamenti edilizi comunali,
legittimando altresì i regolamenti previgenti..
Ne conseguiva la legittimità dei regolamenti edilizi che
avessero inteso imporre l’obbligo delle licenza edilizia a
tutto il territorio comunale irrilevante essendo la
circostanza che tali regolamenti fossero anteriori o
successivi all’entrata in vigore del 22.11.1937 n. 2105 e
della legge 1150/1942, atteso che il primo decreto
obbligando i Comuni ad adottare i regolamenti non poteva che
fare salvi i regolamenti già adottati (che fossero conformi
alle sue disposizioni) e atteso altresì che la legge
1150/1942 rimettendo alla amministrazione comunale tali
valutazioni, ne faceva salve le determinazioni
precedentemente assunte. In altre parole nel momento in cui
la legge attribuiva ai regolamenti la valutazione
discrezionale in ordine alla necessità di licenza edilizia
comunale al di fuori delle zone in cui la stessa era
obbligatoria per legge, al contempo legittimava,
ratificandoli, i regolamenti che tale scelta avessero già in
precedenza compiuto.
Conseguiva a tale sistema l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio per tutte le costruzioni in qualunque zona fossero
state edificate, ove tale obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali e l’applicazione delle relative
sanzioni per il caso di inosservanza.
Deve notarsi, come già in precedenza evidenziato, come in
questo sistema i regolamenti edilizi comunali trovassero il
fondamento nella legge, rispondessero ad esigenze di tutela
non meramente formale ma sostanziale e fossero presidiati
dalla sanzione della demolizione.
La giurisprudenza prevalente ha, pertanto, evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza di titolo edilizio anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione pure il relativo obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali (CS 5141/2008, Cs 287/1980, TAR
Marche 2011 n. 634, TAR Emilia Romagna, Parma 2010 n. 5). La
giurisprudenza contraria che pure esiste (TAR Friuli Venezia
Giulia 553/2014) fonda il proprio assunto su una efficacia
abrogatrice della l. 1150/1942 sulle previsioni dei
regolamenti edilizi precedenti che ad avviso del Collegio
non è riscontrabile alla luce delle disposizioni legislative
precedentemente trascritte.
La conclusione sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria
del resto è conforme a quanto previsto dall’ultimo comma
dell’art. 31 l. 47/1985, che prevede: “Per le opere
ultimate anteriormente al 01.09.1967 per le quali era
richiesto, ai sensi dell'art. 31, primo comma, della L.
17.08.1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il
rilascio della licenza di costruzione, i soggetti di cui ai
commi primo e terzo del presente articolo conseguono la
concessione in sanatoria previo pagamento, a titolo di
oblazione, della somma determinata a norma dell'articolo 34
della presente legge”.
La norma nel prevedere la condonabilità degli abusi li
individua con riferimento anche all’obbligo del titolo
edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Ne consegue l’abusività delle opere oggetto del
provvedimento impugnato.
Né sul punto assume rilevanza la successione di regimi
sanzionatori nel tempo. E ciò per due ragioni. In primo
luogo la demolizione era già prevista come sanzione dal
regolamento edilizio, in secondo luogo in quanto stante la
permanenza dell’abuso lo stesso deve ritenersi assoggettato
volta a volta alle successive discipline sanzionatorie per
lo stesso previste.
Deve, pertanto, farsi riferimento al complesso normativo
previsto dal d.p.r. 380/2001 e dalla l.r. 16/2008.
Ne consegue l’infondatezza dei primi due motivi atteso che i
ricorrenti non dimostrano l’anteriorità delle opere al 1929
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 30.12.2014 n. 1975 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
la giurisprudenza più persuasiva, l’articolo 31 della legge
urbanistica del 1942 ha disciplinato in via generale
l'obbligo di munirsi della licenza edilizia nei centri
abitati, ma non ha comportato l'abrogazione tacita di
eventuali disposizioni speciali più rigorose per le
costruzioni al di fuori dei centri abitati, esistenti nei
regolamenti edilizi in ragione della particolare disciplina
che l'ente locale avesse inteso introdurre ai fini della
regolamentazione dell'attività costruttiva sul proprio
territorio.
Conclusione che trova conferma nell’ultimo comma dell’art.
31 L. n. 47/1985 (“per le opere ultimate anteriormente al
01.09.1967 per le quali era richiesto, ai sensi dell'art.
31, primo comma, della L. 17.08.1942, n. 1150, e dei
regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di
costruzione, i soggetti di cui ai commi primo e terzo del
presente articolo conseguono la concessione in sanatoria
previo pagamento, a titolo di oblazione, della somma
determinata a norma dell'articolo 34 della presente legge”),
laddove, nel prevedere la condonabilità degli abusi, li
individua con riferimento anche all’obbligo del titolo
edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo dedotto con
il primo motivo di ricorso.
Con esso la società ricorrente sostiene:
- che i manufatti
oggetto del provvedimento impugnato sono stati edificati
prima dell’entrata in vigore della L. n. 765/1967 (che ha
esteso a tutto il territorio comunale l’obbligo di chiedere
la licenza edilizia per le nuove costruzioni, un tempo
limitato ai centri abitati ed alle zona di espansione);
- che,
essendo ubicati fuori dal centro abitato, al momento della
loro realizzazione gli stessi non necessitavano di alcun
titolo edilizio; che, conseguentemente, non potrebbero
essere oggi sanzionati alla stregua di manufatti abusivi.
La prima circostanza (edificazione ante 1967) può dirsi
provata.
In effetti, da un lato la scrittura privata 15.03.1958, di
costituzione della società per la gestione del campeggio in
questione (doc. 6 delle produzioni 10.6.2013 di parte
ricorrente), fa esplicita menzione delle costruzioni adibite
a servizi igienici, dall’altro la prima autorizzazione
igienico-sanitaria per l’esercizio del campeggio risale al
25.06.1958 (doc. 7 delle produzioni 10.06.2013 di parte
ricorrente).
In ogni caso, si tratta di un fatto (la realizzazione in
data antecedente il 1967) ammesso dalla stessa
amministrazione.
Quanto alla seconda circostanza, sostiene l’amministrazione
comunale che, nel caso di specie, sussistesse l’obbligo di
munirsi di preventiva autorizzazione della soprintendenza ai
monumenti della Liguria e del parere della commissione
edilizia comunale, in virtù di quanto disposto dal piano
regolatore generale approvato con deliberazione del
consiglio comunale 10.10.1959, n. 149 (doc. 9 delle
produzioni 10.6.2013 di parte comunale).
Orbene, anche a voler prescindere dal fatto che la
deliberazione in questione appare già di per sé successiva
alla realizzazione dei manufatti in questione, è dirimente
il rilievo che, ai sensi degli artt. 8 ultimo comma e 10
della L. n. 1150/1942, il piano regolatore comunale è
approvato con decreto del Ministero per i lavori pubblici,
ed entra in vigore con la pubblicazione del decreto sulla
Gazzetta ufficiale.
Dunque, l’amministrazione non ha provato –né nel corpo del
provvedimento amministrativo impugnato, né nella presente
sede giurisdizionale– che, antecedentemente alla
realizzazione dei manufatti in questione, vigesse nel comune
di Celle Ligure una normativa regolamentare che, in forza
del richiamo contenuto negli artt. 3 e 6 del regio decreto
legge 22.11.1937, n. 2105, imponesse di munirsi della
preventiva licenza edilizia comunale per realizzare nuove
costruzioni.
E’ noto infatti che, secondo la giurisprudenza più
persuasiva, l’articolo 31 della legge urbanistica del 1942
ha disciplinato in via generale l'obbligo di munirsi della
licenza edilizia nei centri abitati, ma non ha comportato
l'abrogazione tacita di eventuali disposizioni speciali più
rigorose per le costruzioni al di fuori dei centri abitati,
esistenti nei regolamenti edilizi in ragione della
particolare disciplina che l'ente locale avesse inteso
introdurre ai fini della regolamentazione dell'attività
costruttiva sul proprio territorio (Cons. di St., IV,
21.10.2008, n. 5141).
Conclusione che trova conferma nell’ultimo comma dell’art.
31 L. n. 47/1985 (“per le opere ultimate anteriormente al
01.09.1967 per le quali era richiesto, ai sensi
dell'art. 31, primo comma, della L. 17.08.1942, n. 1150,
e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della
licenza di costruzione, i soggetti di cui ai commi primo e
terzo del presente articolo conseguono la concessione in
sanatoria previo pagamento, a titolo di oblazione, della
somma determinata a norma dell'articolo 34 della presente
legge”), laddove, nel prevedere la condonabilità degli
abusi, li individua con riferimento anche all’obbligo del
titolo edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Anche la seconda circostanza dedotta dalla società
ricorrente (non essere i manufatti in oggetto, al tempo
della loro realizzazione, soggetti a licenza comunale)
appare dunque provata.
Più precisamente, è l’amministrazione che non ha fornito le
ragioni di diritto sulle quali si fonda l’ordinanza di
demolizione ex art. 45, comma 1, L.R. n. 16/2008: donde la
dedotta violazione di legge, nonché l’eccesso di potere per
difetto di istruttoria e di motivazione.
Posto infatti che i manufatti risultano edificati in
un’epoca in cui, nel comune di Celle Ligure, non vigeva
l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per le costruzioni
al di fuori dei centri abitati, ne consegue de plano la non
abusività dei manufatti e la non sanzionabilità con
l’ingiunzione di demolizione
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 18.12.2014 n. 1902 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'accertamento
se per opere realizzate fuori dal centro abitato e dalle
zone di espansione prima del 01.09.1967 (entrata in vigore
della legge ponte) la presenza di un regolamento edilizio
che imponesse un titolo edilizio possa essere idoneo a
fondare oggi un giudizio di abusività e la conseguente
applicazione delle relative sanzioni.
Preliminare appare delineare il quadro
normativo in subiecta materia.
Tralasciando normative anteriori che pure contemplavano i
regolamenti comunali senza, tuttavia, dettare un specifica
disciplina occorre prendere le mosse dall’art. 3 r.d.
22.11.1937 n. 2105 (che ai sensi dell’art. 1 sostituiva le
disposizioni di cui al rd 25.03.1935 n. 640) che statuiva
“In tutti i comuni del regno nei quali non è prescritta
l’osservanza delle norme contenute negli articoli 7 e
successivi le amministrazioni comunali devono provvedere a
che nei regolamenti edilizi di cui all’art. 3 del testo
unico della legge comunale e provinciale vigente sia resa
obbligatoria osservanza delle disposizioni contenute nei
seguenti articoli 4, 5 e 6”.
Il successivo articolo 6 stabiliva che “coloro che intendono
fare nuove costruzioni ovvero modificare od ampliare quelle
esistenti debbono chiedere al podestà apposita
autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme
particolari dei regolamenti di edilizia e d’igiene
comunali”. Lo stesso articolo contemplava poi la possibilità
di irrogare la demolizione in caso di costruzione in assenza
di autorizzazione.
Dall’esame della normativa di cui sopra si evince come la
potestà regolamentare trovasse il proprio fondamento nella
legge, fosse prevista a tutela di interessi sostanziali e
fosse altresì presidiata dalla sanzione della demolizione.
Anzi la legge imponeva alle amministrazioni comunali il
recepimento delle norme di cui sopra.
Successivamente l’art. 31, comma 1, l. 1150/1942 nel testo
originario ha previsto che: “Chiunque intenda eseguire nuove
costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o
modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed
ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le
zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere
apposita licenza al podestà del comune”.
La legge 1150/1942, inoltre, disciplinava all’art. 33 il
contenuto dei regolamenti edilizi comunali prevedendo che “I
comuni debbono con regolamento edilizio provvedere, in
armonia, con le disposizioni contenute nella presente legge
e nel Testo unico delle leggi sanitarie approvato con R.D.
27.07.1934, n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle
seguenti materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte
quelle riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle
riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio
comunale”.
La legge urbanistica stabiliva l’obbligo cogente di
richiedere la licenza edilizia nel centro abitato e nelle
zone di espansione e ciò senza la mediazione di regolamenti
edilizi comunali mentre rimetteva ai regolamenti edilizi la
valutazione in ordine alla necessità della licenza edilizia
nella restante parte del territorio comunale. Pertanto ove
le amministrazioni comunali avessero già provveduto ai sensi
della normativa previgente i regolamenti emessi in
ottemperanza delle disposizioni del rd. 22.11.1937 n. 2105
venivano fatti salvi, rientrando nella potestà discrezionale
del Comune intervenire o meno su di essi. Del pari il Comune
avrebbe potuto, nell’esercizio della propria
discrezionalità, introdurre o meno l’obbligo delle licenza
edilizia nelle zone diverse dal centro abitato e dalla zone
di espansione.
La legge urbanistica, da un lato, superava il precedente
sistema di autorizzazione e, al contempo, dall’altro lato,
fondava il potere dei regolamenti edilizi comunali,
legittimando altresì i regolamenti previgenti.
Ne conseguiva la legittimità dei regolamenti edilizi che
avessero inteso imporre l’obbligo delle licenza edilizia a
tutto il territorio comunale irrilevante essendo la
circostanza che tali regolamenti fossero anteriori o
successivi all’entrata in vigore del r.d. 22.11.1937 n. 2105
e della legge 1150/1942, atteso che il primo decreto
obbligando i Comuni ad adottare i regolamenti non poteva che
fare salvi i regolamenti già adottati (che fossero conformi
alle sue disposizioni) e atteso altresì che la legge
1150/1942 rimettendo alla amministrazione comunale tali
valutazioni, ne faceva salve le determinazioni
precedentemente assunte. In altre parole nel momento in cui
la legge attribuiva ai regolamenti la valutazione
discrezionale in ordine alla necessità di licenza edilizia
comunale al di fuori delle zone in cui la stessa era
obbligatoria per legge, al contempo legittimava,
ratificandoli, i regolamenti che tale scelta avessero già in
precedenza compiuto.
Conseguiva a tale sistema l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio per tutte le costruzioni in qualunque zona fossero
state edificate, ove tale obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali e l’applicazione delle relative
sanzioni per il caso di inosservanza.
Deve notarsi, come già in precedenza evidenziato, come in
questo sistema i regolamenti edilizi comunali trovassero il
fondamento nella legge, rispondessero ad esigenze di tutela
non meramente formale ma sostanziale e fossero presidiati
dalla sanzione della demolizione.
La giurisprudenza prevalente ha, pertanto, evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza di titolo edilizio anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione ove l’obbligo del titolo edilizio fosse previsto
dai regolamenti edilizi comunali. La giurisprudenza
contraria che pure esiste fonda il proprio assunto su una
efficacia abrogatrice della l. 1150/1942 sulle previsioni
dei regolamenti edilizi precedenti che ad avviso del
Collegio non è riscontrabile alla luce delle disposizioni
legislative precedentemente trascritte.
La conclusione sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria
del resto è conforme a quanto previsto dall’ultimo comma
dell’art. 31 l. 47/1985, che prevede: “Per le opere ultimate
anteriormente al 01.09.1967 per le quali era richiesto, ai
sensi dell'art. 31, primo comma, della L. 17.08.1942, n.
1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della
licenza di costruzione, i soggetti di cui ai commi primo e
terzo del presente articolo conseguono la concessione in
sanatoria previo pagamento, a titolo di oblazione, della
somma determinata a norma dell'articolo 34 della presente
legge”.
La norma nel prevedere la condonabilità degli abusi li
individua con riferimento anche all’obbligo del titolo
edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Il ricorso è rivolto avverso un ordine di demolizione.
Con il primo motivo si sostiene che essendo i manufatti
oggetto del provvedimento impugnato stati edificati prima
dell’entrata in vigore della l. 765/1967, circostanza questa
ammessa anche dalla stessa amministrazione, ed essendo gli
stessi manufatti ubicati fuori dal centro abitato, gli
stessi non necessitavano al momento della loro realizzazione
di alcun titolo edilizio e, conseguentemente, non potrebbero
essere sanzionati oggi alla stregua di manufatti abusivi.
Il
Comune ha replicato, già in sede di contraddittorio
procedimentale, con la nota 17.01.2013 n. prot. 1260,
con cui si rilevava come per il territorio comunale vigesse
il regolamento edilizio approvato con provvedimento della
Prefettura di Savona 20.07.1931 n. 6117 che imponeva
l’obbligo del titolo edilizio per ogni intervento edilizio
da realizzarsi in tutto il territorio del Comune di Albisola.
In questa sede occorre pertanto accertare se per opere
realizzate fuori dal centro abitato e dalle zone di
espansione prima del 01.09.1967 (entrata in vigore
della legge ponte) la presenza di un regolamento edilizio
che imponesse un titolo edilizio possa essere idoneo a
fondare oggi un giudizio di abusività e la conseguente
applicazione delle relative sanzioni. In fatto occorre
ulteriormente precisare che le costruzioni, oggetto di
contestazione, sono state edificate negli anni ’60 quindi
successivamente all’entrata in vigore della l. 1150/1942.
Preliminare appare delineare il quadro normativo in subiecta
materia.
Tralasciando normative anteriori che pure contemplavano i
regolamenti comunali senza, tuttavia, dettare un specifica
disciplina occorre prendere le mosse dall’art. 3 r.d. 22.11.1937 n. 2105 (che ai sensi dell’art. 1 sostituiva le
disposizioni di cui al rd 25.03.1935 n. 640) che statuiva
“In tutti i comuni del regno nei quali non è prescritta
l’osservanza delle norme contenute negli articoli 7 e
successivi le amministrazioni comunali devono provvedere a
che nei regolamenti edilizi di cui all’art. 3 del testo
unico della legge comunale e provinciale vigente sia resa
obbligatoria osservanza delle disposizioni contenute nei
seguenti articoli 4, 5 e 6”.
Il successivo articolo 6
stabiliva che “coloro che intendono fare nuove costruzioni
ovvero modificare od ampliare quelle esistenti debbono
chiedere al podestà apposita autorizzazione, obbligandosi ad
osservare le norme particolari dei regolamenti di edilizia e
d’igiene comunali”. Lo stesso articolo contemplava poi la
possibilità di irrogare la demolizione in caso di
costruzione in assenza di autorizzazione.
Dall’esame della normativa di cui sopra si evince come la
potestà regolamentare trovasse il proprio fondamento nella
legge, fosse prevista a tutela di interessi sostanziali e
fosse altresì presidiata dalla sanzione della demolizione.
Anzi la legge imponeva alle amministrazioni comunali il
recepimento delle norme di cui sopra.
Successivamente l’art. 31, comma 1, l. 1150/1942 nel testo
originario ha previsto che: “Chiunque intenda eseguire nuove
costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o
modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed
ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le
zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere
apposita licenza al podestà del comune”.
La legge 1150/1942,
inoltre, disciplinava all’art. 33 il contenuto dei
regolamenti edilizi comunali prevedendo che “I comuni
debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con
le disposizioni contenute nella presente legge e nel Testo
unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27.07.1934, n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti
materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle
riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle
riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio
comunale”.
La legge urbanistica stabiliva l’obbligo cogente di
richiedere la licenza edilizia nel centro abitato e nelle
zone di espansione e ciò senza la mediazione di regolamenti
edilizi comunali mentre rimetteva ai regolamenti edilizi la
valutazione in ordine alla necessità della licenza edilizia
nella restante parte del territorio comunale. Pertanto ove
le amministrazioni comunali avessero già provveduto ai sensi
della normativa previgente i regolamenti emessi in
ottemperanza delle disposizioni del rd. 22.11.1937 n.
2105 venivano fatti salvi, rientrando nella potestà
discrezionale del Comune intervenire o meno su di essi. Del
pari il Comune avrebbe potuto, nell’esercizio della propria
discrezionalità, introdurre o meno l’obbligo delle licenza
edilizia nelle zone diverse dal centro abitato e dalla zone
di espansione.
La legge urbanistica, da un lato, superava il precedente
sistema di autorizzazione e, al contempo, dall’altro lato,
fondava il potere dei regolamenti edilizi comunali,
legittimando altresì i regolamenti previgenti.
Ne conseguiva la legittimità dei regolamenti edilizi che
avessero inteso imporre l’obbligo delle licenza edilizia a
tutto il territorio comunale irrilevante essendo la
circostanza che tali regolamenti fossero anteriori o
successivi all’entrata in vigore del r.d. 22.11.1937
n. 2105 e della legge 1150/1942, atteso che il primo decreto
obbligando i Comuni ad adottare i regolamenti non poteva che
fare salvi i regolamenti già adottati (che fossero conformi
alle sue disposizioni) e atteso altresì che la legge 1150/1942
rimettendo alla amministrazione comunale tali valutazioni,
ne faceva salve le determinazioni precedentemente assunte.
In altre parole nel momento in cui la legge attribuiva ai
regolamenti la valutazione discrezionale in ordine alla
necessità di licenza edilizia comunale al di fuori delle
zone in cui la stessa era obbligatoria per legge, al
contempo legittimava, ratificandoli, i regolamenti che tale
scelta avessero già in precedenza compiuto.
Conseguiva a tale sistema l’obbligo di munirsi del titolo
edilizio per tutte le costruzioni in qualunque zona fossero
state edificate, ove tale obbligo fosse previsto dai
regolamenti edilizi comunali e l’applicazione delle relative
sanzioni per il caso di inosservanza.
Deve notarsi, come già in precedenza evidenziato, come in
questo sistema i regolamenti edilizi comunali trovassero il
fondamento nella legge, rispondessero ad esigenze di tutela
non meramente formale ma sostanziale e fossero presidiati
dalla sanzione della demolizione.
La giurisprudenza prevalente ha, pertanto, evidenziato
l’assoggettamento alla sanzione della demolizione per le
costruzioni realizzate in assenza di titolo edilizio anche
se eseguite al di fuori del centro abitato o delle zone di
espansione ove l’obbligo del titolo edilizio fosse previsto
dai regolamenti edilizi comunali (CS 5141/2008, CS 287/1980, TAR
Marche 2011 n. 634, TAR Emilia Romagna, Parma 2010 n. 5). La
giurisprudenza contraria che pure esiste (TAR Friuli Venezia
Giulia 553/2014) fonda il proprio assunto su una efficacia abrogatrice della l. 1150/1942 sulle previsioni dei
regolamenti edilizi precedenti che ad avviso del Collegio
non è riscontrabile alla luce delle disposizioni legislative
precedentemente trascritte.
La conclusione sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria
del resto è conforme a quanto previsto dall’ultimo comma
dell’art. 31 l. 47/1985, che prevede: “Per le opere ultimate
anteriormente al 01.09.1967 per le quali era
richiesto, ai sensi dell'art. 31, primo comma, della L. 17.08.1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il
rilascio della licenza di costruzione, i soggetti di cui ai
commi primo e terzo del presente articolo conseguono la
concessione in sanatoria previo pagamento, a titolo di
oblazione, della somma determinata a norma dell'articolo 34
della presente legge”.
La norma nel prevedere la condonabilità degli abusi li
individua con riferimento anche all’obbligo del titolo
edilizio previsto dai regolamenti comunali.
Ne consegue l’abusività delle opere oggetto del
provvedimento impugnato.
Né sul punto assume rilevanza la successione di regimi
sanzionatori nel tempo. E ciò per due ragioni. In primo
luogo la demolizione era già prevista come sanzione dal
regolamento edilizio, in secondo luogo in quanto stante la
permanenza dell’abuso lo stesso deve ritenersi assoggettato
volta a volta alle successive discipline sanzionatorie per
lo stesso previste.
Deve, pertanto, farsi riferimento al complesso normativo
previsto dal d.p.r. 380/2001 e dalla l.r. 16/2008.
Ne consegue l’infondatezza del motivo
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.12.2014 n. 1851 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
l. 06.08.1967 n. 765, come noto, ha esteso all’intero
territorio comunale l’obbligo di munirsi di titolo
abilitativo ad edificare, con ciò innovando l’art. 31 della
L. 17.08.1942 n. 1150 (c.d. legge urbanistica) che, in
precedenza, circoscriveva tale obbligo esclusivamente agli
immobili situati nei centri urbani.
---------------
Le risultanze delle mappe catastali non sono idonee a
comprovare l’epoca di realizzazione dei manufatti,
occorrendo, evidentemente, idonea visura catastale
riportante gli immobili o altra prova documentale
sufficiente al conseguimento di siffatta prova (ad esempio,
un contratto notarile che faccia menzione delle opere,
indicandone una data certa di preesistenza e fornendone una
adeguata descrizione, un contratto agrario debitamente
registrato che menzioni i manufatti, etc.).
---------------
Nessuna valenza probatoria può essere attribuita
all’affermazione del ricorrente, resa nella forma della
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, trattandosi di
dichiarazione testimoniale proveniente dalla stessa parte
che intenderebbe giovarsi delle sue risultanze e quindi in
contrasto col tradizionale principio processuale nemo testis
in causa propria cui si ispira l'art. 246 c.p.c..
Né d'altra parte sarebbe consentito al Collegio di porre a
fondamento della decisione le dichiarazioni sostitutive
rese.
Ciò in quanto la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà non è utilizzabile nel processo amministrativo,
trattandosi in sostanza di un mezzo surrettizio per
introdurre in quest'ultimo una prova testimoniale atipica:
essa quindi non ha alcun valore probatorio e può costituire
solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi
gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire
l'attività istruttoria dell'amministrazione.
Invero, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale,
l’onere di dimostrare l’epoca di realizzazione di un’opera
edilizia ai fini dell’ottenimento del condono o
dell’esenzione ratione temporis della necessità di un titolo
edilizio grava sul privato richiedente e comporta che anche
la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è
sufficiente a tale fine, essendo necessari ulteriori
riscontri documentali, eventualmente anche indiziari, purché
altamente probanti. Tale onere può ritenersi a sufficienza
soddisfatto soltanto quando le prove addotte risultano
obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti
che, da soli od unitamente ad altri elementi probatori,
offrono la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione
del manufatto, mentre la semplice produzione di una
dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al
rango di prova, seppure presuntiva, sull’epoca di
realizzazione dell’abuso.
La censura è destituita di giuridico fondamento.
In punto di fatto, è priva di riscontro probatorio la
pretesta vetustà dei manufatti e, in specie, la loro
risalenza al periodo antecedente all’entrata in vigore della
L. 06.08.1967 n. 765 che, come noto, ha esteso all’intero
territorio comunale l’obbligo di munirsi di titolo
abilitativo ad edificare, con ciò innovando l’art. 31 della
L. 17.08.1942 n. 1150 (c.d. legge urbanistica) che, in
precedenza, circoscriveva tale obbligo esclusivamente agli
immobili situati nei centri urbani.
E’ chiaro che parte ricorrente sostiene tale posizione al
fine di contestare la natura abusiva dell’opera, ritenendo
che il manufatto non richiedesse il previo rilascio del
titolo concessorio: tuttavia, trattasi di asserzione
contestata dalla difesa dell’amministrazione e non
sufficientemente comprovata dal ricorrente.
Né tale conclusione appare smentita delle conclusioni rese
nella relazione tecnica di parte.
Sotto un primo profilo, le risultanze delle mappe catastali
non sono idonee a comprovare l’epoca di realizzazione dei
manufatti, occorrendo, evidentemente, idonea visura
catastale riportante gli immobili o altra prova documentale
sufficiente al conseguimento di siffatta prova (ad esempio,
un contratto notarile che faccia menzione delle opere,
indicandone una data certa di preesistenza e fornendone una
adeguata descrizione, un contratto agrario debitamente
registrato che menzioni i manufatti, etc.). Viceversa, la
produzione documentale esibita in giudizio non è idonea a
conseguire lo scopo probatorio perseguito da parte
ricorrente in quanto inidonea a dare certezza sulla
preesistenza del manufatto rispetto al 1967 e in ordine alla
reale consistenza e caratteristica costruttiva del bene.
Si aggiunga che nelle mappe catastali in questione vi è
riportato un unico manufatto mentre nel caso in esame si
discorre di due distinte costruzioni, con la conseguenza
che, in mancanza di ulteriori elementi probatori, non è
possibile appurare la presunta vetustà di entrambe le opere
delle quali, pertanto, va ribadita la natura abusiva.
Quanto poi alle dichiarazioni sostitutive valgano le
seguenti considerazioni.
Nessuna valenza probatoria può essere attribuita
all’affermazione del ricorrente, resa nella forma della
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, trattandosi di
dichiarazione testimoniale proveniente dalla stessa parte
che intenderebbe giovarsi delle sue risultanze e quindi in
contrasto col tradizionale principio processuale nemo testis
in causa propria cui si ispira l'art. 246 c.p.c., (TAR
Lecce, 07.02.2007 n. 328).
Né d'altra parte sarebbe consentito al Collegio di porre a
fondamento della decisione le dichiarazioni sostitutive rese
dai Sig.ri A.F. e E.C..
Ciò in quanto la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà non è utilizzabile nel processo amministrativo,
trattandosi in sostanza di un mezzo surrettizio per
introdurre in quest'ultimo una prova testimoniale atipica:
essa quindi non ha alcun valore probatorio e può costituire
solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi
gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire
l'attività istruttoria dell'amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 07.08.2012 n. 4527; Sez. IV, 03.05.2005 n. 2094; TAR Puglia, Lecce, 10.10.2013 n.
2116).
Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, l’onere
di dimostrare l’epoca di realizzazione di un’opera edilizia
ai fini dell’ottenimento del condono o dell’esenzione
ratione temporis della necessità di un titolo edilizio grava
sul privato richiedente e comporta che anche la
dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente
a tale fine, essendo necessari ulteriori riscontri
documentali, eventualmente anche indiziari, purché altamente
probanti. Tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto
soltanto quando le prove addotte risultano obiettivamente
inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli od
unitamente ad altri elementi probatori, offrono la
ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del
manufatto, mentre la semplice produzione di una
dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al
rango di prova, seppure presuntiva, sull’epoca di
realizzazione dell’abuso (TAR Umbria, 30.08.2013 n.
462; TAR Liguria, Sez. I, 04.12.2012 n. 1565; TAR
Campania, Napoli, Sez. III, 18.01.2011 n. 280)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.11.2014 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Definizione di "centro abitato" ai fini della
necessità della licenza edilizia ante legge Ponte (765/1967)
ed in assenza del P. di F.
La c.d. legge-Ponte (765/1967) ha imposto -per la prima
volta- il previo rilascio della licenza edilizia sull'intero
territorio nazionale.
Sicché, laddove il manufatto è stato costruito nel 1965 ed
era in concreto inserito in un centro abitato -ancorché
posto al di fuori del centro storico- per ciò stesso
s’imponeva, pure in assenza di uno strumento urbanistico
generale, il possesso del titolo ad aedificandum di cui
all’art. 31 della legge n. 1150 del 17.08.1942 (c.d. legge
urbanistica ).
In particolare, l’Amministrazione sul punto ha avuto modo di
evidenziare come sulla base dei dati tecnici desumibili
dagli elaborati cartografici, all’epoca i terreni ora di
proprietà dell’appellante erano compresi in una zona
contrassegnata dalla presenza di case continue e vicine,
potendosi per tale situazione parlare di un centro abitato.
Com’è noto, la definizione di centro abitato non è
rinvenibile in termini univoci dovendosi fare riferimento a
criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui
il centro abitato va individuato nella situazione di fatto
costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e
vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di
espansione.
L’appello si appalesa infondato, meritando l’impugnata
sentenza integrale conferma.
Oggetto di contestazione giudiziale sono gli atti con cui il
Comune di Forte dei Marmi ha denegato il condono edilizio
chiesto per due manufatti (prefabbricati in lamiera)
risalenti al 1965 e rigettato altresì l’autorizzazione alla
ristrutturazione degli stessi.
Col primo mezzo d’impugnazione rivolto specificatamente
avverso il diniego di sanatoria parte appellante fa in
sostanza valere la tesi che in realtà per i due manufatti
non vi sarebbe stato bisogno di titolo abilitativo essendo
la loro realizzazione precedente alla c.d. legge-Ponte
(1967) che ha imposto per la prima volta il previo rilascio
dell’autorizzazione comunale.
La tesi va disattesa, avendo il Comune prima e il Tar poi
convincentemente rilevato come i due manufatti insistevano
in area che all’epoca in questione (il 1965) era in concreto
inserita in un centro abitato ancorché posto al di fuori del
centro storico e per ciò stesso s’imponeva, pure in assenza
di uno strumento urbanistico generale, il possesso del
titolo ad aedificandum di cui all’art. 31 della legge
n. 1150 del 17.08.1942 (c.d. legge urbanistica ).
In particolare, l’Amministrazione sul punto ha avuto modo di
evidenziare come sulla base dei dati tecnici desumibili
dagli elaborati cartografici, all’epoca i terreni ora di
proprietà dell’appellante erano compresi in una zona
contrassegnata dalla presenza di case continue e vicine,
potendosi per tale situazione parlare di un centro abitato.
Com’è noto, la definizione di centro abitato non è
rinvenibile in termini univoci dovendosi fare riferimento a
criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui
il centro abitato va individuato nella situazione di fatto
costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e
vicine, anche distante dal centro, ma suscettibile di
espansione e tale stato dei luoghi è proprio quello che
contrassegna la zona dove insiste l’area de qua sulla quale
si trovano i due manufatti così come rilevato in termini
squisitamente ricognitivi dall’Amministrazione con la
determina dirigenziale n. 301 del 10/04/2008 (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.10.2014 n. 5173 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 ha
introdotto una normativa complessa diretta a disciplinare in
modo organico e specifico le attività urbanistiche ed
edilizie, fino ad allora trattate in modo disorganico e
frammentario, disciplinando "l'assetto e l'incremento
edilizio dei centri abitati o Io sviluppo urbanistico in
genere del territorio dello Stato" (art. 1).
La legge predetta non si limitava più a prevedere la facoltà
riconosciuta ai Comuni di compilare, in presenza di
circostanze particolari, piani di ricostruzioni e di
ampliamento dell'abitato, ma assoggettava a pianificazione
l'intero territorio comunale (che doveva essere suddiviso in
zone funzionali diverse, a seconda della destinazione d'uso
dei terreni) e introdusse una nuova distinzione nell'ambito
della pianificazione, individuando i piani territoriali di
coordinamento (art. 5), i piani regolatori generali (artt. 7
e 8), i piani regolatori generali intercomunali (art. 12) e
i piani regolatori particolareggiati di esecuzione (art.
13).
Con riguardo all'attività costruttiva edilizia, la legge
urbanistica disciplinava compiutamente le modalità di
richiesta e di rilascio della licenza di costruzione (art.
31), facendo obbligo a chiunque nei centri abitati e, in
presenza di un piano regolatore comunale, anche nelle zone
di espansione dell'aggregato urbano previste e regolamentate
dal piano stesso, intendesse eseguire nuove costruzioni,
ampliare, modificare o demolire quelle esistenti o
modificarne la struttura o l'aspetto, di chiedere apposita
licenza al sindaco (art. 31, comma 1).
Il rilascio della licenza edilizia era prescritto per le
sole edificazioni realizzate nei centri abitati e, in
presenza di piano regolatore, anche nelle zone di
espansione.
... per l'annullamento dell'ordinanza di demolizione lavori
e rimessa in pristino dello stato dei luoghi n. 6795 prot.
int. n. 35767 in data 05.11.2012, notificata il
successivo 7 novembre, con cui il Comune di Fossano -
Dipartimento Tecnico Lavori Pubblici / Urbanistica /
Ambiente Servizio Edilizia Privata e Convenzionata ha
ordinato ai ricorrenti la demolizione della stalla con
soprastante fienile ed il ripristino dello stato dei
luoghi;
...
La legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 ha introdotto
una normativa complessa diretta a disciplinare in modo
organico e specifico le attività urbanistiche ed edilizie,
fino ad allora trattate in modo disorganico e frammentario,
disciplinando "l'assetto e l'incremento edilizio dei centri
abitati o Io sviluppo urbanistico in genere del territorio
dello Stato" (art. 1).
La legge predetta non si limitava più a prevedere la facoltà
riconosciuta ai Comuni di compilare, in presenza di
circostanze particolari, piani di ricostruzioni e di
ampliamento dell'abitato, ma assoggettava a pianificazione
l'intero territorio comunale (che doveva essere suddiviso in
zone funzionali diverse, a seconda della destinazione d'uso
dei terreni) e introdusse una nuova distinzione nell'ambito
della pianificazione, individuando i piani territoriali di
coordinamento (art. 5), i piani regolatori generali (artt. 7
e 8), i piani regolatori generali intercomunali (art. 12) e
i piani regolatori particolareggiati di esecuzione (art.
13).
Con riguardo all'attività costruttiva edilizia, la legge
urbanistica disciplinava compiutamente le modalità di
richiesta e di rilascio della licenza di costruzione (art.
31), facendo obbligo a chiunque nei centri abitati e, in
presenza di un piano regolatore comunale, anche nelle zone
di espansione dell'aggregato urbano previste e regolamentate
dal piano stesso, intendesse eseguire nuove costruzioni,
ampliare, modificare o demolire quelle esistenti o
modificarne la struttura o l'aspetto, di chiedere apposita
licenza al sindaco (art. 31, comma 1).
Il rilascio della licenza edilizia era prescritto per le
sole edificazioni realizzate nei centri abitati e, in
presenza di piano regolatore, anche nelle zone di espansione
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 08.07.2014 n. 1169 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In punto di diritto, il Collegio rileva come l’introduzione del
regime relativo alla necessità di un titolo abilitativo edilizio per
l’esercizio dello ius edificandi è da farsi risalire, in generale, al 1942
per i centri storici con la legge urbanistica e, per tutto il territorio
nazionale, al 1967 in seguito all’entrata in vigore della legge n. 765/1967.
Peraltro, per tutto il territorio del Comune, la necessità del
titolo abilitativo edilizio risale addirittura al 1935 in forza di
regolamento edilizio.
Il Comune già prima del 1942, pur in assenza di una norma
primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per
effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio,
approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di
licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio
comunale.
L'art. 1 del regolamento edilizio del 1935 aveva stabilito, difatti, al
comma 2, che nel territorio del Comune di Napoli, non era permesso eseguire,
senza licenza del Sindaco, e con modalità diverse da quelle stabilite: "a)
costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti;
b) demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o
restauro di edifici esistenti;
c) spostamento o rimozione di elementi di
fabbricato di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico,
archeologico, artistico od anche semplicemente panoramico, e che siano
esposti alla vista del pubblico;
d) restauro, decorazione o attintatura
delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque
visibili da strade giardini, o spazi pubblici;
e) apposizione sulle facciate
esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico, di
fanali insegne ecc....
f) esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere;
g) qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l'igiene e
l'estetica della Città in relazione al contenuto del regolamento”.
Alla stregua di tali considerazioni, le opere oggetto di contestazione
devono ritenersi tutte eseguite senza titolo, in quanto databili ad epoca
per la quale era già stato introdotto nel Comune l’obbligo di dotarsi di
licenza edilizia.
---------------
Riguardo al secondo aspetto, attinente la contestazione dell’epoca di
realizzazione della costruzione, la consulenza tecnica espletata a firma
dell’Ing. Gi.Gu. ha consentito di giungere a conclusioni attendibili sulla
valutazione degli elementi su cui porte ricorrente basava la propria tesi, e
segnatamente delle foto aeree dalle quali lo stesso assumeva desumibile la
presenza di ombre, a suo dire identificative della struttura de qua.
In particolare, l’indagine del consulente ha esattamente riguardato tutti i
corpi di fabbrica presenti nella contestazione di cui al secondo
provvedimento, impugnato con i motivi aggiunti, ancorché durante l’accesso
del 08.11.2012 esperito dinanzi al precedente CTU, fosse stato erroneamente
assunto a base di indagine un grafico ove non era indicata la tettoia,
contraddistinta come corpo C.
Basti in proposito rilevare come le parti non hanno potere dispositivo circa
l’ampiezza dell’indagine affidata dal Collegio al Consulente di ufficio,
indagine che chiaramente involgeva tutti i manufatti oggetto del secondo
ordine di demolizione, che ha sostituito il precedente.
Circa le valutazioni del Consulente di ufficio ing. Gu. sulla databilità
delle strutture, le stesse possono essere pienamente condivise dal Collegio,
in quanto fondate su una scrupolosa disamina delle foto aeree e della
cartografia dal consulente acquisita, e su ampia acquisizione documentale,
oggetto di analisi fondata su validi criteri logici e tecnici.
Al riguardo, dalla relazione di consulenza tecnica di ufficio emerge:
- il corpo verandato A deve distinguersi in una parte sviluppata
verso oriente, da ritenersi realizzata nel periodo 1956-1967, ed in una
porzione occidentale, che risulta realizzata tra il 1981 ed il 1985;
- il corpo B sottostante la tettoia C, è databile solo nel senso
che sia certamente antecedente al 1985;
- la tettoia C è da ritenersi realizzata tra il 1956 ed il 1967.
La medesima parte ricorrente non ha, inoltre, dimostrato, in punto di fatto,
l’effettiva risalenza della specifica opera abusiva a data anteriore.
In punto di diritto, inoltre, il Collegio rileva come l’introduzione del
regime relativo alla necessità di un titolo abilitativo edilizio per
l’esercizio dello ius edificandi è da farsi risalire, in generale, al
1942 per i centri storici con la legge urbanistica e, per tutto il
territorio nazionale, al 1967 in seguito all’entrata in vigore della legge
n. 765/1967 (e non all’anno 1968).
Peraltro, per tutto il territorio del Comune di Napoli, la necessità del
titolo abilitativo edilizio risale addirittura al 1935 in forza di
regolamento edilizio.
Il Comune di Napoli difatti, già prima del 1942, pur in assenza di una norma
primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per
effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio,
approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di
licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio
comunale (TAR Campania–Napoli, Sez. IV, n. 2051/2010; TAR Campania–Napoli,
Sez. IV, 11362/2010; TAR Campania-Napoli, Sez. IV, n. 6879/2009).
L'art. 1 del regolamento edilizio del 1935 aveva stabilito, difatti, al
comma 2, che nel territorio del Comune di Napoli, non era permesso eseguire,
senza licenza del Sindaco, e con modalità diverse da quelle stabilite: "a)
costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti;
b) demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o
restauro di edifici esistenti;
c) spostamento o rimozione di elementi di
fabbricato di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico,
archeologico, artistico od anche semplicemente panoramico, e che siano
esposti alla vista del pubblico;
d) restauro, decorazione o attintatura
delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque
visibili da strade giardini, o spazi pubblici;
e) apposizione sulle facciate
esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico, di
fanali insegne ecc....
f) esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere;
g) qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l'igiene e
l'estetica della Città in relazione al contenuto del regolamento”.
Alla stregua di tali considerazioni, le opere oggetto di contestazione
devono ritenersi tutte eseguite senza titolo, in quanto databili ad epoca
per la quale era già stato introdotto nel Comune di Napoli l’obbligo di
dotarsi di licenza edilizia (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 12.06.2014 n. 3245 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alcuna valenza può attribuirsi al regolamento edilizio
comunale adottato nell'anno 1931 il quale,
non avendo una base legale al momento della sua emanazione e
contrastando con la disciplina sopravvenuta posta dall’art.
31 della legge urbanistica del 1942, deve essere
disapplicato.
Ai fini dell'accertamento della
regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei
centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore
della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma
primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150 del
1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su
tutto il territorio nazionale introducendo l'obbligo di
preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili
ricadenti nei centri abitati.
Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla
disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha
sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303/2003, la
disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei
principi fondamentali della materia edilizia che la
Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V)
riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di
garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto
di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in
coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost.
In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini
fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a
permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può,
invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di
leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni.
Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore
che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al
rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri
abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale
limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i
regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in
quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta
nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.
Peraltro, vi sono fondate ragioni di dubitare anche della
originaria validità delle previsioni dei regolamenti
comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150
del 1942, subordinassero la realizzazione di opere edilizie
al previo ottenimento di una licenza.
Invero, l'art. 111 del r.d. 297 del 1911, che disciplinava
il contento che avrebbero potuto assumere i regolamenti
edilizi comunali, nulla stabiliva in ordine alla possibilità
di assoggettare l'esercizio dello jus aedificandi a permesso
preventivo.
Difettava, perciò, anche allora (1931) in capo ai comuni il
potere di introdurre senza base legale una siffatta (non
indifferente) limitazione al contenuto del diritto di
proprietà del quale l'art. 29 dello Statuto Albertino
sanciva la inviolabilità ammettendone solo l'espropriazione
per ragioni di pubblico interesse e previo indennizzo; prova
ne il fatto che, prima dell'intervento della l. n. 1150 del
1942, l’istituto della licenza edilizia fu disciplinato con
legge prima dal R.D.L. 640 del 1935 (che la rese
obbligatoria nell'ambito dei centri abitati) e poi con il
R.D.L. 2105 del 1937 (che estese il predetto obbligo a tutto
il territorio comunale) poi superato dalla legge urbanistica
del 1942 che è la normativa di riferimento rispetto alla
data di esecuzione delle opere in contestazione.
Le conclusioni di cui sopra non possono, peraltro, essere
superate dal disposto dell'art. 31, comma 5, della L. 47 del
1985 che (soprattutto per esigenze di "cassa") ha esteso la
necessità del condono agli interventi anteriori al 1967 per
i quali fosse stata richiesta anche dai regolamenti edilizi
comunali la licenza di costruzione.
Invero, i regolamenti edilizi a cui fa riferimento la
suddetta norma non possono che essere regolamenti validi in
quanto conformi alla normativa primaria e costituzionale
vigente al momento della loro adozione; e tali, per le
ragioni già dette, non possono considerarsi quei regolamenti
che prima o dopo la l.u. hanno introdotto ex novo un regime
autorizzatorio non previsto dalla legge dello Stato.
Qualora si volesse conferire all'art. 31, comma 5, una
portata retroattiva di convalida di regolamenti
illegittimamente adottati la norma incorrerebbe in seri
problemi di costituzionalità in quanto avrebbe come effetto
quello di attribuire in via retroattiva una patente di
illiceità ad interventi edilizi che, secondo la disciplina
primaria vigente al momento della loro realizzazione, non
avrebbero potuto essere sottoposti ad alcuna autorizzazione.
... per l'annullamento del provvedimento dell'Assessore
all'Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Firenze n.
prot. 2218 in data 24.03.1997, comunicato in data 08.04.1997,
con il quale è stata ingiunta al ricorrente la demolizione
di una serie di manufatti realizzati sul fondo di sua
proprietà sito in Firenze, Via ....
...
Nel merito il ricorso è fondato.
In particolare, merita favorevole ed assorbente
considerazione il quarto motivo di ricorso con il quale il
Sig. M. afferma che le opere di cui è stata ordinata la
demolizione, all'epoca in cui furono eseguiti i lavori,
(inizio degli anni '60 del 1900), potevano essere
legittimamente realizzate senza necessità di alcun titolo
edilizio in quanto l'art. 31 della L. 1150 del 1942, nel
testo allora vigente, non prescriveva il rilascio della
licenza edilizia per le costruzioni realizzate su terreni
ricadenti al di fuori del centro abitato.
In linea di fatto l'affermazione contenuta nel motivo
risulta suffragata dal verbale degli agenti di P.M. che
hanno redatto il verbale di accertamento e non puntualmente
contestata dal Comune di Firenze durante il corso del
procedimento e nelle memorie depositate in giudizio.
Il Comune di Firenze contesta, invece, la tesi del
ricorrente in linea di diritto, affermando che nel suo
territorio l'obbligo di ottenere un permesso edilizio anche
per le costruzioni realizzate al di fuori del centro abitato
vigeva ancor prima della entrata in vigore della L. 765 del
1967 (che, modificando le originarie previsioni dell'art. 31
della l.u., ha esteso a tutto il territorio comunale il
sistema di controllo preventivo delle nuove costruzioni), in
quanto previsto da un regolamento edilizio risalente al
1931.
Si tratta di una tesi che il Collegio non condivide.
Come questo Tribunale ha in altre occasioni affermato, ai
fini dell'accertamento della regolarità edilizia di
manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca
anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967,
assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di
cui all'art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato
la materia con efficacia cogente su tutto il territorio
nazionale introducendo l'obbligo di preventivo titolo
abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri
abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana,
III, 29/01/2009 n. 92, id. 04/02/2011 n. 197).
Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla
disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha
sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003,
la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei
principi fondamentali della materia edilizia che la
Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V)
riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di
garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto
di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in
coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost.
In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini
fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a
permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può,
invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di
leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni.
Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore
che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al
rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri
abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale
limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i
regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in
quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta
nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.
Peraltro, vi sono fondate ragioni di dubitare anche della
originaria validità delle previsioni dei regolamenti
comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150
del 1942, subordinassero la realizzazione di opere edilizie
al previo ottenimento di una licenza.
Invero, l'art. 111 del r.d. 297 del 1911, che disciplinava
il contento che avrebbero potuto assumere i regolamenti
edilizi comunali, nulla stabiliva in ordine alla possibilità
di assoggettare l'esercizio dello jus aedificandi a permesso
preventivo.
Difettava, perciò, anche allora (1931) in capo ai comuni il
potere di introdurre senza base legale una siffatta (non
indifferente) limitazione al contenuto del diritto di
proprietà del quale l'art. 29 dello Statuto Albertino
sanciva la inviolabilità ammettendone solo l'espropriazione
per ragioni di pubblico interesse e previo indennizzo; prova
ne il fatto che, prima dell'intervento della l. n. 1150 del
1942, l’istituto della licenza edilizia fu disciplinato con
legge prima dal R.D.L. 640 del 1935 (che la rese
obbligatoria nell'ambito dei centri abitati) e poi con il
R.D.L. 2105 del 1937 (che estese il predetto obbligo a tutto
il territorio comunale) poi superato dalla legge urbanistica
del 1942 che è la normativa di riferimento rispetto alla
data di esecuzione delle opere in contestazione.
Le conclusioni di cui sopra non possono, peraltro, essere
superate dal disposto dell'art. 31, comma 5, della L. 47 del
1985 che (soprattutto per esigenze di "cassa") ha esteso la
necessità del condono agli interventi anteriori al 1967 per
i quali fosse stata richiesta anche dai regolamenti edilizi
comunali la licenza di costruzione.
Invero, i regolamenti edilizi a cui fa riferimento la
suddetta norma non possono che essere regolamenti validi in
quanto conformi alla normativa primaria e costituzionale
vigente al momento della loro adozione; e tali, per le
ragioni già dette, non possono considerarsi quei regolamenti
che prima o dopo la l.u. hanno introdotto ex novo un regime
autorizzatorio non previsto dalla legge dello Stato.
Qualora si volesse conferire all'art. 31, comma 5, una portata
retroattiva di convalida di regolamenti illegittimamente
adottati la norma incorrerebbe in seri problemi di
costituzionalità in quanto avrebbe come effetto quello di
attribuire in via retroattiva una patente di illiceità ad
interventi edilizi che, secondo la disciplina primaria
vigente al momento della loro realizzazione, non avrebbero
potuto essere sottoposti ad alcuna autorizzazione.
Nel caso di specie, pertanto, alcuna valenza può attribuirsi
all'art. 1 del regolamento edilizio del comune di Firenze
adottato con atto podestarile del 29.12.1931 il quale,
non avendo una base legale al momento della sua emanazione e
contrastando con la disciplina sopravvenuta posta dall’art.
31 della legge urbanistica del 1942 deve essere
disapplicato.
I manufatti di cui all'impugnata ordinanza di demolizione
devono ritenersi, pertanto, legittimamente edificati in
conformità alle previsioni legislative vigenti al momento
della loro realizzazione e deve, quindi, essere dichiarata
la illegittimità dell’ordinanza impugnata che ne ha ingiunto
la demolizione
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.05.2014 n. 899 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Trattandosi
di opere edilizie abusive ed avendo la violazione delle
norme edilizie natura di illecito permanente,
l’amministrazione, nell’esercitare il potere repressivo, è
tenuta ad applicare la disciplina in vigore al momento
dell’adozione del provvedimento.
Essendo peraltro pacifico che, in ragione della natura, non
propriamente sanzionatoria bensì ripristinatoria della
legalità oggettiva violata dall’abuso, del provvedimento che
ingiunge la demolizione di un’opera abusiva, il principio
dell’irretroattività delle sanzioni amministrative previsto
dalla L. n. 689/1981 non sia applicabile alle misure
repressive degli abusi edilizi.
---------------
Nel caso in esame trova dunque piena e coerente applicazione
l’attuale art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 che disciplina gli
interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello
Stato o di enti pubblici, e dispone che qualora sia
accertata la realizzazione di interventi in assenza di
permesso di costruire o di denuncia di inizio attività,
ovvero in totale o parziale difformità dai medesimi, su
suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti
pubblici, debba essere ordinata al responsabile dell'abuso
la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Tale disciplina, differente rispetto a quella ordinaria
dettata dall'art. 31 del t.u. dell'edilizia e che non
prevede l'irrogazione di sanzioni pecuniarie, trova la sua
giustificazione nella peculiare gravità della condotta
sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su
suoli pubblici.
---------------
Anche ammettendo che la costruzione (ndr: abusiva) sia stata
realizzata prima del 1967, era in vigore il Regolamento
Edilizio del Comune del 1929, che già da allora prescriveva
la preventiva autorizzazione del Podestà per la
realizzazione di qualsiasi opera edilizia nel territorio
comunale.
Né può fondatamente sostenersi che tale regolamento fosse
divenuto illegittimo e non più applicabile una volta entrata
in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art. 31, limitava la
necessità della licenza edilizia all’attività edificatoria
svolta all’interno dei centri abitati e nelle zone di
espansione previste dai piani.
Infatti, la previsione di una pianificazione e di un
controllo obbligatori limitata ai centri abitati, certamente
non impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi
di una tipica prerogativa ad essi spettante.
4. Con il secondo motivo il ricorrente oppone la violazione
dell’art. 31 della L. n. 1150/1942, in quanto le opere in
questione erano state realizzate in epoca anteriore al 1967
e, pertanto, le stesse non necessitavano di alcun titolo
edificatorio, atteso che l'art. 31 della legge n. 1150/1942,
nella sua formulazione originaria, prescriveva l'obbligo
della licenza edilizia solo nell'ambito dei centri abitati e
ove esistesse il piano regolatore comunale.
In ogni caso, secondo il ricorrente, la legge dell’epoca del
compimento dell’abuso ipotizzava il pagamento di una mera
sanzione pecuniaria.
4.1. Le tesi proposte sono destituite di fondamento, dal
momento che anche ammettendo che la costruzione sia stata
realizzata prima del 1967, era in vigore il Regolamento
Edilizio del Comune di Venezia del 1929, che già da allora
(come rilevato dall’amministrazione nel corso del
procedimento), prescriveva la preventiva autorizzazione del
Podestà per la realizzazione di qualsiasi opera edilizia nel
territorio comunale.
4.1.2. Né può fondatamente sostenersi che tale regolamento
fosse divenuto illegittimo e non più applicabile una volta
entrata in vigore la L. n. 1150/1942, che, all’art. 31,
limitava la necessità della licenza edilizia all’attività
edificatoria svolta all’interno dei centri abitati e nelle
zone di espansione previste dai piani.
Infatti, la previsione di una pianificazione e di un
controllo obbligatori limitata ai centri abitati, certamente
non impediva ai Comuni di estendere all’intero territorio
comunale (anticipando il contenuto della L. n. 765 del 1967)
il potere di pianificazione e controllo dell’attività
edilizia, con il conseguente obbligo di licenza, trattandosi
di una tipica prerogativa ad essi spettante.
4.2. Inoltre, non va dimenticato che le opere abusive in
questione (bilancione da pesca, capanno attrezzi e pontile)
insistono su suolo appartenente al demanio marittimo, e che,
nel periodo ante 1967 in cui secondo il ricorrente sarebbero
state realizzate le opere in questione, la necessità di un
ulteriore titolo abilitativo era prevista dal Codice della
Navigazione (del 1942) dove, all'art. 55, si prevedeva che “l'esecuzione
di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio
marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è
sottoposta all'autorizzazione del capo del compartimento”.
Anche di tale autorizzazione dell’autorità marittima
competente non v’è traccia alcuna nella documentazione
depositata.
Né tale titolo può ritenersi insito nelle varie concessioni
lagunari di volta in volta rilasciate dal Magistrato delle
Acque, le quali attribuiscono ai vari titolari succedutisi
solo un titolo di disponibilità temporanea delle opere in
questione, senza interferire sul diverso piano della
regolarità urbanistico-edilizia delle stesse (cfr. TAR
Veneto: 11.12.2013 n. 1395; 28.11.2013 n. 1333).
4.3. Ne consegue che, trattandosi di opere edilizie abusive
ed avendo la violazione delle norme edilizie natura di
illecito permanente, l’amministrazione, nell’esercitare il
potere repressivo, è tenuta ad applicare la disciplina in
vigore al momento dell’adozione del provvedimento. Essendo
peraltro pacifico che, in ragione della natura, non
propriamente sanzionatoria bensì ripristinatoria della
legalità oggettiva violata dall’abuso, del provvedimento che
ingiunge la demolizione di un’opera abusiva, il principio
dell’irretroattività delle sanzioni amministrative previsto
dalla L. n. 689/1981 non sia applicabile alle misure
repressive degli abusi edilizi.
4.3.2. Nel caso in esame trova dunque piena e coerente
applicazione l’attuale art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 che
disciplina gli interventi abusivi realizzati su suoli di
proprietà dello Stato o di enti pubblici, e dispone che
qualora sia accertata la realizzazione di interventi in
assenza di permesso di costruire o di denuncia di inizio
attività, ovvero in totale o parziale difformità dai
medesimi, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato
o di enti pubblici, debba essere ordinata al responsabile
dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei
luoghi. Tale disciplina, differente rispetto a quella
ordinaria dettata dall'art. 31 del t.u. dell'edilizia e che
non prevede l'irrogazione di sanzioni pecuniarie, trova la
sua giustificazione nella peculiare gravità della condotta
sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su
suoli pubblici (cfr. TAR Abruzzo-Pescara - Sez. I,
14.01.2010, n. 23)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 30.01.2014 n. 121 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA
PRIVATA: L’art.
31 L. 1150/1942, prima dell’entrata in vigore della l.
765/1967, consentiva al ricorrente di costruire senza alcun
titolo abilitativo, in quanto l’area interessata era posta
fuori del centro abitato.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa consolidata ha
evidenziato che solo dopo l'entrata in vigore dell'art 10
legge 06.08.1967 n 765, che ha soppresso la limitazione
contenuta nell'art. 31 legge 17.08.1942 n 1150, la licenza
edilizia è necessaria anche quando si tratta di costruzione
da erigere fuori del centro abitato.
E’ fondato, invece, il secondo
motivo di ricorso, con cui il ricorrente impugna il
provvedimento, deducendone l’illegittimità per difetto di
motivazione.
L’amministrazione ha emesso l’ordinanza ingiunzione al
pagamento di sanzione pecuniaria sul presupposto che il
ricorrente avesse realizzato il fabbricato in argomento “in
sostanziale difformità” rispetto a quanto all’epoca
autorizzato con Licenza edilizia n. 114/1967 del 24.02.1967
e in zona sottoposta a vincolo ambientale.
L’art. 31 L. 1150/1942, prima dell’entrata in vigore della
l. 765/1967, consentiva al ricorrente di costruire senza
alcun titolo abilitativo, in quanto l’area interessata era
posta fuori del centro abitato. Sul punto la giurisprudenza
amministrativa consolidata ha evidenziato che solo dopo
l'entrata in vigore dell'art 10 legge 06.08.1967 n 765, che
ha soppresso la limitazione contenuta nell'art. 31 legge
17.08.1942 n 1150, la licenza edilizia è necessaria anche
quando si tratta di costruzione da erigere fuori del centro
abitato (cfr., Cons. Stato sez. 05, n. 865 del 24/10/1980).
Ne deriva, pertanto, che è dirimente, nel caso di specie,
verificare la data del presunto abuso edilizio, in quanto il
ricorrente ha ottenuto la licenza edilizia in data
24.02.1967 per la costruzione di un fabbricato rurale al di
fuori del centro abitato e, quindi, prima dell’entrata in
vigore della L. 765/1967. Ai sensi dell’art. 31 L.
1150/1942, come detto, non era necessario alcun titolo
abilitativo per le costruzioni al di fuori dei centri
abitati e, pertanto, l’eventuale costruzione realizzata dal
ricorrente in difformità della licenza edilizia non avrebbe
alcun rilievo. Inoltre, il vincolo ambientale è stato
imposto con DM del 20.06.1967 ed è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 10.07.1967 e, quindi, in data
successiva al rilascio della licenza edilizia. Ne deriva che
il vincolo in argomento non poteva operare riguardo alla
costruzione del ricorrente se realizzata in data anteriore
alla previsione del vincolo.
Il provvedimento amministrativo impugnato non dà conto in
maniera adeguata della data degli abusi, limitandosi a
richiamare acriticamente la relazione tecnica del 28.03.1996
e il parere legale del 09.07.1996, che fa un ulteriore
rinvio a diverso parere legale del 04.12.1995.
Inoltre, anche la relazione tecnica del 28.03.1996 non fa
alcuna menzione della data degli abusi, mentre il parere
legale del 04.12.1995, che fa risalire l’abuso contestato “ad
epoca compresa tra il marzo ’74 ed il luglio ‘77”, non è
compiutamente motivato, ricollegando la data degli abusi
alla richiesta del ricorrente di ottenere l’abitabilità di
una “casa” (risalente del marzo 1974) e alla
ulteriore comunicazione del ricorrente (risalente al luglio
1977) di voler procedere alla sistemazione interna di un
fabbricato destinato a plurialloggi bar e ristorante, che di
per sé non possono essere considerati elementi dirimenti.
Inoltre, non può essere sottaciuto che nessuna prova diretta
della data dell’abuso sussiste, ma solo presunzioni, come
detto non condivisbili, derivanti dalla circostanza che
l’accertamento dello stato dei luoghi è stato effettuato
dall’amministrazione solo in data 28.3.1996 e, quindi, a
distanza di ben trent’anni dal rilascio della licenza
edilizia.
Ne deriva, pertanto, che il provvedimento amministrativo
impugnato va annullato perché illegittimo, non avendo
l’amministrazione compiutamente esposto le ragioni che hanno
condotto a ritenere abusive le opere realizzate dal
ricorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 07.02.2013 n. 373 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’obbligo di
richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire)
per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto
dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale.
Conseguentemente, è illegittima l'ordinanza demolitoria
emessa in relazione ad un immobile realizzato in data
antecedente al settembre 1967, ossia precedente
all'introduzione dell'obbligo di ottenere la licenza
edilizia per immobili siti al di fuori dei centri abitati.
Invero, come evidenziato da costante giurisprudenza (cfr.
TAR Napoli, Sez. VI, n. 17416 del 15.09.2010), “l’obbligo
di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di
costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato
introdotto dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale.
Conseguentemente, è illegittima l'ordinanza demolitoria
emessa in relazione ad un immobile realizzato in data
antecedente al settembre 1967, ossia precedente
all'introduzione dell'obbligo di ottenere la licenza
edilizia per immobili siti al di fuori dei centri abitati”
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 31.01.2013 n. 321 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: risposta a quesito relativo al carattere abusivo
di un edificio costruito nel 1938 e ricostruito nel 1948
(Regione Emilia Romagna,
parere 19.10.2011 n. 253784 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Definizione
di "centro abitato" ai fini della necessità della
licenza edilizia ante legge Ponte (765/1967) ed in assenza
del P. di F.
La determina dirigenziale definisce, con effetto
ricognitivo, il perimetro del centro abitato con riferimento
al 1942 e sino all’anno precedente all’entrata in vigore
della legge n. 765/1967, al fine di chiarire per tale
periodo in quali zone, ai sensi dell’art. 31 della legge n.
1150/1942, occorreva la licenza edilizia nonostante la
mancanza di piano regolatore generale.
All’epoca in cui sono state ultimate le opere de quibus,
dichiarata dall’interessato e non contestata con l’impugnato
provvedimento, vigeva infatti il citato art. 31, il quale
imponeva la licenza edilizia, indipendentemente
dall’esistenza di un piano regolatore, a chiunque volesse
eseguire nuove costruzioni o modificare quelle esistenti
situate nei centri abitati.
Quest’ultimi vanno identificati nella situazione di fatto
esistente, costituita da case continue e vicine, con
interposte strade, piazze e simili, a prescindere
dall’esistenza di una delibera di perimetrazione antecedente
alla realizzazione del manufatto.
Con la prima censura il ricorrente sostiene che la
costruzione dei manufatti in argomento, risalendo al 1965
(ovvero essendo precedente all’entrata in vigore dell’art.
10 della legge n. 765/1967) e ricadendo al di fuori del
centro abitato, non richiede titolo edilizio; aggiunge che
non rileva l’individuazione del centro abitato di cui alla
determina comunale n. 301 del 10/04/2008, in quanto la
stessa descrive uno stato dei luoghi successivo all’abuso
edilizio commesso e, comunque, non può avere applicazione
retroattiva.
Il motivo è infondato.
La predetta determina definisce, con effetto ricognitivo, il
perimetro del centro abitato con riferimento al 1942 e sino
all’anno precedente all’entrata in vigore della legge n.
765/1967, al fine di chiarire per tale periodo in quali
zone, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150/1942,
occorreva la licenza edilizia nonostante la mancanza di
piano regolatore generale.
All’epoca in cui sono state ultimate le opere de quibus,
dichiarata dall’interessato e non contestata con l’impugnato
provvedimento, vigeva infatti il citato art. 31, il quale
imponeva la licenza edilizia, indipendentemente
dall’esistenza di un piano regolatore, a chiunque volesse
eseguire nuove costruzioni o modificare quelle esistenti
situate nei centri abitati.
Quest’ultimi vanno identificati nella situazione di fatto
esistente, costituita da case continue e vicine, con
interposte strade, piazze e simili, a prescindere
dall’esistenza di una delibera di perimetrazione antecedente
alla realizzazione del manufatto (TAR Lombardia, Milano, II,
09/03/2009, n. 1768).
Orbene, la contestata determinazione n. 301/2008 si richiama
ad una cartografia del 1957 e delimita il centro abitato
quale risultante negli anni 1942, 1957 e 1969 (documento n.
11 depositato in giudizio dal deducente). Del resto, nella
stessa perizia tecnica prodotta dall’interessato (documento
n. 9) si afferma che la zona in questione è stata la prima
ad adattarsi dal punto di vista urbanistico ed edilizio, nel
dopoguerra, all’avvento del turismo nel Comune di Forte dei
Marmi
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 04.02.2011 n. 202 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Al momento della realizzazione delle opere
abusive, non risultanti ricadere all’interno di un centro
abitato e quindi non assoggettate all’obbligo di licenza
edilizia dall’art. 31 della legge n. 1150/1942, il Comune
non era dotato di alcun piano regolatore; l’unica norma
edilizia comunale antecedente ai suddetti manufatti era
costituita dall’art. 1 del regolamento edilizio approvato il
26/10/1932, che prevedeva il nulla osta per gli edifici da
costruire in qualsiasi zona del territorio comunale.
Orbene, la legge 17/08/1942, n. 1150 ha introdotto una
disciplina unitaria dell’attività urbanistica, stabilendo
per la prima volta l’obbligo generalizzato di richiedere la
licenza edilizia, limitatamente ai centri abitati e alle
zone di espansione del piano regolatore. La legislazione
successiva (tra cui la legge n. 765/1967, che sancisce
l’obbligo di pianificazione e di licenza sull’intero
territorio comunale) si è innestata sulla legge del 1942,
lasciandone intatta la struttura e la caratteristica di
disciplina generale della materia urbanistica.
Anche la legge n. 47/1985 ha considerato come legge generale
di riferimento la predetta legge n. 1150/1942, la quale
rappresenta l’unico parametro identico per tutti i casi al
fine di valutare il carattere abusivo dell’opera realizzata,
altrimenti esposta alle disparità di trattamento derivanti
da normative locali, antecedenti alla legge urbanistica,
difformi tra loro, e spesso ispirate, laddove prevedono un
generalizzato nulla osta, ad esigenze di tutela igienico
sanitaria, più che a pianificati criteri urbanistici.
Ciò premesso il Collegio, aderendo all’orientamento espresso
dal Consiglio di Stato, ritiene che non sarebbero conformi
al principio di ragionevolezza né una disciplina impositiva
dell’obbligo generalizzato di richiedere il condono edilizio
in mancanza di un parametro, anch’esso generalizzato,
dell’uguaglianza delle situazioni considerate dalla legge,
né una legislazione che non ponga alcun limite temporale
alla possibilità di sanzionare abusi commessi prima
dell’entrata in vigore della legge n. 765/1967.
Pertanto, il parametro di riferimento non può essere
individuato nei regolamenti edilizi preesistenti al 1942,
anche a prescindere dalla loro vigenza successivamente alla
legge urbanistica.
Il ricorrente ha realizzato nel terreno di sua proprietà,
avente destinazione agricola, i seguenti manufatti: nel 1955
un locale adibito a deposito di prodotti agricoli; nel 1960
un locale utilizzato come deposito di macchine agricole; nel
1964 un locale adibito a deposito di macchine agricole e a
preparazione di ortaggi.
L’interessato, in data 17/04/1986, ha presentato istanza di
condono edilizio avente ad oggetto le suddette opere.
Con provvedimento del 23/09/1998 il Comune di Scandicci ha
negato il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica,
precisando che alle opere abusive la cui sanatoria non è
autorizzata sarebbero state applicate le sanzioni previste
dall’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985.
...
Con la prima censura il ricorrente deduce che i manufatti in
questione sono stati realizzati in assenza di un piano
regolatore o di una norma urbanistica che obbligava al
preventivo rilascio di licenza edilizia; aggiunge che tale
circostanza, unitamente all’istituzione del vincolo
paesaggistico nel 1965, ovvero in epoca successiva alla
costruzione dei manufatti medesimi, fa sì che quest’ultimi
non siano qualificabili come abusi edilizi, con la
conseguenza che esulano dall’ambito di applicazione
dell’art. 31 della legge n. 47/1985.
Il motivo è fondato.
Al momento della realizzazione delle opere abusive, non
risultanti ricadere all’interno di un centro abitato e
quindi non assoggettate all’obbligo di licenza edilizia
dall’art. 31 della legge n. 1150/1942, il Comune di
Scandicci non era dotato di alcun piano regolatore; l’unica
norma edilizia comunale antecedente ai suddetti manufatti
era costituita dall’art. 1 del regolamento edilizio
approvato il 26/10/1932, che prevedeva il nulla osta per gli
edifici da costruire in qualsiasi zona del territorio
comunale.
Orbene, la legge 17/08/1942, n. 1150 ha introdotto una
disciplina unitaria dell’attività urbanistica, stabilendo
per la prima volta l’obbligo generalizzato di richiedere la
licenza edilizia, limitatamente ai centri abitati e alle
zone di espansione del piano regolatore. La legislazione
successiva (tra cui la legge n. 765/1967, che sancisce
l’obbligo di pianificazione e di licenza sull’intero
territorio comunale) si è innestata sulla legge del 1942,
lasciandone intatta la struttura e la caratteristica di
disciplina generale della materia urbanistica.
Anche la legge n. 47/1985 ha considerato come legge generale
di riferimento la predetta legge n. 1150/1942, la quale
rappresenta l’unico parametro identico per tutti i casi al
fine di valutare il carattere abusivo dell’opera realizzata,
altrimenti esposta alle disparità di trattamento derivanti
da normative locali, antecedenti alla legge urbanistica,
difformi tra loro, e spesso ispirate, laddove prevedono un
generalizzato nulla osta, ad esigenze di tutela igienico
sanitaria, più che a pianificati criteri urbanistici.
Ciò premesso il Collegio, aderendo all’orientamento espresso
dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, V, 21/10/1998, n.
1514), ritiene che non sarebbero conformi al principio di
ragionevolezza né una disciplina impositiva dell’obbligo
generalizzato di richiedere il condono edilizio in mancanza
di un parametro, anch’esso generalizzato, dell’uguaglianza
delle situazioni considerate dalla legge, né una
legislazione che non ponga alcun limite temporale alla
possibilità di sanzionare abusi commessi prima dell’entrata
in vigore della legge n. 765/1967.
Pertanto, il parametro di riferimento non può essere
individuato nei regolamenti edilizi preesistenti al 1942,
anche a prescindere dalla loro vigenza successivamente alla
legge urbanistica (Cons. Stato, V, 21/10/1998, n. 1514; TAR
Campania, Napoli, II, n. 6555/2005; TAR Veneto, I,
15/05/1990, n. 534).
In conclusione, il ricorso va accolto, restando assorbite le
censure non esaminate. Per l’effetto, deve essere annullato
l’impugnato diniego (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 04.02.2011 n. 197 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Giova
sottolineare come la nozione di libertà di costruire in
epoca antecedente la legge urbanistica del 1942 sia stata
affermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con
espresso riguardo alla situazione di fatto dell’immobile in
contestazione, che, essendo casa colonica, doveva essere
allocato, quanto meno al momento della costruzione, in zona
agricola.
Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe
certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la
libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione
urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al
diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che
probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini
assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato
Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del
1865).
Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò
ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse,
infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più
di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
Quella remota disciplina contemplava due tipi: il piano
regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti
rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti
rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre
un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus
aedificandi doveva comunque tener conto.
Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo pianificatorio altre, con diversa normativa, furono
previste, soprattutto con atti regolamentari per
l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti
furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti
sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi
delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno
strumento conformativo seppure indiretto rispetto
all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi
risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111
(quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della
legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma
utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico
03.03.1934, n. 383.
Un
ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico,
va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n.
2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto
e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti
legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi
città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si
conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640
(art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6)
che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del
sindaco (podestà) per le edificazioni.
Accanto alle considerazioni storiche e prima di
esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della
vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive
e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e
fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed
edilizia.
E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma
quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R.
06.06.2001, n.
380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare
norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di
strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio,
riducendo e quanto meno depotenziando in modo significativo
il diritto di edificare del privato, sulla base del
principio che, relativamente ai suoli privi di qualsivoglia
regolamentazione, opera pur sempre una disciplina suppletiva
di salvaguardia dagli eccessi di intensificazione.
---------------
L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato dopo
l’entrata in vigore del d.m. 02.04.1968, che ha fissato gli
standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una
organica regolamentazione della densità edilizia
(territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello
strumento pianificatorio, ma non implica una risposta
univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a
loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in
altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
La densità territoriale, in particolare, è riferita a
ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di
edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non rileva
certo la sussistenza o meno del prescritto titolo
autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la
reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in
concreto accertato.
Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione,
anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al
computo complessivo della densità territoriale.
---------------
... per la riforma della sentenza 30.01.2007, n. 123 del
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sede di
Milano sez. II.
...
55. Il primo quesito coinvolge la computabilità nella
volumetria assentibile, secondo l’indice di densità
fondiaria in vigore, di una costruzione con area di sedime
coincidente con il mappale sulla quale insiste (655) per
essere stata censita nel 1858.
56. Si è invero osservato come l’edificio posto sul citato
mappale 655 è stato eretto ben prima della legge urbanistica
n. 1150 del 1942, quando cioè lo jus aedificandi era
considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà: a
tale stregua, la totale occupazione dell’area del mappale
655 da parte della casa colonica censita nel 1858 nel
catasto lombardo veneto dovrebbe impedire l’instaurarsi di
qualsivoglia pertinenza e, per l’effetto, di possibili
asservimenti.
57. In questa prospettiva, costruzione ed area divengono
unica res caratterizzata, nel tessuto urbanistico-edilizio della zona, da specificità e autonomia tali da
escludere che si tenga conto della relativa volumetria in
relazione alla densità fondiaria in vigore.
58. Il Collegio non ritiene che la proposizione del quesito,
quanto meno nei termini appena esposti, possa rivelarsi
decisiva per la soluzione del caso.
59. Giova, in primo luogo, sottolineare come la nozione di
libertà di costruire in epoca antecedente la legge
urbanistica del 1942 sia stata affermata dalla IV Sezione
del Consiglio di Stato con espresso riguardo alla situazione
di fatto dell’immobile in contestazione, che, essendo casa
colonica, doveva essere allocato, quanto meno al momento
della costruzione, in zona agricola;
60. Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe
certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la
libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione
urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al
diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che
probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini
assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato
Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del
1865).
61. Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò
ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse,
infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più
di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
62. Quella remota disciplina contemplava due tipi: il
piano
regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti
rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
63. Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti
rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre
un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro
conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus
aedificandi doveva comunque tener conto.
64. Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo
pianificatorio altre, con diversa normativa, furono
previste, soprattutto con atti regolamentari per
l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti
furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
65. Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti
sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi
delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno
strumento conformativo seppure indiretto rispetto
all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi
risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111
(quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della
legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma
utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico
03.03.1934, n. 383.
66. Un
ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico,
va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n.
2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto
e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti
legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi
città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
67. Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si
conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640
(art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6)
che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del
sindaco (podestà) per le edificazioni.
68. Accanto alle considerazioni storiche e prima di
esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della
vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive
e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e
fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed
edilizia.
69. E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma
quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R.
06.06.2001, n.
380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare
norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di
strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio, riducendo e quanto meno depotenziando in
modo significativo il diritto di edificare del privato,
sulla base del principio che, relativamente ai suoli privi
di qualsivoglia regolamentazione, opera pur sempre una
disciplina suppletiva di salvaguardia dagli eccessi di
intensificazione (C.d.S., IV, 10.12.2007, n. 6339,
C.d.S., V, 14.10.2005, n. 5801; Cd.S., IV, 09.08.2005, n. 4232).
70. La sintetica esposizione delle principali fonti
normative antecedenti il codice civile (art. 869 e seguenti)
e la normazione urbanistica (legge 10.08.1942, n. 1150)
nonché il richiamo alle successive evoluzioni consentono di
chiarire un profilo metodologico di rilievo ai fini della
decisione: essere cioè quanto meno perplessa la possibilità
di risolvere la questione giuridica prospettata sulla base
della legislazione previgente e del titolo in base al quale
ab origine fu edificato il mappale 655.
71. Quest’ultimo, nel corso del tempo, si è successivamente
trasformato da casa colonica quale risulta nel catasto
lombardo veneto nel 1858 (e prima ancora da terreno agricolo
secondo il catasto teresiano vigente nei primi anni del
secolo diciannovesimo) in edificio a varie destinazioni
(della quale quella a portineria di villa Dajelli è
contestata) fino a divenire privata abitazione del professor
Va., secondo una prassi un tempo assai diffusa di
riadattamento di un immobile originariamente destinato
all’agricoltura o a deposito (come testimoniano, è dato
enunciabile come fatto notorio, i molti fienili trasformati
in gradevoli e talora lussuose residenze private).
72. Se, d’altro canto, l’immobile era originariamente una
casa colonica, la sua collocazione nel 1858 in piena
campagna implica che il relativo dato catastale non assuma
rilievo per definire la computabilità o meno della relativa
volumetria: le zone agricole fuori dell’abitato non
soggiacevano comunque a una disciplina edilizia così che il
porre la problematica dell’asservimento finirebbe
necessariamente per rivelarsi un fuor d’opera.
73. E’ invero assai difficile riportare in un contesto
unitario (quale quello della disciplina urbanistica del
piano regolatore di Varenna del 1996) situazioni e fatti
collocati in un diverso spazio temporale che diviene, quasi
in modo diacronico, anche diverso spazio fisico, quanto meno
sotto il profilo della regolamentazione e delle connesse
qualificazioni.
74. La legge dell’incessante divenire impone di non
sovrapporre due situazioni la cui riconducibilità al più
antico dato catastale non è connotata da tratti specifici
rispetto ad altri complessivi elementi di valutazione.
75- Pur espungendo dalla formulazione del punto di diritto
la peculiarità storica della collocazione catastale, non si
otterrebbe in ogni caso un quadro ordinamentale sicuro e
completo in ragione del quale assicurare una definitiva e
soddisfacente risposta.
76. Ciò si deve alla coerente premessa metodologica
dell’ordinanza di rimessione tratta dai principi in materia
di asservimento, con particolare riguardo al caposaldo che
connette il relativo vincolo con il provvedimento edilizio
abilitativo.
77. L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato
dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità
delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione
della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
78. La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello
strumento pianificatorio, ma non implica una risposta
univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a
loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in
altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
79. La densità territoriale, in particolare, è riferita a
ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di
edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
80. Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non
rileva certo la sussistenza o meno del prescritto titolo
autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la
reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in
concreto accertato.
81. Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione,
anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al
computo complessivo della densità territoriale (C.d.S., IV,
26.09.2008, n. 4647; IV, 29.07.2008, n. 3766; IV,
12.05.2008, n. 2177; IV, 11.12.2007, n. 6346; V,
27.06.2006, n. 4117; V, 12.07.2005, n. 3777: V, 12.07.2004, n. 5039; IV,
06.09.1999, n. 1402).
82. Con riguardo a quella specie di densità, l’edificio
posto sul mappale 655 è stato senz’altro oggetto di calcolo
da parte del Comune di Varenna in sede di concreta
determinazione della volumetria ammessa per la zona.
83. Il
problema insorge, come riferito nell’ordinanza in epigrafe,
per la commisurazione della volumetria assentibile in base
alla densità fondiaria.
84. Quest’ultima è riferita alla singola area e definisce il
volume massimo consentito sulla stessa, l’indice della quale
(c.d. indice di fabbricabilità) va applicato sull’effettiva
superficie suscettibile di edificazione.
85. Per eseguire tale operazione l’interprete non può certo
attestarsi sugli elementi originari di formazione
dell’edificio e sulla situazione catastale del 1858: questi
ultimi sono soggetti a troppe variabili, prima tra tutte
quella temporale, in esito alla quale lo stato dei luoghi
attuale, ancorché apparentemente simile a quello distinto
nelle registrazioni del 1858, potrebbe rivelarsi discontinuo
e sottoposto a un diverso regime.
86. Le risultanze catastali comparate a distanza di circa
centocinquanta anni servono, in definitiva, a chiarire due
dati, nessuno dei quali peraltro, si rivela decisivo: la
legittima carenza di un provvedimento autorizzatorio o
comunque abilitativo della costruzione e, parimenti, la
costante insistenza e individuazione, nel lungo lasso di
tempo, del fabbricato sul medesimo mappale.
87. Questi elementi riguardano una situazione antecedente
l’individuazione dei limiti inderogabili di densità
edilizia come introdotti nell’ordinamento dal d.m. 02.04.1968, n. 1444 in attuazione dei precetti recati
dall’articolo 17 della legge 06.08.1967, n. 765.
88. In via di larga massima si osserva, relativamente
all’inesistenza (e all’impossibilità di esistenza ratione
temporis) di un atto che determini l’asservimento
pertinenziale, come la situazione originaria possa trovare
smentita in atti successivamente adottati nel lungo arco
temporale limitato, ai fini della disamina, all’entrata in
vigore del citato decreto ministeriale 02.04.1968, n.
1444 o alla prima disciplina urbanistica introdotta nel
Comune (generalmente attraverso un programma di
fabbricazione).
89. In questa ipotesi e rispetto al periodo antecedente le
date sopra indicate, possono in astratto comprendersi, oltre
le citate determinazioni pianificatorie del Comune, atti e
negozi di privati, non necessariamente preordinati
all’asservimento in senso tecnico dell’area o di una parte
di essa.
90. Potrebbero assumere rilievo, in questo senso, atti come
la destinazione a pertinenza ex art. 817 c.c., la
costituzione di servitù prediale, prevista dagli articoli
1027 e seguenti del codice civile nonché tutti gli atti che
implichino un’incidenza sull’immobile, mentre debbono
considerarsi sempre irrilevanti, a questi fini, le vicende
civilistiche inerenti la titolarità del bene (tra le tante:
C.d.S., V, 02.09.2005, n. 4442).
91. Tutte le volte che l’area sia interessata da atti di
tale natura, potrebbero determinarsi effetti sulla concreta
edificabilità: una parte del terreno potrebbe perdere, in
ragione del vincolo ad essa imposto anche iure privatorum,
l’idoneità ad essere astrattamente utilizzabile per una
costruzione e, conseguentemente, a formare oggetto di
eventuali contratti atipici ad effetti obbligatori con i
quali le parti dispongono della volumetria di loro immobili
(C.d.S., V, 28.06.2000, n. 3637).
92. Tanto si afferma in ragione del principio di immediata
evidenza logica secondo il quale la determinazione della
volumetria consentita in un’area deve pur sempre tener conto
del dato reale, di come, cioè, gli immobili si trovano e
delle relazioni che intrattengono con l’ambiente circostante
in virtù del complesso di effetti riconducibili ad atti di
soggetti pubblici e privati nonché a fatti della più varia
natura, ma idonei, in ogni caso, ad incidere
sull’edificabilità.
93. Rispetto a tali dati, ove se ne ammetta la rilevanza in
ordine quanto meno al singolo intervento edilizio, gli
elementi indicati nel quesito in esame costituiscono un prius nel quale non si esaurisce certo la ricerca
dell’interprete.
94. Tali vicende, ove non si risolvano in una modificazione
profonda e irreversibile del bene e della sua anche parziale
vocazione edificatoria, debbono essere acquisite in atti
dell’Autorità comunale nel quadro delle regolazioni e
qualificazioni scaturenti dalla pianificazione urbanistica
adottata dalla singola Amministrazione.
95. Quest’ultima può scegliere, in via generale, tra
l’individuazione di criteri idonei a configurare un
complesso di precetti recanti fattispecie analoghe o
comunque equiparabili all’asservimento pertinenziale perché
verificatesi prima dell’entrata in vigore del decreto 02.04.1968, n. 1444 o dello strumento urbanistico adottato
e una carenza di
regolazione che sposta il problema al momento del rilascio
del singolo permesso di costruire così da imporre, ove
occorra, una disamina della situazione di fatto e di diritto
creatasi nel fondo sul quale è previsto l’intervento
edilizio.
96. L’Amministrazione appellante ha optato per la prima
ipotesi, introducendo cos ì nelle norme tecniche di
attuazione al piano regolatore generale del 1996, un regime
integrativo rispetto ai casi di asservimento derivanti
dall’applicazione della normativa sugli inderogabili limiti
alla densità edilizia.
97. L’articolo 11 n.t.a. del Comune di Varenna, prescrive,
infatti, che “per gli edifici esistenti e realizzati prima
dell’adozione del programma di fabbricazione del 1968,
l’area di pertinenza è quella che risulta indicata negli
elaborati allegati alla prativa edilizia rilasciata al
proprietario, indipendentemente dai successivi frazionamenti
o trasferimenti. L’area acquisita o frazionata dopo la data
di adozione del Piano di fabbricazione ed edificata è quella
risultante dagli atti asservimento stipulati e trascritti a
favore del Comune di Varenna…”.
98. Il successivo articolo 13, lettera c), delle su indicate n.t.a. ha cura di specificare, nella definizione della
densità di fabbricabilità fondiaria che “sono esclusi i
lotti già saturi ed asserviti ad edifici esistenti”.
99. Le disposizioni su riportate inducono a considerare
superata la problematica sollevata con il primo quesito
dell’ordinanza di rimessione e a non condividere, quanto
meno nella loro assolutezza, le osservazioni del primo
Giudice.
100. Secondo quest’ultimo, infatti, le disposizioni appena
trascritte “valgono ad agevolare l’identificazione delle
aree di pertinenza per le costruzioni realizzate in un
regime di licenza (o concessione, o permesso) e in un
sistema privo al riguardo di idonee forme di pubblicità…ma
non autorizzano a considerare tamquam non essent,
scomputandole dal calcolo volumetrico, costruzioni risalenti
realizzate in epoche in cui non vigeva l’obbligo di dotarsi
di licenza edilizia né
esisteva una disciplina ad hoc sull’asservimento e la
relativa prova.”
101. L’affermazione è senz’altro esatta se riferita al
computo della densità territoriale, ma non può essere
riprodotta in modo automatico per il metodo di calcolo della
densità fondiaria.
102. Se si condivide l’assunto, fatto proprio dal Tar,
secondo il quale le su indicate norme di attuazione hanno un
preciso ufficio identificativo delle aree di pertinenza per
le costruzioni, non può affermarsi poi che gli edifici
risalenti debbono essere comunque computati nella volumetria
assentibile per il solo fatto che, per la loro erezione, non
esisteva l’obbligo di dotarsi di licenza edilizia o di un
provvedimento abilitativo di qualsivoglia natura.
103. L’ufficio identificativo, nel caso di specie, è
affidato a precise proposizioni giuridiche, che annettono
valore decisivo non tanto all’epoca della costruzione (e
alla carenza di titoli abilitativi), quanto piuttosto alle
qualificazioni e alle determinazioni effettuate dagli stessi
privati purché emergenti e riscontrabili anche
implicitamente in atti rivolti alla pubblica autorità e
relativi all’attività edilizia.
104. Ciò è, d’altro canto, precisa conseguenza della nozione
di asservimento inteso come fattispecie negoziale atipica ad
effetti obbligatori in base ai quali un’area viene destinata
a servire al computo dell’edificabilità di altro fondo.
105. L’asservimento realizza, in definitiva, una specie
particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene
posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro.
106. Se alla base del peculiare istituto v’è una
destinazione pertinenziale, allora la logica (intesa come
espressione del principio di ragionevolezza) vuole che
possano essere accostate, equiparate o non diversamente
regolate altre fattispecie di vincolo ex art. 817 c.c., in
esito alle quali si realizzi una vicenda non dissimile
quanto ad effetti.
106. Sebbene la tecnica dell’asservimento abbia trovato la
propria peculiare ragion d’essere e si sia sviluppata dopo
l’introduzione di limiti inderogabili di densità edilizia, è
tuttavia incontestabile che relazioni pertinenziali
rilevanti possono essersi determinate anche prima
dell’entrata in vigore dell’articolo 17 della legge n. 765
del 1967 in ragione della obiettiva destinazione e
configurazione dei fondi effettuata da chi ne aveva titolo e
disponibilità.
107. L’ipotesi affermata ma non sufficientemente dimostrata
nella sentenza impugnata, secondo la quale l’immobile sul
mappale 655 ricadeva nel compendio unitario di villa Dajelli,
è sicuramente un indizio in questo senso: ciò
che impedisce la condivisione dell’assunto è la difficoltà
di attribuire un senso univoco a una complessa
documentazione, rispetto alla quale possono ben considerarsi
ostativi (o almeno bisognosi di ulteriori accertamenti
istruttori) gli argomenti dedotti nella perizia asseverata
offerta in comunicazione.
108. Rispetto a situazioni nelle quali l’obiettiva
incertezza nel valutare lo stato dei luoghi può assumere un
primario ed assorbente rilievo e costituire finanche causa
di patenti illegittimità, il Comune di Varenna ha fatto una
scelta per dir così prudenziale: ha cioè stabilito di
affidare, per il periodo antecedente l’adozione del
programma di fabbricazione del 1968, la ricognizione
dell’asservimento pertinenziale agli atti provenienti dagli
stessi privati in sede di richieste di licenze o di
presentazione in genere di pratiche edilizie.
109. Le affermazioni del Tribunale amministrativo regionale
vanno perciò adeguate non già ad una astratta
riconducibilità del fabbricato in contestazione alla
primitiva (se provata) inerenza di tutti gli immobili ad una
villa unitaria, peraltro appartenente ad altri soggetti, ma
alla reale vicenda contenziosa, nella quale, come può
anticiparsi, una licenza edilizia è stata richiesta e
ottenuta dal Professor Va. prima dell’adozione del citato
programma di fabbricazione del 1968.
110. Va ancora
sottolineato come le succitate norme tecniche, statuendo
all’articolo 13, il principio di carattere generale secondo
il quale sono esclusi dal computo di edificabilità i lotti
già saturi ed asserviti a fabbricati esistenti, abbiano
sostanzialmente traguardato gli aspetti relativi al regime
edilizio vigente al momento della costruzione, tenendo ben
ferma la prioritaria esigenza di valutare in concreto lo
stato dei luoghi.
111. La decisione si sposta, pertanto, alla ricerca in fatto
se, in quel contesto, potessero trovare applicazione, in
ragione degli atti e delle risultanze processuali, le norme
tecniche citate. Fatto che, quindi, assume valenza centrale
ai fini della presente decisione.
112. Ora è agli atti del processo il progetto allegato alla
domanda di licenza edilizia presentata al Comune di Varenna
il 23.02.1963 dal professor Va. per lavori da
effettuare nella costruzione insistente sul mappale 655.
113. Dall’esame degli allegati alla domanda emerge che in
uno dei lati rispetto ai quali si aprivano ben due porte
finestre, l’area contigua era destinato a giardino (in calce
al relativo disegno prospettico è scritto infatti: verso
giardino).
114. La lettura degli schemi progettuali consente di
collocare la casa rispetto alla strada e alla parte
collinare (verso monte) e di individuare così con certezza
nell’area del contiguo mappale 656 quella destinata a
giardino.
115. La licenza edilizia come rilasciata dal Sindaco di
Varenna nel marzo del medesimo anno 1963 ha perciò
fatta propria la relativa destinazione ai sensi e per gli
effetti indicati dal citato articolo 11 n.t.a.
116. L’esatta individuazione dell’area come pertinenza della
casa è confermata, per quanto occorrer possa, da due
successive licenze edilizie richieste dal professor Va. e
rilasciate in vigenza del programma di fabbricazione.
117. Nella prima (pratica n. 4), assentita dal Sindaco di
Varenna pro-tempore architetto Giorgio Monico il 31.01.1975, il proprietario richiese ed ottenne di realizzare una
pensilina in legno con copertura in coppi sulla porta
d’ingresso: tale risulta essere, in base a un preciso
riscontro grafico nell’estratto di mappa posto a fianco del
disegno principale del progetto, quella che porta al
predetto giardino.
118. La seconda licenza (pratica n. 35/1978) fu richiesta
nel 1978 dal professor Va. e dalla di lui consorte
(probabilmente a seguito dell’entrata in vigore del regime
di comunione dei beni introdotto nell’ordinamento italiano
nella riforma degli articoli 159 e seguenti del codice
civile come introdotta con legge 19.05.1975, n. 151).
119. Il provvedimento autorizzava la realizzazione di un
locale di lavanderia e stireria in un crotto (così definito
negli atti progettuali e di assenso comunale, nella
accezione lombarda, e settentrionale in genere, di grotta)
posto sul mappale n. 656 e rispetto al quale, sempre sulla
base delle documentazioni progettuali, l ’ingresso era
consentito esclusivamente dal giardino.
120. Gli elementi documentali appena commentati nella loro
verificata oggettività vanno interpretati alla luce delle
citate norme tecniche di attuazione.
121. Ora è evidente come proprio la coerente applicazione
del precetto recato nel sopra trascritto articolo 11 n.t.a.
del Comune di Varenna imponga di ravvisare l ’esistenza di
un vincolo pertinenziale tra la costruzione e la circostante
area a giardino insistente sul mappale 656.
122. Il vincolo in questione è stato costituito dal
professor Va. in epoca antecedente il programma edilizio
del 1968, essendo quanto meno operante dal febbraio 1963
(epoca nella quale fu presentata la richiesta di licenza
edilizia) ed è stato pedissequamente indicato negli
elaborati allegati alla pratica edilizia.
123. Debbono conseguentemente ritenersi pienamente operanti
gli estremi richiesti dal più volte invocato articolo 11 n.t.a. per assumere la sussistenza del rapporto
pertinenziale tra casa e giardino e per concludere che la
volumetria della prima, insistente sul mappale 655, deve
essere detratta da quella complessivamente assentibile per i
lotti già di proprietà Va..
124. Le considerazioni che precedono impongono la conferma,
seppure con diversa motivazione, della sentenza impugnata
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 23.09.2009 n. 3). |
EDILIZIA PRIVATA:
Definizione di "centro abitato" ai fini della
necessità della licenza edilizia ante legge Ponte (765/1967)
ed in assenza del P. di F.
In assenza di una delibera di
perimetrazione, il centro abitato va identificato nella
situazione di fatto, in presenza di un aggregato di case
continue e vicine, con interposte strade, piazze e simili, o
comunque brevi soluzioni di continuità, in quanto la
perimetrazione dei centri abitati è necessaria solo quando
il tessuto dell'insediamento abitativo non sia di sicura
delimitazione.
Quanto alla questione sull’applicazione del Regolamento ai
soli insediamenti abitativi all’interno del centro abitato,
si deve osservare che le planimetrie prodotte dalla difesa
dell’Amministrazione Comunale (doc. 7 e 8) mostrano come il
fabbricato di cui si or dina la demolizione fosse collocato
già negli anni 60/70 in una zona altamente edificata, mentre
la produzione documentale del ricorrente, in cui l’area
sarebbe a latere della zona edificata, risale al 1900 e al
1945.
In assenza di una delibera di perimetrazione, il centro
abitato va identificato nella situazione di fatto, in
presenza di un aggregato di case continue e vicine, con
interposte strade, piazze e simili, o comunque brevi
soluzioni di continuità, in quanto la perimetrazione dei
centri abitati è necessaria solo quando il tessuto
dell'insediamento abitativo non sia di sicura delimitazione (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.03.2009 n. 1768 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La legge 16.08.1967 n. 765 (c.d. legge–ponte) nel
modificare l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del
1942 ha previsto che "…chiunque intenda … eseguire nuove
costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle
esistenti ovvero procedere alle opere di urbanizzazione deve
chiedere apposita licenza al Sindaco”.
La normativa di cui alla citata legge- ponte rispetto alla
disciplina del 1942 ha una portata più ampia, nel senso di
includere nell’obbligo di licenza ogni opera edilizia e ciò
in attuazione di un controllo più generale e penetrante
dell’attività edilizia sul territorio comunale.
Detta legge n. 765/1967 oltre a porre per la prima volta il
problema del collegamento tra edifici e opere di
urbanizzazione ha sancito l’estensione su tutto il
territorio comunale l’obbligo della preventiva licenza
edilizia, tenuto conto che in proposito prima della data in
vigore di detta legge (01.09.1967) la licenza (art. 31 legge
n. 1150/942) era necessaria soltanto nell’abitato e nelle
zone di espansione previste dal piano regolatore, ove esso
esistesse.
La generalizzazione dell’obbligo dell’autorizzazione su
tutto il territorio, come più volte commentato dalla
giurisprudenza si collega alla sentita esigenza di
pianificare l’intero territorio secondo una logica di
programmazione e di omogeneizzazione dei rapporti e delle
interdipendenze che si creano si sviluppano tra tutte le
attività pubbliche e private sul territorio comunale visto
nella sua integralità.
Se, dunque, prima della data del 01.09.1967 non era
necessario ai sensi dell’art. 31 della legge urbanistica n.
1150/1942 munirsi di licenza edilizia, ne deriva nella
specie, quale logica, necessaria conseguenza, che il
fabbricato de quo, in quanto risalente ad epoca antecedente
alla predetta data, non può qualificarsi abusivo.
Le censure si rivelano fondate.
La legge 16.08.1967 n. 765 (c.d. legge–ponte) nel modificare
l’art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942 ha
previsto che "…chiunque intenda … eseguire nuove
costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle
esistenti ovvero procedere alle opere di urbanizzazione deve
chiedere apposita licenza al Sindaco”.
La normativa di cui alla citata legge- ponte rispetto alla
disciplina del 1942 ha una portata più ampia, nel senso di
includere nell’obbligo di licenza ogni opera edilizia e ciò
in attuazione di un controllo più generale e penetrante
dell’attività edilizia sul territorio comunale.
Detta legge n. 765/1967 oltre a porre per la prima volta il
problema del collegamento tra edifici e opere di
urbanizzazione ha sancito l’estensione su tutto il
territorio comunale l’obbligo della preventiva licenza
edilizia, tenuto conto che in proposito prima della data in
vigore di detta legge (01.09.1967) la licenza (art. 31 legge
n. 1150/942) era necessaria soltanto nell’abitato e nelle
zone di espansione previste dal piano regolatore, ove esso
esistesse.
La generalizzazione dell’obbligo dell’autorizzazione su
tutto il territorio, come più volte commentato dalla
giurisprudenza (cfr. TAR Campania Sezione III 24/04/2007 n.
4308) si collega alla sentita esigenza di pianificare
l’intero territorio secondo una logica di programmazione e
di omogeneizzazione dei rapporti e delle interdipendenze che
si creano si sviluppano tra tutte le attività pubbliche e
private sul territorio comunale visto nella sua integralità.
Se, dunque, prima della data del 01.09.1967 non era
necessario ai sensi dell’art. 31 della legge urbanistica n.
1150/1942 munirsi di licenza edilizia, ne deriva nella
specie, quale logica, necessaria conseguenza, che il
fabbricato de quo, in quanto risalente ad epoca
antecedente alla predetta data, non può qualificarsi
abusivo.
Vale ancora una volta qui ribadire che il dato storico della
risalenza del bene ante 1967 è stato ammesso e acquisito
dall’Amministrazione, di talché la sussistenza di tale
circostanza temporale fa venir meno il presupposto di fatto
e di diritto su cui si fonda l’impugnato provvedimento
sanzionatorio della demolizione e ripristino dello stato dei
luoghi che perciò stesso si appalesa illegittimo (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 29.01.2009 n. 92 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
In punto di diritto deve rilevarsi come,
nell’originario impianto normativo di cui alla legge
urbanistica del 1942, il controllo pubblico sull’attività
edilizia svolta dai privati era demandato alla licenza
edilizia, strumento attraverso il quale l’Amministrazione,
nello stabilire uno standard uniforme su tutto il territorio
nazionale, accertava la conformità del progetto rispetto
alla normativa edilizia. Tale istituto era gratuito e non
riguardava l’intero territorio comunale, ma unicamente il
centro urbano, in una prospettiva di corretta espansione
dell’aggregato urbano medesimo.
Fu solo con la legge 06.08.1967, n. 765 che venne introdotto
l’obbligo della pianificazione urbanistica relativamente
all’intero territorio comunale e la necessità della licenza
edilizia venne generalizzata a tutto siffatto territorio,
secondo una logica di programmazione in funzione di
razionalizzazione dei complessi rapporti e delle
interdipendenze che si creano e si sviluppano fra tutte le
attività, pubbliche e private, insistenti, in modo diretto o
indiretto, ed a qualsiasi titolo su quel territorio.
Pertanto, anteriormente all’entrata in vigore della L.
06.08.1967, n. 765 non vi era necessità di licenza edilizia
solo per una costruzione che fosse al di fuori del “centro
abitato”.
Inoltre, la legge urbanistica del 1942 -ovviamente per tutto
il periodo della sua vigenza e, quindi, fino all’01.09.1967,
allorquando è sopravvenuta la nuova normativa di cui alla L.
n. 765/1967 che ha posto una nuova normativa (sia pure in
parte) incompatibile con quella pregressa, secondo il
principio della successione delle leggi nel tempo: art. 11
delle disposizioni preliminari al cod. civ.- è norma di
immediata applicazione, né è tale da reprimere
esclusivamente opere abusive soltanto se ancora in itinere
e, quindi, prima della loro ultimazione, al punto da dover
necessariamente far precedere la loro eliminazione
dall’ordine di sospensione dei lavori.
Con il terzo motivo il ricorrente censura l’atto impugnato
per falsa applicazione della legge n. 1150 del 17.08.1942,
nonché per eccesso di potere per assenza dei presupposti,
carenza di motivazione e travisamento dei fatti.
In buona sostanza il ricorrente lamenta l’illegittimità del
provvedimento impugnato perché relativo ad opere abusive
realizzate in data anteriore all’01.09.1967, sotto la
vigenza della citata legge n. 1150, nella quale non sarebbe
stata prevista la necessità della “licenza di costruzione”
al di fuori dei centri urbani.
La censura è infondata.
In punto di diritto deve rilevarsi come, nell’originario
impianto normativo di cui alla legge urbanistica del 1942,
il controllo pubblico sull’attività edilizia svolta dai
privati era demandato alla licenza edilizia, strumento
attraverso il quale l’Amministrazione, nello stabilire uno
standard uniforme su tutto il territorio nazionale,
accertava la conformità del progetto rispetto alla normativa
edilizia. Tale istituto era gratuito e non riguardava
l’intero territorio comunale, ma unicamente il centro
urbano, in una prospettiva di corretta espansione
dell’aggregato urbano medesimo (C. di S., sez. V,
14.03.1980, n. 287).
Fu solo con la legge 06.08.1967, n. 765 che venne introdotto
l’obbligo della pianificazione urbanistica relativamente
all’intero territorio comunale e la necessità della licenza
edilizia venne generalizzata a tutto siffatto territorio,
secondo una logica di programmazione in funzione di
razionalizzazione dei complessi rapporti e delle
interdipendenze che si creano e si sviluppano fra tutte le
attività, pubbliche e private, insistenti, in modo diretto o
indiretto, ed a qualsiasi titolo su quel territorio.
Pertanto, anteriormente all’entrata in vigore della L.
06.08.1967, n. 765 non vi era necessità di licenza edilizia
solo per una costruzione che fosse al di fuori del “centro
abitato” (TAR Campania, Napoli, 07.04.1982, n. 175).
Inoltre -contrariamente a quanto infondatamente ritenuto dal
ricorrente- la legge urbanistica del 1942 -ovviamente per
tutto il periodo della sua vigenza e, quindi, fino
all’01.09.1967, allorquando è sopravvenuta la nuova
normativa di cui alla L. n. 765/1967 che ha posto una nuova
normativa (sia pure in parte) incompatibile con quella
pregressa, secondo il principio della successione delle
leggi nel tempo: art. 11 delle disposizioni preliminari al
cod. civ.- è norma di immediata applicazione, né è tale da
reprimere esclusivamente opere abusive soltanto se ancora in
itinere e, quindi, prima della loro ultimazione, al punto da
dover necessariamente far precedere la loro eliminazione
dall’ordine di sospensione dei lavori.
Da quanto esposto, proprio operando rigorosa applicazione
del principio suddetto ne deriva che del tutto non
condivisibile si rivela l’assunto del ricorrente secondo cui
il Comune non avrebbe potuto reprimere le opere, sì come
costruite ante 01.09.1967, con provvedimento sanzionatorio
ex lege n. 1150 del 1942, non potendo trovare
applicazione né l’art. 32 di quest’ultima legge, perché
abrogato dall’art. 2 della L. n. 47 del 1985, né le sanzioni
previste dalla L. n. 47/1985 per il principio
dell’irretroattività.
A seguire il suo ragionamento, nella successione delle leggi
nel tempo intese alla repressione degli abusi edilizi si
verrebbe a creare una soluzione di continuità tale da
lasciare privi di sanzioni abusi commessi entro un
determinato arco di tempo stravolgendo i principi che
presiedono alla successione predetta (con conseguenze
facilmente immaginabili per la certezza dei rapporti
giuridici), con conseguenze intollerabili per l’interesse
pubblico alla reintegrazione dell’ordine urbanistico
violato.
Sul punto appena è il caso di rilevare che l’art. 2 della L.
n. 47 del 1985 nessuna abrogazione retroattiva dell’art. 32
della citata legge n. 1150 può avere operato, mentre non era
una conseguenza della sopravvenuta legge n. 865 del 1967
(che generalizzava l’obbligo della licenza edilizia anche al
di fuori dei centri urbani), la repressione di opere
costruite senza licenza la cui repressione era demandata
alla legge urbanistica del 1942, in vigore sino alla sua
entrata in vigore (01.09.1967)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 24.04.2007 n. 4308 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1967 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
"Istruzione per l'applicazione della legge
06.08.1967, n. 765, recante modifiche ed
integrazione alla legge urbanistica 17.08.1942, n.
1150" (Ministero dei Lavori Pubblici,
circolare 28.10.1967 n. 3210 - link a
www.sicet.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 31.08.1967 n. 218
"Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica
17.08.1942, n. 1150" (Legge
06.08.1967 n. 765 - link a www.normattiva.it). |
anno 1942 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 16.10.1942 n. 244 "Legge urbanistica" (Legge
17.08.1942 n. 1150 - link a www.normattiva.it). |
anno 1937 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Regolamenti edilizi comunali. Domande di
autorizzazione alle nuove costruzioni e
relativi allegati (Prefettura di
Bergamo,
nota 07.12.1937 n. 23009 di prot.). |
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