dossier MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI
CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC. |
marzo 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
materia urbanistica non è necessario un idoneo titolo edilizio per la
realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una
trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto
visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale.
La distinzione tra ius aedificandi e ius excludendi alios va riscontrata
nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
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6. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
6.1. Quanto al primo motivo di gravame, deve osservarsi che l’opera
in questione riguarda una recinzione di circa ml. 140 costituita da un
muretto in cemento sormontato da una ringhiera in ferro di altezza pari a
ml. 0,95.
Si tratta di una tipologia di trasformazione edilizia che per consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio non è annoverabile nell’ambito
dell’attività edilizia libera, essendo necessario per la stessa apposito
titolo edilizio.
Si è, infatti, a più riprese chiarito che, in materia urbanistica, non è
necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione
nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per
l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte
dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica
e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi
e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica
concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. ex plurimis, Cons.
St., Sez. VI, 29.11.2019, n. 8178).
Ipotesi quest’ultima non ricorrente nella fattispecie, stante la tipologia
dell’opera realizzata.
Tanto premesso, deve registrarsi che l’art. 20, legge regionale dell’Umbria,
n. 1/2004 e l’art. 9, legge regionale dell’Umbria, n. 21/2004, condizionano
espressamente l'esecuzione delle opere al rispetto delle previsioni degli
strumenti urbanistici, generali e attuativi.
Eventualità quest’ultima non sussistente nella fattispecie, dal momento che,
in applicazione di quanto disposto dall'art. 36 delle NTA del PRG del Comune
di Bastia Umbra, il lato nord del lotto, nonché un tratto di circa ml. 5,00
nei lati est ed ovest, su cui ricade in parte il manufatto abusivo,
rientrano in una zona destinata a “parcheggio pubblico”. Sicché vi è
un contrasto tra l’opera realizzata e il vincolo in questione.
Non rileva, inoltre, che il piano attuativo non sia stato nelle more del
giudizio approvato, dal momento che l’art. 36 delle N.T.A. al prg stabilisce
che nella zona in questione possono essere realizzati parcheggi pubblici
all’aperto o al coperto in fabbricati pluripiano o sotterranei.
6.2. Né può trovare adesione quanto sostenuto dall’appellante secondo la
quale il vincolo, di cui al citato art. 36, avrebbe natura espropriativa, in
ragione del fatto che la proprietaria delle aree su cui insiste il muro di
cinta non avrebbe partecipato al piano attuativo.
La natura giuridica conformativa del vincolo in questione, infatti, secondo
la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, non discende dalla
circostanza contingente che la proprietaria dell’area abbia o meno
partecipato al piano attuativo.
La destinazione a parcheggio pubblico impressa sulla base di previsioni di
tipo urbanistico, infatti, non comportando automaticamente l'ablazione dei
suoli ma ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime
di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all'uso
pubblico, costituisce vincolo conformativo e non anche espropriativo della
proprietà privata (ex plurimis, Cons. St., Sez. II, 07.06.2021, n.
4364; Cons. St., Sez. VI, 05.09.2018, n. 5206) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.03.2022 n. 1609 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Deve ritenersi che “la realizzazione della recinzione non
richieda un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione
che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le
dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi ed esercizio dello ius excludendi alios va
rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
In particolare, il permesso di costruire, mentre non è necessario per la
mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, diventa indispensabile quando, come nel caso di
specie, la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo
con sovrastante struttura in ferro, così rientrando negli interventi di
nuova costruzione”.
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12.5. Quanto poi alla sollevata illegittimità della qualificazione
dell’intervento in termini di “nuova opera”, la quale appare
logicamente e funzionalmente prioritaria rispetto anche alle valutazioni di
non conformità effettuate dall’Amministrazione, la censura non può trovare
accoglimento.
Come affermato più volte dalla Giurisprudenza, deve ritenersi che “la
realizzazione della recinzione non richieda un idoneo titolo edilizio solo
in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti
un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la
conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi ed
esercizio dello ius excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto. In particolare, il permesso di
costruire, mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica
sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, diventa
indispensabile quando, come nel caso di specie, la recinzione è costituita
da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante struttura in
ferro, così rientrando negli interventi di nuova costruzione” (cfr.
ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.12.2019 n. 8600; TAR Puglia
Bari, Sez. I, 09.07.2021 n. 1163, cfr., tra le altre, Tar Lazio, Roma, sez.
II-bis, 25.01.2022 n. 833).
Nel caso di specie l’opera è destinata in modo stabile e permanente alla
delimitazione dell’area, appare di consistenti dimensioni, rifinendo uno
spazio molto ampio, è solidamente strutturata dovendo fungere anche da
sostegno della scarpata e presentando un dislivello di cui non è indicata la
quota, ma che “nella sezione di progetto il terreno del Pu. risulta
essere a quota superiore di 2,10 m rispetto al confinante, ciò farebbe
presupporre un intervento di riempimento dell’area”.
Ne discende una rilevante trasformazione dell’assetto urbanistico del
territorio, rientrante come tale nel novero degli interventi di nuova
costruzione, soggetta quindi a permesso di costruire e a ordinanza di
demolizione ove posta in essere in assenza del permesso di costruire (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 14.02.2022 n. 99 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Pergolato
e muro di cinta, ecco quando si superano i confini dell'edilizia libera.
Una tettoia che si vuole interpretare come pergolato.
Se ne è occupato il
Consiglio di Stato (VI Sez.) nella
sentenza 03.01.2022 n. 8.
Il caso riguarda due manufatti realizzati nel territorio che
ricade in un comune trentino da un privato per scopi funzionali alla sua
attività economica. I manufatti, che secondo il promotore sono «del tutto
assimilabili a pergolati», erano in realtà strutture di dimensione rilevanti
(la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35x12
metri per 4 metri di altezza); ma soprattutto realizzate in un caso con
travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e nell'altro caso con
setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).
Tutta un'altra cosa rispetto al pergolato, che -ha ricordato il Consiglio
di Stato- per rientrare in tale definizione, ed essere quindi rubricabile
nell'edilizia libera, deve essere «un manufatto leggero, amovibile e non
infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da
qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche
parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore
gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per
ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente
quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti».
Peraltro, osservano i giudici in replica alla asserita precarietà e
amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente
edilizio, si è consolidato l'orientamento in base al quale si deve seguire
"non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale", per cui un'opera
se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee –come nel
caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze
dell'impresa- non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie
anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente
amovibili».
In un'altra sentenza pubblicata i primi di gennaio di quest'anno i giudici
delle VI Sezione (sentenza
03.01.2022 n. 1) si sono pronunciati anche su un caso di diniego di
sanatoria edilizia che ha interessato anche la realizzazione di un muro di
cinta.
Al di là del caso specifico (che riguardava opere edili realizzati in
difformità al progetto e su un manufatto plurivincolato) si ricorda il
discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera,
realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede
un assenso dell'ente locale.
«Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli
di contenimento -osservano i giudici- va ribadito il principio di diritto
per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti
dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla
sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione
e chiusura della proprietà». «Diversamente -prosegue la sentenza-, quando
si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere
considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in
modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022). |
dicembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Le
recinzioni non comportanti, per caratteristiche costruttive (realizzate
senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di
legno, prive di muretti di sostegno) un'apprezzabile trasformazione
territoriale non richiedono alcun titolo edilizio, in quanto entro tali
limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà
rappresentando una manifestazione non dello ius aedificandi, ma del diritto di chiudere il fondo sancito
dall’art. 841 c.c..
Anche secondo altra (e più
restrittiva) tesi giurisprudenziale, la realizzazione di una recinzione a
protezione della proprietà, quando abbia dimensioni limitate, non è comunque
considerata soggetta a permesso di costruire, non comportando una
“trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell’art.
10 del D.P.R. 380 del 2001, rientrando quindi (secondo questa tesi) nella
nozione residuale degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività
(art. 22, ora segnalazione certificata di inizio di attività).
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Sotto tale profilo deve essere accolto anche il motivo di appello con cui
sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado relative al
diniego dell’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R.
380 del 2001.
Infatti, dalle indicazioni relative alla zona C di espansione residenziale,
depositate in allegato alla verificazione, risulta solo la previsione della
destinazione di zona a nuovi insediamenti residenziali pubblici o privata
previa necessità del piano attuativo (piano particolareggiato o
lottizzazione convenzionata), ma non vi è alcuna indicazione rispetto alla
possibilità di realizzare altre opere; né si può ovviamente interpretare
tale regime urbanistico come impeditivo del diritto, attribuito dal codice
civile in via generale, di recintare il fondo di proprietà.
Si deve, infatti, considerare che le recinzioni non comportanti, per
caratteristiche costruttive (realizzate senza opere murarie, con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, prive di muretti di
sostegno) un'apprezzabile trasformazione territoriale non richiedono alcun
titolo edilizio, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà rappresentando una manifestazione
non dello ius aedificandi, ma del diritto di chiudere il fondo sancito
dall’art. 841 c.c. (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14.06.2018,
n. 3661; sez. V, 09.04.2013, n. 1922); anche secondo altra (e più
restrittiva) tesi giurisprudenziale, la realizzazione di una recinzione a
protezione della proprietà, quando abbia dimensioni limitate, non è comunque
considerata soggetta a permesso di costruire, non comportando una
“trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell’art.
10 del D.P.R. 380 del 2001, rientrando quindi (secondo questa tesi) nella
nozione residuale degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività
(art. 22, ora segnalazione certificata di inizio di attività) (Cons. Stato
Sez. II, 20.03.2020, n. 1997).
È vero che, nel caso di specie, la recinzione era di consistenti dimensioni
e che quindi poteva eventualmente ipotizzarsi come necessario il permesso di
costruire, ma questo era stato appositamente richiesto in sanatoria dalle
appellanti, essendo stata realizzata la recinzione in difformità rispetto
alla precedente denuncia di inizio attività.
Del resto, dalla necessità del titolo edilizio, in relazione alla natura
delle opere di chiusura del fondo realizzate, non può farsi discendere la
necessità anche della redazione di un piano attuativo.
Oltre all’assoluto difetto di proporzionalità tra i due strumenti, la
realizzazione della recinzione non comportava la previa approvazione del
piano attuativo, non essendo finalizzata alla realizzazione né di un
insediamento residenziale secondo quanto indicato delle norme di piano, né
di un immobile residenziale, da cui sarebbe derivato comunque un aumento del
carico urbanistico e la necessità di opere di urbanizzazione, restando posta
a tutela della proprietà del terreno, come del resto dimostrato dalla
mancata realizzazione di ulteriori opere edilizie nel corso degli anni.
Pertanto, nel caso di specie il richiamo alla necessità del piano attuativo,
posto a base del provvedimento di diniego di sanatoria, è illegittimo
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 20.12.2021 n. 8433 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere per la delimitazione dei confini – SCIA – Assetto territoriale –
Permesso di costruire.
Le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei
terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere
riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma
sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale.
Ne deriva, in linea generale, che tali opere restano
sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la
soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è
necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione
dell'importanza dimensionale dell'intervento (cfr. per tutte Consiglio di
Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen.,
Sez. III, 11.11.2014 n. 52040)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.12.2021 n. 3746 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.01.2022). |
EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento al regime edilizio applicabile
ai cancelli, giova richiamare l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo il
quale in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in
materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei
terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere
riguardate in base all’astratta tipologia di intervento che incarnano, ma
sulla scorta dell’impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale.
Ne deriva, in linea generale, che tali opere restano
sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la
soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è
necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione
dell’importanza dimensionale dell’intervento.
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Parte ricorrente ha adito l’intestata Sezione chiedendo
l’annullamento dell’ordinanza di rimessa in pristino e irrogazione sanzione
pecuniaria n. 84-D, del 02.04.2021, emessa dal Comune di Noto, Settore n. 3,
Urbanistica, Assetto e tutela del territorio, avente ad oggetto "Opere
eseguite in assenza di C.I.L.A., all’ingresso del cortile posto in Noto via
... n. 67”, con la quale gli veniva ordinato di provvedere, entro il
termine di 30 giorni a decorrere dalla notifica, alla rimessa in pristino
dello stato dei luoghi nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00
(mille/00).
...
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Ribadito, in limine litis, che in base al principio dispositivo il giudice
adito deve rispondere unicamente alle domande avanzate dalla parte
ricorrente, occorre a tal fine rilevare quanto segue:
- che sul piano strettamente formale l’ordinanza contiene tutti gli elementi
necessari per la sua autonoma intellegibilità, atteso che a fronte
dell’accertamento dell’esistenza di un cancello –fatto non contestato tra
le parti– è stata riscontrata l’assenza di documentazione (nella
fattispecie la CILA) agli atti del Comune resistente;
- che nei procedimenti di accertamento di eventuali “abusi o irregolarità
edilizie” non è ovviamente obbligatoria alcuna preventiva comunicazione agli
interessati dal procedimento “sazionatorio”;
- che risulta condivisibile la giurisprudenza richiamata dalla parte
resistente, secondo al quale “con riferimento al regime edilizio applicabile
ai cancelli, giova richiamare l’orientamento giurisprudenziale prevalente -TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 21.05.2018 n. 3298- secondo il
quale: in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in
materia di edilizia,
le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali
recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base
all’astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta
dell’impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano
sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la
soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è
necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione
dell’importanza dimensionale dell’intervento" (cfr. per tutte Consiglio di
Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen.,
Sez. III, 11.11.2014 n. 52040);
- infine, quanto al punto più contestato dalla parte ricorrente in ordine
alla preesistenza del cancello rispetto alla entrata in vigore del D.P.R. n.
380/2001 e ss. mm., pur gravando l’onere della prova del suddetto elemento a
carico di quest’ultima, in quanto parte agente in giudizio, la stessa non ha
introdotto in giudizio, sul piano probatorio, alcun elemento o indizio dal
quale ricavare effettivamente la veridicità della suddetta circostanza (ad
esempio, attraverso la produzione dell’atto notarile di acquisto del bene
immobile con espressa previsione della preesistenza del cancello), non
potendo quindi escludersi che lo stesso sia stato apposto di recente.
Per le ragioni esposte, quindi, il ricorso deve essere rigettato perché
infondato
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.12.2021 n. 3746 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Nuova costruzione – Muro di contenimento – Volume – Presupposti.
Sotto il profilo urbanistico-edilizio, il presupposto per l'esistenza di un
volume è costituito dalla presenza di uno spazio chiuso, stabilmente
configurato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2021, n. 3393),
che si
realizza quando vi è almeno un piano di base e due superfici verticali
contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre
lati (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 15.01.2015, n. 259).
Dunque, il
muro di contenimento di un terrapieno naturale o di una scarpata, qualunque
sia la sua altezza, non deve essere considerato costruzione solo con
riguardo alle norme sulle distanze, mentre per tutto il resto deve essere
qualificato come costruzione in senso tecnico (cfr., fra le tante,
Cassazione civile, sez. II, 29.05.2019, n. 14710; Cons. Stato, sez. IV,
30.08.2018, n. 5108) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 08.11.2021 n. 1472 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.01.2022).
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5.1.2. Ciò chiarito, attraverso l’esame della documentazione tecnica e
fotografica versata in atti è possibile apprezzare come, con la costruzione
del solaio che costituisce accesso all’abitazione dei ricorrenti, lo spazio
ad esso sottostante, già delimitato su tre lati, sia stato chiuso anche
nella parte superiore (cfr., in particolare, foto allegate all’istanza di
sanatoria, doc. 6, pagg. 22 e ss., di parte ricorrente).
L’opera in esame, peraltro, per la tipologia dei materiali utilizzati e per
la peculiare conformazione dei luoghi ha natura non precaria.
E’ stato dunque creato un nuovo volume edilizio.
E difatti, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, sotto il
profilo urbanistico-edilizio, il presupposto per l'esistenza di un volume è
costituito dalla presenza di uno spazio chiuso, stabilmente configurato (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2021, n. 3393), che si realizza quando vi è
almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere
appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania,
Napoli, sez. IV, 15.01.2015, n. 259). Caratteristiche riscontrabili nel caso
di specie.
Il fatto che una delle pareti di chiusura del manufatto sia costituito dal
muro di contenimento della scarpata naturale adiacente all’edificio non
rileva, dal momento che -secondo costante giurisprudenza- il muro di
contenimento di un terrapieno naturale o di una scarpata, qualunque sia la
sua altezza, non deve essere considerato costruzione solo con riguardo alle
norme sulle distanze, mentre per tutto il resto deve essere qualificato come
costruzione in senso tecnico (cfr., fra le tante, Cassazione civile, sez. II,
29.05.2019, n. 14710; Cons. Stato, sez. IV, 30.08.2018, n. 5108). |
ottobre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo
titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione
che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e
per le dimensioni dell'intervento, non comporti
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios
ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto.
Qualora la recinzione si sostanzi nell'apposizione di reti e
paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali
leggeri pur non essendo necessario il permesso di costruire
è d’uopo che l’interessato si munisca di una specifica
autorizzazione da parte del Comune.
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Espone la ricorrente di essere proprietaria, per acquisto
fattone con atto notarile in data 18.07.2017, di un
appezzamento di terreno di circa 2.000 mq. sito in Comune di
Castel Rozzone (BG), tra la Via San Carlo e la Via Nazioni
Unite, catastalmente contraddistinto al foglio 9, mappale
1101, già mappale 122/a.
Una porzione di tale area di circa 740 mq., oggetto dei
provvedimenti in questa sede impugnati, è stata interessata
da vincoli preordinati all’esproprio, più volte reiterati, e
ora decaduti, circostanza dalla quale la ricorrente fa
discendere che l’area sarebbe sottoposta alla disciplina
delle cosiddette “zone bianche”.
Secondo la narrazione della ricorrente, l’area in parola è
stata utilizzata dal dante causa della ricorrente quale
spazio adibito ad usi accessori per il deposito di materiali
e macchinari edilizi. Tale area era stata, peraltro, anche
recintata e pavimentata.
Il precedente proprietario, infatti, dopo aver ottenuto
nell’anno 1988 un titolo per lo sbancamento del terreno e
per la sistemazione con ghiaia dell’area, nell’anno 1991,
aveva segnalato che l’area veniva utilizzata per il deposito
all’aperto di materiali e macchinari edilizi e che la
pavimentazione sarebbe stata realizzata “di tout-venant o
in calcestruzzo”. Nell’anno 1996 veniva poi ottenuta una
autorizzazione per la sostituzione della recinzione in
precedenza installata ulteriormente precisata nell’anno
2001.
All’esito di un sopralluogo effettuato in data 12.06.2020,
l’Amministrazione comunale con atto del 15.07.2020 dava
comunicazione dell’avvio del procedimento finalizzato alla “remissione
in pristino dell’area” medesima avendo rinvenuto
l’esistenza di opere eseguite in assenza di titolo.
La ricorrente faceva pervenire rituali osservazioni, ma con
decreto del 30.10.2020, il Comune di Castel Rozzone, dopo
aver confermato la decadenza del citato vincolo
espropriativo ordinava alla ricorrente di procedere alla “completa
eliminazione di qualsivoglia struttura presente (baracche di
cantiere/capanni in lamiera)” sull’area di proprietà, al
“riordino dell’area interessata dal procedimento” e, con
riferimento alla recinzione, a “sanare le difformità
riscontrate tra lo stato dell’arte e lo stato autorizzato …”,
assegnando il termine di 30 giorni dal ricevimento del
medesimo provvedimento per provvedere a quanto intimato.
Avverso tale atto insorgeva la sig.ra Lo. chiedendone
l’annullamento, previa sospensione, e deducendo:
1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97
della Costituzione; 1 e 3 della legge 07.08.1990 n. 241.
Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di
istruttoria, del difetto della motivazione e del
travisamento dei fatti. Illogicità. Sviamento.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della
Costituzione; degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990;
dell’art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187; dell’art. 9 del
D.P.R. n. 327/2001; dell’art. 4 della legge n. 10/1977;
dell’art. 9 della legge regionale n. 12/2005; degli artt. 9,
9-bis, 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere
sotto il profilo della erroneità della motivazione,
travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti e Sviamento.
3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della
legge 19.11.1968, n. 1187; dell’art. 4 della legge n.
10/1977; dell’art. 7 del decreto legge n. 9/1982; degli artt.
2, 3, 6, 9, 9-bis, 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, 9 del
D.P.R. n. 327/2001 e 1 e 3 della legge 07.08.1990 n. 241.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 18 del
Piano delle Regole del P.G.T. comunale. Eccesso di potere
sotto il profilo della carenza di istruttoria, del difetto
della motivazione e del travisamento dei fatti. Difetto dei
presupposti.
...
Il ricorso è infondato.
...
Deduce ancora la ricorrente che non avrebbe fondamento la
richiesta dell’amministrazione di procedere alla sanatoria
di asserite difformità relative alla recinzione, atteso che
la posa di una recinzione è diretta a far valere lo ius
excludendi alios, che costituisce il contenuto tipico
del diritto dominicale, non essendo necessario munirsi di un
titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di
recinzioni senza opere murarie, come nella specie.
La tesi non persuade.
Invero, la realizzazione di una recinzione non richiede un
idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di una
trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non
comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius
excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella
verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (Cons.
Stato Sez. VI, 03/08/2020, n. 4900).
Qualora la recinzione si sostanzi nell'apposizione di reti e
paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali
leggeri pur non essendo necessario il permesso di costruire
è d’uopo che l’interessato si munisca di una specifica
autorizzazione da parte del Comune (TAR Campania, Napoli
Sez. VIII, 18/08/2020, n. 3607, TAR Abruzzo Pescara,
21/01/2020, n. 29).
Nel caso di specie è rinvenibile, in data 27.07.1991 solo il
rilascio di un’autorizzazione edilizia “necessaria alla
realizzazione di una recinzione provvisoria da costruire sul
mappale n. 122/a, area vincolata ad attrezzature pubbliche,
parcheggio ed attualmente usata come deposito all’aperto di
materiali e macchinari edilizi”, corredata dalla
precisazione che ”Dato il carattere provvisorio della
recinzione, il sottoscritto [ovvero il dante causa della
ricorrente] si impegna a rimuoverla su semplice richiesta
dell’Amministrazione comunale”.
Nell’anno 1996 la predetta autorizzazione veniva integrata
con l’assenso alla la sostituzione della recinzione in
precedenza installata rimanendo fermo il carattere precario
dell’opera (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 22.10.2021 n. 892 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Quand’anche l’intervento di recinzione
fosse astrattamente riconducibile nell’alveo del concetto di
manutenzione straordinaria, non può trovare applicazione il
regime agevolato di cui all’art. 6-bis d.p.r. n. 380/2001
introdotto dal dlgs n. 222/2016 in tema di comunicazione di
inizio lavori asseverata (CILA), poiché come evidenziato
dalla giurisprudenza "… ove gli interventi edilizi ricadano
in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante
l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano
soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione
paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si
ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi,
assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione
demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta
alcuna autorizzazione paesistica …”.
Peraltro, anche il citato art. 6-bis, comma 1, d.p.r. n.
380/2001 fa espressamente salve le disposizioni contenute
nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
dlgs 22.01.2004, n. 42.
In ogni caso, “La concessione edilizia non è necessaria per
modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e
cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in
quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus
excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando
la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica.”.
Pertanto, nel caso di specie, essendo il muretto
caratterizzato dall’essere in cemento armato, necessitava
comunque di permesso di costruire e non di mera DIA. E’,
quindi, corretto il regime giuridico (rectius art. 31 d.p.r.
n. 380/2001) individuato dall’Amministrazione comunale nel
gravato provvedimento di demolizione.
---------------
Va, altresì, disattesa l’argomentazione di parte ricorrente
che fa riferimento alla asserita conformità dell’opera
realizzata rispetto al regolamento edilizio comunale di
Cerignola (art. 2.4.2).
Invero, rimane fermo che la DIA del 2009 fosse priva di
effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001,
essendo chiaramente in contrasto con l’autorizzazione
paesaggistica pur rilasciata dalla Soprintendenza, ma con
esclusivo riferimento ad un’opera facilmente rimovibile (con
pali metallici).
In ogni caso quand’anche l’intervento di recinzione fosse
astrattamente riconducibile nell’alveo del concetto di
manutenzione straordinaria, non può trovare applicazione il
regime agevolato, invocato da parte ricorrente, di cui
all’art. 6-bis d.p.r. n. 380/2001 introdotto dal dlgs n.
222/2016 in tema di comunicazione di inizio lavori
asseverata (CILA), poiché come evidenziato da TAR Campania,
Napoli, Sez. VI, 30.03.2018, n. 20 -OMISSIS- in precedenza
richiamata “… ove gli interventi edilizi ricadano in zona
assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione
dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla
previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con
la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere
pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera
D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria è,
comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna
autorizzazione paesistica …”.
Peraltro, anche il citato art. 6-bis, comma 1, d.p.r. n.
380/2001 fa espressamente salve le disposizioni contenute
nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42.
In ogni caso, come rimarcato da Consiglio di Stato, Sez. IV,
15/12/2017, n. 5908 “La concessione edilizia non è
necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza
muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre,
invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica.”. Pertanto, nel caso di specie, essendo il
muretto caratterizzato dall’essere in cemento armato,
necessitava comunque di permesso di costruire e non di mera
DIA.
E’, quindi, corretto il regime giuridico (rectius
art. 31 d.p.r. n. 380/2001) individuato dall’Amministrazione
comunale nel gravato provvedimento di demolizione (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 19.07.2018 n. 1094 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Secondo
consolidata giurisprudenza, il muro di cinta o di
contenimento necessita di permesso di costruire,
differenziandosi dalla semplice recinzione (la quale ha
caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della
mera delimitazione della proprietà), giacché non ha natura
pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed
autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta,
consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne
movimenti franosi in caso di dislivello, originario o
incrementato.
---------------
Il condominio del villaggio “Le Gi.” impugna l’ordinanza di
demolizione 12.02.2020 n. 1216, emessa dal Comune di
Vibonati in relazione a cinque muri di contenimento in
blocchetti prefabbricati in cls di cm. 40 x 20 x 20, con
sovrastante cordolo in cls di spessore variabile da cm. 20 a
cm. 30, realizzati in assenza di permesso di costruire e di
autorizzazione paesaggistico-ambientale.
Di essi muri, quattro sono posti all’ingresso dell’area
condominiale destinata a servizi ed hanno le seguenti
dimensioni: muro 1), lunghezza mt. 5.50 ed altezza mt. 1,45;
muro 2), lunghezza mt. 12,00 ed altezza variabile mt. 1,30/mt.
0,20; muro n. 3), lunghezza mt. 5,80 ed altezza mt. 1,80;
muro n. 4), lunghezza mt. 4,50 ed altezza mt. 1,80. Il muro
n. 5), ubicato a monte del campo da tennis e poggiato su una
gradonata sul cui terrapieno lato strada è stato ricavato
uno spazio destinato al parcheggio di autovetture, ha una
lunghezza di m. 27,50 ed un’altezza di mt. 1,80.
...
Il ricorso è infondato, stante la natura vincolata
dell’ordine di demolizione.
Per vero, secondo consolidata giurisprudenza, il muro di
cinta o di contenimento necessita di permesso di costruire,
differenziandosi dalla semplice recinzione (la quale ha
caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della
mera delimitazione della proprietà), giacché non ha natura
pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed
autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta,
consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne
movimenti franosi in caso di dislivello, originario o
incrementato (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 09/01/2020, n.
212).
Né coglie a segno l’argomentazione secondo cui si
tratterebbe di opere preesistenti, o realizzate in
continuità ad opere preesistenti, non risultando mai
rilasciato, per queste ultime, alcun titolo (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.11.2020 n. 1644 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Competenze sulle violazioni concernenti le costruzioni in
zone sismiche – Attività di accertamento delle violazioni
(dirigente o funzionari dell’U.T.R., geometri degli U.T.C. –
Audizione del dirigente dell’ufficio tecnico della regione –
Principio dell’inammissibilità della prova manifestamente
superflua o irrilevante – Artt. 93, 95, 98, 103, 106 d.P.R.
n. 380/2001 – Fattispecie: accertamenti su opere abusive in
zone sismiche (recinzione di notevoli dimensioni).
La disposizione di cui all’art. 98,
comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere intesa quale
vincolo assoluto all’audizione del dirigente dell’ufficio
tecnico della regione, in quanto anche detta escussione, in
ossequio al principio dell’inammissibilità della prova
manifestamente superflua o irrilevante, deve essere
subordinata alla valutazione circa l’utilità della
deposizione in ordine all’accertamento delle contravvenzioni
o all’esercizio del potere–dovere di adottare le particolari
statuizioni previste dal terzo comma della disposizione
citata nel caso di violazioni di carattere sostanziale.
Pertanto, il comma 2 dell’art. 98 d.P.R. n. 380/2001 impone
l’obbligo di procedere «in ogni caso» all’esame del
dirigente dell’ufficio tecnico della regione, o di un
funzionario dipendente da lui delegato e a conoscenza dei
fatti, solo nell’ipotesi in cui si sia proceduto ad
«ulteriori accertamenti tecnici» a norma dell’art. 98, comma
1, d.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in forza del combinato disposto degli artt. 96 e 103
d.P.R. n. 380 del 2001, l’attività di accertamento delle
violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche non è
rimessa in via esclusiva al dirigente dell’ufficio tecnico
regionale, o ai funzionari del suo ufficio, ma può essere
svolta, in via alternativa, anche da numerose altre autorità
amministrative, tra le quali, ad esempio, come nella specie,
i geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni
comunali.
Infine, il dirigente dell’ufficio tecnico regionale deve
essere sempre informato dell’avvenuta constatazione della
violazione, ma dispone «ulteriori accertamenti di carattere
tecnico» solo ove necessario, e, precisamente, per ripetere
la previsione testuale del legislatore, «occorrendo».
Nella specie, la prova era stata raggiunta, attraverso
l’esame di un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune
competente, dell’avvenuta realizzazione di un’opera,
(recinzione lunga circa 200 metri di cui 70 di altezza
variabile tra metri 1,70 e 2,00 metri) e quindi di una nuova
costruzione, di notevoli dimensioni, ubicata in zona
sismica, in assenza del preventivo deposito del relativo
progetto presso gli uffici del Genio Civile.
In questo modo, si è dato atto, con congrua motivazione,
della completezza del quadro istruttorio, e, quindi, della
superfluità dell’esame del responsabile dell’Ufficio del
Genio Civile
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.10.2020 n. 27592 - link a
www.ambientediritto.it). |
settembre 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Distanza minima tra recinzioni e strade urbane? Il
Regolamento edilizio può prevederla.
Tar Veneto: il regolamento edilizio può prevedere una
distanza minima delle recinzioni dalle strade locali urbane
poste all’interno dei centri abitati.
Il Regolamento Edilizio Comunale può
legittimamente prevedere, dentro i centri abitati, distanze
minime delle recinzioni dal confine stradale, per tutte le
strade ed anche per quelle di tipo F (urbane).
Lo si evince dal contenuto della
sentenza 08.09.2020 n. 798 del TAT Veneto, che
ritiene infondato il primo motivo con cui il provvedimento
(diniego del permesso di costruire) è censurato per
violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 28 del dpr
495/1992 “Regolamento di esecuzione e di attuazione del
nuovo codice della strada”; eccesso di potere per
contraddittorietà e contrasto dell’art. 39 Regolamento
edilizio comunale con sovraordinate norme statali.
La censura -sottolinea il Tar- è incentrata sulla ritenuta
illegittimità dell’art. 39, comma 2, del Regolamento
edilizio nella parte in cui fissa la distanza delle
recinzioni dalle strade di tipo F poste all’interno dei
centri abitati, per contrasto con l’art. 28 del dpr
495/1992, il quale, per le strade non rientranti nelle
categorie A e D poste all’interno dei centri abitati, non
stabilisce distanze minime delle recinzioni dal confine
stradale “ai fini della sicurezza della circolazione”.
Ma questa previsione non risulta violata dal regolamento
edilizio, poiché essa –non prevedendo distanze minime
inderogabili- non esclude il potere dei Comuni di fissare
distanze minime di costruzioni e recinzioni dal confine
stradale nell’esercizio dei propri poteri di pianificazione
e regolamentazione dell’attività edilizia, sia per finalità
di tutela della sicurezza della circolazione, che per la
salvaguardia di altri interessi di natura
urbanistico-edilizia, quali la manutenzione delle strade, o
il mantenimento degli allineamenti nell’abitato, essendo
preclusa soltanto la introduzione di distanze inferiori per
le strade rientranti nelle categorie A e D.
L’art. 18, comma 4, del Codice della Strada infatti, nel
dettare la disciplina delle “Fasce di rispetto ed aree di
visibilità nei centri abitati”, fa espressamente salva
la prerogativa dei Comuni di prevedere distanze dalle strade
per le piantagioni e le recinzioni (“4. Le recinzioni e
le piantagioni dovranno essere realizzate in conformità ai
piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque
ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario
della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la
sicurezza della circolazione.”).
La giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che “l'art.
18, comma 4, del D.Lgs. 285/1992 -laddove dispone che "le
recinzioni ... dovranno essere realizzate in conformità ai
piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque
ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario
della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la
sicurezza della circolazione"- introduce una disciplina che
assume valenza sia urbanistico-edilizia sia di tutela del
bene primario della sicurezza della circolazione stradale.”
(TAR Lombardia Brescia Sez. I, (ud. 21/11/2006) 05.12.2006,
n. 1545).
In definitiva, la norma del regolamento comunale in
questione non è illegittima e non va abrogata, così come è
del tutto legittimo il diniego del permesso di costruire
emesso dal comune (23.09.2020 - commento tratto da
www.ingenio-web.it).
---------------
I ricorrenti impugnano il provvedimento emesso dal Comune di
Casale Sul Sile in data 21/02/2020 di parziale annullamento
del permesso di costruire rilasciato in data 15/04/2019 per
l’edificazione di un nuovo fabbricato residenziale
unifamiliare, in quanto contrastante, per la parte relativa
alla recinzione, con l’articolo 39, comma 2, del Regolamento
edilizio comunale, con il quale sono state fissate le
distanze minime delle recinzioni dai confini stradali.
...
Il ricorso è infondato.
È infondato il primo motivo con cui il provvedimento
è censurato per violazione e falsa applicazione degli artt.
26 e 28 D.P.R. 16.12.1992 n. 495 “Regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”;
eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto
dell’art. 39 Regolamento edilizio comunale con sovraordinate
norme statali.
La censura è incentrata sulla ritenuta illegittimità
dell’articolo 39, comma 2, del Regolamento edilizio nella
parte in cui fissa la distanza delle recinzioni dalle strade
di tipo F poste all’interno dei centri abitati, per
contrasto con l’articolo 28 del D.P.R. 495/1992, il quale,
per le strade non rientranti nelle categorie A e D poste
all’interno dei centri abitati, non stabilisce distanze
minime delle recinzioni dal confine stradale “ai fini
della sicurezza della circolazione”.
La previsione da ultimo menzionata non risulta violata dal
regolamento edilizio, poiché essa –non prevedendo distanze
minime inderogabili- non esclude il potere dei Comuni di
fissare distanze minime di costruzioni e recinzioni dal
confine stradale nell’esercizio dei propri poteri di
pianificazione e regolamentazione dell’attività edilizia,
sia per finalità di tutela della sicurezza della
circolazione, che per la salvaguardia di altri interessi di
natura urbanistico-edilizia, quali la manutenzione delle
strade, o il mantenimento degli allineamenti nell’abitato,
essendo preclusa soltanto la introduzione di distanze
inferiori per le strade rientranti nelle categorie A e D.
L’articolo 18, comma 4, del Codice della strada, infatti,
nel dettare la disciplina delle “Fasce di rispetto ed
aree di visibilità nei centri abitati”, fa espressamente
salva la prerogativa dei Comuni di prevedere distanze dalle
strade per le piantagioni e le recinzioni (“4. Le
recinzioni e le piantagioni dovranno essere realizzate in
conformità ai piani urbanistici e di traffico e non dovranno
comunque ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente
proprietario della strada, il campo visivo necessario a
salvaguardare la sicurezza della circolazione.”).
La giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che “l'art.
18, comma 4, del D.Lgs. 285/1992 -laddove dispone che "le
recinzioni ... dovranno essere realizzate in conformità ai
piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque
ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario
della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la
sicurezza della circolazione"- introduce una disciplina che
assume valenza sia urbanistico-edilizia sia di tutela del
bene primario della sicurezza della circolazione stradale”
(TAR Lombardia Brescia Sez. I, (ud. 21/11/2006) 05.12.2006,
n. 1545).
Non potendosi, pertanto, ritenere tale previsione
illegittima, non sussistono ragioni per adottare un’interpretatio
abrogans dell’articolo 39, comma 2, del regolamento
comunale e ciò benché la sua formulazione presenti un
evidente disallineamento tra la prima parte, ove si richiama
l’articolo 26 del D.P.R. 495/1992 (che fissa le distanze
dalle sole strade poste fuori dai centri abitati), e la
tabella sottostante, che fissa le distanze delle recinzioni
anche all’interno dei centri abitati, dovendosi ritenere che
la prima parte, e non la seconda, sia frutto di un refuso
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 08.09.2020 n. 798 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Le opere abusivamente realizzate
consistono nella realizzazione di un muro in cemento con la
parte soprastante in paletti e rete metallica avente
lunghezza di m. 6,90 circa; e di un cancello avente
larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in
calcestruzzo con soprastanti pali in ferro.
Per dimensioni morfologiche, modalità costruttive e
materiali impiegati le opere esulano dall’ambito delle
recinzioni la cui realizzazione non è subordinata al
rilascio del permesso di costruire: ossia dalle recinzioni
di fondi rustici senza opere murarie, quali quelle
consistenti nella mera apposizione di rete metallica
sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di
sostegno.
Paradigmaticamente, s’afferma che la concessione edilizia
non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici
senza opere murarie; e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza
muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo jus excludendi alios: viceversa,
occorre, il titolo edilizio, quando la recinzione è
costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica.
---------------
Né, per scriminare in fatto l’abuso, è consentito frazionare
le opere.
Costituisce principio consolidato, da cui non sussistono
giustificati motivi per qui discostarsi, che: “la
valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione
complessiva e non atomistica delle opere realizzate, sicché
non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità
ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il
pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio
deriva non da ciascun intervento a sé stante considerato, ma
dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto
edilizio e nelle reciproche interazioni”.
---------------
1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 36/2010, di
reiezione del ricorso collettivamente proposto dai sig.ri
Lu.Ga., At.Br., Al.Br. e It.Br. avverso l’ordinanza di
demolizione adottata dal Comune di Gallarate (n. 96 del
31.5.95), avente ad oggetto le opere di recinzione in rete
metallica e i relativi cancelli di accesso alla proprietà.
Nei motivi d’impugnazione i ricorrenti deducevano che la
sanzione era stata comminata senza previamente accertare gli
effettivi responsabili delle opere; e che, comunque, in
ragione delle opere intraprese –costituenti manifestazioni
di facoltà dominicale espressamente attribuite dall’art. 841
c.c.– esse non integravano abuso edilizio assoggettabile
alla sanzione reale di ripristino.
2. Il Tar ha respinto il ricorso, rilevando che, in ragione
delle modalità tecniche di realizzazione della recinzione e
del cancello d’accesso agli immobili di proprietà, le opere
realizzate erano subordinate al rilascio del titolo edilizio
con la conseguenza che la sanzione demolitoria è atto
dovuto.
Quanto ai destinatari della sanzione, l’incidenza delle
opere sui fondi di loro proprietà ha fatto sì, sottolineano
i giudici di prime cure, che l’ordinanza è stata
correttamente notificata anche ad essi.
...
7. Con il secondo motivo d’appello, i ricorrenti
lamentano l’omesso scrutinio in sentenza della natura delle
opere di carattere meramente pertinenziale e precario,
funzionali alla separazione della proprietà: e dunque
espressione concreta dello ius excludendum alios,
realizzabili senza necessità di un titolo abilitativo.
8. Il motivo è infondato.
Le opere consistono nella realizzazione di un muro in
cemento con la parte soprastante in paletti e rete metallica
avente lunghezza di m. 6,90 circa; e di un cancello avente
larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in
calcestruzzo con soprastanti pali in ferro.
Per dimensioni morfologiche, modalità costruttive e
materiali impiegati le opere esulano dall’ambito delle
recinzioni la cui realizzazione non è subordinata al
rilascio del permesso di costruire: ossia dalle recinzioni
di fondi rustici senza opere murarie, quali quelle
consistenti nella mera apposizione di rete metallica
sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di
sostegno.
Paradigmaticamente, s’afferma che la concessione edilizia
non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici
senza opere murarie; e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza
muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo jus excludendi alios:
viceversa, occorre, il titolo edilizio, quando la recinzione
è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica (cfr., in termini, Cons. Stato,
sez. IV, 15.12.2017, n. 5908; Id., sez. VI, 19.12.2019, n.
8600).
Né, per scriminare in fatto l’abuso, è consentito frazionare
le opere.
Costituisce principio consolidato, da cui non sussistono
giustificati motivi per qui discostarsi, che: “la
valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione
complessiva e non atomistica delle opere realizzate, sicché
non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità
ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il
pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio
deriva non da ciascun intervento a sé stante considerato, ma
dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto
edilizio e nelle reciproche interazioni” (cfr., Cons.
Stato, sez. VI, 07.11.2019, n. 7601) (Consiglio di Stato,
Sez. II,
sentenza 31.08.2020 n. 5321 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con riferimento ad opera abusiva
eseguita in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione
paesaggistica in aree vincolate, la giurisprudenza ha
elaborato un principio di indifferenza del titolo necessario
all’esecuzione di interventi in zone vincolate, affermando
la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni
caso: <<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più
idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in
zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che
rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione
ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in
essere in zona vincolata ed in assoluta carenza di titolo
abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico, che
urbanistico>>.
---------------
In assenza di precise indicazioni rintracciabili nel Testo
Unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla
delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni,
muri di cinta e cancellate, non devono essere considerate in
base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma
sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul
preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea
generale, che tali opere restano sottoposte al regime della
SCIA ove non superino in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico-edilizia e non determinino
un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed
altezza modesti nonché per l’utilizzo di un materiale di
scarso impatto visivo; mentre necessitano del permesso di
costruire ove detta soglia risulti superata in ragione
dell'importanza dimensionale degli interventi posti in
essere; con la conseguenza che la distinzione tra esercizio
dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art.
831 c.c. vada riscontrata nella verifica concreta delle
caratteristiche del manufatto.
In ordine alla specifica tipologia del cancello in ferro, la
giurisprudenza ritiene che trattasi di opera assentibile con
SCIA.
---------------
Per quanto concerne la recinzione in legno e rete metallica
posta a chiusura sul versante nord della strada in
contestazione, non è condivisibile l’assunto attoreo secondo
cui essa sarebbe annoverabile tra gli interventi di edilizia
libera, in considerazione del consolidato orientamento a
mente del quale “la realizzazione di una recinzione non
richiede un idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di
una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di
scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento,
non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione
tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi
alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica
concreta delle caratteristiche del manufatto, ammettendosi
la sufficienza di una DIA (o SCIA) laddove la recinzione si
sostanzi nell’apposizione di reti e paletti infissi al
terreno, o si avvalga di altri materiali leggeri”, come nel
caso in esame, in cui la recinzione è realizzata con tavole
in legno e rete metallica.
---------------
6 - Il provvedimento impugnato, come anticipato, dispone la
rimozione dei cancelli e della recinzione metallica
collocati su suolo demaniale, in assenza di titolo
urbanistico e paesaggistico.
6.1 - Si rivela preliminare ai fini del decidere la verifica
della fondatezza degli assunti attorei relativi
all’esistenza di titoli idonei a sorreggere la presenza
delle opere oggetto di contestazione, tenuto conto che
-anche laddove l’area in questione non fosse di proprietà
pubblica- gli interventi realizzati necessiterebbero
comunque di essere legittimati quanto meno sotto il profilo
paesaggistico.
6.2 – In punto di diritto necessita osservare che “Con
riferimento ad opera abusiva eseguita in assenza di titolo
edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree
vincolate, la giurisprudenza ha elaborato un principio di
indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di
interventi in zone vincolate, affermando la legittimità
dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso (cfr. la
sentenza della Sez. VI di questo Tribunale del 26/03/2015 n.
1815): <<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più
idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in
zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che
rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione
ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in
essere in zona vincolata ed in assoluta carenza di titolo
abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico, che
urbanistico>>” - per tutte, da ultimo, TAR Campania,
Napoli, sez. III, sent. 06/04/2020 n. 1328.
Ed ancora, “In assenza di precise indicazioni
rintracciabili nel Testo Unico in materia di edilizia, le
opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni,
quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono
essere considerate in base all'astratta tipologia di
intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto
effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere
restano sottoposte al regime della SCIA ove non superino in
concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia
e non determinino un’apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale, per essersi tradotte in manufatti di
corpo ed altezza modesti nonché per l’utilizzo di un
materiale di scarso impatto visivo; mentre necessitano del
permesso di costruire ove detta soglia risulti superata in
ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti
in essere; con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios
ex art. 831 c.c. vada riscontrata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto" (TAR Potenza, Sez.
I, 09.12.2019, 899; TAR Firenze, Sez. III,10.09.2019, 1227;
TAR Salerno, Sez. II, 06.12.2018, 1760).
6.2.1. - "In ordine alla specifica tipologia del cancello
in ferro, la giurisprudenza ritiene che trattasi di opera
assentibile con SCIA (ex multis, TAR Catanzaro, Sez. II,
07.02.2019, 270; TAR Catanzaro, Sez. II, 10.06.2008, 643)”
– così, da ultimo, Tar Campania, Salerno, sez. II, sent.
16/06/2020 n. 668.
Orbene, in relazione al cancello corrispondente al civico 25
di via ..., è indubitabile che la sua apposizione
richiedesse, in zona vincolata, il rilascio di titolo
abilitativo, tenuto conto che trattasi di cancello carrabile
in ferro a doppia anta.
6.2.2 - Per quanto concerne, invece, la recinzione in legno
e rete metallica posta a chiusura sul versante nord della
strada in contestazione, non è condivisibile l’assunto
attoreo secondo cui essa sarebbe annoverabile tra gli
interventi di edilizia libera, in considerazione del
consolidato orientamento a mente del quale “la
realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo
titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione
che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e
per le dimensioni dell'intervento, non comporti
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios
ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Torino, sez.
II , 30/09/2019 , n. 1013; Consiglio di Stato , sez. VI ,
29/11/2019 , n. 8178), ammettendosi la sufficienza di una
DIA (o SCIA) laddove la recinzione si sostanzi
nell’apposizione di reti e paletti infissi al terreno, o si
avvalga di altri materiali leggeri” – (TAR Lazio, Roma,
sez. II, sent. 30/06/2020 n. 7298, ma anche TAR Abruzzo,
sez. I, sent. 04/06/2020 n. 202), come nel caso in esame, in
cui la recinzione è realizzata con tavole in legno e rete
metallica.
6.3 - Orbene, parte ricorrente non ha assolto all’onere
probatorio sulla stessa gravante di comprovare la
legittimità del cancello e della recinzione oggetto di
contestazione, limitandosi ad argomentare in merito alla
loro presenza in loco “da tempo immemore”.
6.3.1 - Non vi è, tuttavia, prova in atti della
pre-esistenza –se del caso- rispetto al 1967 dei manufatti
de quibus, nulla emergendo sul punto dalla
planimetria allegata all’atto di compravendita n. rep. 53
del 09/02/1935 (doc. 18 allegato al ricorso), né dalla
descrizione dell’area recata dal successivo atto di acquisto
del 19/05/1988.
In esso si dà, effettivamente, conto della edificazione
degli immobili alienati in epoca antecedente al 1967 e della
presenza di un “viale condominiale”, corrispondente
al tratto di strada che il Comune assume demaniale: a valle
di tale viale risulta un segno grafico che, quand’anche
corrispondente ad un infisso (cancello), non consente di
datarne con esattezza l’apposizione.
6.3.2 - Quanto, poi, alla rappresentazione contenuta nei
grafici allegati al pdc n. 1965/13421 del 2011 neppure essa
è decisiva in argomento: la presenza di tratti grafici che
–per quanto è dato comprendere– rappresentano gli “ingressi”
nord (sulla via ...) e sud (sulla via ...) nulla dice circa
la legittimità degli stessi, che –per stessa ammissione di
parte ricorrente– sono, infatti, ben più risalenti nel
tempo.
6.3.3 - Inconferente ai fini che qui occupano è, infine, il
verbale di sopralluogo del 31/03/2016 da cui si ricava
soltanto la presenza di un “cancello di ingresso”
presso la proprietà Di Ba. a tale data (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 18.08.2020 n. 3607 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. e,
pertanto, abbia la funzione di delimitazione della proprietà e non sia di
altezza superiore a 3 mt, non è considerato costruzione di cui tenere conto
ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà
concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in
appoggio; con la conseguenza che le distanze legali devono essere computate
come se il muro non esistesse.
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L'interposizione tra
i fabbricati della parti di un muro-costruzione non è di per sé sufficiente
ad escludere l'operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbanistico al fine di
assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, occorrendo
per la disapplicazione della disciplina medesima che l'altezza e
l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche
parzialmente antistanti.
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7. Infine, non risulta fondata neanche la deduzione incentrata
sull’esistenza di un muro di cinta, tale –secondo la prospettazione degli
appellanti– da rendere irrilevante il computo della distanza tra il
manufatto per cui è controversia e il fabbricato antistante.
Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. e,
pertanto, abbia la funzione di delimitazione della proprietà e non sia di
altezza superiore a 3 mt, non è considerato costruzione di cui tenere conto
ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà
concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in
appoggio; con la conseguenza che le distanze legali devono essere computate
come se il muro non esistesse (Cass. n. 10461 del 12.05.2011).
Nella specie lo stesso appellante dichiara a pag. 13 dell’appello che il
muro ha una funzione di recinzione ed è di altezza di 1,5 mt; pertanto,
essendosi in presenza di un muro avente le caratteristiche di cui all’art.
878 c.c., tale costruzione non deve essere presa in considerazione ai fini
del calcolo delle distanze tra edifici: escludendo il muro di cinta e
facendo riferimento al manufatto adibito a garage, non è, dunque, rispettata
la distanza minima di cui al d.m. n. 1444 del 1968 in relazione al
fabbricato antistante preesistente.
Peraltro, come precisato dalla Corte di cassazione, “l'interposizione tra
i fabbricati della parti di un muro-costruzione non è di per sé sufficiente
ad escludere l'operatività della disciplina delle distanze tra le pareti
finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbanistico al fine di
assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, occorrendo
per la disapplicazione della disciplina medesima che l'altezza e
l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche
parzialmente antistanti” (Cassazione, sez. II, 28.12.2012, n. 24128).
Anche prescindendo dalle caratteristiche del muro richiamato dagli
appellanti come muro di cinta, inidoneo ad assumere autonoma rilevanza ai
fini della disciplina sulla distanza tra costruzioni, emerge che nel caso in
esame il muro ha comunque un’altezza inferiore a quella del garage per cui è
causa: il che, da un lato, risulta ammesso dall’appellante (cfr. pag. 13
appello), che dà atto come il muro non soltanto sia di altezza di 1,5 mt, ma
presenti anche un’altezza “inferiore a quella del fabbricato
pertinenziale anch’esso gravato dall’ordinanza comunale gravata in primo
grado”; dall’altro, emerge dall’ordinanza di demolizione (in parte qua
non contestata), in cui si dà atto che, a fronte dell’altezza del manufatto
per cui è causa, di 3,22 mt, il muro ha un’altezza variabile da 0,85 mt a
1,20 mt, con aggiunta di pilastrini di dimensioni mt 0,20x0,20x,080.
Pertanto, attesa l’altezza del muro, inferiore a quella del garage oggetto
di giudizio, deve ritenersi che il garage stesso e il fabbricato
preesistente sul fondo contiguo (identificato con la particella n. 85,
foglio di mappa 20) risultino, comunque, anche in presenza del muro de
quo, parzialmente antistanti; presupposto che avrebbe richiesto
l’osservanza del limite di distanza di dieci metri previsto dall’art. 9 d.m.
n. 1444 del 1968, nella specie violato (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.07.2020 n. 4767 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: BENI
CULTURALI ED AMBIENTALI – Area paesaggisticamente vincolata
– Lavori di livellamento del terreno – Modifica dell’assetto
dei luoghi – Rilascio di un’autorizzazione paesaggistica –
Necessità – Sequestro preventivo del terreno – Riesame del
decreto – Art. 322 c.p.p. – Tutela paesaggistica – Attività
edilizia libera e regime autorizzativo in area vincolata –
Giudizio postumo di compatibilità paesaggistica –
Presupposti per il rilascio – Art. 181 Dlgs. n. 42/2004 e
art. 3 d.P.R. n. 380/2001.
Integra il reato di cui all'art. 181,
comma primo, D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, l'abusiva esecuzione,
in area paesaggisticamente vincolata, di lavori, consistenti
tra l'altro nel livellamento del terreno, essendo soggetto
ad autorizzazione ogni intervento modificativo come quello
in esame.
Tanto in virtù del principio, persistente anche alla luce
della disciplina di cui al Dlgs. 42/2004, secondo il quale
in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, la necessità
di preventiva autorizzazione riguarda ogni attività
comportante una modificazione dell'assetto territoriale, ivi
compresa la conformazione dei luoghi.
Non implicano invero una modifica dell'assetto dei luoghi i
soli interventi che il legislatore ha espressamente
sottratto al previo regime autorizzativo in area vincolata,
anche attraverso un eventuale giudizio postumo di
compatibilità paesaggistica, quali quelli di cui all'art.
181, comma 1-ter, del Dlgs. citato e consistenti:
a) in lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) nell'impiego di materiali in difformità
dall'autorizzazione paesaggistica;
c) nei lavori configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
---------------
EDILIZIA –
Mera sistemazione di un terreno agricolo – Realizzazione di
recinzione in area vincolata con mutamento dello stato dei
luoghi – Attività edilizia libera – Esclusione.
Riguardo alla contestata recinzione inoltre, opera il
medesimo principio sopra indicato, avente riguardo alla
rilevanza dell'opera sotto il profilo del mutamento dello
stato dei luoghi, da valutarsi anche evitando ogni
inammissibile frammentazione degli interventi in esame, tra
loro in realtà correlati.
Cosicché la complessiva realizzazione, nel contesto di una
più organica modifica dell'assetto territoriale riguardante
le quote dell'area interessata, di una recinzione costruita
mediante paletti alti 2 metri e rete metallica per circa 20
metri integra una alterazione significativa, richiedente
anch'essa il rilascio della autorizzazione paesaggistica.
---------------
1. Si premette che il sequestro è stato disposto e quindi
confermato dal tribunale solo in relazione al reato ex art.
181 Dlgs. 42/2004.
Correttamente il tribunale ha rilevato la riconducibilità
dell'intervento nell'ambito di una modifica dei luoghi
richiedente, in area vincolata, il rilascio di
un'autorizzazione paesaggistica, sottolineando come da
apposita verifica tecnica -cui la difesa ha solo opposto una
personale diversa qualificazione di quanto realizzato, così
proponendo una mera rivalutazione del merito, in questa sede
inammissibile- sia emerso un livellamento del terreno
piuttosto che una mera ripulitura.
Il collegio della cautela ha in tal modo fatto applicazione
del principio per cui, integra il reato di cui all'art. 181,
comma primo, D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, l'abusiva esecuzione,
in area paesaggisticamente vincolata, di lavori, consistenti
tra l'altro nel livellamento del terreno, essendo soggetto
ad autorizzazione ogni intervento modificativo come quello
in esame (Sez. 3, n. 43863 del 14/10/2009 Rv. 245268 - 01
Manzoni).
Tanto in virtù del principio, persistente anche alla luce
della disciplina di cui al Dlgs. 42/2004, secondo il quale
in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, la necessità
di preventiva autorizzazione riguarda ogni attività
comportante una modificazione dell'assetto territoriale, ivi
compresa la conformazione dei luoghi (Sez. 3, n. 1172 del
10/12/2001 (dep. 14/01/2002 ) Rv. 220855 - 01 Totaro).
Non implicano invero una modifica dell'assetto dei luoghi i
soli interventi che il legislatore ha espressamente
sottratto al previo regime autorizzativo in area vincolata,
anche attraverso un eventuale giudizio postumo di
compatibilità paesaggistica, quali quelli di cui all'art.
181, comma 1-ter, del Dlgs. citato e consistenti:
a) in lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) nell'impiego di materiali in difformità
dall'autorizzazione paesaggistica;
c) nei lavori configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Riguardo alla contestata recinzione inoltre, opera il
medesimo principio sopra indicato, avente riguardo alla
rilevanza dell'opera sotto il profilo del mutamento dello
stato dei luoghi, da valutarsi anche evitando ogni
inammissibile frammentazione degli interventi in esame, tra
loro in realtà correlati. Cosicché la complessiva
realizzazione, nel contesto di una più organica modifica
dell'assetto territoriale riguardante le quote dell'area
interessata, di una recinzione costruita mediante paletti
alti 2 metri e rete metallica per circa 20 metri integra una
alterazione significativa, richiedente anch'essa il rilascio
della autorizzazione paesaggistica (cfr. in tal senso Sez.
3, n. 39355 del 12/10/2006 Rv. 235463 - 01 Cocchi) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.06.2020 n. 18460). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
muro di cinta o di contenimento è struttura che,
differenziandosi dalla semplice recinzione che ha
caratteristiche tipologiche diverse, di minima entità, di
delimitazione della proprietà, non ha natura pertinenziale,
in quanto opera dotata di specificità ed autonomia
soprattutto in relazione alla funzione assolta consistente
nel sostenere il terreno al fine di evitare movimenti
franosi in caso di dislivello originario o incrementato.
Il concetto di nuova costruzione è comprensivo di qualunque
manufatto autonomo ovvero modificativo di altro
preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo
durevole l’area coperta con cui si operi nel suolo e sul
suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi.
In materia edilizia è necessario il permesso di costruire
per la realizzazione del muro di contenimento, in quanto si
tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed
è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata,
come tale qualificabile come intervento di “nuova
costruzione.
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Nel caso dei fondi a dislivello, di origine artificiale, nei
quali adempiendo il muro, anche ad una funzione di sostegno
e contenimento del terrapieno, deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve
in modo permanente e definitivo, alla funzione di
contenimento di un terrapieno, creato dall’opera dell’uomo.
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Il muro di cinta o di contenimento è struttura che,
differenziandosi dalla semplice recinzione che ha
caratteristiche tipologiche diverse, di minima entità, di
delimitazione della proprietà, non ha natura pertinenziale,
in quanto opera dotata di specificità ed autonomia
soprattutto in relazione alla funzione assolta consistente
nel sostenere il terreno al fine di evitare movimenti
franosi in caso di dislivello originario o incrementato
(Consiglio di Stato, sez. VI, 09.07.2018, n. 41, precisando
che il concetto di nuova costruzione: è comprensivo di
qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro
preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo
durevole l’area coperta con cui si operi nel suolo e sul
suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi); per la
Cassazione (sez. III pen., 21.11.2018, n. 55366) in materia
edilizia è necessario il permesso di costruire per la
realizzazione del muro di contenimento, in quanto si tratta
di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è
destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come
tale qualificabile come intervento di “nuova costruzione”.
Venendo all’ulteriore censura secondo cui la sopraelevazione
sarebbe, ad ogni modo, stata conforme alle prescrizioni del
R.E. ante 2016, se ne evidenzia la palese infondatezza (R.E.
del Comune di Sarre L.R. 06/04/1998, n. 11 art. 53 e della
DGR 628 del 12/04/2013), posto che la questione posta dal
ricorrente nulla dice in merito al tema delle distanze, che
è la ragione del questionare (art. VIII-24, Distanze dai
confini).
Il sopralzo del vecchio muro e il cordolo, posto al confine
con il vicino, la fattispecie applicabile è quella
specificata al punto 2, lett. c), ovvero: “terreno
sopraelevato rispetto al fondo confinante per situazione
naturale o per vecchie sistemazioni”, in cui la
realizzazione di opere di confine era ammessa a condizione
che le stesse non emergessero dal terreno preesistente
(Cassazione Civile, sez.VI n. 21658/2019: “Nel caso dei
fondi a dislivello, di origine artificiale, nei quali
adempiendo il muro, anche ad una funzione di sostegno e
contenimento del terrapieno, deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve
in modo permanente e definitivo, alla funzione di
contenimento di un terrapieno, creato dall’opera dell’uomo”),
ma condizione essenziale era mantenere il muro preesistente
in modo sistemato e sempre previo nulla osta dei proprietari
confinanti (requisiti che sono risultati essere mancanti)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 11.06.2020 n. 16 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La posa di una recinzione -manufatto
essenzialmente destinato a delimitare una determinata
proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla
e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo
jus excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del
diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la
presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non
può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del
dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai
sensi dell'art. 841 del c.c..
---------------
Del tutto destituita di fondamento risulta, infine, la
censura di violazione del principio di imparzialità e di
sviamento di potere, basata sull’asserita volontà
dell’amministrazione di “sanare” l’intervento di
recinzione realizzato dalla controinteressata Em.Tr. S.r.l.,
che non rispettava le distanze minime dalla strada in
questione.
Tale censura risulta in primo luogo sfornita di qualsiasi
principio di prova del denunciato perseguimento, da parte
della resistente amministrazione, di un interesse
particolare non coincidente con l’interesse pubblico.
Inoltre l’intervento edilizio della controinteressata non
necessitava di regolarizzazione, atteso che la presenza di
un vincolo espropriativo non preclude al proprietario di
esercitare, nelle more del relativo procedimento, le sue
prerogative.
Infatti “la posa di una recinzione -manufatto
essenzialmente destinato a delimitare una determinata
proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla
e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo
jus excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del
diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la
presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non
può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del
dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai
sensi dell'art. 841 del c.c. (TAR Campania Napoli, sez. II -
04/02/2005 n. 803; TAR Lombardia Milano, sez. II -
11/02/2005 n. 367)” (TAR Campania, Napoli, sez. VI,
04.07.2019, n. 3686; id. TAR Toscana, sez. III, 22.08.2019,
n. 1208) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 04.06.2020 n. 428 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In linea generale, la realizzazione di
recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata
al regime della d.i.a. (ora s.c.i.a.) ove dette opere non
superino in concreto la soglia della trasformazione
urbanistico–edilizia, occorrendo —invece— il permesso di
costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
---------------
In giurisprudenza, “Per muro di cinta, nella dizione
contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), d.l. 05.10.1993 n.
398, convertito con modificazioni in l. 04.12.1993 n. 493, e
sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, l. 23.12.1996
n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non
suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la
conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale
in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare,
proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben
diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri
di contenimento”, i quali si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la
funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi
devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea
per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una
concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo
edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in
quanto non esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che
esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza,
conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della
demolizione prevista per il caso di assenza di concessione”.
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Nella specie, si deve concordare con la qualificazione del
muretto in questione come muro di cinta, ovvero come
“opera di recinzione, non suscettibile di modificare o
alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che
assume natura pertinenziale in quanto ha esclusivamente la
funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire
la proprietà”, opera la quale, pertanto, non supera, in
concreto, “la soglia della trasformazione
urbanistico–edilizia”, come elaborata dalla giurisprudenza
citata.
Ne deriva l’impossibilità di sanzionare, con la più grave
misura della demolizione, l’opera in questione: “Se
all'epoca dell'adozione dell'ordine di demolizione le
recinzioni, i muri di cinta e le cancellate erano annoverati
tra gli interventi edilizi minori, assoggettati alla
semplice d.i.a. ai sensi dell'art. 4, comma 7, d.l. n.
398/1993, conv., con modificazioni, nella l. n. 493/1993 (s.m.i.)
la cui mancanza comportava la sola sanzione pecuniaria,
l'ordine risulta illegittimo”.
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Quanto all’altra opera, della quale s’è ordinata la
demolizione, vale a dire l’innalzamento di un muretto di
0,60 cm., a protezione della predetta area scoperta e
pavimentata in gres porcellanato, anche in considerazione
della prospicienza dell’area sulla S.S. Amalfitana, nella
prefata c.t.p. s’osserva: “Il muretto è stato
riconfigurato e –in parte– abbassato, in maniera tale da non
creare impatto sul paesaggio rispetto allo stato precedente
(vedi allegato 9); infatti, trattasi di un modesto
intervento di risanamento conservativo conseguente a un
episodio di danneggiamento da parte di un motocarro che non
impatta neanche sul paesaggio, trattandosi di modifiche
dell’ordine di pochi centimetri”.
Orbene, in relazione a tale muretto, verificata altresì
l’obiettiva consistenza, assolutamente modesta, del
medesimo, nonché la sua funzione di delimitazione e
protezione dell’area di cui sopra, alla luce della
documentazione fotografica allegata alla c.t.p., e rimarcata
ancora una volta l’assenza di contrarie deduzioni da parte
dell’Amministrazione Comunale di Ravello, ritiene il
Tribunale come fondata, e dirimente, si presenti la censura,
rubricata sub III), imperniata sulla non necessità di
permesso di costruire, per un’opera siffatta.
Tanto alla luce della massima che segue: Consiglio di Stato,
sez. VI, 04/01/2016, n. 10: “In linea generale, la
realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate
rimane assoggettata al regime della d.i.a. (ora s.c.i.a.)
ove dette opere non superino in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico–edilizia, occorrendo —invece— il
permesso di costruire, ove detti interventi superino tale
soglia”.
Si tenga altresì presente l’art. 2 della l.r.C. 19/2001,
secondo cui possono essere realizzati, in base a semplice
denuncia di inizio attività, tra gli altri, “a) gli
interventi edilizi, di cui all’art. 4 del decreto legge
05.10.1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla
legge 04.12.1993, n. 493, come sostituito dall’art. 2, comma
60, della legge 23.12.1996, n. 662, lettere a), b), c), d),
e), f)”; e il richiamato art. 4, co. VII, lettera c),
legge 493/1993, sottopone a SCIA “la realizzazione di
muri di cinta” (“I seguenti interventi sono
subordinati alla denuncia di inizio attività ai sensi e per
gli effetti dell'articolo 2 della legge 24.12.1993, n. 537:
(…) c) recinzioni, muri di cinta e cancellate”).
In giurisprudenza, cfr., a contrario, Consiglio di Stato,
Sez. V, 08/04/2014, n. 1651: “Per muro di cinta, nella
dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), d.l.
05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in l.
04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2,
comma 60, l. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere
di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare
sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono
natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la
funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire
la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la
funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si
differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo
per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il
terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e
quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò
idonea per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una
concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo
edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in
quanto non esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che
esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza,
conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della
demolizione prevista per il caso di assenza di concessione”.
Nella specie, si deve concordare con la qualificazione del
muretto in questione come muro di cinta, ovvero come “opera
di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare
sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume
natura pertinenziale in quanto ha esclusivamente la funzione
di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la
proprietà”, opera la quale, pertanto, non supera, in
concreto, “la soglia della trasformazione
urbanistico–edilizia”, come elaborata dalla
giurisprudenza citata.
Ne deriva l’impossibilità di sanzionare, con la più grave
misura della demolizione, l’opera in questione (cfr. TAR
Piemonte, Sez. I, 12/04/2010, n. 1761: “Se all'epoca
dell'adozione dell'ordine di demolizione le recinzioni, i
muri di cinta e le cancellate erano annoverati tra gli
interventi edilizi minori, assoggettati alla semplice d.i.a.
ai sensi dell'art. 4, comma 7, d.l. n. 398/1993, conv., con
modificazioni, nella l. n. 493/1993 (s.m.i.) la cui mancanza
comportava la sola sanzione pecuniaria, l'ordine risulta
illegittimo”) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 19.05.2020 n. 543 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Viene
in considerazione la realizzazione –in tesi senza titolo
edilizio- di una recinzione costituita da paletti in legno
conficcati direttamente nel terreno e due corde di filo
spinato.
Ebbene, secondo un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, al quale qui si dà continuità, la
realizzazione di una recinzione metallica con paletti di
ferro e cancello, costituisca attività libera, non soggetta
nemmeno a denuncia di inizio attività
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1. Co.Bo., con atto depositato il 20.03.2019, è insorto
avverso il provvedimento in epigrafe, avente a oggetto: “diffida
a demolire e ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 31 del
d.P.R. n. 380/2001, per opere edilizie abusive realizzate su
suolo di proprietà degli eredi del Sig. An.Te., in c.da Tu.,
foglio 24 part. 146-162 e 365 in agro di Balvano”,
limitatamente alla parte in cui si dispone la demolizione
della recinzione costituita da paletti in legno e due corde
di filo spinato, insistenti lungo il perimetro delle
particelle summenzionate, deducendo in diritto la violazione
ed erronea applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del
2001.
2. L’Amministrazione comunale intimata non si è costituita
in giudizio.
...
6. Il ricorso è fondato, alla stregua della motivazione che
segue.
Coglie nel segno la doglianza relativa alla violazione, da
parte dell’Ente civico intimato, di quanto disposto
dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In effetti, viene in considerazione la realizzazione –in
tesi senza titolo edilizio- di una recinzione costituita da
paletti in legno conficcati direttamente nel terreno e due
corde di filo spinato. Ebbene, secondo un condivisibile
orientamento giurisprudenziale, al quale qui si dà
continuità, la realizzazione di una recinzione metallica con
paletti di ferro e cancello, costituisca attività libera,
non soggetta nemmeno a denuncia di inizio attività (TAR
Basilicata, 17.11.2014, n. 789).
7. Dalle considerazioni che precedono discende
l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento
dell’atto impugnato, nel limite dell’interesse (TAR
Basilicata,
sentenza 09.03.2020 n. 192 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per
giurisprudenza consolidata, il «muro di contenimento in c.a. di lunghezza di
m 67,00 circa, spessore mt 0,35 ed altezza variabile da mt 1,00 a m 4,50»
costituisce opera suscettibile di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio
del territorio, siccome dotata di consistenza e stabilità, e riconducibile,
quindi, al novero degli interventi di nuova costruzione di cui all’art. 3,
comma 1, lett. e, del d.p.r. n. 380/2001, le quali necessitano, per la loro
realizzazione, del previo rilascio del permesso di costruire.
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In particolare, per giurisprudenza altrettanto consolidata, il «muro di
contenimento in c.a. di lunghezza di m 67,00 circa, spessore mt 0,35 ed
altezza variabile da mt 1,00 a m 4,50» costituisce opera suscettibile di
incidere sull’assetto urbanistico-edilizio del territorio, siccome dotata di
consistenza e stabilità, e riconducibile, quindi, al novero degli interventi
di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del d.p.r. n.
380/2001, le quali necessitano, per la loro realizzazione, del previo
rilascio del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4169/2018;
TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 10729/2014; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, n.
1728/2015; TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 3996/2016; TAR Molise,
Campobasso, n. 317/2017; TAR Piemonte, Torino, sez. II, n. 160/2018; TAR
Veneto, Venezia, sez. II, n. 663/2018)
(TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.02.2020 n. 266 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
condivisibili principi giurisprudenziali, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli
effetti delle norme sulle distanze, dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o
del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; analogamente, è stato affermato che “in caso di
fondi a dislivello, non può considerarsi “costruzione”, ai fini e per gli
effetti dell’art. 873 c.c., il muro di contenimento realizzato per evitare
smottamenti e frane”; nel caso di
specie, in base al progetto assentito dall’Amministrazione, la porzione di
muro di circa 1,00–1,50 mt che emerge dal terreno in funzione di “coronamento”
segue il confine di proprietà e costituisce lo zoccolo sui cui è infissa una
rete, e come tale ha caratteristiche di muro di cinta, sottratto al calcolo
delle distanze.
---------------
4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità
del provvedimento impugnato per violazione di legge con riferimento all’art.
873 c.c. e agli artt. 13 e 43 del Regolamento Edilizio Comunale: secondo i
ricorrenti, l’intervento assentito violerebbe le prescrizioni in materia di
distanze delle costruzioni dai confini (art. 873 c.c.) e in materia di
distacchi dei muri di sostegno e contenimento da terrazzamenti preesistenti
posti a dislivello (art. 13 e 43 del R.E.C.); ciò sul presupposto che il
nuovo muro costituirebbe “costruzione” ai fini del rispetto delle
norme dal confine e dalle altre costruzioni, da cui conseguirebbe, in
particolare, l’obbligo di rispettare la distanza di almeno 3 metri dal
confine, laddove nel caso di specie il nuovo muro di contenimento verrebbe
ad essere realizzato a distanza di appena 1,60 metri dal terrazzamento di
proprietà dei ricorrenti; inoltre, in base alle citate norme del R.E.C., nel
caso di fondi a dislivello la muratura di contenimento deve avere altezza
non superiore a 2 metri e i livelli intermedi tra i vari fronti di
elevazione devono avere profondità non inferiore all’altezza del muro
sovrastante, con la conseguenza che nel caso di specie si sarebbe dovuto
rispettare un distacco di almeno 3,20 metri dal muro sovrastante di
proprietà dei ricorrenti, essendo questa l’altezza massima di quest’ultimo.
Il collegio non condivide l’assunto di parte ricorrente, sotto entrambi i
profili dedotti, atteso che:
- quanto al primo profilo, secondo condivisibili principi
giurisprudenziali, il muro di contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti delle
norme sulle distanze, dalle fondamenta al livello del fondo superiore,
qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (Cass. Civ., II,
11.01.1992, n. 243); analogamente, è stato affermato che “in caso di
fondi a dislivello, non può considerarsi “costruzione”, ai fini e per gli
effetti dell’art. 873 c.c., il muro di contenimento realizzato per evitare
smottamenti e frane” (Cass. Civ., II, 19.08.2002 n. 12239); nel caso di
specie, in base al progetto assentito dall’Amministrazione, la porzione di
muro di circa 1,00–1,50 mt che emerge dal terreno in funzione di “coronamento”
segue il confine di proprietà e costituisce lo zoccolo sui cui è infissa una
rete, e come tale ha caratteristiche di muro di cinta, sottratto al calcolo
delle distanze;
- quanto al secondo profilo, il muro di coronamento (l’unico che
rileva, la parte realizzata nel sottosuolo non rilevando in materia di
distanze tra edifici) è di altezza inferiore a 2 metri, per cui non sussiste
neppure la violazione delle norme del R.E.C.
(TAR Pimonte, Sez. II.,
sentenza 11.02.2020 n. 124 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
gennaio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Distanze da osservare per la realizzazione di muri di
contenimento. Parere (Legali Associati per Celva,
nota 27.01.2020 - tratto da www.celva.it).
---------------
Il CELVA, per conto del Comune di Saint-Vincent, ha formulato una
richiesta di parere avente ad oggetto la verifica dell’applicabilità della
normativa in materia di distanze legali, posta dal codice civile, alla
costruzione di muri di contenimento. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
In giurisprudenza la realizzazione dei
muri di recinzione viene qualificata come intervento di nuova costruzione,
con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo,
qualora abbia l’effettiva idoneità di determinare significative
trasformazioni urbanistiche ed edilizie; la realizzazione di un muro di
recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire
allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del
territorio.
---------------
Quanto ai muri di recinzione, in giurisprudenza la loro realizzazione viene
qualificata come intervento di nuova costruzione, con quanto ne consegue ai
fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo, qualora abbia
l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni
urbanistiche ed edilizie; la realizzazione di un muro di recinzione
necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto
riguardo alla sua struttura e all’estensione dell'area relativa, lo stesso
sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio (Cons. Stato,
sez. VI, 04.07.2014, n. 3408; Cons. Stato, sez. VI, 04.01.2016, n. 10).
Nel caso di specie, i muri di recinzione considerate le dimensioni
complessive in relazione alla lunghezza, non possono considerarsi solo una
estrinsecazione della facoltà dello ius excludendi del proprietario
avendo comportato la trasformazione urbanistica di una area estesa
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 23.01.2020 n. 561 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muri di cinta – Dislivello di origine artificiale – Funzione di sostegno e
contenimento – Natura di “costruzione” – Osservanza delle distanze ex art. 9
D.M. 1444/1968.
In tema
di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia
stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che
prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione
sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e
contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente,
esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli
effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i
proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale
intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.
---------------
Requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma
dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali,
sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a
metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine
e alla separazione e chiusura della proprietà.
Nel caso, però, di fondi a
dislivello, adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e
contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di
norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è
l'altezza del terrapieno o della scarpata.
Pertanto, non può essere
considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali,
il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo,
assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale
per evitare smottamenti o frane; il muro di contenimento di una scarpata o
di un terrapieno naturale, in particolare, non può considerarsi
"costruzione", agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c.,
per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone
lo smottamento, mentre la parte del muro che si innalza oltre il piano del
fondo sovrastante, in quanto priva della funzione di conservazione dello
stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue
oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico.
All'inverso, nel caso di dislivello di origine artificiale (che è poi la
situazione contemplata nel medesimo art. 45 del regolamento edilizio
comunale), deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico,
ai fini della normativa sulle distanze legali, il muro di fabbrica che
assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento
del terrapieno creato dall'opera dell'uomo, o che questa abbia pure soltanto
accentuato rispetto a quello già esistente per la natura dei luoghi.
Basta, dunque, che l'andamento altimetrico del piano di campagna
-originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato
artificialmente modificato per opera dell'uomo (come accertato nella specie
dai giudici del merito) a far ritenere che il muro di cinta abbia la
funzione di contenere il terrapieno creato "ex novo" con l'apporto di terra
e pietrame, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come
tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.
---------------
Anche
ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la
nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente
realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni
dell'opera.
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I muri
di contenimento di terrapieni artificiali sono qualificati opere di nuova
costruzione, necessitanti, pertanto, di permesso di costruire.
Invero, “Si deve qualificare
l'intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l'effettiva
idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e
edilizie. Sulla base di tale approccio, la realizzazione di muri di cinta di
modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della
denuncia di inizio di attività. Per converso, il muro di contenimento che
crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova
costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo
stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest'ultimo
concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero
modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o
ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo
durevole l'area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui
si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei
luoghi”.
Altresì, “anche ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di
costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente
interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione
al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un
corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera”.
---------------
Il Collegio ritiene che la nozione di costruzione e di muro di cinta
rilevante ai fini della disciplina delle distanze legali tra edifici sia
utilizzabile anche ai fini dell’art. 9 D.M. 1444/1968, nonostante
testualmente esso si riferisca alle distanze tra muri finestrati e “pareti
di edifici antistanti”, tenuto conto della comune funzione della prescritta
disciplina di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario.
Invero, “l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, laddove prescrive
la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti,
ricadenti, come nella fattispecie, in zona diversa dalla zona A, va
rispettato in modo assoluto, trattandosi di norma finalizzata non alla
tutela della riservatezza, bensì a impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.
Conseguentemente, la disposizione va applicata indipendentemente
dall'altezza degli edifici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro
pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di
una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel
limitato segmento.
Indi, le distanze fra le
costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale e
astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di
igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo
contemperamento degli opposti interessi. La prescrizione di distanza in
questione è assoluta e inderogabile”.
Essendo, almeno in parte, comune alle due
discipline la finalità igienico-sanitaria (che si somma a quella di
assicurare un ordinato assetto del territorio comunale propria delle
disposizioni del D.M. 1444/1968), anche gli elementi costruttivi ai quali la
suddetta disciplina deve applicarsi non possono che essere interpretati in
modo uniforme.
Per tale ragione, il Collegio
ritiene preferibile l’orientamento tradizionale alla stregua del quale
l’art. 9 D.M. 1444/1968 è applicabile a qualunque manufatto avente “i
caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo
che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità
trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo
triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene e che,
proprio in considerazione della possibilità di dar vita a intercapedini
contrarie alla finalità della norma, ... anche i muri di contenimento che producano un dislivello
o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni idonee ad incidere sull'osservanza delle norme in tema di
distanza dal confine".
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3. E’ fondato il terzo motivo del ricorso introduttivo, identico al
secondo
motivo del ricorso per motivi aggiunti, con il quale la ricorrente lamenta
la violazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968, poiché l’edificio in progetto è
destinato ad essere realizzato ad una distanza di m. 1,5 dal muro di
contenimento del dislivello artificiale che insiste tra i due fondi.
In punto di fatto, occorre premettere che risulta incontestato tra le parti
che il muro, posto sul confine tra i fondi, ha un’altezza di m. 1,50 ed
assolve ad una parziale funzione di contenimento del dislivello di circa 30
cm sussistente tra le due proprietà.
La costante giurisprudenza della Corte di cassazione afferma che: “In tema
di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia
stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che
prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione
sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e
contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente,
esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli
effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i
proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale
intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse”
(Cassazione civile sez. II, 03/05/2018, n. 10512).
Ed ancora (Cassazione civile sez. II, 29/05/2019, (ud. 26/02/2019, dep.
29/05/2019), n. 14710) “Requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma
dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali,
sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a
metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine
e alla separazione e chiusura della proprietà. Nel caso, però, di fondi a
dislivello, adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e
contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di
norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è
l'altezza del terrapieno o della scarpata. Pertanto, non può essere
considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali,
il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo,
assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale
per evitare smottamenti o frane; il muro di contenimento di una scarpata o
di un terrapieno naturale, in particolare, non può considerarsi
"costruzione", agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per
la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone
lo smottamento, mentre la parte del muro che si innalza oltre il piano del
fondo sovrastante, in quanto priva della funzione di conservazione dello
stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue
oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico.
All'inverso, nel caso di dislivello di origine artificiale (che è poi la
situazione contemplata nel medesimo art. 45 del regolamento edilizio
comunale), deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico,
ai fini della normativa sulle distanze legali, il muro di fabbrica che
assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento
del terrapieno creato dall'opera dell'uomo, o che questa abbia pure soltanto
accentuato rispetto a quello già esistente per la natura dei luoghi. Basta,
dunque, che l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente
livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato
per opera dell'uomo (come accertato nella specie dai giudici del merito) a
far ritenere che il muro di cinta abbia la funzione di contenere il
terrapieno creato "ex novo" con l'apporto di terra e pietrame, e vada, per
l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al
rispetto delle distanze legali tra costruzioni (tra le tante, Cass. Sez. 2,
13/05/2013, n. 11388; Cass. Sez. 2, 04/06/2010, n. 13628; Cass. Sez. 2,
10/01/2006, n. 145; Cass. Sez. 2, 24/06/2003, n. 9998; Cass. Sez. 2,
15/06/2001, n. 8144; Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4511; Cass. Sez.
2, 11/07/1995, n. 7594; Cass. Sez. 2, 14/02/1994, n. 1467; Cass. Sez. 2,
06/05/1987, n. 4196; si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/2015, n. 23934).”
D’altronde anche la giurisprudenza amministrativa fa propria la nozione di
costruzione elaborata dalla corte di cassazione, avendo affermato che “anche
ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la
nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente
realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni
dell'opera” (Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309).
Inoltre, alla stregua della prevalente giurisprudenza amministrativa, i muri
di contenimento di terrapieni artificiali sono qualificati opere di nuova
costruzione, necessitanti, pertanto, di permesso di costruire (cfr.
Consiglio di Stato sez. VI, 09/07/2018, n. 4169: “Si deve qualificare
l'intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l'effettiva
idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e
edilizie. Sulla base di tale approccio, la realizzazione di muri di cinta di
modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della
denuncia di inizio di attività. Per converso, il muro di contenimento che
crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova
costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo
stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest'ultimo
concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero
modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o
ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo
durevole l'area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui
si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei
luoghi.”).
Il Consiglio di Stato, infatti, afferma che “anche ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di
costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente
interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione
al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un
corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera” (Consiglio
di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309).
Il Collegio ritiene che la nozione di costruzione e di muro di cinta
rilevante ai fini della disciplina delle distanze legali tra edifici sia
utilizzabile anche ai fini dell’art. 9 D.M. 1444/1968, nonostante
testualmente esso si riferisca alle distanze tra muri finestrati e “pareti
di edifici antistanti”, tenuto conto della comune funzione della prescritta
disciplina di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico-sanitario (Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 20/05/2019)
11.09.2019, n. 6136: “l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, laddove prescrive
la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti,
ricadenti, come nella fattispecie, in zona diversa dalla zona A, va
rispettato in modo assoluto, trattandosi di norma finalizzata non alla
tutela della riservatezza, bensì a impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile
(Cass. civ., II, 26.01.2001, n. 1108; Cons. Stato, V, 19.10.1999,
n. 1565; Cass. civ., II, ordinanza 03.10.2018, n. 24076).
Conseguentemente, la disposizione va applicata indipendentemente
dall'altezza degli edifici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro
pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di
una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel
limitato segmento (Cass., n. 24076/2017, cit.).
Indi, le distanze fra le
costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale e
astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di
igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo
contemperamento degli opposti interessi (Cass. civ., II, 16.08.1993, n.
8725). La prescrizione di distanza in questione è assoluta e inderogabile
(Cass. civ., II, 07.06.1993, n. 6360; 09.05.1987, n. 428”, ma cfr.
anche Cons. Stato, sez. IV, 04.09.2013, n. 4451, Cons. Stato Sez. IV
12.06.2009 n. 3094).
Essendo, almeno in parte, comune alle due
discipline la finalità igienico-sanitaria (che si somma a quella di
assicurare un ordinato assetto del territorio comunale propria delle
disposizioni del D.M. 1444/1968), anche gli elementi costruttivi ai quali la
suddetta disciplina deve applicarsi non possono che essere interpretati in
modo uniforme.
Per tale ragione, all’orientamento del Consiglio di Stato richiamato dalla
parte controinteressata (Consiglio di Stato n. 3510/2015) il Collegio
ritiene preferibile l’orientamento tradizionale alla stregua del quale
l’art. 9 D.M. 1444/1968 è applicabile a qualunque manufatto avente “i
caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo
che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità
trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo
triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (cfr. ad es.
Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996, n. 268, Tar Liguria 1406 cit.) e
che, proprio in considerazione della possibilità di dar vita a intercapedini
contrarie alla finalità della norma, ... anche i muri di contenimento (cfr.
ex multis Cass. civ. 15391/2012 e 15972/2011 e Consiglio di Stato 7731/2010,
Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309) che producano un dislivello
o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni idonee ad incidere sull'osservanza delle norme in tema di
distanza dal confine" (TAR Genova, (Liguria) sez. I, 13/12/2016, (ud.
30/11/2016, dep. 13/12/2016), n. 1231).
Appare, pertanto, rilevante, nella specie, la verifica della natura
artificiale o naturale del dislivello esistente tra i fondi. Tale verifica
non è stata compiuta dall’amministrazione, atteso che negli elaborati
grafici il muro non è stato riportato.
Il motivo deve ritenersi, pertanto, fondato nei limiti del denunciato vizio
di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità del
presupposto. Dovrà, pertanto, l’amministrazione verificare la reale natura
del terrapieno al fine di valutare il rispetto dell’art. 9 D.M. 1444/1968
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.01.2020 n. 67 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
questo Consiglio, “il muro di cinta o di contenimento è struttura che
-differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche
tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della
proprietà- non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di
specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta,
consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi
in caso di dislivello, originario o incrementato”.
----------------
Il concetto di nuova costruzione “è comprensivo di qualunque manufatto
autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente
infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di
trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora [del]le opere di
qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a
modificare lo stato dei luoghi”.
Altresì, "in materia edilizia è necessario il permesso di costruire per la
realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un
manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare
durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova
costruzione”.
---------------
Il motivo è infondato.
La sentenza appellata è, difatti, conforme alla consolidata giurisprudenza
in materia, sia amministrativa che penale.
Secondo questo Consiglio, infatti, “il muro di cinta o di contenimento è
struttura che -differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha
caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera
delimitazione della proprietà- non ha natura pertinenziale, in quanto opera
dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione
assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti
franosi in caso di dislivello, originario o incrementato” (ex ceteris
C.d.S., sez. VI, 09.07.2018, n. 4169, anche per la precisazione che il
concetto di nuova costruzione “è comprensivo di qualunque manufatto
autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente
infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di
trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora [del]le opere di
qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a
modificare lo stato dei luoghi”), mentre, per la Corte di cassazione, “in
materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione
di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva
al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area
impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione” (Cass.,
sez. III pen., 21.11.2018, n. 55366, con richiami ad altri precedenti della
giurisprudenza penale di legittimità).
Di questi principi il TAR ha fatto corretta applicazione, considerate le
dimensioni del manufatto in questione, lungo circa 8 metri e di altezza
variabile da m. 1,50 a m. 2,50
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 09.01.2020 n. 212 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non occorre il permesso di costruire per la costruzione di box di ricovero
per cani randagi. Inoltre, la recinzione può essere considerata costruzione
-e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo- solo nei
casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Nel caso di specie trattasi della realizzazione, senza
titolo edilizio, di "recinti realizzati con rete metallica a
maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato
infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta
o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a
circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da
vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura
estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili
sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno
vegetale secondo l’originario stato dei luoghi”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come
descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive
di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione
comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione,
rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso
la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile
asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del
titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro
volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del
suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti,
il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o
impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale .
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione
può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo
rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa
al suolo.
Ed ancora: “La recinzione
metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è
qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non
determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura.
Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la
quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per
la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini
pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della
proprietà fondiaria”.
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione
comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la
adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di
volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle
caratteristiche costruttive .
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla
osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete
metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di
consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani
randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere
prive di apprezzabile impatto ambientale.
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione
urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola
di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento
abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella
specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga
ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano
regolatore generale non preveda apposite localizzazioni.
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico
di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare
insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo
all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che,
per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare
necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria
e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente
valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto
va annullato.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento n. 61 del 07/06/2016 di sospensione
lavori e ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della
realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato con box in legno
per il ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie.
...
Parte ricorrente, nella spiegata qualità, insorge avverso il provvedimento
di sospensione lavori e ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi
spedito a fronte della realizzazione di un canile in un’area agricola,
realizzato con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa 600 m²
di superficie, privi di titolo autorizzativo e privi di autorizzazione
paesaggistica.
Assume che non sono opere edilizie rilevanti in termine di superficie e
volumi, in quanto finalizzate ai soccorsi ed all’assistenza di cani randagi
e nega nello specifico che si tratti di box in legno affermando che sono
solo recinzioni metalliche senza alcun ingombro, di colore neutro, non
chiusi e circoscrivono una superficie di terreno tra pali di castagno
stagionato infissi in terra, coperti con lamiere di colore neutro ad
un’altezza di circa 2,20 m, ricoperti da vegetazione rampicante per
riparare i cani dalla calura estiva. In quanto opere precarie, prive di
impatto paesaggistico e facilmente rimovibili, non potrebbero essere oggetto
della disposta misura sanzionatoria.
In subordine, trattandosi al più di opere soggette a DIA, sarebbe stata
applicabile la semplice sanzione pecuniaria.
...
Il presente ricorso verte sulla legittimità dell’ordine di demolizione
spedito nei confronti della ricorrente a fronte della realizzazione di opere
su un fondo agricolo, specificamente trentadue box in legno per ricovero di
cani randagi su una superficie di circa 600 mq., contestati a seguito di
rapporto dalla Polizia municipale del 22.09.2014, prot. P-61-14.
Non è contestato che la ricorrente è una Associazione di Volontariato
E.I.P.A. Onlus – Ente Italiano Protezione Animali – Sezione Napoli – senza
scopi di lucro. La stessa, ispirandosi ai principi di solidarietà sociale,
si prefigge una serie di obiettivi tra cui: a) sostenere le persone che,
nella gestione di propri animali o accudendo quelli senza proprietario,
vengono a trovarsi in difficoltà; b) operare concretamente in difesa degli
animali e dei loro diritti; c) sensibilizzare l’opinione pubblica e
promuovere una cultura del rispetto che riconosca gli animali come soggetti
di diritto.
La stessa deduce che, al fine di perseguire i propri obiettivi associativi,
in data 19.08.2014 stipulava con il Sig. Io.Sa.Pa., nella
qualità di proprietario, un contratto di affitto avente ad oggetto una
porzione, di circa are 35,00, del fondo rustico di are 49,11, sito in Via
... snc, convenendo la durata in anni nove, decorrente dal
01.09.2014, e che sullo stesso realizzava una serie di opere finalizzate al
soccorso ed all’assistenza, a cura di volontari ed a titolo gratuito, di
cani randagi, abbandonati o maltrattati, nel territorio del circondario di
Somma Vesuviana.
Dette opere sono state tuttavia sanzionate dalla intimata amministrazione
comunale, ravvisandovi violazioni edilizie e paesaggistiche.
Assume parte ricorrente con un’unica articolata censura che le stesse non
costituisco un’entità edilizia, necessitante di titolo abilitativo,
trattandosi di semplici recinzioni metalliche, non qualificabili come ‘box/costruzioni’
in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un
ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, allegando
foto e relazione tecnica di parte.
Osserva il Collegio che, pur essendo stata respinta la domanda cautelare
con ordinanza in data 08.11.2016, nella presente sede di merito sono venuti
in rilievo elementi tali da indurre ad una differente valutazione delle
opere, a seguito di una più approfondita disamina del materiale probatorio
offerto da parte ricorrente, non avendo l’amministrazione intimata fornito
ulteriori apporti oltre ai riscontri emergenti dall’atto impugnato, in
quanto non costituita in giudizio.
Occorre invero esaminare la consistenza e caratteristiche delle opere
contestate, per valutare se le stesse possano determinare trasformazione del
territorio sia a fini urbanistici che paesistico–ambientali anche in virtù
del vincolo di cui al d.lgs. 22.1.2004 n. 42 gravante sull’area in questione
con dichiarazione di notevole interesse pubblico operata con D.M. 26.01.1961.
Al riguardo il verbale di accertamento, pur dando atto che si tratta di
strutture per il ricovero di cani randagi, descrive le stesse come 32 box in
legno, su una superficie di circa mq. 600,00, adoperando un termine che in
sé caratterizza strutture chiuse e volumetricamente rilevanti.
Per contro, facendo riferimento a quanto risultante dalla perizia di parte
in atti con allegata documentazione fotografica, emerge che quanto eseguito
consiste in recinzioni metalliche, non propriamente ‘box/costruzioni’ in
legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un
ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, anche in
considerazione della loro funzione .
La descrizione contenuta nei provvedimenti gravati, in cui si parla di «n.
32 box realizzati in legno» non è corredata da ulteriori elementi
descrittivi, né da documentazione fotografica, e sotto tale aspetto, per la
sua genericità, non appare idonea a contrastare le risultanze della
relazione tecnica di parte ricorrente redatta dall’ing. Fr.Ro.
del 07.10.2016, ove si descrivono compiutamente le caratteristiche
costruttive, come recinzioni metalliche sorrette tra pali di castagno
stagionato infissi nella terra per circa 40/50 cm, facilmente rimovibili, e
quindi precarie.
Attesta in particolare la perizia che non risulta
utilizzata né malta né calcestruzzo cementizio, ma solo una rete metallica a
maglie larghe di colore neutro sorretta da paletti in legno infissi nella
terra.
Si precisa trattarsi di: "recinti realizzati con rete metallica a
maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato
infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta
o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a
circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da
vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura
estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili
sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno
vegetale secondo l’originario stato dei luoghi, così come si evince dalla
documentazione”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come
descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive
di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione
comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione,
rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso
la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile
asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del
titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro
volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del
suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti,
il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o
impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale.
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione
può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo
rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa
al suolo (Cfr. Cons. Stato, sez. II, 08.01.1989, n. 1396; Tar Piemonte,
Torino, sez. II, 07.11.2014, n. 1764).
Ed ancora: “La recinzione
metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è
qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non
determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura.
Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la
quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per
la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini
pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della
proprietà fondiaria” (Cfr. Cass. Civile sentenza n. 5956/1996 e Tribunale
Amministrativo Regionale Puglia-Lecce, Sezione 3, Sentenza 14.11.2012, n. 1881).
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione
comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la
adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di
volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle
caratteristiche costruttive.
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla
osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete
metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di
consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani
randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere
prive di apprezzabile impatto ambientale (Cfr. Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
08.05.2007, n. 4821; Tar
Lazio Roma, sentenza 27.05.2013, n. 5276).
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione
urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola
di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento
abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella
specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga
ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano
regolatore generale non preveda apposite localizzazioni (Cfr. Tar Napoli,
Sez. II, 09.11.2006/21.11.2006, n. 10065).
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico
di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare
insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo
all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che,
per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare
necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale - TAR
Campania-Napoli, Sezione III Sentenza 13.04.2011, n. 2135).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria
e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente
valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto
va annullato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
novembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Costituisce
jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio
per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere
una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la
distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios
va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
---------------
Considerato in diritto che:
- l’appello è fondato in parte qua, in relazione alle opere
rimanenti sul lettera d), cioè la recinzione posta dal lato del mare e i
camminamenti;
- in linea di fatto la ricostruzione posta a fondamento della
sentenza appellata appare corretta;
- in relazione ai manufatti sub lettere b) e c) predette il
relativo ingombro rende condivisibile la valutazione negativa svolta dal
giudice di prime cure, basata, nei limiti del sindacato giurisdizionale, su
una adeguata valutazione dei fatti e priva di elementi di illogicità;
- al riguardo, assumono rilievo preminente ed insuperato gli
elementi posti a base del parere contrario dell’esperto paesistico, fatto
proprio dagli atti in contestazione;
- per un verso, relativamente al deposito in adiacenza alle
cabine, rilevano l’estraneità di detto manufatto all’impianto di balneazione
e l’impossibilità di (ri)assorbirlo dal punto di vista volumetrico nel
contesto tutelato, dando esso luogo ad un eccessivo ingombro e ad
un’eccessiva occupazione di aree scoperte;
- per un altro verso, relativamente al manufatto aperto,
rilevano il carattere precario, il contrasto (per materiali e dimensioni)
con i valori ambientali del luogo, la attuale totale trasformazione, che lo
rende non riconducibile allo stato che aveva al 31.12.1993, termine
rilevante ai fini di condono in esame;
- a diverse conclusioni deve giungersi rispetto agli interventi
rimanenti, privi di concreto impatto, quantomeno nei rilevanti termini
invocati dalla p.a.;
- infatti, in assenza di elementi di ingombro rilevante, le
generiche considerazioni poste a base della valutazione negativa si
scontrano con il limitato impatto di tali interventi;
- per ciò che concerne la recinzione, costituisce jus receptum
il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la
realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una
trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto
visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la
distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius
excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle
caratteristiche del manufatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV,
14.06.2018, n. 3661 e 15.12.2017, n. 5908);
- nel caso di specie, la valutazione appare carente di
approfondimento istruttorio e valutativo nei termini appena ricordati, in
quanto l’affermazione circa la apparente schermatura appare generica e priva
della necessaria verifica concreta della specifica consistenza e
funzionalità del manufatto;
- per ciò che concerne il mutamento del manto erboso, non emerge
un’alterazione paesaggisticamente rilevante, stante la palese omogeneità
estetica del medesimo manto erboso nei termini di cui alla presente
fattispecie;
- infatti, a fronte della permanenza del medesimo manto erboso, il
diverso mero utilizzo, senza strutture di ingombro di rilievo, rende
illogica e travisante la valutazione negativa, non potendo rilevare, ai fini
in esame, elementi casuali e facilmente mutabili come sedie e tavoli;
- alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato
in parte qua e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va
accolto il ricorso di primo grado in relazione alle restanti opere sub
lettera d)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.11.2019 n. 8178 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in cemento e rete
metallica lunga oltre sei metri ed
alta oltre un metro.
La sostituzione di una staccionata in legno con
recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre
un metro non sostanzia un'opera di manutenzione straordinaria della
precedente recinzione ma di nuova opera, differente nel posizionamento,
nella struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire
perché dotata di stabilità e perché costruita con materiale tipicamente
edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
---------------
... per l'annullamento:
1) dell'ordinanza n. 8/2018 a firma del responsabile dell'area
tecnica del Comune di Jacurso, notificata in data 04.10.2018, con la quale
si ingiunge alla ricorrente di “rimuovere/demolire a propria cura e
spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla notifica della presente
ordinanza, tutte le opere abusive in premessa indicate e precisamente:
recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento”;
...
La ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione del Comune di Jacurso n.
8/2018, relativa ad recinzione realizzata con rete metallica sorretta da
paletti in cemento, ciò in quanto il predetto manufatto risulterebbe “spostato
di circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” ed essendo quindi
“necessario presentare una SCIA, in quanto si tratta di sostituzione di
quella già esistente con spostamento della stessa di circa 50 cm, realizzata
con rete metallica sorretta da paletti in cemento”.
...
Occorre premettere che, dall’ordinanza impugnata, come dalla relazione
tecnica a supporto, non si evince che lo spostamento della recinzione “di
circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” comporti anche
l’invasione della fascia di rispetto stradale.
Resta, quindi, come unica causa di illegittimità, la mancata acquisizione
preventiva del titolo edilizio.
A tal proposito, la ricorrente denuncia la non irrogabilità della sanzione
demolitoria, in quanto opera soggetta a SCIA.
L’assunto non è condivisibile.
La fattispecie in esame riguarda un’opera di recinzione realizzata, a
differenza della staccionata in legno preesistente, in cemento e rete
metallica, lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro.
Non si tratta, quindi, di manutenzione straordinaria della precedente
recinzione, ma di nuova opera, differente nel posizionamento, nella
struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire perché
dotata di stabilità (cfr. Cass. 20739/2018) e perché costruita con materiale
tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
Ogni altra censura di natura formale, è sanata dalla natura vincolata
dell’atto
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 26.11.2019 n. 1972 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero affermato che i vincoli previsti dal R.D.
n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua
tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno
essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente,
anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio
di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione
e ripulitura delle condutture.
---------------
Il divieto recato dall’art. 96, lett. f), del R.D. n.
523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa,
“fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è
finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero
deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni
di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata costituisce
certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente (sia
pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato
spazio di manovra per le operazioni di pulitura e
manutenzione.
---------------
Osserva, di poi, la Sezione, in disparte a quanto sopra
rilevato, che in ogni caso la sopravvenuta circostanza della
copertura del torrente e dell’incanalamento delle relative
acque non appare, allo stato degli atti, elemento dirimente
per ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse essere
emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa
in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque,
18.02.2014, n. 44) che i vincoli previsti dal R.D. n. 523
del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati,
atteso che, a parte il caso che possano o meno essere
riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche
per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di
manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e
ripulitura delle condutture.
La relazione tecnica, datata 05.07.1997, prodotta in primo
grado dalla ricorrente non adduce elementi per ritenere che,
a seguito della tombinatura, la fascia di rispetto risulti
rispettata.
In essa si legge: “…La strada interpoderale, i cui lavori
di sistemazione sono stati curati dall’amministrazione
Comunale di Forlì del Sannio, si sviluppa con pendenza da
nord a sud lungo il lato est del lotto di proprietà della
signora Gi.: nella tratta di strada adiacente al terreno in
narrativa sono stati realizzati, durante l’esecuzione dei
lavori di sistemazione della strada, due tombini e sempre
nel corso dei citati lavori il fosso Mandrella nel tratto
confinante con la proprietà Giovino è stato coperto
canalizzando le acque in un tubolare che collega i due
tombini descritti in precedenza. In conclusione….si evince
che il fosso Mandrella nel tratto a confine con la proprietà
della signora Gi.An.Ma.…. non esiste più in superficie e la
sua consistenza nel tratto adiacente la recinzione della
proprietà in narrativa è stata annullata dai lavori di
sistemazione della strada interpoderale ivi ubicata…”.
Orbene, dalla lettura della prefata relazione si evince
unicamente l’avvenuta copertura del corso d’acqua, le cui
acque sono state canalizzate in un tubolare.
Il corso d’acqua continua ad esistere e, pertanto, continua
ad operare la fascia di rispetto di cui al richiamato
articolo 96 del T.U.
La citata relazione, poi, non dà assolutamente conto di
eventuali spostamenti del corso d’acqua e del suo alveo
originario, a seguito dei lavori di sistemazione, sì da
poter ritenere che la fascia di rispetto risulti per tal
modo, sia pure in via successiva, rispettata dalle opere
realizzate dalla signora Gi..
Né può assumersi che, essendo venuto meno l’originario
argine per effetto dei lavori di incanalamento, venga a
mancare il punto di riferimento dal quale è stata rilevata
l’originaria irregolare distanza.
Vi è, infatti, che non essendovi agli atti prova di un
avvenuto spostamento del corso d’acqua originario per
effetto dei lavori di tombinatura, deve ritenersi che il
margine esterno del corso d’acqua, quale originariamente
rilevato, continui a sussistere, in tal modo costituendo
elemento fondante dell’avvenuta violazione della distanza
legale.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, deve,
pertanto, ritenersi l’infondatezza del motivo di appello e
la legittimità del provvedimento demolitorio impugnato.
Tanto, peraltro, non esclude che, in sede di esecuzione
dell’ingiunzione di demolizione, possa essere nuovamente
verificato il rispetto della distanza legale in relazione ad
un eventuale spostamento del corso d’acqua (non emerso nella
presente sede giurisdizionale) verificatosi a seguito dei
lavori di sistemazione stradale e di tombinatura.
Con il secondo motivo di appello viene lamentata
violazione e falsa applicazione dell’art. 96, lett. f), del
R.D. n. 523 del 25.07.1904.
Parte appellante deduce l’erroneità della gravata sentenza
per non avere colto il fine precipuo della norma, che non è
quello di impedire tout court la realizzazione di qualsiasi
opera nella fascia di rispetto fluviale, ma unicamente di
impedire quelle opere che ostacolino il libero deflusso
delle acque.
Rileva, pertanto, che la realizzazione di un muro in
blocchetti di cemento e di un cancello, aventi funzione di
mera recinzione, non rientrano nell’ambito delle opere
vietate dal richiamato articolo 96 e non possono costituire
ostacolo al libero deflusso delle acque.
Il motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’art. 96,
lett. f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in
questa sede interessa, “fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è
finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero
deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni
di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata (quale
evincibile dalla documentazione fotografica versata in atti)
costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente
Mandrelle (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire
un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura
e manutenzione.
Il mezzo di gravame è, dunque, infondato (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, con
riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti
dall'ordine demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico
in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini
dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere
riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma
sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano
sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la
soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di
costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta
superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in
essere".
---------------
12. Passando all’ulteriore contestazione relativa alla proprietà comune,
ritiene il Collegio che il provvedimento, nella parte in cui ordina la
demolizione della recinzione e del cancello elettrico, resista alle censure
sollevate dal ricorrente.
Nel verbale di accertamento dell’11.02.2013 la suddetta recinzione è
così descritta: “cancello elettrico in ferro lungo circa 4,00 mt e altro
circa 1,90 mt con recinzione in muratura ordinaria e ferro lunga
complessivamente circa 15,00 mt con porta d’ingresso di circa 0,87 mt X
circa 2,00 mt con pensilina in muratura e tegole a chiusura di uno spazio
che originariamente era libero”.
Parte ricorrente, muovendo dal presupposto secondo il quale la recinzione,
secondo una prassi dell’epoca, non era prevista dagli elaborati progettuali
e senza soffermarsi sulle caratteristiche dell’opera, contesta la
illegittimità dell’ordinanza di demolizione asserendo che essa è, per questa
parte, in contrasto con l’articolo 70 del regolamento edilizio comunale
secondo il quale “le aree fronteggianti vie o piazze aperte al traffico
devono essere recintate adeguatamente”.
L’assunto non è condivisibile.
Occorre precisare, al riguardo, che, secondo l’orientamento
giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, con riferimento al
regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall'ordine
demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico
in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini
dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere
riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma
sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto
territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano
sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la
soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di
costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta
superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in
essere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n. 52040)” TAR Napoli,
sentenza n. 2122 del 15.04.2019
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 11.11.2019 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di
un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della
conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è
realizzata (forma, dimensioni, ecc.).
Pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo,
attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le
opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura
realizzabile in regime di edilizia libera.
---------------
Il gazebo in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente
infissa al suolo e a carattere non permanente, può rientrare a buon titolo
tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi
dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in
coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1),
trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un
manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale.
Il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede,
altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di
limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
---------------
Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli
solari) rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art.
6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono
contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
---------------
La tettoia e il muro di contenimento necessitano delle
autorizzazioni.
La prima -nel caso di specie- è un’opera in legno stabilmente ancorata al
suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei
luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche
rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di
incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici.
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e
realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e
sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori.
---------------
Va, invece, esaminato nel merito il contenuto dell’ordinanza n. 60/2018,
impugnata con i motivi aggiunti.
Essa ingiunge la demolizione del cancello posto sulla particella 1650 (in
quanto realizzato senza autorizzazione edilizia e paesaggistica), di un
gazebo e di una tettoia (in quanto realizzati senza titoli edilizi e
paesaggistici), di apparecchiature per i consumi energetici poste sulla
copertura dell’edificio (in quanto realizzate in assenza di titoli e non
rientranti nella tipologia di cui all’all. A del D.P.R. n. 31/2017, punto
6), di un muro di contenimento (in quanto realizzato in totale difformità
dalla D.I.A. in data 11.10.2004 e successiva variante, peraltro priva di
efficacia perché carente di autorizzazioni paesaggistiche e archeologiche).
In proposito il Collegio rileva:
1. Il cancello è stato realizzato sulla particella 1650, che
l’ordinanza n. 35/2018, annullata d’ufficio, aveva ritenuto costituire parte
della strada pubblica di proprietà comunale. Quest’affermazione è stata
corretta nell’ordinanza n. 60/2018, ivi riconoscendosi la proprietà dei
ricorrenti sulla particella 1650, in forza di contratto di cessione
stipulato il 07.06.1980, conseguito alla sdemanializzazione dell’area.
Tuttavia l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione del cancello
ritenendo necessari per la sua installazione titoli edilizi e paesaggistici.
Né l’ordinanza n. 35/2018, né l’ordinanza n. 60/2018 descrivono le
dimensioni e la forma dell’opera, per la cui installazione non sarebbero
necessarie autorizzazioni qualora essa non sia –per dimensioni e
conformazione– idonea ad alterare la sagoma dell’edificio o l’assetto
urbanistico del territorio (art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 380/2001).
Orbene, ai fini della valutazione circa la necessità del permesso di
costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica,
nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico
come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.); pertanto l'Amministrazione
ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa
istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga
che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera (cfr.
Cons. St., VI, 29.11.2018 n. 6798; id. n. 5781/2018; n. 2715/2018; n.
2701/2018).
2. Il gazebo è descritto come opera in legno di facile rimozione,
dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente. Essa,
pertanto, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett.
e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito
dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia
il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello
stesso, realizzato in area pertinenziale (cfr. Cass. pen., III, 02.10.2018
n. 54692); il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018
prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba
essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
3. Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici
(pannelli solari), la cui installazione era stata comunicata
all’Amministrazione il 16.03.2004, rientrano nell’attività di edilizia
libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n.
380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di
cui al D.M. del 02.03.2018.
L’installazione delle predette opere (cancello, gazebo e impianti ecologici)
non richiede, dunque, preventivi titoli edificatori o nulla osta.
Diversamente, la tettoia e il muro di contenimento necessitano delle
autorizzazioni. La prima è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo
(dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi)
e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la
struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere
sul carico urbanistico in termini volumetrici (cfr.: TAR Campania, Napoli,
III, 27.6.2018 n. 4282; Salerno, II, 02.01.2019 n. 1).
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni”
e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e
sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori (Cons. St., VI,
09.07.2018 n. 4169; TAR Veneto, II, 21.06.2018 n. 663; TAR Piemonte, II,
07.02.2018 n. 160; Cass. pen., III, 21.11.2018 n. 55366).
In conclusione, delle opere per le quali l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la
demolizione solo il gazebo, il cancello e le apparecchiature tecnologiche
sono insuscettibili di titoli edificatori. Perciò sul punto il provvedimento
deve essere annullato, mentre può essere confermato per il resto
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 04.10.2019 n. 564 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
settembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non
richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione
che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le
dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831
cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del
manufatto".
---------------
Secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1,
d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti,
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione
certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti
urbanistici vigenti.
---------------
Per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un
immobile abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come
dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la
descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività.
---------------
Il sig. -OMISSIS- ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-con cui il Comune di
-OMISSIS- gli ha ordinato di rimuovere una recinzione e il provvedimento del
-OMISSIS-, di inibitoria della scia in sanatoria, presentata il 04.03.2014, articolando le seguenti doglianze: ...
...
Le censure non sono fondate.
Per giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non
richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione
che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le
dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra
esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831
cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del
manufatto" (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 14.06.2018, n. 3661).
Nel caso di specie, la circostanza che la recinzione sia costituita da
blocchi prefabbricati in calcestruzzo è già di per sé sola sufficiente ad
escludere l’assenza di modifica dell’assetto del territorio.
Non può neppure ritenersi che l’opera in questione sia realizzabile in forza
di una scia e che trovi conseguentemente applicazione la sola sanzione
pecuniaria.
L’opera contrasta, difatti, con la previsione di cui all’art. 51, c. 3, delle nta, secondo cui nelle zone urbanistiche EE le recinzioni fisse devono
essere realizzate integralmente in legno o con montanti in legno
direttamente infissi nel ruolo e rete metallica di altezza non superiore a
150 cm.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, quanto contestato con i
provvedimenti impugnati circa le caratteristiche costruttive della
recinzione realizzata dal sig. -OMISSIS- in zona agricola non deriva da mere
valutazioni estetiche dell’amministrazione ma è previsto in una disposizione
vincolante, contenuta nelle nta del prg.
Deve, pertanto, escludersi che potesse essere irrogata la sola sanzione
pecuniaria in luogo di quella demolitoria: secondo la costante
giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1,
d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti,
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione
certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti
urbanistici vigenti (Cons. Stato Sez. VI, 24.05.2013, n. 2873; Tar Piemonte,
sent. n. 70/2019; n. 1296/2018).
In considerazione della natura vincolata del potere esercitato –in un
contesto in cui la scia è stata presentata dal sig. -OMISSIS- a fronte di
lavori già eseguiti ed a seguito della comunicazione di avvio del
procedimento demolitorio– e della correttezza del contenuto dispositivo dei
provvedimenti impugnati, la censura con cui viene dedotta la violazione del
principio del contraddittorio non può portare all’annullamento della nota
con cui il Comune si è pronunciato sulla scia del 04.03.2014, così come
previsto dall’art. 21-octies, l. n. 241/1990.
Non sussiste, infine, il lamentato difetto di motivazione: per pacifico
principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un immobile
abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come dotato
di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione
delle opere abusive e la constatazione della loro abusività (cfr., fra le
tante, Consiglio di Stato sez. VI, 30/04/2019, n. 2823).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è esente da questo vizio,
indicando con precisione l’opera abusiva e le disposizioni violate, senza
che assuma alcun rilievo il richiamo ad un parere, pur non necessario.
Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, infondato e deve essere
respinto
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 30.09.2019 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza afferma la necessità
del permesso di costruire (olim concessione edilizia) per la
realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che
hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno
accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo
edilizio non risulterebbe –di per sé– necessario per la
realizzazione delle murature con il fine di evitare
smottamenti o frane.
Ma –anche in disparte restando che in via ormai del tutto
consolidata la giurisprudenza penale non opera tale
distinzione ma afferma che, comunque, è necessario il
permesso di costruire per la realizzazione di un muro di
contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si
eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare
durevolmente l’area impegnata, essendo come tale
qualificabile intervento di nuova costruzione a’ sensi
dell’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380– la più recente
giurisprudenza amministrativa, pur confermando l’anzidetta
propria tesi incentrata sulla distinzione tra le predette
tipologie di intervento, afferma ora che il permesso di
costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo
alla sua struttura e all’estensione dell’area impegnata,
l’opera muraria risulta di per sé tale da modificare
l'assetto urbanistico del territorio: e ciò con riguardo
alla circostanza che il muro di contenimento è struttura che
-differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale
evidenzia caratteristiche tipologiche di minima entità al
fine della mera delimitazione della proprietà- non ha di per
sé natura pertinenziale, in quanto è opera dotata di
specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla
funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al
fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello,
originario o incrementato.
---------------
4.2.4. Per quanto attiene alla realizzazione dei muri di
contenimento, essa –a sua volta– risulta in astratto ammessa
dall’art. 39, comma 4, delle norme di attuazione della
variante al Piano regolatore generale del Comune di Napoli,
laddove segnatamente questo si riferisce –tra l’altro– agli
“interventi di consolidamento di pendici mediante la
realizzazione di strutture di contenimento”, senza
peraltro specificare quale titolo edilizio si rende
necessario al riguardo.
A tale proposito il Collegio non ignora che la
giurisprudenza afferma la necessità del permesso di
costruire (olim concessione edilizia) per la
realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che
hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno
accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo
edilizio non risulterebbe –di per sé– necessario per la
realizzazione delle murature con il fine di evitare
smottamenti o frane (così Cons. Stato, Sez. V, 12.04.2005,
n. 1619 e 28.06.2000, n. 3637).
Ma –anche in disparte restando che in via ormai del tutto
consolidata la giurisprudenza penale non opera tale
distinzione ma afferma che, comunque, è necessario il
permesso di costruire per la realizzazione di un muro di
contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si
eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare
durevolmente l’area impegnata, essendo come tale
qualificabile intervento di nuova costruzione a’ sensi
dell’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (cfr. al riguardo,
ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 21.11.2018, n.
55366, nonché 29.09.2011, n. 41425, 14.05.2008, n. 35698 e
17.06.1999, n. 1116)– la più recente giurisprudenza
amministrativa, pur confermando l’anzidetta propria tesi
incentrata sulla distinzione tra le predette tipologie di
intervento, afferma ora che il permesso di costruire risulta
comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e
all’estensione dell’area impegnata, l’opera muraria risulta
di per sé tale da modificare l'assetto urbanistico del
territorio (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.07.2018,
n. 4169): e ciò con riguardo alla circostanza che il muro di
contenimento è struttura che -differenziandosi dalla
semplice recinzione, la quale evidenzia caratteristiche
tipologiche di minima entità al fine della mera
delimitazione della proprietà- non ha di per sé natura
pertinenziale, in quanto è opera dotata di specificità ed
autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta,
consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne
movimenti franosi in caso di dislivello, originario o
incrementato (cfr. ibidem).
Nel caso di specie dagli atti di causa emerge che i muri di
contenimento si estendono per l’intera lunghezza dei
terrazzamenti che compongono il terreno e che su di essi,
evidentemente insistenti su dislivelli originari, sono stati
anche realizzati parapetti in tufo e dei rampanti in
muratura –anch’essi in tufo– che collegano le due quote di
terreno.
Pare pertanto evidente l’insufficienza al riguardo della
denuncia d’inizio di attività al fine di legittimare quanto
realizzato, e che quindi anche in questo caso, a’ sensi del
predetto art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, la sanzione della
demolizione delle opere è di per sé ineludibile.
E ciò –si badi- anche a prescindere dall’ulteriore
circostanza –di per sé in ogni caso assorbente– della
sussistenza, anche su tale area, del divieto di ordine
generale di costruire disposto dall’art. 24, comma 2, delle
norme di attuazione del Piano regolatore generale del Comune
di Napoli, di cui già si è detto al § 4.2.2.della presente
sentenza (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
via generale, per consolidata giurisprudenza, la posa di una
recinzione -manufatto essenzialmente destinato a delimitare
una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle
altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è solo
diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce
il contenuto tipico del diritto dominicale, di talché anche
la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non
può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del
dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai
sensi dell' art. 841 c.c..
Il titolo abilitativo edilizio non risulta quindi necessario
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie
e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno, priva di muretti di sostegno,
in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà.
Una specifica autorizzazione risulta necessaria solo
nell’ipotesi in cui sull’area sia imposto un vincolo
paesaggistico e comunque solo se sia accertato che non si
tratti della mera sostituzione di un’opera preesistente, nel
qual caso non è richiesto il rilascio di alcuna
autorizzazione, in quanto riconducibile, ai sensi dell'art.
149, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, nell'alveo degli interventi
di manutenzione ordinaria o straordinaria.
---------------
Deduce in proposito la ricorrente che debba essere escluso
che per la recinzione e le opere connesse fosse necessario
il rilascio del permesso di costruire, attesa l’assenza di
rilevanza edilizia delle medesime.
In dettaglio si lamenta che la recinzione in pali di ferro
infissi direttamente nel terreno e la rete metallica con il
relativo cancello in legno vanno annoverate nell’ambito
dell’attività edilizia libera ex artt. 137, comma 1, n. 7, e
136, comma 1, lett. g) l.reg. n. 65/2014.
Si assume, inoltre, che gli elementi infissi nel suolo sul
lato strada della proprietà si sono resi necessari
all’esclusivo fine di contenimento del rialzo del piano
stradale per circa 50 cm. eseguito dal Comune a ridosso
della recinzione stessa.
La tesi merita condivisione.
In via generale, per consolidata giurisprudenza, la posa di
una recinzione -manufatto essenzialmente destinato a
delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla
dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è
solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che
costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, di
talché anche la presenza di un vincolo dello strumento
pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente
sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque
tempo il proprio fondo ai sensi dell' art. 841 c.c..
Il titolo abilitativo edilizio non risulta quindi necessario
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie
e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno, priva di muretti di sostegno,
in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà (TAR Lombardia,
Brescia, sez. II , 25/09/2018, n. 907; TAR Lazio, sez. II,
04/09/2017, n. 9529; TAR Campania, Salerno, sez. II,
11/09/2015 n. 1902; TAR Umbria, 18/08/2016 n. 571).
Una specifica autorizzazione risulta necessaria solo
nell’ipotesi in cui sull’area sia imposto un vincolo
paesaggistico (titolo che tuttavia, come si è visto, è stato
nel frattempo richiesto dalla ricorrente) e comunque solo se
sia accertato che non si tratti della mera sostituzione di
un’opera preesistente, nel qual caso non è richiesto il
rilascio di alcuna autorizzazione, in quanto riconducibile,
ai sensi dell'art. 149, comma 1, d.lgs. n. 42/2004,
nell'alveo degli interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 25/09/2018,
n. 907).
Peraltro è la stessa amministrazione a rilevare che “le
sanzioni paesaggistiche … sono assorbite dall’ingiunzione di
demolizione prevedendo entrambe le norme il ripristino…
dovendosi ritenere prevalente la più severa sanzione
edilizia”.
Priva di pregio, giacché sfornita di supporto normativo, si
palesa poi l’affermazione del Comune secondo cui l’assenza
di rilevanza edilizia delle recinzioni sarebbe ammissibile a
condizione che esse delimitino giardini e spazi
pertinenziali.
E’ sufficiente in proposito rinviare a quanto disposto
dall’art. 137, co. 1, n. 7, l.reg. n. 65/2014 secondo cui “Sono
privi di rilevanza urbanistico-edilizia …7) le recinzioni
realizzate in rete con sostegni semplicemente infissi al
suolo senza opere murarie e le staccionate in legno
semplicemente infisse al suolo”.
Quanto a quello che nel provvedimento viene definito un “piccolo
cordolo di cemento lato strada” la relazione depositata
dall’amministrazione non reca alcun ulteriore apporto
conoscitivo così che pare ragionevole ritenere confermata la
tesi di parte secondo cui si tratti in realtà di “elementi
prefabbricati in calcestruzzo, semplicemente appoggiati per
far fronte all’esigenza di contenere lo smottamento del
terreno”.
Ciò comporta, in relazione al materiale utilizzato e alla
facile amovibilità dello stesso, che anche per tale aspetto
dell’opera non fosse necessario il rilascio di uno specifico
titolo edilizio.
Segue da quanto esposto che il ricorso va accolto per quanto
ancora di interesse, per l’effetto annullando in parte
qua il provvedimento impugnato (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 22.08.2019 n. 1208 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Non occorre il permesso di costruire per la costruzione di
box di ricovero per cani randagi. Inoltre, la recinzione può
essere considerata costruzione -e come tale subordinata al
previo rilascio di titolo abilitativo- solo nei casi in cui
sia stabilmente infissa al suolo.
Nel caso di specie trattasi della
realizzazione, senza titolo edilizio, di "recinti realizzati
con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti
verticali in legno di castagno stagionato infissi
semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo
di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno
per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da
lamiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al
fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli
eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili
sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita
da terreno vegetale secondo l’originario stato dei luoghi”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti
contestati, come descritte, sono tali da configurarli come
entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico,
e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata
dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle
opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e
ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la
realizzazione di manufatti di precaria installazione e di
facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la
ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per
costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale
modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni
della perizia di parte in atti, il piano di campagna non
risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili,
risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale
.
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che
una recinzione può essere considerata costruzione e come
tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo,
solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di alcuni
box per il ricovero dei cani) non è qualificabile come
costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non
determina un ingombro paragonabile a quello delle
costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla
normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce,
in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la
loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini
pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del
godimento della proprietà fondiaria”.
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta
dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da
motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e
proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di
volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione
alle caratteristiche costruttive .
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in
esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di
recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di
legno infissi nel terreno, di natura precaria e di
consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di
dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere
murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile
impatto ambientale.
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con
la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola.
Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la
stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo
residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali
nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per
il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in
zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non
preveda apposite localizzazioni.
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un
obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso,
avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa,
pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di
opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per
contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare
necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile
municipale).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto
di istruttoria e di motivazione, non avendo
l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e
della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va
annullato.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento n. 61 del
07/06/2016 di sospensione lavori e ripristino dello stato
dei luoghi spedito a fronte della realizzazione di un canile
in un’area agricola, realizzato con box in legno per il
ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie.
...
Parte ricorrente, nella spiegata qualità, insorge avverso il
provvedimento di sospensione lavori e ingiunzione di
ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della
realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato
con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa
600 m² di superficie, privi di titolo autorizzativo e privi
di autorizzazione paesaggistica.
Assume che non sono opere edilizie rilevanti in termine di
superficie e volumi, in quanto finalizzate ai soccorsi ed
all’assistenza di cani randagi e nega nello specifico che si
tratti di box in legno affermando che sono solo recinzioni
metalliche senza alcun ingombro, di colore neutro, non
chiusi e circoscrivono una superficie di terreno tra pali di
castagno stagionato infissi in terra, coperti con lamiere di
colore neutro ad un’altezza di circa 2,20 m, ricoperti da
vegetazione rampicante per riparare i cani dalla calura
estiva. In quanto opere precarie, prive di impatto
paesaggistico e facilmente rimovibili, non potrebbero essere
oggetto della disposta misura sanzionatoria.
In subordine, trattandosi al più di opere soggette a DIA,
sarebbe stata applicabile la semplice sanzione pecuniaria.
...
Il presente ricorso verte sulla legittimità dell’ordine di
demolizione spedito nei confronti della ricorrente a fronte
della realizzazione di opere su un fondo agricolo,
specificamente trentadue box in legno per ricovero di cani
randagi su una superficie di circa 600 mq., contestati a
seguito di rapporto dalla Polizia municipale del 22.09.2014,
prot. P-61-14.
Non è contestato che la ricorrente è una Associazione di
Volontariato E.I.P.A. Onlus – Ente Italiano Protezione
Animali – Sezione Napoli – senza scopi di lucro. La stessa,
ispirandosi ai principi di solidarietà sociale, si prefigge
una serie di obiettivi tra cui: a) sostenere le persone che,
nella gestione di propri animali o accudendo quelli senza
proprietario, vengono a trovarsi in difficoltà; b) operare
concretamente in difesa degli animali e dei loro diritti; c)
sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una cultura
del rispetto che riconosca gli animali come soggetti di
diritto.
La stessa deduce che, al fine di perseguire i propri
obiettivi associativi, in data 19.08.2014 stipulava con il
Sig. Io.Sa.Pa., nella qualità di proprietario, un contratto
di affitto avente ad oggetto una porzione, di circa are
35,00, del fondo rustico di are 49,11, sito in Via ... snc,
convenendo la durata in anni nove, decorrente dal
01.09.2014, e che sullo stesso realizzava una serie di opere
finalizzate al soccorso ed all’assistenza, a cura di
volontari ed a titolo gratuito, di cani randagi, abbandonati
o maltrattati, nel territorio del circondario di Somma
Vesuviana.
Dette opere sono state tuttavia sanzionate dalla intimata
amministrazione comunale, ravvisandovi violazioni edilizie e
paesaggistiche.
Assume parte ricorrente con un’unica articolata censura che
le stesse non costituisco un’entità edilizia, necessitante
di titolo abilitativo, trattandosi di semplici recinzioni
metalliche, non qualificabili come ‘box/costruzioni’
in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non
determinano un ingombro paragonabile a quello delle
costruzioni in senso proprio, allegando foto e relazione
tecnica di parte.
Osserva il Collegio che, pur essendo stata respinta la
domanda cautelare con ordinanza in data 08.11.2016, nella
presente sede di merito sono venuti in rilievo elementi tali
da indurre ad una differente valutazione delle opere, a
seguito di una più approfondita disamina del materiale
probatorio offerto da parte ricorrente, non avendo
l’amministrazione intimata fornito ulteriori apporti oltre
ai riscontri emergenti dall’atto impugnato, in quanto non
costituita in giudizio.
Occorre invero esaminare la consistenza e caratteristiche
delle opere contestate, per valutare se le stesse possano
determinare trasformazione del territorio sia a fini
urbanistici che paesistico–ambientali anche in virtù del
vincolo di cui al d.lgs. 22.1.2004 n. 42 gravante sull’area
in questione con dichiarazione di notevole interesse
pubblico operata con D.M. 26.01.1961.
Al riguardo il verbale di accertamento, pur dando atto che
si tratta di strutture per il ricovero di cani randagi,
descrive le stesse come 32 box in legno, su una superficie
di circa mq. 600,00, adoperando un termine che in sé
caratterizza strutture chiuse e volumetricamente rilevanti.
Per contro, facendo riferimento a quanto risultante dalla
perizia di parte in atti con allegata documentazione
fotografica, emerge che quanto eseguito consiste in
recinzioni metalliche, non propriamente ‘box/costruzioni’
in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non
determinano un ingombro paragonabile a quello delle
costruzioni in senso proprio, anche in considerazione della
loro funzione .
La descrizione contenuta nei provvedimenti gravati, in cui
si parla di «n. 32 box realizzati in legno» non è
corredata da ulteriori elementi descrittivi, né da
documentazione fotografica, e sotto tale aspetto, per la sua
genericità, non appare idonea a contrastare le risultanze
della relazione tecnica di parte ricorrente redatta
dall’ing. Fr.Ro. del 07.10.2016, ove si descrivono
compiutamente le caratteristiche costruttive, come
recinzioni metalliche sorrette tra pali di castagno
stagionato infissi nella terra per circa 40/50 cm,
facilmente rimovibili, e quindi precarie.
Attesta in particolare la perizia che non risulta utilizzata
né malta né calcestruzzo cementizio, ma solo una rete
metallica a maglie larghe di colore neutro sorretta da
paletti in legno infissi nella terra.
Si precisa trattarsi di: "recinti realizzati con rete
metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in
legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo
per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo
cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a
circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in
parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli
animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza
pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna,
risultando l’intera area costituita da terreno vegetale
secondo l’originario stato dei luoghi, così come si evince
dalla documentazione”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti
contestati, come descritte, sono tali da configurarli come
entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico,
e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata
dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle
opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e
ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la
realizzazione di manufatti di precaria installazione e di
facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la
ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per
costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale
modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni
della perizia di parte in atti, il piano di campagna non
risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili,
risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale.
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che
una recinzione può essere considerata costruzione e come
tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo,
solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo (Cfr.
Cons. Stato, sez. II, 08.01.1989, n. 1396; Tar Piemonte,
Torino, sez. II, 07.11.2014, n. 1764).
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di
alcuni box per il ricovero dei cani) non è qualificabile
come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non
determina un ingombro paragonabile a quello delle
costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla
normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce,
in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la
loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini
pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del
godimento della proprietà fondiaria” (Cfr. Cass. Civile
sentenza n. 5956/1996 e Tribunale Amministrativo Regionale
Puglia-Lecce, Sezione 3, Sentenza 14.11.2012, n. 1881).
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta
dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da
motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e
proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di
volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione
alle caratteristiche costruttive.
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in
esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di
recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di
legno infissi nel terreno, di natura precaria e di
consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di
dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere
murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile
impatto ambientale (Cfr. Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950;
TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; Tar
Lazio Roma, sentenza 27.05.2013, n. 5276).
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con
la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola.
Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la
stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo
residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali
nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per
il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in
zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non
preveda apposite localizzazioni (Cfr. Tar Napoli, Sez. II,
09.11.2006/21.11.2006, n. 10065).
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un
obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso,
avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa,
pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di
opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per
contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare
necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile
municipale - TAR Campania-Napoli, Sezione III Sentenza
13.04.2011, n. 2135).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto
di istruttoria e di motivazione, non avendo
l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e
della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va
annullato (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
novembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Costituisce
jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo
titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel
caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla
quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo
e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius
aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata
nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
---------------
Considerato in diritto che:
- l’appello è fondato in parte qua, in relazione
alle opere rimanenti sul lettera d), cioè la recinzione
posta dal lato del mare e i camminamenti;
- in linea di fatto la ricostruzione posta a fondamento
della sentenza appellata appare corretta;
- in relazione ai manufatti sub lettere b) e c) predette
il relativo ingombro rende condivisibile la valutazione
negativa svolta dal giudice di prime cure, basata, nei
limiti del sindacato giurisdizionale, su una adeguata
valutazione dei fatti e priva di elementi di illogicità;
- al riguardo, assumono rilievo preminente ed insuperato
gli elementi posti a base del parere contrario dell’esperto
paesistico, fatto proprio dagli atti in contestazione;
- per un verso, relativamente al deposito in
adiacenza alle cabine, rilevano l’estraneità di detto
manufatto all’impianto di balneazione e l’impossibilità di (ri)assorbirlo
dal punto di vista volumetrico nel contesto tutelato, dando
esso luogo ad un eccessivo ingombro e ad un’eccessiva
occupazione di aree scoperte;
- per un altro verso, relativamente al manufatto
aperto, rilevano il carattere precario, il contrasto (per
materiali e dimensioni) con i valori ambientali del luogo,
la attuale totale trasformazione, che lo rende non
riconducibile allo stato che aveva al 31.12.1993, termine
rilevante ai fini di condono in esame;
- a diverse conclusioni deve giungersi rispetto agli
interventi rimanenti, privi di concreto impatto, quantomeno
nei rilevanti termini invocati dalla p.a.;
- infatti, in assenza di elementi di ingombro rilevante,
le generiche considerazioni poste a base della valutazione
negativa si scontrano con il limitato impatto di tali
interventi;
- per ciò che concerne la recinzione, costituisce jus
receptum il principio per cui non è necessario un idoneo
titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel
caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla
quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo
e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi
un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello
ius aedificandi e dello ius excludendi alios va
riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche
del manufatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV,
14.06.2018, n. 3661 e 15.12.2017, n. 5908);
- nel caso di specie, la valutazione appare carente di
approfondimento istruttorio e valutativo nei termini appena
ricordati, in quanto l’affermazione circa la apparente
schermatura appare generica e priva della necessaria
verifica concreta della specifica consistenza e funzionalità
del manufatto;
- per ciò che concerne il mutamento del manto erboso, non
emerge un’alterazione paesaggisticamente rilevante, stante
la palese omogeneità estetica del medesimo manto erboso nei
termini di cui alla presente fattispecie;
- infatti, a fronte della permanenza del medesimo manto
erboso, il diverso mero utilizzo, senza strutture di
ingombro di rilievo, rende illogica e travisante la
valutazione negativa, non potendo rilevare, ai fini in
esame, elementi casuali e facilmente mutabili come sedie e
tavoli;
- alla luce delle considerazioni che precedono l’appello
è fondato in parte qua e per l’effetto, in riforma della
sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado in
relazione alle restanti opere sub lettera d) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 29.11.2019 n. 8178 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in
cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre
un metro.
La sostituzione di una staccionata in
legno con recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre
sei metri ed alta oltre un metro non sostanzia un'opera di
manutenzione straordinaria della precedente recinzione ma di
nuova opera, differente nel posizionamento, nella struttura
e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire
perché dotata di stabilità e perché costruita con materiale
tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di
calcestruzzo.
---------------
... per l'annullamento:
1) dell'ordinanza n. 8/2018 a firma del responsabile
dell'area tecnica del Comune di Jacurso, notificata in data
04.10.2018, con la quale si ingiunge alla ricorrente di “rimuovere/demolire
a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90
(novanta) dalla notifica della presente ordinanza, tutte le
opere abusive in premessa indicate e precisamente:
recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti
in cemento”;
...
La ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione del Comune
di Jacurso n. 8/2018, relativa ad recinzione realizzata con
rete metallica sorretta da paletti in cemento, ciò in quanto
il predetto manufatto risulterebbe “spostato di circa
0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” ed essendo
quindi “necessario presentare una SCIA, in quanto si
tratta di sostituzione di quella già esistente con
spostamento della stessa di circa 50 cm, realizzata con rete
metallica sorretta da paletti in cemento”.
...
Occorre premettere che, dall’ordinanza impugnata, come dalla
relazione tecnica a supporto, non si evince che lo
spostamento della recinzione “di circa 0,50 m in
corrispondenza del ciglio stradale” comporti anche
l’invasione della fascia di rispetto stradale.
Resta, quindi, come unica causa di illegittimità, la mancata
acquisizione preventiva del titolo edilizio.
A tal proposito, la ricorrente denuncia la non irrogabilità
della sanzione demolitoria, in quanto opera soggetta a SCIA.
L’assunto non è condivisibile.
La fattispecie in esame riguarda un’opera di recinzione
realizzata, a differenza della staccionata in legno
preesistente, in cemento e rete metallica, lunga oltre sei
metri ed alta oltre un metro.
Non si tratta, quindi, di manutenzione straordinaria della
precedente recinzione, ma di nuova opera, differente nel
posizionamento, nella struttura e nelle dimensioni, che
necessita del permesso di costruire perché dotata di
stabilità (cfr. Cass. 20739/2018) e perché costruita con
materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la
zoccolatura di calcestruzzo.
Ogni altra censura di natura formale, è sanata dalla natura
vincolata dell’atto (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 26.11.2019 n. 1972 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Risulta
dirimente, ai fini della infondatezza della censura
sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto
di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del
R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in modo
assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese
i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di
terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei
regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e
scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli
argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha
carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita
solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non
potendo la stessa essere rimessa alla determinazione
individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza costantemente ritiene che il
divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi
d’acqua, previsto dall’articolo 96, lett. f), del T.U.
25.07.1904, n. 523, ha carattere legale, assoluto ed
inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di
inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di
ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle
acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata nella
finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria degli
spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare
scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva rispetto
ai rischi per le persone e per le cose che potrebbero
derivare da esondazioni.
Ciò posto, dal carattere assoluto del richiamato vincolo di
inedificabilità discende la natura vincolata (in termini
repressivi) dell’azione amministrativa conseguente
all’accertamento della violazione della distanza legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di
altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a
maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur
in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma,
dando luogo a condotte contra legem, costituiscono elementi
che non possono in alcun modo fondare l’illegittimità di una
sanzione demolitoria irrogata in presenza di violazione
della distanza legale.
---------------
La sopravvenuta
circostanza della copertura del torrente e
dell’incanalamento delle relative acque non appare elemento
dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non possa
essere emesso, per essere i manufatti non violativi della
normativa in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero, affermato che i vincoli previsti dal R.D.
n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua
tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno
essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente,
anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio
di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione
e ripulitura delle condutture.
---------------
Il
divieto recato dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n.
523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa,
“fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, la fascia di rispetto non è finalizzata
esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle
acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e
manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata costituisce
certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente (sia
pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato
spazio di manovra per le operazioni di pulitura e
manutenzione.
---------------
Viene, invero, lamentata l’intima contraddizione del
comportamento della Regione, la quale, da una parte ha
ingiunto la demolizione delle opere realizzate dal privato a
distanza inferiore a 10 metri, mentre dall’altra ha
consentito la completa sistemazione dell’area da parte del
Comune attraverso la canalizzazione del ruscello tramite
tubi in cemento armato, la sistemazione della strada
interpoderale (sita al lato opposto del ruscello rispetto
alla proprietà Gi.) e la realizzazione sulla stessa di opere
di messa in sicurezza quali guard rail.
La doglianza non è meritevole di favorevole considerazione,
non risultando assolutamente comparabili le situazioni messe
a raffronto dall’appellante per dedurre la contraddittorietà
e l’illogicità dell’azione amministrativa.
Invero, a differenza dei manufatti realizzati dalla signora
Gi., gli interventi eseguiti dal Comune ed autorizzati dalla
Regione risultano essere opere pubbliche e di interesse
pubblico, delle quali è stata previamente verificata, da
parte dell’autorità competente, la compatibilità con le
esigenze di tutela della risorsa idrica.
Va, inoltre, considerato che la strada era preesistente e,
dunque, per quanto emerge dalle stesse affermazioni
dell’appellante, si è trattato di sistemazione di un’opera
che già insisteva al margine del torrente Mandrelle.
In disparte a quanto sopra rilevato, risulta, poi,
dirimente, ai fini della infondatezza della censura
sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto
di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del
R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in
modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di
terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei
regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e
scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli
argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha
carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita
solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non
potendo la stessa essere rimessa alla determinazione
individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons.
Stato, IV, 22.06.2011 n. 3781; Trib. sup. acque, 24.06.2010,
n. 104) costantemente ritiene che il divieto di costruzione
di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto
dall’articolo 96, lett. f), del T.U. 25.07.1904, n. 523, ha
carattere legale, assoluto ed inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di
inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di
ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle
acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata
nella finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria
degli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del
regolare scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva
rispetto ai rischi per le persone e per le cose che
potrebbero derivare da esondazioni.
Ciò posto, osserva il Collegio che dal carattere assoluto
del richiamato vincolo di inedificabilità discende la natura
vincolata (in termini repressivi) dell’azione amministrativa
conseguente all’accertamento della violazione della distanza
legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di
altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a
maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur
in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma,
dando luogo a condotte contra legem, costituiscono
elementi che non possono in alcun modo fondare
l’illegittimità di una sanzione demolitoria irrogata in
presenza di violazione della distanza legale.
Per le ragioni sopra esposte, dunque, non è configurabile il
lamentato vizio di contraddittorietà dell’azione
amministrativa.
...
Osserva, di poi, la
Sezione, in disparte a quanto sopra rilevato, che in ogni
caso la sopravvenuta circostanza della copertura del
torrente e dell’incanalamento delle relative acque non
appare, allo stato degli atti, elemento dirimente per
ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse essere
emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa
in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque,
18.02.2014, n. 44) che i vincoli previsti dal R.D. n. 523
del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati,
atteso che, a parte il caso che possano o meno essere
riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche
per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di
manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e
ripulitura delle condutture.
...
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’articolo 96,
lettera f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in
questa sede interessa, “fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è
finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero
deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni
di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata (quale
evincibile dalla documentazione fotografica versata in atti)
costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente
Mandrelle (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire
un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura
e manutenzione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo l’orientamento giurisprudenziale
prevalente, con riferimento al regime edilizio applicabile
ai muri di recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in
assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in
materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione
dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e
cancellate, non devono essere riguardate in base
all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla
scorta dell'impatto effettivo che determinano sul
preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea
generale, che tali opere restano sottoposte al regime della
DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano
del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto
nella fattispecie, risulta superata in ragione
dell'importanza dimensionale degli interventi posti in
essere".
---------------
12. Passando all’ulteriore contestazione relativa alla
proprietà comune, ritiene il Collegio che il provvedimento,
nella parte in cui ordina la demolizione della recinzione e
del cancello elettrico, resista alle censure sollevate dal
ricorrente.
Nel verbale di accertamento dell’11.02.2013 la suddetta
recinzione è così descritta: “cancello elettrico in ferro
lungo circa 4,00 mt e altro circa 1,90 mt con recinzione in
muratura ordinaria e ferro lunga complessivamente circa
15,00 mt con porta d’ingresso di circa 0,87 mt X circa 2,00
mt con pensilina in muratura e tegole a chiusura di uno
spazio che originariamente era libero”.
Parte ricorrente, muovendo dal presupposto secondo il quale
la recinzione, secondo una prassi dell’epoca, non era
prevista dagli elaborati progettuali e senza soffermarsi
sulle caratteristiche dell’opera, contesta la illegittimità
dell’ordinanza di demolizione asserendo che essa è, per
questa parte, in contrasto con l’articolo 70 del regolamento
edilizio comunale secondo il quale “le aree fronteggianti
vie o piazze aperte al traffico devono essere recintate
adeguatamente”.
L’assunto non è condivisibile.
Occorre precisare, al riguardo, che, secondo l’orientamento
giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, con
riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di
recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in assenza
di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia
di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei
confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e
cancellate, non devono essere riguardate in base
all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla
scorta dell'impatto effettivo che determinano sul
preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea
generale, che tali opere restano sottoposte al regime della
DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in
manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano
del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto
nella fattispecie, risulta superata in ragione
dell'importanza dimensionale degli interventi posti in
essere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e
04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n.
52040)” TAR Napoli, sentenza n. 2122 del 15.04.2019 (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 11.11.2019 n. 651 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
necessità del permesso di costruire la giurisprudenza, tra
l'altro, ha così statuito:
a) costituisce trasformazione soggetta a permesso di
costruire la realizzazione di piste all’esito di ripetuti
passaggi con mezzi meccanici, nonché per quanto attiene al
previsto ampliamento della stradella;
b) in materia edilizia sono esenti dal regime del
permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino
un'opera edilizia permanente, bensì costituiscano manufatti
di precaria installazione e di immediata asportazione
-quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette
da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno-
in quanto entro tali limiti la posa in essere di una
recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o,
comunque, la delimitazione delle singole proprietà), per
quanto attiene alla recinzione formata da un muretto in
cemento armato;
c) ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, si deve valutare l'opera
medesima alla luce della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre
la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se
non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e meramente occasionale), per
quanto attiene ai due box prefabbricati (uno dei quali, tra
l’altro, destinato a servizio WC con allaccio alla pubblica
fognatura) e per quanto attiene ai macchinari, anche tenuto
conto che il progetto contemplava la realizzazione di idonee
opere di fondazione per il posizionamento delle attrezzature
necessarie per lo svolgimento dell’attività, costituite da
piastre di fondazione in cemento armato e massetto
debolmente armato.
---------------
Non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui
l’impianto di betonaggio sarebbe stato realizzato tramite
mera collocazione sul suolo di macchinari e senza esecuzione
di lavori comportanti trasformazioni permanenti del suolo
stesso.
Come risulta dal progetto dell’intervento versato in atti
dall’Amministrazione resistente (allegato 005 alla memoria
di costituzione del 03.03.2019), la ditta ricorrente, al
fine di realizzare il previsto impianto di betonaggio,
intendeva, tra l’altro, effettuare le seguenti opere:
- “sistemazione del terreno, mediante la realizzazione
di terrazzamenti, disposti secondo l’andamento naturale
dello stesso e la realizzazione di idonee opere di
mitigazione e consolidamento per l’impianto di betonaggio”;
- “rinterri effettuati mediante il riutilizzo della
terra naturale proveniente dai modesti scavi di sbancamento
in loco per la realizzazione dei terrazzamenti previsti in
progetto, per le opere di fondazione, per l’ampliamento
della stradella di accesso e per la collocazione della
cisterna totalmente interrata in cemento armato”;
- “completamento della recinzione esistente, formata
da muretto in cemento armato, con sovrastante paletti e rete
metallici”;
- “realizzazione di idonee opere di fondazione per il
posizionamento delle attrezzature necessarie per lo
svolgimento dell’attività, costituite da piastre di
fondazione in cemento armato, massetto debolmente armato e
per la successiva collocazione di due piccoli box
prefabbricati da destinare rispettivamente a ufficio e
locale WC”;
- realizzazione di uno “scarico per il servizio
igienico” che sarebbe “stato recapitato direttamente
nella fognatura pubblica, servita da appositi pozzetti di
ispezione”.
Nel suo complesso si tratta chiaramente di un intervento per
il quale risultava necessario il permesso di costruire.
Al riguardo è sufficiente citare le seguenti pronunce (in
parte menzionate anche dall’Amministrazione resistente nella
propria memoria):
a) TAR Lazio, Roma, II-quater, n. 10017/2018 (in cui si
afferma che costituisce trasformazione soggetta a permesso
di costruire la realizzazione di piste all’esito di ripetuti
passaggi con mezzi meccanici), per quanto attiene al
previsto ampliamento della stradella);
b) TAR Bari, III, n. 714/2013 e Consiglio di Stato, VI,
n. 5380/2019 (nella quale ultima decisione si precisa che in
materia edilizia sono esenti dal regime del permesso di
costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera
edilizia permanente, bensì costituiscano manufatti di
precaria installazione e di immediata asportazione -quali,
ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette da
paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno- in
quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione
rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che
comprende lo "ius excludendi alios" o, comunque, la
delimitazione delle singole proprietà), per quanto attiene
alla recinzione formata da un muretto in cemento armato;
c) TAR Firenze, III, n. 481/2002, TAR Torino, I, n.
1143/2013 e TAR Campania, Napoli, III, n. 3863/2008 (nella
quale ultima decisione si afferma che, ai fini della
ricorrenza del requisito della precarietà di una
costruzione, si deve valutare l'opera medesima alla luce
della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con
la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente
infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo,
alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e meramente occasionale), per quanto attiene ai
due box prefabbricati (uno dei quali, tra l’altro, destinato
a servizio WC con allaccio alla pubblica fognatura) e per
quanto attiene ai macchinari, anche tenuto conto che il
progetto contemplava la realizzazione di idonee opere di
fondazione per il posizionamento delle attrezzature
necessarie per lo svolgimento dell’attività, costituite da
piastre di fondazione in cemento armato e massetto
debolmente armato (TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 18.10.2019 n. 2438 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
di là della predicata natura pertinenziale, tre casette in
legno (pollai) e la tettoia in lamiera contestate,
precipuamente in quanto riguardate nel loro complesso, si
rivelano suscettibili di arrecare un apprezzabile impatto
volumetrico e una corrispondente trasformazione
urbanisticamente rilevante del territorio; cosicché per la
loro realizzazione si imponeva il previo rilascio del
permesso di costruire, in assenza del quale è da reputarsi
legittimamente irrogata la sanzione demolitoria.
Del pari, si imponeva il rilascio del permesso di costruire
per la realizzata recinzione, siccome costituita da un
muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica e suscettibile, quindi, per le relative
caratteristiche dimensionali e strutturali, di incidere in
modo permanente e non precario sull'assetto urbanistico del
territorio.
In ogni caso, anche in disparte la necessità o meno del
permesso di costruire, trattandosi di area
paesaggisticamente vincolata, si imponeva, nella specie,
indefettibilmente il previo rilascio del titolo
paesaggistico, in mancanza del quale le opere eseguite
restavano pur sempre sanzionabili in via demolitoria, ai
sensi degli artt. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e 167,
comma 1, del d.lgs. n. 42/2004.
Ed invero, a norma sia dell’art. 27, comma 2, del d.p.r. n.
380/2001 sia dell’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004,
nonché in omaggio al canone generale di indifferenza della
richiesta tipologia di titolo abilitativo rispetto
all’individuazione del regime sanzionatorio applicabile agli
abusi edilizi commessi in zone vincolate, gli interventi
abusivi, a prescindere dalla relativa qualificazione
edilizia, non sfuggono alla misura
demolitorio-ripristinatoria, allorquando siano stati
eseguiti in zone paesaggisticamente vincolate, senza che la
stessa possa pretermettersi in ragione della compatibilità
paesaggistica degli interventi medesimi, scrutinabile
dall’autorità tutoria solo in seguito ad apposita istanza
dell’interessato e non, di certo, ex officio, in sede di
adozione della misura repressivo-ripristinatoria.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe, Lo.Lu. impugnava, chiedendone
l’annullamento, l’ordinanza di demolizione n. 19 (r.g. n.
56) del 03.03.2011, emessa dal Funzionario di Unità
Operativa Complessa, Titolare di Posizione Organizzativa del
Settore Governo del Territorio e Servizi Manutentivi del
Comune di Cava de’ Tirreni, unitamente alla nota della
Polizia Locale di Cava de’ Tirreni prot. n. 7616 del
18.12.2010 ed al verbale di accertamento della Polizia
Locale di Cava de’ Tirreni del 15.11.2010;
- gli abusi contestati consistevano nella realizzazione
sine titulo, sul fondo in proprietà della ricorrente,
ubicato in Cava de’ Tirreni, frazione Li Curti, via ..., n.
40, nonché ricadente in zona assoggettata a vincolo
paesaggistico: -- di una recinzione costituita da un muretto
in mattoni sormontato da una rete metallica sostenuta da
paletti in ferro e interposto da un cancelletto in ferro; --
di tre casette in legno (pollai) e di una tettoia in lamiera
all’interno della recinzione anzidetta;
...
Considerato, innanzitutto, che:
- al di là della predicata natura pertinenziale, le
casette in legno (pollai) e la tettoia in lamiera
contestate, precipuamente in quanto riguardate nel loro
complesso, si rivelano suscettibili di arrecare un
apprezzabile impatto volumetrico e una corrispondente
trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio;
cosicché per la loro realizzazione si imponeva il previo
rilascio del permesso di costruire, in assenza del quale è
da reputarsi legittimamente irrogata la sanzione demolitoria;
- del pari, si imponeva il rilascio del permesso di
costruire per la realizzata recinzione, siccome costituita
da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante
rete metallica e suscettibile, quindi, per le relative
caratteristiche dimensionali e strutturali, di incidere in
modo permanente e non precario sull'assetto urbanistico del
territorio (cfr., ex multis, TAR Calabria, Catanzaro,
sez. II, n. 1601/2018; n. 270/2019; TAR Campania, Napoli,
sez. III, n. 5777/2018; Salerno, sez. II, n. 1760/2018;
Napoli, sez. III, n. 1154/2019);
- in ogni caso, anche in disparte la necessità o meno del
permesso di costruire, trattandosi di area
paesaggisticamente vincolata, si imponeva, nella specie,
indefettibilmente il previo rilascio del titolo
paesaggistico, in mancanza del quale le opere eseguite
restavano pur sempre sanzionabili in via demolitoria, ai
sensi degli artt. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e 167,
comma 1, del d.lgs. n. 42/2004;
- ed invero, a norma sia dell’art. 27, comma 2, del
d.p.r. n. 380/2001 sia dell’art. 167, comma 1, del d.lgs. n.
42/2004, nonché in omaggio al canone generale di
indifferenza della richiesta tipologia di titolo abilitativo
rispetto all’individuazione del regime sanzionatorio
applicabile agli abusi edilizi commessi in zone vincolate,
gli interventi abusivi, a prescindere dalla relativa
qualificazione edilizia, non sfuggono alla misura
demolitorio-ripristinatoria, allorquando siano stati
eseguiti in zone paesaggisticamente vincolate (sul punto,
cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, n.
2644/2012; sez. III, n. 1093/2018; TAR Lombardia, Brescia,
sez. II, n. 539/2018), senza che la stessa possa
pretermettersi in ragione della compatibilità paesaggistica
degli interventi medesimi, scrutinabile dall’autorità
tutoria solo in seguito ad apposita istanza dell’interessato
e non, di certo, ex officio, in sede di adozione
della misura repressivo-ripristinatoria (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 02.10.2019 n. 1700 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per
giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione
non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di
una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di
scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento,
non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione
tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi
alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica
concreta delle caratteristiche del manufatto".
---------------
Secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto
previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001,
l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti,
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili
previa segnalazione certificata di inizio attività che
siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
---------------
Per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di
demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e
vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e
sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione
delle opere abusive e la constatazione della loro abusività.
---------------
Il sig. -OMISSIS- ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-con
cui il Comune di -OMISSIS- gli ha ordinato di rimuovere una
recinzione e il provvedimento del -OMISSIS-, di inibitoria
della scia in sanatoria, presentata il 04.03.2014,
articolando le seguenti doglianze: ...
...
Le censure non sono fondate.
Per giurisprudenza costante, "la realizzazione di una
recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in
presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di
materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la
distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius
excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella
verifica concreta delle caratteristiche del manufatto" (cfr.
Cons. Stato Sez. IV, 14.06.2018, n. 3661).
Nel caso di specie, la circostanza che la recinzione sia
costituita da blocchi prefabbricati in calcestruzzo è già di
per sé sola sufficiente ad escludere l’assenza di modifica
dell’assetto del territorio.
Non può neppure ritenersi che l’opera in questione sia
realizzabile in forza di una scia e che trovi
conseguentemente applicazione la sola sanzione pecuniaria.
L’opera contrasta, difatti, con la previsione di cui
all’art. 51, c. 3, delle nta, secondo cui nelle zone
urbanistiche EE le recinzioni fisse devono essere realizzate
integralmente in legno o con montanti in legno direttamente
infissi nel ruolo e rete metallica di altezza non superiore
a 150 cm.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, quanto
contestato con i provvedimenti impugnati circa le
caratteristiche costruttive della recinzione realizzata dal
sig. -OMISSIS- in zona agricola non deriva da mere
valutazioni estetiche dell’amministrazione ma è previsto in
una disposizione vincolante, contenuta nelle nta del prg.
Deve, pertanto, escludersi che potesse essere irrogata la
sola sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria:
secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto
previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001,
l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti,
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili
previa segnalazione certificata di inizio attività che
siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti
(Cons. Stato Sez. VI, 24.05.2013, n. 2873; Tar Piemonte,
sent. n. 70/2019; n. 1296/2018).
In considerazione della natura vincolata del potere
esercitato –in un contesto in cui la scia è stata presentata
dal sig. -OMISSIS- a fronte di lavori già eseguiti ed a
seguito della comunicazione di avvio del procedimento
demolitorio– e della correttezza del contenuto dispositivo
dei provvedimenti impugnati, la censura con cui viene
dedotta la violazione del principio del contraddittorio non
può portare all’annullamento della nota con cui il Comune si
è pronunciato sulla scia del 04.03.2014, così come previsto
dall’art. 21-octies, l. n. 241/1990.
Non sussiste, infine, il lamentato difetto di motivazione:
per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di
demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e
vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e
sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione
delle opere abusive e la constatazione della loro abusività
(cfr., fra le tante, Consiglio di Stato sez. VI, 30/04/2019,
n. 2823).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è esente da questo
vizio, indicando con precisione l’opera abusiva e le
disposizioni violate, senza che assuma alcun rilievo il
richiamo ad un parere, pur non necessario.
Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, infondato e
deve essere respinto (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 30.09.2019 n. 1013 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Recinzione di un fondo rustico con opere edilizie permanenti
– Materiale tipicamente edilizio – Interventi di nuova
costruzione – Permesso di costruire – Necessità – Verifica
caso per caso – Art. 44, lett. b), d.P.R. D.P.R. n.
380/2001- L.R. Sicilia art. 3 n. 16/2016.
In tema di recinzione di fondi rustici,
occorre andare, di volta in volta a verificare l’estensione
dell’area e se tale recinzione risulti realizzata con opere
edilizie permanenti.
Pertanto, per la realizzazione di un muro di recinzione
necessita del previo rilascio del permesso a costruire in
casi, in cui, avuto riguardo alla sua struttura e
all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da
modificare l’assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli “interventi di nuova
costruzione” di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett.
e).
In estrema sintesi, la recinzione di un fondo rustico non
necessita di concessione solo nel caso in cui la stessa
venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento
autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata
con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la
zoccolatura di calcestruzzo.
Nella specie, la qualificazione dell’intervento come nuova
costruzione dal primo giudice e confermata dalla Corte
territoriale, trattandosi di opere di recinzione con
materiale tipicamente edilizio, durevole nel tempo, e di
dimensioni certamente significative, da cui anche
l’esclusione della natura pertinenziale delle opere.
...
Regione Sicilia – Recinzione di fondi rustici – Potestà
legislativa regionale esclusiva in materia urbanistica –
Interpretazione legislativa.
Pur tenendo a conto della potestà
legislativa regionale esclusiva in tale materia urbanistica,
la legge regionale siciliana n. 16 del 2015 (“Recepimento
del Testo Unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia approvato con Decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380”), esclude
dal novero degli interventi soggetti a permesso a costruire,
“la recinzione di fondi rustici”, senza ulteriore
specificazione, dovendosi interpretare tale previsione in
coerenza con il principio della necessità di titolo
autorizzativo per opere che comportano trasformazione del
territorio e che, dunque, sono realizzate con materiali
tipicamente edilizi, non avendo il legislatore regionale
diversamente stabilito
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.07.2019 n. 31617 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Guarisco,
Recinzione del fondo: è possibile vietarne la costruzione
solo in presenza di preminenti interessi pubblici
(18.07.2019 - link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Incostituzionale
il divieto di recinzione dei terreni agricoli che incide sulla facoltà
proprietaria di chiudere il fondo previsto dalla legge regionale.
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della
disciplina regionale dell’Umbria che vieta, salve limitate deroghe
strettamente necessarie alla protezione di edifici ed attrezzature
funzionali anche per le attività zootecniche, la recinzione dei terreni. Con
la previsione di un divieto di recinzione che non interviene su un aspetto
specifico correlato al governo del territorio e che incide sulla facoltà di
chiudere il fondo, attribuzione tipica del diritto di proprietà, il
legislatore regionale ha travalicato i limiti della competenza concorrente
in materia di governo del territorio e di quella statale in materia di
ordinamento civile
(Corte Costituzionale,
sentenza 12.07.2019 n. 175).
---------------
Edilizia e urbanistica – Regione Umbria – Zone agricole – Recinzione dei
terreni – Limiti – Incostituzionalità.
E’ incostituzionale l’art. 89, comma 2, ultimo
periodo, della legge della Regione Umbria 21.01.2015, n. 1 (Testo unico
governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui vieta, nelle
zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente
prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di
sicurezza, purché strettamente necessaria a protezione di edifici ed
attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche (1).
---------------
(1) I. – La sentenza in rassegna ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 89, comma 2, della legge regione Umbria per la
parte in cui vieta, salve le limitate deroghe ammesse, ogni forma di
recinzione dei terreni agricoli in assenza di specifiche previsioni della
legislazione di settore o di esigenze di sicurezza pubblica.
La questione era stata rimessa dal
Tar per l’Umbria, sez. I, ordinanza 08.10.2018, n. 521 (oggetto
della
News US in data 17.10.2018, cui si rinvia per i riferimenti di
dottrina e giurisprudenza).
Il giudizio amministrativo a quo ha ad oggetto l’ordinanza comunale di
demolizione di opere abusive, consistenti nella realizzazione di una
recinzione elettrificata, come sistema difensivo dalla fauna selvatica, a
delimitazione di terreni agricoli con impianto colturale a frutteto.
Nel dettaglio, l’opera consisteva in una recinzione estesa per circa 3 km
senza soluzione di continuità, posta in area agricola non soggetta a vincolo
paesaggistico e costituita da paletti metallici ad altezza massima di mt.
1,50 distanziati tra loro mt. 6 con 4 ordini di filo metallico elettrificato
e 8 aperture di circa mt. 6 l’una; tali modalità costruttive erano descritte
nell’ordinanza come idonee a consentire il normale passaggio di animali di
piccole e medie dimensioni, fatta eccezione degli ungulati.
Il Tar per l’Umbria, ha sollevato q.l.c. –per contrasto con gli artt. 3, 42,
97 e 117, commi 2, lett. l), e 3, Cost.– del predetto art. 89, comma 2,
nell’ipotesi in cui detta norma debba intendersi come diretta ad escludere
l’ammissibilità dei sistemi di difesa passivi nei confronti degli animali
selvatici. Il Collegio aveva evidenziato che:
a) la recinzione è riconducibile alle
manifestazioni del diritto di proprietà quando consista di materiale di
scarso impatto visivo e si configuri come un intervento di dimensioni
ridotte, privo di opere murarie di sostegno. In presenza di tali
caratteristiche essa:
a1) assolve
una mera funzione di difesa della proprietà dalle ingerenze materiali;
a2) è
strumentale all’esercizio dello ius excludendi alios (Consiglio di
Stato, sezione VI, 04.07.2014, n. 3408, in Foro amm., 2014, 7-8, 208), che
si traduce nella facoltà di delimitare e di conferire l’assetto più
opportuno alle singole proprietà, allo scopo di separarle dalle altre, di
custodirle e di proteggerle da eventuali intrusioni;
b) quando invece la recinzione, per le modalità
costruttive prescelte, determini un’apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale e si atteggi, pertanto, come esercizio dello ius
aedificandi, è indispensabile il previo rilascio di un idoneo titolo
abilitativo;
c) la distinzione tra esercizio dello ius
excludendi alios ed esercizio dello ius aedificandi deve essere
condotta alla stregua delle caratteristiche concrete del manufatto e
dell’impatto che esso produce sul territorio (Consiglio di Stato, sezione
VI, 12.06.2019, n. 3932, in www.dejure.it).
II. – La Corte, con la sentenza in rassegna:
d) ha ritenuto fondata nel merito la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della
legge regionale di cui trattasi sulla base delle seguenti considerazioni:
d1) la giurisprudenza
amministrativa è costante nell’affermare che la facoltà di chiudere il
fondo, attribuzione tipica del diritto di proprietà, può essere limitata e
conformata dalle norme urbanistiche soltanto in funzione di preminenti
interessi pubblici (Tar per la Lombardia-sezione staccata di Brescia,
sezione I, 04.03.2015, n. 362, in www.dejure.it; Tar per il Piemonte,
sezione II, 10.05.2012, n. 532, in Foro amm. TAR, 2012, 5, 1471; Tar per la
Lombardia-sezione staccata di Brescia, sezione I, 05.02.2008, n. 40, in Foro
amm. TAR, 2008, 2, 398);
d2) nel caso di specie la
Regione Umbria, nel vietare nelle zone agricole le recinzioni dei terreni
con deroga per quelle strettamente necessarie a protezione di edifici ed
attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche, ha dettato una
previsione di valenza generale riconducibile all’ambito dei rapporti
interprivati e di disciplina del contenuto del diritto di proprietà;
d3) la previsione censurata:
colpisce anche quelle recinzioni che non determinano alcuna trasformazione
del territorio e sono espressione dello ius excludendi alios; incide
sul potere del privato proprietario di chiudere il fondo in ogni tempo;
esclude in via generale una facoltà che il codice civile considera, per
contro, parte integrante del diritto di proprietà;
d4) la previsione non
interviene, dunque, su un aspetto specifico correlato al governo del
territorio, ma limita un potere tradizionalmente oggetto di codificazione e
si prefigge di regolarne il contenuto;
d5) conseguentemente, il
legislatore regionale ha travalicato sia la competenza legislativa esclusiva
statale legiferando nella materia dell’ordinamento civile di competenza
esclusiva dello Stato (Corte cost., 27.06.2013, n. 159, in Giur. costit.
2013, 3, 2327, con nota di MOSCARINI; Corte cost., 06.11.2001, n. 352, in
Urbanistica e appalti, 2001, 12, 1297; Giur. costit., 2001, 6; Foro it.
2002, I, 638; Regioni, 2002, 579, con nota di LAMARQUE), sia la competenza
concorrente in materia di governo del territorio, la quale riconosce la
potestà regionale di dettare prescrizioni di dettaglio sugli interessi
legati all’uso del territorio in conformità con i princìpi fondamentali
enunciati dalla legislazione statale (Corte cost., 11.05.2017, n. 105, in
www.federalismi.it, con
nota di SALVAGO).
III. – Per completezza, si consideri quanto segue:
e) sulla ripartizione della potestà legislativa
in materia di ordinamento civile, in aggiunta alle pronunce richiamate
nell’ordinanza di rimessione, si vedano in particolare:
e1) Corte cost., 21.03.2019, n.
62 (in Foro it., 2019, I, 1474), secondo cui è evidente la “riconducibilità
della disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato all’ordinamento
civile e alla norma di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 che, a propria volta,
rinvia alla contrattazione collettiva”, di competenza esclusiva dello
Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. In senso
analogo: Corte cost., 23.07.2018, n. 172 (in Foro it., 2018, I, 3814, con
nota di richiami e osservazioni di D'AURIA), che ha, tra l'altro, dichiarato
incostituzionale l'art. 55 l.reg. Siciliana 11.08.2017, n. 16, nella parte
in cui includeva nell'ambito applicativo del contratto collettivo nazionale
di lavoro per i dipendenti della sanità il personale in posizione di comando
presso l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa),
attribuendo ad essa (in contrasto con la disciplina dell'art. 70, 12° comma,
d.leg. 30.03.2001, n. 165, che prevede il rimborso all'amministrazione di
appartenenza, da parte dell'amministrazione utilizzatrice, dell'onere
relativo al trattamento fondamentale) l'obbligo di corrispondere il
trattamento economico al personale di altre amministrazioni comandato presso
la stessa agenzia;
e2) Corte cost., 10.11.2017, n. 234 (in Rass. dir. farmaceutico 2017, 6,
1203 e Giur. costit. 2017, 6, 2367), che ha dichiarato incostituzionale la
normativa della regione Umbria che estendeva le procedure concorsuali di
stabilizzazione del personale precario del comparto sanitario —regolate a
livello nazionale dal d.P.C.M. 06.03.2015— anche al personale dirigente del
ruolo professionale, tecnico e amministrativo, in quanto detta normativa
regionale legiferava, con fonte legislativa primaria, una materia, quella
dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato;
e3) Corte cost., 13.07.2017, n 175 (in Giur. costit. 2017, 4, 1631 e Forum
di Quaderni costituzionali, annotata da DE GOTZEN); Corte cost., 11.07.2017,
n. 160 (in Foro it., 2017, I, 3577, con nota di richiami e Giur. costit.
2017, 4, 1476), che ha dichiarato incostituzionale l'art. 8, secondo comma,
l.reg. Liguria n. 8 del 2016, nella parte in cui prevedeva che, qualora la
seduta dell'assemblea consiliare regionale si protragga oltre le ore
ventuno, al personale impegnato nell'attività di supporto diretto
all'attività consiliare spettasse il trattamento previsto dalla
contrattazione collettiva nazionale di lavoro in caso di trasferta e che il
medesimo trattamento di trasferta venga riconosciuto al personale autista,
anche in caso di missioni inferiori alle otto ore, se il servizio termina
dopo le ore ventidue;
f) sulla nozione di muro di cinta elaborata dalla
giurisprudenza, si vedano, tra le altre:
f1) Cons. Stato, sezione V, 08.04.2014, n. 1651 (in Foro amm., 2014, 1077),
secondo cui “per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, 7º
comma, lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, conv. con modif. in l. 04.12.1993
n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, 60º comma, l. 23.12.1996 n.
662, devono intendersi le opere di recinzione; non suscettibili di
modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che
assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di
delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è
invece la consistenza e la funzione dei c.d. «muri di contenimento», i quali
si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la
funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare
una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive; di
conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla
situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto
il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in
quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e,
soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla
sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto
di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione
prevista per il caso di assenza di concessione”;
f2) Cass. civ., 03.09.1991, n. 9348 (in Foro it., Mass., 1991), secondo cui
“il muro di cinta che a norma dell'art. 878, primo comma, c.c., non va
considerato ai fini delle distanze, deve rispondere al triplice requisito:
di essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà,
allo scopo di separarla dalle altre, custodirla e difenderla da intrusioni;
di non superare l'altezza di tre metri; di costituire un muro isolato, le
cui facce, cioè, emergono dal suolo e sono isolate da ogni altra costruzione”;
f3) Cass. civ., 15.11.1986, n. 6737 (in Foro it., Mass., 1986), secondo cui
“i muri di cinta non considerati agli effetti delle distanze legali sono
quei muri, caratterizzati dall'altezza non superiore a tre metri e dalla
destinazione attuale alla delimitazione ed alla protezione del fondo, che,
per avere le facce entrambe isolate, non creano intercapedine tra volumi; in
detta categoria non rientrano pertanto i muri di cinta tra fondi a
dislivello, che assolvono anche alla ulteriore funzione di contenere la
scarpata o il terrapieno; questi viceversa, facendo corpo con il terreno che
essi sostengono e modificando, in particolare, attraverso l'opera dell'uomo,
lo stato naturale dei luoghi per la costruzione di un manufatto sono idonei
a creare intercapedini nocive con l'altrui costruzione, con conseguente
necessità di verificare in ciascuna concreta fattispecie se, avuto riguardo
alle loro particolari caratteristiche strutturali e dimensionali, siano da
considerare o meno alla stregua di un muro di fabbrica, agli effetti delle
distanze legali”;
g) sull’attività edilizia libera:
g1) Corte cost. 08.11.2017, n. 232, in Foro it., 2018, 6230, 27; Riv. giur.
ed., 2017, 5, I, 1021; Quotidiano Enti Locali, 2017; Giur. costit. 2017, 6,
2340, annotata da SAITTA: “È costituzionalmente illegittimo l'art. 3,
comma 2, lett. f), l.reg. Sicilia 10.08.2016, n. 16, nella parte in cui
consente di realizzare, senza alcun titolo abilitativo, tutti gli interventi
inerenti agli impianti ad energia rinnovabile di cui agli artt. 5 e 6 d.lgs.
03.03.2011, n. 28 senza fare salvo il previo espletamento della verifica di
assoggettabilità a VIA sul progetto preliminare, qualora prevista. […]”;
g2) Corte cost., 21.12.2016, n. 282 (in Foro Amministrativo, 2017, 6, 1215),
la quale ha precisato che le regioni possono sì estendere la disciplina
statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a
quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche
differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi
edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno)
rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di
costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la
prescrive ‒al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒
la natura di principio fondamentale della materia del “governo del
territorio”, in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari
dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il
territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni
regionali (sentenza n. 231 del 2016, in Dir. e giustizia, 2016).
Ne consegue che è precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla
disciplina statale e di rendere talune categorie di opere totalmente libere
da ogni forma di controllo, sia pure indiretto mediante denuncia.
Sulla base di tale premessa la Corte ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo l’art. 4 della legge della Regione Marche n. 17 del 2015, nella
parte in cui esso ha ricondotto all'edilizia libera opere non contemplate
come rientranti in tale regime dalla legislazione statale;
h) sul rapporto tra titolo edilizio, recinzioni e
muretti divisori, anche in relazione al mutamento della destinazione
funzionale dell’opera, si vedano:
h1) C.g.a., sezioni riunite, 19.11.2018, n. 336 (in
www.giustiziaamministrativa.it), secondo cui: “va ricordato il pacifico
orientamento giurisprudenziale, secondo cui la valutazione in ordine alla
necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e
dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si
ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che
non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in
rete metalliche, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di
sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione
rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
“ius excludendi alios” o, comunque, la delimitazione delle singole
proprietà. Viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo
durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio […]”; in
termini, Cons. Stato, sezione V, 09.04.2013, n. 1922 (in Foro amm.-Cons.
Stato, 2013, 937);
h2) Cons. Stato, sezione VI, 04.01.2016, n. 10 (in Comuni d'Italia, 2016, 1,
86), secondo cui “è illegittimo l'ordine di demolizione di un muretto
divisorio in cemento armato posto su di un lato di un lotto di terreno
realizzato senza la previa acquisizione del permesso di costruire,
considerato che più che all'astratto genus o tipologia di intervento
edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i
confini sui fondi finitimi) occorre far riferimento all'impatto effettivo
che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza
che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con
quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli
abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare
significative trasformazioni urbanistiche e edilizie; sulla base di tale
approccio attento al rapporto effettivo dell'innovazione con la preesistenza
territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per
qualificare l'opus quale muro di recinzione (o altre simili), la
realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente
assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui
all'art. 22 d.p.r. n. 380 del 2001 e, in seguito, al regime della
segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo art. 19 l. n.
241 del 1990”;
h3) Cass. pen., sez. III, 11.11.2014, n. 52040, secondo cui “in tema di
reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del
previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo
alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale
da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel
novero degli «interventi di nuova costruzione» di cui all'art. 3, lett. e),
d.p.r. n. 380 del 2001 (fattispecie relativa a muro in cemento armato avente
spessore di cm. venticinque ed un'altezza di circa metri uno virgola
ottanta)”;
h4) Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2013, n. 4860 (in Foro amm.-Cons. Stato,
2013, 2484), secondo cui “il titolo edilizio originariamente rilasciato,
che riguardava la recinzione di un terreno a meri fini e scopi di difesa
della proprietà, non può giustificare il successivo mutamento della
destinazione funzionale dell'opera in recinzione di suolo trasformato con
opere edilizie e al servizio di manufatti abusivi in difetto di nuovo titolo
edilizio che, sia pure in sanatoria, possa legittimarne la permanenza e
l'utilizzazione pertinenziale diversa, ma ne implica l'abusività, proprio
perché è carente qualsivoglia provvedimento autorizzativo che ne abbia
accertato la conformità urbanistico-edilizia”;
h5) Cons. Stato, sez. V,
09.04.2013, n. 1922 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 937), secondo cui “il
permesso di costruire non è necessario per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno,
in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni
del diritto di proprietà, che comprende lo jus excludendi alios; occorre,
invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di
sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (nella specie, la
recinzione era stata effettuata con un manufatto con profilati di cemento,
lungo trecentoquarantasei metri e con un'altezza di metri due e cinquanta)”;
i) in dottrina:
i1) sugli aspetti penali delle opere a difesa della proprietà, e delle
recinzioni in particolare, v. V. POLI, in Testo unico dell’edilizia, a cura
di M.A. SANDULLI, Milano, 2015, 973 ss.;
i2) sulle opere a difesa della proprietà e sulle recinzioni, v. P. BERESUTTI,
in Commentario breve al codice civile, a cura di CIAN – TRABUCCHI, Padova,
2014, 875 e 915 ss.;
i3) sugli appostamenti fissi per la caccia in relazione all’art. 6 t.u.
edilizia (attività libera), si veda Corte cost., 13.06.2013, n. 139 (in Foro
it., 2013, I, 2061, con nota di ROMBOLI; in Giurisdiz. amm., 2013, III, 441,
e in Riv. giur. ambiente, 2013, 723, con nota di GRATANI; in Dir. e giur.
agr. e ambiente, 2014, 56, con nota di GORLANI);
i4) sul rapporto tra facoltà del proprietario e poteri pubblici in materia
urbanistica ed edilizia: F. GAFFURI, Il permesso di costruire e i diritti
dei terzi, in Urbanistica e appalti, 2012, 2, 150; A. M. BENEDETTI, Norme
regionali, distanze legali tra edifici e "ordinamento civile": si può
fare, ma dipende dallo "scopo", in Corr. giur., 2013, 8, 1059-1063;
G. PAGLIARI, M. SOLLINI, G. FARRI, Regime della proprietà privata tra
vincoli e pianificazione dall'unità d'Italia ad oggi, in Riv. giur.
edilizia, 2015, 6, 282; M. PALMA, Edilizia e urbanistica - il doppio limite
di edificabilità ex art. 9, d.p.r. n. 380/2001 di fronte alla corte
costituzionale, in Giur. it., 2016, 4, 956; L. GRIMALDI, Quali spazi per la
legislazione regionale nella disciplina degli interventi di “manutenzione”
degli immobili?, in Consulta on-line, I, 2017; A. IACOVIELLO, Il riparto
della competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni in materia di beni
minerari, in Riv. giur. edilizia, 2018, 3, 153; G. SICCHIERO, Condominio e
barriere architettoniche - dalla solidarietà costituzionale alla solidarietà
condominiale, in Giur. it., 2018, 1, 69; E. BUOSO,
La disciplina dei terreni gravati da usi civici e delle terre collettive tra
paesaggio e ordinamento civile, in www.forumcostituzionale.it,
2019; S. AMOROSINO, Una rilettura costituzionale della proprietà a rilevanza
urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 2019, 1, 3;
i5) sul rapporto tra ordinamento civile e disciplina dei contratti pubblici:
G. ALPA, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale,
Contratto e impresa, 2002, 2, 597; G. ALPA, «L’ordinamento civile»
nella recente giurisprudenza costituzionale, Contratti, 2004, 2, 175; E.
GRAGNOLI, procedura negoziale ed ordinamento civile, Argomenti Dir. Lav.,
2007, 2, 2009; L. TORMEN, Regioni e province autonome - «il diritto
privato regionale: quali possibilità di deroga all’ordinamento civile
statale?», in Nuova giur. comm., 2017, 7-8, 968; P. CARLUCCIO PINA, R.
FINOCCHI GHERSI, Ordinamento civile e limiti alla competenza regionale nella
disciplina degli appalti, in Giornale dir. amm., 2011, 4, 419; C. CONTESSA,
Il codice dei contratti prevale anche sulla normativa delle regioni a
statuto speciale, in Urbanistica e appalti, 2009, 3, 301;
i6) sull’ordinamento civile e la disciplina regionale del procedimento
amministrativo: V. NERI, Potestà legislativa regionale e "nullità
regionale" del provvedimento amministrativo, in Urbanistica e appalti
2014, 2, 215, il quale ha dubitato della “possibilità per il legislatore
regionale di intervenire con la sanzione della nullità del provvedimento
amministrativo (il bando di gara) non rispettoso delle prescrizioni di legge
senza violare la competenza statale in materia di "giustizia amministrativa"
[…] nonché sulle conseguenze della nullità del bando con riferimento al
contratto a valle stipulato e l'eventuale interferenza con la materia
«ordinamento civile»”;
i7) sull’ordinamento civile e il pubblico impiego locale e regionale: A.M.
BENEDETTI,
Lavoro privato,
lavoro pubblico e "ordinamento civile": quali spazi per le Regioni?,
in www.giurcost.org, 2010; A. BOSCATI, Ordinamento civile per incarichi
dirigenziali ad esterni e per procedure di mobilità tra enti, in Riv. it.
dir. lav., 2011, II, 1203; F. GHERA, Ordinamento civile e autonomia
regionale: alla ricerca di un punto di equilibrio, Giur. cost., 2011, 1164;
G. FONTANA, Spunti critici in tema di ordinamento civile e disciplina
dell'impiego pubblico, in Giur. costit., 2013, 1161; R. COCCIOLITO,
Una pronuncia sulla mobilità dei dirigenti regionali offre lo spunto per
riflettere ancora sulla natura e la portata della materia "ordinamento
civile", in www.osservatorioaic.it, 2014; S. DE GOTZEN,
Procedure di mobilità nel lavoro pubblico, assegnazione a mansioni superiori
dirigenziali tra organizzazione regionale e "ordinamento civile",
in www.forumcostituzionale.it, 2014; C. PADULA,
Il riparto delle competenze legislative fra Stato e regioni in materia di
pubblico impiego, in www.federalismi.it, 2017;
i8) sull’attività edilizia libera e relativi limiti: D. CHINELLO, L’attività
edilizia libera fra comunicazione al comune e relazione asseverata, in
Immobili e proprietà, 2010, 7; L. BISORI, Attività edilizia libera e
strumenti urbanistici applicabili, in Urbanistica e appalti, 2011, 7, 871;
D. ZONNO, La “nuova” manutenzione straordinaria dopo il decreto
sblocca-Italia, in Riv. giur. edilizia, 2014, 6, 53; M. BREGANZE, L'attività
edilizia libera, in Riv. giur. urbanistica, 2015, 1; G. GUZZARDO;
Semplificazioni e complicazioni nei titoli edilizi, Riv. giur. edilizia,
2015, 2, 35; E. BOSCOLO, I decreti attuativi della legge Madia:
liberalizzazioni e ridisegno del sistema dei titoli edilizi, Riv. giur.
edilizia, 2016, 6, 601; A. SENATORE, L’attività edilizia libera, in
Urbanistica e appalti, 2017, 2, 278; G. RIZZI, L’attività di edilizia
libera, in Immobili e proprietà, 2018, 7, 431; E. AMANTE, Ancora sui profili
sostanziali e procedimentali dell’attività edilizia libera e della c.i.l.a.,
in Urbanistica e appalti, 2019, 2, 229
(Corte Costituzionale,
sentenza 12.07.2019 n. 175). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di muro perimetrale di recinzione - Modifica
dell'assetto urbanistico del territorio per struttura ed
estensione - Permesso di costruire - Necessità - Artt. 3, 6,
9, 31, 44, 45, D.P.R. n. 380/2001.
La realizzazione di un muro perimetrale
di recinzione necessita del rilascio del permesso a
costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura
e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da
modificare l'assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli "interventi di nuova
costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380
del 2001.
Inoltre, anche per la realizzazione di un muro di recinzione
di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del
territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso
di costruire, senza che la presenza all'interno del fondo di
un edificio adibito ad abitazione possa far ritenere il muro
pertinenza dell'edificio (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.07.2019 n. 29963 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato,
innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la
realizzazione di
un'opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a
costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del
territorio, così
rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui
all'art. 3, lett.
e), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Altresì, per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo
che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed
estensione, occorre il permesso di costruire, senza che la presenza
all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far
ritenere il muro pertinenza dell'edificio.
---------------
2. Manifestamente infondate sono le censure proposte nel secondo, nel
terzo, nel quarto e in parte del nono motivo, tra loro strettamente connesse
e da
esaminare congiuntamente, le quali contestano la configurabilità del reato
di cui
all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo che le
opere in
questione potevano essere eseguite senza il preventivo rilascio di titolo
autorizzativo, e, in particolare, che la piscina doveva essere qualificata
come
vasca interrata o, comunque, come pertinenza, e che la stessa, così come il
muro perimetrale per parte superiore a metri 1,70, potevano essere
realizzati
sulla base di S.C.I.A.
2.1. Per una corretta valutazione delle censure occorre premettere quale
risulta essere lo stato degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Per quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato,
innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la
realizzazione di
un'opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a
costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del
territorio, così
rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui
all'art. 3, lett.
e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 52040 del
11/11/2014,
Langella, Rv. 261521-01, relativa a fattispecie concernente un muro in
cemento
armato avente spessore di cm. 25 ed un'altezza di circa metri 1,80, nonché Sez.
3, n. 5755 del 13/12/2007, dep. 2008, Romano, Rv. 238788-01).
E' utile
aggiungere che si è anche precisato che, per la realizzazione di
un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto
urbanistico del
territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire,
senza che
la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa
far
ritenere il muro pertinenza dell'edificio (così Sez. 3, n. 41518 del
22/10/2010,
Bove, Rv. 248744-01)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
09.07.2019 n. 29963). |
giugno 2019 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA: E'
illegittima l'ordinanza sindacale che impone al proprietario del fondo la
recinzione dello stesso al fine di evitare l'abbandono incontrollato di
rifiuti.
Costante giurisprudenza suffraga la natura essenzialmente facoltativa e non
obbligatoria della recinzione del fondo in capo al proprietario.
In tal senso depone in termini inequivoci l’art. 841 c.c., in virtù del
quale: “Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo”. La
chiusura/recinzione del fondo è dunque un atto facoltativo per il titolare
del diritto dominicale.
Sicché, tra le prestazioni che il Sindaco può imporre al proprietario, tanto
nell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quanto in quelle emanate ai
sensi degli artt. 50 e 54 D.Lgs. 267/2000, non può essere annoverata la
recinzione del fondo.
Invero:
- “Per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.) la
"chiusura del fondo" costituisce, infatti, una mera facoltà del
proprietario, il cui mancato esercizio non può, dunque, ridondare in un
giudizio di responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un
obbligo di diligenza”; “Secondo un principio generale del diritto,
riveniente dall'art. 841 c.c., la chiusura del fondo costituisce una mera
facoltà del proprietario e, dunque, giammai un suo obbligo”;
- La possibilità di addivenire all’imposizione della recinzione
potrebbe al limite ipotizzarsi in situazioni peculiari, e comunque sulla
scorta di una specifica e ponderata valutazione, da parte
dell’amministrazione procedente, svolta alla luce dei canoni della
proporzionalità e ragionevolezza, del tutto assente negli atti qui gravati:
“D’altronde, se anche si dovesse ravvisare un fondamento normativo
all'obbligo di recinzione, resterebbe comunque da considerare che un obbligo
di condotta di tal genere andrebbe valutato secondo criteri di ordinaria
diligenza e, quindi, di proporzionata e ragionevole esigibilità, che nella
specie non sono neppure astrattamente invocabili, atteso che -i paventati
pericoli per la salute dei residenti, asseritamente causati dallo
stazionamento di automezzi sul terreno- risultano essere frutto di
affermazioni non supportate da alcun effettivo accertamento.
Conseguentemente, appare opportuno sottolineare come l’omessa recinzione del
fondo, integrando una condotta del tutto legittima da parte del
proprietario, non può essere assunta dal comune, in sede di adozione
dell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quale indice della colpa del
titolare del terreno.
Anche sotto tale profilo, invero, l’opinione giurisprudenziale è
consolidata: “In caso di abbandono di rifiuti in un fondo di proprietà
privata, la colpa del proprietario non può ravvisarsi nel fatto che quest'ultimo
non abbia recintato l'area, posto che la chiusura del fondo costituisce una
mera facoltà del proprietario, ai sensi dell'art. 841 c.c., giammai un
obbligo”.
---------------
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 61 del 30.07.2018, comunicata il
02.08.2018 e della successiva ordinanza sindacale n. 78 del 21.08.2018,
comunicata il 12.09.2018, in parte qua, laddove prevedono la realizzazione
della recinzione delle aree;
...
I Sigg.ri Pa.Si.Va., Ni.Bi.Va. e An.Va. sono proprietari di alcuni
appezzamenti di terreno ubicati in Comune di Arnesano.
Con ordinanza n. 61 del 30.07.2018 il Sindaco del Comune di Arnesano
ingiungeva ai Va.: “1. di provvedere, a propria cura e spese,
all’esecuzione delle opere di difesa e prevenzione antincendio, previa
estirpazione e pulizia delle erbacce cresciute nei lotti di terreno di
proprietà e smaltimento presso ditte autorizzate dei rifiuti abbandonati
entro e non altre 10 giorni dalla notifica della presente […]; 2. Di
provvedere alla recinzione dei lotti di terreno innanzi citati entro 90
giorni dalla data di notifica della presente ordinanza, previa preventiva
richiesta all’Ufficio tecnico Comunale del relativo titolo abilitativo ai
sensi del TUE […]”.
Immediatamente dopo la notifica di tale ordinanza, veniva fornita
all’amministrazione comunale documentazione fotografica attestante
l’intervenuta esecuzione delle opere di scerbatura dei terreni.
Con successiva ordinanza n. 78 del 21.08.2018 il Sindaco ingiungeva
ulteriormente ai Va., con riferimento ai fondi di loro proprietà, di “eseguire
le opere di estirpazione e pulizia delle erbe infestanti, nonché la raccolta
e smaltimento presso ditte autorizzate dei rifiuti di vario genere
abbandonati nei lotti di terreno […]; avverte […] che i soggetti obbligati,
nei termini previsti dall’ordinanza sindacale n. 61 /2018, sono tenuti a
provvedere alla recinzione dei lotti di terreno innanzi citati, previa
preventiva richiesta all’Ufficio Tecnico Comunale del relativo titolo
abilitativo ai sensi del TUE approvato con D.P.R. n. 380 del 6.6.2001 e
s.m.i.”.
Avverso i suddetti provvedimenti sindacali, i Vacca proponevano il ricorso
introduttivo del presente giudizio, chiedendone l’annullamento “in parte
qua, laddove prevede la realizzazione della recinzione delle aree”, per
il seguente articolato motivo: ...
...
1. Il ricorso è fondato.
La porzione del provvedimento che costituisce oggetto di impugnazione da
parte dei ricorrenti è quella con la quale il Sindaco imponeva ai Va. la
recinzione del proprio fondo.
1.1. Le valutazioni svolte in ricorso, e suffragate da costante indirizzo
giurisprudenziale, circa la natura essenzialmente facoltativa e non
obbligatoria della recinzione del fondo in capo al proprietario, sono
condivise dal Collegio. In tal senso depone in termini inequivoci l’art. 841
c.c., in virtù del quale: “Il proprietario può chiudere in qualunque
tempo il fondo”. La chiusura/recinzione del fondo è dunque un atto
facoltativo per il titolare del diritto dominicale.
Per quanto precede, tra le prestazioni che il Sindaco può imporre al
proprietario, tanto nell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quanto in
quelle emanate ai sensi degli artt. 50 e 54 D.Lgs. 267/2000, non può essere
annoverata la recinzione del fondo: “È fondato ed assorbente il rilievo
secondo cui non può essere imposta ai proprietari la recinzione del fondo.
Per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.) la "chiusura del
fondo" costituisce, infatti, una mera facoltà del proprietario, il cui
mancato esercizio non può, dunque, ridondare in un giudizio di
responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un obbligo di
diligenza (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, n. 9276/2014; Cons. Stato,
sez. III, sentenza n. 4316/2018, sez. V, sentenza n. 4504/2015; sez. III,
sentenza n. 2518/2010; sez. V, sentenza n. 1612/2009)” (TAR Calabria, Reggio
Calabria, Sez. I, 11.09.2018 n. 529; TAR Calabria); “Secondo un principio
generale del diritto, riveniente dall'art. 841 c.c., la chiusura del fondo
costituisce una mera facoltà del proprietario e, dunque, giammai un suo
obbligo” (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 18.09.2012 n. 954; cfr: TAR
Umbria, Perugia, Sez. I, 27.01.2012 n. 13).
La possibilità di addivenire all’imposizione della recinzione potrebbe al
limite ipotizzarsi in situazioni peculiari, e comunque sulla scorta di una
specifica e ponderata valutazione, da parte dell’amministrazione procedente,
svolta alla luce dei canoni della proporzionalità e ragionevolezza, del
tutto assente negli atti qui gravati: “D’altronde, se anche si dovesse
ravvisare un fondamento normativo all'obbligo di recinzione, resterebbe
comunque da considerare che un obbligo di condotta di tal genere andrebbe
valutato secondo criteri di ordinaria diligenza e, quindi, di proporzionata
e ragionevole esigibilità, che nella specie non sono neppure astrattamente
invocabili, atteso che -i paventati pericoli per la salute dei residenti,
asseritamente causati dallo stazionamento di automezzi sul terreno-
risultano essere frutto di affermazioni non supportate da alcun effettivo
accertamento” (TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 11.09.2018 n.
529).
1.2. In conseguenza di quanto sopra, peraltro, appare opportuno sottolineare
come l’omessa recinzione del fondo, integrando una condotta del tutto
legittima da parte del proprietario, non possa essere assunta
dall’amministrazione, in sede di adozione dell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs.
152/2006, quale indice della colpa del titolare del terreno.
Anche sotto tale profilo, invero, l’opinione giurisprudenziale è
consolidata: “In caso di abbandono di rifiuti in un fondo di proprietà
privata, la colpa del proprietario non può ravvisarsi nel fatto che quest'ultimo
non abbia recintato l'area, posto che la chiusura del fondo costituisce una
mera facoltà del proprietario, ai sensi dell'art. 841 c.c., giammai un
obbligo” (Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.2009 n. 1612; cfr: TAR
Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 19.12.2012 n. 747).
1.3. Le ordinanze oggetto del presente giudizio, nella parte in cui
impongono ai proprietari la recinzione delle aree di loro proprietà,
risultano, per quanto precede, illegittime.
1.4. La fondatezza del rilievo dirimente qui esaminato consente di
assorbire, per ragioni di ordine logico, le ulteriori censure svolte
nell’atto introduttivo del giudizio.
2. Il ricorso risulta dunque fondato e deve essere accolto, con conseguente
annullamento dei provvedimenti impugnati nella parte in cui essi impongono
ai proprietari la chiusura del fondo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.06.2019 n. 986 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
maggio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Con
riferimento al rispetto delle distanze legali, precisato che la questione
non si pone con riferimento ai volumi tecnici (non costituendo, questi,
costruzioni ai sensi dell'art. 873 c.c., non devono essere considerati ai
fini del computo delle distanze dai confini), si deve rilevare ulteriormente
come i locali seminterrati, ossia quei locali che sporgono dal terreno per
un’altezza inferiore a tre metri, non siano assoggettabili alla norma sulla
distanza legale tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. n.
1444/1968.
---------------
In forza del principio di cui all’art. 878 del codice civile, il muro di
cinta di altezza non superiore a tre metri non rileva ai fini del rispetto
delle distanze delle costruzioni dal confine; e consente, quindi, la
realizzazione di costruzioni “in aderenza” al muro posto sul confine, purché
aventi altezza non superiore a tre metri.
---------------
10.2. - In secondo luogo, con
riferimento al rispetto delle distanze legali, precisato che la questione
non si pone con riferimento ai volumi tecnici (non costituendo, questi,
costruzioni ai sensi dell'art. 873 c.c., non devono essere considerati ai
fini del computo delle distanze dai confini), si deve rilevare ulteriormente
come i locali seminterrati, ossia quei locali che sporgono dal terreno per
un’altezza inferiore a tre metri, non siano assoggettabili alla norma sulla
distanza legale tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. n.
1444/1968.
E, nel caso di specie, come risulta dall’esame degli elaborati progettuali
allegati alla domanda di condono (cfr. deposito del 17.09.2011 del Comune di
Olbia), sia il locale tecnico trasformato in una unità edilizia residenziale
costituita da un vano e da un bagno (oggetto della concessione in sanatoria
n. 2160 del 26.05.2010), sia la cantina ubicata nel piano seminterrato e
trasformata in unità edilizia residenziale costituita da due camere con due
w.c., due ripostigli e un corridoio (concessione in sanatoria n. 2170 del
26.05.2010), hanno altezze inferiori a tre metri.
Il dato assume rilievo anche per quanto concerne l’applicazione delle norme
sulla distanza dal confine. Entrambi i manufatti per cui è controversia sono
stati realizzati –come si è visto– ad un’altezza inferiore a quella alla
quale sarebbe consentito realizzare il muro di cinta.
Da ciò consegue l’operatività del principio di cui all’art. 878 del codice
civile, per il quale il muro di cinta di altezza non superiore a tre metri
non rileva ai fini del rispetto delle distanze delle costruzioni dal
confine; e consente, quindi, la realizzazione di costruzioni “in aderenza”
al muro posto sul confine, purché aventi altezza non superiore a tre metri.
10.3. - Non sussistono, pertanto, le condizioni affinché possa concretamente
operare la distanza minima di 5 metri dal confine prevista dal Piano
regolatore generale, in quanto tale prescrizione non opera per le
costruzioni di altezza non superiore ai tre metri, posto che in questo caso
le esigenze di igiene e ornato pubblico sottese alla citata previsione
pianificatoria in concreto non sussistono (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 24.05.2019 n. 438 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
recinzione è attività che viene permessa ex art. 841 c.c. per precludere a
terzi l’ingresso nella proprietà privata ed ha rilievo edilizio solo quando
fatta con materiale che le diano un ancoramento al terreno.
---------------
La recinzione in pali di legno e rete metallica non è idonea a concretare un
reale impatto sul territorio, assumendo in realtà le caratteristiche proprie
di un modesto intervento volto a tutelare la proprietà privata e, quindi,
costituente esercizio di un'attività del tutto libera.
Tale aspetto rileva anche in relazione al vincolo ambientale esistente,
laddove l'opera realizzata non integra gli estremi di un intervento
edilizio, in quanto l'esistenza del vincolo, pur comportando l'applicazione
di una specifica normativa di protezione, non modifica la disciplina dei
titoli edilizi.
---------------
La recinzione è attività che viene permessa ex art. 841 c.c. per precludere
a terzi l’ingresso nella proprietà privata ed ha rilievo edilizio solo
quando fatta con materiale che le diano un ancoramento al terreno.
La recinzione in pali di legno e rete metallica non è idonea a concretare un
reale impatto sul territorio, assumendo in realtà le caratteristiche proprie
di un modesto intervento volto a tutelare la proprietà privata e, quindi,
costituente esercizio di un'attività del tutto libera.
Tale aspetto rileva anche in relazione al vincolo ambientale esistente,
laddove l'opera realizzata non integra gli estremi di un intervento
edilizio, in quanto l'esistenza del vincolo, pur comportando l'applicazione
di una specifica normativa di protezione, non modifica la disciplina dei
titoli edilizi ( TAR Toscana 1703/2015, 391/2012 )
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.05.2019 n. 757 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Recinzione
in prossimità dell’argine di un fiume.
In considerazione di quello che è
l’interesse pubblico perseguito dal RD 368/1904, deve
ritenersi che la norma si applichi a tutti i manufatti in
grado di interferire con la pulizia delle sponde, l’uso
degli argini e il normale alveo del corso d’acqua.
Ne consegue che manufatto costituito da un basamento in
cemento armato sormontato da una rete metallica va
qualificato una “fabbrica” assoggettata alle prescrizioni
dell’articolo 133 R.D. n. 368/1904 che indica gli atti o
fatti vietati in modo assoluto rispetto ai “corsi d'acqua,
strade, argini ed altre opere d'una bonificazione”
(fattispecie relativa a una recinzione che sorge a 1,20 m.
dalla mezzeria di un canale)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.05.2019 n. 1074 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
7.1. Il ricorso è infondato: il che consente di prescindere,
per ragioni di economia processuale, dalla disamina delle
eccezioni preliminari sollevate sia dalla difesa del Comune,
che da quella del Consorzio (cfr., TAR Lazio–Roma, Sez. III,
sentenza n. 9086/2016).
7.2. Il ragionamento deve necessariamente muovere dal dato
normativo.
Ebbene, il R.D. n. 368/1904 (recante il “Regolamento
sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi”)
all’articolo 133 disciplina le fasce di inedificabilità
assoluta rispetto a «corsi d’acqua, strade, argini ed
altre opere d’una bonificazione». In particolare, per
quanto qui di interesse, la testé richiamata disposizione
regolamentare vieta in una fascia compresa tra i 4 e i 10 m.
dal corso d’acqua la realizzazione di “fabbriche” o “fabbricati”.
Ed, infatti, la deliberazione consortile n. 125 del
31.05.2007, in esecuzione della suvvista disposizione,
esercitando la discrezionalità riconosciutagli all’interno
dell’intervallo predeterminato dalla norma, ha fissato in 6
m. la fascia di rispetto per i canali derivatori.
7.3.1. Sennonché, è irrilevante che la recinzione di cui si
discute sia stata realizzata prima della su ricordata
deliberazione consortile, posto che non è in contestazione
che essa sorge a 1,20 m. dalla mezzeria del canale, quindi
comunque entro la minor fascia di 4 m. fissata dal R.D. n.
168/1904, ovverosia in area comunque assoggettata a vincolo
di inedificabilità.
Questo significa che in nessun caso la recinzione avrebbe
potuto essere collocata in quel punto.
E significa, altresì, che, giusta quanto dispone l’articolo
33, primo comma, lettera a), L. n. 47/1985, espressamente
richiamato dall’articolo 32, comma 27, D.L. n. 269/2003
(convertito in L. n. 326/2003), il manufatto in alcun modo
non è sanabile.
7.3.2. Né può sostenersi che la recinzione non costituisca
una “fabbrica” e, dunque, non sia assoggettata alle
prescrizioni dell’articolo 133 R.D. n. 368/1904.
Come condivisibilmente osservato dalla difesa del Consorzio,
in considerazione di quello che è l’interesse pubblico
perseguito, deve ritenersi che la norma si applichi a tutti
i manufatti in grado di interferire con la pulizia delle
sponde, l’uso degli argini e il normale alveo del corso
d’acqua. E, nel caso di specie, il manufatto è costituito da
un basamento in cemento armato sormontato da una rete
metallica: il che ne fa sicuramente una “fabbrica” ai
fini sopra visti.
7.3.3. Nemmeno può opporsi –così come tenta di fare la
difesa di parte ricorrente- che la recinzione di cui si
discute è allineata alla recinzione di altre proprietà che
costeggiano il canale e che recentemente anche il Comune ha
realizzato dall’altra parte del canale una palizzata a
protezione della pista ciclabile.
Infatti, anche ammettendo che le allegazioni siano
confermate, non costituisce certo causa di illegittimità
l’essersi l’Autorità procedente allontanata da una prassi
illegittima (cfr., TAR Emilia Romagna–Parma, sentenza n.
242/2016). La violazione di una norma di legge non repressa
non legittima affatto la reiterazione della violazione
medesima (cfr., TAR Toscana, Sez. III, sentenza n.
507/2015).
7.4. In questo quadro, il ritiro in autotutela di un
provvedimento (i.e. il permesso di costruire in
sanatoria) che ab origine non avrebbe potuto essere
rilasciato si configura come atto vincolato (cfr., C.d.S.,
Sez. IV, sentenza n. 2799/2018), come tale non necessitante
di una motivazione ulteriore rispetto ai presupposti che
legittima l’esercizio di un potere nella sostanza repressivo
(cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 3659/2018).
7.5. Infine, il richiamo operato dalla revoca in autotutela
del permesso di costruire in sanatoria alle sanzioni
previste dall’articolo 26 del Regolamento consortile è privo
di valenza provvedimentale, costituendo un semplice avviso
rispetto a provvedimenti che saranno adottati in un secondo
momento e a poteri ancora da esercitare.
8.1. In conclusione, il ricorso è infondato e per questo
viene respinto. |
aprile 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di un muro di
recinzione necessita del previo rilascio del permesso a
costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area relativa, sia tale da modificare
l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel
novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui
all'art. 3, comma 1, lett. e), d.p.r. 380/2001.
---------------
Rispetto al muro di recinzione, è appena il caso di
aggiungere, che la necessità di premunirsi di un apposito
titolo abilitativo sotto il profilo urbanistico, per la
realizzazione dell’intervento in discussione, non implica
alcuna vulnerazione al diritto di proprietà
costituzionalmente tutelato ovvero alla potestà del
dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo,
per far valere lo ius excludendi alios, costituente
il contenuto tipico della proprietà, ai sensi dell'art. 841
c.c., atteso che per soddisfare i predetti fini è
sufficiente la posa di una mera recinzione non implicante
alcun carico urbanistico, mentre sempre al medesimo fine il
ricorso ad ogni ulteriore e diversa opera maggiormente
invasiva, posta a presidio della proprietà deve presentarsi
conforme anzitutto alla normativa urbanistica.
Pertanto, attesa la consistenza in muratura e la lunghezza
non di minimo impatto della recinzione in questione, trova
applicazione l’orientamento pacifico secondo cui : “la
realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo
rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, sia tale da modificare l'assetto urbanistico del
territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di
nuova costruzione" di cui all'art. 3, comma 1, lett. e),
d.p.r. 380/2001” (cfr. Cassazione penale, sez. III,
06.10.2016, n. 8693; Tar Venezia, sez. II, 21.06.2018, n.
663) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 24.04.2019 n. 122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2019 |
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CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Paletti
anti-sosta, basta la Scia. Non serve il permesso di
costruire. Stop alle demolizioni. Lo
indica una sentenza del Tar Campania sui dissuasori per auto
e rifiuti in condominio.
Tornano a sperare i condomini assediati dalle auto e dal
deposito incontrollato di rifiuti. Non vanno abbattuti i
paletti anti-sosta e immondizia selvaggi perché la
demolizione è la sanzione che colpisce le opere realizzate
senza permesso di costruire, mentre per i dissuasori basta
la segnalazione certificata d'inizio attività.
È quanto emerge dalla
sentenza 05.03.2019 n. 1255, pubblicata dalla III
Sez. del TAR Campania-Napoli, che spezza una lancia per gli
edifici dei centri storici ostaggio di auto, moto e
immondizia.
Secondo la giurisprudenza amministrativa il comune non può
ignorare le richieste del condominio che vuole mettere un
divieto di sosta con dissuasori, tutelare con paletti il
passo carrabile o allargare il marciapiede all'ingresso del
comprensorio. Ma se l'immobile è di pregio niente paletti in
ferro. Senza dimenticare che l'amministrazione può far
rimuovere le opere abusive dal parcheggio condominiale anche
se la strada è chiusa da un lato.
Restano dove sono i paletti piantati dal condominio: sbaglia
l'ente locale a ordinarne la rimozione. Per i dissuasori
basta la semplice Scia perché contano soltanto natura e
dimensioni delle opere e dopo la posa dei manufatti l'area
resta accessibile a tutti, in primis ai pedoni, tranne che
alle macchine.
Il ricorso dell'ente di gestione contro il comune del
Napoletano è accolto perché l'installazione dei paletti
rientra nell'inserimento degli elementi accessori ex
articolo 3, lettera c), del Testo unico dell'edilizia:
l'unica sanzione che può scattare è quella pecuniaria di cui
all'articolo 37, comma primo, dello stesso dpr 308/2001. I
paletti «incriminati» dalla polizia municipale, in effetti,
sono alti soltanto un metro e hanno un diametro di dieci
centimetri per dieci: non si tratta di manufatti in grado di
incidere in modo permanente sull'assetto del territorio
perché possono essere facilmente rimossi.
D'altronde neppure l'amministrazione locale contesta che
facciano da dissuasori al parcheggio non autorizzato e
all'abbandono dei rifiuti. Né conta che l'area sia soggetta
a vincolo paesaggistico: l'ente locale non indica in modo
esplicito quale sarebbe l'incidenza negativa delle opere.
I precedenti.
Nuovo contraddittorio.
È illegittimo il
silenzio-inadempimento serbato dal comune sulla segnalazione
dei condomini che chiedono sia allargato il marciapiede
oppure installato un divieto di sosta con dissuasori: così
neppure riescono a entrare nel palazzo. Il parcheggio
selvaggio si trasforma in barriera architettonica e
l'amministrazione locale ha l'obbligo almeno di pronunciarsi
sull'istanza del condominio sulla base dei poteri che gli
derivano dal codice della strada sulla gestione della
circolazione stradale dei veicoli e dei pedoni in città.
È quanto emerge dalla sentenza 423/2018, pubblicata dalla I
Sez. del Tar Toscana.
Accolto il ricorso dell'ente di gestione e dei singoli
condomini: non giova al comune obiettare che nell'edificio
non risultano residenti che abbiano difficoltà motorie. Il
punto è che il condominio è certificato contro le barriere
architettoniche interne, ma risulta difficilmente
accessibile da fuori: a impedire il passaggio sul
marciapiede poco profondo sono le auto parcheggiate l'una a
ridosso dell'altra e i bauletti che sporgono dagli scooter.
Ed è dalle stesse relazioni depositate dall'amministrazione
che emerge come siano fondate le istanze del condominio. In
effetti gli uffici dell'ente stanno valutando l'allargamento
del marciapiede e l'installazione del divieto di sosta, ma
senza dissuasori. Su questo il giudice non può intervenire,
ma la scelta discrezionale che sarà adottata dall'ente dovrà
di nuovo essere vagliata nel contraddittorio.
Obbligo di manutenzione.
Il comune non può far finta di niente anche quando è il
passo carrabile dello stabile nella strada stretta a essere
schiavo del parcheggio selvaggio: deve rispondere entro un
mese all'istanza dei condomini che chiedono l'installazione
di paletti o di un divieto di sosta all'altezza del numero
civico in modo da poter entrare e uscire dal palazzo usando
anche loro l'auto. E se l'amministrazione non provvede in
tempo arriva il commissario indicato dal prefetto.
Lo stabilisce la sentenza 4280/2015, pubblicata dalla I Sez.
del Tar Campania.
La grana scoppia perché uno dei condomini in preda a una
colica non può uscire dal cancello con la macchina per
essere accompagnato al pronto soccorso. La polizia
municipale conferma: lo spazio di manovra davanti al passo
carrabile è troppo angusto anche a causa dei veicoli
parcheggiati sul marciapiede. E in caso di emergenza
un'ambulanza avrebbe difficoltà a intervenire in zona.
L'ente locale, dunque, non può rimanere inerte: ha un
preciso obbligo di vigilanza sulle strade e sulle relative
pertinenza in quanto proprietaria delle infrastrutture, ne
deve garantire «la destinazione pubblica e il pacifico
utilizzo da parte degli utenti».
Ed è lo stesso codice della strada a imporre al comune di
installare la segnaletica stradale a partire dal divieto di
sosta (articolo 37) e i paletti dissuasori autorizzati dal
ministero dei Trasporti da «utilizzare come impedimento
materiale alla sosta abusiva» dei veicoli (art. 42). Se
l'amministrazione locale non provvede, a rispondere
all'istanza dei cittadini sarà un funzionario dell'ufficio
territoriale del governo indicato dal prefetto.
Utilizzo legittimo.
Bisogna fare i conti anche con le Soprintendenze, però. Il
comune non può vietare al condominio di utilizzare il
cortile come parcheggio dei veicoli di proprietari e
inquilini anche se l'edificio in pieno centro storico
risulta sottoposto a vincolo dai Beni culturali. E ciò
perché lo stabile si trova in un'area che è «residenziale»
secondo il piano regolatore generale: la destinazione
indicata dalle norme di attuazione prg risulta estesa agli
spazi di pertinenza. L'ente di gestione, tuttavia, non può
delimitare l'area di sosta con paletti di ferro perché
rovinano l'acciottolato di pregio, come ha stabilito la
Soprintendenza.
È quanto emerge dalla sentenza 98/2019, pubblicata dalla II
Sez. del Tar Piemonte.
Il condominio fa annullare l'ordinanza del dirigente del
servizio edilizia che vieta di parcheggiare in cortile. Pesa
l'esposto di uno dei proprietari esclusivi che denuncia il
posteggio selvaggio sotto il suo balcone. L'amministrazione
minaccia di applicare sanzioni all'ente di gestione in caso
d'inottemperanza ex articolo 7-bis primo comma Tuel. In
realtà sono più di quarant'anni che le macchine vengono
parcheggiate in cortile con il permesso dell'assemblea:
l'impiego dell'area risulta legittimo in quanto costituisce
una delle possibili forme ordinarie utilizzazione dell'area
di pertinenza all'edificio residenziale.
Il condominio, comunque, deve provvedere a delimitare gli
spazi della sosta con elementi a terra come stalli o strisce
dipinte perché i paletti stop-auto sono incompatibili con il
decoro architettonico dell'edificio.
Apertura sufficiente.
Attenzione, infine, ai paletti in ferro nel parcheggio
condominiale. La rimozione ordinata dal comune scatta anche
se l'area su cui i dissuasori sono installati risulta
proprietà dell'edificio: ciò che conta è l'uso pubblico
della strada su cui affaccia il caseggiato, mentre il fatto
che la via sia chiusa da un lato non basta a renderla
privata.
È quanto emerge dalla sentenza 1224/2015, pubblicata dalla
II Sez. del Tar Sicilia.
Niente da fare, stavolta, per il condominio: deve
rassegnarsi a far sparire catene e lucchetti che blindano le
auto parcheggiate sotto il palazzo come ha ordinato il
servizio edilizia pubblica e privata del comune.
All'amministrazione non può disconoscersi il potere di far
abbattere le opere abusive. E i dissuasori messi a bordo
strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di
soccorso.
È poi escluso che la strada dove sorge il fabbricato possa
davvero essere ritenuta privata: inutile eccepire il fatto
che la via sia chiusa da un lato e non metta in
comunicazione due pubbliche vie, risulta infatti sufficiente
che l'apertura da un lato consenta l'accesso da e per una
strada pubblica.
Affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale
pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il
passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività
di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il
diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché
l'utilizzo si protrae da tempo (articolo
ItaliaOggi Sette del 18.03.2019).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti
considerazioni.
In primo luogo, diversamente da quanto sostiene parte
ricorrente l’intervento effettuato non
ricade tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo
tassativo all’art. 6 del t.u. n. 380 del 2001, in deroga al
generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per
eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto
per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art.
6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle
fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità
dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla
descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del
citato art. 6.
Tuttavia coglie nel segno il profilo di censura con cui
parte ricorrente ritiene che nel caso qui in esame non venga
in discussione un’ipotesi di trasformazione
edilizio–urbanistica, o di alterazione permanente
dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da
esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380
del 2001.
Deve invece ritenersi,
sulla falsariga di quanto affermato dal Giudice di appello
in una fattispecie del tutto simile a quella oggetto di
causa, che l’intervento ricada nel campo di
applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in tema di
SCIA (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 16.07.2015, n. 3554).
Sulla questione, intuitivamente affine,
dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso
di costruire, la giurisprudenza amministrativa di primo
grado, afferma che la valutazione sulla
necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in
base ai parametri della natura e delle dimensioni delle
opere, e della loro destinazione e funzione
(si vedano, tra le altre, TAR Campania, n. 3328/2013 e n.
1542/2012, TAR Lombardia, n. 6266/2009, TAR Lazio, n.
8644/2009, TAR Veneto, n. 1215/2011, TAR Calabria, n.
1299/2014, TAR Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre),
sicché quando, ad esempio, vengono eseguite
opere in muratura e la recinzione non è facilmente
rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo
permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il
previo rilascio del permesso di costruire, ma a tal fine
occorre avere riguardo a tutte le opere realizzate nel loro
complesso.
Invero questa Sezione di recente ha ritenuto che: <<la
posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a
sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere
murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto
urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo
di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per
cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di
costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli
paesaggistici (cfr.
TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II,
04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n.
5908)>> (cfr.
TAR Campania, Sez. III, 24.12.2018, n. 7333).
Ciò posto, l’intervento in argomento, alla
luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso
(10 paletti dell’altezza di mt. 1 ciascuno e diametro 10x10,
si vedano le foto prodotte in giudizio), ricade nel campo di
applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, cioè, tra
quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a.,
la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la
demolizione, previste dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001
per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di
costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con
variazioni essenziali, ma con l'applicazione della mera
sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per
l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta
denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria
significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un
basamento di calcestruzzo assai sottile, risultano
distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile
accesso pedonale all’area ed effettivamente sembrano
svolgere una funzione, non contestata dal Comune, di
dissuasori della sosta e dell’abbandono dei rifiuti. Viene
in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare
la proprietà del condominio ricorrente (non si tratta
neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora
liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”),
rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come
tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del
territorio.
Non vi è poi alcun concreto elemento, a parte la generica e
immotivata asserzione del Comune resistente, di incidenza
negativa sul paesaggio nei termini di cui all’art. 146 del
d.lgs. n. 42/2004, come invece addotto nel gravato
provvedimento, laddove la limitata evidenza dell’intervento
avrebbe richiesto una più esplicita indicazione in tal
senso.
Poiché dunque la realizzazione dei paletti
per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie
dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3,
comma 1, lett. c), del t.u. n. 380 del 2001, ne consegue che
l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 d.P.R.
n. 380/2001 porterebbe alla sanzione pecuniaria di cui
all’art. 37, co. 1 d.P.R. n. 380/2001.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza
impugnata conseguentemente deve essere annullata. |
febbraio 2019 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Dissuasori
della sosta.
Il TAR Milano, dopo aver premesso che la
valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di
costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e
delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e
funzione (sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere
in muratura non facilmente rimuovibili, l’intervento,
essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio, esige il previo rilascio del
permesso di costruire), ritiene che la realizzazione senza
titolo urbanistico e viabilistico di dissuasori della sosta
in cemento su area di proprietà privata, ma esterna al muro
di recinzione e, di conseguenza, collocata in area destinata
all’uso pubblico o ad essa adiacente, costituisce una
trasformazione stabile del territorio che per la sua
rilevanza edilizia e per i rischi che comporta per la
circolazione in strada (nella fattispecie molto stretta),
dev’essere sanzionata con la demolizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.02.2019 n. 331 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
5. Il quarto motivo è parzialmente fondato.
Infatti la posa di alcuni paletti infissi
nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete
metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di
limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente
destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per
separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il
rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente
l’osservanza dei vincoli paesaggistici
(da ultimo TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza
24.12.2018 n. 7333).
Diverso è invece il caso dei dissuasori della sosta in
cemento.
In merito la giurisprudenza ha chiarito che
la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso
di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura
e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e
funzione (si
vedano, tra le altre, Tar Campania, n. 3328/2013 e n.
1542/2012, Tar Lombardia, n. 6266/2009, Tar Lazio, n.
8644/2009, Tar Veneto, n. 1215/2011, Tar Calabria, n.
1299/2014, Tar Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre),
sicché quando, ad esempio, vengono eseguite
opere in muratura non facilmente rimuovibili, l’intervento,
essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio, esige il previo rilascio del
permesso di costruire.
Nel caso di specie la realizzazione senza
titolo urbanistico e viabilistico di dissuasori della sosta
in cemento su area di proprietà privata ma esterna al muro
di recinzione e, di conseguenza, collocata in area destinata
all’uso pubblico o ad essa adiacente, costituisce una
trasformazione stabile del territorio che per la sua
rilevanza edilizia e per i rischi che comporta per la
circolazione in una strada molto stretta qual è quella in
questione, dev’essere sanzionata con la demolizione.
In definitiva quindi il ricorso va accolto limitatamente
alla realizzazione della recinzione mentre i dissuasori in
cemento debbono essere rimossi. |
dicembre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sull'illegittimità dell'ordinanza di demolizione relativamente all'installazione di n. 6 paletti
metallici con rete metallica ed alla posa in opera della pavimentazione di
un’area di circa 35 mq..
La sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del
2001 si
riferisce agli interventi di nuova costruzione per i quali è
prescritta la previa acquisizione di un permesso di
costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a), ed
eseguiti in assenza, o in difformità totale del prescritto
titolo abilitativo.
Gli interventi di nuova costruzione che richiedono il
permesso di costruire, in difetto del quale è applicabile
l’ingiunzione di demolizione ex art. 31, consistono negli
interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio, non rientranti nelle categorie della manutenzione ordinaria e
straordinaria, del restauro e
risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia,
contemplati nell’art. 3, co. 1, lett. e), del citato d.P.R.
n. 380.
La posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a
sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere
murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto
urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo
di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per
cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di
costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli
paesaggistici.
L'opera di pavimentazione di un’area esterna di modesta
estensione neppure è di per sé soggetta al permesso di
costruire salvo che non comporti una trasformazione
urbanistica del suolo ed un cambio della sua destinazione,
sempre ferma restando l’osservanza dei vincoli
paesaggistici.
---------------
... per l'annullamento:
-
dell'ordinanza n. 63 del 24.10.2018 per la parte in cui
revoca solo parzialmente la precedente ordinanza di
demolizione n. 48 del 24.08.2018 confermando l'ordine demolitorio relativamente all'installazione di n. 6 paletti
metallici ed alla posa in opera della pavimentazione di
un’area
di circa 35 mq.;
- dell'ordinanza n. 48 del 24.08.2018 per la
parte non oggetto della revoca operata con l'ordinanza di
cui al precedente punto; nonché di ogni altro atto connesso,
se ed in quanto lesivo, ivi compreso il verbale di
sopralluogo del 15.03.2017 redatto congiuntamente da Polizia
Locale e U.T.C.;
...
Ritenuto nel merito che:
- la sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del
2001, nella specie irrogata con le ordinanze impugnate, si
riferisce agli interventi di nuova costruzione per i quali è
prescritta la previa acquisizione di un permesso di
costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a), ed
eseguiti in assenza, o in difformità totale del prescritto
titolo abilitativo;
- gli interventi di nuova costruzione che richiedono il
permesso di costruire, in difetto del quale è applicabile
l’ingiunzione di demolizione ex art. 31, consistono negli
interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio, non rientranti nelle categorie della manutenzione ordinaria e
straordinaria, del restauro e
risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia,
contemplati nell’art. 3, co. 1, lett. e), del citato d.P.R.
n. 380;
- la posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a
sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere
murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto
urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo
di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per
cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di
costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli
paesaggistici (cfr. TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907;
TAR Roma, sez. II, 04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV,
15/12/2017, n. 5908);
- l'opera di pavimentazione di un’area esterna di modesta
estensione neppure è di per sé soggetta al permesso di
costruire salvo che non comporti una trasformazione
urbanistica del suolo ed un cambio della sua destinazione,
sempre ferma restando l’osservanza dei vincoli paesaggistici
(cfr. TAR Napoli, sez. VI, 01/08/2018, n. 5144; cfr. art. 6,
co. 1, lett. e-ter), del d.P.R. n. 380);
- nella specie non risultano adottati atti di autotutela
riferiti ai titoli abilitativi di cui la ricorrente
riferisce il possesso e posti a sostegno degli interventi in
questione;
- né la sussistenza di vincoli paesaggistici giustifica
l’applicazione di una sanzione edilizia diversa da quella
prevista in relazione al difetto del prescritto titolo
abilitativo edilizio, fatta salva ovviamente l’applicazione,
se del caso, delle pertinenti misure repressive (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 24.12.2018 n. 7333 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzata “recinzione” (costituita da un vero
e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm
di spessore e 70 metri di lunghezza) è di entità notevole,
non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta
idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e
proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e
terrazzamento del terreno adiacente.
Sicché, dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e
in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato,
va affermato che la realizzazione del muro descritto già
effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei
lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e
rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera
programmata.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
dell’ordinanza n. 113 del 16.09.2005 recante l’ordine di
demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in
Caserta alla strada comunale La Rocca;
...
1.1. Con il presente gravame, MU.Ma., impugna il
provvedimento n. 113 del 16.09.2005 con cui il Comune di
Caserta ha ordinato la demolizione di una recinzione di un
lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La
Rocca in seguito alla decadenza del permesso di costruire
rilasciato per il lotto medesimo (permesso n. 271 del
29.11.2001).
...
2.1. Il risalente provvedimento è adottato, in sostanza, sul
presupposto dell’avvenuta decadenza del titolo edilizio n.
271 del 29.11.2001 che, pacificamente, contemplava la
recinzione in questione tra le opere da realizzare.
2.2. Il Comune di Caserta rileva che il permesso di
costruire sarebbe decaduto per il mancato inizio dei lavori
entro l’anno come previsto dall’art. 15, co. 2, del D.P.R.
380/2001 (“il termine per l'inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello
di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori”)
e, pertanto, ingiunge la demolizione della recinzione poiché
effettuata senza titolo edilizio.
3. In punto di fatto, occorre considerare che la “recinzione”
è costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di
1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di
lunghezza, effettuato previo terrazzamento dei terreni
adiacenti (v. perizia a firma del geom. Toscano), realizzato
a partire dal 18.11.2002, come da comunicazione di inizio
lavori inviata in pari data (in atti).
4.1. La circostanza appena descritta dimostra la fondatezza
della censura sub III che assume rilievo assorbente.
4.2. L’entità dell’opera realizzata, infatti, è notevole non
essendo una mera “recinzione del cantiere” (non
ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero
e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e
terrazzamento del terreno adiacente.
4.3. Dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in
rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato (v.
Consiglio di Stato, sez. V, 31/08/2017, n. 4150), va
affermato che la realizzazione del muro descritto già
effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei
lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e
rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera
programmata (sull’idoneità di lavori di sbancamento e di
realizzazione di un muro di contenimento a rappresentare
l’inizio dei lavori, v. Cassazione penale, sez. II,
06/02/1979; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI,
19/09/2017, n. 4381 e, in termini, TAR Genova, sez. I,
28/01/2016, n. 93).
5. Giova precisare che, al momento dell’adozione del
provvedimento impugnato (in cui si dava per assodata la
decadenza dal titolo edilizio), il 15.09.2004, non era
ancora decorso il termine ultimo per la conclusione dei
lavori (tre anni dall’inizio dei lavori, art. 15, co. 2,
D.P.R. 380/2001, cit.) che, parimenti, avrebbe implicato la
decadenza del titolo edilizio. In ragione dell’adozione del
provvedimento impugnato, peraltro, legittimamente la
ricorrente ha sospeso ogni attività edilizia e, pertanto,
dovrà essere rimessa in termini per concludere l’opera di
cui al menzionato permesso di costruire con un’opportuna
proroga.
6. Il ricorso va, pertanto, accolto nei sensi sopra
precisati. Le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a
carico del Comune intimato per il principio di soccombenza e
dovendosi comunque stigmatizzare il contegno processuale di
mancata ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 628/2018 (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.07.2018 n. 5016 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di un muro di recinzione - Modifica
rilevante dell'assetto urbanistico del territorio - Permesso
a costruire - Necessità - Giurisprudenza.
In tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di
recinzione necessita del previo rilascio del permesso a
costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura
e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da
modificare l'assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli "interventi di nuova
costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n.
380 del 2001 (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e
altro) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.05.2018 n. 20739
- link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del
permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare
l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli
"interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del
d.P.R. n. 380 del 2001.
---------------
Né va dimenticato il principio
generale secondo cui, in tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro
di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel
caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del
territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova
costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez.
3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261521, cfr. in
motivazione, quanto alle esemplificazioni del principio dichiarato)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.05.2018 n. 20739). |
aprile 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
E'
noto che la
realizzazione di opere di recinzione può ritenersi esente
dal regime del permesso di costruire solo ove le recinzioni
non configurino un'opera edilizia permanente, bensì
manufatti di precaria installazione e di immediata
asportazione (quindi, ad esempio, recinzioni in rete
metallica, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza
muretto di sostegno), essendo per contro necessario il
titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di
carattere permanente, incidendo in modo durevole e non
precario sull'assetto edilizio del territorio.
---------------
10. Con il quinto
motivo si censura l’ordine di demolizione nella parte in
cui ingiunge il ripristino anche di opere (la recinzione,
l’impianto di illuminazione e le colonnine antifurto) che,
in sé, non avrebbero rilevanza urbanistica e dunque non
potrebbero essere oggetto di sanzione ripristinatoria.
La tesi non appare condivisibile dal momento che, come
rilevato dalla difesa del Comune, l’ordine di demolizione è
atto diretto alla repressione dell’abuso nel suo complesso
e, quindi, a tutte le singole opere che concorrono a
determinarlo, tenuto conto fra l’altro che esse sono fra
loro “evidentemente legate e mirate al compimento di un
medesimo e complesso illecito, ossia la trasformazione in
un’area inedificata in un piazzale commerciale” che “solo
in quanto tale è stato pavimentato, recintato, dotato di
antifurto e impianto di illuminazione”.
In ogni caso, è noto che la realizzazione di opere di
recinzione può ritenersi esente dal regime del permesso di
costruire solo ove le recinzioni non configurino un'opera
edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quindi, ad
esempio, recinzioni in rete metallica, sorretta da paletti
in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), essendo
per contro necessario il titolo abilitativo quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto
edilizio del territorio (TAR Lazio, sez. II, 04.09.2017 n.
9529; TAR Marche, 23.01.2017 n. 69)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 17.04.2018 n. 556 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini dell'applicazione delle norme sulle
distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti
o dalle diposizioni regolamentari integrative del codice
civile, per "costruzione" deve intendersi qualsiasi opera
non completamente interrata avente i caratteri della
solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e,
segnatamente, dall'impiego di malta cementizia.
---------------
Sempre in tema di distanze legali, mentre il muro di
contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non
può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina
di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua
specifica funzione”, devono invece ritenersi soggetti a tale
norma, “perchè costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente.
A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo
aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione
di carattere terminologico sulle espressioni di "terrapieno
naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico.
La prima, infatti, consiste in un ossimoro, poiché ogni
terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un
muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera
dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere
soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero
prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause
non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo.
Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di
terrapieni sono costruzioni.
---------------
Quanto all’abuso in questione, nell’istanza di permesso di
costruire in sanatoria si è prefigurata la realizzazione di
una “cantina in luogo di terrapieno esistente (…) annessa
tramite disimpegno all'appartamento”, consistente –come
rilevato nel sopralluogo dei tecnici comunali del
07.11.2006– in un “locale in muratura intonacata con
tetto piano, realizzato in adiacenza ad edificio esistente”.
Orbene, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è del
tutto costante “nel ritenere che ai fini
dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate
dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle
diposizioni regolamentari integrative del codice civile, per
"costruzione" deve intendersi qualsiasi opera non
completamente interrata avente i caratteri della solidità ed
immobilizzazione rispetto al suolo (cfr. ex pluribus, Cass.
nn. 5753/2014, 23189/2012, 15972/2011, 22127/2009,
25837/2008, S.U. 7067/1992 e 3199/2002), indipendentemente
dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente,
dall'impiego di malta cementizia (Cass. n. 4196/1987).
Ed è altrettanto costantemente affermato, in tema di
distanze legali, che mentre il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art.
873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica
funzione”, devono invece ritenersi soggetti a tale norma,
“perchè costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. nn.
1217/2010, 145/2006, 8144/2001, 4511/1997, 7594/1995 e
1467/1994).
A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo
aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione
di carattere terminologico sulle espressioni di "terrapieno
naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico. La
prima, infatti, consiste in un ossimoro, poiché ogni
terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un
muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera
dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere
soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero
prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause
non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo.
Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di
terrapieni sono costruzioni” (cfr. Corte di Cassazione,
16.03.2015, n. 5163) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.01.2018 n. 180 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mentre il muro di cinta, nella dizione di cui alla legge n.
662/1996, è un’opera di recinzione, non suscettibile di
modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assume natura pertinenziale, diversa è invece
la consistenza e la funzione dei c.d. muri di contenimento,
che si differenziano perché servono a sostenere il terreno
al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per
assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono
presentare necessariamente una struttura idonea, per
consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla
funzione di contenimento.
---------------
... per l'annullamento, con ricorso originario:
- dell’ordinanza dirigenziale emessa dal Comune di Napoli n. 615
del 30.10.2006, di rigetto dell'istanza di sanatoria ex
art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 – pratica n. 53/06 in
relazione alle opere abusive realizzate alla via ... n.
34 (muro di contenimento di 18 metri lineari per un’altezza
di tre metri, accedente ad un’area cortilizia di un immobile
abusivo);
...
La ricorrente Ma.Ro.To., in qualità di
proprietaria dell’area sita in Napoli, via ... n. 34,
dopo aver impugnato l’ordine ripristinatorio emanato dal
dirigente del Comune di Napoli, con il quale si ingiunge di
eliminare le opere abusive ivi realizzate (muro di
contenimento di 18 metri lineari per un’altezza di tre
metri, accedente ad un’area cortilizia di un immobile
abusivo), è insorta avverso il rigetto della istanza di
accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R.
n. 380 del 2001 per la sanatoria delle opere oggetto
dell’ordinanza originariamente impugnata.
...
1. Il ricorso ed i connessi motivi aggiunti non sono
meritevoli di accoglimento.
1.1. L’amministrazione comunale, anche con il conforto della
relazione esplicativa successiva, ha evidenziato il
contrasto dell’opera (in quanto nuova costruzione con
consentita) con le prescrizioni di zona, che vietano
entrambe la tipologia di opere qui in rilievo.
2. L’area interessata è classificata come zona F – parco
territoriale - sottozona Fa1 (area agricola) e Fa2 (area
incolta), nell’ambito Vallone S. Rocco, disciplinato dagli
artt. 45 e 46 e 162, comma 7, che impongono il divieto di
edificare nuovi volumi e, in particolare, consentono allo
stato solo interventi di messa in sicurezza dei terreni da
realizzarsi con tecniche di riqualificazione e restauro
ambientale.
L’amministrazione comunale ha chiarito in modo
esaustivo il contrasto del manufatto con le prescrizioni di
zona, evidenziando che, con delibera giuntale n. 3417 del
2002, le tecniche di riqualificazione comprendono la
realizzazione di interventi a grata viva, a gabbionate e
materassi inverditi, o a terra rinforzata, o a scogliera
rinverdita, con materiali di origine vegetale.
2.1. Dal contenuto degli riversati in giudizio si ricava che
il muro in questione non può qualificarsi quale “muro di
cinta”, ma risulta costruito al fine di prevenire possibili
smottamenti del terreno, onde va qualificato come “muro di
contenimento”.
Mentre il muro di cinta, nella dizione di cui alla legge n.
662/1996, è un’opera di recinzione, non suscettibile di
modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assume natura pertinenziale, diversa è invece
la consistenza e la funzione dei c.d. muri di contenimento,
che si differenziano perché servono a sostenere il terreno
al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per
assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono
presentare necessariamente una struttura idonea, per
consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla
funzione di contenimento.
2.1. Nel sistema dell’ambito del Vallone S. Rocco, vista la
peculiare conformazione agricola dell’area, tale incisivo
intervento edilizio deve essere caratterizzato dalla
funzione di contenimento della smottamento di terreno e da
una struttura costituita da materiale organico.
Nella specie, la relazione dell’amministrazione ha
evidenziato che, per estensione, tipologia e funzione, il
muro realizzato non rispetta le caratteristiche imposte
dalla normativa edilizia di riferimento, particolarmente
rigorosa anche in considerazione della zona agricola e
vincolata paesaggisticamente in cui l’intervento è inserito.
2.2. Da queste premesse deriva che le opere realizzate hanno
determinato una palese violazione delle norme urbanistiche,
rispetto a cui l’evocata disparità di trattamento non può
trovare ingresso, poiché l’irrogazione della misura
ripristinatoria rappresenta un’attività doverosa e
vincolata.
Il Comune di Napoli, dunque, non poteva legittimamente
concedere la richiesta sanatoria, comportando l’accertamento
di conformità, a norma dell’art. 36 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, la verifica della conformità dell’opera
eseguita alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dell’abuso sia al momento
della presentazione della domanda, verifica che evidenziava,
di contro, il contrasto con le citate norme di attuazione.
Il primo motivo è dunque da disattendere (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 02.01.2018 n. 20 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini,
il Collegio ritiene che tale intervento non
necessitasse di titolo autorizzatorio in quanto è stata realizzata senza interventi
in muratura e non costituisce espressione dello jus
aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios
che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione
giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della
recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in
presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di
materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la
distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus
excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto.
Nella fattispecie la sbarra in questione si
presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio
dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un
titolo edilizio a proprio fondamento.
---------------
1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato,
è impugnata l'ordinanza n. 6 del 18.02.2016 con la quale il
Comune di Alcamo ha ordinato la rimozione delle seguenti
opere, eseguite alla data del 06.03.2015, perché
realizzate senza l’autorizzazione di cui all’ art. 5 della l.r. 37/1985:
1. stradella ricoperta di materiale inerte di collegamento,
attraverso la spiaggia (arenile demaniale) tra la strada
comunale e il fabbricato insistente sul terreno in catasto
al fg. 1, p.lle 381 e 3 (in parte);
2. spiazzo antistante il predetto fabbricato, sulla spiaggia
(arenile demaniale);
3. barra di legno (longitudinale posta su due pilastrini)
che ostruisce l’accesso pedonale alla stradella di cui al
punto 1.
Trattasi di opere insistenti sull’aerea demaniale marittima
di mq 248 concessa con atto n. 520 del 16.12.2004, per mq 65
(spazio antistante in fabbricato) in uso esclusivo e per i
restanti mq 183 in uso non esclusivo.
Nella motivazione dell’atto è spiegato che:
- nella suddetta concessione demaniale non è previsto il
collocamento della sbarra di legno;
- ai sensi dell’art. 23 del R.E. per le opere realizzate era
necessario il titolo abilitativo;
- l’area di che trattasi ricade in Z.T.O. Fp6 nella quale
l’edilizia libera può concernere la realizzazione di strada
poderali con caratteristiche di ruralità, di cui sarebbe
priva l’opera in questione;
- la concessione demaniale n. 520 del 16.12.2004, all’art. 2,
obbligava il concessionario a richiedere al Comune il titolo
edilizio prima dell’inizio dei lavori.
Il sig. Si.Pi., in qualità di comproprietario, ne
chiede l’annullamento previa sospensione cautelare,
deducendone l’illegittimità per i motivi di violazione degli artt. 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale n. 37/1985, degli artt. 31, 34 e 37 del D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 23 del
regolamento edilizio, nonché per eccesso di potere e difetto
di motivazione, in quanto sia la stradella sia lo spiazzo
esisterebbero almeno dal 1968, come accertato in fatto dal
Tribunale di Trapani con la sentenza n. 47/2014 (relativa a
controversia tra proprietari, in cui il ricorrente era
parte) e di cui l’A.R.T.A. ha preso atto con la nota n. 44856
del 02.10.2014.
Le opere eseguite, quindi, sarebbero di mera manutenzione e
come tali rientranti nella tipologia dell’edilizia libera di
cui all’art. 6 della l.r. 37/1985 che, invero, riguarderebbe
anche le strade poderali e non solo quelle rurali; parimenti
non rileverebbe il fatto che le opere ricadono in zona Fp6
poiché l’area ricade nel demanio marittimo; non troverebbe
applicazione l’art. 23 del regolamento edilizio che
disciplina la costruzione di strade interpoderali
assoggettandola ad autorizzazione, poiché quella oggetto di
lite servirebbe soltanto l’abitazione del ricorrente.
Quanto alla sbarra in legno, si sostiene che la sua
collocazione –comunque da ricondurre alla fattispecie
dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985-
sarebbe stata autorizzata dall’A.R.T.A. con la concessione
demaniale marittima n. 520/2014 oltre che imposta dallo
stesso assessorato con la nota n. 23634/2014 (1° motivo).
Trattandosi di opere soggette a autorizzazione l’unica
sanzione applicabile sarebbe quella pecuniaria e comunque la
demolizione non sarebbe attuabile per la stradella,
esistente ab immemorabile (2° motivo).
Lamenta anche la violazione delle norme sulla partecipazione
procedimentale di cui alla legge 241 del 1990 a causa
dell’omessa valutazione delle controdeduzioni presentate e
il difetto di istruttoria e di motivazione (3° motivo).
Con l’ordinanza collegiale n. 759 del 04.07.2016, è stata
accolta la domanda di sospensione cautelare dell'esecuzione
del provvedimento impugnato.
Il Comune di Alcamo si è costituito in giudizio con memoria,
il 10.05.2017, controdeducendo che ai sensi dell’art. 74
(“Fp6 zona delle dune e della spiaggia”) delle N.T.A.
del P.R.G. –che espressamente disciplina sia le aree
private, sia le aere demaniali- nella zona Fp6 non sono
ammesse opere stabili come la sbarra sorretta da pilastrini,
né la copertura di un sentiero naturale in terra battuta con
misto granulometrico calcareo in quanto “nella zona Fp6 sono
consentiti soltanto interventi con applicazione di tecniche
naturalistiche volti a ristabilire l’equilibrio delle dune e
dello specifico habitat dunale.
Nella spiaggia lungo il litorale sono ammesse solo attività
per la diretta fruizione del mare che non comportino
installazioni o impianti stabili, al fine di garantire
l’azione eolica di ripascimento delle dune.
Nelle aeree di proprietà privata ricadenti in zona Fp6 sono
ammesse destinazioni d’uso relative a giardini e verde
privato, purché compatibili con le finalità e gli interventi
della zona Fp6”.
...
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini,
il Collegio, invece, ritiene che tale intervento non
necessitasse di titolo autorizzatorio –prescindendosi in
questa sede dagli aspetti connessi alle limitazioni
all’accesso alla spiaggia da parte del pubblico discendenti
dalla concessione demaniale marittima che non sono oggetto
del giudizio- in quanto è stata realizzata senza interventi
in muratura e non costituisce espressione dello jus
aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios
che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione
giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della
recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in
presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di
materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la
distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello
jus
excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Lombardia,
Milano, II, 05/06/2013, n. 1460; Cons. di Stato, Sez. V,
09/04/2013, n. 1922; Cons. St., Sez. V, 23/02/2012, n. 976).
Nella fattispecie la sbarra in questione -così come
descritta nell’atto impugnato, negli atti istruttori ed
evincibile dal materiale fotografico versato in atti- si
presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio
dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un
titolo edilizio a proprio fondamento.
In parte qua, dunque, l’atto impugnato è illegittimo
e va annullato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 28.11.2017 n. 2758 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: Va
qualificata come attività edilizia libera la
realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di
castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m.
1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di
castagno, d'altezza m. 1,10 circa".
L’intervento edilizio contestato è costituito dalla
realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di
castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m.
1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di
castagno, d'altezza m. 1,10 circa".
Dalla relazione del tecnico comunale traspare in modo
evidente l'urgente necessità di tale opera, allorché si
legge che essa "insiste in una scarpata naturale" ed è "a
contenimento di terreno vegetale del retrostante terrapieno
di una piccola area del fondo agricolo coperta da
vegetazione spontanea ad inclinazione notevole".
È evidente, pertanto, che l’intervento in questione non può
essere qualificato come intervento di nuova costruzione, non
rientrando in nessuna delle definizioni di cui all’art. 3,
comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001; né può essere
qualificato come un intervento di cd. “ristrutturazione
pesante” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), non potendo
essere qualificato come un intervento rivolto “a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di
opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la
modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Tale intervento, piuttosto, va qualificato come un
intervento di pratica agro-silvo-pastorale, di cui all’art.
6, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001: la
staccionata, oltre a non comportare una trasformazione
irreversibile del territorio, è palesemente funzionale al
contenimento del terreno. Dunque, va qualificata come
un’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1
(allora vigente) del d.P.R. n. 380/2001.
---------------
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 5571 dell’anno 2016, la parte
ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe. A
sostegno delle sue doglianze, premetteva:
- di essere proprietario di un compendio immobiliare ubicato in
località Santa Maria della Neve del Comune di Massa Lubrense,
frazione Sant'Agata sui Due Golfi, censito al Foglio della
planimetria catastale del medesimo Comune, particelle n.
1479, n. 1213 ed altre (particelle 404, 406, 403 e 402), a
queste ultime limitrofe, e che si estendono a quota ancora
più bassa, degradando a terrazzamenti verso il golfo di
Salerno;
- che sulla prima delle due particelle —ubicata nella parte di
monte– sorge l'unità immobiliare con l'abitazione del
proprietario, mentre tutte le rimanenti sono destinate a
fondo agricolo. Essa si sviluppa a valle della via dei
Campi, dalla quale, in corrispondenza del civico n. 49,
parte la stradina privata che -correndo in ripida discesa
pressappoco ortogonalmente alle curve di livello– la
delimita su due lati e dà accesso, oltre che alla stessa, a
diversi altri fondi situati sullo stesso versante;
- che, ad eccezione della zona più prossima all'abitazione, in
particolare occupata dal giardino, e, quindi, costantemente
manutenuta, il fondo agricolo -una volta gestito da un
colono- era rimasto da molti anni praticamente abbandonato,
divenendo col tempo praticamente inaccessibile a causa della
gran quantità di vegetazione cresciuta spontaneamente fino a
ricoprire completamente le scalette di pietra e le rampe di
terreno che collegano a più livelli i diversi terrazzamenti;
- di aver pertanto deciso di provvedere alla pulizia del terreno,
dandone comunicazione al Sindaco di Massa Lubrense con nota
18.07.2014 acquisita in pari data al protocollo comunale;
- che, durante l'esecuzione di tale intervento di pulizia del
terreno, con rimozione di arbusti, rovi, erbacce e potatura
di alberi, veniva alla luce che una parte di terreno
notevolmente acclive, posta immediatamente a monte del
rivolo che funge da confine con una proprietà aliena, era
interessata da uno smottamento, probabilmente causato, oltre
che dal cedimento del muretto di pietrame posto al piede
della scarpata, dalla perdita di coerenza del terreno
medesimo non più trattenuto dalle radici delle piante
selvatiche rimosse: e pertanto si rendeva oltremodo
necessario provvedere urgentemente ad arrestare il fenomeno,
per evitare che la frana invadesse il rivolo e si estendesse
oltre il confine;
- che tale intervento -così come rilevato e descritto dal Tecnico
Comunale nella relazione del 17/11/2015 prot. 25028, redatta
all'esito dell'accertamento in loco eseguito il 16/11/2016-
è costituito dalla realizzazione di una "fitta
staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml
19,50 circa, d'altezza media m.1,50 circa con sovrastante
passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10
circa". Da tale Relazione traspare in modo evidente la
urgente necessità di tale opera, allorché si legge che essa
"insiste in una scarpata naturale" ed è "a contenimento
di terreno vegetale del retrostante terrapieno di una
piccola area del fondo agricolo coperta da vegetazione
spontanea ad inclinazione notevole";
- che, pertanto, si tratta –con tutta evidenza– di attività
puramente manutentiva;
- che, ciò nonostante, il Comune di Massa Lubrense ha dapprima
ordinato la sospensione dei lavori con ordinanza emessa in
data 12/01/2016, allorquando tuttavia l'attività manutentiva
risultata già effettuata (come risulta dalla stessa
relazione del tecnico comunale del 17/11/2015), e per di più
notificata solo in data 08.06.2016 (a distanza di sei mesi,
allorquando l'ordine di sospensione aveva perduto di
efficacia e comunque non aveva più alcuna ragione la sua
stessa notificazione);
- di aver ribadito la natura delle opere effettuate; che, tuttavia,
il Comune adottava gli atti impugnati.
Instava quindi per l’annullamento degli atti impugnati con
vittoria di spese processuali.
L’Amministrazione non si costituiva.
All’udienza camerale del 07.02.2017, con ordinanza n.
201/2017, veniva fissata l’udienza di merito ai sensi
dell’art. 55, comma 10, c.p.a..
All’udienza del 27.06.2017, il ricorso è stato assunto in
decisione.
DIRITTO
La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe
per i seguenti motivi:
1) il provvedimento impugnato è illegittimo perché esso qualifica
l'intervento eseguito dal ricorrente, e costituito da una
staccionata in legno a contenimento di una scarpata
naturale, come opera soggetta al regime edilizio del
permesso di costruire, senza null'altro aggiungere in
proposito ed in palese contrasto con le risultanze delle
operazioni di accertamento eseguite in loco dal Tecnico
Comunale in data 16/11/2015, e riportate nella relazione del
17/11/2015, come già precisato in punto di fatto e nella
perizia tecnica a firma dell'Ing. Di.Ad., ed in modo ancor
più illegittimo ne dispone la rimozione;
2) violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, attesa l’omessa
comunicazione di avvio del procedimento;
3) eccesso di potere per difetto di istruttoria, atteso che
l’Amministrazione ha utilizzato un modulo prestampato senza
alcun effettivo accertamento dello stato dei luoghi.
Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito
precisati.
Risultano infatti fondate la prima e la terza
censura.
Come si evince dalla relazione del Tecnico Comunale del
17/11/2015 prot. 25028, redatta all'esito dell'accertamento
in loco eseguito il 16/11/2016, l’intervento edilizio
contestato è costituito dalla realizzazione di una "fitta
staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml
19,50 circa, d'altezza media m. 1,50 circa con sovrastante
passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10
circa". Da tale Relazione traspare in modo evidente la
urgente necessità di tale opera, allorché si legge che essa
"insiste in una scarpata naturale" ed è "a
contenimento di terreno vegetale del retrostante terrapieno
di una piccola area del fondo agricolo coperta da
vegetazione spontanea ad inclinazione notevole".
È evidente, pertanto, che l’intervento in questione non può
essere qualificato come intervento di nuova costruzione, non
rientrando in nessuna delle definizioni di cui all’art. 3,
comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001; né può essere
qualificato come un intervento di cd. “ristrutturazione
pesante” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), non
potendo essere qualificato come un intervento rivolto “a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Tale intervento, piuttosto, va qualificato come un
intervento di pratica agro-silvo-pastorale, di cui all’art.
6, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001: la
staccionata, oltre a non comportare una trasformazione
irreversibile del territorio, è palesemente funzionale al
contenimento del terreno. Dunque, va qualificata come
un’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1
(allora vigente) del d.P.R. n. 380/2001.
Appare fondata anche la terza censura. Nell’ordinanza
di demolizione, infatti, non è riportata neanche la
descrizione dell’abuso contestato; ciò che rende verosimile
la sussistenza del vizio di eccesso di potere per difetto di
istruttoria.
D’altronde, l’intervento contestato è molto diverso dagli
abusi edilizi per i quali è prevista la sanzione della
demolizione; ed anche tale assunto rende ragionevole la
sussistenza del censurato difetto di istruttoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 13.07.2017 n. 3749 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di una sbarra metallica a
delimitazione della proprietà privata è intervento che, “per
la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di <<manutenzione
ordinaria>> per i quali non è richiesto alcun titolo
abilitativo”.
---------------
1. Con atto di ricorso ritualmente notificato e depositato,
il sig. Ev.Pe. ha adito l’intestato Tribunale per chiedere
l’annullamento del provvedimento, meglio in epigrafe
specificato, con il quale gli è stata ordinata al ricorrente
predetto la rimozione di due cartelli di segnalazione di
proprietà privata posti su due alberi e di una sbarra in
ferro installati su strada vicinale privata, in quanto
ritenuti abusivi per mancanza dei necessari titoli
abilitativi.
...
2. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta che
il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per carenza
di motivazione e contraddittorietà dell’istruttoria condotta
dall’amministrazione comunale, in quanto le opere di cui è
stata ordinata la demolizione sarebbero state realizzate
prima del 1954, ossia prima dell’apposizione vincolo
paesaggistico asseritamente violato.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. Dalla documentazione versata in atti e, in particolare,
dalla relazione prodotta dall’Ufficio Servizi Operativi del
Comune resistente (cfr., nota del 28.05.2015, prot. n.
28/2015 U.S.O) -peraltro non citata nelle premesse del
provvedimento impugnato- risulta infatti che la strada in
argomento, “è chiusa con una sbarra da tempo immemorabile”
ed appare “utilizzata esclusivamente ad uso privato”.
2.3. Ciò conduce a ritenere inattendibile l’affermazione
contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui “la
strada era libera da impedimenti al libero transito almeno
dall’inizio degli anni 80”, trattandosi peraltro di
determinazione alla quale l’amministrazione è giunta sulla
scorta “di sommarie informazioni acquisite da tre persone”
(cfr., verbale di polizia municipale in data 11.09.2015),
che sul punto risultano contraddette da dichiarazioni
prodotte da altri soggetti, concludenti, al contrario, per
la presenza della sbarra in contestazione fin “dagli
inizi degli anni 50” (cfr., dichiarazione di cui al doc.
n. 6 di parte ricorrente, acquisita agli atti del Comune di
Assisi in data 03.02.2015).
2.4. Deve pertanto confermarsi, ad avviso del Collegio, la
sussistenza del dedotto vizio di contraddittorietà
dell’istruttoria, risultando invero inequivocabile la
mancata ponderazione di tutte le risultanze probatorie
istruttorie in possesso dell’amministrazione resistente, la
quale ha trascurato di verificare mediante accertamenti
attendibili e non contradditori, in merito all’apposizione
della sbarra in questione nonché dei relativi cartelli di
segnalazione di proprietà privata, dopo l’apposizione del
vincolo paesaggistico del quale è stata contestata la
violazione.
2.5. Occorre peraltro aggiungere che, a prescindere dal
menzionato vincolo paesaggistico, l’installazione di una
sbarra metallica a delimitazione della proprietà privata è
intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve
ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>> per i
quali non è richiesto alcun titolo abilitativo” (cfr.,
ex multis, Cons. St., sez. VI, 20.11.2013, 5513,
idem, sez. VI, 07.08.2015, n. 3898), per il che risulta
parimenti sconfessata, sotto questo ulteriore profilo, la
dedotta assenza dei necessari titoli abilitativi, anche con
riferimento alla asserita sostituzione della sbarra stessa
(TAR Umbria,
sentenza 02.02.2017 n. 120 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In via generale, la posa di una recinzione
–manufatto essenzialmente destinato a delimitare una
determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre,
di custodirla e difenderla da intrusioni– è solo diretta a
far valere lo ius excludendi alios che costituisce il
contenuto tipico del diritto dominicale, e per pacifica
giurisprudenza persino la presenza di un vincolo dello
strumento pianificatorio non può incidere (di per sé)
negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in
qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell’art. 841 del
c.c..
E’ stato osservato che il titolo abilitativo edilizio non è
necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno (senza
muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti il
manufatto rientra appunto tra le manifestazioni del diritto
di proprietà che comprende lo "jus excludendi alios".
Solamente la recinzione che presenti un elevato impatto
urbanistico deve essere preceduta da un titolo abilitativo
del Comune, mentre tale atto non risulta necessario in
presenza di trasformazioni che –per l'utilizzo di materiale
di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento– non comportino un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale: la distinzione tra
esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios
va rintracciata quindi nella verifica concreta delle
caratteristiche del manufatto..
È quindi al tipo di recinzione in concreto che occorre
guardare per stabilire se si tratti dell’uno o dell’altro
tipo di manufatto: un esempio del secondo tipo è la modesta
recinzione di fondo rustico senza opere murarie, con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno; occorre,
invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica.
Nella fattispecie esaminata, il posizionamento di una
semplice rete metallica priva di basamento in calcestruzzo
la rende (potenzialmente) legittima anche in assenza di
titolo abilitativo, per cui si rivela fondato il quarto
motivo di ricorso, con le precisazioni che seguono. In
proposito, il Comune è tenuto ad avviare un approfondimento
istruttorio (coinvolgendo l’autorità preposta alla tutela
del vincolo) per apprezzare in concreto le caratteristiche
della recinzione.
--------------
4. Sotto altro punto vista invece, in via generale, la posa
di una recinzione –manufatto essenzialmente destinato a
delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla
dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni– è
solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che
costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, e
per pacifica giurisprudenza persino la presenza di un
vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di
per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere
in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell’art. 841
del c.c. (TAR Campania Napoli, sez. II – 04/02/2005 n. 803;
TAR Lombardia Milano, sez. II – 11/02/2005 n. 367).
E’
stato osservato che il titolo abilitativo edilizio non è
necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete
metallica sorretta da paletti di ferro o di legno (senza
muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti il
manufatto rientra appunto tra le manifestazioni del diritto
di proprietà che comprende lo "jus excludendi alios" (C.G.A.
Sicilia, sez. consultive – 18/12/2013 n. 1548; TAR
Campania Salerno, sez. II – 11/09/2015 n. 1902; TAR Umbria
– 18/08/2016 n. 571 e la citata giurisprudenza).
4.1 Solamente la recinzione che presenti un elevato impatto
urbanistico deve essere preceduta da un titolo abilitativo
del Comune, mentre tale atto non risulta necessario in
presenza di trasformazioni che –per l'utilizzo di materiale
di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento– non comportino un'apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale: la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello
jus excludendi alios va rintracciata
quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del
manufatto (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 06/02/2015
n. 938, che risulta appellata e che richiama Consiglio di
Stato, sez. V – 09/04/2013 n. 922).
È quindi al tipo di
recinzione in concreto che occorre guardare per stabilire se
si tratti dell’uno o dell’altro tipo di manufatto: un
esempio del secondo tipo è la modesta recinzione di fondo
rustico senza opere murarie, con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno; occorre, invece, la
concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto
di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica
(TAR Toscana, sez. III – 27/02/2015 n. 320, che risulta
appellata).
Nella fattispecie esaminata, il posizionamento di una
semplice rete metallica priva di basamento in calcestruzzo
la rende (potenzialmente) legittima anche in assenza di
titolo abilitativo, per cui si rivela fondato il quarto
motivo di ricorso, con le precisazioni che seguono. In
proposito, il Comune è tenuto ad avviare un approfondimento
istruttorio (coinvolgendo l’autorità preposta alla tutela
del vincolo) per apprezzare in concreto le caratteristiche
della recinzione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 26.04.2017 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Muro di contenimento di terrapieno e distanze dal confine
- Se il dislivello tra terreni è artificiale il muro di
contenimento deve essere considerato una costruzione e
quindi deve rispettare la distanza dal confine di tre metri
(01.11.2016 - link a www.laleggepertutti.it). |
maggio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
può sostenersi che le opere eseguite (da considerare
unitariamente) rientrassero nell’ambito di applicazione
della S.C.I.A., cosicché per esse non sarebbe prevista la
sanzione demolitoria. Si tratta, invece, di opere
necessitanti del previo permesso di costruire, perché
comportano una permanente e significativa trasformazione del
territorio.
Invero, ad avviso della giurisprudenza assolutamente
prevalente, la realizzazione di un muro di recinzione in
muratura necessita del permesso di costruire, non essendo
sufficiente, a tal proposito, la presentazione di una
D.I.A./S.C.I.A..
---------------
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno presentato istanza di
permesso di costruire, che, però, ad oggi non risulta
rilasciato, né al riguardo è ipotizzabile la formazione del
silenzio-assenso, ricadendo l’area oggetto di intervento in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico (v. art. 20, comma
8, del d.P.R. n. 380/2001);
---------------
L’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere,
ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, non ha nulla a che vedere
con la legittimità di queste sotto l’aspetto edilizio,
trattandosi di profili che sono e debbono restare del tutto
distinti.
Pertanto, sono infondate le pretese dei ricorrenti che la
P.A. non desse seguito al procedimento sanzionatorio
edilizio in pendenza del procedimento ex art. 167 cit., e
che l’accoglimento dell’istanza di accertamento della
compatibilità paesaggistica comporterebbe la caducazione
della demolizione irrogata dal Comune per la verificata
mancanza del titolo abilitativo edilizio, e la sua
sostituzione con la sanzione pecuniaria.
---------------
Per giurisprudenza consolidata, l’ordinanza di demolizione
rappresenta un atto dovuto e rigorosamente vincolato, che
può dirsi sorretto da adeguata e sufficiente motivazione,
ove la stessa sia rinvenibile già solo nella compiuta
descrizione delle opere abusive, nella constatazione della
loro esecuzione in mancanza del necessario titolo
abilitativo edilizio e nell’individuazione della norma
applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto
tipico del provvedimento;
Ancora di recente si è precisato che per i provvedimenti di
ingiunzione di demolizione di opere edilizie non è
necessaria una specifica motivazione, in aggiunta alla
descrizione dell’abuso commesso ed alla sua identificazione
oggettiva, la quale dia conto anche della valutazione delle
ragioni di interesse pubblico sottese alla demolizione, o
della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati: ciò non comporta violazione
dell’art. 3 della l. n. 241/1990, atteso che il
provvedimento deve considerarsi sufficientemente motivato
con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera,
essendo in re ipsa l’interesse pubblico attuale e concreto
alla sua rimozione, sicché, ricorrendo tali circostanze, la
P.A. deve senza indugio emettere l’ordine di demolizione per
il solo fatto di aver riscontrato opere abusive.
Questa Sezione, del resto, ha già avuto modo di osservare
che l’interesse pubblico in re ipsa alla rimozione degli
abusi edilizi consiste nel ripristino dell’assetto
urbanistico violato.
----------------
Richiede un ulteriore approfondimento la questione del
rapporto tra procedimento di rilascio del parere di
compatibilità paesaggistica ex art. 167, commi 4 e 5, del
d.lgs. n. 42/2004 e procedimento di conformità edilizia
delle opere eseguite.
Dalla lettura dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, infatti,
si evince che la compatibilità delle opere sotto il profilo
paesaggistico –comportando l’applicazione di una sanzione
pecuniaria– preclude la rimessione in pristino di esse,
prevista per il caso in cui l’autorizzazione paesaggistica
manchi o sia negata, ma, certo, non preclude la demolizione
dei manufatti ex artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001, per
l’abusività degli stessi sotto l’aspetto edilizio.
---------------
... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,
dell’ordinanza del Comune di Fondi n. 31 del 09.03.2015,
notificata il 17.03.2015, recante ingiunzione di demolire
le opere abusive ivi descritte, realizzate in loc. Torre
Canneto;
...
1. I sigg.ri Gi.Ma. e Pa.Lu. espongono
di essere proprietari di un fondo rustico in Fondi, loc.
Torre Canneto, ubicato in zona soggetta a vincolo
paesaggistico, e di aver richiesto al Comune di Fondi il
rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di
una recinzione di detto fondo.
1.1. In data 06.08.2013 il Comune rilasciava il nulla
osta paesaggistico per la realizzazione della recinzione con
muretto e rete soprastante su un solo lato (dalla parte di
via L. Cristini), mentre per gli altri confini veniva
autorizzata la messa in opera di paletti e rete metallica.
1.2. Gli esponenti in data 21.03.2014 comunicavano
all’Amministrazione comunale l’inizio di lavori di
manutenzione ordinaria, costituiti dalla sistemazione del
giardino e dalla realizzazione del muro di cinta con
cancello, e di seguito davano corso ai lavori.
1.3. In particolare, procedevano a realizzare la recinzione
con cordolo in muratura per tutti i lati del lotto, nonché
ad appoggiare sul terreno piastre precompresse da giardino
(senza stabilità alcuna) ed a porre cancelli di entrata.
1.4. Con ordinanza n. 71 del 31.03.2014 la P.A.
ingiungeva l’immediata sospensione dei lavori, cui faceva
poi seguito l’ordinanza n. 31 del 09.03.2015, recante
ingiunzione di demolizione delle opere eseguite (recinzione
in muratura e paletti di ferro del terreno; al suo interno,
pavimentazione in marmette prefabbricate di circa mq. 130,
delimitata con cigli; due tratti di delimitazione dell’area,
con all’interno parziale posa di brecciame), in quanto
abusive.
...
3.3. Va premesso che, come già osservato in sede cautelare, è
indiscutibile la difformità delle opere eseguite rispetto ai
titoli vantati dai ricorrenti: questi, infatti, da un lato
hanno presentato istanza di permesso di costruire in data 10.01.2013, ma ad oggi siffatto permesso non risulta
rilasciato e, nonostante ciò, le opere sono state ugualmente
realizzate.
Dall’altro, hanno ottenuto dal Comune di Fondi
l’autorizzazione paesaggistica n. 365 del 06.08.2013, che
però riguarda la realizzazione di un cordolo e del muro di
recinzione solo dal lato di via L. Cristini, mentre per gli
altri confini della proprietà consente soltanto la messa in
opera di paletti e rete.
In terzo luogo, hanno presentato il
21.03.2014 comunicazione di inizio lavori di
“manutenzione ordinaria”, ma è evidente che i lavori
effettivamente eseguiti –per come descritti nella stessa
comunicazione (riparazione della corte nel giardino;
sostituzione del mattonato appoggiato senza malta
cementizia, né leganti; realizzazione di muro di cinta con
cancello)– esorbitano dalla manutenzione ordinaria.
3.4. Ciò premesso, le doglianze dedotte dai ricorrenti si
rivelano destituite di fondamento giuridico, per le seguenti
ragioni:
- non può sostenersi che le opere eseguite (da considerare
unitariamente) rientrassero nell’ambito di applicazione
della S.C.I.A., cosicché per esse non sarebbe prevista la
sanzione demolitoria. Si tratta, invece, di opere
necessitanti del previo permesso di costruire, perché
comportano una permanente e significativa trasformazione del
territorio;
- ed invero, ad avviso della giurisprudenza assolutamente
prevalente, la realizzazione di un muro di recinzione in
muratura necessita del permesso di costruire, non essendo
sufficiente, a tal proposito, la presentazione di una
D.I.A./S.C.I.A. (cfr., ex multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 25.09.2013, n. 2017; TAR Campania, Napoli,
Sez. IV, 03.04.2012, n. 1542; TAR Lazio, Roma, Sez. II,
11.09.2009, n. 8644);
- nel caso di specie, come detto, i ricorrenti hanno
presentato istanza di permesso di costruire, che, però, ad
oggi non risulta rilasciato, né al riguardo è ipotizzabile
la formazione del silenzio-assenso, ricadendo l’area oggetto
di intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (v.
art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380/2001);
- nessuna censura (di contraddittorietà o altro) può essere
avanzata nei confronti dell’autorizzazione paesaggistica
rilasciata ai ricorrenti dal Comune di Fondi nel 2013, che
“copre” la costruzione della recinzione in cordolo e
muratura soltanto dal lato di via L. Cristini, non avendo
detta autorizzazione formato oggetto di impugnativa da parte
dei ricorrenti;
- l’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere,
ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, non ha nulla a che vedere
con la legittimità di queste sotto l’aspetto edilizio,
trattandosi di profili che sono e debbono restare del tutto
distinti. Pertanto, sono infondate le pretese dei ricorrenti
che la P.A. non desse seguito al procedimento sanzionatorio
edilizio in pendenza del procedimento ex art. 167 cit., e
che l’accoglimento dell’istanza di accertamento della
compatibilità paesaggistica comporterebbe la caducazione
della demolizione irrogata dal Comune per la verificata
mancanza del titolo abilitativo edilizio, e la sua
sostituzione con la sanzione pecuniaria;
- per giurisprudenza consolidata (cfr., ex plurimis, TAR
Lazio, Latina, Sez. I, 22.12.2014, n. 1100; TAR
Puglia, Bari, Sez. III, 06.06.2013, n. 956; TAR
Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.09.2010, n. 17302),
l’ordinanza di demolizione rappresenta un atto dovuto e
rigorosamente vincolato, che può dirsi sorretto da adeguata
e sufficiente motivazione, ove la stessa sia rinvenibile già
solo nella compiuta descrizione delle opere abusive, nella
constatazione della loro esecuzione in mancanza del
necessario titolo abilitativo edilizio e nell’individuazione
della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal
contenuto tipico del provvedimento;
- ancora di recente si è precisato (C.d.S., Sez. V, 11.07.2014, n. 3568) che per i provvedimenti di ingiunzione
di demolizione di opere edilizie non è necessaria una
specifica motivazione, in aggiunta alla descrizione
dell’abuso commesso ed alla sua identificazione oggettiva,
la quale dia conto anche della valutazione delle ragioni di
interesse pubblico sottese alla demolizione, o della
comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati: ciò non comporta violazione
dell’art. 3 della l. n. 241/1990, atteso che il
provvedimento deve considerarsi sufficientemente motivato
con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera,
essendo in re ipsa l’interesse pubblico attuale e concreto
alla sua rimozione, sicché, ricorrendo tali circostanze, la
P.A. deve senza indugio emettere l’ordine di demolizione per
il solo fatto di aver riscontrato opere abusive.
Questa
Sezione, del resto, ha già avuto modo di osservare che
l’interesse pubblico in re ipsa alla rimozione degli abusi
edilizi consiste nel ripristino dell’assetto urbanistico
violato (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Latina, Sez. I,
08.09.2015, n. 603; id., 11.12.2013, n. 963).
4. Richiede un ulteriore approfondimento la questione del
rapporto tra procedimento di rilascio del parere di
compatibilità paesaggistica ex art. 167, commi 4 e 5, del
d.lgs. n. 42/2004 e procedimento di conformità edilizia
delle opere eseguite. Ciò, in ragione del rilascio da parte
della Regione Lazio, con determinazione n. 400597 del 29.01.2016, del parere positivo circa la compatibilità
delle opere stesse sotto il profilo paesaggistico.
4.1. L’assunto del Collegio poc’anzi illustrato –secondo
cui i due procedimenti in questione sono e devono restare
distinti ed autonomi– trova conferma, anzitutto, nel dato
normativo di riferimento e cioè nello stesso art. 167 del
d.lgs. n. 42/2004, nonché, in secondo luogo, nella
determinazione della Regione Lazio del 29.01.2016, ora
citata.
4.2. Dalla lettura dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004,
infatti, si evince che la compatibilità delle opere sotto il
profilo paesaggistico –comportando l’applicazione di una
sanzione pecuniaria– preclude la rimessione in pristino di
esse, prevista per il caso in cui l’autorizzazione
paesaggistica manchi o sia negata, ma, certo, non preclude
la demolizione dei manufatti ex artt. 27 e 31 del d.P.R. n.
380/2001, per l’abusività degli stessi sotto l’aspetto
edilizio.
In questo senso è, poi, decisiva la determinazione
della Regione Lazio n. 400597 del 29.01.2016, la quale,
nell’accertare la compatibilità dal lato paesaggistico delle
opere, al par. 2 del dispositivo recita: “la presente
determinazione è rilasciata ai soli fini paesaggistici. Il
Comune dovrà accertare, nella propria competenza,
l’ammissibilità o meno del progetto in ordine alle vigenti
norme urbanistiche ed edilizie e a vincoli di altra natura,
nonché alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali
e sovra comunali”.
4.3. Alla luce di quanto appena visto, non può perciò
ammettersi una ricaduta del parere favorevole della Regione
(e di quello altrettanto favorevole emesso dalla
Soprintendenza) sulla qualificazione dell’intervento sotto
l’aspetto edilizio: qualificazione che resta rimessa in via
esclusiva alla sfera di attribuzioni del Comune e che, nel
caso di specie, appare corretta e condivisibile, visto che
le opere eseguite non possono certo ritenersi dei semplici
lavori di manutenzione ordinaria rispetto a quanto
autorizzato nel 2013.
Dal punto di vista edilizio, appare
evidente l’abuso commesso dai ricorrenti, i quali hanno
eseguito opere che incidono sull’assetto del territorio,
senza alcun titolo edilizio ed anzi in contrasto con
l’autorizzazione del 2013: il richiamo, nell’ordinanza
impugnata, alla possibilità di chiedere una sanatoria
(evidentemente riferito alla sanatoria ex art. 36 del d.P.R.
n. 380/2001), lungi dal denotare un’ulteriore incongruità
del provvedimento, come lamentato dai ricorrenti, è invece
del tutto coerente con la normativa di settore, poiché
l’ottenimento della sanatoria edilizia ex art. 36 cit.
precluderebbe i successivi sviluppi del procedimento
sanzionatorio, ed in particolare l’acquisizione gratuita.
5. In definitiva, pertanto, il ricorso è nel suo complesso
infondato e da respingere (TAR Lazio-Latina,
sentenza 18.05.2016 n. 317 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro a sostegno di un terrapieno non
costituisce costruzione in senso stretto (rilevante, ai fini
del rispetto delle distanze rispetto al confine), solo
nell’ipotesi in cui sia di modeste dimensioni e abbia
l’esclusiva funzione di evitare frane e smottamenti, non
anche altre funzioni come la realizzazione di una terrazza.
---------------
Con istanza del 22.01.2008 i ricorrenti avevano chiesto al
Comune di Trinità D’Agultu e Vignola l’accertamento di
conformità di alcune opere realizzate senza titolo sul lotto
n. 40, di loro proprietà, ubicato nella lottizzazione Costa
Paradiso; in particolare avevano chiesto la sanatoria di un
muro di contenimento alto mt. 1 per contenere il naturale
declivio del terreno del lotto e di un altro muro di
contenimento realizzato per contenere il materiale
utilizzato per il prolungamento della terrazza antistante
l’abitazione.
Con il provvedimento impugnato, n. 4503 dell'08.05.2008, il
responsabile del settore edilizia privata del Comune ha
respinto la domanda per mancato rispetto delle distanze
minime dal confine previste dalle N.T.A. del piano di
lottizzazione, in relazione ai muri di contenimento
realizzati, tra cui quello relativo al terrapieno sul quale
è stata realizzata la terrazza.
...
Con il terzo motivo si sostiene che l’obbligo di
rispetto delle distanze dal confine, vale soltanto per le
opere che sviluppano volume, mentre la terrazza realizzata
non creerebbe alcun volume.
La censura è infondata.
Come esattamente osservato dalla difesa del Comune,
il muro a sostegno di un terrapieno non è
costruzione nella sola ipotesi in cui sia di modeste
dimensioni ed abbia l’esclusiva funzione di evitare frane e
smottamenti. Nel
caso di specie il muro di contenimento ha un’altezza
superiore a due metri ed è stato realizzato per creare una
terrazza da parte dei ricorrenti.
I muri di contenimento del terreno di
appena un metro, quindi di modeste dimensioni, non rientrano
nel concetto di costruzioni,
cosicché per essi non vale la regola contenuta nelle N.T.A.
del piano di lottizzazione, sul rispetto della distanza di 4
metri dal confine.
Pertanto, in relazione ai muri di altezza fino a metri 1,
realizzati per contenere il naturale declivio del terreno,
il ricorso deve essere accolto
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 05.05.2016 n. 401 - link a
www.giustizia-amministrativa.it)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio considera che il detto muretto si
caratterizzi come vero e proprio muro di cinta in
quanto posto sul confine ed avente una evidente funzione di
separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà (tale
qualificazione fa venir meno –per quanto mai possa in questa
sede rilevarsi e considerarsi, e ferme comunque le autonome
valutazioni del giudice civile, competente a quei fini- la
questione dell’obbligo di rispettare le distanze legali ai
sensi del combinato disposto degli artt. 873 e 878 Cod.
civ.).
---------------
In ordine alla verifica di quale titolo edilizio fosse
richiesto per la realizzazione va precisato che il Testo
unico dell’edilizia (approvato con d.P.R. 06.06.2001, n.
380) non contiene indicazioni dirimenti: non vi è detto se
il muro di cinta necessiti del permesso di costruire
in quanto intervento di nuova costruzione (ai sensi degli
articoli 3, comma 1, lettera e), e 10 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di inizio di
attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380
del 2001 (in seguito: segnalazione certificata di inizio di
attività, ai sensi dell' articolo 19 della legge 07.08.1990,
n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell'articolo
49 d.l. 31.05.2010, n. 78, come convertito con modificazioni
dalla l. 30.07.2010, n. 122).
L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, dal
quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso
che più che all’astratto genus o tipologia di intervento
edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali
a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far
riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò
strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che
si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova
costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo
rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte
abbia l'effettiva idoneità di determinare significative
trasformazioni urbanistiche e edilizie.
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo
dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che
prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per
qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre
simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti
corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime
della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22
e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di
inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n.
241 del 1990.
Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel
caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n.
3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario
il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di
cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del
fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel singolo
intervento aveva determinato un'incidenza sull'assetto
complessivo del territorio di entità ed impatto tali da
produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica o
edilizia.
Era quella una motivazione puntuale, adattata al caso di
specie, confermativa dell’approccio sostanzialista (e non
nominalistico) che attribuisce in ogni caso rilievo alla
consistenza quali-quantitativa del concreto intervento
edilizio sul territorio.
Ciò detto, deve essere conseguentemente qui puntualmente
confermato l'orientamento secondo cui, in linea generale, la
realizzazione di recinzioni, muri di cinta e
cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a.
(in seguito: s.c.i.a.) ove dette opere non superino in
concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia,
occorrendo -invece- il permesso di costruire, ove detti
interventi superino tale soglia.
---------------
Il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a
semplice d.i.a. (ora s.c.i.a.), non era passibile di
ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte
a d.i.a. la sanzione applicabile è unicamente la sanzione
pecuniaria (cfr. art. 37 T.U. cit., che fa salve le ipotesi
degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona
tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico).
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1.- Ba.Lo., in proprio e quale titolare della ditta Lo.,
impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna, sezione di Parma, 15.01.2015 n. 7 che
ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso il
provvedimento 16.01.2014 n. 398 dell’Unione Bassa Est
Parmense, recante l’ordine di demolizione di opere edilizie
(sostanzialmente, di un muretto divisorio in cemento armato)
realizzate sine titulo lungo il confine nord del
lotto posto all’interno del piano particolareggiato per
insediamenti produttivi denominato “Parma Nord” a
confine con la proprietà Ca..
L’appellante insiste anche in questo grado nell’assumere la
legittimità dell’intervento edilizio, come semplice muretto
di recinzione a supporto della rete metallica posta a
divisione dei lotti, legittimato dal permesso di costruire
n. 17 del 20.06.2003 rilasciato per la realizzazione del
capannone e dalla delibera del Comune di Mezzano 27.06.2002,
n. 27 recante l’approvazione delle opere dell’intero
comparto a destinazione artigianale-industriale.
Conclude l’appellante per l’accoglimento, con l’appello, del
ricorso di primo grado e per l’annullamento dell’atto in
quella sede gravato, in riforma della impugnata sentenza.
Si è costituita in giudizio l’Unione Bassa Est Parmense per
resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno scambiato memorie illustrative e memorie di
replica in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 01.12.2015 la causa è stata
trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3.- L’ordine di demolizione impugnato in primo grado
riguarda un muretto in cemento armato posto sul lato nord
del lotto in titolarità dell’odierna società appellante, a
confine con proprietà Ca..
La demolizione è stata disposta dall’odierna amministrazione
appellata sull’assunto che quel muro sia stato realizzato
dagli originari titolari del lotto (M.. L. & F. s.p.a.)
senza la previa acquisizione del permesso di costruire.
Gli argomenti qui controversi riguardano:
a) la natura giuridica del muro, se in particolare si tratti
di muro di cinta ovvero di muro di contenimento del terreno
(in quella parte ad andamento declive) e, in quest’ultima
ipotesi, se superi o non superi in altezza il piano di
campagna;
b) le connesse questioni inerenti il tipo di titolo
legittimante l’intervento e la corretta sanzione da
applicare, ove fosse mai stata necessaria la previa
acquisizione di un titolo. In sostanza, se la sanzione reale
della riduzione in pristino impugnata con il ricorso di
primo grado sia sanzione appropriata in relazione al profilo
di pretesa abusività contestato.
Il giudice di primo grado è pervenuto all’adozione della
gravata sentenza reiettiva ritenendo che il muro divisorio
non potesse qualificarsi come muro di solo contenimento del
terreno: e tanto vuoi perché il riempimento della scarpata
sarebbe ascrivibile ad opera dell’uomo (e quindi non si
tratterebbe di un terrapieno “naturale”), vuoi perché
il muro risulterebbe eretto ad una quota, al colmo,
senz’altro superiore al piano di campagna. Di qui la
ritenuta congruità della sanzione demolitoria dell’opera,
qualificata come nuova costruzione e come tale priva di
titolo edilizio in quanto mai assentita con permesso di
costruire.
4.- Il Collegio ritiene che tali conclusioni non siano da
condividere e che non resistano alle censure dedotte dalla
appellante.
In particolare, il Collegio considera che il detto muretto
si caratterizzi come vero e proprio muro di cinta (come del
resto accertato dalla relazione di consulenza tecnica nel
giudizio civile dinanzi al Tribunale di Parma promosso dal
confinante Ca. nei confronti dell’odierno appellante) in
quanto posto sul confine ed avente una evidente funzione di
separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà (tale
qualificazione fa venir meno –per quanto mai possa in questa
sede rilevarsi e considerarsi, e ferme comunque le autonome
valutazioni del giudice civile, competente a quei fini- la
questione dell’obbligo di rispettare le distanze legali ai
sensi del combinato disposto degli artt. 873 e 878 Cod.
civ.).
Si può prescindere, sulla base delle considerazioni in
diritto che si svolgeranno più avanti, dall’approfondire qui
la questione in fatto se detto muro sia svolga anche la
funzione pratica di muro di contenimento di un terreno
naturalmente in declivio (assunto che varrebbe, secondo la
prospettazione, ad escludere la rilevanza della previa
acquisizione di un titolo legittimante la sua erezione).
Ciò posto in termini di qualificazione giuridica, il
Collegio ritiene che prima di affrontare la questione della
legittimità dell’ordinanza di demolizione vada
preliminarmente verificato quale titolo edilizio fosse
richiesto per la realizzazione.
Il Testo unico dell’edilizia (approvato con d.P.R.
06.06.2001, n. 380) non contiene indicazioni dirimenti: non
vi è detto se il muro di cinta necessiti del permesso di
costruire in quanto intervento di nuova costruzione (ai
sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e), e 10 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di
inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo
d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata
di inizio di attività, ai sensi dell'articolo 19 della legge
07.08.1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis
dell' articolo 49 d.l. 31.05.2010, n. 78, come convertito
con modificazioni dalla l. 30.07.2010, n. 122).
5.- L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato,
dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel
senso che più che all’astratto genus o tipologia di
intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere
funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi)
occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere
a ciò strumentali generano sul territorio: con la
conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio
quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del
previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante
volte abbia l'effettiva idoneità di determinare
significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es.
Cons. Stato, VI, 04.07.2014 n. 3408).
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo
dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che
prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato
per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre
simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo
e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della
denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in
seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio
di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del
1990 (in tal senso: Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2621).
Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel
caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n.
3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario
il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di
cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del
fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel
singolo intervento aveva determinato un'incidenza
sull'assetto complessivo del territorio di entità ed impatto
tali da produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica
o edilizia.
Era quella una motivazione puntuale, adattata al caso di
specie, confermativa dell’approccio sostanzialista (e non
nominalistico) che attribuisce in ogni caso rilievo alla
consistenza quali-quantitativa del concreto intervento
edilizio sul territorio.
Ciò detto, deve essere conseguentemente qui puntualmente
confermato l'orientamento secondo cui, in linea generale, la
realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate
rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito:
s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia
della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo
-invece- il permesso di costruire, ove detti interventi
superino tale soglia.
6.- Venendo al caso che ne occupa, si deve anzitutto
rilevare che il muro divisorio di che trattasi risulta di
altezza tanto modesta da essere visivamente percepito solo
dal lato della proprietà Ca., essendo dall’altra parte
completamente neutralizzato, sul piano dell’impatto visivo,
dal terrapieno che copre il muro per quasi tutta la sua
altezza.
Per conseguenza, l'impatto sortito dal manufatto in parola
sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza
sole che si consideri che -come emerge dal materiale
fotografico acquisito- lo stesso manufatto supera di poco
(al di là della sua maggiore o minore percezione visiva a
seconda del versante prospettico) il piano di campagna; e
che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di
proprietà è in concreto assicurata da una rete metallica
infissa sul predetto muro (sulla legittimità del titolo alla
apposizione della rete metallica non si è fatta qui
questione, l’ordine di abbattimento avendo riguardato il
solo muro portante).
Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non rappresenta
un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio: tanto più se si
considera che il giudizio è necessariamente relazionale
rispetto al concreto contesto e che, nella specie, queste
opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione
complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto
comparto a destinazione artigianale-industriale.
La rilevanza di cui si verte, ai fini della rammentata
capacità trasformativa, va invero considerata in modo
proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla
consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla
condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un
manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può
risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non
risultarlo altrove. E non vi è dubbio che un contesto come
quello di un comparto a destinazione artigianale-
industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la
medesima opera in un contesto abitativo.
Da quanto sopra consegue che il muro divisorio di che
trattasi, in quanto assoggettato a semplice d.i.a. (ora
s.c.i.a.), non era passibile di ordinanza di demolizione,
atteso che per le opere sottoposte a d.i.a. la sanzione
applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art.
37 T.U. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti,
degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona
tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico).
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto e,
in riforma della impugnata sentenza, va accolto il ricorso
di primo grado, con conseguenziale annullamento degli atti
in quella sede gravati
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.01.2016 n. 10 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
LA RECINZIONE DI UN FONDO RUSTICO NON RICHIEDE IL P.D.C.
SOLO QUANDO VENGA ATTUATA CON OPERE NON PERMANENTI.
In tema di reati edilizi, la recinzione
di un fondo rustico non necessita del permesso di costruire
solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non
permanenti, mentre il provvedimento abilitativo è sempre
richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente
edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
La S.C. si sofferma, con la sentenza in esame, sulla
questione della possibilità di eseguire l’intervento di
recinzione di un fondo rustico senza necessità di richiedere
preventivamente il permesso di costruire.
La vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte
per affrontare la questione segue alla sentenza di condanna
pronunciata nei confronti dell’imputato per aver recintato
il fondo agricolo di circa mq. 2.000 costruendovi
abusivamente un muro di cinta alto circa mt. 2,75. Contro la
sentenza, proponeva ricorso per Cassazione l’imputato,
dolendosi per il fatto che, come confermato dal responsabile
dell’ufficio tecnico comunale, il Comune non aveva mai
richiesto per tale tipo di opere il permesso di costruire,
sicché, ad avviso della difesa, era stato illegittimamente
disapplicato dal giudice il provvedimento autorizzativo così
ottenuto.
La Corte, nel respingere il ricorso, ha affermato il
principio di cui in massima, confermando la sentenza di
condanna ed escludendo che si potesse trattare di intervento
edilizio non subordinato a permesso di costruire. In
particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che la
realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo
rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto
riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto
urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli
“interventi di nuova costruzione” di cui al d.P.R. n.
380 del 2001, art. 3, lett. e) (Cass. pen., Sez. III,
11.11.2014, n. 52040, in CED, n. 261521).
In particolare, nel valutare la realizzazione di un muro di
recinzione in cemento armato di dimensioni ben più modeste
di quello che ci occupa, si è affermata la necessità della
concessione edilizia (oggi permesso per costruire) di fronte
all’erezione al confine di un fondo rustico di un muro in
cemento armato, o comunque in mattoni e malta cementizia,
anche alto fuori terra solo ottanta centimetri,
affermandosi, invece, che la concessione non è necessaria se
la recinzione è realizzata con opere non permanenti, quali
ad esempio semplici paletti conficcati nel terreno e filo
spinato o un muretto cosiddetto a secco (Cass. pen., Sez.
III, 25.01.1988, n. 5395, in CED, n. 178306) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.12.2015 n. 50447 - Urbanistica e
appalti 3/2016). |
novembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra costruzioni, la Cassazione sui fondi con
dislivelli.
In caso di modifica al piano di campagna, l’altezza del muro
di confine va misurata computandovi il terrapieno creato
artificialmente.
In tema di muri di cinta tra fondi a
dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di
campagna -originariamente livellato sul confine tra due
fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la
realizzazione di un innalzamento del piano di campagna
stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza
massima del muro di cinta che sia stato costruito sul
confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno
creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto
dell'originario posizionamento del terreno prima
dell'innalzamento.
---------------
2. - Con il secondo motivo (erronea applicazione di norme di
legge; erronea e contraddittoria motivazione; erronea
valutazione di un elemento essenziale attinente alle
risultanze istruttorie) ci si duole che la Corte d'appello
abbia ritenuto illegittima l'altezza del muro di recinzione
perché, pur realizzato all'altezza prevista dalla norma
all'epoca in vigore, questa sarebbe stata calcolata rispetto
alla nuova situazione di fatto derivante dalla mutazione del
piano di campagna.
Il motivo si conclude con il quesito "se dall'esecuzione
di opere di livellamento dà fondi limitrofi, con alterazione
degli originari piani di campagna, derivi il conseguente
obbligo di limitare l'altezza dei muri di confini in
relazione al dislivello raggiunto dai fondi a seguito del
mutamento del piano di campagna".
2.1. - Il motivo è infondato.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora
l'andamento altimetrico del piano di campagna
-originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia
stato artificialmente modificato mediante la realizzazione
di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di
verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di
cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va
misurata computandovi il terrapieno creato ex novo
dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario
posizionamento del terreno prima dell'innalzamento (cfr.
Cass., Sez. Il, 24.06.2003, n. 9998; Cass., Sez. Il,
04.06.2010, n. 13628) (Corte di Cassazione, Sez. II, civile,
sentenza 24.11.2015 n. 23934). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno
naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti
della disciplina delle distanze o del regime autorizzativo
delle nuove costruzioni.
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1. Nel presente giudizio è controversa la legittimità degli
atti mediante i quali le competenti amministrazioni
–ciascuna per la parte di proprio intervento– hanno
assentito la realizzazione di un’opera presso il cortile
della proprietà del sig. Vi.Ga., ubicato sulla via ... in
territorio del Comune di Cannobio (VB), in zona vincolata
paesaggisticamente, e consistente nell’apertura di un nuovo
passo carraio e livellamento del terreno (ai fini di
ospitare il parcheggio di autovetture).
A contestare le opere sono i ricorrenti vicini di casa, la
cui proprietà è confinante con quella del sig. Ga., i quali
sostengono trattarsi, in realtà, della realizzazione di un
nuovo terrapieno, con muri di contenimento alti fino a 90
cm., in violazione delle prescrizioni urbanistiche di zona
nonché delle disposizioni di legge in materia di
autorizzazione paesaggistica e di edificazione di nuove
costruzioni.
...
3.2. Quanto alla reale consistenza dell’intervento, deve
osservarsi quanto segue.
Le tavole di progetto depositate in giudizio, nel raffronto
tra ante e post operam (si vd., in
particolare, le tavole allegate all’istanza di
autorizzazione paesaggistica, sub doc. n. 3 del
controinteressato – quelle della comunicazione di inizio
lavori, depositate dai ricorrenti sub doc. 14, sono invece
illeggibili nei valori rilevanti), indicano chiaramente che
la differenza massima in altezza derivante dall’esecuzione
delle opere, rispetto allo stato originario dei luoghi,
tocca i 40 cm.: all’interno del cortile della proprietà
Gallotti, infatti, si indicava come valore originario quello
di “+1075”, nel punto più vicino alla via ..., e di “+1050”,
nel punto immediatamente più a nord; laddove, nel progetto
del post operam, quei valori sono sostituiti,
rispettivamente, da “+1095” e da “+1090”, e dunque con
un’altezza maggiore prevista di soli +20 e +40 cm.
In merito i ricorrenti sostengono che quei valori di altezza
sarebbero stati falsamente rappresentati dal progettista,
come sarebbe dimostrato dal “cumulo di terra incolta”
raffigurato nella documentazione fotografica allegata alla
comunicazione di inizio lavori (loro doc. n. 12),
circostanza che –a loro dire– sarebbe sintomatica del fatto
che solo di recente era stata ivi riportata della terra
proprio allo scopo di innalzare artificialmente il suolo e
di falsare, così, le successive risultanze.
Tuttavia i ricorrenti non provano quanto asseriscono;
nessuna certezza può invero desumersi dalla richiamata
documentazione fotografica, né tantomeno dal raffronto di
essa con la foto depositata sub doc. n. 7 (rappresentativa
dello stato dei luoghi prima del denunciato riporto di
terra; fotografia, peraltro, scattata da una distanza
oggettivamente inidonea a rendere chiaramente quanto
sostenuto dai ricorrenti), elementi dai quali non è affatto
desumibile né che l’originaria altezza dei luoghi misurasse
solo +1000 cm. né che ci sia effettivamente stato, nelle
condizioni di tempo denunciate dai ricorrenti, l’apposito “riporto
di terra” volto a modificare artificiosamente lo stato
dei luoghi. Nonostante, pertanto, che la relazione
descrittiva parlasse della realizzazione di un nuovo “terrapieno”,
e nonostante che la documentazione fotografica depositata
dai ricorrenti faccia presumere, a prima vista, un non
trascurabile impatto visivo dell’innalzamento realizzato,
quest’ultimo in realtà –così come emerge dalle
raffigurazioni e dalle misurazioni oggettive indicate nelle
tavole di progetto– non presenta le caratteristiche tipiche
del “nuovo terrapieno”, quali in particolare
ricostruite dalla giurisprudenza amministrativa, e non
rientra pertanto nel concetto di “nuova costruzione”.
In proposito, si deve ricordare che, secondo la costante
giurisprudenza, il muro di contenimento di una scarpata o di
un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione”
agli effetti della disciplina delle distanze o del regime
autorizzativo delle nuove costruzioni (cfr., tra le tante,
TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 2721 del 2013).
Nel caso di specie, il naturale declivio del terreno, già
esistente in precedenza, è stato oggetto solo di un’opera di
livellamento e di minimo innalzamento (si ripete, per la
sola misura di +40 cm., nel punto più alto), con
pavimentazione, realizzazione di appositi muretti di
sostegno e complessiva funzionalizzazione al parcheggio di
autoveicoli, opera che, per tali oggettive caratteristiche,
secondo il Collegio rientra appieno nella definizione di cui
all’art. 6, comma 2, lett. c, del d.P.R. n. 380 del 2001 (“opere
di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per
aree di sosta”), con la conseguenza di rientrare tra le
attività edilizie libere realizzabili con mera comunicazione
di inizio lavori
(TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 12.11.2015 n. 1557 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Tar Campania. Muri cinta. Distanze in libertà.
Muro di cinta o di contenimento? C'è una bella differenza:
il primo rappresenta una mera recinzione e non risulta
soggetto alle distanze minime fra costruzioni, il secondo
serve a contenere il dislivello fra due fondi e dunque
costituisce un'opera vera e propria, assoggettata al regime
di concessione edilizia, con obbligo di demolizione in caso
di inosservanza.
È quanto emerge dalla
sentenza 11.09.2015 n. 1992, che è stata
pubblicata dalla II Sez. del TAR Campania-Salerno.
Tutela del territorio
Non ha buon gioco il proprietario del fondo nel tentativo di
far demolire le opere realizzate dal vicino. È vero:
soltanto il muro di cinta può essere considerato una mera
pertinenza dell'immobile e dunque risultare sottratto al
rispetto delle distanze legali. E ciò perché non altera la
conformazione del terreno ma serve soltanto a delimitare e
proteggere la proprietà privata, con eventuali abbellimenti.
Il muro di contenimento, invece, può ben essere utilizzato
come recinzione ma costituisce comunque un'opera autonoma
perché nasce per evitare danni in caso di frane.
Nella specie, tuttavia, la distinzione non è utile a
dirimere la controversia: anche il muro di contenimento può
sorgere sul confine se il terreno del vicino risulta «inedificato»
e le norme di attuazione del piano urbanistico comunale sono
ispirate al principio della prevenzione per la tutela del
territorio rimandando alle disposizioni del codice civile.
Spese di giudizio compensate per la peculiarità della
questione
(articolo ItaliaOggi del 30.09.2015).
----------------
MASSIMA
2.- Il gravame è, per contro, tempestivo in relazione ai
profili di doglianza attinenti l’autorizzazione alla
variatio del progetto edificatorio, non essendo stata
dimostrata (giusta il consueto canone probatorio, gravante
sulla parte eccipiente) la effettiva risalenza temporale
della relativa e piena percezione della concreta e specifica
lesività delle opere assentite.
Siffatte doglianze si appuntano, in sostanza, sulla
autorizzazione alla realizzazione, in asserita violazione
del regime legale delle distanze, di un muro posto al
confine con la proprietà del ricorrente.
Sul punto, l’intero apparato critico si fonda sul
presupposto –diffusamente argomentato– della distinzione tra
“muro di cinta” o “di recinzione”
(concretante pertinenza dell’unità immobiliare e, come tale,
sottratto, in assenza di autonomia sotto il profilo
costruttivo, al rispetto delle distanze legali) e “muro
di contenimento”.
Nella specie, a dispetto della qualificazione effettuata
dall’interessato, si tratterebbe di un muro della seconda
specie, in quanto finalizzato a contenere un dislivello non
preesistente, ma frutto della contestata iniziativa
edificatoria.
È noto,
invero, giusta il diffuso orientamento giurisprudenziale
in subiecta materia, che per muro di
cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7,
lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, convertito con
modificazioni in l. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per
effetto dell'art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662, devono
intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di
modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno
esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o
eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece
la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di
contenimento”, i quali si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la
funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi
devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea
per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una
concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo
edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in
quanto non esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che
esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza,
conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della
demolizione prevista per il caso di assenza di concessione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 08.04.2014, n. 1651).
Ne discende che, in caso di dislivello
derivante dall'opera dell'uomo, sono da considerare
costruzioni in senso tecnico-giuridico, rientranti
nell'art. 873 c.c., il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento, che lo abbiano prodotto, o che abbiano
accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi; è
pertanto illegittimo il provvedimento di accertamento di
conformità richiesto con d.i.a. a sanatoria in relazione a
lavori oggetto di d.i.a. in variante al permesso di
costruire, ove venga in rilievo un muro di fabbrica -di
altezza superiore a tre metri, e dunque non considerabile
quale muro di cinta ex art. 878 c.c.- recante sostegno di un
terrapieno e posto a una distanza dal confine laterale
inferiore ai mt. 3 prescritta dall'art. 873 c.c.
(in termini, TAR Lazio Latina, sez. I, 05.05.2014, n. 324).
Così posta la questione, la controversia andrebbe, in tesi
astratta, risolta sull’accertamento, in punto di fatto,
della effettiva natura e consistenza del muro oggetto del
contestato provvedimento abilitativo (che parte ricorrente
–assumendo artificialmente mutato il dislivello tra i fondi
finitimi– ritiene, per l’appunto, muro di contenimento).
Tuttavia, osserva il Collegio come il punto, in concreto,
non appaia nella specie decisivo, in quanto, ai sensi
dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione del PUC di
Caposele, per le zone B2, di completamento del tessuto
urbano moderno la distanza dal confine risulta regolata con
espresso richiamo alle disposizioni dettate in materia dal
codice civile, le quali si ispirano e valorizzano il c.d.
principio della prevenzione.
Con il che, in buona sostanza –essendo in concreto
incontestato che il fondo di proprietà del ricorrente è,
allo stato, inedificato– il muro in contestazione,
quand’anche dovesse qualificarsi, per le sua concrete
caratteristiche, nuova costruzione, potrebbe legittimamente
essere collocato, come dal titolo, in contestazione, sulla
linea di confine tra i fondi. |
luglio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della conformità alle distanze legali, non è
considerato come costruzione il muro che, nel caso di
dislivello naturale, oltre a circoscrivere il fondo, adempie
anche alla funzione di supporto e contenimento del declivio
naturale; qualora invece il dislivello sia di origine
artificiale, è da considerarsi quale costruzione in senso
tecnico-giuridico il muro che rivesta in modo permanente e
definitivo anche la funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall’opera dell’uomo.
---------------
Il
ricorrente impugna il parere del Comune di
Fossacesia al SUAP Sangro Aventino, espresso in
merito a istanza di permesso di costruire in
sanatoria riferita a talune opere eseguite
nell’ambito di un capannone artigianale e relative
pertinenze in difformità dai vari titoli edilizi in
precedenza rilasciati, nella parte in cui prescrive
che una di tali opere (sopraelevazione di un muro a
confine con altra proprietà di cui a DIA 4421/1997)
venga ricondotta allo stato di cui alla DIA entro il
termine previsto dall’ingiunzione di demolizione in
precedenza notificata. Ciò in base alla
considerazione che la suddetta sopraelevazione può “configurarsi
come muro di contenimento capace di incidere
sull’osservanza delle distanze”.
...
Considerato che il Comune si è costituito in
giudizio senza controdedurre, il Collegio rileva:
- che è pacifico in atti che il muro in questione ha altezza
inferiore a tre metri, per cui “non è considerato
per il computo della distanza indicata dall’art. 873”
(art. 878 c.c.) e che non sono contestate le
risultanze della relazione tecnica in atti, da cui
si evince che “la sopraelevazione del muro in
questione non ha prodotto alcun incremento del
dislivello preesistente tra i due fondi/aree
attigui, avendo determinato semplicemente un diverso
profilo della scarpata di delimitazione del rilevato
già presente”;
- che è pertanto immotivato, rispetto al principio secondo cui “nel
caso, peraltro, di fondi a dislivello, nei quali
adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno
e contenimento del terrapieno o della scarpata, una
faccia non si presenta di norma come isolata e
l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è
l'altezza del terrapieno o della scarpata; pertanto,
non può essere considerato come costruzione, ai fini
dell'osservanza delle distanze legali il muro che,
nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare
il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e
contenimento del declivio naturale, mentre nel caso
di dislivello di origine artificiale deve essere
considerato costruzione in senso tecnico-giuridico
il muro che assolve in modo permanente e definitivo
anche alla funzione di contenimento di un terrapieno
creato dall'opera dell'uomo” (Cass. 8144/2001),
l’assunto secondo cui il predetto muto è “capace
di incidere sull’osservanza delle distanze”;
- che il predetto rilievo manifesta l’illegittimità della
condizione apposta e ne determina l’annullamento,
con ciò determinando l’assorbimento del secondo
profilo sopra riportato;
- che, in ordine alla domanda di annullamento dell’atto nella parte
in cui viene richiesto il preventivo parere della
Soprintendenza beni archeologici, il Collegio rileva
che l’Amministrazione statale interessata non è
stata evocata in giudizio, il che determina
l’inammissibilità della censura in quanto il suo
esito è in grado di produrre effetti anche
sull’interesse pubblico che fa capo alla predetta
Soprintendenza.
In tali limiti il ricorso va accolto, con
annullamento dell’atto impugnato nei limiti indicati
in motivazione (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.07.2015 n. 296 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di proprietà e confini, non può
essere considerato come costruzione, ai fini
dell’osservanza delle distanze legali il muro che,
nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare
il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e
contenimento di un terrapieno
(Cfr. Cass. civ. 15.06.2001 n. 8144) (TRIBUNALE di
Massa, Sez. civile, sentenza 29.05.2015 n. 606). |
EDILIZIA PRIVATA:
Trattandosi di uso non consentito della cosa comune e non di
violazione di distanze perde rilievo la tematica relativa
alla qualifica di costruzione o meno da dare al così
detto“terrapieno” del convenuto: infatti ciò che rileva in
questa sede è che il comproprietario si è in ogni caso
appropriato di un bene comune e lo ha assoggettato al suo
uso e godimento esclusivo, sottraendolo al pari uso
dell’attrice. Va dunque accolta la domanda di rivendica e
restituzione della parte del mappale illegittimamente
occupata dall’edificio del convenuto e del terzo chiamato,
con condanna degli stessi alla rimessione in pristino dello
stato dei luoghi, mediante rimozione della parte di edificio
di loro proprietà che ricade nella proprietà comune.
Essendo in ogni caso la costruzione dei convenuti a
distanza legale da quella dell’attrice questa non
può lamentare alcun danno tipico da violazione
distanze legali (ad es. minor luce, minor aria,
minor amenità del suo fondo e della sua abitazione)
ma solo il danno eventualmente derivante dall’essere
stato il mappale in parte destinato ad un uso
esclusivo; il che tuttavia non si vede quale danno
in concreto possa aver cagionato all’attrice la
quale ha comunque potuto continuare a godere della
scala che insiste sull’altra parte di esso per
accedere e recedere dalla propria abitazione
(TRIBUNALE
di Genova, Sez. III civile, sentenza 14.05.2015 n. 1501). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
necessaria la preventiva acquisizione del permesso di
costruire per la realizzazione di un muro di recinzione
allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da
modificare, come nel caso di specie sia per dimensioni che
per materiali impiegati (muro alto 1,10 m. con sovrastante
ringhiera in metallo di metri 0,80), l'assetto urbanistico
del territorio, rientrando nel novero degli interventi di
nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e),
d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Per quel che concerne, infine, le opere di cui al punto 3,
il Collegio non può che riaffermare, tenuto conto della
consistenza dell’opere di recinzione (muro alto 1,10 m. con
sovrastante ringhiera in metallo di metri 0,80) la
necessaria preventiva acquisizione del permesso di
costruire, tenuto conto che la realizzazione di un muro di
recinzione necessita del previo rilascio del permesso a
costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e
all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da
modificare, come nel caso di specie sia per dimensioni che
per materiali impiegati, l'assetto urbanistico del
territorio, rientrando nel novero degli interventi di nuova
costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R.
06.06.2001 n. 380
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 12.05.2015 n. 6886 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che soltanto la
realizzazione di una recinzione che presenti un elevato
impatto urbanistico debba essere preceduta da provvedimento
concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che
non risulta necessario solo in presenza di una
trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non
comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica
e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus
aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata
quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del
manufatto.
Sotto questo profilo appare utile rammentare la
decisione di Cons. Stato Sez. V, 26.10.1998, n. 1537,
secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie,
(e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta
da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno),
in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
"jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione,
quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno
in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello
stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la
recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni
permanenti, in quanto produce una significativa
trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere
dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr.
in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di
manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la
realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche
vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli
impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta
comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di
attività di trasformazione del territorio mediante
un’attività antropica tesa alla formazione di un opus
espressione di ius utendi più che di ius aedificandi;
l’elemento ontologico qualificante dell’attività di
manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare,
integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare
diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che
il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né
funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare
origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la
giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen.,
30.09.1988), secondo la quale: “La recinzione di un
fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel
caso in cui la stessa venga attuata con opere non
permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece,
richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente
edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo”.
... per l'annullamento ordinanza prot. n. 510 del 17/02/2014 a
firma del responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Laurino, recante ingiunzione di demolizione/rimozione della
recinzione consistente in 5 paletti in ferro collegati da
tre file di catena metallica, realizzata sulla particella n.
903 del foglio 8 di proprietà del ricorrente; di ogni atto
connesso.
...
5.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento
alla stregua delle considerazioni che seguono.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che soltanto la
realizzazione di una recinzione che presenti un elevato
impatto urbanistico debba essere preceduta da provvedimento
concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che
non risulta necessario solo in presenza di una
trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non
comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica
e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus
aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata
quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del
manufatto.
Sotto questo profilo appare utile rammentare la
decisione di Cons. Stato Sez. V, 26.10.1998, n. 1537,
secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie,
(e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta
da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno),
in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
"jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione,
quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno
in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello
stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la
recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni
permanenti, in quanto produce una significativa
trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere
dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr.
in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di
manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la
realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche
vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli
impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta
comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di
attività di trasformazione del territorio mediante
un’attività antropica tesa alla formazione di un opus
espressione di ius utendi più che di ius aedificandi;
l’elemento ontologico qualificante dell’attività di
manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare,
integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare
diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che
il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né
funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare
origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la
giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen.,
30.09.1988), secondo la quale: “La recinzione di un
fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel
caso in cui la stessa venga attuata con opere non
permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece,
richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente
edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo”
(cfr. in aggiunta Cass. pen., sez. III, 02.10.2010, n.
41518; sez. III, 13.12.2007).
Nella fattispecie, come risulta dall’atto impugnato “siamo
in presenza di una recinzione, senza opere murarie,
costituita da tre file di catena metallica sorrette da 05
paletti in ferro, rientrante nella categoria delle opere
precarie…in zona classificata “B” – completamento dal
vigente Programma di Fabbricazione, che non incide
sull’assetto del territorio e priva di impatto ambientale” e
cioè di un’opera che per l’utilizzo di materiale di scarso
impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non
comporta un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e
funzionale.
Da qui l’accoglimento della prima censura, nonché della
seconda censura, a mente delle cui indicazioni la modesta
recinzione in questione, siccome caratterizzata dalla
finalità di azionare lo ius excludendi omnes alios e non
anche lo ius aedificandi, non poteva essere sanzionata con
l’ingiunzione di demolizione, bensì con una sanzione
pecuniaria ex art. 37 dpr n. 380/2001.
Può concludersi per l’accoglimento del ricorso, previa
reiezione della terza ed ultima censura, relativa alla
invocata motivazione in ordine al lasso di tempo intercorso
tra la sua realizzazione ed il suo accertamento, per le
considerazioni espresse da Cons. St. Sez. V 09.09.2013
n. 4470
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 22.04.2015 n. 887 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’esenzione dal rispetto delle distanze fra costruzioni di
cui all'art. 878 cod.civ. si applica anche ai muri di cinta
quando l'altezza sia superiore a tre metri.
L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni,
prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di
cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una
determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre
metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di
entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti
che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano
comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente
la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e
di recingere il fondo.
Per "costruzione", dunque, si intende qualsiasi manufatto
dotato di stabilità, solidità ed immobilizzazione al suolo
che abbia caratteristiche comunque tali da non poter
rientrare nella qualifica di "muro di conta". Questi ultimi
infatti sono connotati dall'avere una altezza massima di tre
metri da misurarsi dal piano di campagna, altezza che, nella
fattispecie, risultava superata
(massima tratta da www.e-glossa.it).
---------------
1.- Il primo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e
878 cod. civ., censura la decisione gravata che,
nell'escludere la natura di costruzione del muro realizzato
nella proprietà della ricorrente, non aveva tenuto conto che
si trattava di un muro di altezza superiore ai tre metri e
Che, come tale, non poteva qualificarsi come muro di cinta,
che non viene considerato al fine dell'osservanza delle
distanze legali.
2.- Il secondo motivo, lamentando violazione degli artt. 873
e 934 cod. civ., deduce che, una volta accertato che il
muro-costruzione era di proprietà della convenuta, perché
edificato all'interno della sua proprietà, non avrebbero
potuto trovare applicazione le norme sulle distanze legali
in relazione a un opera -la tettoia- che era stata
realizzata all'interno di costruzione preesistente.
3. - Il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 115,
2729 e 950 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove
avrebbe ritenuto che il muro de quo non sarebbe all'interno
della proprietà di essa ricorrente, facendo riferimento alle
mappe catastali, senza peraltro esaminarle in relazione agli
altri elementi probatori e in particolare quanto emerso
dalla descrizione compiuta dal consulente tecnico.
4.- Il quarto motivo denuncia sotto il profilo del vizio di
omessa o insufficiente motivazione le doglianze formulate
con il terzo motivo.
5.- I motivi -che, per la stretta connessione, possono
essere esaminati congiuntamente- sono infondati.
La sentenza, nel verificare l'inosservanza delle distanze
dal confine prescritte dallo strumento urbanistico locale
della tettoia edificata dalla convenuta, ha respinto la tesi
dell'appellante secondo cui la tettoia non sarebbe soggetta
al rispetto del distacco, in quanto collocata all'interno
del muro-costruzione di proprietà della stessa convenuta; al
riguardo i Giudici hanno escluso:
a) innanzitutto che fosse stata fornita la prova che detto
muro ricadesse all'interno della proprietà attorea;
b) in ogni caso, anche ove si fosse accolta tale tesi, che
lo stesso potesse essere considerato costruzione, dovendo
piuttosto qualificarsi come muro di cinta, attesa la
funzione di delimitazione dei fondi; pertanto, il manufatto
edificato all'interno avrebbe dovuto rispettare la distanza
dal confine.
Orbene, la decisione è corretta, posto che
un muro può essere qualificato come muro di cinta
quando ha determinate caratteristiche: destinazione a
recingere una determinata proprietà, altezza non superiore a
tre metri, emergere dal suolo ed avere entrambe le facce
isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali
caratteristiche è applicabile la disciplina prevista
dall'art. 878 cod. civ. e dalle norme di esso integrative,
in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra
costruzioni; tuttavia, tale normativa si applica anche nel
caso in cui si abbia un manufatto in tutto o in parte
carente di alcune di esse, purché sia idoneo a delimitare un
fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta la funzione
e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere
il fondo (Cass.
8671/2001; 2940/1992).
Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha
escluso che il muro de quo potesse essere considerato
costruzione al fine del calcolo delle distanze
(Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza
16.02.2015 n. 3037). |
gennaio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
muro di contenimento di un terrapieno artificiale deve
essere considerato ai fini del rispetto delle distanze
previste dal c.c. come nuova costruzione.
---------------
Invero, nella specie è accaduto che la modifica intervenuta
tra il muretto originariamente previsto e quello poi
realizzato ha mutato la natura giuridica del manufatto
edilizio, facendolo passare da elemento esteriore di
recinzione della proprietà (che non pone un problema di
rispetto delle distanze dal confine) a “muro di
contenimento” qualificabile come “costruzione” e che deve
quindi rispettare la distanza dal confine di proprietà,
secondo la disciplina di cui all’art. 104 del R.E.;
quest’ultima norma prevede che la distanza minima degli
edifici dai confini “dovrà essere pari alla metà della
distanza prevista tra gli edifici dalle norme di zona e
potrà essere variata solamente nel caso in cui tra i
confinanti si stabilisca una convenzione, per atto pubblico,
in base alla quale venga assicurato il rispetto della
distanza prescritta tra gli edifici”, norma di zona che (per
stessa ammissione di parte ricorrente) deve essere
individuata nell’art. 28 delle NTA al RE, relativo alla zone
di completamento B1, che richiama l’art. 9 del DM 1444 del
1968 (quindi distanza tra edifici di 10 metri e distanza dai
confini pari a 5 metri), con il risultato che la suddetta
distanza sicuramente non è rispettata nel caso di specie,
essendo l’opera realizzata sul confine.
Con la censura in esame i ricorrenti contestano il punto
centrale della motivazione dell’Amministrazione e cioè si
dolgono della qualificazione del muro così come realizzato
quale “fabbricato” e quindi come opera chiamata a rispettare
le distanze dai confini di proprietà.
La censura è infondata.
La Sezione ha avuto modo di affermare recentemente (sentenza
12.06.2014, n. 1028), con statuizione che il Collegio
ribadisce, che “il muro di contenimento di un terrapieno
artificiale debba essere considerato ai fini del rispetto
delle distanze previste dal c.c. come nuova costruzione
(TAR Genova sez. I, 21/11/2013 n. 1406; Cassazione civile
sez. II 13.05.2013 n. 11388)”; dunque nella specie è
accaduto che la modifica intervenuta tra il muretto
originariamente previsto e quello poi realizzato ha mutato
la natura giuridica del manufatto edilizio, facendolo
passare da elemento esteriore di recinzione della proprietà
(che non pone un problema di rispetto delle distanze dal
confine) a “muro di contenimento” qualificabile come
“costruzione” e che deve quindi rispettare la distanza dal
confine di proprietà, secondo la disciplina di cui
all’art. 104 del R.E.; quest’ultima norma prevede che la
distanza minima degli edifici dai confini “dovrà essere pari
alla metà della distanza prevista tra gli edifici dalle
norme di zona e potrà essere variata solamente nel caso in
cui tra i confinanti si stabilisca una convenzione, per atto
pubblico, in base alla quale venga assicurato il rispetto
della distanza prescritta tra gli edifici”, norma di zona
che (per stessa ammissione di parte ricorrente) deve essere
individuata nell’art. 28 delle NTA al RE, relativo alla zone
di completamento B1, che richiama l’art. 9 del DM 1444 del
1968 (quindi distanza tra edifici di 10 metri e distanza dai
confini pari a 5 metri), con il risultato che la suddetta
distanza sicuramente non è rispettata nel caso di specie,
essendo l’opera realizzata sul confine
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 22.01.2015 n. 122 - link a www.giustizia-amminitrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
manufatto per cui è causa non può
ricondursi alla nozione del muro di cinta, atteso che non
assolve la mera funzione di delimitare la proprietà ma anche
quella di contenimento del terreno, tale da consentire
l'edificazione ad una quota diversa rispetto a quella
naturale.
Invero, per muro di cinta, nella dizione contenuta
nell'art. 4, comma 7, lett. c), D.L. 05.10.1993 n. 398,
convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493, e
sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996
n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non
suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la
conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale
in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare,
proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben
diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri
di contenimento”, i quali si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la
funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi
devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea
per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una
concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo
edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in
quanto non esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che
esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza,
conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della
demolizione prevista per il caso di assenza di concessione.
In altri termini il tecnico del ricorrente riferisce che
esisteva un dislivello fra i due terreni: circostanza che
trova conferma nelle foto n. 9 e n. 13 allegate alla
relazione.
Risulta, dunque, documentata per tabulas la
preesistenza del dislivello successivamente colmato con
terreno di riporto fino a rendere pianeggiante la quota di
calpestio del terreno del ricorrente.
Da ciò discende che il manufatto per cui è causa non può
ricondursi alla nozione del muro di cinta, atteso che non
assolve la mera funzione di delimitare la proprietà ma anche
quella di contenimento del terreno, tale da consentire
l'edificazione ad una quota diversa rispetto a quella
naturale.
Invero, “per muro di cinta, nella dizione contenuta
nell'art. 4, comma 7, lett. c), D.L. 05.10.1993 n. 398,
convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493, e
sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996
n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non
suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la
conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale
in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare,
proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben
diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd.
“muri di contenimento”, i quali si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la
funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi
devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea
per consistenza e modalità costruttive. Di conseguenza il
muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto
alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione
di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più
consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente
preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è
dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione
alla sua funzione principale; il che esclude la sua
riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia
la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio,
sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista
per il caso di assenza di concessione” (Cons. Stato,
sez. V, 08.04.2014, n. 1651; v. anche TAR Abruzzo, L'Aquila,
sez. I, 14.02.2013, n. 145; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
08.11.2012, n. 2687; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
26.10.2012, n. 4275)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 15.01.2015 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione in ordine alla necessità della concessione
edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione.
Pertanto se per la posa in opera di una semplice recinzione
con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, o
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie
non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento
concessorio, per la realizzazione di una recinzione in
muratura (come quella in questione che è peraltro
sovrapposto da barriere metalliche e munita di cancello
d'accesso) è necessario il permesso di costruire, incidendo
l’opera in modo permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio.
Infine, quanto al muretto di cinta frontale
sovrapposto da barriere metalliche, al cancello d'accesso, e
al muro divisorio centrale, sempre stante quanto indicato,
il Collegio aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale
secondo cui opere simili necessitano del permesso di
costruire.
In particolare, la giurisprudenza cui ci si richiama afferma
che la valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione (TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Pertanto se per la posa in opera di una semplice recinzione
con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, o
per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie
non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento
concessorio (TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; TAR Lazio Roma, sez. II,
05.11.2004, n.
12554; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2003, n.
6196), per la realizzazione di una recinzione in muratura
(come quella in questione che è peraltro sovrapposto da
barriere metalliche e munita di cancello d'accesso) è
necessario il permesso di costruire, incidendo l’opera in
modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n.
897; TAR Liguria Genova, Sez. I, 11.09.2002, n. 961)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 24.07.2014 n. 4205 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sfugge al Collegio un orientamento secondo
cui la realizzazione di muri di cinta di altezza inferiore a
tre metri (articolo 878 del Codice civile) sarebbe in ogni
caso assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio
di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime
della segnalazione certificata di inizio di attività di cui
al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990.
Il Collegio, tuttavia, osserva anzitutto che la norma di cui
all’art. 878 del Codice civile attiene ai rapporti
interprivati nelle costruzioni (non di cognizione del
giudice amministrativo), mentre qui si tratta di
identificare il tipo di titolo edilizio in rapporto
all’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio;
e ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a
coniugare il richiamato orientamento con quello secondo cui
la configurabilità di un intervento edilizio quale ‘nuova
costruzione’ (con quanto ne consegue ai fini del previo
rilascio dei necessari titoli abilitativi) debba essere
valutata secondo un’ottica sostanziale, avendo prioritario
riguardo all’effettiva idoneità del singolo intervento a
determinare significative trasformazioni urbanistiche e
edilizie del territorio.
In particolare, indipendentemente dal dato meramente
quantitativo relativo all’altezza del manufatto (nel caso di
specie l’appellante riferisce un’altezza al colmo pari a
1,70 mt.), appare necessario il permesso di costruire nelle
ipotesi in cui il singolo intervento determini un’incidenza
sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto
tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica
o edilizia.
Si tratta di un’evenienza che ricorre nel caso in esame, dal
momento che –come condivisibilmente osservato dal primo
giudice– il muro di cinta qui non assume una mera funzione
di difesa della proprietà da ingerenze materiali, vale a
dire una funzione strumentale all’esercizio del ius
excludendi alios (il che sarebbe stato possibile anche
attraverso la realizzazione di una semplice cancellata), ma
dà luogo a una significativa e permanente trasformazione
territoriale attraverso un consistente manufatto
caratterizzato da un rilevante ingombro visivo e spaziale,
incidente sul deflusso delle acque e condizionante il
passaggio dell’aria, di per sé non indispensabile in
relazione alla dichiarata funzione di semplice protezione
della proprietà.
Sotto questo aspetto, deve essere qui puntualmente
confermato l’orientamento secondo cui se è vero che la
realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate
rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito:
s.c.i.a.) laddove non superi in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico-edilizia, occorre –invece- il
permesso di costruire, ove detti interventi superino (come
nel caso in esame) tale soglia.
2. L’appello è infondato.
2.1. Risulta dirimente ai fini della presente decisione
stabilire se l’intervento edilizio rientrasse fra quelli di
nuova costruzione (di cui agli articoli 3, comma 1, lettera
e) e 10 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380) per i quali è
richiesto il rilascio del permesso di costruire ovvero fra
quelli per i quali è richiesta unicamente la denuncia di
inizio di attività di cui all’articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata
di inizio di attività ai sensi dell’articolo 19 della l. 07.08.1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis
dell’articolo 49 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78,
come convertito con modificazioni dalla l. 30.07.2010,
n. 122).
Al riguardo non sfugge al Collegio un orientamento secondo
cui la realizzazione di muri di cinta di altezza inferiore a
tre metri (articolo 878 del Codice civile) sarebbe in ogni
caso assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio
di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime
della segnalazione certificata di inizio di attività di cui
al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso:
Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2621).
Il Collegio, tuttavia, osserva anzitutto che la norma di cui
all’art. 878 del Codice civile attiene ai rapporti
interprivati nelle costruzioni (non di cognizione del
giudice amministrativo), mentre qui si tratta di
identificare il tipo di titolo edilizio in rapporto
all’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio;
e ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a
coniugare il richiamato orientamento con quello secondo cui
la configurabilità di un intervento edilizio quale ‘nuova
costruzione’ (con quanto ne consegue ai fini del previo
rilascio dei necessari titoli abilitativi) debba essere
valutata secondo un’ottica sostanziale, avendo prioritario
riguardo all’effettiva idoneità del singolo intervento a
determinare significative trasformazioni urbanistiche e
edilizie del territorio.
In particolare, indipendentemente dal dato meramente
quantitativo relativo all’altezza del manufatto (nel caso di
specie l’appellante riferisce un’altezza al colmo pari a
1,70 mt.), appare necessario il permesso di costruire nelle
ipotesi in cui il singolo intervento determini un’incidenza
sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto
tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica
o edilizia.
Si tratta di un’evenienza che ricorre nel caso in esame, dal
momento che –come condivisibilmente osservato dal primo
giudice– il muro di cinta qui non assume una mera funzione
di difesa della proprietà da ingerenze materiali, vale a
dire una funzione strumentale all’esercizio del ius
excludendi alios (il che sarebbe stato possibile anche
attraverso la realizzazione di una semplice cancellata), ma
dà luogo a una significativa e permanente trasformazione
territoriale attraverso un consistente manufatto
caratterizzato da un rilevante ingombro visivo e spaziale,
incidente sul deflusso delle acque e condizionante il
passaggio dell’aria, di per sé non indispensabile in
relazione alla dichiarata funzione di semplice protezione
della proprietà.
Sotto questo aspetto, deve essere qui puntualmente
confermato l’orientamento secondo cui se è vero che la
realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate
rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito:
s.c.i.a.) laddove non superi in concreto la soglia della
trasformazione urbanistico-edilizia, occorre –invece- il
permesso di costruire, ove detti interventi superino (come
nel caso in esame) tale soglia.
Si aggiunga al riguardo che l’impatto quali-quantitativo
sortito dal manufatto in parola risulta tanto più rilevante
laddove si osservi che è posto su un’affollata zona
litoranea sul cui complessivo equilibrio il manufatto in
questione incide in senso certamente sensibile.
2.1.2. Né può in alcun modo essere condivisa la tesi
dell’appellante il quale sottolinea che l’intervento in
questione si sarebbe limitato al mero ripristino di una
porzione di muro già esistente già al momento dell’acquisto
dell’area (e successivamente crollato), nonché a una modesta
sopraelevazione della recinzione sul lato nord e ovest.
In particolare, anche ad ammettere in punto di fatto la
circostanza per cui l’appellante avrebbe realizzato la mera
ricostruzione di un muro in larga parte già esistente, ciò
non esclude la configurabilità dell’intervento in questione
quale ‘nuova costruzione’ ai sensi dell’articolo 3, comma 1,
lettera e) del d.P.R. n. 380 del 2001., sussistendone tutti
relativi presupposti.
In particolare, le opere realizzate dall’odierno appellante,
in quanto sostitutive di interventi edilizi mai in
precedenza assistiti da alcun titolo abilitativo, erano da
qualificarsi comunque quali interventi di ‘nuova
costruzione’, irrilevante essendo –ai fini
dell’individuazione della disciplina applicabile- il dato
solo materiale relativo alla preesistenza fisica delle opere (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.07.2014 n. 3408 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per recinzione deve intendersi un manufatto
essenzialmente destinato a delimitare una determinata
proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla
e difenderla da intrusioni, secondo la nozione elaborata
dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta ex
art. 878 c.c..
Sotto il profilo amministrativo, si è ritenuto che la posa
di una recinzione, anche in muratura, da parte del
proprietario, non ha di per sé il fine di imprimere all'area
una destinazione diversa da quella prevista dalle norme
urbanistiche, essendo solo diretta a far valere lo ius
excludendi alios che costituisce contenuto tipico del
diritto di proprietà. Secondo detta linea interpretativa,
anche la presenza di un vincolo di P.R.G. non può incidere
di per sé negativamente sulla potestà del dominus di
chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi
dell'art. 841 c.c., tramite la costruzione di una
recinzione.
La descritta facoltà è legittimamente sacrificabile
solamente quando ricorrano le condizioni previste
dall'ordinamento in funzione di superiori interessi
pubblici, dei quali va dato conto nella motivazione
attraverso il loro bilanciamento con le opposte ragioni di
cui sono portatori i soggetti privati coinvolti: così il
P.R.G. -in materia di recinzioni della proprietà privata-
può dettare particolari prescrizioni ispirate a fini di
tutela ambientale, ad esempio individuando particolari
modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di
specifici materiali, purché ciò avvenga nel rispetto del
principio generale di buona amministrazione, sancito
dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di
logicità, equità, imparzialità ed economicità, nonché delle
norme di diritto positivo di carattere inderogabile.
È di conseguenza inammissibile un generalizzato divieto di
recinzione dei fondi, perché esso sostanzialmente elimina un
attributo essenziale tipico del diritto di proprietà,
espressamente confermato dalla richiamata disciplina
codicistica. In questo senso, neppure la presenza del
vincolo espropriativo derivante da una previsione di piano
regolatore priva il proprietario di tale diritto, né è con
esso incompatibile, posto che tale previsione si limita ad
attribuire al fondo una qualità giuridica, esponendolo
all’acquisizione alla mano pubblica, ma non lo sottrae alla
disponibilità del proprietario fino a quando non vengano
emessi idonei atti ablativi (di espropriazione o di
occupazione d’urgenza) previa dichiarazione di pubblica
utilità dell’opera.
Né, d’altra parte, la realizzazione della recinzione
costituisce fattore ostativo -sul piano giuridico o
materiale- alla futura ed eventuale attuazione del vincolo.
Va premesso che per recinzione
deve intendersi un manufatto essenzialmente destinato a
delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla
dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni,
secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza civile in
materia di muro di cinta ex art. 878 c.c. (cfr. Cass. civ.,
sez. II 03.09.1991 n. 9348 e 15.11.1986 n. 6737).
Sotto il profilo amministrativo, si è ritenuto -con
impostazione già condivisa da questa sezione (TAR Piemonte,
sez. I - sentenza 22.05.2013 n. 617)- che la posa di una
recinzione, anche in muratura, da parte del proprietario,
non ha di per sé il fine di imprimere all'area una
destinazione diversa da quella prevista dalle norme
urbanistiche, essendo solo diretta a far valere lo ius
excludendi alios che costituisce contenuto tipico del
diritto di proprietà. Secondo detta linea interpretativa,
anche la presenza di un vincolo di P.R.G. non può incidere
di per sé negativamente sulla potestà del dominus di
chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi
dell'art. 841 c.c., tramite la costruzione di una recinzione
(TAR Napoli, sez. II 04.02.2005 n. 803; TAR Milano, sez. II,
11.02.2005, n. 367).
La descritta facoltà è legittimamente sacrificabile
solamente quando ricorrano le condizioni previste
dall'ordinamento in funzione di superiori interessi
pubblici, dei quali va dato conto nella motivazione
attraverso il loro bilanciamento con le opposte ragioni di
cui sono portatori i soggetti privati coinvolti: così il
P.R.G. -in materia di recinzioni della proprietà privata-
può dettare particolari prescrizioni ispirate a fini di
tutela ambientale, ad esempio individuando particolari
modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di
specifici materiali, purché ciò avvenga nel rispetto del
principio generale di buona amministrazione, sancito
dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di
logicità, equità, imparzialità ed economicità, nonché delle
norme di diritto positivo di carattere inderogabile (TAR
Friuli Venezia Giulia, 23.07.2001, n. 421).
È di conseguenza inammissibile un generalizzato divieto di
recinzione dei fondi, perché esso sostanzialmente elimina un
attributo essenziale tipico del diritto di proprietà,
espressamente confermato dalla richiamata disciplina
codicistica. In questo senso, neppure la presenza del
vincolo espropriativo derivante da una previsione di piano
regolatore priva il proprietario di tale diritto, né è con
esso incompatibile, posto che tale previsione si limita ad
attribuire al fondo una qualità giuridica, esponendolo
all’acquisizione alla mano pubblica, ma non lo sottrae alla
disponibilità del proprietario fino a quando non vengano
emessi idonei atti ablativi (di espropriazione o di
occupazione d’urgenza) previa dichiarazione di pubblica
utilità dell’opera (TAR Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 367;
TAR Brescia, sez. I, 05.02.2008, n. 40; TAR Bari sez. III,
22.02.2006, n. 572).
Né, d’altra parte, la realizzazione della recinzione
costituisce fattore ostativo -sul piano giuridico o
materiale- alla futura ed eventuale attuazione del vincolo
(TAR Milano, sez. II, 19.06.2009, n. 4072) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 27.06.2014 n.
1142 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso di dislivello derivante
dall’opera dell’uomo, sono da considerare
costruzioni in senso tecnico-giuridico, rientranti
nell’art. 873 c.c., il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento, che lo abbiano prodotto, o che
abbiano accentuato quello già esistente per la
natura dei luoghi.
E'
pertanto illegittimo il provvedimento di accertamento di
conformità richiesto con d.i.a. a sanatoria in relazione a
lavori oggetto di d.i.a. in variante al permesso di
costruire rilasciato per la realizzazione di un impianto di
distribuzione di carburanti, ove venga in rilievo un muro di
fabbrica –di altezza superiore a tre metri, e dunque non
considerabile quale muro di cinta ex art. 878 c.c.– recante
sostegno di un terrapieno e posto a una distanza dal confine
laterale inferiore ai mt. 3 prescritta dall’art. 873 c.c..
---------------
Considerato che, nel merito, sono palesemente fondate
le censure di violazione dell’art. 873 c.c. e di
erronea applicazione alla fattispecie dell’art. 878
c.c., dedotte dalla ricorrente, atteso che:
- la stessa controinteressata ammette nelle sue difese (v. p. 7
della memoria del 19.11.2012) il superamento del
limite di altezza di mt. 3 in alcuni tratti del muro
per cui è causa, ciò che vale di per sé ad impedire
l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 878,
primo comma, c.c. (il quale permette di non
considerare, per il computo della distanza di cui
all’art. 873 c.c., il muro di cinta ed ogni altro
muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai
tre metri);
- sul punto si richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo
cui non può essere considerato muro di cinta, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 878 c.c. (e cioè
per l’inapplicabilità delle distanze legali tra le
costruzioni ex art. 873 c.c.) quello che, sebbene
posto sul confine ed isolato da entrambe le facce,
presenti un’altezza superiore a mt. 3, dovendosi in
tal ipotesi osservare la distanza di cui all’art.
873 c.c. (Cass. civ., Sez. II, 02.02.2000, n. 1134);
- per di più la documentazione prodotta dalla ricorrente dimostra,
oltre ogni ragionevole dubbio, che nella fattispecie
all’esame la costruzione dell’impianto di
distribuzione di carburanti ha comportato la
realizzazione di un dislivello artificiale, che ha
modificato artificialmente l’andamento altimetrico
del terreno.
Ciò è comprovato, in particolare, dalla
documentazione fotografica allegata alla perizia di
parte (all. 9 al ricorso), che mostra la situazione
dell’area interessata –e soprattutto il declivio del
terreno– prima e dopo la costruzione dell’impianto
di distribuzione di carburanti: in tali fotografie,
infatti, si può rilevare che, mentre prima della
suddetta costruzione le aperture situate al piano
terra della palazzina confinante con l’impianto
erano in gran parte visibili, dopo la conclusione
dei lavori, a causa della sopraelevazione
artificiale del terreno, tali aperture non sono più
in alcun modo visibili ed anzi il muro realizzato
arriva al marcapiano del primo piano della predetta
palazzina.
In secondo luogo, dette fotografie confermano oltre
ogni dubbio che il muro di cui si discute ha una
funzione di contenimento del terrapieno creato ex
novo ed artificialmente e che esso non
costituisce né un mero muro di cinta, né ha una
funzione di sostegno del declivio naturale, come
sostenuto dal Comune di Norma nella sanatoria
impugnata, attesa la sopraelevazione artificiale del
terreno che si desume dal confronto tra le
fotografie ante operam e post operam;
- alla luce di quanto ora illustrato, non può che concludersi per
l’assoggettamento del muro per cui è causa alla
disciplina ex art. 873 c.c. A tale conclusione si
perviene sulla base della giurisprudenza di
legittimità ed in specie sulla base di Cass. civ.,
Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, che ha configurato
quale “costruzione” (come tale rientrante
nell’ambito applicativo dell’art. 873 c.c.) la
realizzazione di un terrapieno artificiale, con
riporto di terra addossato al muro di cinta
costruito dai vicini, e di un cordolo di
calcestruzzo in aderenza al predetto muro, per
rafforzare la funzione di contenimento del terreno
fatta assumere al muro stesso;
- infatti, secondo la decisione in commento, che richiama una
giurisprudenza di legittimità del tutto pacifica, il
muro di sostegno di un terrapieno, in quanto
costituente vera e propria costruzione, per il
rispetto delle distanze legali deve considerarsi
come muro di fabbrica e non già soltanto come muro
di cinta (che, a norma dell’art. 878 c.c., è quello
destinato alla protezione e delimitazione del fondo,
con altezza non superiore a tre metri e con le due
facce isolate).
È altresì pacifico in giurisprudenza che, in caso di
dislivello derivante dall’opera dell’uomo, sono
costruzioni in senso tecnico-giuridico (quindi
rientrano nell’art. 873 c.c.) il terrapieno ed il
relativo muro di contenimento, che lo abbiano
prodotto, o che abbiano accentuato quello già
esistente per la natura dei luoghi (cfr. Cass. civ.,
Sez. II, 21.05.1997, n. 4541);
- dal riferito insegnamento giurisprudenziale si ricava
l’illegittimità del provvedimento di sanatoria, per
non avere la P.A. tenuto conto che, come si legge
nel già citato verbale della Polizia Municipale del
25.02.2010, il muro in parola non rispetta le
distanze prescritte dal ricordato art. 873 c.c.:
infatti, mentre quest’ultimo prevede per le
costruzioni una distanza minima di mt. 3, il verbale
della Polizia Municipale menziona la presenza di un
muro di contenimento in cemento armato dell’intera
struttura “che dista dal confine laterale interno
di (sic) circa m. 01” (TAR Lazio-Latina
sentenza 05.05.2014 n. 324). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione.
In base a tale criterio, dunque, non è necessario il
permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque
la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è
costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti
in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è
necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio,
trattandosi di installazione precaria e rientrando tale
opera tra le attività di mera manutenzione.
Sulla scorta delle risultanze della
suindicata istruttoria si può, quindi, affermare:
- che in relazione alla strada in questione sussiste una
presunzione iuris tantum di uso pubblico della stessa
discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade
pubbliche, presunzione che non risulta superata da quanto
emerso a seguito della verificazione, e dalla inclusione di
tale strada, a tutto il 1948, tra le “strade non rotabili”
nelle planimetrie dell’Istituto Geografico Militare;
- che effettivamente la recinzione insiste su un tratto di
strada comunale, quale risulta dalle mappe catastali, e che
allo stato attuale la strada risulta deviata dal suo
tracciato originario e occupa un’area di proprietà della
ricorrente (mappale 1 foglio 9).
Né tali conclusioni possono essere inficiate sostenendo,
sulla base della nota esplicativa redatta dal consulente
tecnico di parte, che “la strada, già all’epoca della
realizzazione della recinzione, non coincideva più con il
tracciato catastale a seguito di uno slittamento verso sud
verificatosi “in modo del tutto naturale””, spostamento,
“oggi visibile in loco”, che avrebbe comportato un’invasione
della proprietà della ricorrente esterna all’area del
campeggio recintata; che, pertanto, non potrebbe essere
contestata sulla scorta delle risultanze catastali una
difformità tra lo stato realizzato e quello concessionato,
dal momento che le risultanze catastali già all’epoca non
avrebbero rispecchiato l’esatto stato dei luoghi.
Infatti, tali affermazioni, oltre a non essere adeguatamente
supportate sul piano probatorio, non sarebbero comunque in
grado di superare il contrasto esistente tra quanto
realizzato e quanto concessionato, sulla base di quanto
risulta, con un adeguato grado di attendibilità, per
espressa ammissione della stessa ricorrente, dalla
planimetria allegata alla concessione edilizia n. 30 del 28.05.1980; è, infatti, la stessa ricorrente (pg. 8 del
ricorso) ad asserire che, nella suindicata planimetria,
“Nella parte meridionale (quella che qui interessa) la
recinzione è affiancata da una doppia riga tratta dalla
mappa catastale e volta, probabilmente, a rappresentare la
strada vicinale” -che, aggiunge, “non è più esistente”-
riconoscendo in tal modo che, secondo la rappresentazione
catastale della strada, questa correva esternamente alla
recinzione così come concessionata.
Quand’anche, infatti, il tracciato stradale risultante dalle
mappe catastali non fosse stato all’epoca fedelmente
riproduttivo dello stato dei luoghi, come sostenuto dalla
ricorrente, tale circostanza non avrebbe comunque
legittimato la ricorrente a modificare unilateralmente le
prescrizioni della concessione.
Né si può fondatamente sostenere che per la realizzazione
della recinzione di cui si discute, tenuto conto delle
caratteristiche costruttive della stessa, quali emergono dal
provvedimento impugnato e dal verbale di accertamento n.
03/96 del 21.12.2012, nello stesso richiamato, non
fosse necessaria la concessione edilizia.
Infatti, si è in presenza di un intervento di trasformazione
del territorio (ex art. 1 della legge 10/1977, che
subordinava a concessione ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale), realizzato con installazione di un muro in
calcestruzzo con pali e rete metallica.
Sul punto la giurisprudenza è concorde; si veda, fra le
tante, TAR Lazio Roma, sez. II, 11.09.2009, n.
8644, secondo cui “la valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque,
non è necessario il permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro
tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni
del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi
alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio. Per la posa in opera di una semplice recinzione
con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno,
non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento
concessorio, trattandosi di installazione precaria e
rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione”
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 668 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il manufatto in questione supera in
diversi tratti l’altezza di m. 3 e assolve
alle precipue funzioni di contenimento di un
terrapieno artificialmente realizzato e di
sostegno di una rampa di accesso al
fabbricato.
Tali caratteristiche del manufatto
ragionevolmente escludono, pertanto, la sua
configurabilità quale muro di cinta della
proprietà, a' sensi dell’art. 878 cod. civ.,
posto che questo, ai fini dell’esenzione dal
rispetto delle distanze legali imposte
dall’art. 873 c.c., deve essere essenzialmente
destinato a recingere una determinata
proprietà onde separarla dalle altre, non
superare un’altezza di tre metri ed avere
entrambe le facce isolate da altre
costruzioni.
Va rilevato anche che, di per sé, il muro di
contenimento elevato ad opera dell’uomo per
assolvere alla stabilizzazione di un
terrapieno artificiale ricade per certo nel
regime di rilascio del titolo edilizio,
all’epoca dei fatti di causa indubitabilmente
concessorio.
Infatti, per “muro di cinta”, nella dizione
contenuta nell’art. 4, comma 7, lett. c), del
D.L. 05.10.1993 n. 498 convertito con
modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493 e
sostituito per effetto dell’art. 2, comma 60,
della L. 23.12.1996 n. 662, all’epoca in
vigore, devono intendersi quelle opere di
recinzione, non suscettibili di modificare o
alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assumono natura pertinenziale in
quanto hanno esclusivamente la funzione di
delimitare, proteggere o eventualmente
abbellire la proprietà, nel mentre ben diversa
è la consistenza e la funzione dei cc.dd.
“muri di contenimento”, i quali si
differenziano sostanzialmente dalle mere
recinzioni non solo per la funzione, ma anche,
perché servono a sostenere il terreno al fine
di evitare movimenti franosi dello stesso.
Per assolvere a tale funzione, i muri di
contenimento devono presentare necessariamente
una struttura a ciò idonea per consistenza e
modalità costruttive.
Il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei
luoghi, anche concomitante funzione di
recinzione, è tuttavia sotto il profilo
edilizio un’opera ben più consistente di una
recinzione proprio in quanto non
esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria
specificità ed autonomia, in relazione alla
sua funzione principale dianzi illustrata: il
che pertanto esclude la sua riconducibilità al
concetto di pertinenza, conseguendone, data la
rilevanza delle modifiche che esso produce,
sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio all’epoca vigente, sia la
legittimità, a torto contestata
dall’appellante, dell’applicazione della
sanzione della demolizione prevista per il
caso di assenza di concessione.
---------------
In linea di principio le norme in tema di
distanze sono per loro natura inderogabili in
quanto assolvono al fine ripartire in misura
eguale il distacco tra edifici tra i lotti
confinanti.
---------------
Come si è visto innanzi, secondo la
prospettazione del Pr. il muro di cui
trattasi, edificato a sostegno dello scivolo
prefabbricato e dei vani retrostanti posti sul
lato nord del complesso edilizio, sarebbe
stato assentito già con la concessione
edilizia n. 3 del 1997 in quanto asseritamente
rappresentato negli elaborati grafici allegati
alla relativa domanda; non implicherebbe
problemi in ordine alla sua distanza
dall’altrui proprietà in quanto si
configurerebbe comunque quale muro di
recinzione; né potrebbe applicarsi alla specie
l’art. 17 delle N.T.A. del P.R.G. che impone
per le costruzioni il rispetto della distanza
di 5 metri dal confine della proprietà essendo
stato acquisito in data 15.07.1999 l’assenso
del proprietario del fondo vicino.
A tale riguardo va innanzitutto rilevato che
negli elaborati progettuali richiamati dal Pr.
a sostegno della propria tesi secondo la quale
la realizzazione del muro in questione sarebbe
già stata assentita per effetto della predetta
concessione edilizia n. 3 del 1997 il muro
medesimo non è rappresentato nelle sue
effettive dimensioni, posto che la sua
rappresentazione grafica negli elaborati
medesimi consiste in un breve tratto di muro
completamente interrato verso est adiacente ad
altro breve muro di cinta libero su entrambi i
lati.
Viceversa, dal doc. 27 di parte ricorrente sub
R.G. 4478 del 2000 (fascicolo del giudizio di
primo grado innanzi al TAR per la Lombardia)
consta inequivocabilmente che il manufatto in
questione è ben più lungo, supera in diversi
tratti l’altezza di m. 3 e assolve alle
precipue funzioni di contenimento di un
terrapieno artificialmente realizzato dal
medesimo Pr. (peraltro poi sostituito da vani
e locali) e di sostegno di una rampa di
accesso al fabbricato.
Tali caratteristiche del manufatto
ragionevolmente escludono, pertanto, la sua
configurabilità quale muro di cinta della
proprietà, a' sensi dell’art. 878 cod. civ.,
posto che questo, ai fini dell’esenzione dal
rispetto delle distanze legali imposte
dall’art. 873 c.c., deve essere essenzialmente
destinato a recingere una determinata
proprietà onde separarla dalle altre, non
superare un’altezza di tre metri ed avere
entrambe le facce isolate da altre costruzioni
(così, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. II,
20.11.2012 n. 20351; concorda su tali
caratteristiche del muro di cinta al fine del
regime di realizzazione della relativa opera
Cons. Stato, Sez. IV, 03.05.2011 n. 2621).
Va rilevato anche che, di per sé, il muro di
contenimento elevato ad opera dell’uomo per
assolvere alla stabilizzazione di un
terrapieno artificiale ricade per certo nel
regime di rilascio del titolo edilizio,
all’epoca dei fatti di causa indubitabilmente
concessorio.
Infatti, per “muro di cinta”, nella
dizione contenuta nell’art. 4, comma 7, lett.
c), del D.L. 05.10.1993 n. 498 convertito con
modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493 e
sostituito per effetto dell’art. 2, comma 60,
della L. 23.12.1996 n. 662, all’epoca in
vigore, devono intendersi quelle opere di
recinzione, non suscettibili di modificare o
alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assumono natura pertinenziale in
quanto hanno esclusivamente la funzione di
delimitare, proteggere o eventualmente
abbellire la proprietà, nel mentre ben diversa
è la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri
di contenimento”, i quali si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo
per la funzione, ma anche, perché servono a
sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso.
Per assolvere a tale funzione, i muri di
contenimento devono presentare necessariamente
una struttura a ciò idonea per consistenza e
modalità costruttive.
Il muro di contenimento, pur potendo
assolvere, in rapporto alla situazione dei
luoghi, anche concomitante funzione di
recinzione (come, per l’appunto, accade nel
caso di specie), è tuttavia sotto il profilo
edilizio un’opera ben più consistente di una
recinzione proprio in quanto non
esclusivamente preordinata a recingere la
proprietà e, soprattutto, è dotata di propria
specificità ed autonomia, in relazione alla
sua funzione principale dianzi illustrata: il
che pertanto esclude la sua riconducibilità al
concetto di pertinenza, conseguendone, data la
rilevanza delle modifiche che esso produce,
sia la necessità del suo assoggettamento al
regime concessorio all’epoca vigente, sia la
legittimità, a torto contestata
dall’appellante, dell’applicazione della
sanzione della demolizione prevista per il
caso di assenza di concessione.
In tale contesto, pertanto, gli atti di
diniego di rilascio della sanatoria e di
ingiunzione a demolire impugnati dal Pr. in
primo grado sub R.G. 4478 del 2000 risultano
intrinsecamente legittimi stante la difformità
dell’opera da lui realizzata rispetto all’art.
17.1 delle N.T.A. del P.R.G. comunale, il
quale impone alle costruzioni il rispetto
della distanza di 5 metri dal confine:
distanza che nella specie risulta
assodatamente violata.
A questo punto, va evidenziato che, se in
linea di principio le norme in tema di
distanze sono per loro natura inderogabili in
quanto assolvono al fine ripartire in misura
eguale il distacco tra edifici tra i lotti
confinanti (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V,
10.01.2012 n. 53 e Sez. IV, 30.06.2010 n.
4181), nella specie non può comunque
sostenersi –a differenza di quanto affermato
dal Pr.- che il proprietario del fondo vicino
abbia prestato il proprio consenso alla
realizzazione del manufatto in questione,
posto che la nota sottoscritta dal Sig. Do.Be.
in data 15.07.1999 e prodotta in copia quale
doc. 15 di parte resistente nel giudizio di
primo grado proposto sub R.G. 4478 del 2000
innanzi al TAR di Milano si sostanzia nella
denuncia della realizzazione da parte dello
stesso Pr. di un’opera difforme –come, per
l’appunto, si è detto innanzi– rispetto al
progetto originario e, per di più, anche in
sedime non suo, e si conclude con la richiesta
di un sopralluogo al fine di verificare tali
irregolarità (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.04.2014 n.
1651 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E' illegittima l'inibizione ovvero l'ordinanza di
demolizione di opere volte alla sostituzione -tal quale- di
una recinzione esistente da tempo ancorché a distanza
inferiore a mt. 3 dal confine stradale.
L’articolo 26 del d.p.r. 16.12.1992, n.
495, che costituisce il regolamento di attuazione del codice
della strada, posto dall’amministrazione alla base dei
provvedimenti impugnati, pur prevedendo il necessario
rispetto di una distanza non inferiore a m. 3 dal confine
stradale per le recinzioni di altezza superiore a m. 1 dal
terreno, precisa, al comma nono, che tali prescrizioni non
si applicano alle opere preesistenti.
Nel caso in esame è incontestato che la recinzione è
risalente nel tempo e che l’intervento in parola non è
diretto a costruirne una nuova, con caratteristiche diverse
rispetto a quella preesistente, bensì ad effettuare una
manutenzione mediante la sostituzione della rete e dei pali
in legno mantenendone, tuttavia, tutte le caratteristiche
sia per quanto riguarda la tipologia (pali distanziati tra
loro e rete metallica plastificata di maglie flessibili,
senza modifica del passo carrabile) sia per quanto riguarda
la collocazione.
Conseguentemente non possono trovare applicazione i commi
settimo ed ottavo del citato articolo 26, bensì il comma
nono, in quanto la recinzione è preesistente e sono state
semplicemente sostituiti i pali e la rete metallica
evidentemente usurati dal tempo.
---------------
Non può ritenersi insito un pericolo nella esistenza di una
recinzione, senza il rispetto dei m. 3 dal confine stradale,
in quanto il legislatore ha proprio ritenuto di
salvaguardarle, se preesistenti rispetto all’entrata in
vigore del regolamento di attuazione del codice della
strada.
... per l'annullamento:
●
quanto al ricorso introduttivo:
- del provvedimento del comune di Cesena del 26/3/2012 PGN
19155 di annullamento della pratica 528/SCIA/2011 avente per
oggetto una recinzione;
●
quanto ai primi motivi aggiunti:
-
del provvedimento del comune di Cesena prot. 0089417/72/EA/NC
del 17.12.2012 di demolizione;
●
quanto ai secondi motivi aggiunti:
- del provvedimento del comune di Cesena del 30/12/2013,
P.G. 99793 di rettifica ed annullamento parziale della
pratica 528/SCIA/2011 avente per oggetto una recinzione;
- del provvedimento del comune di Cesena del 30/12/2013,
P.G. 99794 di rettifica dell’ingiunzione di demolizione prot.
0089417/72/EA/NC del 17.12.2012
...
In linea di fatto va osservato che la recinzione, oggetto
del presente giudizio, è costituita da pali in legno e da
una rete metallica posti in essere in sostituzione di una
pre-esistente recinzione del tutto analoga e risalente nel
tempo e collocata nella medesima posizione.
3. Ciò premesso il ricorso è fondato.
L’articolo 26 del d.p.r. 16.12.1992, n. 495, che
costituisce il regolamento di attuazione del codice della
strada, posto dall’amministrazione alla base dei
provvedimenti impugnati, pur prevedendo il necessario
rispetto di una distanza non inferiore a m. 3 dal confine
stradale per le recinzioni di altezza superiore a m. 1 dal
terreno, precisa, al comma nono, che tali prescrizioni non
si applicano alle opere preesistenti.
Nel caso in esame è incontestato che la recinzione è
risalente nel tempo e che l’intervento in parola non è
diretto a costruirne una nuova, con caratteristiche diverse
rispetto a quella preesistente, bensì ad effettuare una
manutenzione mediante la sostituzione della rete e dei pali
in legno mantenendone, tuttavia, tutte le caratteristiche
sia per quanto riguarda la tipologia (pali distanziati tra
loro e rete metallica plastificata di maglie flessibili,
senza modifica del passo carrabile) sia per quanto riguarda
la collocazione.
Conseguentemente non possono trovare applicazione i commi
settimo ed ottavo del citato articolo 26, bensì il comma
nono, in quanto la recinzione è preesistente e sono state
semplicemente sostituiti i pali e la rete metallica
evidentemente usurati dal tempo.
4. Né risultano indicate nel provvedimento impugnato
concrete ragioni di pericolo tali da giustificare
l’annullamento in autotutela del titolo edilizio (SCIA) già
perfezionato.
4.1. Non può, infatti, ritenersi insito un pericolo nella
esistenza di una recinzione, senza il rispetto dei m. 3 dal
confine stradale, in quanto il legislatore ha proprio
ritenuto di salvaguardarle, se preesistenti rispetto
all’entrata in vigore del regolamento di attuazione del
codice della strada.
4.2. Era, pertanto, necessario motivare con riferimento a
circostanze specifiche e concrete per giustificare
l’affermazione dell’esistenza di un pericolo per la pubblica
incolumità tali da non consentire l’applicazione
dell’articolo 26 del codice della strada che, invece, come
sopra precisato, ha inteso salvaguardare le recinzioni
preesistenti alla sua entrata in vigore.
5. Per tali ragioni il ricorso va accolto e, per l’effetto,
vanno annullati tutti gli atti impugnati con il ricorso
introduttivo e con i motivi aggiunti di ricorso
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 04.04.2014 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non possono essere considerati muri di
cinta, ai fini della loro esclusione dal regime
delle distanze, i manufatti aventi funzioni
prevalentemente diverse da quella di delimitazione e
difesa del fondo, quali la funzione di contenimento
di un terrapieno artificiale
(TRIBUNALE di Benevento, Sez. civile, sentenza 08.01.2014 n. 28). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Lo sbancamento di un terreno, l’arretramento del
muro di contenimento e la pavimentazione cortilizia non
costituiscono interventi effettuati sull’edificio contiguo e
pertanto non sono configurabili come lavori di manutenzione
del medesimo.
---------------
Il muro di contenimento, determinando una durevole
trasformazione dell’area dallo stesso impegnata, non
rappresenta intervento di mera manutenzione.
Sennonché lo sbancamento di un
terreno, l’arretramento del muro di contenimento e la
pavimentazione cortilizia non costituiscono interventi
effettuati sull’edificio contiguo e pertanto non sono
configurabili come lavori di manutenzione del medesimo.
Peraltro è stato chiarito che il muro di contenimento,
determinando una durevole trasformazione dell’area dallo
stesso impegnata, non rappresenta intervento di mera
manutenzione (cfr. Cass., sez. pen. III, 03/03/2010, 15370)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 13.11.2013 n. 5076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi
“costruzione” agli effetti della disciplina delle distanze
e, pertanto, non è assoggettato al regime autorizzativo delle
nuove costruzioni, mentre sia il muro di cinta sia il muro
di contenimento elevato ad opera dell’uomo per assolvere in
modo permanente e definitivo anche alla funzione di
contenimento di un terrapieno artificiale, sono
assoggettati, così come tutte le altre costruzioni, alle
distanze dal confine stradale imposte dal Codice della
strada e dal relativo regolamento di esecuzione a garanzia
della sicurezza della circolazione.
---------------
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso sostengono i
ricorrenti che la natura di muro di contenimento, e
non già di cinta, ricollegabile al manufatto in
progetto, rende l’opera insuscettibile, come tale,
di integrare una costruzione assoggettata alla
fascia di rispetto stradale.
Tale doglianza, condivisibile in generale dal
Collegio ove riferita esclusivamente al muro di
contenimento della proprietà, non può trovare
accoglimento nel caso concreto, perché i ricorrenti
pretendono di estendere lo speciale regime che con
riferimento ai muri di sostegno di dislivelli
naturali consente di derogare alla disciplina legale
sulle distanze minime dal manto stradale (Codice
della strada e relativo regolamento di esecuzione),
anche all’intervento edilizio riguardante un locale
interrato destinato a deposito, realizzato
all’interno del terrapieno.
Giova premettere che, in tema di distanze legali, il
muro di contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina delle distanze, e
pertanto non è assoggettato al regime autorizzativo
delle nuove costruzioni, così come evidenziato dai
ricorrenti con il primo motivo di ricorso, mentre
sia il muro di cinta (cfr. Cass. civ., n. 8144/2001;
Cons. Stato, n. 2954/2008) sia il muro di
contenimento elevato ad opera dell'uomo per
assolvere in modo permanente e definitivo anche alla
funzione di contenimento di un terrapieno
artificiale, sono assoggettati, così come tutte le
altre costruzioni, alle distanze dal confine
stradale imposte dal Codice della strada e dal
relativo regolamento di esecuzione a garanzia della
sicurezza della circolazione.
Nel caso di specie risulta incontrovertibilmente
dalla documentazione di causa (check list, relazione
tecnica ed elaborati grafici) che il progetto di
demolizione e ricostruzione riguarda due strutture,
di cui una è il locale interrato adibito a deposito,
da ricostruire mantenendo la stessa volumetria e
sagoma e che “è tutt’oggi destinato a deposito di
materiali ed attrezzature agricole a servizio del
terreno e della casa di proprietà della committenza”
(relazione tecnica al progetto), e l’altra un muro
di contenimento della proprietà che rappresenta il
prolungamento di tale locale interrato.
La verificazione disposta dalla Sezione ha poi
consentito di accertare che il confine lato nord che
affaccia sulla S.S. 113 è solo in parte costituito
dal muro di contenimento della proprietà, che si
sviluppa per una lunghezza di metri 10,95, mentre la
restante parte di tale confine è costituita dal
manufatto interrato che, come si evince dalla pianta
allegata alla relazione di verificazione, si
affaccia direttamente sulla strada per un lunghezza
di poco più di 11 metri con un accesso carrabile di
metri 3,75 munito di portone in ferro scorrevole su
due guide esterne.
Gli esiti della verificazione, dalla quale il
Collegio non ravvisa motivo di discostarsi, rendono
chiaro che solo una delle due strutture interessate
dal progetto presentato dai ricorrenti è un muro che
assolve al contenimento del terreno, mentre l’altra
struttura consiste in un manufatto adibito a
deposito al servizio dell’immobile principale, cui
non può riconoscersi natura di muro di contenimento
nonostante le asserzioni di segno contrario dei
ricorrenti.
A fronte di tali esiti vengono meno i presupposti di
fatto su cui si fondano i ricorrenti, i quali non
hanno chiesto semplicemente di demolire e
ricostruire il muro di contenimento esistente
mantenendolo sul confine stradale, ma pretendono di
demolire e ricostruire anche il locale deposito
senza arretrare da detto confine.
Ciò che, invero, non è possibile ai sensi dell’art.
16 del codice della strada, che vieta ai proprietari
o aventi diritto dei fondi confinanti con le
proprietà stradali fuori dei centri abitati di “costruire,
ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade,
edificazioni di qualsiasi tipo e materiale”
(lett. b), rinviando al regolamento di esecuzione
per la determinazione delle distanze dal confine
stradale entro le quali vigono i divieti di cui al
comma 1, tra cui, per quanto qui di interesse, il
divieto di cui alla lettera b).
Il divieto riguarda, e dunque le distanze si
applicano, non solo alle "nuove costruzioni",
ma altresì alle ricostruzioni di manufatti di
qualsiasi tipo e materiale conseguenti a demolizioni
integrali, come nella fattispecie, e anche ai volumi
interrati, poiché, come affermato dalla
giurisprudenza, il limite di edificabilità in
questione non può essere inteso restrittivamente
come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza
di ostacoli materiali emergenti dal suolo,
suscettibili come tali di costituire pregiudizio
alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle
persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada
per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei
cantieri, per il deposito dei materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni
connesse alla presenza di costruzioni, con il
risultato che il vincolo in questione, traducendosi
in un divieto assoluto di costruire, vale
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 3498
del 2011; TAR Toscana, Firenze, Sez. III 15.05.2013,
n. 806).
Tanto più poi che il locale deposito in argomento,
ricavato all’interno del terrapieno, prospetta
direttamente sulla strada con una apertura
carrabile, suscettibile pertanto di costituire
pregiudizio alla sicurezza della circolazione
stradale e alla incolumità delle persone.
Ne consegue che la demolizione e successiva
ricostruzione del locale interrato è soggetta al
rispetto delle distanze dal confine stradale imposte
dal codice della strada e relativo regolamento di
attuazione (art. 26 richiamato
dall’amministrazione), e l’ANAS legittimamente ha
contestato ai ricorrenti la violazione della fascia
di rispetto stradale, atteso che le richiamate
disposizioni di legge e regolamentari sulle distanze
minime da osservarsi dalle costruzioni a confine con
le strade al di fuori dal perimetro del centro
abitato sono dirette alla protezione di interessi
pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza
della circolazione stradale.
Da quanto fin qui esposto discende altresì
l’infondatezza della seconda censura sollevata in
ricorso, in quanto non è ravvisabile nel
comportamento dell’ANAS alcun eccesso di potere o
difetto di istruttoria, né tantomeno alcun
“capriccio” (memoria di parte ricorrente del
07.02.2012) nel non consentire una “ricostruzione”
che ictu oculi si manifesta come contra
legem.
L’assunto difensivo di parte ricorrente cade anche
con riferimento all’art. 30 del codice della strada,
che non è stato richiamato nel provvedimento
impugnato ma che i ricorrenti richiamano nella
seconda censura del ricorso, in quanto la norma
consente, lungo le strade ed autostrade, la
costruzione e la riparazione solo di quelle opere di
sostegno che assolvano alla esclusiva funzione di
difendere e sostenere i fondi adiacenti, senza
possibilità di ulteriori e diverse destinazioni ed
utilizzazioni, come avviene invece nel caso di
specie.
La comunicazione interna dell’Area Tecnica Esercizio
Strade Statali della Sezione compartimentale
dell’ANAS di Catania del 01.10.2012, depositata in
giudizio dall’Avvocatura dello Stato, evidenzia al
riguardo che “Appare del tutto evidente che la
funzione del muro non è esclusivamente quella che
dovrebbe assolvere (statica), bensì è destinato
congiuntamente ad altri usi (locale adibito a
deposito).” .
Va infine rilevato che neanche il paventato pericolo
di crollo del muro, a prescindere da quanto risulta
dalla verificazione (“al momento non risulterebbe
compromessa la staticità delle strutture” –
relazione di verificazione sub “conclusioni”),
può costituire argomento idoneo a giustificare la
pretesa di parte ricorrente ad ottenere il rilascio
da parte dell’ANAS di un provvedimento illegittimo.
Per le considerazioni esposte, il ricorso in
epigrafe va respinto in quanto infondato; va
conseguentemente respinta la domanda risarcitoria (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 08.11.2013 n. 2721 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).
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EDILIZIA PRIVATA:
Muro di recinzione - Permesso a costruire –
Necessità – Presupposto - Modificazione dell'assetto
urbanistico del territorio.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del
previo rilascio del permesso a costruire allorquando avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto
urbanistico del territorio (Cass. Sez. 3 n. 4755 del
13/12/2007) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' richiesto il
permesso di costruire quando la recinzione determina
un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come
nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno
in calcestruzzo.
Anche per quanto concerne l’istallazione dell’inferriata, la
censura secondo cui tale intervento non necessita del
permesso di costruire non può essere accolta. Infatti, per
costante giurisprudenza di questo Tribunale, è richiesto il
permesso di costruire quando la recinzione determina
un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come
nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno
in calcestruzzo (Tar Campania, Napoli, sez. VII, n.
4261/2012).
Nel caso di specie, come si evince dal
provvedimento impugnato, è stata istallata un’inferriata su m.l.
30 su un muro, sicché anche tale intervento era subordinato
al previo rilascio del permesso di costruire
(TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 18.09.2013 n. 4345 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso di fondi a dislivello, mentre non può considerarsi
costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, il
muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno
naturale, destinato ad impedirne smottamenti o frane, devono
invece considerarsi costruzioni in senso tecnico-giuridico
il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti
all’opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o
per accentuare il naturale dislivello esistente (nella
specie, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del
merito che avevano qualificato come costruzione il manufatto
creato artificialmente dalla parte per consentire
l’ampliamento del piazzale sovrastante di sua proprietà e
fargli da sostegno).
---------------
MASSIMA
2) Con il primo motivo la ricorrente lamenta
la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e
15 delle disposizioni preliminari del c.c., del
principio "iura novit curia" e dell'art. 873
c.c., nonché la contraddittorietà della motivazione.
Deduce che, essendo stato accertato dal C.T.U. che
la convenuta ha realizzato un terrapieno con muro di
contenimento, la Corte di Appello non avrebbe dovuto
applicare il pregresso regolamento edilizio comunale
di Trento, bensì quello sopravvenuto, in vigore a
far data dal 29.02.2004, che all'art. 12, comma 3,
ha introdotto distanze inferiori per i terrapieni e
i riporti con i relativi muri di contenimento.
Rileva, inoltre, che il giudice del gravame non
avrebbe dovuto prendere a riferimento il versante
come innaturalmente inclinatosi a causa dei lavori
eseguiti a valle dal Condominio Ze., non seguiti dal
ripristino dello stato dei luoghi prescritto nella
licenza edilizia, ma avrebbe dovuto considerare solo
l'andamento naturale del piano di campagna, come
ricostruito planimetricamente dal C.T.U. e,
conseguentemente, accertare la piena conformità dei
manufatti all'art. 12 del nuovo regolamento
edilizio.
Il motivo si conclude con la formulazione di tre
quesiti ex art. 366-bis c.p.c., con cui si
chiede:
A) "Se una muratura realizzata nel Comune di Trento avente
funzione di contenimento di retrostante terrapieno
viene disciplinata dall'art. 12 del regolamento
edilizio di / Trento approvato con delibera del
28.01.2004";
B) "se il regolamento edilizio del Comune di Trento è norma
regolamentare integrativa del codice civile sulle
distanze legali e, quindi, se le sue modificazioni
intervenute in corso di causa debbono essere
immediatamente applicate dal giudicante ai fini del
decidere in ogni stato e grado e fino al passaggio
in giudicato, e cioè d'ufficio o essendo comunque
intervenuta richiesta di una parte";
C) "se costituisce motivazione contraddittoria ed in parte
omessa l'avere il giudice dichiarato di condividere
gli accertamenti di cui alla consulenza tecnica da
esso disposta ma poi avere disatteso, senza
motivazione specifica, le stesse risultanze
peritali, nella specie ricostruzione dell'andamento
del piano naturale di campagna manomesso con abuso
edilizio permanente dall'attore-resistente ed
applicazione dell'art. 12, comma 3, del nuovo testo
del regolamento edilizio di Trento esonerativi dalla
distanza di m. 5 dal confine".
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha accertato che i due muri
realizzati dalla Ed., costituenti un'unica
costruzione, "che consente il riempimento con
nuovo terreno del volume creato tra il profilo
originale del pendio ed il parametro interno della
muratura", non rappresentano il contenimento di
un versante franoso a tutela del fondo sottostante,
ma sono destinati al sostegno della parte allargata
del piazzale superiore.
Tale accertamento non può essere riposto in
discussione in questa sede, costituendo espressione
di un apprezzamento in fatto riservato al giudice di
merito ed essendo sorretto da una motivazione immune
da vizi logici, con cui è stato fatto riferimento
alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.
Poiché, dunque, i muri in questione
non hanno la funzione di mero contenimento di un
dislivello naturale, il giudice del gravame ha
ritenuto che essi costituiscono una "costruzione"
in senso tecnico-giuridico, soggetta alla distanza
regolamentare di cinque metri dal confine prescritta
dallo regolamento locale, senza che in relazione a
tali opere possano trovare applicazione le minori
distanze previste, con riferimento ai "muri di
cinta e muri di contenimento", dallo ius
superveniens invocato dalle ricorrente,
rappresentato dall'art. 12 del nuovo regolamento
edilizio del Comune di Trento.
Così decidendo, la Corte di Appello si è uniformata
ai principi più volte enunciati dalla
giurisprudenza, secondo cui, in
caso di fondi a dislivello, mentre non può
considerarsi costruzione, agli effetti delle norme
sulle distanze, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale, destinato ad
impedirne smottamenti o frane, devono invece
considerarsi costruzioni in senso tecnico-giuridico
il terrapieno ed il relativo muro di contenimento
dovuti all'opera dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per n accentuare il naturale
dislivello esistente
(cfr. Cass. 10.01.2006 n. 145; Cass. 21.05.1997 n.
4511; Cass. 11.01.1992 n. 243; Cass. 06.05.1987 n.
4196).
Nel caso di specie, essendosi in
presenza di un manufatto creato artificialmente
dalla convenuta per consentire l'ampliamento del
piazzale sovrastante di sua proprietà e fargli da
sostegno, non par dubbio che tale opera debba essere
considerata una vera e propria "costruzione",
come tale assoggettata al rispetto delle ordinarie
distanze legali dettate in materia dall'art. 873
c.c. e dalle norme integrative locali.
Sotto altro profilo, si osserva che appare
altrettanto evidente che, al fine di valutare la
conformità dell'opera realizzata dalla Ed. alle
prescrizioni regolamentari, si debba tener conto
della situazione dei luoghi quale si presentava
all'epoca della costruzione, e non di quella,
risalente a circa 20 anni prima, esistente al
momento della edificazione effettuata dal Condominio
Ze.. E' alle condizioni attuali dei luoghi, di
conseguenza, che la ricorrente avrebbe dovuto
adeguare la sua costruzione; sicché essa non può
pretendere di sottrarsi all'osservanza della
normativa locale sulle distanze in considerazione
delle modifiche apportate alla originaria pendenza
del terreno in occasione dei pregressi lavori
eseguiti dall'attore.
La convenuta, infatti, ove si fosse ritenuta
danneggiata dagli abusi commessi dalla controparte,
avrebbe potuto eventualmente avvalersi di altri
strumenti, ma non avrebbe certo potuto sentirsi
autorizzata ad eseguire costruzioni a distanza
inferiore a quella prescritta dalle norme legali e
regolamentari Non sussistono, pertanto, le
violazioni di legge e i vizi di motivazione
denunciati dalla ricorrente, essendo la decisione
impugnata sorretta da argomentazioni corrette sul
piano logico e giuridico, con cui è stato fatto buon
governo dei principi affermati in materia di
distanze delle costruzioni dalla giurisprudenza
(Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 17.09.2013 n. 21192).
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EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di confine deve rispettare le distanze tra edifici?
E' una costruzione vera e propria?
Il Decreto Fare ha modificato le
distanze tra edifici. La realizzazione di un muro scatena la
lite tra vicini. Muro di contenimento o sostegno? Il Decreto
Fare: derogabilità del D.M. 1444/1968 da parte della
Regione.
Il motivo è
infondato.
La Corte di Appello ha accertato che i due muri realizzati
dalla Edilvalsugana, costituenti un'unica costruzione, "che
consente il riempimento con nuovo terreno del volume creato
tra il profilo originale del pendio ed il parametro interno
della muratura", non rappresentano il contenimento di un
versante franoso a tutela del fondo sottostante, ma sono
destinati al sostegno della parte allargata del piazzale
superiore.
Tale accertamento non può essere riposto in discussione in
questa sede, costituendo espressione di un apprezzamento in
fatto riservato al giudice di merito ed essendo sorretto da
una motivazione immune da vizi logici, con cui è stato fatto
riferimento alle risultanze della consulenza tecnica
d'ufficio.
Poiché, dunque, i muri in questione non hanno la funzione di
mero contenimento di un dislivello naturale, il giudice del
gravame ha ritenuto che essi costituiscono una "costruzione"
in senso tecnico-giuridico, soggetta alla distanza
regolamentare di cinque metri dal confine prescritta dallo
regolamento locale, senza che in relazione a tali opere
possano trovare applicazione le minori distanze previste,
con riferimento ai "muri di cinta e muri di contenimento",
dallo ius
superveniens
invocato dalle ricorrente, rappresentato dall'art. 12 del
nuovo regolamento edilizio del Comune di Trento.
Così decidendo, la Corte di Appello si è uniformata ai
principi più volte enunciati dalla giurisprudenza, secondo
cui, in caso di fondi a dislivello, mentre
non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme
sulle distanze, il muro di contenimento di una scarpata o di
un terrapieno naturale, destinato ad impedirne smottamenti o
frane, devono invece considerarsi costruzioni in senso
tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento dovuti all'opera dell'uomo per creare un
dislivello artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente
(cfr. Cass. 10.01.2006 n. 145; Cass. 21.05.1997 n. 4511;
Cass. 11.01.1992 n. 243; Cass. 06.05.1987 n. 4196).
Nel caso di specie, essendosi in presenza di un manufatto
creato artificialmente dalla convenuta per consentire
l'ampliamento del piazzale sovrastante di sua proprietà e
fargli da sostegno, non par dubbio che tale opera debba
essere considerata una vera e propria "costruzione",
come tale assoggettata al rispetto delle ordinarie distanze
legali dettate in materia dall'art. 873 c.c. e dalle norme
integrative locali.
Sotto altro profilo, si osserva che appare altrettanto
evidente che, al fine di valutare la conformità dell'opera
realizzata dalla Edilvalsugana alle prescrizioni
regolamentari, si debba tener conto della situazione dei
luoghi quale si presentava all'epoca della costruzione, e
non di quella, risalente a circa 20 anni prima, esistente al
momento della edificazione effettuata dal Condominio XXXX. È
alle condizioni attuali dei luoghi, di conseguenza, che la
ricorrente avrebbe dovuto adeguare la sua costruzione;
sicché essa non può pretendere di sottrarsi all'osservanza
della normativa locale sulle distanze in considerazione
delle modifiche apportate alla originaria pendenza del
terreno in occasione dei pregressi lavori eseguiti
dall'attore. La convenuta, infatti, ove si fosse ritenuta
danneggiata dagli abusi commessi dalla controparte, avrebbe
potuto eventualmente avvalersi di altri strumenti, ma non
avrebbe certo potuto sentirsi autorizzata ad eseguire
costruzioni a distanza inferiore a quella prescritta dalle
norme legali e regolamentari.
Non sussistono, pertanto, le violazioni di legge e i vizi di
motivazione denunciati dalla ricorrente, essendo la
decisione impugnata sorretta da argomentazioni corrette sul
piano logico e giuridico, con cui è stato fatto buon governo
dei principi affermati in materia di distanze delle
costruzioni dalla giurisprudenza.
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 17.09.2013 n. 21192 - link a
www.avvocatocivilista.net). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno
naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti
delle norme sulle distanze, per la parte che adempie alla
sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al
livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui
aderisce, impedendone lo smottamento.
La parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti
all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o
per accentuare il naturale dislivello esistente.
Con
particolare riguardo al muro, sussunto, nel provvedimento
impugnato, nella categoria del muro di contenimento, la
giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, ha
statuito che "il muro di contenimento di una scarpata o di
un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione,
agli effetti delle norme sulle distanze, per la parte che
adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia
l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti
all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o
per accentuare il naturale dislivello esistente" (Corte
di Cassazione, sentenza n. 243 del 11/01/1992; sentenza n.
12763 del 28/11/1991)
(TAR Marche,
sentenza 13.09.2013 n. 634 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di un
muretto di recinzione, accompagnata dall'apposizione di
ringhiere e cancelli metallici, non rientra nel novero delle
opere soggette a concessione edilizia, bensì, per il suo
carattere pertinenziale, nell'ambito delle opere assentibili
con autorizzazione gratuita, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 1 della Legge n. 10/1977 e 7, comma 2, lett. a),
del D.L. n. 9/1982, convertito nella Legge n. 94/1982.
Ne discende che il regime sanzionatorio appropriato non
consiste nell'irrogazione dell'ingiunzione di demolizione,
ma nella comminatoria di una sanzione pecuniaria. (…) Il
Collegio osserva che le opere di recinzione in questione ben
possono essere ricomprese nell'ambito delle "opere
costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio
di edifici già esistenti", di cui all'art. 7 del D.L. n.
9/1982 cit..
Invero, esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che
la consolidata elaborazione giurisprudenziale connette al
concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa
principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una
pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato
legittimamente (…).
Ne deriva che la sanzione irrogabile per le recinzioni
aventi natura pertinenziale, effettuate in assenza della
prescritta autorizzazione gratuita, si concreta in una
misura di carattere pecuniario e non nell'ordine di
demolizione.
A non diverse conclusioni deve poi pervenirsi in relazione
all'ulteriore opera interessata dall'impugnato ordine di
demolizione, rappresentata da un "muretto divisorio posto
circa a metà del terrazzo composto da muro di altezza m.
0,90 e inferriata di altezza m. 1,10, di lunghezza circa m.
9,00, con cancelletto metallico m. 1,10".
Invero, è stato affermato dalla giurisprudenza, in relazione
a siffatta tipologia di opere (cfr. TAR per la Calabria,
Catanzaro, Sez. II, 10.06.2008, n. 647), che "la
realizzazione di un muretto di recinzione, accompagnata
dall'apposizione di ringhiere e cancelli metallici, non
rientra nel novero delle opere soggette a concessione
edilizia, bensì, per il suo carattere pertinenziale,
nell'ambito delle opere assentibili con autorizzazione
gratuita, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1
della Legge n. 10/1977 e 7, comma 2, lett. a), del D.L. n.
9/1982, convertito nella Legge n. 94/1982.
Ne discende che
il regime sanzionatorio appropriato non consiste
nell'irrogazione dell'ingiunzione di demolizione, ma nella
comminatoria di una sanzione pecuniaria. (…) Il Collegio
osserva che le opere di recinzione in questione ben possono
essere ricomprese nell'ambito delle "opere costituenti
pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici
già esistenti", di cui all'art. 7 del D.L. n. 9/1982 cit..
Invero, esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che
la consolidata elaborazione giurisprudenziale connette al
concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo
strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il
mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità
di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non
utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta
dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale
propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente
edificato legittimamente (…).
Ne deriva che la sanzione
irrogabile per le recinzioni aventi natura pertinenziale,
effettuate in assenza della prescritta autorizzazione
gratuita, si concreta in una misura di carattere pecuniario
e non nell'ordine di demolizione" (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 21.06.2013 n. 1377 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le opere di recinzione del terreno non si
configurano come nuova costruzione, per la quale è
necessario il previo rilascio di permesso di costruire,
quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius
excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto
delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere
murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta
da paletti in ferro, la quale costituisce installazione
precaria e non incide in modo permanente sull'assetto
edilizio del territorio.
Diversamente, è invece richiesto il permesso di costruire
quando la recinzione determina una irreversibile
trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di
recinzione costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica o addirittura
inferriata sovrastante il muro al quale poi s'incardinano
cancelli.
La prima argomentazione a supporto del provvedimento impugnato fa
riferimento al mancato rispetto delle formalità previste dal
t.u. edilizia n. 380 del 2001 e al mancato rilascio del
titolo abilitativo (autorizzazione) asseritamente occorrente
per l'intervento.
Tali considerazioni non valgono a fondare la legittimità del
provvedimento impugnato.
La mancanza di autorizzazione edificatoria non costituisce,
in ogni caso, valida giustificazione dell'impugnato ordine
di rimozione.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano,
infatti, come nuova costruzione, per la quale è necessario
il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per
natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios
o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere
murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta
da paletti in ferro, la quale costituisce installazione
precaria e non incide in modo permanente sull'assetto
edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, Tar Liguria I,
20.09.2010 n. 1174; Tar Toscana III, 09.06.2011 n.
1005, Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Lazio,
Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
L'intervento in questione rientra, piuttosto nella portata
residuale degli interventi realizzabili con il regime
semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u.
dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la
rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in
assenza del permesso di costruire, in totale difformità del
medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con
l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal
successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza
della prescritta denuncia di inizio di attività.
Diversamente, è invece richiesto il permesso di costruire
quando la recinzione determina una irreversibile
trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di
recinzione costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica o addirittura
inferriata sovrastante il muro al quale poi s'incardinano
cancelli.
Nel caso di specie l’intervento si sostanzia esclusivamente
nell’apposizione di una rete metallica con paletti di ferro
e senza alcun tipo di opera muraria, con caratteristiche di
precarietà e senza trasformazione effettiva dello stato dei
luoghi.
---------------
Un secondo
ordine di considerazioni fa riferimento alla mancanza di
autorizzazione paesaggistica.
Si osserva preliminarmente che non è contestata l'esistenza
del vincolo.
Ciò premesso, appare irrilevante che la recinzione in esame
(costituita, si ribadisce, da una semplice rete metallica e
da paletti infissi nel terreno e senza opere murarie) sia
stata eseguita senza nulla osta in area vincolata,
trattandosi di opera priva di apprezzabile impatto
ambientale (cfr., in analoga fattispecie, Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
08.05.2007, n. 4821)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 27.05.2013 n. 5276 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di contenimento non è pertinenza.
Secondo giurisprudenza consolidata il
muro di contenimento non può essere considerato pertinenza,
mentre il muro di recinzione necessita del permesso di
costruire quando la recinzione costituisca opera di
carattere permanente, incidendo in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad
esempio se è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica, o da opera
muraria.
La realizzazione ex novo di un muro di recinzione in
cemento armato di rilevanti dimensioni, con sovrastante
ringhiera in ferro e un muro di contenimento, in quanto
strutture autonome e indipendenti e, comunque, di rilevanti
dimensioni non possono configurarsi come opere pertinenziali,
né quale interventi di restauro e risanamento conservativo.
In particolare, secondo giurisprudenza, il muro di
contenimento non può essere considerato pertinenza (TAR
Lombardia Brescia Sez. II, 02.07.2012, n. 1265; TAR Liguria
Genova Sez. I, 31.12.2009, n. 4131) mentre il muro di
recinzione necessita del permesso di costruire quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da
opera muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n.
4755) (massima tratta da www.lexambiente.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.05.2013 n. 2677 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'apposizione di
condizioni al rilascio di un titolo edilizio è ammissibile
soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla
realizzazione dell'intervento costruttivo, sia da un punto
di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento
diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo
edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione
dell'intervento edilizio, stante la natura di accertamento
costitutivo a carattere non negoziale della concessione
stessa. Concedendo spazio al perseguimento di finalità
estranee a quelle sottese al potere esercitato -legato allo
svolgimento dell'attività edificatoria– si finirebbe infatti
per funzionalizzare l'attività amministrativa ad interessi
avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore.
La giurisprudenza ha già avuto modo di dichiarare
illegittime le condizioni che subordinano la validità della
concessione edilizia alla cessione gratuita di aree
destinate alla realizzazione di opere pubbliche, in quanto
condizionare l’assenso all’intervento edilizio a fattori
diversi da quelli di stretta conformità ai richiesti
parametri normativi, appare non in linea con la natura e le
finalità dei poteri dell’amministrazione in materia
edilizia, trattandosi di attività vincolata da specifiche
norme e funzionale al solo accertamento della corrispondenza
degli interventi e dei relativi elaborati progettuali con
tali prescrizioni normative.
---------------
La recinzione di un fondo non può essere ostacolata
dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano
regolatore, in quanto il legittimo esercizio dello jus
excludendi, di per sé, non contrasta con la detta
previsione, non avendo per fine quello di imprimere all'area
una destinazione diversa da quella prevista dalle norme
urbanistiche e non limitando in alcun modo l'amministrazione
nell'esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal
vincolo discendono.
Le censure svolte dal ricorrente appaiono fondate sotto
plurimi profili.
Innanzitutto, il provvedimento di diniego opposto dal Comune
alla richiesta di concessione edilizia non reca adeguata
motivazione in merito all’intervenuta cessazione del vincolo
espropriativo che in precedenza destinava parte dell’area
privata a viabilità pubblica.
L’intenzione palesata dall’amministrazione di condizionare
il rilascio del titolo abilitativo alla previa cessione
della fascia di terreno inscritta nell’ambito dei viabilità
pubblica, non trova infatti giustificazione nella
pianificazione urbanistica all’epoca vigente.
Il punto è di evidente rilievo se si considera che lo "ius
aedificandi" costituisce facoltà insita nel diritto di
proprietà, comprimibile esclusivamente per un contrasto con
esigenze di pubblico interesse recepite nelle prescrizioni
urbanistiche. Se, pertanto, un provvedimento di diniego
presuppone necessariamente che siano evidenziate ipotesi di
contrasto tra l'elaborato progettuale e le prescrizioni
urbanistiche, senza possibilità di limitazioni non
strettamente pertinenti all'aspetto urbanistico, nel caso di
specie tale condizione di contrasto non è rinvenibile,
atteso che all’epoca della presentazione dell’istanza di
concessione, in data 20.04.2006, era già pacificamente
decaduto il vincolo espropriativo potenzialmente configgente
con l’intervento edificatorio.
L’operato della pubblica amministrazione si è svolto,
inoltre, in contrasto con il principio -costantemente
affermato dalla giurisprudenza- secondo il quale
l'apposizione di condizioni al rilascio di un titolo
edilizio è ammissibile soltanto quando si vada ad incidere
su aspetti legati alla realizzazione dell'intervento
costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che
strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto
in una norma di legge o regolamento. Diversamente, non è
possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano
estranee alla fase di realizzazione dell'intervento
edilizio, stante la natura di accertamento costitutivo a
carattere non negoziale della concessione stessa. Concedendo
spazio al perseguimento di finalità estranee a quelle
sottese al potere esercitato -legato allo svolgimento
dell'attività edificatoria– si finirebbe infatti per funzionalizzare l'attività amministrativa ad interessi
avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore (cfr. TAR
Milano sez. IV, 10.09.2010, n. 5655; TAR Trentino
Alto Adige, Trento sez. I, 04.01.2011, n. 2; TAR Lecce
sez. III, 28.09.2012, n. 1623).
La giurisprudenza ha già avuto modo di dichiarare
illegittime le condizioni che subordinano la validità della
concessione edilizia alla cessione gratuita di aree
destinate alla realizzazione di opere pubbliche (cfr. Cons.
St. sez. V, 24.03.2001, n. 1702; TAR Milano sez. II, 18.02.1984, n. 77), in quanto condizionare l’assenso
all’intervento edilizio a fattori diversi da quelli di
stretta conformità ai richiesti parametri normativi, appare
non in linea con la natura e le finalità dei poteri
dell’amministrazione in materia edilizia, trattandosi di
attività vincolata da specifiche norme e funzionale al solo
accertamento della corrispondenza degli interventi e dei
relativi elaborati progettuali con tali prescrizioni
normative.
Sotto diverso profilo, correttamente la difesa di parte
ricorrente richiama il principio giurisprudenziale secondo
il quale la recinzione di un fondo non può essere ostacolata
dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano
regolatore (nel caso di specie peraltro assente), in quanto
il legittimo esercizio dello jus excludendi, di per sé, non
contrasta con la detta previsione, non avendo per fine
quello di imprimere all'area una destinazione diversa da
quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in
alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei poteri,
eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono (cfr. TAR
Bari sez. III, 22.02.2006, n. 572; TAR Catanzaro sez. II, 24.02.2003, n. 351; TAR Milano, sez. II, 20.05.1993 n. 334 e 24.10.1991
n. 1247) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.05.2013 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di applicazione della disciplina delle distanze
legali, il terrapieno deve essere considerato una
costruzione a tutti gli effetti quando completi la struttura
e la funzionalità di un altro corpo di fabbrica
“principale”.
In tema di distanze legali, rientrano nel concetto di
“costruzione”, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., il
terrapieno ed i locali in esso ricompresi, avendo il
medesimo terrapieno la funzione essenziale di stabilizzare
il piano di campagna posto a quote differenti dal fondo
confinante, mediante un manufatto eretto a chiusura statica
del terreno, e potendo, tuttavia, egualmente qualificarsi il
riporto di terra volto a sopraelevare il piano di campagna
allo scopo di coprire degli insediamenti edilizi, senza che
risulti di impedimento alla ravvisata equiparazione del
terrapieno alla “costruzione” la sopravvenuta separazione
del muro di contenimento dal retrostante accumulo di
terreno, in quanto tale muro è soltanto diretto ad eliminare
la pericolosità del riporto, allorché non sia stata
rispettata la distanza solonica di cui all’art. 891 cod.
civ..
---------------
MASSIMA
IX — Vanno esaminati congiuntamente i motivi da
uno a cinque per la loro stretta connessione logica,
rappresentata dall'interpretazione del concetto di
costruzione, se riferito ad un terrapieno ed ai
locali in esso ricompresi, e del valore da
attribuire ad un elemento costruttivo —la
pavimentazione che sormonta detto terrapieno-
adducente all'abitazione principale.
IX.a — Va innanzi tutto statuito che rientra in un
giudizio di fatto —insindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivato— l'accertamento
se persista la caratteristica di "terrapieno"
nel riporto di terreno che abbia perso uno dei
contrafforti —quello verso il confine-: sul punto la
Corte bresciana ha assunto che le innovazioni
apportate, per mezzo di uno scavo a confine, nel
corso del giudizio di primo grado, se avevano reso
impossibile mettere in rapporto il manufatto
confinario così lasciato scoperto ed il retrostante
terreno, tuttavia non avevano eliminato il carattere
di "costruzione" da attribuirsi al detto
riporto -ed alle costruzioni che al suo interno si
trovavano- per lo stretto rapporto che il primo e le
seconde avevano con l'edificio principale.
IX.b — Tale ricostruzione va mantenuta ferma in
quanto il terrapieno, nella sua
espressione più frequente, ha la funzione di
stabilizzare il piano di campagna originariamente
posto, rispetto al confine, a quote differenti dal
terreno del vicino
-e rispetto alla cui finalità è coessenziale la
presenza di un manufatto a chiusura statica del
terreno medesimo-; medesima
qualificazione però deve essere attribuita al
riporto di terra mediante il quale si sopraelevi il
livello dell'originario piano di campagna, anche
allo scopo
—qui caratterizzante la fattispecie-
di coprire degli insediamenti edilizi-;
in entrambe le ipotesi la sopravvenuta
separazione del manufatto —muro di contenimento- dal
retrostante riporto di terra non è di impedimento
alla equiparabilità del terrapieno alla costruzione,
essendo il muro funzionale solo alla eliminazione
della pericolosità statica del riporto, le volte in
cui non sia stata rispettato il principio della c.d.
scarpa o distanza solonica, introdotto dall'art. 891
cod. civ.
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 13.05.2013 n. 11388). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell'attività repressiva in tema di opere
edilizie abusive non è necessaria la previa comunicazione
dell' avvio procedimentale di cui all'art. 7 l. 241/1990,
trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato; sicché
l'ordinanza di demolizione è sufficientemente motivata con
l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera edilizia
e, proprio in quanto atto vincolato, l'ordinanza medesima
non richiede una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una
motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione.
---------------
Avuto riguardo alla natura tipicamente vincolata dell’ordine
di demolizione in esame, l’impugnato provvedimento non
necessitava di una particolare motivazione, diversa da
quella consistente nell’indicazione del tipo di abuso
realizzato dal ricorrente, e delle norme da lui violate.
---------------
La giurisprudenza prevalente considera che la valutazione in
ordine alla necessità della concessione edilizia per la
realizzazione di opere di recinzione vada effettuata sulla
scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle
opere e loro destinazione e funzione.
Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso
di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera
edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio
recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro
o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro
tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle
singole proprietà.
Viceversa, è necessario il permesso di costruire, quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica.
Si legge nell’impugnato provvedimento che i ricorrenti hanno
realizzato “… una recinzione in c.a. dell’altezza fuori
terra di mt. 3,50 circa, dal livello della strada privata
che fronteggia l’area, con tre accessi chiusi da un portone
in ferro. Sul lato della recinzione … è stato realizzato un
muro di contenimento in c.a. dell’altezza variabile tra mt
3,00 e mt. 5,00 con una lunghezza di mt. 38 circa”.
Tale essendo la ricostruzione in fatto operata
dall’amministrazione, e considerato altresì che l’impugnato
provvedimento dà conto che “trattasi di opere realizzate in
assenza di permesso di costruire”, occorre ora stabilire se
tale impianto motivazionale soddisfa il relativo obbligo di
cui all’art. 3 l. n. 241/1990.
A tal riguardo, premette il Collegio che, per condivisa
giurisprudenza amministrativa, “nell'attività repressiva in
tema di opere edilizie abusive non è necessaria la previa
comunicazione dell' avvio procedimentale di cui all'art. 7
l. 241/1990, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente
vincolato; sicché l'ordinanza di demolizione è
sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata
abusività dell'opera edilizia e, proprio in quanto atto
vincolato, l'ordinanza medesima non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una
comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza
di un interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione” (TAR Campania, Salerno, II, 28.11.2012, n.
2161. In senso confermativo, cfr. altresì, ex multis, TAR
Campania, Napoli, III, 04.12.2012, n. 4913; TAR Friuli
Venezia Giulia, I, 20.12.2012, n. 498; TAR Lazio, II,
05.09.2012, n. 7570; TAR Liguria, I, 24.07.2012, n. 1073; TAR
Sardegna, II, 23.07.2012, n. 747).
Tanto chiarito, e venendo ora al caso di specie, reputa
il Collegio che, avuto riguardo alla natura tipicamente
vincolata dell’ordine di demolizione in esame, l’impugnato
provvedimento non necessitava di una particolare
motivazione, diversa da quella consistente nell’indicazione
del tipo di abuso realizzato dal ricorrente, e delle norme
da lui violate. E poiché l’impugnata ordinanza reca compiute
indicazioni in entrambi i sensi or ora menzionati, essa si
sottrae senz’altro alle censure lamentate in parte qua dal
ricorrente.
---------------
Con il secondo
motivo di ricorso, deducono i ricorrenti l’illegittimità
dell’impugnato provvedimento, in quanto assunto sul falso
presupposto dell’assenza di permesso di costruire. A tal
riguardo, deducono i ricorrenti che la presentazione, in
data 15.06.2006, di denuncia di inizio di attività, sia
sufficiente a ritenere integrata la sussistenza di regolare
titolo edilizio.
L’assunto è infondato.
La giurisprudenza prevalente, cui il Collegio aderisce,
considera che la valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione vada effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione (TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2003, n. 6196).
Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso
di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera
edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio
recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro
o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro
tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle
singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV,
08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II,
07.03.2006, n. 533).
Viceversa, è necessario il permesso di costruire, quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica (TAR Campania, Napoli, IV, 03.04.2012, n. 1542;
TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da
opera muraria (Cassazione penale , sez. III, 13.12.2007, n. 4755).
Ciò chiarito, e venendo ora al caso di specie, si legge
nell’impugnato provvedimento che l’abuso in esame consiste
in una recinzione in c.a. dell’altezza fuori terra di mt.
3,50 circa, con tre accessi chiusi da un portone in ferro.
Inoltre, sul lato della recinzione è stato realizzato un
muro di contenimento in c.a. dell’altezza variabile tra mt.
3,00 e mt. 5,00, con una lunghezza di mt. 38 circa.
Avuto riguardo a tale descrizione delle opere in esame, è
pertanto di tutta evidenza che i ricorrenti hanno realizzato
non già una struttura precaria, ma un’opera che, per natura
e dimensioni, può senz’altro definirsi permanente, incidendo
in maniera durevole sull’assetto del territorio.
Ne discende che i ricorrenti avrebbero dovuto premunirsi di
permesso di costruire, non essendo sufficiente una mera
denuncia di inizio attività. E poiché essi non hanno in tal
senso operato, del tutto legittimamente l’amministrazione ha
ordinato la demolizione delle opere da loro abusivamente
realizzate
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 10.05.2013 n. 714 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza ha da
tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni
che si definiscono “muro”, in base alla destinazione del
manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia
unicamente la delimitazione della proprietà, si ricade
nell'ipotesi della “pertinenza”, per cui non è normalmente
necessario il rilascio della concessione ai sensi di quanto
previsto, a contrario, dall’art. 3, comma 1, lett. e.6, del
d.P.R. n. 380 del 2001.
Nel caso in cui il muro sia invece destinato non solo
a recingere un fondo, ma anche a contenere o a sostenere
esso stesso dei volumi ulteriori, l’opera è tale da
presentare una funzione autonoma, sia dal punto di vista
edilizio che da quello economico, con la conseguenza che
fuoriesce dalla nozione edilizia di “pertinenza” e necessita
del permesso di costruire.
In ogni caso ciò che più conta è “l’impegno visivo”
dell’opera, ossia la sua concreta idoneità ad incidere sulla
trasformazione del suolo: beninteso, purché però tale
“impegno” (che deve formare, evidentemente, oggetto di
valutazione da parte dell’amministrazione) sia adeguatamente
valorizzato come parte integrante della motivazione
dell’ordine di ripristino, nel senso che l’amministrazione
deve preoccuparsi di offrire ragionevoli indicazioni
(derivanti, ad esempio, dalle notevoli dimensioni o dalle
modalità costruttive dell’opera) in ordine alla ritenuta
trasformazione del suolo, tali da giustificare il più severo
regime edilizio applicato.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza, anche di questo
TAR (cfr. TAR Piemonte, sez. I, n. 657 del 2003), ha da
tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni
che si definiscono “muro”, in base alla destinazione
del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia
unicamente la delimitazione della proprietà, si ricade
nell'ipotesi della “pertinenza”, per cui non è
normalmente necessario il rilascio della concessione ai
sensi di quanto previsto, a contrario, dall’art. 3, comma 1,
lett. e.6, del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel caso in cui
il muro sia invece destinato non solo a recingere un fondo,
ma anche a contenere o a sostenere esso stesso dei volumi
ulteriori, l’opera è tale da presentare una funzione
autonoma, sia dal punto di vista edilizio che da quello
economico, con la conseguenza che fuoriesce dalla nozione
edilizia di “pertinenza” e necessita del permesso di
costruire (cfr., più di recente, TAR Campania, Napoli, sez.
IV, n. 4275 del 2012).
In ogni caso –è stato anche aggiunto– ciò che più conta è “l’impegno
visivo” dell’opera, ossia la sua concreta idoneità ad
incidere sulla trasformazione del suolo (cfr. TAR Sicilia,
Catania, sez. I, n. 3847 del 2010): beninteso, purché però
tale “impegno” (che deve formare, evidentemente,
oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione) sia
adeguatamente valorizzato come parte integrante della
motivazione dell’ordine di ripristino, nel senso che
l’amministrazione deve preoccuparsi di offrire ragionevoli
indicazioni (derivanti, ad esempio, dalle notevoli
dimensioni o dalle modalità costruttive dell’opera) in
ordine alla ritenuta trasformazione del suolo, tali da
giustificare il più severo regime edilizio applicato.
Nel caso di specie non appare dubbio, in base sia agli atti
versati in giudizio sia alla motivazione dell’ordinanza di
demolizione, che la funzione del muro edificato è unicamente
quella di recingere l’area adibita a deposito e stoccaggio
di materiali industriali, anche al fine di assicurare idonee
condizioni di sicurezza dello stabilimento. Sotto altro
profilo, poi, la motivazione dell’atto, nella sua estrema
sinteticità, non si è preoccupata di individuare i profili
che potevano indurre a ritenere integrata una vera e propria
trasformazione urbanistica del suolo, in modo da
giustificare l’applicazione del regime edilizio della
concessione, in luogo di quello tipico delle opere
pertinenziali.
Emerge, in definitiva, ed allo stato degli atti,
un’oggettiva destinazione pertinenziale dell’opera de qua a
servizio della proprietà, senza particolari problematiche di
compatibilità urbanistica (se non un fugace, e del tutto
generico, accenno –compiuto nell’ordinanza impugnata– a non
meglio definite “difformità da quanto previsto dalle
norme di attuazione del vigente PRGC”), con un quadro di
risulta tale quindi da determinare l’applicazione del più
blando regime edilizio della d.i.a., e la conseguente
inapplicabilità della sanzione ripristinatoria ai sensi
dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Piemonte, Sez.
II,
sentenza 09.05.2013 n. 590 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Accesso carrabile e pedonale da un’area privata su strada ad
uso pubblico senza il consenso del proprietario.
L’amministrazione comunale non può, in
sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire
l’accesso carrabile e pedonale, da un’area privata su una
strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà
di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso da
parte del proprietario.
La compressione delle prerogative del proprietario
conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico
passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di
ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel
caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino
un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento
di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale
l’accesso alla strada di uso pubblico.
Se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di
costruire all’autorità amministrativa sia consentito
costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si
specie: l’obbligo di consentire il passaggio)
indipendentemente dal consenso del proprietario, si
giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione
di una servitù sostanziale (quale quella che consente il
passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei
tassativi modi di costituzione espressamente richiamati
dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della
corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli
1032 e 1053 del medesimo Codice.
Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello
proposto da una società cooperativa edilizia avverso la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo
con cui è stato accolto il ricorso proposto da una società
cooperativa controinteressata e, per l’effetto, è stato
disposto l’annullamento del titolo edilizio rilasciato in
suo favore nel dicembre del 2004 per la parte in cui le ha
consentito di realizzare un accesso carrabile su una strada
privata (ma ad uso pubblico) di proprietà della ricorrente
in primo grado.
Il thema decidendum consiste nello stabilire se
legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di
rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso
–carrabile e pedonale– da un’area privata su una strada ad
uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un
altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi:
vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario
Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma
laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita
risposta in senso negativo.
Al riguardo si osserva in primo luogo:
- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria
viaria in parte di proprietà comunale e in parte di
proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si
configura –almeno in parte– come strada privata di suo
pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade
piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via
Abruzzo e la Via della Scuola);
- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile
che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare
della società appellante ricade in toto nella porzione della
via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal
senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo
giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità –
Mobilità della provincia dell’Aquila).
Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una
controversia avente ad oggetto la delimitazione della
consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione
e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale
civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso
nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada
privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità
indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare
l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non
può dall’altro legittimare il proprietario del fondo
confinante all’apertura di accesso alla strada stessa,
nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi
di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico
del bene privato e che correlativamente non può essere
neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine
necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto
al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”;
pertanto, [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada
Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente,
una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un
accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio
per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla
presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi
fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di
passaggio”.
Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il
giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai
fini della definizione della presente controversia, nel cui
ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti
e degli obblighi delle parti private in lite viene in
rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti
abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.
In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove
ha osservato che la compressione delle prerogative del
proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al
pubblico passaggio non può spingersi (per evidente
eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione
di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di
costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di
compressione volta al soddisfacimento di un interesse
squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla
strada di uso pubblico.
Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di
rilascio del permesso di costruire all’autorità
amministrativa sia consentito costituire sull’area di un
terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire
il passaggio) indipendentemente dal consenso del
proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo
surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale
(quale quella che consente il passaggio attraverso e sul
fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di
costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del
Codice civile e in assenza della corresponsione
dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053
del medesimo Codice.
Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono
in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di
questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 09.06.2008, n.
2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).
Si osserva al riguardo:
- che quella sentenza ha compendiato i princìpi
giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per
l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma
non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo)
relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti
altresì che l’amministrazione possa –in assenza o in
contrasto con la volontà del proprietario– consentire un
accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;
- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha
affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una
strada privata comporta che questa diviene soggetta alla
normale disciplina stradale “e la proprietà privata si
riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena
disponibilità del proprietario quando cessasse la
destinazione stradale”, per altro verso essa non ha
affatto affermato che ciò comporti necessariamente la
possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere
abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se
si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto
dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero
inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le
condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso
pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma
di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza
di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi
dell’articolo 1032 del Codice civile) (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.05.2013 n. 2416 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di contenimento non è una costruzione.
La CORTE D'APPELLO di Venezia, Sez. II civile, nella
sentenza 23.04.2013 n. 969,
chiarisce che il muro di contenimento e la sua (eventuale)
sopraelevazione non costituiscono una costruzione atteso che
il concetto di costruzione non si identifica con quella di
edificio poiché “si estende a qualsiasi manufatto non
completamente interrato avente i caratteri della solidità,
stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante
appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo
di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò
indipendentemente dal livello di posa ed elevazione
dell’opera stessa (Cass. Sentenza n. 15972 del 27/07/2011).
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi
“costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art.
873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica
funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l’altezza della parte naturale o
della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento (Sentenza n. 14 del 10/01/2006).
La parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche (Sentenza n. 145 del 10/01/2006);
rappresentano, invece, certamente costruzioni nel senso
sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un
dislivello artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente (Cass. Sentenza n. 1345 del 10/01/2006;
Cass. Sentenza n. 1217 del 22/01/2010)”.
Di conseguenza: “ritiene questa Corte che per la parte in
cui il muro costituisce contenimento della parete naturale o
scarpata lo stesso non è qualificabile come costruzione,
mentre la parte in sopraelevazione rappresenta “muro di
cinta” ex art. 878 c.c. che non costituisce costruzione ai
fini delle distanze legali perché di altezza inferiore a tre
metri (la sopraelevazione è di circa 83 cm.)”.
La sentenza in commento, per la parte che ivi interessa,
riforma quanto sancito dal TRIBUNALE di Vicenza, Sez. II
civile, con la
sentenza 21.11.2008 n.
1834, che aveva considerato come costruzione la parte
del muro di contenimento costruita in sopraelevazione: “tale
distanza nella fattispecie non risulta osservata, come con
divisibilmente affermato dal consulente tecnico d’ufficio,
posto che il c.d. muro di contenimento, per le illustrate
caratteristiche costruttive, costituisce, quanto meno per la
parte superiore, una vera e propria costruzione.
Dal punto di vista edilizio e civilistico, per integrare il
concetto normativo di costruzione, come più volte affermato
dalla Cassazione, vengono in rilievo tutti gli elementi
costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione,
aventi i caratteri della stabilità e dell’immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste
dimensioni con funzioni meramente decorativa e di
rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabili.
Anche la migliore dottrina include nella nozione di
“costruzione” non solo l’opera che abbia le caratteristiche
di un edificio o di altra fabbrica in muratura, ma anche
qualsiasi altra opera edilizia che presenti carattere di
solidità, stabilità e di immobilizzazione rispetto al suolo,
ancorché manchi di propria individualità ed autonomia in
quanto costituente un semplice accessorio del fabbricato.
Per quanto più specificamente concerne la problematica del
muro c.d. di contenimento, la giurisprudenza di legittimità
afferma che “in tema di distanze legali, il muro di
contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non
può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina
di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua
specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello
del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete
naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce,
impedendone lo smottamento; la parte di muro che si innalza
oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto
priva della funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle
sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso
tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono
ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento elevati dall’opera dell’uomo per creare un
dislivello artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente” (Cassazione civ., sez. II, 10.01.2006
n. 145; in senso sostanzialmente conforme Cassazione n.
8144/2005)” (tratto da e link a http://venetoius.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche un rialzamento del terreno realizzato a opera
dell’uomo può integrare gli estremi della costruzione
secondo quanto previsto dall’art. 873 c.c., tenuto conto che
ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali la
nozione di costruzione non si identifica con quella di
edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della
solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche
mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un
corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di elevazione
dell’opera.
Nel caso di dislivello derivante dall’opera
dell’uomo devono ritenersi costruzioni, in senso tecnico
giuridico, il terrapieno e il relativo muro di contenimento
che lo abbiano prodotto o che abbiano accentuato quello già
esistente per la natura dei luoghi.
---------------
MASSIMA
3. I due motivi, tra loro collegati,
possono essere esaminati congiuntamente risolvendosi
nell'unitaria censura della sentenza che ha escluso
la natura di costruzione alla sopraelevazione
artificiale del piano di campagna da parte del
confinante. I motivi si concludono con la
formulazione di un quesito per ciascun motivo.
Il primo quesito è diretto a stabilire se per
costruzione debba intendersi anche quella realizzata
con riporto di terreno con il quale venga
artificialmente aumentato il piano naturale del
fondo rispetto a quello confinante e comunque il
dislivello naturale tra due fondi, indipendentemente
dallo spessore e dal volume del terrapieno.
Il secondo quesito è diretto a stabilire se è
soggetto all'obbligo delle distanze, in quanto
equiparabile a costruzione, anche il terrapieno
realizzato artificialmente anche se non appoggiato
ad un muretto di contenimento.
4. I motivi sono infondati.
Il giudice di appello ha escluso che la
realizzazione del terrapieno costituisse "costruzione"
sulla base di due rationes decidendi, una
delle quali costituita dalla modestia
dell'intervento realizzato con semplice apporto di
terra su terra per pochi centimetri di altezza.
Occorre premettere:
- che in sede possessoria era stato richiesto di riportare la quota
del terreno al livello preesistente per la distanza
di metri cinque dal confine,
- che è pacifico che la quota del terreno è stata rialzata
artificialmente di pochi centimetri e senza la
realizzazione di muratura di contenimento;
- che non è controverso in causa che la violazione delle distanze
possa costituire molestia nel possesso, come d'altra
parte già affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale la violazione delle distanze
legali nelle costruzioni integra una molestia al
possesso del fondo finitimo, contro la quale è data
l'azione di manutenzione, perché anche quando non ne
comprime di fatto l'esercizio, apporta
automaticamente modificazione o restrizione delle
relative facoltà (v. Cass. 03/07/1998 n. 6483; Cass.
23/01/1995 n. 724; Cass. 19/03/1991 n. 2927; Cass.
09/09/1989 n. 3911).
Questa Corte ha, inoltre, di recente riaffermato il
principio, qui condiviso, secondo il quale
anche un rialzamento del terreno realizzato
ad opera dell'uomo può integrare gli estremi della
costruzione secondo quanto previsto dall'art. 873
c.c., tenuto conto che ai fini dell'osservanza delle
norme sulle distanze legali la nozione di
costruzione non si identifica con quella di edificio
ma si estende a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della
solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo,
anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica
preesistente o contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di
elevazione dell'opera
(Cass. 20/07/2011 n. 15972).
Già in precedenza era consolidato l'orientamento
secondo il quale nel caso di
dislivello derivante dall'opera dell'uomo devono
ritenersi costruzioni in senso tecnico-giuridico il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento che
lo abbiano prodotto o che abbiano accentuato quello
già esistente per la natura dei luoghi
(v. Cass. 15/06/2001 n. 8144; Cass. 02/02/2000 n.
1134; Cass. 21/05/1997 n. 4541).
Tuttavia questi principi non sono applicabili alla
fattispecie nella quale è stato escluso dalla Corte
di Appello con motivazione di puro merito, che
l'opera di sistemazione del terreno in concreto
realizzata possa essere qualificata come costruzione
anche tenendo conto dei criteri elaborati da questa
Corte per l'individuazione dell'ambito della nozione
di costruzione.
Questa valutazione, in primo luogo, esclude la
dedotta violazione dell'art. 873 c.c. che impone di
rispettare, nelle costruzioni, le distanze legali
eventualmente anche maggiori stabilite dai
regolamenti locali (nel caso concreto 5 metri).
Il non avere riconosciuto che non è costruzione il
riporto di pochi centimetri di terreno sul suolo non
significa non avere ricondotto il fatto accertato
alla fattispecie di legge (art. 873 c.c.) in quanto
a tal fine sono state valorizzate circostanze tali
da escludere il presupposto in fatto di
applicabilità della norma, ossia l'esistenza di una
costruzione anche nell'accezione recepita dalla
giurisprudenza di legittimità; ciò comporta che
neppure è messo in discussione il principio per il
quale le disposizioni sulle distanze legali non
lasciano al giudice nessun margine di accertamento e
di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti
dalla loro inosservanza e, in particolare, alla
formazione di eventuali intercapedini (dannose o
pericolose), avuto riguardo alle finalità di natura
pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano
(Cass. n. 213/2006; n. 15367/2001, n. 8023/1999, n.
12195/1998).
Infine non messo in discussione il principio
dell'assolutezza del diritto reale che non tollera
limitazioni e la cui tutela non può quindi essere
subordinata alla prova di un pregiudizio (cfr. ex
multis Cass. 12/10/2009 n. 21629).
In conclusione, una volta escluso che la decisione
impugnata si ponga in diretto contrasto con la
disposizione che si assume violata (art. 873 c.c.),
la questione si riduce a stabilire se sia
ravvisabile il pur dedotto vizio di motivazione in
ordine alla qualificazione dell'intervento e, in
particolare, se nell'escludere che tale intervento
possa essere considerato una "costruzione"
possa ravvisarsi un contrasto con la nozione
elaborata dalla giurisprudenza quanto alle
caratteristiche della costruzione ai fini del
rispetto delle distanze legali (riemergendo, solo in
caso di accertato contrasto, anche il vizio di falsa
applicazione dell'art. 873 c.c.).
A questo punto riacquista rilevanza il giudizio
sulla astratta idoneità alla creazione di
intercapedini nocive (cfr. Cass. 12/02/1998 n.
1509). Infatti l'art. 873 c.c., nello stabilire per
le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima
di tre metri dal confine o quella maggiore fissata
dai regolamenti locali, si riferisce, in relazione
all'interesse tutelato dalla norma, non
necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi
manufatto avente caratteristiche di consistenza e
stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e
che, inoltre, per la sua consistenza, abbia
l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli
alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della
proprietà, idoneità il cui accertamento è rimesso al
giudice di merito (Cass. 06/03/2002 n. 3199; Cass.
17/12/2012 n. 23189).
Nella specie, la Corte di merito, nel rispetto dei
criteri elaborati dalla giurisprudenza quanto alla
nozione di costruzione, ha valorizzato il dato
(certo) della irrilevante fuoriuscita dal suolo,
implicitamente, ma inequivocabilmente escludendo
anche l'astratta possibilità di creazione di
qualsivoglia intercapedine, trattandosi di un mero
intervento di sistemazione del terreno con l'apporto
di terra e all'esito del quale la quota è risultata
più elevata per pochi centimetri (circa 50
centimetri secondo il ricorrente).
I due motivi sono pertanto infondati e al primo
quesito di diritto occorre dare risposta
negativa nel senso che la
sopraelevazione di pochi centimetri del terreno come
conseguenza di una mera sistemazione del suolo con
l'apporto di terra senza che si realizzi, per la
modestissima variazione della quota, neppure
l'astratta possibilità del formarsi di intercapedini
non costituisce costruzione.
Il secondo quesito pur affermando un
principio pacifico (e soggetto all'obbligo delle
distanze il terrapieno artificialmente realizzato
anche se non appoggiato ad un muretto di
contenimento), non pertinente alla fattispecie in
quanto, con accertamento adeguatamente motivato il
giudice del merito ha ritenuto per la irrilevanza
della variazione della quota altimetrica non
sussistano i requisiti minimi affinché l'intervento
sul terreno possa essere qualificato come
costruzione.
5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato;
tuttavia, quanto alle spese di questo giudizio di
cassazione, non si può non considerare che nella
valutazione in fatto i giudici dei due gradi di
merito hanno espresso (in forma molto sintetica
quelle del giudice di appello) valutazioni opposte,
pur nella comune e dichiarata adesione, sia da parte
del giudice di primo grado che da parte del giudice
di appello ai principi di diritto elaborati dalla
giurisprudenza di questa Corte (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 16.04.2013 n. 9179). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le opere di recinzione di un edificio rientrano
nel concetto di pertinenza, attesa la destinazione a scopo
di protezione e delimitazione della cosa principale, senza
che alle stesse possa essere riconosciuta alcuna sostanziale
autonomia funzionale.
---------------
Non possono svolgersi opere di ristrutturazione o di
manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, mai
oggetto di sanatoria edilizia; né tale ulteriore attività
costruttiva può spiegare effetto preclusivo sulla potestà di
reprimere l'opera abusiva nella sua interezza.
Infatti, «in presenza di manufatti abusivi non sanati, né
condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili,
nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione
straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere
che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del
Comune di ordinarne la demolizione».
Invero, le opere di recinzione di un edificio rientrano nel
concetto di pertinenza, attesa la destinazione a scopo di
protezione e delimitazione della cosa principale, senza che
alle stesse possa essere riconosciuta alcuna sostanziale
autonomia funzionale (TAR Napoli Campania sez. II 11.09.2009 n. 4935).
Di conseguenza, ferma restando la
natura abusiva del fabbricato, colpito da più ordinanze di
demolizione citate nell’atto impugnato, nella fattispecie
deve applicarsi il principio secondo cui «non possono
svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione
straordinaria su un manufatto abusivo, mai oggetto di
sanatoria edilizia; né tale ulteriore attività costruttiva
può spiegare effetto preclusivo sulla potestà di reprimere
l'opera abusiva nella sua interezza» (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 12.11.2010 n. 24017); infatti, «in
presenza di manufatti abusivi non sanati, né condonati, gli
interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro
oggettività, alle categorie della manutenzione
straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere
che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del
Comune di ordinarne la demolizione» (TAR Napoli Campania
sez. VI 06.02.2013 n. 760 TAR Napoli Campania sez. VI 02.01.2013 n. 10; TAR Napoli Campania sez. VI
02.05.2012 n. 2000; TAR Napoli Campania sez. VI 02.05.2012 n. 2006).
Nel caso in esame, non risultando istanze o
provvedimenti di condono, si rivela legittimo il diniego
opposto dal Comune di Marcianise oggetto della presente
impugnazione (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 11.04.2013 n. 1955 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’imponenza della
recinzione che si estende per una lunghezza di circa 346
metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia
dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che
necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo.
La realizzazione
di una recinzione che presenti un elevato impatto
urbanistico deve essere preceduta ex l. 10/1977 da
provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione
comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza
di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di
scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’interevento
non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale,
estetica e funzionale.
La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello
jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica
concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo
profilo appare utile rammentare la decisione secondo la
quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro
tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni
del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi
alios"; occorre, invece, la concessione, quando la
recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso senso la più recente secondo cui “Necessita di
concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico
realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce
una significativa trasformazione urbanistica del territorio,
a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque
natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046;
sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di
manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la
realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche
vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli
impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta
comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di
attività di trasformazione del territorio mediante
un’attività antropica tesa alla formazione di un opus
espressione di ius utendi (come nel caso di specie) più che
di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante
dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli
elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza
possono anche risultare diversi da quelli oggetto di
intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti
né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente,
non potendosi dare origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte
secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non
necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la
stessa venga attuata con opere non permanenti; il
provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando
venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui
rientra la zoccolatura in calcestruzzo”.
Ad ogni modo, risulta corretta la ricostruzione giuridica operata dal
primo Giudice in ordine alla necessità che la recinzione de
qua fosse preceduta da titolo edilizio, atteso che la
giurisprudenza sia di questo Consiglio che della Suprema
Corte di Cassazione ritiene che la realizzazione di una
recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba
essere preceduta ex l. 10/1977 da provvedimento concessorio
da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta
necessario solo in presenza di una trasformazione che per
l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le
dimensioni dell’interevento non comportino un’apprezzabile
alterazione ambientale, estetica e funzionale.
La
distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello
jus
excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica
concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo
profilo appare utile rammentare la decisione di questa
Sezione (Cons. Stato Sez. V, 26-10-1998, n. 1537), secondo
la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per
modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e
cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in
quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus
excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando
la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso
senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n.
976: “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un
fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in
quanto produce una significativa trasformazione urbanistica
del territorio, a prescindere dalla realizzazione di
volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI,
23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555
secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per
sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti
manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o
mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti,
fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie
in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del
territorio mediante un’attività antropica tesa alla
formazione di un opus espressione di ius utendi (come nel
caso di specie) più che di ius aedificandi; l’elemento
ontologico qualificante dell’attività di manutenzione
ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e
mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da
quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo
elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente
diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un
quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della
Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30.09.1988),
secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non
necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la
stessa venga attuata con opere non permanenti; il
provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando
venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui
rientra la zoccolatura in calcestruzzo” (cfr. in aggiunta
Cass. pen., sez. III, 02.10.2010, n. 41518; sez. III, 13.12.2007).
Nella fattispecie l’imponenza della
costruzione che si estende per una lunghezza di circa 346
metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia
dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che
necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.04.2013 n. 1922 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune può certamente dettare prescrizioni circa le modalità
tecniche da osservare nella realizzazione delle recinzioni,
nell'ambito della propria potestà pianificatoria, ma non può
precluderne in toto l'edificazione, essendo pertanto
illegittimo un generalizzato divieto di recinzione dei
fondi.
Sono parimenti fondate le censure rivolte avverso gli
artt. 31.3.6 e 32.5.1 delle N.T.A., nella parte in cui
vietano qualsiasi tipo di recinzione delle proprietà nelle
zone agricole E1 ed E2.
Il Comune può certamente dettare prescrizioni circa le
modalità tecniche da osservare nella realizzazione delle
recinzioni, nell'ambito della propria potestà pianificatoria,
ma non può precluderne in toto l'edificazione, essendo
pertanto illegittimo un generalizzato divieto di recinzione
dei fondi (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 05.02.2008 n.
40), come invece avvenuto nel caso di specie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza
21.03.2013 n. 751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
forza dell’art. 878 del codice civile “il muro di cinta e
ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore
ai tre metri non è considerato per il computo della distanza
indicata dall'articolo 873 cod. civ.”.
In linea generale tuttavia quando un intervento edilizio
determini (o faccia venir meno) un dislivello rispetto al
fondo interessato, si realizza una modifica del terreno
normalmente assimilata a una nuova costruzione, ed il muro
che delimita il terrapieno perde la qualificazione di muro
di cinta per assumere quella di muro di sostegno.
In tal senso la Corte di Cassazione ha affermato che “In
tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora
l'andamento altimetrico del piano di campagna
-originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia
stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro
di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato
"ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto,
equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al
rispetto delle distanze legali tra costruzioni”.
In forza dell’art. 878 del codice civile
“il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia
un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il
computo della distanza indicata dall'articolo 873 cod. civ.”.
In linea generale tuttavia quando un intervento edilizio
determini (o faccia venir meno) un dislivello rispetto al
fondo interessato, si realizza una modifica del terreno
normalmente assimilata a una nuova costruzione, ed il muro
che delimita il terrapieno perde la qualificazione di muro
di cinta per assumere quella di muro di sostegno (cfr.
sentenza Sezione 24/08/2012 n. 1462).
In tal senso la Corte
di Cassazione (sez. II civile – 04/06/2010 n. 13628) ha
affermato che “In tema di muri di cinta tra fondi a
dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di
campagna -originariamente livellato sul confine tra due
fondi- sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi
che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un
terrapieno creato "ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada,
per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale
assoggettato al rispetto delle distanze legali tra
costruzioni”.
Nel caso di specie, tuttavia, parte ricorrente ha
argomentato in fatto (fornendo in proposito documentazione
probante) la preesistenza di un manufatto in muratura che
cingeva le proprietà laterali, il quale è stato ripristinato
come in origine, sistemando il terreno alla stessa quota di
quelli limitrofi; né in giudizio sono stati esibiti elementi
di prova in senso contrario, stante la mancata costituzione
dell’amministrazione e della controinteressata.
Il Collegio
deve quindi applicare l’art. 64 del codice del processo
amministrativo il quale statuisce che “Spetta alle parti
l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella
loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento
delle domande e delle eccezioni” (comma 1) e che “Salvi i
casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti
nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti
costituite” (comma 2). In effetti, a fronte del ripristino
di un muro già esistente e posizionato in loco, deve
ritenersi che la modifica artificiale abbia ricondotto la
situazione dei luoghi allo stadio originario, recuperando il
muro stesso al suo andamento “storico” e naturale. In
presenza di tale peculiare condizione non è applicabile
l’orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto al
precedente paragrafo, e l’opera deve ritenersi ammissibile
in quanto rispondente alle condizioni introdotte dall’art.
878 del c.c.
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 19.03.2013 n. 273 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
può affermarsi che i terrapieni trattenuti dai muri in
questione abbiano prodotto un dislivello oppure abbiano
aumentato il dislivello già esistente per la natura dei
luoghi, presupposto che deve invece sussistere perché i muri
possano qualificarsi quali costruzioni.
Esclusa la natura di costruzioni delle opere realizzate ed
attesa la funzione svolta, di sostenere il terreno al fine
evitare movimenti franosi, esse non sono computabili ai fini
delle distanze e non violano la destinazione impressa dal
p.r.g. all’area in questione, né sono, tantomeno, soggette
alle disposizioni che regolano le recinzioni.
Con il primo ed il
secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la
violazione dell'art. 34 delle n.t.a. in relazione all'art.
1, l. n. 10/1977, essendo i terreni inseriti in zona F1 ed
inedificabili ed in quanto la norma tecnica di attuazione
consentirebbe la realizzazione di recinzioni e non di
terrazzamenti con relativi muri di sostegno.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 5 delle n.t.a., la quale prescrive la distanza
minima delle costruzioni di cinque metri dal confine: a suo
avviso, i muri in questione ed i retrostanti terrapieni, che
sarebbero stati realizzati artificialmente, sarebbero delle
costruzioni, tenute al rispetto delle distanze legali.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché
strettamente connessi sul piano logico e giuridico, sono
privi di fondamento.
Il Collegio è dell’avviso che l’attività istruttoria
compiuta nel corso del giudizio civile che si è svolto tra
le medesime parti -e che si è concluso con la sentenza del
Tribunale di Milano n. 607/2007 del 17.04.2007, parzialmente
riformata dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza n.
500/12 del 09.02.2012- sia esaustiva e che possa,
pertanto, disattendersi ogni richiesta di consulenza tecnica
d’ufficio avanzata dal ricorrente.
La consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Corte
d’Appello di Milano –al fine di ottenere chiarimenti in
merito alle conclusioni espresse dalla consulenza tecnica
depositata nel giudizio di primo grado- ha accertato la
funzione di contenimento dei muri e la loro necessità al
fine di evitare “il denudamento, il franamento e/o lo
scivolamento della terra naturale”.
Queste valutazioni sono state recepite nella sentenza della
Corte d’Appello n. 500/2012 del 09.02.2012, che ha
escluso la natura di "costruzioni", agli effetti della
disciplina di cui all'art. 873 c.c., dei muri e dei
terrazzamenti realizzati dai sig.ri Luigi Pietroboni e
Silvio Pietroboni e quindi la violazione della distanza dal
confine, quale prescritta dallo strumento urbanistico
vigente.
Il Collegio condivide le conclusioni cui è giunta la Corte
d’Appello, ritenendo che -alla luce di quanto accertato
dalle consulenze tecniche rese nel corso del giudizio civile- non possa affermarsi che i terrapieni trattenuti dai muri
in questione abbiano prodotto un dislivello oppure abbiano
aumentato il dislivello già esistente per la natura dei
luoghi, presupposto che deve invece sussistere perché i muri
possano qualificarsi quali costruzioni (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
Né assume rilievo, ai fini della qualificazione
dell’intervento, la circostanza che l’amministrazione abbia
rilasciato un permesso di costruire in sanatoria: il
rilascio di un permesso di costruire è previsto all’art. 10
d.P.R. n. 380/2001 anche per la realizzazione di interventi
diversi dalle nuove costruzioni e, comunque, non incide
sulla qualificazione delle opere con esso assentite.
Esclusa la natura di costruzioni delle opere realizzate ed
attesa la funzione svolta, di sostenere il terreno al fine
evitare movimenti franosi, esse non sono computabili ai fini
delle distanze e non violano la destinazione impressa dal
p.r.g. all’area in questione, né sono, tantomeno, soggette
alle disposizioni che regolano le recinzioni.
Non sussiste quindi la violazione degli artt. 5 e 34 delle
n.t.a.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.03.2013 n. 645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Non è necessaria la concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno e
senza muretto di sostegno.
Entro tali limiti, infatti, la recinzione rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
“ius excludendi alios”, e non comporta di norma
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, a
differenza di altre e diverse ipotesi in cui la recinzione
stessa non assume solo la funzione ora descritta ma dà luogo
ad una trasformazione ulteriore mediante installazione di
elementi non strettamente necessari alla sua primaria
funzione, quali, ad esempio, un muretto di sostegno in
calcestruzzo lungo tutto il perimetro.
Tale conclusione deve ritenersi applicabile anche ai
relativi cancelli, che ugualmente, se inseriti nella
recinzione non costituita da una semplice rete, dà luogo a
trasformazione urbanistica tale da richiedere la concessione
edilizia (oggi permesso di costruire), con conseguente
legittima irrogazione della sanzione ripristinatoria di cui
all’art. 7 della legge n. 47/1985, ove tale concessione non
sia stata rilasciata.
Privo di pregio è
anche l'ulteriore motivo, con cui il ricorrente sostiene che
“la recinzione in rete metallica di un fondo con cancello
di ingresso incorporato”, non raggiungendo la soglia di
rilevanza urbanistica, non necessiterebbe di titolo
concessorio e, conseguentemente, l’abusiva realizzazione
della stessa non sarebbe suscettibile di sanzione
ripristinatoria, ex art. 7 della legge n. 47/1985, ma solo
di sanzione pecuniaria; la questione, peraltro, sarebbe
stata definitivamente risolta dal D.L. 22.07.1996, n. 388,
vigente al momento dell’adozione dell’impugnato diniego, che
avrebbe sottoposto le recinzioni, muri di cinta e cancellate
a semplice denuncia di inizio di attività, prevedendo, in
assenza della DIA, l’irrogazione della sola sanzione
pecuniaria.
Va, innanzitutto, rilevato a riguardo che la recinzione per
cui è causa, secondo la descrizione fattane nella
dichiarazione allegata alla domanda di condono e nella
diffida a demolire, è in muratura (“costruzione dei muri
di recinzione del lotto con cancello su strada”), e che,
la sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta -per
sua natura incompatibile con ogni manufatto, che alteri lo
stato dei luoghi e sia destinato a soddisfare esigenze
costanti nel tempo, a prescindere dai materiali usati e
dalle tecniche costruttive– è di per sé sufficiente a
giustificarne la demolizione, unitamente al cancello nella
stessa incorporato.
Va, comunque, precisato, che, secondo la prevalente
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, non è necessaria la
concessione edilizia (oggi permesso di costruire) per
modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e
cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno
(cfr., ex multis, TAR Veneto, sez. II, 07.03.2006, n.
533; TAR Campania, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Emilia
Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82).
Entro tali limiti, infatti, la recinzione rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius
excludendi alios”, e non comporta di norma
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, a
differenza di altre e diverse ipotesi in cui la recinzione
stessa non assume solo la funzione ora descritta ma dà luogo
ad una trasformazione ulteriore mediante installazione di
elementi non strettamente necessari alla sua primaria
funzione, quali, ad esempio, un muretto di sostegno in
calcestruzzo lungo tutto il perimetro (cfr., ex multis,
TAR Basilicata, 19.09.2003, n. 897; TAR Liguria, I,
11.09.2002, n. 961; TAR Toscana, I, 26.03.2009, n. 521; TAR
Toscana, II, 13.10.2009, n. 1532).
Tale conclusione deve ritenersi applicabile anche ai
relativi cancelli, che ugualmente, se inseriti nella
recinzione non costituita da una semplice rete, dà luogo a
trasformazione urbanistica tale da richiedere la concessione
edilizia (oggi permesso di costruire) (cfr., TAR Lombardia,
Brescia, n. 574/2011; TAR Campania, VII, n. 1222/2009; TAR
Lazio, II, n. 8777/2008), con conseguente legittima
irrogazione della sanzione ripristinatoria di cui all’art. 7
della legge n. 47/1985, ove tale concessione non sia stata
rilasciata.
Né può fondatamente invocarsi l’applicazione del D.L. n.
388/1996, essendo l’ambito di operatività dello stesso
circoscritto alle nuove costruzioni e non a quelle già
realizzate oggetto di istanza di condono (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2013 n. 405 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Si
ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo
le recinzioni che non configurino un'opera edilizia
permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di
immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete
metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza
muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in
essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios
o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.
Al contrario, occorre il permesso di costruire quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica o da opera muraria.
- che invero, come costantemente ritenuto
dalla giurisprudenza, si ritengono esenti dal regime del
permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino
un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio
recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro
o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro
tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle
singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV,
08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II,
07.03.2006, n. 533); al contrario occorre il permesso di
costruire, quando la recinzione costituisca opera di
carattere permanente, incidendo in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad
esempio se è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR
Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera
muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n.
4755);
-
atteso che nel caso di specie, la natura e le dimensioni
della recinzione realizzata abusivamente dal ricorrente,
costituita da muretto di base e sovrastante cancellata,
richiedeva il permesso di costruire;
- ne consegue che, respinta la sanatoria, l’ordine di
demolizione impartito risulta legittimo
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.02.2013 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Il muro di contenimento non è costruzione ex
art. 873 c.c..
Come
costantemente affermato dalla Suprema Corte in tema di
distanze legali: <<…il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art.
873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica
funzione e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o
della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento>> (cfr. da ultimo Cassazione civile, sez. VI,
13.09.2012, n. 15391).
Ad
analoghe conclusioni deve pervenirsi per la parte di muro
sopraelevata sul muro di contenimento a scopo di recinzione,
che non può, ai sensi dell’art. 878, co. 1 c.c., essere
considerata ai fini del computo delle distanze, laddove
l’altezza complessiva sia contenuta nei limiti fissati dalla
normativa comunale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.11.2012 n. 2687 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Per “muro di
cinta”, nella dizione di cui alla legge n. 662/1996,
possono intendersi quelle opere di recinzione, non
suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la
conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale
in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare,
proteggere o eventualmente abbellire la proprietà. Esse in
quanto aventi natura pertinenziale sono assoggettate, nel
sistema vigente all’epoca della adozione dell’atto
impugnato, della denuncia di inizio attività prevista e
disciplinata dall’art. 62 della legge n. 662/1996.
Diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. "muri
di contenimento", che si differenziano sostanzialmente
dalle mere recinzioni non solo per funzione, ma anche, come
innanzi precisato, perché servono a sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per
assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono
presentare necessariamente una struttura idonea, per
consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla
funzione di contenimento.
Pertanto, il muro di contenimento, pur potendo avere, in
rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante
funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo
edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non
essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di
propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili
dianzi evidenziati. Il che esclude la sua riconducibilità al
concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza
delle modifiche che esso produce sia la necessità della
concessione edilizia, sia la legittimità, a torto
contestata, dell'applicazione della misura demolitoria
prevista per il caso di assenza di concessione.
Ed infatti, dal contenuto del
verbale di sopralluogo citato, e dalle risultanze della CTU
si ricava che il muro in questione non può qualificarsi
quale “muro di cinta”, ma, risulta costruito per “evitare
l’ulteriore dilavamento del terreno”. Da tali
dichiarazioni si ricava quindi che il muro in questione è
stato realizzato dalla ricorrente, asseritamente, quale
opera muraria al fine di prevenire possibili smottamenti del
terreno.
Da tali risultanze si ricava che l’opera in questione va
qualificata come “muro di contenimento” le cui
caratteristiche lo differenziano sostanzialmente dal muro
c.d. “di cinta” .
A parere del Collegio, per “muro di cinta”,
nella dizione di cui alla legge n. 662/1996, possono
intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di
modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del
terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno
esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o
eventualmente abbellire la proprietà. Esse in quanto aventi
natura pertinenziale sono assoggettate, nel sistema vigente
all’epoca della adozione dell’atto impugnato, della denuncia
di inizio attività prevista e disciplinata dall’art. 62
della legge n. 662/1996.
Diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. "muri
di contenimento", che si differenziano
sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per funzione,
ma anche, come innanzi precisato, perché servono a sostenere
il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello
stesso. Per assolvere a siffatta funzione, i muri di
contenimento devono presentare necessariamente una struttura
idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere
alla funzione di contenimento.
Pertanto, il muro di contenimento, pur potendo avere, in
rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante
funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo
edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non
essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di
propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili
dianzi evidenziati. Il che esclude la sua riconducibilità al
concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza
delle modifiche che esso produce sia la necessità della
concessione edilizia, sia la legittimità, a torto
contestata, dell'applicazione della misura demolitoria
prevista per il caso di assenza di concessione.
Nella specie, la scrupolosa indagine del CTU consente di
ritenere che, per entità, estensione, tipologia, la serie di
muri realizzata –a prescindere da una effettiva idoneità
concreta- non può considerarsi una mera recinzione del
fondo, ma si propone anche una funzione di contenimento, e
come tale va assoggettata all’obbligo di preventivo rilascio
del titolo edilizio, anche in considerazione della sua
esecuzione in zona vincolata paesaggisticamente
(TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 26.10.2012 n. 4275 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Opera pertinenziale al servizio di
edifici già esistenti - recinzione - è soggetta non a
concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - è
soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione
gratuita - il potere sanzionatorio in materia edilizia.
La giurisprudenza è univoca e costante nell’affermare che,
ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 9 del 1982, ogni opera
pertinenziale al servizio di edifici già esistenti, tra le
quali rientra anche una recinzione, nella misura in cui se
ne accerti l’effettiva funzione pertinenziale nei riguardi
di un fabbricato già esistente, è soggetta non a concessione
edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita.
Pertanto, poiché nel provvedimento si fa riferimento ad una
mera recinzione -e non già ad una opera più complessa, quale
una recinzione composta da muro di sostegno con sovrastante
rete metallica, che costituendo una vera e propria
costruzione idonea a modificare l’assetto
urbanistico-edilizio del territorio, avrebbe comportato il
previo rilascio del titolo concessorio- si appalesa
illegittimo il provvedimento con il quale il Sindaco ha
ordinato la demolizione della recinzione dell’edificio, in
base al presupposto che si trattasse di opera soggetta a
concessione.
Né il provvedimento potrebbe essere giustificato dalla
rilevata circostanza che la recinzione di cui trattasi
graverebbe su tratto di strada mulattiera, perché al fine di
rimuovere tale situazione il sindaco non avrebbe dovuto
esercitare il potere sanzionatorio in materia edilizia, ma,
tempestivamente, a suo tempo (allorché lo stato di fatto
preesistente, come sembra emergere dalle planimetrie
allegate alla perizia tecnica, alla quale si è in precedenza
accennato, era stato pregiudicato non dalla recinzione, ma
dallo stesso edificio, che aveva invaso con il piano
seminterrato l’angolo sud/est della strada mulattiera,
impedendone il transito), avrebbe dovuto ordinare la rimessa
in pristino della strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi
degli artt. 378, L. 20.3.1865 n. 2248, all. F e 15, d.l.lgt.
01.09.1918 n. 1446 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.10.2002 n. 5610 - massima tratta da
www.ambientediritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il muro di tamponamento del terrapieno dev’essere
considerato una costruzione ai fini del computo delle
distanze di cui all’art. 873 c.c. nella parte in cui,
finendo la propria specifica funzione, vale a dire quella di
contenimento del retrostante terreno e quindi di
conservazione dello stato dei luoghi, assume connotati del
tutto diversi, quali, per esempio, quello di parapetto utile
a consentire l’affaccio illegittimo sul fondo del vicino.
---------------
MASSIMA
4.2. - Il secondo motivo è fondato sotto
il duplice profilo della violazione dell'art. 873 e
della logicità del connesso impianto motivazionale
diretto ad escludere che l'opera in questione fosse
qualificabile come costruzione.
E' costante affermazione di questa S.C. che, in tema
di distanze legali, il muro di
contenimento di una scarpata o di un terrapieno
naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui all'art. 873
c.c. per la parte che adempie alla sua specifica
funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello
de/fondo superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del terrapieno
cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte
del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione
di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta
alla disciplina giuridica propria delle sue
oggettive caratteristiche di costruzione in senso
tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina
devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel
senso sopra specificato, il terrapieno ed il
relativo muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente
(Cass. nn. 145/2006 e 243/1992).
Ne deriva che il muro di
contenimento tra due fondi posti a livelli
differenti, qualora il dislivello derivi dall'opera
dell'uomo o il naturale preesistente dislivello sia
stato artificialmente accentuato, deve considerarsi
costruzione a tutti gli effetti e soggetta,
pertanto, agli obblighi delle distanze previste
dall'art. 873 cod. civ. e dalle eventuali norme
integrative
(Cass. n. 1217/2010)
(Corte di Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza 13.09.2012 n. 15391). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il muro medesimo, assolvendo a mere
finalità di recinzione e non eccedendo i 3 metri (ma, anzi,
essendo di altezza considerevolmente inferiore a tale
misura), non può essere configurato quale “costruzione” al
fine della disciplina regolamentare ec art. 9, comma 2, del
D.M. 1444/1968.
Per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 29-bis
delle N.T.A. del P.R.G., già illustrata in primo grado e
riproposta in appello, va evidenziato che il Della
Giovampaola afferma che il muro costruito dal Comune al fine
di delimitare l’area dove è sta realizzata la stazione
ecologica dista dal confine della proprietà del medesimo
appellante ricorrente soltanto m. 1,5 e non già m. 5.
Come emerso in sede di giudizio di primo grado, ad una
determinata distanza da tale muro sono in effetti i
cassonetti di raccolta dei rifiuti.
L’art. 29-bis delle N.T.A., che ha per oggetto “Attrezzature
e servizi speciali a gestione pubblica e privata (S4),”
prevede che “in tali aree possono insediarsi, su
iniziativa pubblica, privata o mista, attività di servizio
(compresa la commercializzazione) per il deposito, il
trattamento ed il trasporto di rifiuto liquidi e solidi.”,
con contestuale obbligo per gli edifici ivi realizzati, sia
per servizi che per le residenze di servizio per il gestore
o il custode dell’attività insediata, di articolarsi in due
piani al massimo, di avere un’altezza massima di m. 12, di
avere una copertura a capanna, a padiglione, o piana, di
collocarsi ad una distanza dai confini di zona e di
proprietà privata di m. 5, di rispettare la distanza dalle
strade prevista dal Codice della Strada e –da ultimo– di
estendersi per una superficie territoriale coperta massima
del 40%.
Come rettamente rilevato da giudice di primo grado, la
surriportata disciplina di piano contempla distanze dai
confini e dalla proprietà previste che ragionevolmente non
possono che riferirsi alle costruzioni e non già ai muri di
cinta, quale è -per l’appunto- quello la cui realizzazione è
segnatamente contestata da Della Giovampaola.
In tal senso, deve pertanto concludersi che la realizzazione
del muro medesimo è comunque conforme a quanto disposto
dall’art. 878 cod. civ., in forza del quale –per l’appunto–
“il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia
un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il
computo della distanza indicata dall’articolo 873” dello
stesso codice: e, poiché il muro di cui trattasi è alto
soltanto m. 1,20, ne consegue l’irrilevanza, nell’economia
della presente causa, di tutta la giurisprudenza della Corte
di Cassazione che il medesimo Della Giovampaola cita a
preteso conforto delle proprie tesi.
Va anche respinto il motivo d’appello con il quale il Della
Giovampaola afferma che “il muro funzionale alla stazione
ecologica” sarebbe stato realizzato a distanza minore di
dieci metri dal capannone di proprietà del ricorrente stesso
(posto a sette metri dal detto muro), così violando la
distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti prevista in dieci metri dall’art. 9, comma 2, del
D.M. n. 1444 del 1968: e ciò in quanto il muro medesimo,
assolvendo a mere finalità di recinzione e non eccedendo i 3
metri (ma, anzi, essendo di altezza considerevolmente
inferiore a tale misura), non può essere configurato quale “costruzione”
al fine della disciplina regolamentare testé richiamata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.09.2012 n. 4672 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di un muro di
recinzione, peraltro di consistenza piuttosto limitata, il
quale non comporta alcuna trasformazione urbanistica del
territorio, né ha alcuna particolare incidenza sul carico
urbanistico e sulla conformazione dei luoghi, esprime una
facoltà accessoria al diritto dominicale, consistente nel
potere di escludere l'accesso indebito di terzi nell'area di
proprietà e non risulta soggetto ad alcun titolo
abilitativo.
Invero, qualora la recinzione, collocata in zona non urbana,
abbia una ridotta incidenza e consistenza, non altera
sensibilmente il territorio e costituisce solo minimale
espressione del diritto di proprietà: detto manufatto
apparendo non idoneo a mutare l'aspetto del territorio in
essere non richiede il titolo abilitativo edilizio.
Deduce il ricorrente difetto di motivazione del
provvedimento impugnato poiché, a fronte di una DIA
finalizzata alla mera costruzione di un muro di recinzione
nei pressi del fabbricato di proprietà del ricorrente sito
in località Case Campoli (area PEEP), il provvedimento di
inammissibilità della DIA non risulta sufficientemente
motivato.
La censura è fondata posto che la realizzazione di un muro
di recinzione, peraltro di consistenza piuttosto limitata,
il quale non comporta alcuna trasformazione urbanistica del
territorio, né ha alcuna particolare incidenza sul carico
urbanistico e sulla conformazione dei luoghi, esprime una
facoltà accessoria al diritto dominicale, consistente nel
potere di escludere l'accesso indebito di terzi nell'area di
proprietà e non risulta soggetto ad alcun titolo
abilitativo.
A tal proposito il TAR Brescia Lombardia sez. I, 15.02.2012,
n. 234 ha affermato che “Qualora la recinzione, collocata
in zona non urbana, abbia una ridotta incidenza e
consistenza, non altera sensibilmente il territorio e
costituisce solo minimale espressione del diritto di
proprietà: detto manufatto apparendo non idoneo a mutare
l'aspetto del territorio in essere non richiede il titolo
abilitativo edilizio” (TAR Lazio-Latina,
sentenza 02.08.2012 n. 637 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Muovendo dall'art. 878 c.c., è muro di
cinta, quello che non ha un'altezza superiore a tre metri e
che solo per un manufatto di queste dimensioni è ravvisabile
la possibilità di applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n.
398 (convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato
dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art.
2, comma 60, L. 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante
dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001
n. 380).
In tali limiti va, pertanto, interpretato il comma 7
dell’art. 4 sopracitato, il quale ha subordinato alla
denunzia d'inizio d'attività gli interventi ivi indicati
(tra i quali "recinzioni, mura di cinta e cancellate").
---------------
Nel caso in cui la funzione del muro sia quella di
sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante
il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza
diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per
funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di
sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi
dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea
per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla
funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere
ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di
contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso
dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla
categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il
manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. di recente
sez. IV, 03.05.2011, n. 2621) è nel senso che, muovendo
dall'art. 878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha
un'altezza superiore a tre metri e che solo per un manufatto
di queste dimensioni è ravvisabile la possibilità di
applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito
dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5 D.P.R.
22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L.
23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001 n. 380); in tali
limiti va, pertanto, interpretato il comma 7 dell’art. 4
sopracitato, il quale ha subordinato alla denunzia d'inizio
d'attività gli interventi ivi indicati (tra i quali "recinzioni,
mura di cinta e cancellate") e che erroneamente -in
punto di fatto- il ricorrente invoca a proprio vantaggio.
---------------
In proposito, è sufficiente
richiamare, ex multis, la sentenza del C.G.A.
05.05.1993, n. 165, secondo la quale, nel caso in cui la
funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso
deve essere autorizzato mediante il rilascio di una
concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza
diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per
funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di
sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi
dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea
per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla
funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere
ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di
contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso
dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla
categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il
manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico (cfr. TAR Emilia Romagna,
Parma, 12.03.2001, n. 106; 27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte
07.05.2003, n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492;
19.10.1994, n. 345)
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 02.07.2012 n. 1265 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Solo una sanzione pecuniaria e non la
demolizione se la recinzione viene realizzata in difformità
all’autorizzazione comunale.
Nella vicenda attenzionata dal TAR si controverte della
legittimità di un’ordinanza di demolizione di un capannone
abusivo, nonché di un muro di cinta e di un cancello in
ferro, realizzati in difformità dell’autorizzazione.
Il Collegio facendo leva sulla natura vincolata
dell’ordinanza di demolizione ha affermato che non è
necessaria la previa adozione di un atto di sospensione dei
lavori, dal momento che risponde meramente ad un’esigenza
esclusiva dell’amministrazione. (Cons. st. V 05.06.1997 n.
603).
Viene, inoltre, precisato che per quanto concerne la
realizzazione di recinzioni e del cancello, in difformità
all’autorizzazione all'uopo rilasciata, la misura della
demolizione risulta eccessiva in quanto è sufficiente
l’adozione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art.10
della legge n. 47/1985 (e successive modifiche) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.04.2012 n. 693 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E' soggetta a concessione edilizia
l'edificazione del muro di contenimento.
Nel caso in cui la funzione del muro sia quella di
sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante
il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza
diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per
funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di
sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi
dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea
per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla
funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere
ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di
contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso
dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla
categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il
manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico.
Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la
giurisprudenza è, da tempo, attestata nel ritenere soggetta
a concessione edilizia l'edificazione del muro di
contenimento.
In proposito è sufficiente richiamare, ex multis, la
sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165, secondo la quale,
nel caso in cui la funzione del muro sia quella di
sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante
il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza
diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per
funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di
sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi
dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea
per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla
funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere
ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di
contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso
dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla
categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il
manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico (cfr. TAR Emilia Romagna,
Parma, 12.03.2001, n. 106; 27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte
07.05.2003, n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492;
19.10.1994, n. 345) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.04.2012 n. 742 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
Cassazione chiarisce i significati di volume
tecnico e pertinenza urbanistica. Il titolo
edilizio non può essere eluso parcellizzando
l’attività.
Costituisce
orientamento consolidato che, “mentre il
muro di cinta può essere ricondotto alla
categoria delle pertinenze, non così il muro
di contenimento che viene assimilato alla
categoria delle costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della
realizzazione sia la delimitazione della
proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il
rilascio della concessione. Diversa è la
situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o
sostiene esso stesso dei volumi ulteriori;
in tal caso il manufatto ha una funzione
autonoma, dal punto di vista edilizio e da
quello economico”, “si eleva al di sopra del
suolo ed è destinato a trasformare
durevolmente l’area impegnata, come tale
qualificabile intervento di nuova
costruzione”, con conseguente necessità del
permesso di costruire.
---------------
Con la
sentenza 14.02.2012 n. 5618
la Corte di Cassazione, Sez. III penale, fa
nuovamente il punto su alcune importanti
questioni in materia di titoli abilitativi
edilizi e di inerenti fattispecie criminose,
con particolare riguardo a quelle realizzate
mediante pratiche elusive.
Le questioni rilevanti.
Vengono in rilevo, segnatamente, le seguenti
questioni:
- l’individuazione dell’ambito di
riferimento del permesso di costruire, se
come intervento complessivo ovvero come
singole opere in cui esso si estrinseca, con
quanto ne consegue in ordine al fenomeno
della parcellizzazione dell’attività
edificatoria;
- la nozione di “volume tecnico” e la
sua riferibilità o meno alle parti di
edificio destinate all’assolvimento di
funzioni complementari;
- la puntualizzazione del concetto di “pertinenza
urbanistica”, con particolare
riferimento ai profili della strumentalità
funzionale e della individualità strutturale
rispetto all’edificio principale.
Le soluzioni.
La pronuncia in commento riafferma,
ponendosi in linea di continuità con una
consolidata giurisprudenza sia di
legittimità che amministrativa, la rilevanza
penale degli interventi edilizi che non
trovino abilitazione in un corrispondente
permesso di costruire, nonché l’approccio
sostanziale che deve guidare tali riscontri.
La suddivisione
dell’attività edificatoria.
Viene ribadito, segnatamente, che la
realizzazione di opere riguardanti un
preesistente fabbricato necessita sempre di
un permesso di costruire, la cui valenza
abilitativa va riferita all’intervento
complessivo, al fine di evitare che i
vincoli urbanistici possano essere aggirati
per il tramite di pratiche elusive
consistenti nella artificiosa
parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi
edilizi non può essere eluso attraverso la
suddivisione dell’attività edificatoria
finale nelle singole opere che concorrono a
realizzarla, facendo leva sul fatto che le
stesse sono astrattamente suscettibili di
forme di controllo preventivo più limitate,
in ragione della loro più modesta incisività
sull’assetto territoriale. Per contro,
l’opera deve essere sempre “considerata
unitariamente nel suo complesso, senza che
sia consentito scindere e considerare
separatamente i suoi singoli componenti”
(Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent.
11.10.2005).
Al citato fine antielusivo, la Cassazione
puntualizza inoltre i contenuti di alcune
nozioni urbanistiche che sovente sono
invocate al fine, per l’appunto
stigmatizzato dal Giudice della legittimità,
di reperirvi una pretesa giustificazione in
ordine a interventi edilizi sostanzialmente
ampliativi dei fabbricati preesistenti.
Il volume tecnico.
Un primo concetto in tal senso esaminato è
quello di volume tecnico. La Cassazione ne
ribadisce una interpretazione restrittiva,
rigorosamente ancorata al dato funzionale e
perimetrata in termini di effettiva
indispensabilità tecnica. In questa
prospettiva, richiamandosi la risalente e
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato (sez. V, sent. n. 6038 del
16.09.2004), vengono individuati come tali
esclusivamente i volumi che siano “strettamente
necessari a consentire l’eccesso di quelle
parti degli impianti tecnici che non
possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
allocazione all’interno della parte
abitativa dell’edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
Trattasi, in altri termini, di volumi “che,
per funzione e dimensione, si pongono
rispetto alla costruzione come elementi
tecnici essenziali per l’utilizzazione della
stessa” (Cons. Stato, sez. V, sent. n.
239/1982; sez. V, sent. n. 44/1991) e ai
quali, soltanto e nella misura delineata
dalla necessità tecnica ineludibile, è
consentito eccedere rispetto ai limiti
urbanistici posti alla parte abitativa, la
quale, diversamente, si vedrebbe
pregiudicata con riferimento a profili
funzionali essenziali.
Dalle esposte premesse discende una serie di
più articolate conseguenze. In primis,
quella per cui i volumi tecnici, quali “parti
di edificio destinate a comprendere gli
impianti tecnici che, per la loro
funzionalità, non possono essere contenuti
entro i limiti volumetrici previsti dalla
legge” (Cass., sez. III, sent.
28.10.1981), non possono mai fare
riferimento all’intero edificio,
legittimandone indifferenziati e
generalizzati aumenti di volume, bensì
soltanto a porzioni ben individuate
dell’edificio stesso, la cui eccedenza
rispetto ai limiti urbanistici non può che
essere commisurata e perimetrata in ragione
di quanto necessario e sufficiente ad
assicurare la funzionalità degli impianti.
Ne discende, ancora, che possono
qualificarsi come volumi tecnici soltanto
quelli destinati a ospitare “le parti
degli impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti stessi, trovare allocazione
all’interno della parte abitativa
dell’edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche”, con
esclusione dunque di ogni ampliamento
volumetrico che fosse invece finalizzato a
contenere parti di impianti
che ben potrebbero, senza alcun pregiudizio
funzionale, essere localizzate e contenute
all’interno della parte abitativa.
Ulteriore corollario attiene al fatto che i
volumi tecnici “non sono utilizzabili né
adattabili a uso abitativo” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 638/2004, richiamata
da Cass., sez. III, sent. n. 5618/2012 in
commento), non potendosi, in buona sostanza,
approfittare della copertura offerta dal
regime abilitativo di favore consentito, in
via di stretta eccezione, per fronteggiare
le necessità tecniche essenziali ineludibili
degli impianti al fine distorto ed elusivo
dei vincoli urbanistici e, come tale,
illecito di espandere il volume della parte
abitativa oltre quanto obiettivamente
indispensabile in relazione alle necessità
tecniche suddette.
Un’altra importante conseguenza è quella per
cui i volumi tecnici “non ricomprendono
quelli suscettibili di assolvere a funzioni
complementari” (Cons. Stato, sez. V,
sent. n. 239 del 19.03.1982; sez. V, sent.
n. 44 del 14.01.1991). Ciò è connesso al
carattere di “funzionalità essenziale”
che il volume tecnico deve rivestire,
dovendo trattarsi, ai fini dell’esclusione
del calcolo della volumetria ammissibile, di
spazi destinati e “strettamente necessari
a contenere o a consentire l’accesso a
quelle parti degli impianti (es. idrico,
termico, elevatoio, televisivo, di
parafulmine, di ventilazione ecc.)” che
pur non potendo “per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
luogo entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche” “si pongono rispetto
alla costruzione come elementi tecnici
essenziali per l’utilizzazione della stessa”,
il cui difetto ne pregiudicherebbe pertanto
l’obiettiva attitudine all’uso essenziale
(abitativo) cui essa è destinata (Cons.
Stato, sent. n. 6038/2004). Non può quindi
invocarsi il regime di favore in relazione
ad ampliamenti volumetrici connessi alla
realizzazione di finalità complementari,
stante la non essenzialità ad assicurare la
funzionalità del fabbricato, attenendo
piuttosto gli stessi a una maggiore
valorizzazione del costrutto che non trova
giustificazione in termini di ineludibile
necessità e che, come tale, è soggetta
all’ordinario regime abilitativo.
La suddetta caratteristica di strumentalità
necessaria è inoltre presidiata per il
tramite della remissione dell’individuazione
della tipologia e della volumetria delle
parti di impianti qualificabili come volumi
tecnici, cui consegue l’ammissione al regime
derogatorio di favore, alle specifiche
elencazioni e ai relativi indici come
definiti, per ciascuna zona, a opera dei
competenti strumenti urbanistici.
Elencazioni e prescrizioni alle quali la
giurisprudenza riconosce “natura
tassativa” (Cons. Stato, sent. n.
6038/2004), con conseguente esclusione della
invocabilità del favorevole regime
derogatorio di non computo del volume
tecnico con riferimento sia a tipologie di
impianti che esulino da quelle
tassativamente elencate e sia a volumi
eccedenti rispetto agli indici altrettanto
tassativamente prescritti.
In tale prospettiva, è stato escluso dalla
sentenza penale in commento che
l’insediamento di tipologia di impianto
esulante dalla tassativa elencazione
contenuta nello strumento urbanistico
potesse giustificare la maggiore altezza di
tutto l’edificio in termini di destinazione
al volume tecnico, ritenendosi piuttosto che
si trattasse di una vera e propria
sopraelevazione, assolvente a funzioni
complementari all’abitazione e non invece “alla
necessaria funzionalità degli impianti del
fabbricato preesistente”.
A tale ultimo riguardo va sottolineata
l’importanza del riferimento della
funzionalità necessaria al fabbricato
preesistente, che sottende l’esclusione del
beneficio della scomputabilità del volume
tecnico con riferimento alla sopraelevazione
o ultraedificazione a beneficio di parte del
fabbricato che non sia sorretta da un
corrispondente titolo abilitante. In altri
termini, il volume tecnico può riferirsi
soltanto agli spazi eccedentari che sono
necessari ad assicurare la funzionalità
degli impianti a servizio essenziale del
preesistente fabbricato, sul presupposto e
nella misura in cui lo stesso sia conforme
alle abilitazioni edilizie, dovendo invece
escludersi che lo scomputo volumetrico possa
invocarsi anche con riferimento agli spazi
destinati a servire la sopraelevazione o
ultraedificazione illegittima.
Ciò in quanto l’illiceità della stessa,
conseguente al difetto ab origine di
un idoneo titolo abilitante, si estende
automaticamente e conseguenzialmente anche a
ogni opera che sia servente rispetto a
quella abusiva. In tal senso la
giurisprudenza ha precisato che “Il
regime delle pertinenze urbanistiche … non è
applicabile allorché l’accessorio acceda a
un manufatto principale abusivo non sanato
ex art. 13 della legge n. 47/1985 e non
condonato. […] Infatti: il regime
pertinenziale è un regime eccezionale di
favore che non può essere esteso a
situazioni non corrispondenti alla sua ratio;
l’accessorio è intimamente connesso al
principale, per cui se quest’ultimo è
abusivo non vi è alcuna ragione per
agevolare la costruzione di altra opera
destinata a produrre una compromissione del
territorio ulteriore rispetto a quella
causata dal manufatto principale; la non
conformità, o comunque la mancata verifica
di conformità allo strumento urbanistico
dell’opera principale, realizzata in assenza
di concessione edilizia, priva il comune del
parametro di legalità in relazione al quale
può essere esercitato il potere di
autorizzare opere pertinenziali che
costituiscono completamento di quanto
conserva caratteristiche di contrarietà
all’assetto urbanistico del territorio”
(Cass. pen., sez. VI, sent. n. 4164 del
19.07.1995, richiamata da Cass. pen., sez.
III, sent. n. 4087 del 28.01.2008).
La pertinenza urbanistica.
L’ulteriore nozione disaminata dalla
sentenza penale in commento, con il fine di
puntualizzarne i contenuti in senso
antielusivo, è quella di pertinenza
urbanistica, anch’essa sovente invocata
nella prassi quale possibile escamotage, per
l’appunto stigmatizzato dal giudice della
legittimità, per la pretesa giustificazione
di abusi edilizi. Anche per le pertinenze
urbanistiche nonché per le costruzioni di
natura accessoria è previsto un regime di
favore, potendo le stesse essere sottratte
alle disposizioni degli strumenti
urbanistici relative ai fabbricati e alle
norme sulle distanze integrative del codice
civile sulla base e nei limiti delle
espresse previsioni derogatoria che siano in
tal senso eventualmente sancite dagli
strumenti urbanistici (Cass. civ., sez. II,
sent. n. 4208 del 06.05.1987).
La giurisprudenza ha meglio delineato i
tratti distintivi della pertinenza
urbanistica rispetto alla nozione
civilistica.
Quest’ultima è fornita dall’art. 817 c.c.,
che definisce tali “le cose destinate in
modo durevole a servizio od ornamento di
un’altra cosa”; il nesso funzionale
stabile che contrassegna ontologicamente il
rapporto pertinenziale si traduce nella
regola generale, salvo diversa disposizione
legislativa o contrattuale,
dell’assoggettamento della pertinenza al
medesimo regime e destino giuridico del bene
principale (artt. 818, 819 c.c.).
Più articolato è il concetto di pertinenza
urbanistica, che riflette “il preminente
rilievo che nel settore urbanistico hanno le
esigenze di tutela del territorio”. In
tale prospettiva, “mentre nella
pertinenza civilistica rilevano sia
l’elemento obiettivo che quello soggettivo,
nella pertinenza urbanistica acquista
rilevanza solo l’elemento oggettivo”.
Proprio con riferimento all’elemento
oggettivo il Legislatore, “con il Testo
unico dell’edilizia approvato con Dpr n.
380/2001, per superare le incertezze
derivanti dal criterio quantitativo indicato
dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha
fissato due criteri per precisare quando
l’intervento perde le caratteristiche della
pertinenza per assumere i caratteri della
nuova costruzione: il primo rinvia alla
determinazione delle norme tecniche degli
strumenti urbanistici, che dovranno tenere
conto della zonizzazione e del pregio
ambientale e paesistico delle aree; il
secondo, alternativo al primo, qualifica
come nuova opera gli interventi che
comportino la realizzazione di un volume
superiore al 20% di quello dell’edificio
principale” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504 del 18.07.2007).
A ogni modo, va precisato che “una
trasformazione urbanistica e/o edilizia per
essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio in senso ampio dell’autorità
amministrativa non deve essere ‘precaria’:
un’opera oggettivamente finalizzata a
soddisfare esigenze improvvise o transeunti
non è destinata a produrre, infatti, quegli
effetti sul territorio che la normativa
urbanistica è rivolta a regolare.
Restano esclusi, pertanto, dal regime del
permesso di costruire i manufatti di
assoluta ed evidente precarietà, destinati
cioè a soddisfare esigenze di carattere
contingente e a essere presto eliminati”
(Cass. pen., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Anche con riferimento al profilo della
precarietà, l’approccio valutativo,
trattandosi di “tutela del territorio”,
deve essere sempre “oggettivo e non
soggettivo”. Segnatamente, detta
caratteristica “non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale dell’opera
a un uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione”
(Cass., sez. III, sentenze n. 26573 del
26.06.2009; n. 25965 del 22.06.2009; n.
22054 del 25.02.2009; tutte richiamate da
sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Inoltre “la natura precaria di una
costruzione non dipende dalla natura dei
materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il
manufatto è destinato a soddisfare e cioè
dalla stabilità dell’insediamento indicativa
dell’impegno effettivo e durevole del
territorio”. La precarietà va esclusa
“quando trattasi di struttura destinata a
dare un’utilità prolungata nel tempo,
indipendentemente dalla facilità della sua
rimozione, a nulla rilevando la temporaneità
della destinazione data all’opera del
proprietario, in quanto occorre valutare la
stessa alla luce della sua obiettiva e
intrinseca destinazione naturale” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 3321 del 15.06.2000;
sent. n. 97 del 23.01.1995).
Anche a tale fine, l’approccio valutativo
deve essere globale e non parcellizzato:
invero, “l’opera deve essere considerata
unitariamente e non nelle sue singole
componenti” (Cass., sez. III, sent. del
27.05.2004). “La stabilità non va confusa
con l’irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione a essa
assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva
destinazione dell’opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell’attitudine a una
utilizzazione che non sia temporanea e
contingente” (Cass., sez. III, sent. del
07.06.2006).
È stato anche precisato che “la
precarietà non va confusa con la
stagionalità, vale a dire con l’utilizzo
annualmente ricorrente della struttura,
poiché un utilizzo siffatto non esclude la
destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali
e contingenti, ma permanenti nel tempo”
(Cass., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Proseguendo nel solco tracciato dagli
esposti orientamenti giurisprudenziali, la
pronuncia n. 5618/2012 in commento,
individua la pertinenza urbanistica nella “opera
che abbia comunque una propria individualità
fisica e una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato preordinata
a un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale, funzionalmente e oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita
di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell’edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell’immobile cui accede”
(artt. 22, 100 e 101 del Dpr n. 380/2001;
Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010,
sent. n. 4134/1998). Due, in sostanza, i
requisiti, uno di carattere strutturale e
l’altro di carattere funzionale.
Sotto il profilo strutturale, l’opera deve
essere dotata di una individualità sua
propria, che sia distinta, autonoma e
separata dall’edificio principale, così come
da ogni altro fabbricato; in relazione al
detto requisito strutturale, la pronuncia in
commento esclude la qualificabilità in
termini pertinenziali di ogni opera che sia
fisicamente parte integrante o costitutiva
di altro fabbricato nonché dell’“ampliamento
di un edificio che per la relazione di
connessione fisica costituisce parte di esso
quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché
soddisfi i bisogni cui è destinato” (in
tal senso anche Cass. pen., sez. III, sent.
n. 36941/2007, e 40843/2005 e Cass. pen.,
sez. III, n. 24241/2010, che ha escluso la
natura pertinenziale della edificazione di
una tettoia-portico, che, per la relazione
di connessione fisica con l’edificio, ne
costituisce parte integrante, attenendo
all’essenza dell’immobile e completandola
affinché lo stesso soddisfi i bisogni cui è
destinato, dovendo pertanto qualificarsi in
termini di ampliamento).
Invero, è incompatibile con la nozione di
pertinenza che la stessa possa essere parte
integrante della cosa principale ovvero
rappresentare un elemento indispensabile per
la sua esistenza. In tal senso, “L’elemento
distintivo tra la parte e la pertinenza non
consiste solo in una relazione di
congiunzione fisica, normalmente presente
nella prima e assente nella seconda, ma
anche e soprattutto in un diverso
atteggiamento del collegamento funzionale
della parte al tutto e della pertinenza alla
cosa principale: tale collegamento si
esprime per la parte come necessità di
questa per completare la cosa affinché essa
soddisfi ai bisogni cui è destinata: la
parte quindi è elemento della cosa. Nella
pertinenza, invece, il collegamento
funzionale consiste in un servizio od
ornamento che viene realizzato in una cosa
già completa e utile di per sé: la funzione
pertinenziale attiene non all’essenza della
cosa ma alla sua gestione economica e alla
sua forma estetica. Inoltre […] la
pertinenza si riferisce a un’opera autonoma
dotata di propria individualità mentre la
parte di un edificio è compresa nella
struttura di esso ed è quindi priva di
autonomia” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504/2007).
Per quanto concerne il profilo funzionale,
l’unità pertinenziale, strutturalmente
separata da quella principale, deve essere
caratterizzata da una destinazione servente
alle obiettive esigenze dell’edificio
principale, “allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale)”. Tale
destinazione funzionale servente deve essere
ineludibile e trovare rispondenza, da un
lato, nella congruità della struttura della
pertinenza rispetto alle obiettive esigenze
della struttura principale e, dall’altro
lato, nella altrettanto oggettiva
impossibilità di destinare la pertinenza
stessa, proprio in relazione alla sua
conformazione strutturale inevitabilmente
servente, ad alcuna destinazione autonoma o
diversa da quella a servizio dell’immobile
cui accede.
L’esposta configurazione funzionale
ineludibilmente servente della pertinenza
urbanistica si riflette nella sua non
negoziabilità in via autonoma e nella
conseguente assenza di un autonomo valore di
mercato, che sola può giustificare,
unitamente alla modestia dimensionale del
volume rispetto all’edificio principale “in
modo da evitare il cosiddetto carico
urbanistico”, la non valutabilità della
stessa in termini di cubatura e la diversità
di regime abilitativo (Cons. Stato, sez. VI,
sent. n. 1174/2000; sez. V, sent. n.
2325/2001; sez. V, sent. n. 7822/2003). In
assenza invece degli esposti stringenti
requisiti strutturali e funzionali, la
nozione di pertinenza urbanistica, nonché il
corrispondente regime derogatorio di non
computo volumetrico, non sono invocabili e
torna quindi a riespandersi la regola
generale della necessità del permesso di
costruire.
Resta a ogni modo fermo che il regime
agevolato delle pertinenze non può mai
trovare applicazione in caso di contrasto
con gli strumenti urbanistici (Cass. pen.,
sez. III, sent. n. 32939/2010).
Una chiara concretizzazione dei principi
suesposti la si ha, ad esempio, in relazione
alla diversa disciplina che la
giurisprudenza ha individuato con
riferimento al muro di contenimento ovvero
al muro di cinta, che costituisce specifico
oggetto della pronuncia n. 5618/2012 in
commento.
In proposito, costituisce orientamento
consolidato che, “mentre il muro di cinta
può essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, non così il muro di contenimento
che viene assimilato alla categoria delle
costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della
realizzazione sia la delimitazione della
proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il
rilascio della concessione (Tar Emilia
Romagna, Parma, n. 106/2001; Tar Liguria,
sez. I, sent. n. 492/1996; Tar Liguria,
sent. n. 345/1994). Diversa è la situazione,
allorché il muro è destinato non solo a
recingere un fondo, ma contiene o sostiene
esso stesso dei volumi ulteriori (Tar Emilia
Romagna, Parma, sent. n. 246/2001; Tar
Lazio, sez. II, sent. n. 8923/2000); in tal
caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello
economico” (Tar Piemonte, sent. n.
657/2003)”, “si eleva al di sopra del suolo
ed è destinato a trasformare durevolmente
l’area impegnata, come tale qualificabile
intervento di nuova costruzione”, con
conseguente necessità del permesso di
costruire (Tar Liguria, sez. I, sent. n.
4131/2009; Cass., sez. III, sent. n.
35898/2008) (commento tratto da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 4/2012 -
Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 14.02.2012 n. 5618 -
tratto da www.lexambiente.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il manufatto oggetto della presente
controversia rientra fra le opere di recinzione
legittimamente realizzabili dal proprietario, in adesione
all’orientamento espresso dalla costante giurisprudenza in
materia.
La recinzione, infatti, è manufatto essenzialmente destinato
a delimitare una determinata proprietà allo scopo di
separarla dalle altre, a custodirla e difenderla da
intrusioni, nozione che può essere tratta dalla
giurisprudenza civile in materia di muro di cinta, come da
art. 878 c.c.; mentre, sotto il versante più propriamente
amministrativo, la recinzione da parte del proprietario non
comporta di per sé una diversa utilizzazione urbanistica
dell'area, essendo solo diretta a far valere quello ius
excludendi alios costituente tipico contenuto del diritto di
proprietà e legittimamente sacrificabile solo quando
ricorrano le condizioni previsti dall'ordinamento in
funzioni di superiori interessi pubblici, da adeguatamente
motivarsi nel bilanciamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti; in definitiva, la tipologia di intervento
in questione non implica ex se una trasformazione del
territorio incompatibile con la previsione urbanistica della
zona.
Con il presente ricorso l’istante impugna il provvedimento
indicato in epigrafe, con il quale gli è stata ingiunta la
demolizione di una recinzione assunta dal comune come
realizzata abusivamente, oltre al ripristino dello stato dei
luoghi.
...
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
L’intervento realizzato dalla ricorrente sull’area di sua
proprietà destinata all’esercizio di attività produttiva ha
la consistenza di una recinzione, realizzata al posto di una
cancellata prima preesistente, spostata in alta posizione.
Il comune ha ordinato la demolizione di tale manufatto,
ritenendo la natura abusiva del medesimo in relazione alla
sussistenza di un vincolo dell’area per destinazioni
pubbliche ad uso degli insediamenti.
Successivamente la ricorrente, nonostante l’accoglimento
dell’istanza cautelare dalla stessa avanzata, ha presentato
istanza di sanatoria di tale manufatto, ma il comune non ha
fornito alcun riscontro, come risulta dalla documentazione
versata in atti.
Il vincolo di destinazione è, poi, decaduto, avendo l’area
attualmente integrale destinazione industriale.
Il collegio non ritiene di discostarsi dall’opinione
espressa in sede cautelare, nella quale è stato evidenziato
come il manufatto oggetto della presente controversia
rientra fra le opere di recinzione legittimamente
realizzabili dal proprietario, in adesione all’orientamento
espresso dalla costante giurisprudenza in materia.
La recinzione, infatti, è manufatto essenzialmente destinato
a delimitare una determinata proprietà allo scopo di
separarla dalle altre, a custodirla e difenderla da
intrusioni, nozione che può essere tratta dalla
giurisprudenza civile in materia di muro di cinta, come da
art. 878 c.c.; mentre, sotto il versante più propriamente
amministrativo, la recinzione da parte del proprietario non
comporta di per sé una diversa utilizzazione urbanistica
dell'area, essendo solo diretta a far valere quello ius
excludendi alios costituente tipico contenuto del
diritto di proprietà e legittimamente sacrificabile solo
quando ricorrano le condizioni previsti dall'ordinamento in
funzioni di superiori interessi pubblici, da adeguatamente
motivarsi nel bilanciamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti; in definitiva, la tipologia di intervento
in questione non implica ex se una trasformazione del
territorio incompatibile con la previsione urbanistica della
zona (cfr. TAR Campania, sez. II, 11.09.2009, n. 4935).
Tale recinzione era, infatti, volta a sostituire il cancello
preesistente nonché ad impedire l’accesso indisturbato
all’area industriale da parte di estranei, costituendo
esercizio del cosiddetto “ius excludendi alios”, in
alcun modo precluso dalla concreta destinazione urbanistica
dell’area.
Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto,
disponendosi l’annullamento del provvedimento impugnato (TAR
Lombardia, Sez. IV,
sentenza 22.11.2011 n. 2834 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Gli interventi edilizi soggetti al
permesso di costruire non sono sanabili, pur se realizzati
dall'interessato con una denuncia di inizio attività
alternativa al permesso di costruire (art. 22, comma terzo,
d.P.R. 06.06.2001, n. 380), mediante la presentazione di una
D.I.A. in sanatoria, ma richiedono la procedura di
accertamento di conformità prevista per la sanatoria
edilizia dall'art. 36 del citato decreto (fattispecie
relativa alla realizzazione di un muro di contenimento).
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di L'Aquila ha
confermato la dichiarazione di colpevolezza di C.E.E. in
ordine ai reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art.
44, lett. b); b) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64
e 71, a lui ascritti per avere realizzato un muro a in
calcestruzzo armato dell'altezza di mt. 4 e della lunghezza
di mt. 10, nonché una gabbionata con riempimento in pietrame
dell'altezza di mt. 1 e la lunghezza di mt. 9 ed un altro
muro in pietrame senza il permesso di costruire e senza
avere fatto la prescritta denuncia per le opere in cemento
armato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i
quali l'appellante aveva dedotto che le opere di cui alla
contestazione potevano essere realizzate in base a DIA, la
cui carenza non costituisce reato, e dedotto che, in ogni
caso, i reati dovevano dichiararsi estinti per effetto di
una DIA in sanatoria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore
dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e
vizi di motivazione.
Motivi della decisione
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia
violazione ed errata applicazione di legge.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso
che il muro di contenimento di cui alla contestazione fosse
assentibile mediante DIA, in base al rilievo che lo stesso
si eleva al di sopra del suolo, poiché tale accertamento
deve essere riferito alla posizione del muro a monte e non a
valle, da cui soltanto si nota la parete in sopraelevazione.
Si deduce, poi, che, anche se si ritenesse il manufatto
soggetto a permesso di costruire, l'interessato può, con
scelta discrezionale, optare, ai sensi del D.P.R n. 380 del
2001, art. 22, comma 2, per la richiesta di permesso di
costruire o edificare previa denuncia di inizio attività, la
cui mancanza è sanzionabile penalmente per il disposto di
cui al citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, u.c..
Si inferisce da tale disposto normativo che l'abuso può
essere sanato mediante il rilascio di DIA in sanatoria, che
l'imputato aveva ottenuto nel caso in esame. Sul punto si
richiamano anche le disposizioni del codice civile che non
considerano costruzione, ai fini dell'osservanza delle
distanze legali, i muri di contenimento.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia carenza di
motivazione in ordine alla destinazione dell'opera a
servizio dell'edificio principale, essendo finalizzata a
impedire smottamenti della scarpata con la conseguente
natura pertinenziale della stessa.
Con l'ultimo mezzo di annullamento si denuncia carenza e
illogicità della motivazione con riferimento alla
interpretazione della DIA in sanatoria.
Si deduce che la sentenza impugnata ha affermato
erroneamente che la DIA in sanatoria non è conforme allo
strumento urbanistico, in quanto quest'ultimo prevede il
ricorso alla DIA per opere provvisionali ed indifferibili,
nonché carenza di motivazione con riferimento alle
dichiarazioni del tecnico comunale esaminato come teste, che
aveva ritenuto la sanatoria legittima. Il ricorso non è
fondato.
E' stato già affermato da questa Suprema Corte che "In
materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per
la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si
tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed
è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata,
come tale qualificabile intervento di nuova costruzione".
(sez. 3^, 14.05.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075).
E' evidente che tale massima si riferisce a qualsiasi muro
di contenimento, in considerazione delle rilevanti
dimensioni che l'opera in genere assume ed alla
modificazione edilizia permanente del territorio che essa
determina, non in considerazione de fatto che l'opera si
elevi al di sopra del suolo a monte o a valle, trattandosi
di una distinzione che non ha senso in relazione alla
funzione del manufatto.
Quanto alla DIA in sanatoria, anche se il D.P.R. n. 380 del
2001, art. 22, comma 3, consente per gli interventi di nuova
costruzione conformi agli strumenti urbanistici, nei casi
previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma, l'esecuzione
dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività,
l'art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la
legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire
solo mediante il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria.
Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche
se l'interessato ha optato per l'esecuzione dei lavori
mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato
art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di
sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del
più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni
originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si
proceda ad una valutazione di doppia conformità agli
strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito
della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato
accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo
comma dell'art. 36).
Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata ha
rilevato che il muro di contenimento non risultava neppure
conforme al PRG, in quanto detto strumento urbanistico
prevede esclusivamente l'esecuzione di "opere
provvisionali di assoluta urgenza, indispensabili per
evitare pericoli e danni", mentre le opere incriminate,
secondo la sentenza impugnata, non possono assolutamente
essere considerate tali, essendo di tipo "durevole e
permanente".
Il richiamo alle norme civilistiche in materia di distanze è
del tutto improprio con riferimento alla disciplina edilizia
ed urbanistica sotto il profilo penale.
E' noto che rientrano nella nozione di pertinenza solo
manufatti di modeste dimensioni posti durevolmente a
servizio di un edificio principale.
Tale certamente non può essere ritenuto il muro di
contenimento di cui all'imputazione considerate le notevoli
dimensioni dell'opera e la naturale destinazione del muro di
contenimento ad una più ampia funzione di prevenzione in
relazione alle eventuali modificazioni naturali del
territorio.
Sull'ultimo motivo la sentenza ha correttamente osservato
che le diverse valutazioni degli organi amministrativi non
possono avere incidenza su quella del giudice ordinario e
quanto affermato in punto di diritto in relazione al primo
motivo di gravame risulta assorbente di qualsivoglia diversa
opinione espressa dal tecnico comunale quale teste (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2011 n. 41425). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di un muro di
contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt. 1,30,
con relativa scala di collegamento con il terrazzamento
sovrastante rientra tra gli interventi per i quali la
disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo
n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Contrariamente a quanto
affermato dalla ricorrente, la realizzazione del muro di
contenimento di cui trattasi (ndr: nello specifico, muro
di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt.
1,30, con relativa scala di collegamento con il
terrazzamento sovrastante) rientra tra gli interventi
per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del
decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. In
particolare:
A) l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004
esclude dal divieto di rilasciare ex post
l’autorizzazione paesaggistica i casi previsti dal predetto
articolo 167, comma 4, costituiti -oltre che dall’impiego di
materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e
dai lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria- dai “lavori,
realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati”, fermo restando che
l’interpretazione teleologica di tale disposizione induce a
ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella
disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi”, il duplice
riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi
costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un
concetto unitario con due termini coordinati (TAR Campania
Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380; 03.04.2009, n.
1748).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni
al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria in coerenza con la ratio dell’introduzione
di tale divieto induce a ritenere che esulino dall’eccezione
prevista dall’articolo 167, comma 4, gli interventi che
abbiano contestualmente determinato la realizzazione di
nuove superfici utili e di nuovi volumi;
B) ciò posto in termini generali, il Collegio osserva, da un
lato, che nel caso in esame la ricorrente non contesta la
situazione di fatto descritta nella motivazione del
provvedimento impugnato -ossia la circostanza che il muro di
contenimento sia stato realizzato al fine di creare ex
novo (in luogo di una preesistente scarpata) un
terrazzamento, mediante il riporto di terreno- e,
dall’altro, che un intervento di tal genere non può non
essere incluso tra quelli per i quali è radicalmente
precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria, perché la costruzione del terrazzamento ha
determinato, contestualmente, la realizzazione di una nuova
superficie utile, in quanto destinata alla coltivazione
(come implicitamente ammette la stessa ricorrente quando
riconduce l’intervento di cui trattasi tra quelli di “riordino
colturale”), e di nuovo volume, costituito dal
terrapieno ottenuto mediante il riporto di terreno
(TAR Campania-Napoli, Sez.
VII,
sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il muro di contenimento tra due aree
poste a livello differente va considerato costruzione, se il
dislivello deriva dall'opera dell'uomo o è stato
artificialmente accentuato; in quanto costruzione, esso è
soggetto all'osservanza delle norme sulle distanze.
La disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è
applicabile anche ai beni e alle opere pubblici, secondo
quanto affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle
distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria,
sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che
richiama la decisione del Consiglio di Stato, sez. V,
03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto conto che la
norma citata è volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario ed
è perciò ineludibile non si vede perché le opere pubbliche
dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza.
In proposito si osserva quanto segue:
- come evidenziato al precedente punto 3.2), la
realizzazione della nuova strada è prevista ad una quota
superiore di oltre 3 metri rispetto al piano terreno
dell’abitazione dei ricorrenti; ciò presuppone la
realizzazione di un rilevato artificiale e di muri di
contenimento, come risulta chiaro dalla planimetria doc. 20
depositata dal Comune resistente il 27/04/2011;
- la giurisprudenza è orientata a ritenere che il muro di
contenimento tra due aree poste a livello differente va
considerato costruzione, se il dislivello deriva dall'opera
dell'uomo o è stato artificialmente accentuato, come nel
caso in esame; in quanto costruzione, esso è soggetto
all'osservanza delle norme sulle distanze (cfr. Cass.
Civile, sez. II, 22.01.2010 n. 1217; TAR Marche 10.02.2009
n. 18);
- contrariamente a quanto sostenuto dalle controparti la
disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è applicabile
anche ai beni e alle opere pubblici, secondo quanto
affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle
distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria,
sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che
richiama (oltre a precedenti del medesimo Tribunale) la
decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n.
5907; e d'altra parte, tenuto conto che la norma citata è
volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive
sotto il profilo igienico-sanitario ed è perciò ineludibile
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.2010 n. 7731 e
05.12.2005 n. 6909; TAR Toscana, sez. III, 04.12.2001 n.
1734) non si vede perché le opere pubbliche dovrebbero
sottrarsi alla sua osservanza;
- perché debba trovare applicazione il citato art. 9 in tema
di "pareti finestrate" è sufficiente che sia tale
anche una sola delle due pareti frontistanti (TAR Milano,
sez. IV, 19.05.2011 n. 1282): e questo è proprio il caso di
cui controverte, in cui la norma in questione risulta dunque
violata (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1251 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Debbono ritenersi costruzioni, ai fini
dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro
di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare il
naturale dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono ritenersi costruzioni,
ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il
relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per
accentuare –come nel caso di specie– il naturale dislivello
esistente tra i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217; id.,
10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n. 8144; TAR Marche, I,
10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art. 16 delle N.T.A.
del P.R.G. del comune di Sanremo, le norme sulle distante
stabilite dal piano si applichino soltanto alle costruzioni
aventi la consistenza di veri e propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi non già secondo
l’uso comune, bensì secondo il significato proprio della
parola, significato che, in materia di proprietà fondiaria e
di distanze nelle costruzioni, è quello risultante
dall’opera nomofilattica della Suprema Corte, più sopra
richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria
30.06.2006, nella parte in cui ha inteso legittimare
l’innalzamento del terrapieno e del muro a confine dei due
fondi oltre il naturale dislivello preesistente, in
contrasto con la norma di P.R.G. relativa alla zona agricola
E1a, che fissa in 5 metri dal confine la distanza minima per
le nuove costruzioni (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In materia edilizia, è necessario il
permesso di costruire per la realizzazione di un muro di
contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si
eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare
durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile
intervento di nuova costruzione.
Quanto alla realizzazione del
muro, la Corte di merito ha ricordato che, contrariamente,
all'assunto degli appellanti, esso non poteva certo
ritenersi di modeste o piccole dimensioni. Era stato
accertato, infatti, che era lungo circa 15 mt., largo 35
cm., ed alto da un minimo di 0,60 mt. ad un massimo di mt.
2,50. Ha, inoltre, evidenziato che, anche a voler ritenere
più corrette e conformi alla situazione dei luoghi le
misurazioni effettuate dal consulente della difesa (secondo
cui il muro aveva una larghezza di cm. 30 ed un'altezza da
mt. 0,60 a mt. 1,90), era, comunque, necessario permesso di
costruire.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si è
uniformata la Corte di merito, "In materia edilizia, è
necessario il permesso di costruire per la realizzazione di
un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto
che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a
trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale
qualificabile intervento di nuova costruzione" (cfr.
ex multis Cass. pen. sez. 3 n.35898 del 14.05.2008)
(Corte di Cassazione, Sez.
III penale, sentenza 23.06.2011 n. 25227). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di distanze legali il muro di
contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non
può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina
di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua
specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello
del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete
naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce,
impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza
oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto
priva della funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle
sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso
tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono
ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un
dislivello artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze
legali il muro di contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per
la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque
sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex
multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; Cons.
St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Cons. St, Sez. V,
28.06.2000, n. 3637)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Il muro di
contenimento, quale entità corrispondente senza alcuna
variazione al dislivello naturale dei fondi, non può essere
presa in considerazione nel calcolo dell'altezza della
costruzione, da misurarsi dal piano di campagna al fine di
determinarne la distanza da osservare rispetto alle
costruzioni del vicino, sia perché le costruzioni
sottostanti al piano di campagna che separa i fondi in
dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante>
e quindi in violazione del disposto della norma di cui
all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a
distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca
altezza.
“Il muro di contenimento, quale entità corrispondente
senza alcuna variazione al dislivello naturale dei fondi,
non può essere presa in considerazione nel calcolo
dell'altezza della costruzione, da misurarsi dal piano di
campagna al fine di determinarne la distanza da osservare
rispetto alle costruzioni del vicino, sia perché le
costruzioni sottostanti al piano di campagna che separa i
fondi in dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante>
e quindi in violazione del disposto della norma di cui
all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a
distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca
altezza” (Cass. Civ., sez. II, 17.10.1992, n. 11435).
Come emerge dagli atti processuali, trattasi di costruzione
completamente interrata con coronatura di muro a secco,
avente unica ed esclusiva funzione di contenimento del
terreno esistente nel dislivello, nella fattispecie
necessitato proprio dalla significativa acclività del suolo,
assolvendo così alla specifica finalità di protezione del
fondo da smottamenti del terreno ovvero da possibili
movimenti franosi
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di Costruire - Distanze tra
i fabbricati - Art. 878 c.c. - Caratteristiche della
costruzione - Sopravvenuta carenza di interesse.
2. Permesso di Costruire - D.I.A. in variante - Art. 41 L.R.
n. 12/2005 - Interpretazione.
1.
Considerato l'art. 878 c.c. secondo cui il muro di cinta con
altezza inferiore ai tre metri non è considerato per il
computo delle distanze di cui all'art. 873 c.c., e le
caratteristiche del manufatto (modificate con D.I.A.) si
deve escludere la rilevanza, ai fini delle distanze, di una
costruzione (muro di cinta, appunto) avente le
caratteristiche di cui alla citata norma del codice civile,
risultando conseguente improcedibile il gravame per
sopravvenuta carenza di interesse.
2.
L'art. 41 L.R. n. 12/2005 deve essere interpretata nel senso
che la facoltà di presentare D.I.A. senza interruzione dei
lavori per le varianti minori non esclude comunque nel
rispetto del principio generale sull'alternatività tra
D.I.A. e permesso di costruire di cui all'art. 41, c. 1,
L.R. n. 12/2005, la facoltà per il titolare di permesso di
costruire di presentare D.I.A. anche per varianti
sostanziali, con la precisazione però che, non trattandosi
dell'ipotesi di cui al comma 2 dello stesso articolo, per
tali D.I.A. non è possibile la presentazione dopo
l'ultimazione dei lavori, ma prima degli stessi, secondo il
regime per così dire ordinario della denuncia di inizio
attività (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.11.2010 n. 7236 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quando
il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla
parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per
l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi,
il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si
trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e
quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e
non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo
indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario
del fondo nel quale sono state sistemate le opere in
questione.
La Giurisprudenza ha avuto
occasione di osservare che quando il muro divisorio è comune
“la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro
più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva
considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo
di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le
quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena,
è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana,
perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche
altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono
state sistemate le opere in questione (Cassazione civile,
sez. II, 10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse comune, in ogni
caso la erigenda costruzione avrebbe dovuto arretrarsi di 5
mt. rispetto la parete esterna del muro, senza considerarne
lo spessore, atteso che nell’ipotesi di muro comune,
giustamente osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in
quanto in proprietà indivisa, dev’essere considerato alieno
rispetto al proprietario del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S.,
sentenza 04.11.2010 n. 1369 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Individuazione bene culturale
(fattispecie relativa al cimitero comunale) ex art. 10
D.Lgs. n. 42/2004.
DOMANDA 1: nel caso prospettato, del cimitero nella
sua dimensione originaria avente più di 50 anni, per “bene
culturale” si intende l’intero complesso edificato,
comprensivo di ogni singolo manufatto ivi presente qualunque
esso sia oppure si devono intendere i singoli manufatti
(edicole funerarie, cappella, loculi, tomba singola e/o di
famiglia, ecc.) che hanno più di 50 anni ed il cui autore
non sia più vivente??
La risposta è necessaria conoscere al fine di capire se per
l’intervento edilizio –che si vorrebbe realizzare- di posa
pannelli fotovoltaici sopra la copertura di una campata di
loculi, costruiti 10 anni or sono, necessiti –o meno-
acquisire preliminarmente l’autorizzazione del
Soprintendente ex art. 21, comma 4, del Codice.
DOMANDA 2: la parte di cimitero ampliata 10 anni or
sono, ed annessa alla parte originaria demolendo/modificando
il muro di cinta, deve intendersi anch’essa “bene
culturale” oppure lo diverrà decorsi 50 anni dalla sua
costruzione e sempre che l’autore non sia più vivente??
Lo stesso dicasi per i singoli manufatti (edicole funerarie,
cappella, loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.) ivi
costruiti nel frattempo (Soprintendenza di Milano,
nota 02.11.2010 n. 14123 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In genere, viene considerata una
costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali dai
confini, anche un terrapieno, se creato artificialmente al
di sopra del livello medio del piano di campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della
osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il
terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente per la natura
dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a
incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n.
2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal
confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno
prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove
costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai
fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato
artificialmente al di sopra del livello medio del piano di
campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II,
11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n.
3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo
cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il
muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini della osservanza delle norme
sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di
contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello
già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove
costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme
in tema di distanze dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal
confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno
prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove
costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle
distanze legali, anche un terrapieno, se creato
artificialmente al di sopra del livello medio del piano di
campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della
osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il
terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente per la natura
dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a
incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n.
2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal
confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno
prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove
costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai
fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato
artificialmente al di sopra del livello medio del piano di
campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II,
11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n.
3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo
cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il
muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Giurisprudenza dominante ritiene che le opere
di recinzione del terreno non si configurano come nuova
costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di
permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni,
rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà,
comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la
delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Sicché, la valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione.
Sulla scorta dei detti condivisibili principi, poi, la
Giurisprudenza è giunta a varie soluzioni.
A titolo esemplificativo, è stato ritenuto che la
realizzazione di una recinzione in rete metallica su muro
costituisce opera di carattere permanente che richiede la
concessione edilizia, incidendo in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio.
Altre decisioni, invece, ritengono che la recinzione
eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice
rete metallica sorretta da paletti in ferro, costituendo
installazione precaria non incide in modo permanente
sull'assetto edilizio del territorio.
Altre pronunce, infine, hanno evidenziato un’altra
differenza fondata sul corretto discrimine tra le
costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione
viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la
delimitazione della proprietà si ricade nell'ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della
concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità
dell'eventuale ordinanza di demolizione adottata al
riguardo.
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso
stesso dei volumi ulteriori; in tal caso il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello
economico. Tuttavia, la medesima decisione, posto che il
muro aveva una estensione di 30 mt., ha ritenuto che la
funzione della costruzione si ricava dalla sua estensione.
Secondo altre analoghe impostazione, nel concetto di
pertinenza possono essere ricomprese le recinzioni,
certamente configurabili come opere poste a servizio ed
ornamento della cosa principale, giusta l'art. 817 c.c., ciò
non può dirsi per i muri di contenimento che hanno una
consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si
differenziano per funzione (che non è quella di delimitare,
proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma,
essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve,
appunto, essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla
situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di
recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera
più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a
recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di
pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell'immutazione
che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità
della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto
contestata, dell'applicazione della misura sanzionatoria
prevista dall'art. 7 della legge n. 47/1985.
Ciò premesso,
asserisce parte ricorrente che il muro in questione, al più,
rientrerebbe tra le ipotesi di opere soggette ad
autorizzazione e, quindi, secondo la previsione contenuta
nell’art. 10 della L. 47/1985, la sua realizzazione abusiva
consentirebbe soltanto l’irrogazione di una sanzione
pecuniaria e non già la demolizione.
La ricostruzione appare corretta.
Occorre, però, verificare se la realizzazione del muro
rientri nelle fattispecie previste dal detto art. 5 della
l.r. 37/1985.
Premesso che il regime autorizzatorio costituisce
l’eccezione rispetto a quello concessorio per le opere di
trasformazione del suolo, in Sicilia il vigente art. 5 della
l.r. 10.08.1985, n. 37, così stabilisce: "l'autorizzazione del sindaco sostituisce la concessione per
gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro
conservativo, così come definiti dall'art. 20 della legge
regionale 27.12.1978, n. 71, per le opere costituenti
pertinenze o impianti tecnologici al servizio di edifici già
esistenti per l'impianto di prefabbricati ad una sola
elevazione non adibiti ad uso abitativo, per le occupazioni
di suolo mediante deposito di materiali o esposizioni di
merci a cielo libero, per le demolizioni, per l' escavazione
di pozzi e per le strutture ad essi connesse, per la
costruzione di recinzioni, con esclusione di quelle dei
fondi rustici di cui all'art. 6, per la costruzione di
strade interpoderali o vicinali, nonché per i rinterri e gli
scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere.".
Per quanto rileva nel presente giudizio, quindi, rientra tra
le opere di trasformazione del suolo soggetta a mera
autorizzazione la costruzione di recinzioni, non potendosi
accedere alla tesi sostenuta in ricorso circa la
riferibilità del muro in questione alla realizzazione di
strade poderali e sistemazione dei suoli agricoli, in
quanto, nel caso in esame la funzione dello stesso non è
ascrivibile a dette ipotesi.
Ed invero, la Giurisprudenza dominante ritiene che le opere
di recinzione del terreno non si configurano come nuova
costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di
permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni,
rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà,
comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la
delimitazione e l'assetto delle singole proprietà (cfr.
TAR Piemonte Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 950).
Sicché, la valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266; TAR Campania Napoli, sez. VIII,
14.01.2010, n. 95).
Sulla scorta dei detti condivisibili principi, poi, la
Giurisprudenza è giunta a varie soluzioni.
A titolo esemplificativo, è stato ritenuto che la
realizzazione di una recinzione in rete metallica su muro
costituisce opera di carattere permanente che richiede la
concessione edilizia, incidendo in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio (cfr., TAR
Lazio ult. cit, dove vengono riportate le seguenti conformi
decisioni: Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 1998, n. 1537;
TAR Emilia-Romagna, Parma, 31.07.2001, n. 651;
TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897).
Altre decisioni, invece, ritengono che la recinzione
eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice
rete metallica sorretta da paletti in ferro, costituendo
installazione precaria non incide in modo permanente
sull'assetto edilizio del territorio (cfr. TAR Piemonte
Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 950, cit.; TAR
Lombardia Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266 cit.).
Altre pronunce, infine, hanno evidenziato un’altra
differenza (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I, 07.05.2003, n. 657) fondata sul corretto discrimine tra le
costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione
viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la
delimitazione della proprietà si ricade nell'ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della
concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità
dell'eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo
(tar Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; tar
Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; Id, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso
stesso dei volumi ulteriori (tar Emilia Romagna, Parma, 27.04.2001, n. 246; tar Lazio, sez. II,
04.11.2000, n.
8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello economico.
Tuttavia, la medesima decisione, posto che il muro aveva una
estensione di 30 mt., ha ritenuto che la funzione della
costruzione si ricava dalla sua estensione.
Secondo altre analoghe impostazione (cfr. TAR Lazio
Latina, 07.03.2002, n. 285), nel concetto di pertinenza
possono essere ricomprese le recinzioni, certamente
configurabili come opere poste a servizio ed ornamento della
cosa principale, giusta l'art. 817 c.c., ciò non può dirsi
per i muri di contenimento che hanno una consistenza diversa
dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione
(che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente
abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il
terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e
struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza
e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento).
Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla
situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di
recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera
più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a
recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di
pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell'immutazione
che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità
della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto
contestata, dell'applicazione della misura sanzionatoria
prevista dall'art. 7 della legge n. 47/1985.
Sulla scorta dei detti principi, il Collegio ritiene che dai
rilievi fotografici esibiti dalle parti se è pur vero che la
funzione apparente di parte del muro è di contenimento di
aiuole, per altra parte appare avere la funzione di
delimitazione della proprietà.
In ogni caso, ciò che più conta è che l’impegno visivo (che,
in definitiva, è quello che rileva per definire l’incidenza
sulla trasformazione del suolo), stante l’estensione non
contestata dell’opera, pari a ben 25 mt., non pare possa
considerarsi trascurabile o avente una funzione meramente
subordinata pertinenziale, sicché, se ne deve inferire che
la mera autorizzazione, al di là della modalità di
esecuzione (conglomerato cementizio o meno), non sembra
sufficiente (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 27.09.2010 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E' soggetta a concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) l’edificazione sia di un muro di
recinzione, con specifiche caratteristiche, sia
l’edificazione di un muro di contenimento.
La giurisprudenza è, da tempo, attestata nel ritenere
soggetta a concessione edilizia (oggi permesso di
costruire), l’edificazione sia del muro di recinzione, con
specifiche caratteristiche, sia l’edificazione del muro di
contenimento.
In proposito basterà richiamare, ex multis, Cons. St.
Sez. V, 15.06.2000, n. 3320, a mente delle cui statuizioni,
per la recinzione di un fondo rustico, è necessaria la
concessione edilizia, se realizzata con opere edilizie
permanenti, mentre non lo è nel caso di semplici paletti
conficcati nel terreno o di ogni altro manufatto che, per le
sue caratteristiche di precaria installazione, ha insito il
concetto della precarietà e sua facile asportazione in caso
di necessità.
In merito ai muri di contenimento, risulterà sufficiente
richiamare, ex multis, C.G.A. 05.05.1993 n. 165,
orientato a ritenere che un muro di sostegno di cemento
armato non può considerarsi recinzione in quanto non ogni
muro esistente al confine è opera di recinzione per cui, nel
caso in cui in concreto la funzione del muro non sia quella
di recingere ma di sostenere, il muro stesso deve essere
autorizzato mediante il rilascio di una concessione
edilizia.
A chiusura delle considerazioni espresse, appare opportuno
riportarsi a quanto sinteticamente e chiaramente espresso da
Tar Lazio–Latina n. 285 del 2002 che di seguito si
trascrive, in quanto condiviso: “Ritiene il Collegio che
se nel concetto di pertinenza possono essere ricomprese le
recinzioni, certamente configurabili come opere poste a
servizio ed ornamento della cosa principale, giusta l’art.
817 c.c., ciò non può dirsi per i muri di contenimento che
hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali
si differenziano per funzione (che non è quella di
delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la
proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura
(che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento). Il
muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla
situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di
recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un’opera
più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a
recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed
autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di
pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell’immutazione
che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità
della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto
contestata, dell’applicazione della misura sanzionatoria
prevista dall’art. 7 della legge n. 47/1985.”.
L’autonoma rilevanza dell’opera in questione esclude che
esso possa essere ricondotto nella figura del risanamento
conservativo che presuppone l’esistenza dell’organismo
edilizio su cui intervenire (ex multis Cons. St. Sez.
V 24.09.1999 n. 1154)
(TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La valutazione in ordine alla
necessità della concessione edilizia per la realizzazione di
opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti
due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione.
Non è necessario il permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è,
invece, necessaria, quando la recinzione è costituita da un
muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio.
La valutazione in ordine alla
necessità della concessione edilizia per la realizzazione di
opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti
due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque,
non è necessario il permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto, entro
tali limiti, la recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o comunque la delimitazione e
l'assetto delle singole proprietà.
Alla stregua di tali coordinate, per giurisprudenza
consolidata alla quale il Collegio aderisce, la concessione
edilizia (oggi permesso di costruire) è, invece, necessaria,
quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno
in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo
esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio
del territorio.
Nel caso di specie, di conseguenza, non si può qualificare
l'opera abusiva come meramente precaria, essendo invece
stabilmente infissa al suolo attraverso il muro di
calcestruzzo (cfr., TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
29.12.2009, n. 6266)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E'
soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul
territorio sia quando vi sia la realizzazione di opere
murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul
territorio che, pur non richiedendo opere in muratura,
comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con
materiale posto sul suolo.
In relazione allo spargimento di ghiaia su un'area che ne
era in precedenza priva e preordinata alla modifica della
precedente destinazione d'uso, va affermata la necessarietà
della concessione edilizia.
Deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un
terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine
di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di
autocarri e containers.
Non è necessario il permesso per costruire modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo
il confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli
automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia
nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta
del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la
preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un
consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto
conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro
realizzazione in un contesto tipicamente agricolo.
La L. n. 28.1.1977 n. 10,
vigente all’epoca dei fatti, all’art. 1 -“Trasformazione
urbanistica del territorio e concessione di edificare”-
disponeva che: “Ogni attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa
agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi
della presente legge”.
L'interpretazione di tale norma aveva dato luogo a
contrasti, dato che la giurisprudenza e la dottrina avevano
elaborato due indirizzi ermeneutici: secondo il primo,
avrebbero dovuto essere assoggettati a titolo abilitativo
solo gli interventi di portata -simultaneamente- urbanistica
ed edilizia. Invero, osservavano i fautori della tesi in
esame, l'uso congiunto delle due espressioni (urbanistica ed
edilizia) nel citato articolo escluderebbe l'assoggettamento
al previo rilascio del titolo degli interventi che, pur non
mancando di impatto urbanistico, siano privi di consistenza
materiale di opere edilizie.
Secondo l'opposto indirizzo, l'art. 1 l. 28.01.1977
n. 10 sulla edificabilità dei suoli, che pone la regola
della soggezione a concessione di ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non
comprende le sole attività di edificazione, ma tutte quelle
consistenti in una modificazione dello stato materiale e
della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego
diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua
condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica
(cfr.: Cons. St., Sez. V, 31.01.2001, n. 343; Cons. St.,
Sez. V, 20.12.1999, n. 2125; Cons. St., Sez. V, 01.03.1993,
n. 319; tale orientamento è condiviso anche dalla
giurisprudenza ordinaria: cfr. Cass. pen., 14.10.1988; Cass.
pen., sez. III, 24.10.1997, n. 10709; Cass. pen., sez. VI,
24.07.1997, n. 8520). La giurisprudenza favorevole a tale
tesi ha aggiunto che l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 imponeva
al soggetto attuatore di munirsi di concessione edilizia per
ogni attività che comporti la trasformazione del territorio
attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli
aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e
l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed
estetico, o solo funzionale (cfr. Cons. St., Sez. VI,
26.09.2003, n. 5502).
La Sezione, condividendo quanto rilevato dal Cons. St. Sez.
V con la decisione n. 7325 dell’11.11.2004, opta per la
seconda interpretazione, dovendosi affermare che è soggetto
a concessione edilizia ogni intervento sul territorio sia
quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando
si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur
non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante
modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul
suolo (cfr. Cons. St., Sez. V, 14.12.1994, n. 1486; Cons.
St., Sez. VI, 27.01.2003, n. 419; Cons. St., Sez. V,
06.04.1998, n. 415).
Alla stregua di tale generale principio, in relazione allo
spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza
priva e preordinata alla modifica della precedente
destinazione d'uso, va affermata (cfr. Cons. St. Sez. V,
22.12.2005 n. 7343) la necessarietà della concessione
edilizia.
Tale indirizzo, peraltro, risulta corroborato dalla
risalente interpretazione del Giudice penale, secondo cui
deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un
terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine
di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di
autocarri e containers (cfr. Cass. pen., 09.06.1982).
---------------
Passando ad esaminare la connessa questione, relativa alla
necessità della concessione edilizia per la realizzazione di
opere di recinzione, va posto in luce che occorre
distinguere le differenti situazioni alla stregua di due
parametri: la natura e le dimensioni delle opere e la loro
destinazione e funzione (cfr. TAR Lombardia, Sez. IV,
29.12.2009, n. 6266; TAR Lazio, Sez. II, 11.09.2009, n.
8644).
In base a tale criterio, può affermarsi che non è necessario
il permesso per costruire modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o
comunque la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà. Al contrario, la concessione è necessaria quando
la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio.
Applicando siffatti principi alla fattispecie all’esame, va
affermato che l’opera realizzata (la costruzione di un muro
di cinta, alto circa m. 0,80 e lungo m. 120, con soprastanti
paletti in ferro atti a fissare una rete di protezione) non
integra un’ipotesi di mero esercizio dello ius excludendi
alios, ma una modifica dell’assetto del territorio.
Altrettanto è a dirsi dello spandimento di uno strato di
ghiaia rullato sul manto erboso.
Siffatta conclusione risulta in linea con quanto già
affermato dalla Sezione (cfr. sentenza n. 32
dell’11.01.2006) laddove ha rilevato che “La
realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo il
confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli
automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia
nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta
del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la
preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un
consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto
conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro
realizzazione in un contesto tipicamente agricolo”
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Fontechiari - Parere in merito alla possibilità
di rilasciare permesso di costruire in sanatoria per muro di
contenimento finalizzato alla messa in sicurezza di opere
abusive (Regione Lazio,
parere 03.03.2010 n. 117282 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
opere di recinzione del terreno non si configurano come
nuova costruzione, per la quale è necessario il previo
rilascio di permesso di costruire quando, per natura e
dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque,
la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere
murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta
da paletti in ferro, la quale costituisce installazione
precaria e non incide in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio.
L’intervento in questione rientra, piuttosto nella portata
residuale degli interventi realizzabili con il regime
semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u.
dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la
rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in
assenza del permesso di costruire, in totale difformità del
medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con
l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal
successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza
della prescritta denuncia di inizio di attività.
La prima argomentazione a supporto dei provvedimenti
impugnati fa riferimento al mancato rispetto delle formalità
previste dal t.u. edilizia n. 380 del 2001 e al mancato
rilascio del titolo abilitativo (autorizzazione)
asseritamente occorrente per l’intervento.
Tali considerazioni non valgono a fondare la legittimità dei
provvedimenti impugnati.
Va rilevata, innanzitutto, la genericità della motivazione
del diniego di installazione (“l’intervento oggetto di
comunicazione deve essere presentato come richiesta ai sensi
del DPR 380/2001”) la quale, peraltro, appare incoerente
rispetto al contenuto dispositivo dell’atto che considera la
comunicazione dei proprietari come vera e propria istanza di
parte (“per le motivazioni di cui sopra, la vostra richiesta
è respinta”).
La mancanza di autorizzazione edificatoria non costituisce,
in ogni caso, valida giustificazione dell’impugnato ordine
di rimozione.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano,
infatti, come nuova costruzione, per la quale è necessario
il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per
natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios
o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere
murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta
da paletti in ferro, la quale costituisce installazione
precaria e non incide in modo permanente sull’assetto
edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, TAR Lazio,
Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
L’intervento in questione rientra, piuttosto nella portata
residuale degli interventi realizzabili con il regime
semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u.
dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la
rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in
assenza del permesso di costruire, in totale difformità del
medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con
l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal
successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza
della prescritta denuncia di inizio di attività
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Appare
irrilevante che la recinzione in esame (costituita da una
semplice rete metallica e da paletti infissi nel terreno)
sia stata eseguita senza nulla-osta in area vincolata,
trattandosi di opera priva di apprezzabile impatto
ambientale.
Un secondo
ordine di considerazioni fa riferimento alla mancanza di
autorizzazione paesaggistica.
Si osserva preliminarmente che non è contestata l’esistenza
del vincolo, atteso che l’area interessata dall’intervento è
pacificamente inclusa nella fascia di rispetto di 150 metri
dalle sponde del torrente Orco.
Va quindi precisato, a confutazione dei rilievi di
legittimità svolti dalla parte ricorrente, che l’erroneo
riferimento normativo contenuto in entrambi i provvedimenti
impugnati (è stato richiamato l’abrogato d.lgs. n. 490 del
1999, in luogo del vigente d.lgs. n. 42 del 2004) non vale
certo ad inficiarne la legittimità, poiché i presupposti dei
provvedimenti stessi sono riconducibili senza margini di
incertezza alle disposizioni legislative che li regolano
(cfr., ex multis, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.12.2006, n. 2997).
Ciò premesso, appare irrilevante che la recinzione in esame
(costituita, si ribadisce, da una semplice rete metallica e
da paletti infissi nel terreno) sia stata eseguita senza
nulla-osta in area vincolata, trattandosi di opera priva di
apprezzabile impatto ambientale (cfr., in analoga
fattispecie, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n.
4821) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere di recinzione del terreno - Permesso di
costruire - Necessità - Esclusione - Condizioni - Fattispecie.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova
costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di
costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius
excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle
singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita
da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale
costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente
sull’assetto edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, TAR Lazio,
Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanze legali - Muro di contenimento -
Natura di “costruzione” ai fini di cui all’art. 873 c.c. -
Parte compresa tra le fondamenta e il livello del fondo
superiore - Esclusione - Parte del muro realizzata oltre il
piano del fondo sovrastante - Costruzione in senso
tecnico-giuridico.
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per
la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque
sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex
multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n. 453 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nella distanza tra fabbricati
frontistanti una strada a fondo cieco, quest'ultima non deve
essere tenuta in considerazione, trovando applicazione il
disposto di cui all'art. 9, comma 2, del DM 1444/1968.
Parte ricorrente insiste nel ritenere applicabile l’ultimo
comma dell’art. 9 del DM 1444/1968, secondo cui “qualora
le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino
inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze
stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura
corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso
di gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni planovolumetriche.” Pertanto, secondo i
calcoli di parte ricorrente, il nuovo edificio sarebbe
tenuto a rispettare una distanza pari alla sua progettata
altezza dalle costruzioni.
Secondo le difese avversarie la disposizione va invece letta
unitamente al capoverso precedente, dettato per la
disciplina delle distanze tra fabbricati tra i quali siano
interposte strade destinate al traffico, ad esclusione della
viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici e di
insediamenti.
E’ emerso dall’istruttoria che Via Mocchetti è una strada a
fondo cieco, il fabbricato erigendo dista dagli altri
fabbricati rispettivamente mt. 10,05 a sud e 10,75 a nord,
mentre l’altezza prevista nel permesso di costruire è di
11,70, a fronte di quella massima consentita di 12,50.
Ad avviso del Collegio la distanza è rispettata, dovendo
trovare applicazione nel caso de quo l’art. 9, punto
2), che prescrive la distanza di 10 mt..
Gli ultimi due capoversi invece contengono una disciplina,
tra loro integrativa, per il calcolo delle distanze nel caso
di edifici tra i quali sono interposte strade, con la chiara
ipotesi di esclusione delle strade a fondo cieco, che è
stata accertata nel caso de quo.
Anche la disposizione secondo cui va calcolata la distanza
va maggiorata fino al raggiungimento della misura
corrispondente all’altezza del fabbricato più alto si
applica solo nell’ipotesi di edifici tra i quali sono
interposte strade destinate al traffico dei veicoli.
Quanto alla distanza dal box e dal muro, si osserva che
correttamente il box non è stato considerato, in quanto lo
stesso è interrato e pertanto non integra, ai fini delle
distanze, la nozione di costruzione.
Rispetto al muro di sostegno, parte ricorrente afferma la
violazione della distanza in quanto disterebbe mt. 8,10 dal
suddetto muro, da considerarsi come muro di fabbrica e non
di cinta e quindi assoggettato al rispetto delle distanze
legali.
Il Comune ha invece qualificato il muro come muro di
sostegno del terreno di proprietà del ricorrente, in quanto
ha la funzione di contenimento del dislivello naturale;
pertanto è corretta la scelta di non considerare detto
manufatto rilevante ai fini delle distanze ai fini dell'art.
9 del d.m. 1444/1968, dal momento che la norma presuppone
che le pareti siano «costruzioni» in senso edilizio,
non mere opere di contenimento del declivio naturale (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2010 n. 191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Un muro di contenimento tra due fondi
posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato
creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a
tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle
distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali
disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti
livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente,
è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come
tale soggetta agli obblighi delle distanze previste
dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative
(v. Cass. 4511/1997, 4196/1987), principio dal quale non può
che derivare tale assoggettamento, anche nell’ipotesi di
accentuazione del preesistente livello naturale, per la
parte eccedente quello preesistente (Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
sentenza 22.01.2010 n. 1217). |
anno 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Muro di cinta e muro di contenimento -
Differenza - Assimilabilità del muro di cinta alle
pertinenze - Assimilabilità del muro di contenimento alle
costruzioni - Necessità di titolo abilitativo edilizio -
Rispetto delle distanze dai confini.
Mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria
delle pertinenze, non così il muro di contenimento che viene
assimilato alla categoria delle costruzioni. Nel caso in cui
lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della
proprietà si ricade infatti nell'ipotesi della pertinenza,
per cui non è necessario il rilascio della concessione (TAR
Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR Liguria, sez.
I, 14.11.1996, n. 492; TAR Liguria, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso
stesso dei volumi ulteriori (TAR Emilia Romagna, Parma,
27.04.2001, n. 246; TAR Lazio, sez. II, 04.11.2000, n.
8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello economico (TAR
Piemonte 07.05.2003 n. 657).
Avendo il muro di contenimento la natura di costruzione,
deve, tendenzialmente, rispettare le distanze dai confini
stabilite dalle n.t.a. del p.r.g. (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 31.12.2009 n. 4131 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini dell'osservanza delle norme
sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di
contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno
aumentato quello già esistente per natura dei luoghi
costituiscono costruzioni.
Si richiama l'indirizzo di
questo Consiglio che ha avuto modo di osservare come ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il
terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per
natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. St., sez.
V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n. 3637; Cass. civ.,
sez. II, 01.03.1995, n. 2342; id., 28.11.1991, n. 12763)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Realizzazione muro di recinzione.
Anche la realizzazione di un muro di recinzione necessita
del previo rilascio del permesso a costruire allorquando,
avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto
urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli
"interventi di nuova costruzione" di cui all’art. 3,
lett. e), del d. P.R. n. 380 del 2001 (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 13.05.2009 n. 20131 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Muro di sostegno e distanze.
La circostanza
che una concessione limiti l’altezza di un muro a tre metri
non elide affatto la sua natura di costruzione ed impone in
ogni caso il rispetto dei cinque metri dal confine (TAR
Abruzzo-Aquila, sez. I,
sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Muri di cinta tra fondi a dislivello -
Modifica dello stato naturale dei luoghi - Idoneità a creare
intercapedini nocive con le altrui costruzioni - Distanze
legali - Equiparazione ai muri di fabbrica - Necessità di
verifica di ciascuna concreta fattispecie.
I muri di cinta tra fondi a dislivello che, oltre ad essere
destinati alla delimitazione e alla difesa del fondo,
assolvono anche all’ulteriore funzione di contenere e
sostenere la scarpata o il terrapieno, e che danno luogo al
dislivello tra i due fondi limitrofi non rientrano, come
accade normalmente per i muri di cinta, nella categoria dei
muri isolati o liberi da entrambe le facce.
Essi, pertanto, facendo corpo con il terreno che contengono
e modificando, in particolare, attraverso l’opera dell’uomo,
lo stato naturale dei luoghi con la costruzione di un
manufatto, sono idonei a creare intercapedini nocive con
l’altrui costruzione, con conseguente necessità di
verificare in ciascuna concreta fattispecie se, avuto
riguardo allo loro particolari caratteristiche strutturali e
dimensioni, siano da considerare o meno alla stregua di un
muro di fabbrica agli effetti delle distanze legali (Cass.
15.10.1983, n. 6060) (TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I,
sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.ambientediritto.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di distanze legali, solo il muro
di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale
non può considerarsi "costruzione" agli effetti della
disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua
specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello
del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete
naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce,
impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza
oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto
priva della funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle
sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso
tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono
ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo muro di
contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un
dislivello artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma
dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle
distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle
facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua
destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla
separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si
è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un
dislivello di origine artificiale deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve
in modo permanente e definitivo anche alla funzione di
contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.
L’intervento assentito con
l’impugnato permesso di costruire consiste nella
realizzazione di un terrapieno artificiale con mura di
tamponamento, necessario per portare “a livello”
della strada il terreno adiacente all’immobile degli
appellanti e consentire così la creazione di un parcheggio
scoperto e di un muretto che lo delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova costruzione” e
non può essere qualificato come manutenzione straordinaria
(semplice sistemazione di spazi aperti comportante modifica
alle quote dei terreni), come affermato dagli appellanti e
ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V, n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di
distanze legali, solo il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina delle distanze per la parte
che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia
l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. civ, II,
n. 145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons. Stato, n.
5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti essenziali del muro
di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato
nel computo delle distanze legali, sono costituiti
dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri
3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di
confine e alla separazione e chiusura della proprietà;
mentre quando non si è in presenza di un dislivello
naturale, ma si tratta di un dislivello di origine
artificiale deve essere considerato costruzione in senso
tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e
definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n.
8144/2001)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanze dal muro di cinta e valutazione
delle scelte estetiche.
Il muro di cinta di altezza non
superiore ai tre metri, pur essendo una costruzione in senso
materiale, non è considerato tale ai fini delle distanze
legali per la sua mancanza di autonomia strutturale,
costituendo una semplice protezione del fondo: per il
computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in
considerazione gli edifici che si trovano rispettivamente al
di qua e al di là del muro di cinta, come se questo non
esistesse, per cui la distanza di legge va computata tra
l’edificio preesistente e la nuova costruzione ovvero
ampliata. Ne consegue, nello specifico, che la distanza
minima da rispettare tra i porticati ed il confine non è
quella stabilita dall’art. 873 c.c., ma quella tra sagoma
limite e confine.
Dal momento che il Giudice amministrativo non può sindacare
il merito delle scelte estetico-funzionali
dell’amministrazione se non nei limiti della illogicità,
quando si discute di concreti valori estetico-tipologici
riservati all’amministrazione medesima, è sufficiente
appurare che le norme edilizie in vigore ammettono
l’intervento di interesse con le caratteristiche
morfologiche e strutturali desumibili anche dalla
documentazione fotografica agli atti processuali
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 05.03.2008 n. 931 -
link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Costruzione di un muro di contenimento in cemento
armato.
La costruzione di un muro di contenimento in cemento armato,
a fronte della linea di battigia, già nella vigenza della
legge n. 47/1985 era assoggettata a concessione edilizia, in
quanto "attività comportante la trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio comunale" ai sensi dell'art. 1
della legge n. 10/1977. Attualmente le categorie di
interventi che comportano una "trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio" e che sono soggetti al preventivo
rilascio del permesso di costruire sono definite dall’ art.
10 del T.U. n. 380/2001 e ricomprendono "gli interventi di
nuova costruzione". La definizione delle opere di nuova
costruzione è data, a sua volta, dall'art. 3, lett, e),
dello stesso T.U., con indicazione di carattere residuale
comprendente tutti quegli interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio non rientranti nelle
categorie della manutenzione, del restauro o del risanamento
conservativo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.02.2008 n. 6428
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Muro di recinzione - Necessità di permesso a costruire
- Presupposti - Fattispecie.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del
previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto
urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli
"interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3 lett. e)
del d. P.R. n. 380 del 2001 (fattispecie relativa ad un muro
di altezza pari a metri 2,5 con struttura in blocchi di
lapillo e pilastri in cemento armato di sostegno, relativo
ad un'area di circa mq. 1200) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 30.01.2008 n. 4755
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Sopraelevare un muro di cinta: il titolo edilizio è
l’autorizzazione.
Il fatto che il
territorio del Comune sia assoggettato a vincoli di
carattere paesistico, di per sé non comporta
l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime
concessorio, ma solo l'inapplicabilità della procedura
cosiddetta di denuncia dell’inizio dell'attività, sempre che
si dimostri l'esistenza di uno specifico vincolo gravante
sull'immobile oggetto dell'intervento.
Il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in
questione al regime concessorio deve essere condotto alla
stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla
riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che
l'art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito in l. 25.03.1982
n. 94, assoggetta al regime autorizzatorio.
La sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di
altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per
sostituire la barriera metallica preesistente e quindi
conferire una migliore protezione alla proprietà, senza
alterare l’altezza complessiva della recinzione medesima,
non solo conferma il già acquisito vincolo pertinenziale ma
rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere
sul carico urbanistico
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2007 n. 5515
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
recinzione costituita da semplice rete metallica e paletti
infissi nel terreno non necessita di concessione edilizia,
dal momento che non configura un’opera edilizia permanente,
ma un manufatto di precaria installazione e di immediata
asportazione.
Si tratta invece di opera sottoposta a semplice regime di
Denuncia Inizio Attività, come tra l’altro espressamente
stabilito dall’art. 4 L. n. 493/1993 (L. n. 662/1996).
Nessuno rilievo può avere, poi, il fatto che, nella specie,
l’opera in questione sia stata realizzata in area vincolata,
sia perché le richiamate disposizioni non pongono alcuna
distinzione al riguardo (che pertanto non può essere posta
dall’interprete), sia perché si tratta comunque di opere,
per quanto sopra, prive di impatto ambientale.
Preliminarmente occorre chiarire, in punto di fatto, che le
opere in questione consistono (alla luce della stessa
istruttoria tecnica espletata dal Comune resistente) nella
realizzazione, in area vincolata paesaggisticamente, di <<una
recinzione costituita con 11 putrelle in ferro piantate nel
terreno e recintate con 10 pannelli di rete elettrosaldata,
legata alle putrelle con filo di ferro per una lunghezza
totale di 15 metri circa>>.
Non si tratta quindi tout court di “pannelli”
(come affermato in memoria dal Comune), ma di “pannelli
di rete elettrosaldata”, come tali privi di qualsiasi
impatto ambientale, posti unicamente a delimitazione della
proprietà privata (come si evince altresì dalla perizia e
dalla relativa documentazione fotografica allegata al
ricorso).
Tanto chiarito, il Collegio ritiene, conformemente alla
giurisprudenza formatasi sul punto, che la realizzazione di
una recinzione costituita da semplice rete metallica e
paletti infissi nel terreno (come appunto avvenuto nel caso
di specie) non necessiti di concessione edilizia, dal
momento che non configura un’opera edilizia permanente, ma
un manufatto di precaria installazione e di immediata
asportazione (cfr. TAR Emilia Romagna, Sez. II, n. 82/2007).
Si tratta invece di opera sottoposta a semplice regime di
Denuncia Inizio Attività, come tra l’altro espressamente
stabilito dall’art. 4 L. n. 493/1993 (L. n. 662/1996),
nonché dall’art. 35 del Regolamento Edilizio del Comune di
Napoli.
Nessuno rilievo può avere, poi, il fatto che, nella specie,
l’opera in questione sia stata realizzata in area vincolata,
sia perché le richiamate disposizioni non pongono alcuna
distinzione al riguardo (che pertanto non può essere posta
dall’interprete), sia perché si tratta comunque di opere,
per quanto sopra, prive di impatto ambientale.
Il Comune avrebbe dovuto quindi applicare la diversa
sanzione prevista per la mancanza di Denuncia Inizio
Attività (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 08.05.2007 n. 4821 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Reati edilizi - Condono - Opere non residenziali -
Esclusione della condonabilità - Fattispecie: muro di
contenimento - Art. 4 D. L. n. 398/1993 conv. L. n. 493/1993
- L. n. 662/1996.
Sono escluse dal condono edilizio tutte le opere a
destinazione non residenziale. Pertanto, la costruzione di
un terrapieno, costituito da un muro con funzione di
contenimento con notevoli dimensioni (così come nella
specie) non è soggetta alla semplice denuncia di inizio dei
lavori, ai sensi dell'art. 4 del D.L.. 05.10.1993 n. 398,
convertito in L. 04.12.1993 n. 493, come sostituito
dall'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996 n. 662 (Cass.,
Sez. III, 17.07.1999-29.09.1999, n. 11126).
In conclusione, per la realizzazione di un terrapieno
costituito da un muro con funzione di contenimento di
notevoli dimensioni è necessario il permesso di costruire.
Condono edilizio - Nuove costruzioni non residenziali
- Esclusione - Procedimenti penali per violazioni edilizie -
L. n. 326/2003 - Art. 44 L. n.47/1985.
I procedimenti penali per violazioni edilizie relative a
nuove costruzioni non residenziali non possono essere
sottoposti, durante la pendenza dei termini di presentazione
del cd. condono edilizio, alla sospensione prevista
dall'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47, cui rinviano le
disposizioni di cui al decreto legge 30.09.2003 n. 269,
convertito con legge 24.11.2003 n. 326, atteso che l'art. 32
del citato decreto n. 289 limita l'applicabilità del condono
edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali Cass.,
Sez. III, 17.02.2004-24.03.2004, n. 14436, (Conf. Cass.,
Sez. 3, 18.11.2003-29.01.2004, n. 3358).
Né rileva la conservazione degli effetti penali perché
comunque non risulta un'oblazione ritualmente perfezionata
con il pagamento della somma dovuta.
Reati urbanistici - Abusivismo edilizio - Condono -
Sospensione - Limiti - Requisiti per la condonabilità -
Necessità.
In materia di reati edilizi, la sospensione di cui all'art.
44 della legge 28.02.1985 n. 47 non è automatica e non va
applicata a tutti i procedimenti per reati urbanistici
astrattamente interessati al condono, ma solo a quelli
aventi ad oggetto opere che abbiano oggettivamente i
requisiti per la condonabilità ex art. 32 del D.L.
30.09.2003 n. 326 (nella specie l'opera abusiva non
risultava suscettibile di sanatoria, in quanto costruzione
di tipo non-residenziale, realizzata in assenza del titolo
abilitativo) (Cass. Pen. Sez. III, 06.04.2004-07.05.2004,
Sentenza n. 21679) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.02.2007 n. 8067
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Costruire un muro di recinzione in
mattoni in luogo della rete metallica è un intervento di
ristrutturazione edilizia.
Le nozioni di “manutenzione
straordinaria”, “ristrutturazione” e “nuova
costruzione” [art. 3, comma 1, lett. b), d), e), DPR n.
380/2001], invero, sono riferite agli interventi edilizi “tipici”
e comportano “rinnovazione e/o sostituzione di parti
strutturali senza modifiche di destinazione d’uso,
alterazione dei volumi e superfici” (manutenzione
straordinaria), “trasformazione dell’organismo edilizio
anche in parte diverso da quello iniziale, con sostituzione
di elementi costitutivi” (ristrutturazione), “la
realizzazione di un <quid novi>, ovvero di una
trasformazione edilizia” (nuova costruzione).
Adeguando tali nozioni al muro di recinzione, la nuova
muratura, in sostituzione della rete metallica, è conforme
alla destinazione d’uso (recinzione), che non è modificata,
ma la manutenzione straordinaria implica che la “rinnovazione
e/o sostituzione delle parti strutturali”, non dovendo
alterare i volumi e le superfici, abbia una identità e/o
similarietà con la struttura precedente, poiché i mattoni
hanno consistenza e dimensioni diverse rispetto alla rete
metallica, che era l’elemento costitutivo precedente, la cui
sostituzione fa rientrare l’intervento nell’ambito della
ristrutturazione, per sostituzione di un elemento
costitutivo
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.05.2006 n. 334 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto del
proprietario di chiudere il proprio fondo non può essere
impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica
interessante l’area in questione (nella specie verde
pubblico), atteso che il legittimo esercizio dello “ius
escludendi alios”, laddove attuato mediante l’apposizione di
una recinzione costituita da una rete metallica -senza l’uso
di materiali ad elevato impatto ambientale quali cemento,
mattoni e simili- non contrasta, di per sé, con detta
previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area
una destinazione diversa da quella prevista dalle norme
urbanistiche.
- Considerato che il diritto del proprietario di chiudere il
proprio fondo non può essere impedito dall’esistenza di una
previsione vincolistica interessante l’area in questione
(nella specie verde pubblico), atteso che il legittimo
esercizio dello “ius escludendi alios”, laddove
attuato mediante l’apposizione di una recinzione costituita
da una rete metallica -senza l’uso di materiali ad elevato
impatto ambientale quali cemento, mattoni e simili- non
contrasta, di per sé, con detta previsione, non avendo per
fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa
da quella prevista dalle norme urbanistiche (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.02.2006 n. 572 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nozione di costruzione e distanze
legali.
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per
la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque
sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (massima tratta
da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II
civile, sentenza 10.01.2006 n. 145). |
anno 2004 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Una costruzione può essere realizzata
sul confine del vicino limitatamente all’altezza del
preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata
tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste
tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava
realizzando una costruzione che era solo in parziale
aderenza con quanto costruito in precedenza dal Sig. Greco,
con superamento in altezza del muro di confine, con la
conseguenza che parte della nuova costruzione era stata
edificata ad una distanza di circa 5 metri dalla
preesistente parete finestrata del confinante, mentre il
limite minimo in questi casi era stabilito in 10 metri dalla
locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione di fatto ma
sostiene che essendoci un muro di confine tra i due
fabbricati non occorreva rispettare alcuna distanza per la
nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una costruzione può essere
realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza
del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata
tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste
tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza ha da
tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni
che si definiscono muro: la differenziazione viene istituita
movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la
delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della
concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità
dell’eventuale ordinanza di demolizione adottata al
riguardo.
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso
stesso dei volumi ulteriori; in tal caso il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello
economico.
Il giudice osserva che la giurisprudenza ha da tempo
individuato un corretto discrimine tra le costruzioni che si
definiscono muro: la differenziazione viene istituita
movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la
delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della
concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità
dell’eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo
(TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR Liguria,
sez. I, 14.11.1996, n. 492; Id, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non
solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso
stesso dei volumi ulteriori (tar Emilia Romagna, Parma,
27.04.2001, n. 246; tar Lazio, sez. II, 04.11.2000, n.
8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello economico.
Nel caso in questione il muro svolge la funzione di
contenimento (si intenda, del terreno) per circa trenta
metri, al di là della recinzione preesistente, ed è connesso
ad un porticato che si estende per una superficie di circa
105 metri quadrati. La funzione della costruzione si ricava
dalla sua estensione, per cui non può ritenersi che il
ricorrente abbia inteso soltanto recingere la proprietà,
allorché realizzò quanto indicato.
Ne consegue che il manufatto avrebbe dovuto essere edificato
in forza di una concessione, sì che i motivi dedotti al
riguardo sono infondati e vanno respinti (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza
07.05.2003 n. 657 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il completamento della recinzione di un fondo non
può essere impedito dall’esistenza di una previsione
vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo
esercizio dello jus excludendi alios, di per sé, non
contrasta con la detta previsione, non avendo per fine
quello di imprimere all’area una destinazione diversa da
quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in
alcun modo l’amministrazione nell’esercizio dei poteri,
eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Ed invero, il completamento della recinzione di un fondo non
può essere impedito dall’esistenza di una previsione
vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo
esercizio dello jus excludendi alios, di per sé, non
contrasta con la detta previsione, non avendo per fine
quello di imprimere all’area una destinazione diversa da
quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in
alcun modo l’amministrazione nell’esercizio dei poteri,
eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono (cfr. TAR
Milano, sez. II, 20.05.1993 n. 334 e 24.10.1991 n. 1247) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 24.02.2003 n. 351 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA PRIVATA: Premesso
il diritto del proprietario di un’area di recintare la
stessa allo scopo di delimitarne i confini, essendo tale
attività espressione dell’esercizio del diritto di proprietà
implicante lo ius excludendi alios, detto comportamento non
può ritenersi in contrasto con le previsioni di utilizzo
pubblico dell’area, ogni qual volta detta recinzione non
costituisca ostacolo alla destinazione alla stessa impressa.
Ne consegue che, premesso il diritto del proprietario di
un’area di recintare la stessa allo scopo di delimitarne i
confini, essendo tale attività espressione dell’esercizio
del diritto di proprietà implicante lo ius excludendi
alios, detto comportamento non può ritenersi in
contrasto con le previsioni di utilizzo pubblico dell’area,
ogni qual volta detta recinzione non costituisca ostacolo
alla destinazione alla stessa impressa
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 14.06.2002 n. 968 - link a www.giustizia-amministrativa). |
anno 2001 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Una recinzione in
manufatti di cemento che si sviluppa per una lunghezza di
circa m. 346 con altezza di m. 2,50 costituisce intervento
che comporta, per le sue rilevanti dimensioni, quella
“trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale” per la quale è necessario, ex art. 1 L. n. 10 del
1977, il previo rilascio della concessione edilizia da parte
della competente amministrazione comunale.
Il Tribunale deve osservare, infatti, che non è
assolutamente condivisibile la tesi della ricorrente secondo
cui la realizzazione della recinzione di cui trattasi, non
sarebbe stata soggetta al rilascio di alcun titolo edilizio,
costituendo tale intervento una semplice estrinsecazione
dello “jus excludendi alios” insito nel diritto di
proprietà.
Invero, a confutazione di quanto precede, basta sottolineare
che una recinzione in manufatti di cemento che si sviluppa
per una lunghezza di circa m. 346 con altezza di m. 2,50
costituisce intervento che comporta, per le sue rilevanti
dimensioni, quella “trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio comunale” per la quale è
necessario, ex art. 1 L. n. 10 del 1977, il previo rilascio
della concessione edilizia da parte della competente
amministrazione comunale (v. TAR Puglia –LE- sez. 1^,
04/05/1999 n. 481; TAR Lazio –RM- sez. 2^, 10/03/1999 n.
829; TAR Piemonte, sez. 1^, 06/11/1997 n. 738).
E’ inoltre infondata l’ulteriore argomentazione contenuta
nell’atto introduttivo del giudizio secondo la quale, per
tali interventi di recinzione, non sarebbe richiesto titolo
edilizio alcuno a norma dell’art. 23, comma 1, del P.R.G.
comunale.
La citata norma, infatti, anche secondo quanto affermato
dalla stessa ricorrente, richiede l’autorizzazione edilizia
per le recinzioni riguardanti lotti edificati e, pertanto,
risulta del tutto legittimo il provvedimento comunale che ha
irrogato, ex art. 10 L. n. 47 del 1985, la sanzione
pecuniaria di cui si discute, sul presupposto che fosse
quantomeno sottoposto a regime autorizzatorio l’intervento
di recinzione di un’area sulla quale insiste lo stabilimento
industriale della società ricorrente (TAR
Emilia
Romagna-Parma,
sentenza
27.04.2001 n. 246 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Anche la realizzazione ex
novo di un muro di contenimento rientra tra gli interventi
soggetti a semplice autorizzazione edilizia.
Ciò premesso, risulta che i lavori in questione rientrassero
a pieno titolo tra quelli di manutenzione straordinaria,
assentibili dall’Autorità Comunale con semplice titolo
autorizzatorio e non con concessione edilizia, atteso che,
secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso dal
Collegio, anche la realizzazione ex novo di un muro
di contenimento rientra tra gli interventi soggetti a
semplice autorizzazione edilizia (v. TAR Liguria, sez. 1^,
14/11/1996 n.492; 19/10/1994 n. 345).
In tale ottica, quindi, mentre l’intervento sul muretto non
risultava in alcun modo difforme dall’autorizzazione
edilizia legittimamente rilasciata dal Comune, l’ulteriore
intervento, contestato alla ricorrente con l’ordinanza
impugnata e costituito dalla sostituzione della recinzione
in rete metallica sovrastante il muretto con una recinzione
in legno, ben poteva essere qualificato quale opera eseguita
in difformità dall’autorizzazione edilizia ed essere
conseguentemente sanzionato con la pena pecuniaria prevista
per tali violazioni dall’art. 10 L. n. 47 del 1985.
Risulta pertanto illegittima, per violazione della suddetta
disposizione, l’ordinanza impugnata, con la quale il Sindaco
ha ordinato alla ricorrente, con avvertimento di
comminatoria dell’acquisizione al patrimonio indisponibile
del Comune delle opere e dell’area di sedime in caso di
inadempimento, la demolizione di opere che, risultando (solo
per una di esse) difformi dall’autorizzazione edilizia
precedentemente rilasciata, dovevano essere sanzionate con
l’irrogazione della pena pecuniaria prevista dall’art. 10 L.
n.47 del 1985 (v. TAR Abruzzo –PE- 05/12/1997 n. 671; TAR
Piemonte, sez. 1^, 16/10/1996 n. 714)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 12.03.2001 n. 106 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Non ogni muro che sia
collocato ai limiti di un’area su cui insistono costruzioni
edilizie può considerarsi come “recinzione” allorquando,
come nel caso in esame, la funzione dello stesso non sia
quella di recingere bensì di sostenere altri volumi ovvero,
più precisamente, di contenere il terreno di un’area di
livello superiore suscettibile di smottamenti: infatti in
tale ultima ipotesi non soccorre più il regime semplificato
istituito per la realizzazione delle vere e proprie opere di
recinzione di edifici preesistenti, restando invero anche il
muro di contenimento assoggettato al regime del rilascio
della concessione edilizia.
Nel caso di specie l’opera realizzata dalla attuale istante
per la sua collocazione, che la medesima indica nel ricorso
come situata immediatamente a ridosso non già del
preesistente edifici per abitazione bensì di due capannoni
installati nell’area adiacente, non può certo ritenersi come
un’opera muraria di conservazione delle strutture o di altre
parti dell’organismo edilizio abitativo, essendo stata posta
per fornire un riparo da smottamenti di terreno ad un’area
circostante la proprietà edilizia della stessa istante.
A tale opera le medesima assegna anche la funzione
costitutiva della dotazione di un “muro di cinto” a
quella parte della sua proprietà, sulla quale, come sopra
riferito, si trovano installati due capannoni (vedasi al
riguardo le precisazioni che la stessa esponente fornisce
nella memoria depositata in data 16.06.1999).
Va tuttavia osservato che deve escludersi che le finalità di
recinzioni che la istante intenderebbe ritenere
riconoscibili nel suo intervento murario, possano far
considerare tale muro rientrante tra quelle opere (“recinzioni”)
che restano escluse dal regime della concessione edilizia
per restare soggette a quello, semplificato, della c.d. “denunzia
di inizio dei lavori”, previsto dall’art. 4 della legge
n. 493/1993 come sostituito dall’art. 2 -comma 60- della
legge 23.12.1996 n. 662.
La funzione della stessa opera come muro di contenimento,
benché posto su una pretesa linea di cinta di una parte
della proprietà immobiliare della ricorrente, non la rende
annoverabile tra le “recinzioni” cui si riferisce la
suindicata disposizione.
Va al riguardo osservato che non ogni muro che sia collocato
ai limiti di un’area su cui insistono costruzioni edilizie
può considerarsi come “recinzione” allorquando, come
nel caso in esame, la funzione dello stesso non sia quella
di recingere bensì di sostenere altri volumi ovvero, più
precisamente, di contenere il terreno di un’area di livello
superiore suscettibile di smottamenti: infatti in tale
ultima ipotesi non soccorre più il regime semplificato
istituito per la realizzazione delle vere e proprie opere di
recinzione di edifici preesistenti, restando invero anche il
muro di contenimento assoggettato al regime del rilascio
della concessione edilizia (cfr. sul punto in fattispecie
pressoché analoga C.S.I. 05.05.1993, n. 165)
(TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza
04.11.2000
n. 8923 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
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