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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
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71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
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75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
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78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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dossier MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
marzo 2022

EDILIZIA PRIVATAIn materia urbanistica non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale.
La distinzione tra ius aedificandi e ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
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6. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
6.1. Quanto al primo motivo di gravame, deve osservarsi che l’opera in questione riguarda una recinzione di circa ml. 140 costituita da un muretto in cemento sormontato da una ringhiera in ferro di altezza pari a ml. 0,95.
Si tratta di una tipologia di trasformazione edilizia che per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio non è annoverabile nell’ambito dell’attività edilizia libera, essendo necessario per la stessa apposito titolo edilizio.
Si è, infatti, a più riprese chiarito che, in materia urbanistica, non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 29.11.2019, n. 8178).
Ipotesi quest’ultima non ricorrente nella fattispecie, stante la tipologia dell’opera realizzata.
Tanto premesso, deve registrarsi che l’art. 20, legge regionale dell’Umbria, n. 1/2004 e l’art. 9, legge regionale dell’Umbria, n. 21/2004, condizionano espressamente l'esecuzione delle opere al rispetto delle previsioni degli strumenti urbanistici, generali e attuativi.
Eventualità quest’ultima non sussistente nella fattispecie, dal momento che, in applicazione di quanto disposto dall'art. 36 delle NTA del PRG del Comune di Bastia Umbra, il lato nord del lotto, nonché un tratto di circa ml. 5,00 nei lati est ed ovest, su cui ricade in parte il manufatto abusivo, rientrano in una zona destinata a “parcheggio pubblico”. Sicché vi è un contrasto tra l’opera realizzata e il vincolo in questione.
Non rileva, inoltre, che il piano attuativo non sia stato nelle more del giudizio approvato, dal momento che l’art. 36 delle N.T.A. al prg stabilisce che nella zona in questione possono essere realizzati parcheggi pubblici all’aperto o al coperto in fabbricati pluripiano o sotterranei.
6.2. Né può trovare adesione quanto sostenuto dall’appellante secondo la quale il vincolo, di cui al citato art. 36, avrebbe natura espropriativa, in ragione del fatto che la proprietaria delle aree su cui insiste il muro di cinta non avrebbe partecipato al piano attuativo.
La natura giuridica conformativa del vincolo in questione, infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, non discende dalla circostanza contingente che la proprietaria dell’area abbia o meno partecipato al piano attuativo.
La destinazione a parcheggio pubblico impressa sulla base di previsioni di tipo urbanistico, infatti, non comportando automaticamente l'ablazione dei suoli ma ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all'uso pubblico, costituisce vincolo conformativo e non anche espropriativo della proprietà privata (ex plurimis, Cons. St., Sez. II, 07.06.2021, n. 4364; Cons. St., Sez. VI, 05.09.2018, n. 5206) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.03.2022 n. 1609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2022

EDILIZIA PRIVATA: Deve ritenersi che “la realizzazione della recinzione non richieda un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi ed esercizio dello ius excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
In particolare, il permesso di costruire, mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, diventa indispensabile quando, come nel caso di specie, la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante struttura in ferro, così rientrando negli interventi di nuova costruzione”.
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12.5. Quanto poi alla sollevata illegittimità della qualificazione dell’intervento in termini di “nuova opera”, la quale appare logicamente e funzionalmente prioritaria rispetto anche alle valutazioni di non conformità effettuate dall’Amministrazione, la censura non può trovare accoglimento.
Come affermato più volte dalla Giurisprudenza, deve ritenersi che “la realizzazione della recinzione non richieda un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi ed esercizio dello ius excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. In particolare, il permesso di costruire, mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, diventa indispensabile quando, come nel caso di specie, la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante struttura in ferro, così rientrando negli interventi di nuova costruzione” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.12.2019 n. 8600; TAR Puglia Bari, Sez. I, 09.07.2021 n. 1163, cfr., tra le altre, Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 25.01.2022 n. 833).
Nel caso di specie l’opera è destinata in modo stabile e permanente alla delimitazione dell’area, appare di consistenti dimensioni, rifinendo uno spazio molto ampio, è solidamente strutturata dovendo fungere anche da sostegno della scarpata e presentando un dislivello di cui non è indicata la quota, ma che “nella sezione di progetto il terreno del Pu. risulta essere a quota superiore di 2,10 m rispetto al confinante, ciò farebbe presupporre un intervento di riempimento dell’area”.
Ne discende una rilevante trasformazione dell’assetto urbanistico del territorio, rientrante come tale nel novero degli interventi di nuova costruzione, soggetta quindi a permesso di costruire e a ordinanza di demolizione ove posta in essere in assenza del permesso di costruire (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 14.02.2022 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2022

EDILIZIA PRIVATAPergolato e muro di cinta, ecco quando si superano i confini dell'edilizia libera.
Una tettoia che si vuole interpretare come pergolato.

Se ne è occupato il Consiglio di Stato (VI Sez.) nella sentenza 03.01.2022 n. 8.
Il caso riguarda due manufatti realizzati nel territorio che ricade in un comune trentino da un privato per scopi funzionali alla sua attività economica. I manufatti, che secondo il promotore sono «del tutto assimilabili a pergolati», erano in realtà strutture di dimensione rilevanti (la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35x12 metri per 4 metri di altezza); ma soprattutto realizzate in un caso con travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e nell'altro caso con setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).
Tutta un'altra cosa rispetto al pergolato, che -ha ricordato il Consiglio di Stato- per rientrare in tale definizione, ed essere quindi rubricabile nell'edilizia libera, deve essere «un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti».
Peraltro, osservano i giudici in replica alla asserita precarietà e amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l'orientamento in base al quale si deve seguire "non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale", per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee –come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell'impresa- non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili».
In un'altra sentenza pubblicata i primi di gennaio di quest'anno i giudici delle VI Sezione (sentenza 03.01.2022 n. 1) si sono pronunciati anche su un caso di diniego di sanatoria edilizia che ha interessato anche la realizzazione di un muro di cinta.
Al di là del caso specifico (che riguardava opere edili realizzati in difformità al progetto e su un manufatto plurivincolato) si ricorda il discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera, realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede un assenso dell'ente locale.
«Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli di contenimento -osservano i giudici- va ribadito il principio di diritto per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà». «Diversamente -prosegue la sentenza-, quando si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).

dicembre 2021

EDILIZIA PRIVATALe recinzioni non comportanti, per caratteristiche costruttive (realizzate senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, prive di muretti di sostegno) un'apprezzabile trasformazione territoriale non richiedono alcun titolo edilizio, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà rappresentando una manifestazione non dello ius aedificandi, ma del diritto di chiudere il fondo sancito dall’art. 841 c.c..
Anche secondo altra (e più restrittiva) tesi giurisprudenziale, la realizzazione di una recinzione a protezione della proprietà, quando abbia dimensioni limitate, non è comunque considerata soggetta a permesso di costruire, non comportando una “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001, rientrando quindi (secondo questa tesi) nella nozione residuale degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22, ora segnalazione certificata di inizio di attività).
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Sotto tale profilo deve essere accolto anche il motivo di appello con cui sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado relative al diniego dell’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380 del 2001.
Infatti, dalle indicazioni relative alla zona C di espansione residenziale, depositate in allegato alla verificazione, risulta solo la previsione della destinazione di zona a nuovi insediamenti residenziali pubblici o privata previa necessità del piano attuativo (piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata), ma non vi è alcuna indicazione rispetto alla possibilità di realizzare altre opere; né si può ovviamente interpretare tale regime urbanistico come impeditivo del diritto, attribuito dal codice civile in via generale, di recintare il fondo di proprietà.
Si deve, infatti, considerare che le recinzioni non comportanti, per caratteristiche costruttive (realizzate senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, prive di muretti di sostegno) un'apprezzabile trasformazione territoriale non richiedono alcun titolo edilizio, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà rappresentando una manifestazione non dello ius aedificandi, ma del diritto di chiudere il fondo sancito dall’art. 841 c.c. (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14.06.2018, n. 3661; sez. V, 09.04.2013, n. 1922); anche secondo altra (e più restrittiva) tesi giurisprudenziale, la realizzazione di una recinzione a protezione della proprietà, quando abbia dimensioni limitate, non è comunque considerata soggetta a permesso di costruire, non comportando una “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001, rientrando quindi (secondo questa tesi) nella nozione residuale degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22, ora segnalazione certificata di inizio di attività) (Cons. Stato Sez. II, 20.03.2020, n. 1997).
È vero che, nel caso di specie, la recinzione era di consistenti dimensioni e che quindi poteva eventualmente ipotizzarsi come necessario il permesso di costruire, ma questo era stato appositamente richiesto in sanatoria dalle appellanti, essendo stata realizzata la recinzione in difformità rispetto alla precedente denuncia di inizio attività.
Del resto, dalla necessità del titolo edilizio, in relazione alla natura delle opere di chiusura del fondo realizzate, non può farsi discendere la necessità anche della redazione di un piano attuativo.
Oltre all’assoluto difetto di proporzionalità tra i due strumenti, la realizzazione della recinzione non comportava la previa approvazione del piano attuativo, non essendo finalizzata alla realizzazione né di un insediamento residenziale secondo quanto indicato delle norme di piano, né di un immobile residenziale, da cui sarebbe derivato comunque un aumento del carico urbanistico e la necessità di opere di urbanizzazione, restando posta a tutela della proprietà del terreno, come del resto dimostrato dalla mancata realizzazione di ulteriori opere edilizie nel corso degli anni.
Pertanto, nel caso di specie il richiamo alla necessità del piano attuativo, posto a base del provvedimento di diniego di sanatoria, è illegittimo (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 20.12.2021 n. 8433 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere per la delimitazione dei confini – SCIA – Assetto territoriale – Permesso di costruire.
Le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale.
Ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione dell'importanza dimensionale dell'intervento
(cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n. 52040)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.12.2021 n. 3746 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.01.2022).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento al regime edilizio applicabile ai cancelli, giova richiamare l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo il quale in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all’astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell’impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale.
Ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione dell’importanza dimensionale dell’intervento.

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Parte ricorrente ha adito l’intestata Sezione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza di rimessa in pristino e irrogazione sanzione pecuniaria n. 84-D, del 02.04.2021, emessa dal Comune di Noto, Settore n. 3, Urbanistica, Assetto e tutela del territorio, avente ad oggetto "Opere eseguite in assenza di C.I.L.A., all’ingresso del cortile posto in Noto via ... n. 67”, con la quale gli veniva ordinato di provvedere, entro il termine di 30 giorni a decorrere dalla notifica, alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00 (mille/00).
...
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Ribadito, in limine litis, che in base al principio dispositivo il giudice adito deve rispondere unicamente alle domande avanzate dalla parte ricorrente, occorre a tal fine rilevare quanto segue:
   - che sul piano strettamente formale l’ordinanza contiene tutti gli elementi necessari per la sua autonoma intellegibilità, atteso che a fronte dell’accertamento dell’esistenza di un cancello –fatto non contestato tra le parti– è stata riscontrata l’assenza di documentazione (nella fattispecie la CILA) agli atti del Comune resistente;
   - che nei procedimenti di accertamento di eventuali “abusi o irregolarità edilizie” non è ovviamente obbligatoria alcuna preventiva comunicazione agli interessati dal procedimento “sazionatorio”;
   - che risulta condivisibile la giurisprudenza richiamata dalla parte resistente, secondo al quale “con riferimento al regime edilizio applicabile ai cancelli, giova richiamare l’orientamento giurisprudenziale prevalente -TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 21.05.2018 n. 3298- secondo il quale: in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all’astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell’impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della SCIA (già DIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre il permesso di costruire è necessario nel caso in cui detta soglia risulta superata in ragione dell’importanza dimensionale dell’intervento" (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n. 52040);
   - infine, quanto al punto più contestato dalla parte ricorrente in ordine alla preesistenza del cancello rispetto alla entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001 e ss. mm., pur gravando l’onere della prova del suddetto elemento a carico di quest’ultima, in quanto parte agente in giudizio, la stessa non ha introdotto in giudizio, sul piano probatorio, alcun elemento o indizio dal quale ricavare effettivamente la veridicità della suddetta circostanza (ad esempio, attraverso la produzione dell’atto notarile di acquisto del bene immobile con espressa previsione della preesistenza del cancello), non potendo quindi escludersi che lo stesso sia stato apposto di recente.
Per le ragioni esposte, quindi, il ricorso deve essere rigettato perché infondato (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.12.2021 n. 3746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2021

EDILIZIA PRIVATA: Nuova costruzione – Muro di contenimento – Volume – Presupposti.
Sotto il profilo urbanistico-edilizio, il presupposto per l'esistenza di un volume è costituito dalla presenza di uno spazio chiuso, stabilmente configurato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2021, n. 3393), che si realizza quando vi è almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 15.01.2015, n. 259).
Dunque, il muro di contenimento di un terrapieno naturale o di una scarpata, qualunque sia la sua altezza, non deve essere considerato costruzione solo con riguardo alle norme sulle distanze, mentre per tutto il resto deve essere qualificato come costruzione in senso tecnico (cfr., fra le tante, Cassazione civile, sez. II, 29.05.2019, n. 14710; Cons. Stato, sez. IV, 30.08.2018, n. 5108)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 08.11.2021 n. 1472 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.01.2022).
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5.1.2. Ciò chiarito, attraverso l’esame della documentazione tecnica e fotografica versata in atti è possibile apprezzare come, con la costruzione del solaio che costituisce accesso all’abitazione dei ricorrenti, lo spazio ad esso sottostante, già delimitato su tre lati, sia stato chiuso anche nella parte superiore (cfr., in particolare, foto allegate all’istanza di sanatoria, doc. 6, pagg. 22 e ss., di parte ricorrente).
L’opera in esame, peraltro, per la tipologia dei materiali utilizzati e per la peculiare conformazione dei luoghi ha natura non precaria.
E’ stato dunque creato un nuovo volume edilizio.
E difatti, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, sotto il profilo urbanistico-edilizio, il presupposto per l'esistenza di un volume è costituito dalla presenza di uno spazio chiuso, stabilmente configurato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2021, n. 3393), che si realizza quando vi è almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 15.01.2015, n. 259). Caratteristiche riscontrabili nel caso di specie.
Il fatto che una delle pareti di chiusura del manufatto sia costituito dal muro di contenimento della scarpata naturale adiacente all’edificio non rileva, dal momento che -secondo costante giurisprudenza- il muro di contenimento di un terrapieno naturale o di una scarpata, qualunque sia la sua altezza, non deve essere considerato costruzione solo con riguardo alle norme sulle distanze, mentre per tutto il resto deve essere qualificato come costruzione in senso tecnico (cfr., fra le tante, Cassazione civile, sez. II, 29.05.2019, n. 14710; Cons. Stato, sez. IV, 30.08.2018, n. 5108).

ottobre 2021

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
Qualora la recinzione si sostanzi nell'apposizione di reti e paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali leggeri pur non essendo necessario il permesso di costruire è d’uopo che l’interessato si munisca di una specifica autorizzazione da parte del Comune.
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Espone la ricorrente di essere proprietaria, per acquisto fattone con atto notarile in data 18.07.2017, di un appezzamento di terreno di circa 2.000 mq. sito in Comune di Castel Rozzone (BG), tra la Via San Carlo e la Via Nazioni Unite, catastalmente contraddistinto al foglio 9, mappale 1101, già mappale 122/a.
Una porzione di tale area di circa 740 mq., oggetto dei provvedimenti in questa sede impugnati, è stata interessata da vincoli preordinati all’esproprio, più volte reiterati, e ora decaduti, circostanza dalla quale la ricorrente fa discendere che l’area sarebbe sottoposta alla disciplina delle cosiddette “zone bianche”.
Secondo la narrazione della ricorrente, l’area in parola è stata utilizzata dal dante causa della ricorrente quale spazio adibito ad usi accessori per il deposito di materiali e macchinari edilizi. Tale area era stata, peraltro, anche recintata e pavimentata.
Il precedente proprietario, infatti, dopo aver ottenuto nell’anno 1988 un titolo per lo sbancamento del terreno e per la sistemazione con ghiaia dell’area, nell’anno 1991, aveva segnalato che l’area veniva utilizzata per il deposito all’aperto di materiali e macchinari edilizi e che la pavimentazione sarebbe stata realizzata “di tout-venant o in calcestruzzo”. Nell’anno 1996 veniva poi ottenuta una autorizzazione per la sostituzione della recinzione in precedenza installata ulteriormente precisata nell’anno 2001.
All’esito di un sopralluogo effettuato in data 12.06.2020, l’Amministrazione comunale con atto del 15.07.2020 dava comunicazione dell’avvio del procedimento finalizzato alla “remissione in pristino dell’area” medesima avendo rinvenuto l’esistenza di opere eseguite in assenza di titolo.
La ricorrente faceva pervenire rituali osservazioni, ma con decreto del 30.10.2020, il Comune di Castel Rozzone, dopo aver confermato la decadenza del citato vincolo espropriativo ordinava alla ricorrente di procedere alla “completa eliminazione di qualsivoglia struttura presente (baracche di cantiere/capanni in lamiera)” sull’area di proprietà, al “riordino dell’area interessata dal procedimento” e, con riferimento alla recinzione, a “sanare le difformità riscontrate tra lo stato dell’arte e lo stato autorizzato …”, assegnando il termine di 30 giorni dal ricevimento del medesimo provvedimento per provvedere a quanto intimato.
Avverso tale atto insorgeva la sig.ra Lo. chiedendone l’annullamento, previa sospensione, e deducendo:
   1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97 della Costituzione; 1 e 3 della legge 07.08.1990 n. 241. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, del difetto della motivazione e del travisamento dei fatti. Illogicità. Sviamento.
   2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della Costituzione; degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990; dell’art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187; dell’art. 9 del D.P.R. n. 327/2001; dell’art. 4 della legge n. 10/1977; dell’art. 9 della legge regionale n. 12/2005; degli artt. 9, 9-bis, 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere sotto il profilo della erroneità della motivazione, travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti e Sviamento.
   3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187; dell’art. 4 della legge n. 10/1977; dell’art. 7 del decreto legge n. 9/1982; degli artt. 2, 3, 6, 9, 9-bis, 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, 9 del D.P.R. n. 327/2001 e 1 e 3 della legge 07.08.1990 n. 241. Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 18 del Piano delle Regole del P.G.T. comunale. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, del difetto della motivazione e del travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti.
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Il ricorso è infondato.
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Deduce ancora la ricorrente che non avrebbe fondamento la richiesta dell’amministrazione di procedere alla sanatoria di asserite difformità relative alla recinzione, atteso che la posa di una recinzione è diretta a far valere lo ius excludendi alios, che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, non essendo necessario munirsi di un titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di recinzioni senza opere murarie, come nella specie.
La tesi non persuade.
Invero, la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (Cons. Stato Sez. VI, 03/08/2020, n. 4900).
Qualora la recinzione si sostanzi nell'apposizione di reti e paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali leggeri pur non essendo necessario il permesso di costruire è d’uopo che l’interessato si munisca di una specifica autorizzazione da parte del Comune (TAR Campania, Napoli Sez. VIII, 18/08/2020, n. 3607, TAR Abruzzo Pescara, 21/01/2020, n. 29).
Nel caso di specie è rinvenibile, in data 27.07.1991 solo il rilascio di un’autorizzazione edilizia “necessaria alla realizzazione di una recinzione provvisoria da costruire sul mappale n. 122/a, area vincolata ad attrezzature pubbliche, parcheggio ed attualmente usata come deposito all’aperto di materiali e macchinari edilizi”, corredata dalla precisazione che ”Dato il carattere provvisorio della recinzione, il sottoscritto [ovvero il dante causa della ricorrente] si impegna a rimuoverla su semplice richiesta dell’Amministrazione comunale”.
Nell’anno 1996 la predetta autorizzazione veniva integrata con l’assenso alla la sostituzione della recinzione in precedenza installata rimanendo fermo il carattere precario dell’opera (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 22.10.2021 n. 892 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2021

EDILIZIA PRIVATA: Quand’anche l’intervento di recinzione fosse astrattamente riconducibile nell’alveo del concetto di manutenzione straordinaria, non può trovare applicazione il regime agevolato di cui all’art. 6-bis d.p.r. n. 380/2001 introdotto dal dlgs n. 222/2016 in tema di comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), poiché come evidenziato dalla giurisprudenza "… ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica …”.
Peraltro, anche il citato art. 6-bis, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 fa espressamente salve le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42.
In ogni caso, “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.”.
Pertanto, nel caso di specie, essendo il muretto caratterizzato dall’essere in cemento armato, necessitava comunque di permesso di costruire e non di mera DIA. E’, quindi, corretto il regime giuridico (rectius art. 31 d.p.r. n. 380/2001) individuato dall’Amministrazione comunale nel gravato provvedimento di demolizione.
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Va, altresì, disattesa l’argomentazione di parte ricorrente che fa riferimento alla asserita conformità dell’opera realizzata rispetto al regolamento edilizio comunale di Cerignola (art. 2.4.2).
Invero, rimane fermo che la DIA del 2009 fosse priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, essendo chiaramente in contrasto con l’autorizzazione paesaggistica pur rilasciata dalla Soprintendenza, ma con esclusivo riferimento ad un’opera facilmente rimovibile (con pali metallici).
In ogni caso quand’anche l’intervento di recinzione fosse astrattamente riconducibile nell’alveo del concetto di manutenzione straordinaria, non può trovare applicazione il regime agevolato, invocato da parte ricorrente, di cui all’art. 6-bis d.p.r. n. 380/2001 introdotto dal dlgs n. 222/2016 in tema di comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), poiché come evidenziato da TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 30.03.2018, n. 20 -OMISSIS- in precedenza richiamata “… ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica …”.
Peraltro, anche il citato art. 6-bis, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 fa espressamente salve le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42.
In ogni caso, come rimarcato da Consiglio di Stato, Sez. IV, 15/12/2017, n. 5908 “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.”. Pertanto, nel caso di specie, essendo il muretto caratterizzato dall’essere in cemento armato, necessitava comunque di permesso di costruire e non di mera DIA.
E’, quindi, corretto il regime giuridico (rectius art. 31 d.p.r. n. 380/2001) individuato dall’Amministrazione comunale nel gravato provvedimento di demolizione (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 19.07.2018 n. 1094 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2020

EDILIZIA PRIVATASecondo consolidata giurisprudenza, il muro di cinta o di contenimento necessita di permesso di costruire, differenziandosi dalla semplice recinzione (la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà), giacché non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato.
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Il condominio del villaggio “Le Gi.” impugna l’ordinanza di demolizione 12.02.2020 n. 1216, emessa dal Comune di Vibonati in relazione a cinque muri di contenimento in blocchetti prefabbricati in cls di cm. 40 x 20 x 20, con sovrastante cordolo in cls di spessore variabile da cm. 20 a cm. 30, realizzati in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistico-ambientale.
Di essi muri, quattro sono posti all’ingresso dell’area condominiale destinata a servizi ed hanno le seguenti dimensioni: muro 1), lunghezza mt. 5.50 ed altezza mt. 1,45; muro 2), lunghezza mt. 12,00 ed altezza variabile mt. 1,30/mt. 0,20; muro n. 3), lunghezza mt. 5,80 ed altezza mt. 1,80; muro n. 4), lunghezza mt. 4,50 ed altezza mt. 1,80. Il muro n. 5), ubicato a monte del campo da tennis e poggiato su una gradonata sul cui terrapieno lato strada è stato ricavato uno spazio destinato al parcheggio di autovetture, ha una lunghezza di m. 27,50 ed un’altezza di mt. 1,80.
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Il ricorso è infondato, stante la natura vincolata dell’ordine di demolizione.
Per vero, secondo consolidata giurisprudenza, il muro di cinta o di contenimento necessita di permesso di costruire, differenziandosi dalla semplice recinzione (la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà), giacché non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 09/01/2020, n. 212).
Né coglie a segno l’argomentazione secondo cui si tratterebbe di opere preesistenti, o realizzate in continuità ad opere preesistenti, non risultando mai rilasciato, per queste ultime, alcun titolo (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 12.11.2020 n. 1644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2020

EDILIZIA PRIVATA: Competenze sulle violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche – Attività di accertamento delle violazioni (dirigente o funzionari dell’U.T.R., geometri degli U.T.C. – Audizione del dirigente dell’ufficio tecnico della regione – Principio dell’inammissibilità della prova manifestamente superflua o irrilevante – Artt. 93, 95, 98, 103, 106 d.P.R. n. 380/2001 – Fattispecie: accertamenti su opere abusive in zone sismiche (recinzione di notevoli dimensioni).
La disposizione di cui all’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere intesa quale vincolo assoluto all’audizione del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, in quanto anche detta escussione, in ossequio al principio dell’inammissibilità della prova manifestamente superflua o irrilevante, deve essere subordinata alla valutazione circa l’utilità della deposizione in ordine all’accertamento delle contravvenzioni o all’esercizio del potere–dovere di adottare le particolari statuizioni previste dal terzo comma della disposizione citata nel caso di violazioni di carattere sostanziale.
Pertanto, il comma 2 dell’art. 98 d.P.R. n. 380/2001 impone l’obbligo di procedere «in ogni caso» all’esame del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, o di un funzionario dipendente da lui delegato e a conoscenza dei fatti, solo nell’ipotesi in cui si sia proceduto ad «ulteriori accertamenti tecnici» a norma dell’art. 98, comma 1, d.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in forza del combinato disposto degli artt. 96 e 103 d.P.R. n. 380 del 2001, l’attività di accertamento delle violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche non è rimessa in via esclusiva al dirigente dell’ufficio tecnico regionale, o ai funzionari del suo ufficio, ma può essere svolta, in via alternativa, anche da numerose altre autorità amministrative, tra le quali, ad esempio, come nella specie, i geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni comunali.
Infine, il dirigente dell’ufficio tecnico regionale deve essere sempre informato dell’avvenuta constatazione della violazione, ma dispone «ulteriori accertamenti di carattere tecnico» solo ove necessario, e, precisamente, per ripetere la previsione testuale del legislatore, «occorrendo».
Nella specie, la prova era stata raggiunta, attraverso l’esame di un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune competente, dell’avvenuta realizzazione di un’opera, (recinzione lunga circa 200 metri di cui 70 di altezza variabile tra metri 1,70 e 2,00 metri) e quindi di una nuova costruzione, di notevoli dimensioni, ubicata in zona sismica, in assenza del preventivo deposito del relativo progetto presso gli uffici del Genio Civile.
In questo modo, si è dato atto, con congrua motivazione, della completezza del quadro istruttorio, e, quindi, della superfluità dell’esame del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.10.2020 n. 27592 - link a www.ambientediritto.it).

settembre 2020

EDILIZIA PRIVATA: Distanza minima tra recinzioni e strade urbane? Il Regolamento edilizio può prevederla.
Tar Veneto: il regolamento edilizio può prevedere una distanza minima delle recinzioni dalle strade locali urbane poste all’interno dei centri abitati.
Il Regolamento Edilizio Comunale può legittimamente prevedere, dentro i centri abitati, distanze minime delle recinzioni dal confine stradale, per tutte le strade ed anche per quelle di tipo F (urbane).
Lo si evince dal contenuto della sentenza 08.09.2020 n. 798 del TAT Veneto, che ritiene infondato il primo motivo con cui il provvedimento (diniego del permesso di costruire) è censurato per violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 28 del dpr 495/1992 “Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”; eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto dell’art. 39 Regolamento edilizio comunale con sovraordinate norme statali.
La censura -sottolinea il Tar- è incentrata sulla ritenuta illegittimità dell’art. 39, comma 2, del Regolamento edilizio nella parte in cui fissa la distanza delle recinzioni dalle strade di tipo F poste all’interno dei centri abitati, per contrasto con l’art. 28 del dpr 495/1992, il quale, per le strade non rientranti nelle categorie A e D poste all’interno dei centri abitati, non stabilisce distanze minime delle recinzioni dal confine stradale “ai fini della sicurezza della circolazione”.
Ma questa previsione non risulta violata dal regolamento edilizio, poiché essa –non prevedendo distanze minime inderogabili- non esclude il potere dei Comuni di fissare distanze minime di costruzioni e recinzioni dal confine stradale nell’esercizio dei propri poteri di pianificazione e regolamentazione dell’attività edilizia, sia per finalità di tutela della sicurezza della circolazione, che per la salvaguardia di altri interessi di natura urbanistico-edilizia, quali la manutenzione delle strade, o il mantenimento degli allineamenti nell’abitato, essendo preclusa soltanto la introduzione di distanze inferiori per le strade rientranti nelle categorie A e D.
L’art. 18, comma 4, del Codice della Strada infatti, nel dettare la disciplina delle “Fasce di rispetto ed aree di visibilità nei centri abitati”, fa espressamente salva la prerogativa dei Comuni di prevedere distanze dalle strade per le piantagioni e le recinzioni (“4. Le recinzioni e le piantagioni dovranno essere realizzate in conformità ai piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la sicurezza della circolazione.”).
La giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che “l'art. 18, comma 4, del D.Lgs. 285/1992 -laddove dispone che "le recinzioni ... dovranno essere realizzate in conformità ai piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la sicurezza della circolazione"- introduce una disciplina che assume valenza sia urbanistico-edilizia sia di tutela del bene primario della sicurezza della circolazione stradale.” (TAR Lombardia Brescia Sez. I, (ud. 21/11/2006) 05.12.2006, n. 1545).
In definitiva, la norma del regolamento comunale in questione non è illegittima e non va abrogata, così come è del tutto legittimo il diniego del permesso di costruire emesso dal comune (23.09.2020 - commento tratto da www.ingenio-web.it).
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I ricorrenti impugnano il provvedimento emesso dal Comune di Casale Sul Sile in data 21/02/2020 di parziale annullamento del permesso di costruire rilasciato in data 15/04/2019 per l’edificazione di un nuovo fabbricato residenziale unifamiliare, in quanto contrastante, per la parte relativa alla recinzione, con l’articolo 39, comma 2, del Regolamento edilizio comunale, con il quale sono state fissate le distanze minime delle recinzioni dai confini stradali.
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Il ricorso è infondato.
È infondato il primo motivo con cui il provvedimento è censurato per violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 28 D.P.R. 16.12.1992 n. 495 “Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”; eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto dell’art. 39 Regolamento edilizio comunale con sovraordinate norme statali.
La censura è incentrata sulla ritenuta illegittimità dell’articolo 39, comma 2, del Regolamento edilizio nella parte in cui fissa la distanza delle recinzioni dalle strade di tipo F poste all’interno dei centri abitati, per contrasto con l’articolo 28 del D.P.R. 495/1992, il quale, per le strade non rientranti nelle categorie A e D poste all’interno dei centri abitati, non stabilisce distanze minime delle recinzioni dal confine stradale “ai fini della sicurezza della circolazione”.
La previsione da ultimo menzionata non risulta violata dal regolamento edilizio, poiché essa –non prevedendo distanze minime inderogabili- non esclude il potere dei Comuni di fissare distanze minime di costruzioni e recinzioni dal confine stradale nell’esercizio dei propri poteri di pianificazione e regolamentazione dell’attività edilizia, sia per finalità di tutela della sicurezza della circolazione, che per la salvaguardia di altri interessi di natura urbanistico-edilizia, quali la manutenzione delle strade, o il mantenimento degli allineamenti nell’abitato, essendo preclusa soltanto la introduzione di distanze inferiori per le strade rientranti nelle categorie A e D.
L’articolo 18, comma 4, del Codice della strada, infatti, nel dettare la disciplina delle “Fasce di rispetto ed aree di visibilità nei centri abitati”, fa espressamente salva la prerogativa dei Comuni di prevedere distanze dalle strade per le piantagioni e le recinzioni (“4. Le recinzioni e le piantagioni dovranno essere realizzate in conformità ai piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la sicurezza della circolazione.”).
La giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che “l'art. 18, comma 4, del D.Lgs. 285/1992 -laddove dispone che "le recinzioni ... dovranno essere realizzate in conformità ai piani urbanistici e di traffico e non dovranno comunque ostacolare o ridurre, a giudizio dell'ente proprietario della strada, il campo visivo necessario a salvaguardare la sicurezza della circolazione"- introduce una disciplina che assume valenza sia urbanistico-edilizia sia di tutela del bene primario della sicurezza della circolazione stradale” (TAR Lombardia Brescia Sez. I, (ud. 21/11/2006) 05.12.2006, n. 1545).
Non potendosi, pertanto, ritenere tale previsione illegittima, non sussistono ragioni per adottare un’interpretatio abrogans dell’articolo 39, comma 2, del regolamento comunale e ciò benché la sua formulazione presenti un evidente disallineamento tra la prima parte, ove si richiama l’articolo 26 del D.P.R. 495/1992 (che fissa le distanze dalle sole strade poste fuori dai centri abitati), e la tabella sottostante, che fissa le distanze delle recinzioni anche all’interno dei centri abitati, dovendosi ritenere che la prima parte, e non la seconda, sia frutto di un refuso (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 08.09.2020 n. 798 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2020

EDILIZIA PRIVATA: Le opere abusivamente realizzate consistono nella realizzazione di un muro in cemento con la parte soprastante in paletti e rete metallica avente lunghezza di m. 6,90 circa; e di un cancello avente larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in calcestruzzo con soprastanti pali in ferro.
Per dimensioni morfologiche, modalità costruttive e materiali impiegati le opere esulano dall’ambito delle recinzioni la cui realizzazione non è subordinata al rilascio del permesso di costruire: ossia dalle recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, quali quelle consistenti nella mera apposizione di rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
Paradigmaticamente, s’afferma che la concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie; e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo jus excludendi alios: viceversa, occorre, il titolo edilizio, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.
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Né, per scriminare in fatto l’abuso, è consentito frazionare le opere.
Costituisce principio consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che: “la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, sicché non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante considerato, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni”.
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1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 36/2010, di reiezione del ricorso collettivamente proposto dai sig.ri Lu.Ga., At.Br., Al.Br. e It.Br. avverso l’ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Gallarate (n. 96 del 31.5.95), avente ad oggetto le opere di recinzione in rete metallica e i relativi cancelli di accesso alla proprietà.
Nei motivi d’impugnazione i ricorrenti deducevano che la sanzione era stata comminata senza previamente accertare gli effettivi responsabili delle opere; e che, comunque, in ragione delle opere intraprese –costituenti manifestazioni di facoltà dominicale espressamente attribuite dall’art. 841 c.c.– esse non integravano abuso edilizio assoggettabile alla sanzione reale di ripristino.
2. Il Tar ha respinto il ricorso, rilevando che, in ragione delle modalità tecniche di realizzazione della recinzione e del cancello d’accesso agli immobili di proprietà, le opere realizzate erano subordinate al rilascio del titolo edilizio con la conseguenza che la sanzione demolitoria è atto dovuto.
Quanto ai destinatari della sanzione, l’incidenza delle opere sui fondi di loro proprietà ha fatto sì, sottolineano i giudici di prime cure, che l’ordinanza è stata correttamente notificata anche ad essi.
...
7. Con il secondo motivo d’appello, i ricorrenti lamentano l’omesso scrutinio in sentenza della natura delle opere di carattere meramente pertinenziale e precario, funzionali alla separazione della proprietà: e dunque espressione concreta dello ius excludendum alios, realizzabili senza necessità di un titolo abilitativo.
8. Il motivo è infondato.
Le opere consistono nella realizzazione di un muro in cemento con la parte soprastante in paletti e rete metallica avente lunghezza di m. 6,90 circa; e di un cancello avente larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in calcestruzzo con soprastanti pali in ferro.
Per dimensioni morfologiche, modalità costruttive e materiali impiegati le opere esulano dall’ambito delle recinzioni la cui realizzazione non è subordinata al rilascio del permesso di costruire: ossia dalle recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, quali quelle consistenti nella mera apposizione di rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
Paradigmaticamente, s’afferma che la concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie; e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo jus excludendi alios: viceversa, occorre, il titolo edilizio, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. IV, 15.12.2017, n. 5908; Id., sez. VI, 19.12.2019, n. 8600).
Né, per scriminare in fatto l’abuso, è consentito frazionare le opere.
Costituisce principio consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che: “la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, sicché non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante considerato, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni” (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 07.11.2019, n. 7601) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 31.08.2020 n. 5321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento ad opera abusiva eseguita in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, la giurisprudenza ha elaborato un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in zone vincolate, affermando la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso: <<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata ed in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico, che urbanistico>>.
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In assenza di precise indicazioni rintracciabili nel Testo Unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere considerate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della SCIA ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia e non determinino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti nonché per l’utilizzo di un materiale di scarso impatto visivo; mentre necessitano del permesso di costruire ove detta soglia risulti superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere; con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. vada riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
In ordine alla specifica tipologia del cancello in ferro, la giurisprudenza ritiene che trattasi di opera assentibile con SCIA.
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Per quanto concerne la recinzione in legno e rete metallica posta a chiusura sul versante nord della strada in contestazione, non è condivisibile l’assunto attoreo secondo cui essa sarebbe annoverabile tra gli interventi di edilizia libera, in considerazione del consolidato orientamento a mente del quale “la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto, ammettendosi la sufficienza di una DIA (o SCIA) laddove la recinzione si sostanzi nell’apposizione di reti e paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali leggeri”, come nel caso in esame, in cui la recinzione è realizzata con tavole in legno e rete metallica.
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6 - Il provvedimento impugnato, come anticipato, dispone la rimozione dei cancelli e della recinzione metallica collocati su suolo demaniale, in assenza di titolo urbanistico e paesaggistico.
6.1 - Si rivela preliminare ai fini del decidere la verifica della fondatezza degli assunti attorei relativi all’esistenza di titoli idonei a sorreggere la presenza delle opere oggetto di contestazione, tenuto conto che -anche laddove l’area in questione non fosse di proprietà pubblica- gli interventi realizzati necessiterebbero comunque di essere legittimati quanto meno sotto il profilo paesaggistico.
6.2 – In punto di diritto necessita osservare che “Con riferimento ad opera abusiva eseguita in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, la giurisprudenza ha elaborato un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in zone vincolate, affermando la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso (cfr. la sentenza della Sez. VI di questo Tribunale del 26/03/2015 n. 1815): <<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata ed in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico, che urbanistico>>” - per tutte, da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 06/04/2020 n. 1328.
Ed ancora, “In assenza di precise indicazioni rintracciabili nel Testo Unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere considerate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della SCIA ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia e non determinino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti nonché per l’utilizzo di un materiale di scarso impatto visivo; mentre necessitano del permesso di costruire ove detta soglia risulti superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere; con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. vada riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto" (TAR Potenza, Sez. I, 09.12.2019, 899; TAR Firenze, Sez. III,10.09.2019, 1227; TAR Salerno, Sez. II, 06.12.2018, 1760).
6.2.1. - "In ordine alla specifica tipologia del cancello in ferro, la giurisprudenza ritiene che trattasi di opera assentibile con SCIA (ex multis, TAR Catanzaro, Sez. II, 07.02.2019, 270; TAR Catanzaro, Sez. II, 10.06.2008, 643)” – così, da ultimo, Tar Campania, Salerno, sez. II, sent. 16/06/2020 n. 668.
Orbene, in relazione al cancello corrispondente al civico 25 di via ..., è indubitabile che la sua apposizione richiedesse, in zona vincolata, il rilascio di titolo abilitativo, tenuto conto che trattasi di cancello carrabile in ferro a doppia anta.
6.2.2 - Per quanto concerne, invece, la recinzione in legno e rete metallica posta a chiusura sul versante nord della strada in contestazione, non è condivisibile l’assunto attoreo secondo cui essa sarebbe annoverabile tra gli interventi di edilizia libera, in considerazione del consolidato orientamento a mente del quale “la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo laddove si tratti di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Torino, sez. II , 30/09/2019 , n. 1013; Consiglio di Stato , sez. VI , 29/11/2019 , n. 8178), ammettendosi la sufficienza di una DIA (o SCIA) laddove la recinzione si sostanzi nell’apposizione di reti e paletti infissi al terreno, o si avvalga di altri materiali leggeri” – (TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 30/06/2020 n. 7298, ma anche TAR Abruzzo, sez. I, sent. 04/06/2020 n. 202), come nel caso in esame, in cui la recinzione è realizzata con tavole in legno e rete metallica.
6.3 - Orbene, parte ricorrente non ha assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante di comprovare la legittimità del cancello e della recinzione oggetto di contestazione, limitandosi ad argomentare in merito alla loro presenza in loco “da tempo immemore”.
6.3.1 - Non vi è, tuttavia, prova in atti della pre-esistenza –se del caso- rispetto al 1967 dei manufatti de quibus, nulla emergendo sul punto dalla planimetria allegata all’atto di compravendita n. rep. 53 del 09/02/1935 (doc. 18 allegato al ricorso), né dalla descrizione dell’area recata dal successivo atto di acquisto del 19/05/1988.
In esso si dà, effettivamente, conto della edificazione degli immobili alienati in epoca antecedente al 1967 e della presenza di un “viale condominiale”, corrispondente al tratto di strada che il Comune assume demaniale: a valle di tale viale risulta un segno grafico che, quand’anche corrispondente ad un infisso (cancello), non consente di datarne con esattezza l’apposizione.
6.3.2 - Quanto, poi, alla rappresentazione contenuta nei grafici allegati al pdc n. 1965/13421 del 2011 neppure essa è decisiva in argomento: la presenza di tratti grafici che –per quanto è dato comprendere– rappresentano gli “ingressi” nord (sulla via ...) e sud (sulla via ...) nulla dice circa la legittimità degli stessi, che –per stessa ammissione di parte ricorrente– sono, infatti, ben più risalenti nel tempo.
6.3.3 - Inconferente ai fini che qui occupano è, infine, il verbale di sopralluogo del 31/03/2016 da cui si ricava soltanto la presenza di un “cancello di ingresso” presso la proprietà Di Ba. a tale data (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 18.08.2020 n. 3607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2020

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. e, pertanto, abbia la funzione di delimitazione della proprietà e non sia di altezza superiore a 3 mt, non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio; con la conseguenza che le distanze legali devono essere computate come se il muro non esistesse.
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L
'interposizione tra i fabbricati della parti di un muro-costruzione non è di per sé sufficiente ad escludere l'operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbanistico al fine di assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, occorrendo per la disapplicazione della disciplina medesima che l'altezza e l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche parzialmente antistanti.
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7. Infine, non risulta fondata neanche la deduzione incentrata sull’esistenza di un muro di cinta, tale –secondo la prospettazione degli appellanti– da rendere irrilevante il computo della distanza tra il manufatto per cui è controversia e il fabbricato antistante.
Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. e, pertanto, abbia la funzione di delimitazione della proprietà e non sia di altezza superiore a 3 mt, non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio; con la conseguenza che le distanze legali devono essere computate come se il muro non esistesse (Cass. n. 10461 del 12.05.2011).
Nella specie lo stesso appellante dichiara a pag. 13 dell’appello che il muro ha una funzione di recinzione ed è di altezza di 1,5 mt; pertanto, essendosi in presenza di un muro avente le caratteristiche di cui all’art. 878 c.c., tale costruzione non deve essere presa in considerazione ai fini del calcolo delle distanze tra edifici: escludendo il muro di cinta e facendo riferimento al manufatto adibito a garage, non è, dunque, rispettata la distanza minima di cui al d.m. n. 1444 del 1968 in relazione al fabbricato antistante preesistente.
Peraltro, come precisato dalla Corte di cassazione, “l'interposizione tra i fabbricati della parti di un muro-costruzione non è di per sé sufficiente ad escludere l'operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbanistico al fine di assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, occorrendo per la disapplicazione della disciplina medesima che l'altezza e l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche parzialmente antistanti” (Cassazione, sez. II, 28.12.2012, n. 24128).
Anche prescindendo dalle caratteristiche del muro richiamato dagli appellanti come muro di cinta, inidoneo ad assumere autonoma rilevanza ai fini della disciplina sulla distanza tra costruzioni, emerge che nel caso in esame il muro ha comunque un’altezza inferiore a quella del garage per cui è causa: il che, da un lato, risulta ammesso dall’appellante (cfr. pag. 13 appello), che dà atto come il muro non soltanto sia di altezza di 1,5 mt, ma presenti anche un’altezza “inferiore a quella del fabbricato pertinenziale anch’esso gravato dall’ordinanza comunale gravata in primo grado”; dall’altro, emerge dall’ordinanza di demolizione (in parte qua non contestata), in cui si dà atto che, a fronte dell’altezza del manufatto per cui è causa, di 3,22 mt, il muro ha un’altezza variabile da 0,85 mt a 1,20 mt, con aggiunta di pilastrini di dimensioni mt 0,20x0,20x,080.
Pertanto, attesa l’altezza del muro, inferiore a quella del garage oggetto di giudizio, deve ritenersi che il garage stesso e il fabbricato preesistente sul fondo contiguo (identificato con la particella n. 85, foglio di mappa 20) risultino, comunque, anche in presenza del muro de quo, parzialmente antistanti; presupposto che avrebbe richiesto l’osservanza del limite di distanza di dieci metri previsto dall’art. 9 d.m. n. 1444 del 1968, nella specie violato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.07.2020 n. 4767 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2020

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Area paesaggisticamente vincolata – Lavori di livellamento del terreno – Modifica dell’assetto dei luoghi – Rilascio di un’autorizzazione paesaggistica – Necessità – Sequestro preventivo del terreno – Riesame del decreto – Art. 322 c.p.p. – Tutela paesaggistica – Attività edilizia libera e regime autorizzativo in area vincolata – Giudizio postumo di compatibilità paesaggistica – Presupposti per il rilascio – Art. 181 Dlgs. n. 42/2004 e art. 3 d.P.R. n. 380/2001.
Integra il reato di cui all'art. 181, comma primo, D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, l'abusiva esecuzione, in area paesaggisticamente vincolata, di lavori, consistenti tra l'altro nel livellamento del terreno, essendo soggetto ad autorizzazione ogni intervento modificativo come quello in esame.
Tanto in virtù del principio, persistente anche alla luce della disciplina di cui al Dlgs. 42/2004, secondo il quale in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, la necessità di preventiva autorizzazione riguarda ogni attività comportante una modificazione dell'assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi.
Non implicano invero una modifica dell'assetto dei luoghi i soli interventi che il legislatore ha espressamente sottratto al previo regime autorizzativo in area vincolata, anche attraverso un eventuale giudizio postumo di compatibilità paesaggistica, quali quelli di cui all'art. 181, comma 1-ter, del Dlgs. citato e consistenti:
   a) in lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
   b) nell'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
   c) nei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
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EDILIZIA – Mera sistemazione di un terreno agricolo – Realizzazione di recinzione in area vincolata con mutamento dello stato dei luoghi – Attività edilizia libera – Esclusione.
Riguardo alla contestata recinzione inoltre, opera il medesimo principio sopra indicato, avente riguardo alla rilevanza dell'opera sotto il profilo del mutamento dello stato dei luoghi, da valutarsi anche evitando ogni inammissibile frammentazione degli interventi in esame, tra loro in realtà correlati.
Cosicché la complessiva realizzazione, nel contesto di una più organica modifica dell'assetto territoriale riguardante le quote dell'area interessata, di una recinzione costruita mediante paletti alti 2 metri e rete metallica per circa 20 metri integra una alterazione significativa, richiedente anch'essa il rilascio della autorizzazione paesaggistica.
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1. Si premette che il sequestro è stato disposto e quindi confermato dal tribunale solo in relazione al reato ex art. 181 Dlgs. 42/2004.
Correttamente il tribunale ha rilevato la riconducibilità dell'intervento nell'ambito di una modifica dei luoghi richiedente, in area vincolata, il rilascio di un'autorizzazione paesaggistica, sottolineando come da apposita verifica tecnica -cui la difesa ha solo opposto una personale diversa qualificazione di quanto realizzato, così proponendo una mera rivalutazione del merito, in questa sede inammissibile- sia emerso un livellamento del terreno piuttosto che una mera ripulitura.
Il collegio della cautela ha in tal modo fatto applicazione del principio per cui, integra il reato di cui all'art. 181, comma primo, D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, l'abusiva esecuzione, in area paesaggisticamente vincolata, di lavori, consistenti tra l'altro nel livellamento del terreno, essendo soggetto ad autorizzazione ogni intervento modificativo come quello in esame (Sez. 3, n. 43863 del 14/10/2009 Rv. 245268 - 01 Manzoni).
Tanto in virtù del principio, persistente anche alla luce della disciplina di cui al Dlgs. 42/2004, secondo il quale in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, la necessità di preventiva autorizzazione riguarda ogni attività comportante una modificazione dell'assetto territoriale, ivi compresa la conformazione dei luoghi (Sez. 3, n. 1172 del 10/12/2001 (dep. 14/01/2002 ) Rv. 220855 - 01 Totaro).
Non implicano invero una modifica dell'assetto dei luoghi i soli interventi che il legislatore ha espressamente sottratto al previo regime autorizzativo in area vincolata, anche attraverso un eventuale giudizio postumo di compatibilità paesaggistica, quali quelli di cui all'art. 181, comma 1-ter, del Dlgs. citato e consistenti:
   a) in lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
   b) nell'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
   c) nei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Riguardo alla contestata recinzione inoltre, opera il medesimo principio sopra indicato, avente riguardo alla rilevanza dell'opera sotto il profilo del mutamento dello stato dei luoghi, da valutarsi anche evitando ogni inammissibile frammentazione degli interventi in esame, tra loro in realtà correlati. Cosicché la complessiva realizzazione, nel contesto di una più organica modifica dell'assetto territoriale riguardante le quote dell'area interessata, di una recinzione costruita mediante paletti alti 2 metri e rete metallica per circa 20 metri integra una alterazione significativa, richiedente anch'essa il rilascio della autorizzazione paesaggistica (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 39355 del 12/10/2006 Rv. 235463 - 01 Cocchi) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.06.2020 n. 18460).

EDILIZIA PRIVATAIl muro di cinta o di contenimento è struttura che, differenziandosi dalla semplice recinzione che ha caratteristiche tipologiche diverse, di minima entità, di delimitazione della proprietà, non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta consistente nel sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi in caso di dislivello originario o incrementato.
Il concetto di nuova costruzione è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi.
In materia edilizia è necessario il permesso di costruire per la realizzazione del muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile come intervento di “nuova costruzione.
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Nel caso dei fondi a dislivello, di origine artificiale, nei quali adempiendo il muro, anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo, alla funzione di contenimento di un terrapieno, creato dall’opera dell’uomo.
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Il muro di cinta o di contenimento è struttura che, differenziandosi dalla semplice recinzione che ha caratteristiche tipologiche diverse, di minima entità, di delimitazione della proprietà, non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta consistente nel sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi in caso di dislivello originario o incrementato (Consiglio di Stato, sez. VI, 09.07.2018, n. 41, precisando che il concetto di nuova costruzione: è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi); per la Cassazione (sez. III pen., 21.11.2018, n. 55366) in materia edilizia è necessario il permesso di costruire per la realizzazione del muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile come intervento di “nuova costruzione”.
Venendo all’ulteriore censura secondo cui la sopraelevazione sarebbe, ad ogni modo, stata conforme alle prescrizioni del R.E. ante 2016, se ne evidenzia la palese infondatezza (R.E. del Comune di Sarre L.R. 06/04/1998, n. 11 art. 53 e della DGR 628 del 12/04/2013), posto che la questione posta dal ricorrente nulla dice in merito al tema delle distanze, che è la ragione del questionare (art. VIII-24, Distanze dai confini).
Il sopralzo del vecchio muro e il cordolo, posto al confine con il vicino, la fattispecie applicabile è quella specificata al punto 2, lett. c), ovvero: “terreno sopraelevato rispetto al fondo confinante per situazione naturale o per vecchie sistemazioni”, in cui la realizzazione di opere di confine era ammessa a condizione che le stesse non emergessero dal terreno preesistente (Cassazione Civile, sez.VI n. 21658/2019: “Nel caso dei fondi a dislivello, di origine artificiale, nei quali adempiendo il muro, anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo, alla funzione di contenimento di un terrapieno, creato dall’opera dell’uomo”), ma condizione essenziale era mantenere il muro preesistente in modo sistemato e sempre previo nulla osta dei proprietari confinanti (requisiti che sono risultati essere mancanti) (TAR Valle d'Aosta, sentenza 11.06.2020 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La posa di una recinzione -manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo jus excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell'art. 841 del c.c..
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Del tutto destituita di fondamento risulta, infine, la censura di violazione del principio di imparzialità e di sviamento di potere, basata sull’asserita volontà dell’amministrazione di “sanare” l’intervento di recinzione realizzato dalla controinteressata Em.Tr. S.r.l., che non rispettava le distanze minime dalla strada in questione.
Tale censura risulta in primo luogo sfornita di qualsiasi principio di prova del denunciato perseguimento, da parte della resistente amministrazione, di un interesse particolare non coincidente con l’interesse pubblico. Inoltre l’intervento edilizio della controinteressata non necessitava di regolarizzazione, atteso che la presenza di un vincolo espropriativo non preclude al proprietario di esercitare, nelle more del relativo procedimento, le sue prerogative.
Infatti “la posa di una recinzione -manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo jus excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell'art. 841 del c.c. (TAR Campania Napoli, sez. II - 04/02/2005 n. 803; TAR Lombardia Milano, sez. II - 11/02/2005 n. 367)” (TAR Campania, Napoli, sez. VI, 04.07.2019, n. 3686; id. TAR Toscana, sez. III, 22.08.2019, n. 1208) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.06.2020 n. 428 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2020

EDILIZIA PRIVATA: In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (ora s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico–edilizia, occorrendo —invece— il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
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In giurisprudenza, “Per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in l. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione”.
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Nella specie, si deve concordare con la qualificazione del muretto in questione come muro di cinta, ovvero come “opera di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume natura pertinenziale in quanto ha esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà”, opera la quale, pertanto, non supera, in concreto, “la soglia della trasformazione urbanistico–edilizia”, come elaborata dalla giurisprudenza citata.
Ne deriva l’impossibilità di sanzionare, con la più grave misura della demolizione, l’opera in questione: “Se all'epoca dell'adozione dell'ordine di demolizione le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate erano annoverati tra gli interventi edilizi minori, assoggettati alla semplice d.i.a. ai sensi dell'art. 4, comma 7, d.l. n. 398/1993, conv., con modificazioni, nella l. n. 493/1993 (s.m.i.) la cui mancanza comportava la sola sanzione pecuniaria, l'ordine risulta illegittimo”.
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Quanto all’altra opera, della quale s’è ordinata la demolizione, vale a dire l’innalzamento di un muretto di 0,60 cm., a protezione della predetta area scoperta e pavimentata in gres porcellanato, anche in considerazione della prospicienza dell’area sulla S.S. Amalfitana, nella prefata c.t.p. s’osserva: “Il muretto è stato riconfigurato e –in parte– abbassato, in maniera tale da non creare impatto sul paesaggio rispetto allo stato precedente (vedi allegato 9); infatti, trattasi di un modesto intervento di risanamento conservativo conseguente a un episodio di danneggiamento da parte di un motocarro che non impatta neanche sul paesaggio, trattandosi di modifiche dell’ordine di pochi centimetri”.
Orbene, in relazione a tale muretto, verificata altresì l’obiettiva consistenza, assolutamente modesta, del medesimo, nonché la sua funzione di delimitazione e protezione dell’area di cui sopra, alla luce della documentazione fotografica allegata alla c.t.p., e rimarcata ancora una volta l’assenza di contrarie deduzioni da parte dell’Amministrazione Comunale di Ravello, ritiene il Tribunale come fondata, e dirimente, si presenti la censura, rubricata sub III), imperniata sulla non necessità di permesso di costruire, per un’opera siffatta.
Tanto alla luce della massima che segue: Consiglio di Stato, sez. VI, 04/01/2016, n. 10: “In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (ora s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico–edilizia, occorrendo —invece— il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia”.
Si tenga altresì presente l’art. 2 della l.r.C. 19/2001, secondo cui possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività, tra gli altri, “a) gli interventi edilizi, di cui all’art. 4 del decreto legge 05.10.1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.1993, n. 493, come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662, lettere a), b), c), d), e), f)”; e il richiamato art. 4, co. VII, lettera c), legge 493/1993, sottopone a SCIA “la realizzazione di muri di cinta” (“I seguenti interventi sono subordinati alla denuncia di inizio attività ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2 della legge 24.12.1993, n. 537: (…) c) recinzioni, muri di cinta e cancellate”).
In giurisprudenza, cfr., a contrario, Consiglio di Stato, Sez. V, 08/04/2014, n. 1651: “Per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in l. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione
”.
Nella specie, si deve concordare con la qualificazione del muretto in questione come muro di cinta, ovvero come “opera di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume natura pertinenziale in quanto ha esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà”, opera la quale, pertanto, non supera, in concreto, “la soglia della trasformazione urbanistico–edilizia”, come elaborata dalla giurisprudenza citata.
Ne deriva l’impossibilità di sanzionare, con la più grave misura della demolizione, l’opera in questione (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 12/04/2010, n. 1761: “Se all'epoca dell'adozione dell'ordine di demolizione le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate erano annoverati tra gli interventi edilizi minori, assoggettati alla semplice d.i.a. ai sensi dell'art. 4, comma 7, d.l. n. 398/1993, conv., con modificazioni, nella l. n. 493/1993 (s.m.i.) la cui mancanza comportava la sola sanzione pecuniaria, l'ordine risulta illegittimo”) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 19.05.2020 n. 543 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2020

EDILIZIA PRIVATAViene in considerazione la realizzazione –in tesi senza titolo edilizio- di una recinzione costituita da paletti in legno conficcati direttamente nel terreno e due corde di filo spinato.
Ebbene, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, al quale qui si dà continuità, la realizzazione di una recinzione metallica con paletti di ferro e cancello, costituisca attività libera, non soggetta nemmeno a denuncia di inizio attività
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1. Co.Bo., con atto depositato il 20.03.2019, è insorto avverso il provvedimento in epigrafe, avente a oggetto: “diffida a demolire e ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, per opere edilizie abusive realizzate su suolo di proprietà degli eredi del Sig. An.Te., in c.da Tu., foglio 24 part. 146-162 e 365 in agro di Balvano”, limitatamente alla parte in cui si dispone la demolizione della recinzione costituita da paletti in legno e due corde di filo spinato, insistenti lungo il perimetro delle particelle summenzionate, deducendo in diritto la violazione ed erronea applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
2. L’Amministrazione comunale intimata non si è costituita in giudizio.
...
6. Il ricorso è fondato, alla stregua della motivazione che segue.
Coglie nel segno la doglianza relativa alla violazione, da parte dell’Ente civico intimato, di quanto disposto dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In effetti, viene in considerazione la realizzazione –in tesi senza titolo edilizio- di una recinzione costituita da paletti in legno conficcati direttamente nel terreno e due corde di filo spinato. Ebbene, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, al quale qui si dà continuità, la realizzazione di una recinzione metallica con paletti di ferro e cancello, costituisca attività libera, non soggetta nemmeno a denuncia di inizio attività (TAR Basilicata, 17.11.2014, n. 789).
7. Dalle considerazioni che precedono discende l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento dell’atto impugnato, nel limite dell’interesse (TAR Basilicata, sentenza 09.03.2020 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2020

EDILIZIA PRIVATAPer giurisprudenza consolidata, il «muro di contenimento in c.a. di lunghezza di m 67,00 circa, spessore mt 0,35 ed altezza variabile da mt 1,00 a m 4,50» costituisce opera suscettibile di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio del territorio, siccome dotata di consistenza e stabilità, e riconducibile, quindi, al novero degli interventi di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e, del d.p.r. n. 380/2001, le quali necessitano, per la loro realizzazione, del previo rilascio del permesso di costruire.
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In particolare, per giurisprudenza altrettanto consolidata, il «muro di contenimento in c.a. di lunghezza di m 67,00 circa, spessore mt 0,35 ed altezza variabile da mt 1,00 a m 4,50» costituisce opera suscettibile di incidere sull’assetto urbanistico-edilizio del territorio, siccome dotata di consistenza e stabilità, e riconducibile, quindi, al novero degli interventi di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del d.p.r. n. 380/2001, le quali necessitano, per la loro realizzazione, del previo rilascio del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4169/2018; TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 10729/2014; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, n. 1728/2015; TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 3996/2016; TAR Molise, Campobasso, n. 317/2017; TAR Piemonte, Torino, sez. II, n. 160/2018; TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 663/2018)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.02.2020 n. 266 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo condivisibili principi giurisprudenziali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; analogamente, è stato affermato che “in caso di fondi a dislivello, non può considerarsi “costruzione”, ai fini e per gli effetti dell’art. 873 c.c., il muro di contenimento realizzato per evitare smottamenti e frane”; nel caso di specie, in base al progetto assentito dall’Amministrazione, la porzione di muro di circa 1,00–1,50 mt che emerge dal terreno in funzione di “coronamento” segue il confine di proprietà e costituisce lo zoccolo sui cui è infissa una rete, e come tale ha caratteristiche di muro di cinta, sottratto al calcolo delle distanze.
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4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge con riferimento all’art. 873 c.c. e agli artt. 13 e 43 del Regolamento Edilizio Comunale: secondo i ricorrenti, l’intervento assentito violerebbe le prescrizioni in materia di distanze delle costruzioni dai confini (art. 873 c.c.) e in materia di distacchi dei muri di sostegno e contenimento da terrazzamenti preesistenti posti a dislivello (art. 13 e 43 del R.E.C.); ciò sul presupposto che il nuovo muro costituirebbe “costruzione” ai fini del rispetto delle norme dal confine e dalle altre costruzioni, da cui conseguirebbe, in particolare, l’obbligo di rispettare la distanza di almeno 3 metri dal confine, laddove nel caso di specie il nuovo muro di contenimento verrebbe ad essere realizzato a distanza di appena 1,60 metri dal terrazzamento di proprietà dei ricorrenti; inoltre, in base alle citate norme del R.E.C., nel caso di fondi a dislivello la muratura di contenimento deve avere altezza non superiore a 2 metri e i livelli intermedi tra i vari fronti di elevazione devono avere profondità non inferiore all’altezza del muro sovrastante, con la conseguenza che nel caso di specie si sarebbe dovuto rispettare un distacco di almeno 3,20 metri dal muro sovrastante di proprietà dei ricorrenti, essendo questa l’altezza massima di quest’ultimo.
Il collegio non condivide l’assunto di parte ricorrente, sotto entrambi i profili dedotti, atteso che:
   - quanto al primo profilo, secondo condivisibili principi giurisprudenziali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (Cass. Civ., II, 11.01.1992, n. 243); analogamente, è stato affermato che “in caso di fondi a dislivello, non può considerarsi “costruzione”, ai fini e per gli effetti dell’art. 873 c.c., il muro di contenimento realizzato per evitare smottamenti e frane” (Cass. Civ., II, 19.08.2002 n. 12239); nel caso di specie, in base al progetto assentito dall’Amministrazione, la porzione di muro di circa 1,00–1,50 mt che emerge dal terreno in funzione di “coronamento” segue il confine di proprietà e costituisce lo zoccolo sui cui è infissa una rete, e come tale ha caratteristiche di muro di cinta, sottratto al calcolo delle distanze;
   - quanto al secondo profilo, il muro di coronamento (l’unico che rileva, la parte realizzata nel sottosuolo non rilevando in materia di distanze tra edifici) è di altezza inferiore a 2 metri, per cui non sussiste neppure la violazione delle norme del R.E.C. (TAR Pimonte, Sez. II., sentenza 11.02.2020 n. 124 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

gennaio 2020

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Distanze da osservare per la realizzazione di muri di contenimento. Parere (Legali Associati per Celva, nota 27.01.2020 - tratto da www.celva.it).
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Il CELVA, per conto del Comune di Saint-Vincent, ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto la verifica dell’applicabilità della normativa in materia di distanze legali, posta dal codice civile, alla costruzione di muri di contenimento. (...continua).

EDILIZIA PRIVATA: In giurisprudenza la realizzazione dei muri di recinzione viene qualificata come intervento di nuova costruzione, con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo, qualora abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie; la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio.
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Quanto ai muri di recinzione, in giurisprudenza la loro realizzazione viene qualificata come intervento di nuova costruzione, con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo, qualora abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie; la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio (Cons. Stato, sez. VI, 04.07.2014, n. 3408; Cons. Stato, sez. VI, 04.01.2016, n. 10).
Nel caso di specie, i muri di recinzione considerate le dimensioni complessive in relazione alla lunghezza, non possono considerarsi solo una estrinsecazione della facoltà dello ius excludendi del proprietario avendo comportato la trasformazione urbanistica di una area estesa (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 23.01.2020 n. 561 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muri di cinta – Dislivello di origine artificiale – Funzione di sostegno e contenimento – Natura di “costruzione” – Osservanza delle distanze ex art. 9 D.M. 1444/1968.
In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.
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Requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà.
Nel caso, però, di fondi a dislivello, adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata.
Pertanto, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale per evitare smottamenti o frane; il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, in particolare, non può considerarsi "costruzione", agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, mentre la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico.
All'inverso, nel caso di dislivello di origine artificiale (che è poi la situazione contemplata nel medesimo art. 45 del regolamento edilizio comunale), deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico, ai fini della normativa sulle distanze legali, il muro di fabbrica che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo, o che questa abbia pure soltanto accentuato rispetto a quello già esistente per la natura dei luoghi.
Basta, dunque, che l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato per opera dell'uomo (come accertato nella specie dai giudici del merito) a far ritenere che il muro di cinta abbia la funzione di contenere il terrapieno creato "ex novo" con l'apporto di terra e pietrame, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.

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Anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera.
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I muri di contenimento di terrapieni artificiali sono qualificati opere di nuova costruzione, necessitanti, pertanto, di permesso di costruire.
Invero, “Si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie. Sulla base di tale approccio, la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività. Per converso, il muro di contenimento che crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest'ultimo concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l'area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi”.
Altresì, “anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera”.
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Il Collegio ritiene che la nozione di costruzione e di muro di cinta rilevante ai fini della disciplina delle distanze legali tra edifici sia utilizzabile anche ai fini dell’art. 9 D.M. 1444/1968, nonostante testualmente esso si riferisca alle distanze tra muri finestrati e “pareti di edifici antistanti”, tenuto conto della comune funzione della prescritta disciplina di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario.
Invero,  “l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, ricadenti, come nella fattispecie, in zona diversa dalla zona A, va rispettato in modo assoluto, trattandosi di norma finalizzata non alla tutela della riservatezza, bensì a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile. Conseguentemente, la disposizione va applicata indipendentemente dall'altezza degli edifici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Indi, le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale e astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli opposti interessi. La prescrizione di distanza in questione è assoluta e inderogabile”.
Essendo, almeno in parte, comune alle due discipline la finalità igienico-sanitaria (che si somma a quella di assicurare un ordinato assetto del territorio comunale propria delle disposizioni del D.M. 1444/1968), anche gli elementi costruttivi ai quali la suddetta disciplina deve applicarsi non possono che essere interpretati in modo uniforme.
Per tale ragione, il Collegio ritiene preferibile l’orientamento tradizionale alla stregua del quale l’art. 9 D.M. 1444/1968 è applicabile a qualunque manufatto avente “i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene e che, proprio in considerazione della possibilità di dar vita a intercapedini contrarie alla finalità della norma, ... anche i muri di contenimento che producano un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni idonee ad incidere sull'osservanza delle norme in tema di distanza dal confine".
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3. E’ fondato il terzo motivo del ricorso introduttivo, identico al secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con il quale la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968, poiché l’edificio in progetto è destinato ad essere realizzato ad una distanza di m. 1,5 dal muro di contenimento del dislivello artificiale che insiste tra i due fondi.
In punto di fatto, occorre premettere che risulta incontestato tra le parti che il muro, posto sul confine tra i fondi, ha un’altezza di m. 1,50 ed assolve ad una parziale funzione di contenimento del dislivello di circa 30 cm sussistente tra le due proprietà.
La costante giurisprudenza della Corte di cassazione afferma che: “In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse” (Cassazione civile sez. II, 03/05/2018, n. 10512).
Ed ancora (Cassazione civile sez. II, 29/05/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 29/05/2019), n. 14710) “Requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà. Nel caso, però, di fondi a dislivello, adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata. Pertanto, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale per evitare smottamenti o frane; il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, in particolare, non può considerarsi "costruzione", agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, mentre la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico. All'inverso, nel caso di dislivello di origine artificiale (che è poi la situazione contemplata nel medesimo art. 45 del regolamento edilizio comunale), deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico, ai fini della normativa sulle distanze legali, il muro di fabbrica che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo, o che questa abbia pure soltanto accentuato rispetto a quello già esistente per la natura dei luoghi. Basta, dunque, che l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato per opera dell'uomo (come accertato nella specie dai giudici del merito) a far ritenere che il muro di cinta abbia la funzione di contenere il terrapieno creato "ex novo" con l'apporto di terra e pietrame, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni (tra le tante, Cass. Sez. 2, 13/05/2013, n. 11388; Cass. Sez. 2, 04/06/2010, n. 13628; Cass. Sez. 2, 10/01/2006, n. 145; Cass. Sez. 2, 24/06/2003, n. 9998; Cass. Sez. 2, 15/06/2001, n. 8144; Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4511; Cass. Sez. 2, 11/07/1995, n. 7594; Cass. Sez. 2, 14/02/1994, n. 1467; Cass. Sez. 2, 06/05/1987, n. 4196; si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/2015, n. 23934).”
D’altronde anche la giurisprudenza amministrativa fa propria la nozione di costruzione elaborata dalla corte di cassazione, avendo affermato che “anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera” (Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309).
Inoltre, alla stregua della prevalente giurisprudenza amministrativa, i muri di contenimento di terrapieni artificiali sono qualificati opere di nuova costruzione, necessitanti, pertanto, di permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 09/07/2018, n. 4169: “Si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie. Sulla base di tale approccio, la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività. Per converso, il muro di contenimento che crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest'ultimo concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l'area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi.”).
Il Consiglio di Stato, infatti, afferma che “anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera” (Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309).
Il Collegio ritiene che la nozione di costruzione e di muro di cinta rilevante ai fini della disciplina delle distanze legali tra edifici sia utilizzabile anche ai fini dell’art. 9 D.M. 1444/1968, nonostante testualmente esso si riferisca alle distanze tra muri finestrati e “pareti di edifici antistanti”, tenuto conto della comune funzione della prescritta disciplina di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario (Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 20/05/2019) 11.09.2019, n. 6136: “l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, ricadenti, come nella fattispecie, in zona diversa dalla zona A, va rispettato in modo assoluto, trattandosi di norma finalizzata non alla tutela della riservatezza, bensì a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile (Cass. civ., II, 26.01.2001, n. 1108; Cons. Stato, V, 19.10.1999, n. 1565; Cass. civ., II, ordinanza 03.10.2018, n. 24076).
Conseguentemente, la disposizione va applicata indipendentemente dall'altezza degli edifici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (Cass., n. 24076/2017, cit.).
Indi, le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale e astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli opposti interessi (Cass. civ., II, 16.08.1993, n. 8725). La prescrizione di distanza in questione è assoluta e inderogabile (Cass. civ., II, 07.06.1993, n. 6360; 09.05.1987, n. 428
”, ma cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 04.09.2013, n. 4451, Cons. Stato Sez. IV 12.06.2009 n. 3094).
Essendo, almeno in parte, comune alle due discipline la finalità igienico-sanitaria (che si somma a quella di assicurare un ordinato assetto del territorio comunale propria delle disposizioni del D.M. 1444/1968), anche gli elementi costruttivi ai quali la suddetta disciplina deve applicarsi non possono che essere interpretati in modo uniforme.
Per tale ragione, all’orientamento del Consiglio di Stato richiamato dalla parte controinteressata (Consiglio di Stato n. 3510/2015) il Collegio ritiene preferibile l’orientamento tradizionale alla stregua del quale l’art. 9 D.M. 1444/1968 è applicabile a qualunque manufatto avente “i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (cfr. ad es. Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996, n. 268, Tar Liguria 1406 cit.) e che, proprio in considerazione della possibilità di dar vita a intercapedini contrarie alla finalità della norma, ... anche i muri di contenimento (cfr. ex multis Cass. civ. 15391/2012 e 15972/2011 e Consiglio di Stato 7731/2010, Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n. 1309) che producano un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni idonee ad incidere sull'osservanza delle norme in tema di distanza dal confine" (TAR Genova, (Liguria) sez. I, 13/12/2016, (ud. 30/11/2016, dep. 13/12/2016), n. 1231).
Appare, pertanto, rilevante, nella specie, la verifica della natura artificiale o naturale del dislivello esistente tra i fondi. Tale verifica non è stata compiuta dall’amministrazione, atteso che negli elaborati grafici il muro non è stato riportato.
Il motivo deve ritenersi, pertanto, fondato nei limiti del denunciato vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità del presupposto. Dovrà, pertanto, l’amministrazione verificare la reale natura del terrapieno al fine di valutare il rispetto dell’art. 9 D.M. 1444/1968 (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.01.2020 n. 67 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo questo Consiglio, “il muro di cinta o di contenimento è struttura che -differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà- non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato”.
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Il concetto di nuova costruzione “è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora [del]le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi”.
Altresì, "in materia edilizia è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione”.
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Il motivo è infondato.
La sentenza appellata è, difatti, conforme alla consolidata giurisprudenza in materia, sia amministrativa che penale.
Secondo questo Consiglio, infatti, “il muro di cinta o di contenimento è struttura che -differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale ha caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà- non ha natura pertinenziale, in quanto opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato” (ex ceteris C.d.S., sez. VI, 09.07.2018, n. 4169, anche per la precisazione che il concetto di nuova costruzione “è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora [del]le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi”), mentre, per la Corte di cassazione, “in materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione” (Cass., sez. III pen., 21.11.2018, n. 55366, con richiami ad altri precedenti della giurisprudenza penale di legittimità).
Di questi principi il TAR ha fatto corretta applicazione, considerate le dimensioni del manufatto in questione, lungo circa 8 metri e di altezza variabile da m. 1,50 a m. 2,50 (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 09.01.2020 n. 212 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non occorre il permesso di costruire per la costruzione di box di ricovero per cani randagi. Inoltre, la recinzione può essere considerata costruzione -e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo- solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Nel caso di specie trattasi della realizzazione, senza titolo edilizio, di "recinti realizzati con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno vegetale secondo l’originario stato dei luoghi”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti, il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale .
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria”.
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle caratteristiche costruttive .
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile impatto ambientale.
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni.
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va annullato.
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... per l'annullamento del provvedimento n. 61 del 07/06/2016 di sospensione lavori e ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie.
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Parte ricorrente, nella spiegata qualità, insorge avverso il provvedimento di sospensione lavori e ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie, privi di titolo autorizzativo e privi di autorizzazione paesaggistica.
Assume che non sono opere edilizie rilevanti in termine di superficie e volumi, in quanto finalizzate ai soccorsi ed all’assistenza di cani randagi e nega nello specifico che si tratti di box in legno affermando che sono solo recinzioni metalliche senza alcun ingombro, di colore neutro, non chiusi e circoscrivono una superficie di terreno tra pali di castagno stagionato infissi in terra, coperti con lamiere di colore neutro ad un’altezza di circa 2,20 m, ricoperti da vegetazione rampicante per riparare i cani dalla calura estiva. In quanto opere precarie, prive di impatto paesaggistico e facilmente rimovibili, non potrebbero essere oggetto della disposta misura sanzionatoria.
In subordine, trattandosi al più di opere soggette a DIA, sarebbe stata applicabile la semplice sanzione pecuniaria.
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Il presente ricorso verte sulla legittimità dell’ordine di demolizione spedito nei confronti della ricorrente a fronte della realizzazione di opere su un fondo agricolo, specificamente trentadue box in legno per ricovero di cani randagi su una superficie di circa 600 mq., contestati a seguito di rapporto dalla Polizia municipale del 22.09.2014, prot. P-61-14.
Non è contestato che la ricorrente è una Associazione di Volontariato E.I.P.A. Onlus – Ente Italiano Protezione Animali – Sezione Napoli – senza scopi di lucro. La stessa, ispirandosi ai principi di solidarietà sociale, si prefigge una serie di obiettivi tra cui: a) sostenere le persone che, nella gestione di propri animali o accudendo quelli senza proprietario, vengono a trovarsi in difficoltà; b) operare concretamente in difesa degli animali e dei loro diritti; c) sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una cultura del rispetto che riconosca gli animali come soggetti di diritto.
La stessa deduce che, al fine di perseguire i propri obiettivi associativi, in data 19.08.2014 stipulava con il Sig. Io.Sa.Pa., nella qualità di proprietario, un contratto di affitto avente ad oggetto una porzione, di circa are 35,00, del fondo rustico di are 49,11, sito in Via ... snc, convenendo la durata in anni nove, decorrente dal 01.09.2014, e che sullo stesso realizzava una serie di opere finalizzate al soccorso ed all’assistenza, a cura di volontari ed a titolo gratuito, di cani randagi, abbandonati o maltrattati, nel territorio del circondario di Somma Vesuviana.
Dette opere sono state tuttavia sanzionate dalla intimata amministrazione comunale, ravvisandovi violazioni edilizie e paesaggistiche.
Assume parte ricorrente con un’unica articolata censura che le stesse non costituisco un’entità edilizia, necessitante di titolo abilitativo, trattandosi di semplici recinzioni metalliche, non qualificabili come ‘box/costruzioni’ in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, allegando foto e relazione tecnica di parte.
Osserva il Collegio che, pur essendo stata respinta la domanda cautelare con ordinanza in data 08.11.2016, nella presente sede di merito sono venuti in rilievo elementi tali da indurre ad una differente valutazione delle opere, a seguito di una più approfondita disamina del materiale probatorio offerto da parte ricorrente, non avendo l’amministrazione intimata fornito ulteriori apporti oltre ai riscontri emergenti dall’atto impugnato, in quanto non costituita in giudizio.
Occorre invero esaminare la consistenza e caratteristiche delle opere contestate, per valutare se le stesse possano determinare trasformazione del territorio sia a fini urbanistici che paesistico–ambientali anche in virtù del vincolo di cui al d.lgs. 22.1.2004 n. 42 gravante sull’area in questione con dichiarazione di notevole interesse pubblico operata con D.M. 26.01.1961.
Al riguardo il verbale di accertamento, pur dando atto che si tratta di strutture per il ricovero di cani randagi, descrive le stesse come 32 box in legno, su una superficie di circa mq. 600,00, adoperando un termine che in sé caratterizza strutture chiuse e volumetricamente rilevanti.
Per contro, facendo riferimento a quanto risultante dalla perizia di parte in atti con allegata documentazione fotografica, emerge che quanto eseguito consiste in recinzioni metalliche, non propriamente ‘box/costruzioni’ in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, anche in considerazione della loro funzione .
La descrizione contenuta nei provvedimenti gravati, in cui si parla di «n. 32 box realizzati in legno» non è corredata da ulteriori elementi descrittivi, né da documentazione fotografica, e sotto tale aspetto, per la sua genericità, non appare idonea a contrastare le risultanze della relazione tecnica di parte ricorrente redatta dall’ing. Fr.Ro. del 07.10.2016, ove si descrivono compiutamente le caratteristiche costruttive, come recinzioni metalliche sorrette tra pali di castagno stagionato infissi nella terra per circa 40/50 cm, facilmente rimovibili, e quindi precarie.
Attesta in particolare la perizia che non risulta utilizzata né malta né calcestruzzo cementizio, ma solo una rete metallica a maglie larghe di colore neutro sorretta da paletti in legno infissi nella terra.
Si precisa trattarsi di: "recinti realizzati con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno vegetale secondo l’originario stato dei luoghi, così come si evince dalla documentazione”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti, il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale.
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo (Cfr. Cons. Stato, sez. II, 08.01.1989, n. 1396; Tar Piemonte, Torino, sez. II, 07.11.2014, n. 1764).
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria” (Cfr. Cass. Civile sentenza n. 5956/1996 e Tribunale Amministrativo Regionale Puglia-Lecce, Sezione 3, Sentenza 14.11.2012, n. 1881).
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle caratteristiche costruttive.
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile impatto ambientale (Cfr. Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; Tar Lazio Roma, sentenza 27.05.2013, n. 5276).
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni (Cfr. Tar Napoli, Sez. II, 09.11.2006/21.11.2006, n. 10065).
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale - TAR Campania-Napoli, Sezione III Sentenza 13.04.2011, n. 2135).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va annullato (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

novembre 2019

EDILIZIA PRIVATACostituisce jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
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Considerato in diritto che:
   - l’appello è fondato in parte qua, in relazione alle opere rimanenti sul lettera d), cioè la recinzione posta dal lato del mare e i camminamenti;
   - in linea di fatto la ricostruzione posta a fondamento della sentenza appellata appare corretta;
   - in relazione ai manufatti sub lettere b) e c) predette il relativo ingombro rende condivisibile la valutazione negativa svolta dal giudice di prime cure, basata, nei limiti del sindacato giurisdizionale, su una adeguata valutazione dei fatti e priva di elementi di illogicità;
   - al riguardo, assumono rilievo preminente ed insuperato gli elementi posti a base del parere contrario dell’esperto paesistico, fatto proprio dagli atti in contestazione;
   - per un verso, relativamente al deposito in adiacenza alle cabine, rilevano l’estraneità di detto manufatto all’impianto di balneazione e l’impossibilità di (ri)assorbirlo dal punto di vista volumetrico nel contesto tutelato, dando esso luogo ad un eccessivo ingombro e ad un’eccessiva occupazione di aree scoperte;
   - per un altro verso, relativamente al manufatto aperto, rilevano il carattere precario, il contrasto (per materiali e dimensioni) con i valori ambientali del luogo, la attuale totale trasformazione, che lo rende non riconducibile allo stato che aveva al 31.12.1993, termine rilevante ai fini di condono in esame;
   - a diverse conclusioni deve giungersi rispetto agli interventi rimanenti, privi di concreto impatto, quantomeno nei rilevanti termini invocati dalla p.a.;
   - infatti, in assenza di elementi di ingombro rilevante, le generiche considerazioni poste a base della valutazione negativa si scontrano con il limitato impatto di tali interventi;
   - per ciò che concerne la recinzione, costituisce jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 14.06.2018, n. 3661 e 15.12.2017, n. 5908);
   - nel caso di specie, la valutazione appare carente di approfondimento istruttorio e valutativo nei termini appena ricordati, in quanto l’affermazione circa la apparente schermatura appare generica e priva della necessaria verifica concreta della specifica consistenza e funzionalità del manufatto;
   - per ciò che concerne il mutamento del manto erboso, non emerge un’alterazione paesaggisticamente rilevante, stante la palese omogeneità estetica del medesimo manto erboso nei termini di cui alla presente fattispecie;
   - infatti, a fronte della permanenza del medesimo manto erboso, il diverso mero utilizzo, senza strutture di ingombro di rilievo, rende illogica e travisante la valutazione negativa, non potendo rilevare, ai fini in esame, elementi casuali e facilmente mutabili come sedie e tavoli;
   - alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato in parte qua e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado in relazione alle restanti opere sub lettera d) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.11.2019 n. 8178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro.
La sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro non sostanzia un'opera di manutenzione straordinaria della precedente recinzione ma di nuova opera, differente nel posizionamento, nella struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire perché dotata di stabilità e perché costruita con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
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... per l'annullamento:
   1) dell'ordinanza n. 8/2018 a firma del responsabile dell'area tecnica del Comune di Jacurso, notificata in data 04.10.2018, con la quale si ingiunge alla ricorrente di “rimuovere/demolire a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla notifica della presente ordinanza, tutte le opere abusive in premessa indicate e precisamente: recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento”;
...
La ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione del Comune di Jacurso n. 8/2018, relativa ad recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento, ciò in quanto il predetto manufatto risulterebbe “spostato di circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” ed essendo quindi “necessario presentare una SCIA, in quanto si tratta di sostituzione di quella già esistente con spostamento della stessa di circa 50 cm, realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento”.
...
Occorre premettere che, dall’ordinanza impugnata, come dalla relazione tecnica a supporto, non si evince che lo spostamento della recinzione “di circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” comporti anche l’invasione della fascia di rispetto stradale.
Resta, quindi, come unica causa di illegittimità, la mancata acquisizione preventiva del titolo edilizio.
A tal proposito, la ricorrente denuncia la non irrogabilità della sanzione demolitoria, in quanto opera soggetta a SCIA.
L’assunto non è condivisibile.
La fattispecie in esame riguarda un’opera di recinzione realizzata, a differenza della staccionata in legno preesistente, in cemento e rete metallica, lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro.
Non si tratta, quindi, di manutenzione straordinaria della precedente recinzione, ma di nuova opera, differente nel posizionamento, nella struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire perché dotata di stabilità (cfr. Cass. 20739/2018) e perché costruita con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
Ogni altra censura di natura formale, è sanata dalla natura vincolata dell’atto (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 26.11.2019 n. 1972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono al vincolo di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero affermato che i vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.

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Il divieto recato dall’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa, “fabbriche” e “
scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento sormontato da inferriata costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”, attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura e manutenzione.
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Osserva, di poi, la Sezione, in disparte a quanto sopra rilevato, che in ogni caso la sopravvenuta circostanza della copertura del torrente e dell’incanalamento delle relative acque non appare, allo stato degli atti, elemento dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse essere emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono al vincolo di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque, 18.02.2014, n. 44) che i vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.
La relazione tecnica, datata 05.07.1997, prodotta in primo grado dalla ricorrente non adduce elementi per ritenere che, a seguito della tombinatura, la fascia di rispetto risulti rispettata.
In essa si legge: “…La strada interpoderale, i cui lavori di sistemazione sono stati curati dall’amministrazione Comunale di Forlì del Sannio, si sviluppa con pendenza da nord a sud lungo il lato est del lotto di proprietà della signora Gi.: nella tratta di strada adiacente al terreno in narrativa sono stati realizzati, durante l’esecuzione dei lavori di sistemazione della strada, due tombini e sempre nel corso dei citati lavori il fosso Mandrella nel tratto confinante con la proprietà Giovino è stato coperto canalizzando le acque in un tubolare che collega i due tombini descritti in precedenza. In conclusione….si evince che il fosso Mandrella nel tratto a confine con la proprietà della signora Gi.An.Ma.…. non esiste più in superficie e la sua consistenza nel tratto adiacente la recinzione della proprietà in narrativa è stata annullata dai lavori di sistemazione della strada interpoderale ivi ubicata…”.
Orbene, dalla lettura della prefata relazione si evince unicamente l’avvenuta copertura del corso d’acqua, le cui acque sono state canalizzate in un tubolare.
Il corso d’acqua continua ad esistere e, pertanto, continua ad operare la fascia di rispetto di cui al richiamato articolo 96 del T.U.
La citata relazione, poi, non dà assolutamente conto di eventuali spostamenti del corso d’acqua e del suo alveo originario, a seguito dei lavori di sistemazione, sì da poter ritenere che la fascia di rispetto risulti per tal modo, sia pure in via successiva, rispettata dalle opere realizzate dalla signora Gi..
Né può assumersi che, essendo venuto meno l’originario argine per effetto dei lavori di incanalamento, venga a mancare il punto di riferimento dal quale è stata rilevata l’originaria irregolare distanza.
Vi è, infatti, che non essendovi agli atti prova di un avvenuto spostamento del corso d’acqua originario per effetto dei lavori di tombinatura, deve ritenersi che il margine esterno del corso d’acqua, quale originariamente rilevato, continui a sussistere, in tal modo costituendo elemento fondante dell’avvenuta violazione della distanza legale.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, deve, pertanto, ritenersi l’infondatezza del motivo di appello e la legittimità del provvedimento demolitorio impugnato.
Tanto, peraltro, non esclude che, in sede di esecuzione dell’ingiunzione di demolizione, possa essere nuovamente verificato il rispetto della distanza legale in relazione ad un eventuale spostamento del corso d’acqua (non emerso nella presente sede giurisdizionale) verificatosi a seguito dei lavori di sistemazione stradale e di tombinatura.
Con il secondo motivo di appello viene lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523 del 25.07.1904.
Parte appellante deduce l’erroneità della gravata sentenza per non avere colto il fine precipuo della norma, che non è quello di impedire tout court la realizzazione di qualsiasi opera nella fascia di rispetto fluviale, ma unicamente di impedire quelle opere che ostacolino il libero deflusso delle acque.
Rileva, pertanto, che la realizzazione di un muro in blocchetti di cemento e di un cancello, aventi funzione di mera recinzione, non rientrano nell’ambito delle opere vietate dal richiamato articolo 96 e non possono costituire ostacolo al libero deflusso delle acque.
Il motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa, “fabbriche” e “
scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento sormontato da inferriata (quale evincibile dalla documentazione fotografica versata in atti) costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”, attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente Mandrelle (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura e manutenzione.
Il mezzo di gravame è, dunque, infondato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, con riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere".
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12. Passando all’ulteriore contestazione relativa alla proprietà comune, ritiene il Collegio che il provvedimento, nella parte in cui ordina la demolizione della recinzione e del cancello elettrico, resista alle censure sollevate dal ricorrente.
Nel verbale di accertamento dell’11.02.2013 la suddetta recinzione è così descritta: “cancello elettrico in ferro lungo circa 4,00 mt e altro circa 1,90 mt con recinzione in muratura ordinaria e ferro lunga complessivamente circa 15,00 mt con porta d’ingresso di circa 0,87 mt X circa 2,00 mt con pensilina in muratura e tegole a chiusura di uno spazio che originariamente era libero”.
Parte ricorrente, muovendo dal presupposto secondo il quale la recinzione, secondo una prassi dell’epoca, non era prevista dagli elaborati progettuali e senza soffermarsi sulle caratteristiche dell’opera, contesta la illegittimità dell’ordinanza di demolizione asserendo che essa è, per questa parte, in contrasto con l’articolo 70 del regolamento edilizio comunale secondo il quale “le aree fronteggianti vie o piazze aperte al traffico devono essere recintate adeguatamente”.
L’assunto non è condivisibile.
Occorre precisare, al riguardo, che, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, con riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n. 52040)” TAR Napoli, sentenza n. 2122 del 15.04.2019 (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 11.11.2019 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2019

EDILIZIA PRIVATAAi fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.).
Pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera.

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Il gazebo in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale.
Il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
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Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli solari) rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
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La tettoia e il muro di contenimento necessitano delle autorizzazioni.
La prima -nel caso di specie- è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici.
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori.
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Va, invece, esaminato nel merito il contenuto dell’ordinanza n. 60/2018, impugnata con i motivi aggiunti.
Essa ingiunge la demolizione del cancello posto sulla particella 1650 (in quanto realizzato senza autorizzazione edilizia e paesaggistica), di un gazebo e di una tettoia (in quanto realizzati senza titoli edilizi e paesaggistici), di apparecchiature per i consumi energetici poste sulla copertura dell’edificio (in quanto realizzate in assenza di titoli e non rientranti nella tipologia di cui all’all. A del D.P.R. n. 31/2017, punto 6), di un muro di contenimento (in quanto realizzato in totale difformità dalla D.I.A. in data 11.10.2004 e successiva variante, peraltro priva di efficacia perché carente di autorizzazioni paesaggistiche e archeologiche).
In proposito il Collegio rileva:
   1. Il cancello è stato realizzato sulla particella 1650, che l’ordinanza n. 35/2018, annullata d’ufficio, aveva ritenuto costituire parte della strada pubblica di proprietà comunale. Quest’affermazione è stata corretta nell’ordinanza n. 60/2018, ivi riconoscendosi la proprietà dei ricorrenti sulla particella 1650, in forza di contratto di cessione stipulato il 07.06.1980, conseguito alla sdemanializzazione dell’area.
Tuttavia l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione del cancello ritenendo necessari per la sua installazione titoli edilizi e paesaggistici. Né l’ordinanza n. 35/2018, né l’ordinanza n. 60/2018 descrivono le dimensioni e la forma dell’opera, per la cui installazione non sarebbero necessarie autorizzazioni qualora essa non sia –per dimensioni e conformazione– idonea ad alterare la sagoma dell’edificio o l’assetto urbanistico del territorio (art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 380/2001).
Orbene, ai fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.); pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera (cfr. Cons. St., VI, 29.11.2018 n. 6798; id. n. 5781/2018; n. 2715/2018; n. 2701/2018).
   2. Il gazebo è descritto come opera in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente. Essa, pertanto, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale (cfr. Cass. pen., III, 02.10.2018 n. 54692); il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
   3. Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli solari), la cui installazione era stata comunicata all’Amministrazione il 16.03.2004, rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
L’installazione delle predette opere (cancello, gazebo e impianti ecologici) non richiede, dunque, preventivi titoli edificatori o nulla osta.
Diversamente, la tettoia e il muro di contenimento necessitano delle autorizzazioni. La prima è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici (cfr.: TAR Campania, Napoli, III, 27.6.2018 n. 4282; Salerno, II, 02.01.2019 n. 1).
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori (Cons. St., VI, 09.07.2018 n. 4169; TAR Veneto, II, 21.06.2018 n. 663; TAR Piemonte, II, 07.02.2018 n. 160; Cass. pen., III, 21.11.2018 n. 55366).
In conclusione, delle opere per le quali l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione solo il gazebo, il cancello e le apparecchiature tecnologiche sono insuscettibili di titoli edificatori. Perciò sul punto il provvedimento deve essere annullato, mentre può essere confermato per il resto (TAR Lazio-Latina, sentenza 04.10.2019 n. 564 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

settembre 2019

EDILIZIA PRIVATAPer giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto".
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Secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti, limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
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Per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività.
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Il sig. -OMISSIS- ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-con cui il Comune di -OMISSIS- gli ha ordinato di rimuovere una recinzione e il provvedimento del -OMISSIS-, di inibitoria della scia in sanatoria, presentata il 04.03.2014, articolando le seguenti doglianze: ...
...
Le censure non sono fondate.
Per giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto" (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 14.06.2018, n. 3661).
Nel caso di specie, la circostanza che la recinzione sia costituita da blocchi prefabbricati in calcestruzzo è già di per sé sola sufficiente ad escludere l’assenza di modifica dell’assetto del territorio.
Non può neppure ritenersi che l’opera in questione sia realizzabile in forza di una scia e che trovi conseguentemente applicazione la sola sanzione pecuniaria.
L’opera contrasta, difatti, con la previsione di cui all’art. 51, c. 3, delle nta, secondo cui nelle zone urbanistiche EE le recinzioni fisse devono essere realizzate integralmente in legno o con montanti in legno direttamente infissi nel ruolo e rete metallica di altezza non superiore a 150 cm.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, quanto contestato con i provvedimenti impugnati circa le caratteristiche costruttive della recinzione realizzata dal sig. -OMISSIS- in zona agricola non deriva da mere valutazioni estetiche dell’amministrazione ma è previsto in una disposizione vincolante, contenuta nelle nta del prg.
Deve, pertanto, escludersi che potesse essere irrogata la sola sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria: secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti, limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti (Cons. Stato Sez. VI, 24.05.2013, n. 2873; Tar Piemonte, sent. n. 70/2019; n. 1296/2018).
In considerazione della natura vincolata del potere esercitato –in un contesto in cui la scia è stata presentata dal sig. -OMISSIS- a fronte di lavori già eseguiti ed a seguito della comunicazione di avvio del procedimento demolitorio– e della correttezza del contenuto dispositivo dei provvedimenti impugnati, la censura con cui viene dedotta la violazione del principio del contraddittorio non può portare all’annullamento della nota con cui il Comune si è pronunciato sulla scia del 04.03.2014, così come previsto dall’art. 21-octies, l. n. 241/1990.
Non sussiste, infine, il lamentato difetto di motivazione: per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato sez. VI, 30/04/2019, n. 2823).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è esente da questo vizio, indicando con precisione l’opera abusiva e le disposizioni violate, senza che assuma alcun rilievo il richiamo ad un parere, pur non necessario.
Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, infondato e deve essere respinto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 30.09.2019 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza afferma la necessità del permesso di costruire (olim concessione edilizia) per la realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo edilizio non risulterebbe –di per sé– necessario per la realizzazione delle murature con il fine di evitare smottamenti o frane.
Ma –anche in disparte restando che in via ormai del tutto consolidata la giurisprudenza penale non opera tale distinzione ma afferma che, comunque, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, essendo come tale qualificabile intervento di nuova costruzione a’ sensi dell’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380– la più recente giurisprudenza amministrativa, pur confermando l’anzidetta propria tesi incentrata sulla distinzione tra le predette tipologie di intervento, afferma ora che il permesso di costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area impegnata, l’opera muraria risulta di per sé tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio: e ciò con riguardo alla circostanza che il muro di contenimento è struttura che -differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale evidenzia caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà- non ha di per sé natura pertinenziale, in quanto è opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato.
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4.2.4. Per quanto attiene alla realizzazione dei muri di contenimento, essa –a sua volta– risulta in astratto ammessa dall’art. 39, comma 4, delle norme di attuazione della variante al Piano regolatore generale del Comune di Napoli, laddove segnatamente questo si riferisce –tra l’altro– agli “interventi di consolidamento di pendici mediante la realizzazione di strutture di contenimento”, senza peraltro specificare quale titolo edilizio si rende necessario al riguardo.
A tale proposito il Collegio non ignora che la giurisprudenza afferma la necessità del permesso di costruire (olim concessione edilizia) per la realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo edilizio non risulterebbe –di per sé– necessario per la realizzazione delle murature con il fine di evitare smottamenti o frane (così Cons. Stato, Sez. V, 12.04.2005, n. 1619 e 28.06.2000, n. 3637).
Ma –anche in disparte restando che in via ormai del tutto consolidata la giurisprudenza penale non opera tale distinzione ma afferma che, comunque, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, essendo come tale qualificabile intervento di nuova costruzione a’ sensi dell’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 21.11.2018, n. 55366, nonché 29.09.2011, n. 41425, 14.05.2008, n. 35698 e 17.06.1999, n. 1116)– la più recente giurisprudenza amministrativa, pur confermando l’anzidetta propria tesi incentrata sulla distinzione tra le predette tipologie di intervento, afferma ora che il permesso di costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area impegnata, l’opera muraria risulta di per sé tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.07.2018, n. 4169): e ciò con riguardo alla circostanza che il muro di contenimento è struttura che -differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale evidenzia caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà- non ha di per sé natura pertinenziale, in quanto è opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato (cfr. ibidem).
Nel caso di specie dagli atti di causa emerge che i muri di contenimento si estendono per l’intera lunghezza dei terrazzamenti che compongono il terreno e che su di essi, evidentemente insistenti su dislivelli originari, sono stati anche realizzati parapetti in tufo e dei rampanti in muratura –anch’essi in tufo– che collegano le due quote di terreno.
Pare pertanto evidente l’insufficienza al riguardo della denuncia d’inizio di attività al fine di legittimare quanto realizzato, e che quindi anche in questo caso, a’ sensi del predetto art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, la sanzione della demolizione delle opere è di per sé ineludibile.
E ciò –si badi- anche a prescindere dall’ulteriore circostanza –di per sé in ogni caso assorbente– della sussistenza, anche su tale area, del divieto di ordine generale di costruire disposto dall’art. 24, comma 2, delle norme di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Napoli, di cui già si è detto al § 4.2.2.della presente sentenza (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2019

EDILIZIA PRIVATAIn via generale, per consolidata giurisprudenza, la posa di una recinzione -manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, di talché anche la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell' art. 841 c.c..
Il titolo abilitativo edilizio non risulta quindi necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, priva di muretti di sostegno, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà.
Una specifica autorizzazione risulta necessaria solo nell’ipotesi in cui sull’area sia imposto un vincolo paesaggistico e comunque solo se sia accertato che non si tratti della mera sostituzione di un’opera preesistente, nel qual caso non è richiesto il rilascio di alcuna autorizzazione, in quanto riconducibile, ai sensi dell'art. 149, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, nell'alveo degli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.
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Deduce in proposito la ricorrente che debba essere escluso che per la recinzione e le opere connesse fosse necessario il rilascio del permesso di costruire, attesa l’assenza di rilevanza edilizia delle medesime.
In dettaglio si lamenta che la recinzione in pali di ferro infissi direttamente nel terreno e la rete metallica con il relativo cancello in legno vanno annoverate nell’ambito dell’attività edilizia libera ex artt. 137, comma 1, n. 7, e 136, comma 1, lett. g) l.reg. n. 65/2014.
Si assume, inoltre, che gli elementi infissi nel suolo sul lato strada della proprietà si sono resi necessari all’esclusivo fine di contenimento del rialzo del piano stradale per circa 50 cm. eseguito dal Comune a ridosso della recinzione stessa.
La tesi merita condivisione.
In via generale, per consolidata giurisprudenza, la posa di una recinzione -manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni- è solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, di talché anche la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell' art. 841 c.c..
Il titolo abilitativo edilizio non risulta quindi necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, priva di muretti di sostegno, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà (TAR Lombardia, Brescia, sez. II , 25/09/2018, n. 907; TAR Lazio, sez. II, 04/09/2017, n. 9529; TAR Campania, Salerno, sez. II, 11/09/2015 n. 1902; TAR Umbria, 18/08/2016 n. 571).
Una specifica autorizzazione risulta necessaria solo nell’ipotesi in cui sull’area sia imposto un vincolo paesaggistico (titolo che tuttavia, come si è visto, è stato nel frattempo richiesto dalla ricorrente) e comunque solo se sia accertato che non si tratti della mera sostituzione di un’opera preesistente, nel qual caso non è richiesto il rilascio di alcuna autorizzazione, in quanto riconducibile, ai sensi dell'art. 149, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, nell'alveo degli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907).
Peraltro è la stessa amministrazione a rilevare che “le sanzioni paesaggistiche … sono assorbite dall’ingiunzione di demolizione prevedendo entrambe le norme il ripristino… dovendosi ritenere prevalente la più severa sanzione edilizia”.
Priva di pregio, giacché sfornita di supporto normativo, si palesa poi l’affermazione del Comune secondo cui l’assenza di rilevanza edilizia delle recinzioni sarebbe ammissibile a condizione che esse delimitino giardini e spazi pertinenziali.
E’ sufficiente in proposito rinviare a quanto disposto dall’art. 137, co. 1, n. 7, l.reg. n. 65/2014 secondo cui “Sono privi di rilevanza urbanistico-edilizia …7) le recinzioni realizzate in rete con sostegni semplicemente infissi al suolo senza opere murarie e le staccionate in legno semplicemente infisse al suolo”.
Quanto a quello che nel provvedimento viene definito un “piccolo cordolo di cemento lato strada” la relazione depositata dall’amministrazione non reca alcun ulteriore apporto conoscitivo così che pare ragionevole ritenere confermata la tesi di parte secondo cui si tratti in realtà di “elementi prefabbricati in calcestruzzo, semplicemente appoggiati per far fronte all’esigenza di contenere lo smottamento del terreno”.
Ciò comporta, in relazione al materiale utilizzato e alla facile amovibilità dello stesso, che anche per tale aspetto dell’opera non fosse necessario il rilascio di uno specifico titolo edilizio.
Segue da quanto esposto che il ricorso va accolto per quanto ancora di interesse, per l’effetto annullando in parte qua il provvedimento impugnato (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.08.2019 n. 1208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2020

EDILIZIA PRIVATA: Non occorre il permesso di costruire per la costruzione di box di ricovero per cani randagi. Inoltre, la recinzione può essere considerata costruzione -e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo- solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Nel caso di specie trattasi della realizzazione, senza titolo edilizio, di "recinti realizzati con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno vegetale secondo l’originario stato dei luoghi”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti, il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale .
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo.
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria”.
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle caratteristiche costruttive .
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile impatto ambientale.
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni.
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va annullato.
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... per l'annullamento del provvedimento n. 61 del 07/06/2016 di sospensione lavori e ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie.
...
Parte ricorrente, nella spiegata qualità, insorge avverso il provvedimento di sospensione lavori e ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi spedito a fronte della realizzazione di un canile in un’area agricola, realizzato con box in legno per il ricovero di cani randagi su circa 600 m² di superficie, privi di titolo autorizzativo e privi di autorizzazione paesaggistica.
Assume che non sono opere edilizie rilevanti in termine di superficie e volumi, in quanto finalizzate ai soccorsi ed all’assistenza di cani randagi e nega nello specifico che si tratti di box in legno affermando che sono solo recinzioni metalliche senza alcun ingombro, di colore neutro, non chiusi e circoscrivono una superficie di terreno tra pali di castagno stagionato infissi in terra, coperti con lamiere di colore neutro ad un’altezza di circa 2,20 m, ricoperti da vegetazione rampicante per riparare i cani dalla calura estiva. In quanto opere precarie, prive di impatto paesaggistico e facilmente rimovibili, non potrebbero essere oggetto della disposta misura sanzionatoria.
In subordine, trattandosi al più di opere soggette a DIA, sarebbe stata applicabile la semplice sanzione pecuniaria.
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Il presente ricorso verte sulla legittimità dell’ordine di demolizione spedito nei confronti della ricorrente a fronte della realizzazione di opere su un fondo agricolo, specificamente trentadue box in legno per ricovero di cani randagi su una superficie di circa 600 mq., contestati a seguito di rapporto dalla Polizia municipale del 22.09.2014, prot. P-61-14.
Non è contestato che la ricorrente è una Associazione di Volontariato E.I.P.A. Onlus – Ente Italiano Protezione Animali – Sezione Napoli – senza scopi di lucro. La stessa, ispirandosi ai principi di solidarietà sociale, si prefigge una serie di obiettivi tra cui: a) sostenere le persone che, nella gestione di propri animali o accudendo quelli senza proprietario, vengono a trovarsi in difficoltà; b) operare concretamente in difesa degli animali e dei loro diritti; c) sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una cultura del rispetto che riconosca gli animali come soggetti di diritto.
La stessa deduce che, al fine di perseguire i propri obiettivi associativi, in data 19.08.2014 stipulava con il Sig. Io.Sa.Pa., nella qualità di proprietario, un contratto di affitto avente ad oggetto una porzione, di circa are 35,00, del fondo rustico di are 49,11, sito in Via ... snc, convenendo la durata in anni nove, decorrente dal 01.09.2014, e che sullo stesso realizzava una serie di opere finalizzate al soccorso ed all’assistenza, a cura di volontari ed a titolo gratuito, di cani randagi, abbandonati o maltrattati, nel territorio del circondario di Somma Vesuviana.
Dette opere sono state tuttavia sanzionate dalla intimata amministrazione comunale, ravvisandovi violazioni edilizie e paesaggistiche.
Assume parte ricorrente con un’unica articolata censura che le stesse non costituisco un’entità edilizia, necessitante di titolo abilitativo, trattandosi di semplici recinzioni metalliche, non qualificabili come ‘box/costruzioni’ in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, allegando foto e relazione tecnica di parte.
Osserva il Collegio che, pur essendo stata respinta la domanda cautelare con ordinanza in data 08.11.2016, nella presente sede di merito sono venuti in rilievo elementi tali da indurre ad una differente valutazione delle opere, a seguito di una più approfondita disamina del materiale probatorio offerto da parte ricorrente, non avendo l’amministrazione intimata fornito ulteriori apporti oltre ai riscontri emergenti dall’atto impugnato, in quanto non costituita in giudizio.
Occorre invero esaminare la consistenza e caratteristiche delle opere contestate, per valutare se le stesse possano determinare trasformazione del territorio sia a fini urbanistici che paesistico–ambientali anche in virtù del vincolo di cui al d.lgs. 22.1.2004 n. 42 gravante sull’area in questione con dichiarazione di notevole interesse pubblico operata con D.M. 26.01.1961.
Al riguardo il verbale di accertamento, pur dando atto che si tratta di strutture per il ricovero di cani randagi, descrive le stesse come 32 box in legno, su una superficie di circa mq. 600,00, adoperando un termine che in sé caratterizza strutture chiuse e volumetricamente rilevanti.
Per contro, facendo riferimento a quanto risultante dalla perizia di parte in atti con allegata documentazione fotografica, emerge che quanto eseguito consiste in recinzioni metalliche, non propriamente ‘box/costruzioni’ in legno, atteso che non sviluppano alcuna volumetria e non determinano un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in senso proprio, anche in considerazione della loro funzione .
La descrizione contenuta nei provvedimenti gravati, in cui si parla di «n. 32 box realizzati in legno» non è corredata da ulteriori elementi descrittivi, né da documentazione fotografica, e sotto tale aspetto, per la sua genericità, non appare idonea a contrastare le risultanze della relazione tecnica di parte ricorrente redatta dall’ing. Fr.Ro. del 07.10.2016, ove si descrivono compiutamente le caratteristiche costruttive, come recinzioni metalliche sorrette tra pali di castagno stagionato infissi nella terra per circa 40/50 cm, facilmente rimovibili, e quindi precarie.
Attesta in particolare la perizia che non risulta utilizzata né malta né calcestruzzo cementizio, ma solo una rete metallica a maglie larghe di colore neutro sorretta da paletti in legno infissi nella terra.
Si precisa trattarsi di: "recinti realizzati con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da lamiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna, risultando l’intera area costituita da terreno vegetale secondo l’originario stato dei luoghi, così come si evince dalla documentazione”.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti contestati, come descritte, sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico, e volumetrico.
Ne deriva che non risulta adeguatamente considerata dall’amministrazione comunale la natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione, rivolta alla cura e ricovero di animali randagi ed abbandonati, attraverso la realizzazione di manufatti di precaria installazione e di facile asportazione, e non è sufficientemente motivata la ritenuta necessità del titolo abilitativo, richiesto per costruzioni stabili e con ingombro volumetrico.
Corrobora tale configurazione la mancanza di una sostanziale modifica del suolo, atteso che, secondo le attestazioni della perizia di parte in atti, il piano di campagna non risulta alterato da pavimentazioni rigide o impermeabili, risultando per l’intera area costituito da terreno vegetale.
In proposito la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che una recinzione può essere considerata costruzione e come tale subordinata al previo rilascio di titolo abilitativo, solo nei casi in cui sia stabilmente infissa al suolo (Cfr. Cons. Stato, sez. II, 08.01.1989, n. 1396; Tar Piemonte, Torino, sez. II, 07.11.2014, n. 1764).
Ed ancora: “La recinzione metallica (nella specie: di alcuni box per il ricovero dei cani) non è qualificabile come costruzione, in quanto non sviluppa volumetrie e non determina un ingombro paragonabile a quello delle costruzioni in muratura. Essa non soggiace, pertanto, alla normativa sulle distanze tra edifici, la quale si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, ad opere che, per la loro consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria” (Cfr. Cass. Civile sentenza n. 5956/1996 e Tribunale Amministrativo Regionale Puglia-Lecce, Sezione 3, Sentenza 14.11.2012, n. 1881).
Ne consegue che la sanzione demolitoria inflitta dall’amministrazione comunale non risulta sorretta da motivazione idonea che ne giustifichi la adeguatezza e proporzionalità rispetto alla precarietà, ed assenza di volumetria edilizia urbanisticamente rilevante in relazione alle caratteristiche costruttive.
Neppure è stata motivata la necessità, nella fattispecie in esame, del nulla osta paesaggistico, trattandosi di recinzioni costituite da una rete metallica e da paletti di legno infissi nel terreno, di natura precaria e di consistenza e di dimensioni ridotte, aventi la funzione di dividere i cani randagi, senza l’intervento di opere murarie, in quanto si tratta di opere prive di apprezzabile impatto ambientale (Cfr. Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; Tar Lazio Roma, sentenza 27.05.2013, n. 5276).
Né può ritenersi a priori la incompatibilità delle opere con la destinazione urbanistica di zona, nella specie agricola. Invero, la destinazione agricola di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma non preclude l’istallazione di opere quali nella specie, un ricovero e/o rifugio per cani randagi, per il quale la venga ubicato in aperta campagna e, quindi, in zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni (Cfr. Tar Napoli, Sez. II, 09.11.2006/21.11.2006, n. 10065).
La destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di opere che non riguardino tale tipologia edilizia e che, per contro, siano incompatibili con zone abitate e da realizzare necessariamente in aperta campagna (nella specie, un canile municipale - TAR Campania-Napoli, Sezione III Sentenza 13.04.2011, n. 2135).
Conclusivamente, il gravato atto risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo l’amministrazione intimata adeguatamente valutato l’entità e della tipologia dell'abuso contestato, e per l’effetto va annullato (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

novembre 2019

EDILIZIA PRIVATACostituisce jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
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Considerato in diritto che:
   - l’appello è fondato in parte qua, in relazione alle opere rimanenti sul lettera d), cioè la recinzione posta dal lato del mare e i camminamenti;
   - in linea di fatto la ricostruzione posta a fondamento della sentenza appellata appare corretta;
   - in relazione ai manufatti sub lettere b) e c) predette il relativo ingombro rende condivisibile la valutazione negativa svolta dal giudice di prime cure, basata, nei limiti del sindacato giurisdizionale, su una adeguata valutazione dei fatti e priva di elementi di illogicità;
   - al riguardo, assumono rilievo preminente ed insuperato gli elementi posti a base del parere contrario dell’esperto paesistico, fatto proprio dagli atti in contestazione;
   - per un verso, relativamente al deposito in adiacenza alle cabine, rilevano l’estraneità di detto manufatto all’impianto di balneazione e l’impossibilità di (ri)assorbirlo dal punto di vista volumetrico nel contesto tutelato, dando esso luogo ad un eccessivo ingombro e ad un’eccessiva occupazione di aree scoperte;
   - per un altro verso, relativamente al manufatto aperto, rilevano il carattere precario, il contrasto (per materiali e dimensioni) con i valori ambientali del luogo, la attuale totale trasformazione, che lo rende non riconducibile allo stato che aveva al 31.12.1993, termine rilevante ai fini di condono in esame;
   - a diverse conclusioni deve giungersi rispetto agli interventi rimanenti, privi di concreto impatto, quantomeno nei rilevanti termini invocati dalla p.a.;
   - infatti, in assenza di elementi di ingombro rilevante, le generiche considerazioni poste a base della valutazione negativa si scontrano con il limitato impatto di tali interventi;
   - per ciò che concerne la recinzione, costituisce jus receptum il principio per cui non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 14.06.2018, n. 3661 e 15.12.2017, n. 5908);
   - nel caso di specie, la valutazione appare carente di approfondimento istruttorio e valutativo nei termini appena ricordati, in quanto l’affermazione circa la apparente schermatura appare generica e priva della necessaria verifica concreta della specifica consistenza e funzionalità del manufatto;
   - per ciò che concerne il mutamento del manto erboso, non emerge un’alterazione paesaggisticamente rilevante, stante la palese omogeneità estetica del medesimo manto erboso nei termini di cui alla presente fattispecie;
   - infatti, a fronte della permanenza del medesimo manto erboso, il diverso mero utilizzo, senza strutture di ingombro di rilievo, rende illogica e travisante la valutazione negativa, non potendo rilevare, ai fini in esame, elementi casuali e facilmente mutabili come sedie e tavoli;
   - alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato in parte qua e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado in relazione alle restanti opere sub lettera d) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.11.2019 n. 8178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro.
La sostituzione di una staccionata in legno con recinzione in cemento e rete metallica lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro non sostanzia un'opera di manutenzione straordinaria della precedente recinzione ma di nuova opera, differente nel posizionamento, nella struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire perché dotata di stabilità e perché costruita con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
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... per l'annullamento:
   1) dell'ordinanza n. 8/2018 a firma del responsabile dell'area tecnica del Comune di Jacurso, notificata in data 04.10.2018, con la quale si ingiunge alla ricorrente di “rimuovere/demolire a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla notifica della presente ordinanza, tutte le opere abusive in premessa indicate e precisamente: recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento”;
...
La ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione del Comune di Jacurso n. 8/2018, relativa ad recinzione realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento, ciò in quanto il predetto manufatto risulterebbe “spostato di circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” ed essendo quindi “necessario presentare una SCIA, in quanto si tratta di sostituzione di quella già esistente con spostamento della stessa di circa 50 cm, realizzata con rete metallica sorretta da paletti in cemento”.
...
Occorre premettere che, dall’ordinanza impugnata, come dalla relazione tecnica a supporto, non si evince che lo spostamento della recinzione “di circa 0,50 m in corrispondenza del ciglio stradale” comporti anche l’invasione della fascia di rispetto stradale.
Resta, quindi, come unica causa di illegittimità, la mancata acquisizione preventiva del titolo edilizio.
A tal proposito, la ricorrente denuncia la non irrogabilità della sanzione demolitoria, in quanto opera soggetta a SCIA.
L’assunto non è condivisibile.
La fattispecie in esame riguarda un’opera di recinzione realizzata, a differenza della staccionata in legno preesistente, in cemento e rete metallica, lunga oltre sei metri ed alta oltre un metro.
Non si tratta, quindi, di manutenzione straordinaria della precedente recinzione, ma di nuova opera, differente nel posizionamento, nella struttura e nelle dimensioni, che necessita del permesso di costruire perché dotata di stabilità (cfr. Cass. 20739/2018) e perché costruita con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
Ogni altra censura di natura formale, è sanata dalla natura vincolata dell’atto (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 26.11.2019 n. 1972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARisulta dirimente, ai fini della infondatezza della censura sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non potendo la stessa essere rimessa alla determinazione individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza costantemente ritiene che il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’articolo 96, lett. f), del T.U. 25.07.1904, n. 523, ha carattere legale, assoluto ed inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata nella finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria degli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e per le cose che potrebbero derivare da esondazioni.
Ciò posto, dal carattere assoluto del richiamato vincolo di inedificabilità discende la natura vincolata (in termini repressivi) dell’azione amministrativa conseguente all’accertamento della violazione della distanza legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma, dando luogo a condotte contra legem, costituiscono elementi che non possono in alcun modo fondare l’illegittimità di una sanzione demolitoria irrogata in presenza di violazione della distanza legale.
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La sopravvenuta circostanza della copertura del torrente e dell’incanalamento delle relative acque non appare elemento dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non possa essere emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono al vincolo di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero, affermato che i vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.

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I
l divieto recato dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa, “fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori di manutenzione.
Invero, la fascia di rispetto non è finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento sormontato da inferriata costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”, attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura e manutenzione.

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Viene, invero, lamentata l’intima contraddizione del comportamento della Regione, la quale, da una parte ha ingiunto la demolizione delle opere realizzate dal privato a distanza inferiore a 10 metri, mentre dall’altra ha consentito la completa sistemazione dell’area da parte del Comune attraverso la canalizzazione del ruscello tramite tubi in cemento armato, la sistemazione della strada interpoderale (sita al lato opposto del ruscello rispetto alla proprietà Gi.) e la realizzazione sulla stessa di opere di messa in sicurezza quali guard rail.
La doglianza non è meritevole di favorevole considerazione, non risultando assolutamente comparabili le situazioni messe a raffronto dall’appellante per dedurre la contraddittorietà e l’illogicità dell’azione amministrativa.
Invero, a differenza dei manufatti realizzati dalla signora Gi., gli interventi eseguiti dal Comune ed autorizzati dalla Regione risultano essere opere pubbliche e di interesse pubblico, delle quali è stata previamente verificata, da parte dell’autorità competente, la compatibilità con le esigenze di tutela della risorsa idrica.
Va, inoltre, considerato che la strada era preesistente e, dunque, per quanto emerge dalle stesse affermazioni dell’appellante, si è trattato di sistemazione di un’opera che già insisteva al margine del torrente Mandrelle.
In disparte a quanto sopra rilevato, risulta, poi, dirimente, ai fini della infondatezza della censura sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non potendo la stessa essere rimessa alla determinazione individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 22.06.2011 n. 3781; Trib. sup. acque, 24.06.2010, n. 104) costantemente ritiene che il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’articolo 96, lett. f), del T.U. 25.07.1904, n. 523, ha carattere legale, assoluto ed inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata nella finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria degli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e per le cose che potrebbero derivare da esondazioni.
Ciò posto, osserva il Collegio che dal carattere assoluto del richiamato vincolo di inedificabilità discende la natura vincolata (in termini repressivi) dell’azione amministrativa conseguente all’accertamento della violazione della distanza legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma, dando luogo a condotte contra legem, costituiscono elementi che non possono in alcun modo fondare l’illegittimità di una sanzione demolitoria irrogata in presenza di violazione della distanza legale.
Per le ragioni sopra esposte, dunque, non è configurabile il lamentato vizio di contraddittorietà dell’azione amministrativa.
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Osserva, di poi, la Sezione, in disparte a quanto sopra rilevato, che in ogni caso la sopravvenuta circostanza della copertura del torrente e dell’incanalamento delle relative acque non appare, allo stato degli atti, elemento dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse essere emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono al vincolo di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque, 18.02.2014, n. 44) che i vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.
...
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa, “fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento sormontato da inferriata (quale evincibile dalla documentazione fotografica versata in atti) costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”, attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente Mandrelle (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura e manutenzione
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, con riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere".
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12. Passando all’ulteriore contestazione relativa alla proprietà comune, ritiene il Collegio che il provvedimento, nella parte in cui ordina la demolizione della recinzione e del cancello elettrico, resista alle censure sollevate dal ricorrente.
Nel verbale di accertamento dell’11.02.2013 la suddetta recinzione è così descritta: “cancello elettrico in ferro lungo circa 4,00 mt e altro circa 1,90 mt con recinzione in muratura ordinaria e ferro lunga complessivamente circa 15,00 mt con porta d’ingresso di circa 0,87 mt X circa 2,00 mt con pensilina in muratura e tegole a chiusura di uno spazio che originariamente era libero”.
Parte ricorrente, muovendo dal presupposto secondo il quale la recinzione, secondo una prassi dell’epoca, non era prevista dagli elaborati progettuali e senza soffermarsi sulle caratteristiche dell’opera, contesta la illegittimità dell’ordinanza di demolizione asserendo che essa è, per questa parte, in contrasto con l’articolo 70 del regolamento edilizio comunale secondo il quale “le aree fronteggianti vie o piazze aperte al traffico devono essere recintate adeguatamente”.
L’assunto non è condivisibile.
Occorre precisare, al riguardo, che, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, con riferimento al regime edilizio applicabile ai muri di recinzione colpiti dall'ordine demolitorio, “in assenza di precise indicazioni ritraibili dal testo unico in materia di edilizia, le opere funzionali alla delimitazione dei confini dei terreni, quali recinzioni, muri di cinta e cancellate, non devono essere riguardate in base all'astratta tipologia di intervento che incarnano, ma sulla scorta dell'impatto effettivo che determinano sul preesistente assetto territoriale: ne deriva, in linea generale, che tali opere restano sottoposte al regime della DIA (oggi SCIA) ove non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, per essersi tradotte in manufatti di corpo ed altezza modesti, mentre abbisognano del permesso di costruire ove detta soglia, come avvenuto nella fattispecie, risulta superata in ragione dell'importanza dimensionale degli interventi posti in essere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.01.2016 n. 10 e 04.07.2014 n. 3408; Cass. Pen., Sez. III, 11.11.2014 n. 52040)” TAR Napoli, sentenza n. 2122 del 15.04.2019 (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 11.11.2019 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2019

EDILIZIA PRIVATASulla necessità del permesso di costruire la giurisprudenza, tra l'altro, ha così statuito:
   a) costituisce trasformazione soggetta a permesso di costruire la realizzazione di piste all’esito di ripetuti passaggi con mezzi meccanici, nonché per quanto attiene al previsto ampliamento della stradella;
   b) in materia edilizia sono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì costituiscano manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione -quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno- in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà), per quanto attiene alla recinzione formata da un muretto in cemento armato;
   c) ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, si deve valutare l'opera medesima alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale), per quanto attiene ai due box prefabbricati (uno dei quali, tra l’altro, destinato a servizio WC con allaccio alla pubblica fognatura) e per quanto attiene ai macchinari, anche tenuto conto che il progetto contemplava la realizzazione di idonee opere di fondazione per il posizionamento delle attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività, costituite da piastre di fondazione in cemento armato e massetto debolmente armato.
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Non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui l’impianto di betonaggio sarebbe stato realizzato tramite mera collocazione sul suolo di macchinari e senza esecuzione di lavori comportanti trasformazioni permanenti del suolo stesso.
Come risulta dal progetto dell’intervento versato in atti dall’Amministrazione resistente (allegato 005 alla memoria di costituzione del 03.03.2019), la ditta ricorrente, al fine di realizzare il previsto impianto di betonaggio, intendeva, tra l’altro, effettuare le seguenti opere:
   - “sistemazione del terreno, mediante la realizzazione di terrazzamenti, disposti secondo l’andamento naturale dello stesso e la realizzazione di idonee opere di mitigazione e consolidamento per l’impianto di betonaggio”;
   - “rinterri effettuati mediante il riutilizzo della terra naturale proveniente dai modesti scavi di sbancamento in loco per la realizzazione dei terrazzamenti previsti in progetto, per le opere di fondazione, per l’ampliamento della stradella di accesso e per la collocazione della cisterna totalmente interrata in cemento armato”;
   - “completamento della recinzione esistente, formata da muretto in cemento armato, con sovrastante paletti e rete metallici”;
   - “realizzazione di idonee opere di fondazione per il posizionamento delle attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività, costituite da piastre di fondazione in cemento armato, massetto debolmente armato e per la successiva collocazione di due piccoli box prefabbricati da destinare rispettivamente a ufficio e locale WC”;
   - realizzazione di uno “scarico per il servizio igienico” che sarebbe “stato recapitato direttamente nella fognatura pubblica, servita da appositi pozzetti di ispezione”.
Nel suo complesso si tratta chiaramente di un intervento per il quale risultava necessario il permesso di costruire.
Al riguardo è sufficiente citare le seguenti pronunce (in parte menzionate anche dall’Amministrazione resistente nella propria memoria):
   a) TAR Lazio, Roma, II-quater, n. 10017/2018 (in cui si afferma che costituisce trasformazione soggetta a permesso di costruire la realizzazione di piste all’esito di ripetuti passaggi con mezzi meccanici), per quanto attiene al previsto ampliamento della stradella);
   b) TAR Bari, III, n. 714/2013 e Consiglio di Stato, VI, n. 5380/2019 (nella quale ultima decisione si precisa che in materia edilizia sono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì costituiscano manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione -quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno- in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà), per quanto attiene alla recinzione formata da un muretto in cemento armato;
   c) TAR Firenze, III, n. 481/2002, TAR Torino, I, n. 1143/2013 e TAR Campania, Napoli, III, n. 3863/2008 (nella quale ultima decisione si afferma che, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, si deve valutare l'opera medesima alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale), per quanto attiene ai due box prefabbricati (uno dei quali, tra l’altro, destinato a servizio WC con allaccio alla pubblica fognatura) e per quanto attiene ai macchinari, anche tenuto conto che il progetto contemplava la realizzazione di idonee opere di fondazione per il posizionamento delle attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività, costituite da piastre di fondazione in cemento armato e massetto debolmente armato (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 18.10.2019 n. 2438 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl di là della predicata natura pertinenziale, tre casette in legno (pollai) e la tettoia in lamiera contestate, precipuamente in quanto riguardate nel loro complesso, si rivelano suscettibili di arrecare un apprezzabile impatto volumetrico e una corrispondente trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio; cosicché per la loro realizzazione si imponeva il previo rilascio del permesso di costruire, in assenza del quale è da reputarsi legittimamente irrogata la sanzione demolitoria.
Del pari, si imponeva il rilascio del permesso di costruire per la realizzata recinzione, siccome costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica e suscettibile, quindi, per le relative caratteristiche dimensionali e strutturali, di incidere in modo permanente e non precario sull'assetto urbanistico del territorio.
In ogni caso, anche in disparte la necessità o meno del permesso di costruire, trattandosi di area paesaggisticamente vincolata, si imponeva, nella specie, indefettibilmente il previo rilascio del titolo paesaggistico, in mancanza del quale le opere eseguite restavano pur sempre sanzionabili in via demolitoria, ai sensi degli artt. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004.
Ed invero, a norma sia dell’art. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 sia dell’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004, nonché in omaggio al canone generale di indifferenza della richiesta tipologia di titolo abilitativo rispetto all’individuazione del regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi commessi in zone vincolate, gli interventi abusivi, a prescindere dalla relativa qualificazione edilizia, non sfuggono alla misura demolitorio-ripristinatoria, allorquando siano stati eseguiti in zone paesaggisticamente vincolate, senza che la stessa possa pretermettersi in ragione della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi, scrutinabile dall’autorità tutoria solo in seguito ad apposita istanza dell’interessato e non, di certo, ex officio, in sede di adozione della misura repressivo-ripristinatoria.
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Premesso che:
   - col ricorso in epigrafe, Lo.Lu. impugnava, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza di demolizione n. 19 (r.g. n. 56) del 03.03.2011, emessa dal Funzionario di Unità Operativa Complessa, Titolare di Posizione Organizzativa del Settore Governo del Territorio e Servizi Manutentivi del Comune di Cava de’ Tirreni, unitamente alla nota della Polizia Locale di Cava de’ Tirreni prot. n. 7616 del 18.12.2010 ed al verbale di accertamento della Polizia Locale di Cava de’ Tirreni del 15.11.2010;
   - gli abusi contestati consistevano nella realizzazione sine titulo, sul fondo in proprietà della ricorrente, ubicato in Cava de’ Tirreni, frazione Li Curti, via ..., n. 40, nonché ricadente in zona assoggettata a vincolo paesaggistico: -- di una recinzione costituita da un muretto in mattoni sormontato da una rete metallica sostenuta da paletti in ferro e interposto da un cancelletto in ferro; -- di tre casette in legno (pollai) e di una tettoia in lamiera all’interno della recinzione anzidetta;
...
Considerato, innanzitutto, che:
   - al di là della predicata natura pertinenziale, le casette in legno (pollai) e la tettoia in lamiera contestate, precipuamente in quanto riguardate nel loro complesso, si rivelano suscettibili di arrecare un apprezzabile impatto volumetrico e una corrispondente trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio; cosicché per la loro realizzazione si imponeva il previo rilascio del permesso di costruire, in assenza del quale è da reputarsi legittimamente irrogata la sanzione demolitoria;
   - del pari, si imponeva il rilascio del permesso di costruire per la realizzata recinzione, siccome costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica e suscettibile, quindi, per le relative caratteristiche dimensionali e strutturali, di incidere in modo permanente e non precario sull'assetto urbanistico del territorio (cfr., ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 1601/2018; n. 270/2019; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 5777/2018; Salerno, sez. II, n. 1760/2018; Napoli, sez. III, n. 1154/2019);
   - in ogni caso, anche in disparte la necessità o meno del permesso di costruire, trattandosi di area paesaggisticamente vincolata, si imponeva, nella specie, indefettibilmente il previo rilascio del titolo paesaggistico, in mancanza del quale le opere eseguite restavano pur sempre sanzionabili in via demolitoria, ai sensi degli artt. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004;
   - ed invero, a norma sia dell’art. 27, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 sia dell’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004, nonché in omaggio al canone generale di indifferenza della richiesta tipologia di titolo abilitativo rispetto all’individuazione del regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi commessi in zone vincolate, gli interventi abusivi, a prescindere dalla relativa qualificazione edilizia, non sfuggono alla misura demolitorio-ripristinatoria, allorquando siano stati eseguiti in zone paesaggisticamente vincolate (sul punto, cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 2644/2012; sez. III, n. 1093/2018; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, n. 539/2018), senza che la stessa possa pretermettersi in ragione della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi, scrutinabile dall’autorità tutoria solo in seguito ad apposita istanza dell’interessato e non, di certo, ex officio, in sede di adozione della misura repressivo-ripristinatoria (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 02.10.2019 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2019

EDILIZIA PRIVATAPer giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto".
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Secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti, limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
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Per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività.
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Il sig. -OMISSIS- ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-con cui il Comune di -OMISSIS- gli ha ordinato di rimuovere una recinzione e il provvedimento del -OMISSIS-, di inibitoria della scia in sanatoria, presentata il 04.03.2014, articolando le seguenti doglianze: ...
...
Le censure non sono fondate.
Per giurisprudenza costante, "la realizzazione di una recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto" (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 14.06.2018, n. 3661).
Nel caso di specie, la circostanza che la recinzione sia costituita da blocchi prefabbricati in calcestruzzo è già di per sé sola sufficiente ad escludere l’assenza di modifica dell’assetto del territorio.
Non può neppure ritenersi che l’opera in questione sia realizzabile in forza di una scia e che trovi conseguentemente applicazione la sola sanzione pecuniaria.
L’opera contrasta, difatti, con la previsione di cui all’art. 51, c. 3, delle nta, secondo cui nelle zone urbanistiche EE le recinzioni fisse devono essere realizzate integralmente in legno o con montanti in legno direttamente infissi nel ruolo e rete metallica di altezza non superiore a 150 cm.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, quanto contestato con i provvedimenti impugnati circa le caratteristiche costruttive della recinzione realizzata dal sig. -OMISSIS- in zona agricola non deriva da mere valutazioni estetiche dell’amministrazione ma è previsto in una disposizione vincolante, contenuta nelle nta del prg.
Deve, pertanto, escludersi che potesse essere irrogata la sola sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria: secondo la costante giurisprudenza, in forza di quanto previsto dagli artt. 22 e 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è, difatti, limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa segnalazione certificata di inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti (Cons. Stato Sez. VI, 24.05.2013, n. 2873; Tar Piemonte, sent. n. 70/2019; n. 1296/2018).
In considerazione della natura vincolata del potere esercitato –in un contesto in cui la scia è stata presentata dal sig. -OMISSIS- a fronte di lavori già eseguiti ed a seguito della comunicazione di avvio del procedimento demolitorio– e della correttezza del contenuto dispositivo dei provvedimenti impugnati, la censura con cui viene dedotta la violazione del principio del contraddittorio non può portare all’annullamento della nota con cui il Comune si è pronunciato sulla scia del 04.03.2014, così come previsto dall’art. 21-octies, l. n. 241/1990.
Non sussiste, infine, il lamentato difetto di motivazione: per pacifico principio giurisprudenziale, l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, essendo un atto dovuto e vincolato, deve considerarsi come dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione qualora contenga la descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato sez. VI, 30/04/2019, n. 2823).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è esente da questo vizio, indicando con precisione l’opera abusiva e le disposizioni violate, senza che assuma alcun rilievo il richiamo ad un parere, pur non necessario.
Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, infondato e deve essere respinto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 30.09.2019 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2019

EDILIZIA PRIVATA: Recinzione di un fondo rustico con opere edilizie permanenti – Materiale tipicamente edilizio – Interventi di nuova costruzione – Permesso di costruire – Necessità – Verifica caso per caso – Art. 44, lett. b), d.P.R. D.P.R. n. 380/2001- L.R. Sicilia art. 3 n. 16/2016.
In tema di recinzione di fondi rustici, occorre andare, di volta in volta a verificare l’estensione dell’area e se tale recinzione risulti realizzata con opere edilizie permanenti.
Pertanto, per la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire in casi, in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e).
In estrema sintesi, la recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
Nella specie, la qualificazione dell’intervento come nuova costruzione dal primo giudice e confermata dalla Corte territoriale, trattandosi di opere di recinzione con materiale tipicamente edilizio, durevole nel tempo, e di dimensioni certamente significative, da cui anche l’esclusione della natura pertinenziale delle opere.

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Regione Sicilia – Recinzione di fondi rustici – Potestà legislativa regionale esclusiva in materia urbanistica – Interpretazione legislativa.
Pur tenendo a conto della potestà legislativa regionale esclusiva in tale materia urbanistica, la legge regionale siciliana n. 16 del 2015 (“Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380”), esclude dal novero degli interventi soggetti a permesso a costruire, “la recinzione di fondi rustici”, senza ulteriore specificazione, dovendosi interpretare tale previsione in coerenza con il principio della necessità di titolo autorizzativo per opere che comportano trasformazione del territorio e che, dunque, sono realizzate con materiali tipicamente edilizi, non avendo il legislatore regionale diversamente stabilito (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.07.2019 n. 31617 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Guarisco, Recinzione del fondo: è possibile vietarne la costruzione solo in presenza di preminenti interessi pubblici (18.07.2019 - link a http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATAIncostituzionale il divieto di recinzione dei terreni agricoli che incide sulla facoltà proprietaria di chiudere il fondo previsto dalla legge regionale.
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della disciplina regionale dell’Umbria che vieta, salve limitate deroghe strettamente necessarie alla protezione di edifici ed attrezzature funzionali anche per le attività zootecniche, la recinzione dei terreni. Con la previsione di un divieto di recinzione che non interviene su un aspetto specifico correlato al governo del territorio e che incide sulla facoltà di chiudere il fondo, attribuzione tipica del diritto di proprietà, il legislatore regionale ha travalicato i limiti della competenza concorrente in materia di governo del territorio e di quella statale in materia di ordinamento civile (Corte Costituzionale, sentenza 12.07.2019 n. 175).
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Edilizia e urbanistica – Regione Umbria – Zone agricole – Recinzione dei terreni – Limiti – Incostituzionalità.
E’ incostituzionale l’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Umbria 21.01.2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui vieta, nelle zone agricole, ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di sicurezza, purché strettamente necessaria a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche (1).
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   (1) I. – La sentenza in rassegna ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, della legge regione Umbria per la parte in cui vieta, salve le limitate deroghe ammesse, ogni forma di recinzione dei terreni agricoli in assenza di specifiche previsioni della legislazione di settore o di esigenze di sicurezza pubblica.
La questione era stata rimessa dal Tar per l’Umbria, sez. I, ordinanza 08.10.2018, n. 521 (oggetto della News US in data 17.10.2018, cui si rinvia per i riferimenti di dottrina e giurisprudenza).
Il giudizio amministrativo a quo ha ad oggetto l’ordinanza comunale di demolizione di opere abusive, consistenti nella realizzazione di una recinzione elettrificata, come sistema difensivo dalla fauna selvatica, a delimitazione di terreni agricoli con impianto colturale a frutteto.
Nel dettaglio, l’opera consisteva in una recinzione estesa per circa 3 km senza soluzione di continuità, posta in area agricola non soggetta a vincolo paesaggistico e costituita da paletti metallici ad altezza massima di mt. 1,50 distanziati tra loro mt. 6 con 4 ordini di filo metallico elettrificato e 8 aperture di circa mt. 6 l’una; tali modalità costruttive erano descritte nell’ordinanza come idonee a consentire il normale passaggio di animali di piccole e medie dimensioni, fatta eccezione degli ungulati.
Il Tar per l’Umbria, ha sollevato q.l.c. –per contrasto con gli artt. 3, 42, 97 e 117, commi 2, lett. l), e 3, Cost.– del predetto art. 89, comma 2, nell’ipotesi in cui detta norma debba intendersi come diretta ad escludere l’ammissibilità dei sistemi di difesa passivi nei confronti degli animali selvatici. Il Collegio aveva evidenziato che:
      a) la recinzione è riconducibile alle manifestazioni del diritto di proprietà quando consista di materiale di scarso impatto visivo e si configuri come un intervento di dimensioni ridotte, privo di opere murarie di sostegno. In presenza di tali caratteristiche essa:
            a1) assolve una mera funzione di difesa della proprietà dalle ingerenze materiali;
            a2) è strumentale all’esercizio dello ius excludendi alios (Consiglio di Stato, sezione VI, 04.07.2014, n. 3408, in Foro amm., 2014, 7-8, 208), che si traduce nella facoltà di delimitare e di conferire l’assetto più opportuno alle singole proprietà, allo scopo di separarle dalle altre, di custodirle e di proteggerle da eventuali intrusioni;
      b) quando invece la recinzione, per le modalità costruttive prescelte, determini un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale e si atteggi, pertanto, come esercizio dello ius aedificandi, è indispensabile il previo rilascio di un idoneo titolo abilitativo;
      c) la distinzione tra esercizio dello ius excludendi alios ed esercizio dello ius aedificandi deve essere condotta alla stregua delle caratteristiche concrete del manufatto e dell’impatto che esso produce sul territorio (Consiglio di Stato, sezione VI, 12.06.2019, n. 3932, in www.dejure.it).
   II. – La Corte, con la sentenza in rassegna:
      d) ha ritenuto fondata nel merito la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 2, ultimo periodo, della legge regionale di cui trattasi sulla base delle seguenti considerazioni:
         d1) la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che la facoltà di chiudere il fondo, attribuzione tipica del diritto di proprietà, può essere limitata e conformata dalle norme urbanistiche soltanto in funzione di preminenti interessi pubblici (Tar per la Lombardia-sezione staccata di Brescia, sezione I, 04.03.2015, n. 362, in www.dejure.it; Tar per il Piemonte, sezione II, 10.05.2012, n. 532, in Foro amm. TAR, 2012, 5, 1471; Tar per la Lombardia-sezione staccata di Brescia, sezione I, 05.02.2008, n. 40, in Foro amm. TAR, 2008, 2, 398);
         d2) nel caso di specie la Regione Umbria, nel vietare nelle zone agricole le recinzioni dei terreni con deroga per quelle strettamente necessarie a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche, ha dettato una previsione di valenza generale riconducibile all’ambito dei rapporti interprivati e di disciplina del contenuto del diritto di proprietà;
         d3) la previsione censurata: colpisce anche quelle recinzioni che non determinano alcuna trasformazione del territorio e sono espressione dello ius excludendi alios; incide sul potere del privato proprietario di chiudere il fondo in ogni tempo; esclude in via generale una facoltà che il codice civile considera, per contro, parte integrante del diritto di proprietà;
         d4) la previsione non interviene, dunque, su un aspetto specifico correlato al governo del territorio, ma limita un potere tradizionalmente oggetto di codificazione e si prefigge di regolarne il contenuto;
         d5) conseguentemente, il legislatore regionale ha travalicato sia la competenza legislativa esclusiva statale legiferando nella materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato (Corte cost., 27.06.2013, n. 159, in Giur. costit. 2013, 3, 2327, con nota di MOSCARINI; Corte cost., 06.11.2001, n. 352, in Urbanistica e appalti, 2001, 12, 1297; Giur. costit., 2001, 6; Foro it. 2002, I, 638; Regioni, 2002, 579, con nota di LAMARQUE), sia la competenza concorrente in materia di governo del territorio, la quale riconosce la potestà regionale di dettare prescrizioni di dettaglio sugli interessi legati all’uso del territorio in conformità con i princìpi fondamentali enunciati dalla legislazione statale (Corte cost., 11.05.2017, n. 105, in www.federalismi.it, con nota di SALVAGO).
   III. – Per completezza, si consideri quanto segue:
      e) sulla ripartizione della potestà legislativa in materia di ordinamento civile, in aggiunta alle pronunce richiamate nell’ordinanza di rimessione, si vedano in particolare:
         e1) Corte cost., 21.03.2019, n. 62 (in Foro it., 2019, I, 1474), secondo cui è evidente la “riconducibilità della disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato all’ordinamento civile e alla norma di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 che, a propria volta, rinvia alla contrattazione collettiva”, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. In senso analogo: Corte cost., 23.07.2018, n. 172 (in Foro it., 2018, I, 3814, con nota di richiami e osservazioni di D'AURIA), che ha, tra l'altro, dichiarato incostituzionale l'art. 55 l.reg. Siciliana 11.08.2017, n. 16, nella parte in cui includeva nell'ambito applicativo del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti della sanità il personale in posizione di comando presso l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa), attribuendo ad essa (in contrasto con la disciplina dell'art. 70, 12° comma, d.leg. 30.03.2001, n. 165, che prevede il rimborso all'amministrazione di appartenenza, da parte dell'amministrazione utilizzatrice, dell'onere relativo al trattamento fondamentale) l'obbligo di corrispondere il trattamento economico al personale di altre amministrazioni comandato presso la stessa agenzia;
         e2) Corte cost., 10.11.2017, n. 234 (in Rass. dir. farmaceutico 2017, 6, 1203 e Giur. costit. 2017, 6, 2367), che ha dichiarato incostituzionale la normativa della regione Umbria che estendeva le procedure concorsuali di stabilizzazione del personale precario del comparto sanitario —regolate a livello nazionale dal d.P.C.M. 06.03.2015— anche al personale dirigente del ruolo professionale, tecnico e amministrativo, in quanto detta normativa regionale legiferava, con fonte legislativa primaria, una materia, quella dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato;
         e3) Corte cost., 13.07.2017, n 175 (in Giur. costit. 2017, 4, 1631 e Forum di Quaderni costituzionali, annotata da DE GOTZEN); Corte cost., 11.07.2017, n. 160 (in Foro it., 2017, I, 3577, con nota di richiami e Giur. costit. 2017, 4, 1476), che ha dichiarato incostituzionale l'art. 8, secondo comma, l.reg. Liguria n. 8 del 2016, nella parte in cui prevedeva che, qualora la seduta dell'assemblea consiliare regionale si protragga oltre le ore ventuno, al personale impegnato nell'attività di supporto diretto all'attività consiliare spettasse il trattamento previsto dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro in caso di trasferta e che il medesimo trattamento di trasferta venga riconosciuto al personale autista, anche in caso di missioni inferiori alle otto ore, se il servizio termina dopo le ore ventidue;
      f) sulla nozione di muro di cinta elaborata dalla giurisprudenza, si vedano, tra le altre:
         f1) Cons. Stato, sezione V, 08.04.2014, n. 1651 (in Foro amm., 2014, 1077), secondo cui “per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, 7º comma, lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, conv. con modif. in l. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, 60º comma, l. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione; non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. «muri di contenimento», i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive; di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione”;
         f2) Cass. civ., 03.09.1991, n. 9348 (in Foro it., Mass., 1991), secondo cui “il muro di cinta che a norma dell'art. 878, primo comma, c.c., non va considerato ai fini delle distanze, deve rispondere al triplice requisito: di essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà, allo scopo di separarla dalle altre, custodirla e difenderla da intrusioni; di non superare l'altezza di tre metri; di costituire un muro isolato, le cui facce, cioè, emergono dal suolo e sono isolate da ogni altra costruzione”;
         f3) Cass. civ., 15.11.1986, n. 6737 (in Foro it., Mass., 1986), secondo cui “i muri di cinta non considerati agli effetti delle distanze legali sono quei muri, caratterizzati dall'altezza non superiore a tre metri e dalla destinazione attuale alla delimitazione ed alla protezione del fondo, che, per avere le facce entrambe isolate, non creano intercapedine tra volumi; in detta categoria non rientrano pertanto i muri di cinta tra fondi a dislivello, che assolvono anche alla ulteriore funzione di contenere la scarpata o il terrapieno; questi viceversa, facendo corpo con il terreno che essi sostengono e modificando, in particolare, attraverso l'opera dell'uomo, lo stato naturale dei luoghi per la costruzione di un manufatto sono idonei a creare intercapedini nocive con l'altrui costruzione, con conseguente necessità di verificare in ciascuna concreta fattispecie se, avuto riguardo alle loro particolari caratteristiche strutturali e dimensionali, siano da considerare o meno alla stregua di un muro di fabbrica, agli effetti delle distanze legali”;
      g) sull’attività edilizia libera:
         g1) Corte cost. 08.11.2017, n. 232, in Foro it., 2018, 6230, 27; Riv. giur. ed., 2017, 5, I, 1021; Quotidiano Enti Locali, 2017; Giur. costit. 2017, 6, 2340, annotata da SAITTA: “È costituzionalmente illegittimo l'art. 3, comma 2, lett. f), l.reg. Sicilia 10.08.2016, n. 16, nella parte in cui consente di realizzare, senza alcun titolo abilitativo, tutti gli interventi inerenti agli impianti ad energia rinnovabile di cui agli artt. 5 e 6 d.lgs. 03.03.2011, n. 28 senza fare salvo il previo espletamento della verifica di assoggettabilità a VIA sul progetto preliminare, qualora prevista. […]”;
         g2) Corte cost., 21.12.2016, n. 282 (in Foro Amministrativo, 2017, 6, 1215), la quale ha precisato che le regioni possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒ la natura di principio fondamentale della materia del “governo del territorio”, in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali (sentenza n. 231 del 2016, in Dir. e giustizia, 2016).
Ne consegue che è precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di opere totalmente libere da ogni forma di controllo, sia pure indiretto mediante denuncia.
Sulla base di tale premessa la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 della legge della Regione Marche n. 17 del 2015, nella parte in cui esso ha ricondotto all'edilizia libera opere non contemplate come rientranti in tale regime dalla legislazione statale;
      h) sul rapporto tra titolo edilizio, recinzioni e muretti divisori, anche in relazione al mutamento della destinazione funzionale dell’opera, si vedano:
         h1) C.g.a., sezioni riunite, 19.11.2018, n. 336 (in www.giustiziaamministrativa.it), secondo cui: “va ricordato il pacifico orientamento giurisprudenziale, secondo cui la valutazione in ordine alla necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios” o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà. Viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio […]”; in termini, Cons. Stato, sezione V, 09.04.2013, n. 1922 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 937);
         h2) Cons. Stato, sezione VI, 04.01.2016, n. 10 (in Comuni d'Italia, 2016, 1, 86), secondo cui “è illegittimo l'ordine di demolizione di un muretto divisorio in cemento armato posto su di un lato di un lotto di terreno realizzato senza la previa acquisizione del permesso di costruire, considerato che più che all'astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorre far riferimento all'impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie; sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell'innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l'opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'art. 22 d.p.r. n. 380 del 2001 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo art. 19 l. n. 241 del 1990”;
         h3) Cass. pen., sez. III, 11.11.2014, n. 52040, secondo cui “in tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli «interventi di nuova costruzione» di cui all'art. 3, lett. e), d.p.r. n. 380 del 2001 (fattispecie relativa a muro in cemento armato avente spessore di cm. venticinque ed un'altezza di circa metri uno virgola ottanta)”;
         h4) Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2013, n. 4860 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2484), secondo cui “il titolo edilizio originariamente rilasciato, che riguardava la recinzione di un terreno a meri fini e scopi di difesa della proprietà, non può giustificare il successivo mutamento della destinazione funzionale dell'opera in recinzione di suolo trasformato con opere edilizie e al servizio di manufatti abusivi in difetto di nuovo titolo edilizio che, sia pure in sanatoria, possa legittimarne la permanenza e l'utilizzazione pertinenziale diversa, ma ne implica l'abusività, proprio perché è carente qualsivoglia provvedimento autorizzativo che ne abbia accertato la conformità urbanistico-edilizia”;
         h5) Cons. Stato, sez. V, 09.04.2013, n. 1922 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 937), secondo cui “il permesso di costruire non è necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo jus excludendi alios; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (nella specie, la recinzione era stata effettuata con un manufatto con profilati di cemento, lungo trecentoquarantasei metri e con un'altezza di metri due e cinquanta)”;
      i) in dottrina:
         i1) sugli aspetti penali delle opere a difesa della proprietà, e delle recinzioni in particolare, v. V. POLI, in Testo unico dell’edilizia, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2015, 973 ss.;
         i2) sulle opere a difesa della proprietà e sulle recinzioni, v. P. BERESUTTI, in Commentario breve al codice civile, a cura di CIAN – TRABUCCHI, Padova, 2014, 875 e 915 ss.;
         i3) sugli appostamenti fissi per la caccia in relazione all’art. 6 t.u. edilizia (attività libera), si veda Corte cost., 13.06.2013, n. 139 (in Foro it., 2013, I, 2061, con nota di ROMBOLI; in Giurisdiz. amm., 2013, III, 441, e in Riv. giur. ambiente, 2013, 723, con nota di GRATANI; in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2014, 56, con nota di GORLANI);
         i4) sul rapporto tra facoltà del proprietario e poteri pubblici in materia urbanistica ed edilizia: F. GAFFURI, Il permesso di costruire e i diritti dei terzi, in Urbanistica e appalti, 2012, 2, 150; A. M. BENEDETTI, Norme regionali, distanze legali tra edifici e "ordinamento civile": si può fare, ma dipende dallo "scopo", in Corr. giur., 2013, 8, 1059-1063; G. PAGLIARI, M. SOLLINI, G. FARRI, Regime della proprietà privata tra vincoli e pianificazione dall'unità d'Italia ad oggi, in Riv. giur. edilizia, 2015, 6, 282; M. PALMA, Edilizia e urbanistica - il doppio limite di edificabilità ex art. 9, d.p.r. n. 380/2001 di fronte alla corte costituzionale, in Giur. it., 2016, 4, 956; L. GRIMALDI, Quali spazi per la legislazione regionale nella disciplina degli interventi di “manutenzione” degli immobili?, in Consulta on-line, I, 2017; A. IACOVIELLO, Il riparto della competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni in materia di beni minerari, in Riv. giur. edilizia, 2018, 3, 153; G. SICCHIERO, Condominio e barriere architettoniche - dalla solidarietà costituzionale alla solidarietà condominiale, in Giur. it., 2018, 1, 69; E. BUOSO, La disciplina dei terreni gravati da usi civici e delle terre collettive tra paesaggio e ordinamento civile, in www.forumcostituzionale.it, 2019; S. AMOROSINO, Una rilettura costituzionale della proprietà a rilevanza urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 2019, 1, 3;
         i5) sul rapporto tra ordinamento civile e disciplina dei contratti pubblici: G. ALPA, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale, Contratto e impresa, 2002, 2, 597; G. ALPA, «L’ordinamento civile» nella recente giurisprudenza costituzionale, Contratti, 2004, 2, 175; E. GRAGNOLI, procedura negoziale ed ordinamento civile, Argomenti Dir. Lav., 2007, 2, 2009; L. TORMEN, Regioni e province autonome - «il diritto privato regionale: quali possibilità di deroga all’ordinamento civile statale?», in Nuova giur. comm., 2017, 7-8, 968; P. CARLUCCIO PINA, R. FINOCCHI GHERSI, Ordinamento civile e limiti alla competenza regionale nella disciplina degli appalti, in Giornale dir. amm., 2011, 4, 419; C. CONTESSA, Il codice dei contratti prevale anche sulla normativa delle regioni a statuto speciale, in Urbanistica e appalti, 2009, 3, 301;
         i6) sull’ordinamento civile e la disciplina regionale del procedimento amministrativo: V. NERI, Potestà legislativa regionale e "nullità regionale" del provvedimento amministrativo, in Urbanistica e appalti 2014, 2, 215, il quale ha dubitato della “possibilità per il legislatore regionale di intervenire con la sanzione della nullità del provvedimento amministrativo (il bando di gara) non rispettoso delle prescrizioni di legge senza violare la competenza statale in materia di "giustizia amministrativa" […] nonché sulle conseguenze della nullità del bando con riferimento al contratto a valle stipulato e l'eventuale interferenza con la materia «ordinamento civile»”;
         i7) sull’ordinamento civile e il pubblico impiego locale e regionale: A.M. BENEDETTI, Lavoro privato, lavoro pubblico e "ordinamento civile": quali spazi per le Regioni?, in www.giurcost.org, 2010; A. BOSCATI, Ordinamento civile per incarichi dirigenziali ad esterni e per procedure di mobilità tra enti, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, 1203; F. GHERA, Ordinamento civile e autonomia regionale: alla ricerca di un punto di equilibrio, Giur. cost., 2011, 1164; G. FONTANA, Spunti critici in tema di ordinamento civile e disciplina dell'impiego pubblico, in Giur. costit., 2013, 1161; R. COCCIOLITO, Una pronuncia sulla mobilità dei dirigenti regionali offre lo spunto per riflettere ancora sulla natura e la portata della materia "ordinamento civile", in www.osservatorioaic.it, 2014; S. DE GOTZEN, Procedure di mobilità nel lavoro pubblico, assegnazione a mansioni superiori dirigenziali tra organizzazione regionale e "ordinamento civile", in www.forumcostituzionale.it, 2014; C. PADULA, Il riparto delle competenze legislative fra Stato e regioni in materia di pubblico impiego, in www.federalismi.it, 2017;
         i8) sull’attività edilizia libera e relativi limiti: D. CHINELLO, L’attività edilizia libera fra comunicazione al comune e relazione asseverata, in Immobili e proprietà, 2010, 7; L. BISORI, Attività edilizia libera e strumenti urbanistici applicabili, in Urbanistica e appalti, 2011, 7, 871; D. ZONNO, La “nuova” manutenzione straordinaria dopo il decreto sblocca-Italia, in Riv. giur. edilizia, 2014, 6, 53; M. BREGANZE, L'attività edilizia libera, in Riv. giur. urbanistica, 2015, 1; G. GUZZARDO; Semplificazioni e complicazioni nei titoli edilizi, Riv. giur. edilizia, 2015, 2, 35; E. BOSCOLO, I decreti attuativi della legge Madia: liberalizzazioni e ridisegno del sistema dei titoli edilizi, Riv. giur. edilizia, 2016, 6, 601; A. SENATORE, L’attività edilizia libera, in Urbanistica e appalti, 2017, 2, 278; G. RIZZI, L’attività di edilizia libera, in Immobili e proprietà, 2018, 7, 431; E. AMANTE, Ancora sui profili sostanziali e procedimentali dell’attività edilizia libera e della c.i.l.a., in Urbanistica e appalti, 2019, 2, 229 (Corte Costituzionale, sentenza 12.07.2019 n. 175).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di muro perimetrale di recinzione - Modifica dell'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione - Permesso di costruire - Necessità - Artt. 3, 6, 9, 31, 44, 45, D.P.R. n. 380/2001.
La realizzazione di un muro perimetrale di recinzione necessita del rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Inoltre, anche per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire, senza che la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far ritenere il muro pertinenza dell'edificio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.07.2019 n. 29963 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAPer quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato, innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la realizzazione di un'opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Altresì, per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire, senza che la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far ritenere il muro pertinenza dell'edificio.
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2. Manifestamente infondate sono le censure proposte nel secondo, nel terzo, nel quarto e in parte del nono motivo, tra loro strettamente connesse e da esaminare congiuntamente, le quali contestano la configurabilità del reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo che le opere in questione potevano essere eseguite senza il preventivo rilascio di titolo autorizzativo, e, in particolare, che la piscina doveva essere qualificata come vasca interrata o, comunque, come pertinenza, e che la stessa, così come il muro perimetrale per parte superiore a metri 1,70, potevano essere realizzati sulla base di S.C.I.A.
2.1. Per una corretta valutazione delle censure occorre premettere quale risulta essere lo stato degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Per quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato, innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la realizzazione di un'opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261521-01, relativa a fattispecie concernente un muro in cemento armato avente spessore di cm. 25 ed un'altezza di circa metri 1,80, nonché Sez. 3, n. 5755 del 13/12/2007, dep. 2008, Romano, Rv. 238788-01).
E' utile aggiungere che si è anche precisato che, per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l'assetto urbanistico del territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire, senza che la presenza all'interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far ritenere il muro pertinenza dell'edificio (così Sez. 3, n. 41518 del 22/10/2010, Bove, Rv. 248744-01) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.07.2019 n. 29963).

giugno 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA: E' illegittima l'ordinanza sindacale che impone al proprietario del fondo la recinzione dello stesso al fine di evitare l'abbandono incontrollato di rifiuti.
Costante giurisprudenza suffraga la natura essenzialmente facoltativa e non obbligatoria della recinzione del fondo in capo al proprietario.
In tal senso depone in termini inequivoci l’art. 841 c.c., in virtù del quale: “Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo”. La chiusura/recinzione del fondo è dunque un atto facoltativo per il titolare del diritto dominicale.
Sicché, tra le prestazioni che il Sindaco può imporre al proprietario, tanto nell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quanto in quelle emanate ai sensi degli artt. 50 e 54 D.Lgs. 267/2000, non può essere annoverata la recinzione del fondo.
Invero:
   - “Per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.) la "chiusura del fondo" costituisce, infatti, una mera facoltà del proprietario, il cui mancato esercizio non può, dunque, ridondare in un giudizio di responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un obbligo di diligenza”; “Secondo un principio generale del diritto, riveniente dall'art. 841 c.c., la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e, dunque, giammai un suo obbligo”;
   - La possibilità di addivenire all’imposizione della recinzione potrebbe al limite ipotizzarsi in situazioni peculiari, e comunque sulla scorta di una specifica e ponderata valutazione, da parte dell’amministrazione procedente, svolta alla luce dei canoni della proporzionalità e ragionevolezza, del tutto assente negli atti qui gravati: “D’altronde, se anche si dovesse ravvisare un fondamento normativo all'obbligo di recinzione, resterebbe comunque da considerare che un obbligo di condotta di tal genere andrebbe valutato secondo criteri di ordinaria diligenza e, quindi, di proporzionata e ragionevole esigibilità, che nella specie non sono neppure astrattamente invocabili, atteso che -i paventati pericoli per la salute dei residenti, asseritamente causati dallo stazionamento di automezzi sul terreno- risultano essere frutto di affermazioni non supportate da alcun effettivo accertamento.
Conseguentemente, appare opportuno sottolineare come l’omessa recinzione del fondo, integrando una condotta del tutto legittima da parte del proprietario, non può essere assunta dal comune, in sede di adozione dell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quale indice della colpa del titolare del terreno.
Anche sotto tale profilo, invero, l’opinione giurisprudenziale è consolidata: “In caso di abbandono di rifiuti in un fondo di proprietà privata, la colpa del proprietario non può ravvisarsi nel fatto che quest'ultimo non abbia recintato l'area, posto che la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario, ai sensi dell'art. 841 c.c., giammai un obbligo”.
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... per l'annullamento dell'ordinanza n. 61 del 30.07.2018, comunicata il 02.08.2018 e della successiva ordinanza sindacale n. 78 del 21.08.2018, comunicata il 12.09.2018, in parte qua, laddove prevedono la realizzazione della recinzione delle aree;
...
I Sigg.ri Pa.Si.Va., Ni.Bi.Va. e An.Va. sono proprietari di alcuni appezzamenti di terreno ubicati in Comune di Arnesano.
Con ordinanza n. 61 del 30.07.2018 il Sindaco del Comune di Arnesano ingiungeva ai Va.: “1. di provvedere, a propria cura e spese, all’esecuzione delle opere di difesa e prevenzione antincendio, previa estirpazione e pulizia delle erbacce cresciute nei lotti di terreno di proprietà e smaltimento presso ditte autorizzate dei rifiuti abbandonati entro e non altre 10 giorni dalla notifica della presente […]; 2. Di provvedere alla recinzione dei lotti di terreno innanzi citati entro 90 giorni dalla data di notifica della presente ordinanza, previa preventiva richiesta all’Ufficio tecnico Comunale del relativo titolo abilitativo ai sensi del TUE […]”.
Immediatamente dopo la notifica di tale ordinanza, veniva fornita all’amministrazione comunale documentazione fotografica attestante l’intervenuta esecuzione delle opere di scerbatura dei terreni.
Con successiva ordinanza n. 78 del 21.08.2018 il Sindaco ingiungeva ulteriormente ai Va., con riferimento ai fondi di loro proprietà, di “eseguire le opere di estirpazione e pulizia delle erbe infestanti, nonché la raccolta e smaltimento presso ditte autorizzate dei rifiuti di vario genere abbandonati nei lotti di terreno […]; avverte […] che i soggetti obbligati, nei termini previsti dall’ordinanza sindacale n. 61 /2018, sono tenuti a provvedere alla recinzione dei lotti di terreno innanzi citati, previa preventiva richiesta all’Ufficio Tecnico Comunale del relativo titolo abilitativo ai sensi del TUE approvato con D.P.R. n. 380 del 6.6.2001 e s.m.i.”.
Avverso i suddetti provvedimenti sindacali, i Vacca proponevano il ricorso introduttivo del presente giudizio, chiedendone l’annullamento “in parte qua, laddove prevede la realizzazione della recinzione delle aree”, per il seguente articolato motivo: ...
...
1. Il ricorso è fondato.
La porzione del provvedimento che costituisce oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti è quella con la quale il Sindaco imponeva ai Va. la recinzione del proprio fondo.
1.1. Le valutazioni svolte in ricorso, e suffragate da costante indirizzo giurisprudenziale, circa la natura essenzialmente facoltativa e non obbligatoria della recinzione del fondo in capo al proprietario, sono condivise dal Collegio. In tal senso depone in termini inequivoci l’art. 841 c.c., in virtù del quale: “Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo”. La chiusura/recinzione del fondo è dunque un atto facoltativo per il titolare del diritto dominicale.
Per quanto precede, tra le prestazioni che il Sindaco può imporre al proprietario, tanto nell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quanto in quelle emanate ai sensi degli artt. 50 e 54 D.Lgs. 267/2000, non può essere annoverata la recinzione del fondo: “È fondato ed assorbente il rilievo secondo cui non può essere imposta ai proprietari la recinzione del fondo.
Per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.) la "chiusura del fondo" costituisce, infatti, una mera facoltà del proprietario, il cui mancato esercizio non può, dunque, ridondare in un giudizio di responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un obbligo di diligenza (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, n. 9276/2014; Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 4316/2018, sez. V, sentenza n. 4504/2015; sez. III, sentenza n. 2518/2010; sez. V, sentenza n. 1612/2009)” (TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 11.09.2018 n. 529; TAR Calabria); “Secondo un principio generale del diritto, riveniente dall'art. 841 c.c., la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e, dunque, giammai un suo obbligo” (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 18.09.2012 n. 954; cfr: TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 27.01.2012 n. 13).
La possibilità di addivenire all’imposizione della recinzione potrebbe al limite ipotizzarsi in situazioni peculiari, e comunque sulla scorta di una specifica e ponderata valutazione, da parte dell’amministrazione procedente, svolta alla luce dei canoni della proporzionalità e ragionevolezza, del tutto assente negli atti qui gravati: “D’altronde, se anche si dovesse ravvisare un fondamento normativo all'obbligo di recinzione, resterebbe comunque da considerare che un obbligo di condotta di tal genere andrebbe valutato secondo criteri di ordinaria diligenza e, quindi, di proporzionata e ragionevole esigibilità, che nella specie non sono neppure astrattamente invocabili, atteso che -i paventati pericoli per la salute dei residenti, asseritamente causati dallo stazionamento di automezzi sul terreno- risultano essere frutto di affermazioni non supportate da alcun effettivo accertamento
” (TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 11.09.2018 n. 529).
1.2. In conseguenza di quanto sopra, peraltro, appare opportuno sottolineare come l’omessa recinzione del fondo, integrando una condotta del tutto legittima da parte del proprietario, non possa essere assunta dall’amministrazione, in sede di adozione dell’ordinanza ex art. 192 D.Lgs. 152/2006, quale indice della colpa del titolare del terreno.
Anche sotto tale profilo, invero, l’opinione giurisprudenziale è consolidata: “In caso di abbandono di rifiuti in un fondo di proprietà privata, la colpa del proprietario non può ravvisarsi nel fatto che quest'ultimo non abbia recintato l'area, posto che la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario, ai sensi dell'art. 841 c.c., giammai un obbligo” (Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.2009 n. 1612; cfr: TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 19.12.2012 n. 747).
1.3. Le ordinanze oggetto del presente giudizio, nella parte in cui impongono ai proprietari la recinzione delle aree di loro proprietà, risultano, per quanto precede, illegittime.
1.4. La fondatezza del rilievo dirimente qui esaminato consente di assorbire, per ragioni di ordine logico, le ulteriori censure svolte nell’atto introduttivo del giudizio.
2. Il ricorso risulta dunque fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati nella parte in cui essi impongono ai proprietari la chiusura del fondo (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 11.06.2019 n. 986 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

maggio 2019

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento al rispetto delle distanze legali, precisato che la questione non si pone con riferimento ai volumi tecnici (non costituendo, questi, costruzioni ai sensi dell'art. 873 c.c., non devono essere considerati ai fini del computo delle distanze dai confini), si deve rilevare ulteriormente come i locali seminterrati, ossia quei locali che sporgono dal terreno per un’altezza inferiore a tre metri, non siano assoggettabili alla norma sulla distanza legale tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
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In forza del principio di cui all’art. 878 del codice civile, il muro di cinta di altezza non superiore a tre metri non rileva ai fini del rispetto delle distanze delle costruzioni dal confine; e consente, quindi, la realizzazione di costruzioni “in aderenza” al muro posto sul confine, purché aventi altezza non superiore a tre metri.
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10.2. - In secondo luogo, con riferimento al rispetto delle distanze legali, precisato che la questione non si pone con riferimento ai volumi tecnici (non costituendo, questi, costruzioni ai sensi dell'art. 873 c.c., non devono essere considerati ai fini del computo delle distanze dai confini), si deve rilevare ulteriormente come i locali seminterrati, ossia quei locali che sporgono dal terreno per un’altezza inferiore a tre metri, non siano assoggettabili alla norma sulla distanza legale tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
E, nel caso di specie, come risulta dall’esame degli elaborati progettuali allegati alla domanda di condono (cfr. deposito del 17.09.2011 del Comune di Olbia), sia il locale tecnico trasformato in una unità edilizia residenziale costituita da un vano e da un bagno (oggetto della concessione in sanatoria n. 2160 del 26.05.2010), sia la cantina ubicata nel piano seminterrato e trasformata in unità edilizia residenziale costituita da due camere con due w.c., due ripostigli e un corridoio (concessione in sanatoria n. 2170 del 26.05.2010), hanno altezze inferiori a tre metri.
Il dato assume rilievo anche per quanto concerne l’applicazione delle norme sulla distanza dal confine. Entrambi i manufatti per cui è controversia sono stati realizzati –come si è visto– ad un’altezza inferiore a quella alla quale sarebbe consentito realizzare il muro di cinta.
Da ciò consegue l’operatività del principio di cui all’art. 878 del codice civile, per il quale il muro di cinta di altezza non superiore a tre metri non rileva ai fini del rispetto delle distanze delle costruzioni dal confine; e consente, quindi, la realizzazione di costruzioni “in aderenza” al muro posto sul confine, purché aventi altezza non superiore a tre metri.
10.3. - Non sussistono, pertanto, le condizioni affinché possa concretamente operare la distanza minima di 5 metri dal confine prevista dal Piano regolatore generale, in quanto tale prescrizione non opera per le costruzioni di altezza non superiore ai tre metri, posto che in questo caso le esigenze di igiene e ornato pubblico sottese alla citata previsione pianificatoria in concreto non sussistono
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 24.05.2019 n. 438 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATALa recinzione è attività che viene permessa ex art. 841 c.c. per precludere a terzi l’ingresso nella proprietà privata ed ha rilievo edilizio solo quando fatta con materiale che le diano un ancoramento al terreno.
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La recinzione in pali di legno e rete metallica non è idonea a concretare un reale impatto sul territorio, assumendo in realtà le caratteristiche proprie di un modesto intervento volto a tutelare la proprietà privata e, quindi, costituente esercizio di un'attività del tutto libera.
Tale aspetto rileva anche in relazione al vincolo ambientale esistente, laddove l'opera realizzata non integra gli estremi di un intervento edilizio, in quanto l'esistenza del vincolo, pur comportando l'applicazione di una specifica normativa di protezione, non modifica la disciplina dei titoli edilizi.

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La recinzione è attività che viene permessa ex art. 841 c.c. per precludere a terzi l’ingresso nella proprietà privata ed ha rilievo edilizio solo quando fatta con materiale che le diano un ancoramento al terreno.
La recinzione in pali di legno e rete metallica non è idonea a concretare un reale impatto sul territorio, assumendo in realtà le caratteristiche proprie di un modesto intervento volto a tutelare la proprietà privata e, quindi, costituente esercizio di un'attività del tutto libera.
Tale aspetto rileva anche in relazione al vincolo ambientale esistente, laddove l'opera realizzata non integra gli estremi di un intervento edilizio, in quanto l'esistenza del vincolo, pur comportando l'applicazione di una specifica normativa di protezione, non modifica la disciplina dei titoli edilizi ( TAR Toscana 1703/2015, 391/2012 ) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 21.05.2019 n. 757 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Recinzione in prossimità dell’argine di un fiume.
In considerazione di quello che è l’interesse pubblico perseguito dal RD 368/1904, deve ritenersi che la norma si applichi a tutti i manufatti in grado di interferire con la pulizia delle sponde, l’uso degli argini e il normale alveo del corso d’acqua.
Ne consegue che manufatto costituito da un basamento in cemento armato sormontato da una rete metallica va qualificato una “fabbrica” assoggettata alle prescrizioni dell’articolo 133 R.D. n. 368/1904 che indica gli atti o fatti vietati in modo assoluto rispetto ai “corsi d'acqua, strade, argini ed altre opere d'una bonificazione” (fattispecie relativa a una recinzione che sorge a 1,20 m. dalla mezzeria di un canale)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.05.2019 n. 1074 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
7.1. Il ricorso è infondato: il che consente di prescindere, per ragioni di economia processuale, dalla disamina delle eccezioni preliminari sollevate sia dalla difesa del Comune, che da quella del Consorzio (cfr., TAR Lazio–Roma, Sez. III, sentenza n. 9086/2016).
7.2. Il ragionamento deve necessariamente muovere dal dato normativo.
Ebbene, il R.D. n. 368/1904 (recante il “Regolamento sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi”) all’articolo 133 disciplina le fasce di inedificabilità assoluta rispetto a «corsi d’acqua, strade, argini ed altre opere d’una bonificazione». In particolare, per quanto qui di interesse, la testé richiamata disposizione regolamentare vieta in una fascia compresa tra i 4 e i 10 m. dal corso d’acqua la realizzazione di “fabbriche” o “fabbricati”.
Ed, infatti, la deliberazione consortile n. 125 del 31.05.2007, in esecuzione della suvvista disposizione, esercitando la discrezionalità riconosciutagli all’interno dell’intervallo predeterminato dalla norma, ha fissato in 6 m. la fascia di rispetto per i canali derivatori.
7.3.1. Sennonché, è irrilevante che la recinzione di cui si discute sia stata realizzata prima della su ricordata deliberazione consortile, posto che non è in contestazione che essa sorge a 1,20 m. dalla mezzeria del canale, quindi comunque entro la minor fascia di 4 m. fissata dal R.D. n. 168/1904, ovverosia in area comunque assoggettata a vincolo di inedificabilità.
Questo significa che in nessun caso la recinzione avrebbe potuto essere collocata in quel punto.
E significa, altresì, che, giusta quanto dispone l’articolo 33, primo comma, lettera a), L. n. 47/1985, espressamente richiamato dall’articolo 32, comma 27, D.L. n. 269/2003 (convertito in L. n. 326/2003), il manufatto in alcun modo non è sanabile.
7.3.2. Né può sostenersi che la recinzione non costituisca una “fabbrica” e, dunque, non sia assoggettata alle prescrizioni dell’articolo 133 R.D. n. 368/1904.
Come condivisibilmente osservato dalla difesa del Consorzio, in considerazione di quello che è l’interesse pubblico perseguito, deve ritenersi che la norma si applichi a tutti i manufatti in grado di interferire con la pulizia delle sponde, l’uso degli argini e il normale alveo del corso d’acqua. E, nel caso di specie, il manufatto è costituito da un basamento in cemento armato sormontato da una rete metallica: il che ne fa sicuramente una “fabbrica” ai fini sopra visti.
7.3.3. Nemmeno può opporsi –così come tenta di fare la difesa di parte ricorrente- che la recinzione di cui si discute è allineata alla recinzione di altre proprietà che costeggiano il canale e che recentemente anche il Comune ha realizzato dall’altra parte del canale una palizzata a protezione della pista ciclabile.
Infatti, anche ammettendo che le allegazioni siano confermate, non costituisce certo causa di illegittimità l’essersi l’Autorità procedente allontanata da una prassi illegittima (cfr., TAR Emilia Romagna–Parma, sentenza n. 242/2016). La violazione di una norma di legge non repressa non legittima affatto la reiterazione della violazione medesima (cfr., TAR Toscana, Sez. III, sentenza n. 507/2015).
7.4. In questo quadro, il ritiro in autotutela di un provvedimento (i.e. il permesso di costruire in sanatoria) che ab origine non avrebbe potuto essere rilasciato si configura come atto vincolato (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 2799/2018), come tale non necessitante di una motivazione ulteriore rispetto ai presupposti che legittima l’esercizio di un potere nella sostanza repressivo (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 3659/2018).
7.5. Infine, il richiamo operato dalla revoca in autotutela del permesso di costruire in sanatoria alle sanzioni previste dall’articolo 26 del Regolamento consortile è privo di valenza provvedimentale, costituendo un semplice avviso rispetto a provvedimenti che saranno adottati in un secondo momento e a poteri ancora da esercitare.
8.1. In conclusione, il ricorso è infondato e per questo viene respinto.

aprile 2019

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), d.p.r. 380/2001.
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Rispetto al muro di recinzione, è appena il caso di aggiungere, che la necessità di premunirsi di un apposito titolo abilitativo sotto il profilo urbanistico, per la realizzazione dell’intervento in discussione, non implica alcuna vulnerazione al diritto di proprietà costituzionalmente tutelato ovvero alla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo, per far valere lo ius excludendi alios, costituente il contenuto tipico della proprietà, ai sensi dell'art. 841 c.c., atteso che per soddisfare i predetti fini è sufficiente la posa di una mera recinzione non implicante alcun carico urbanistico, mentre sempre al medesimo fine il ricorso ad ogni ulteriore e diversa opera maggiormente invasiva, posta a presidio della proprietà deve presentarsi conforme anzitutto alla normativa urbanistica.
Pertanto, attesa la consistenza in muratura e la lunghezza non di minimo impatto della recinzione in questione, trova applicazione l’orientamento pacifico secondo cui : “la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), d.p.r. 380/2001” (cfr. Cassazione penale, sez. III, 06.10.2016, n. 8693; Tar Venezia, sez. II, 21.06.2018, n. 663) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 24.04.2019 n. 122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2019

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAPaletti anti-sosta, basta la Scia. Non serve il permesso di costruire. Stop alle demolizioni. Lo indica una sentenza del Tar Campania sui dissuasori per auto e rifiuti in condominio.
Tornano a sperare i condomini assediati dalle auto e dal deposito incontrollato di rifiuti. Non vanno abbattuti i paletti anti-sosta e immondizia selvaggi perché la demolizione è la sanzione che colpisce le opere realizzate senza permesso di costruire, mentre per i dissuasori basta la segnalazione certificata d'inizio attività.

È quanto emerge dalla sentenza 05.03.2019 n. 1255, pubblicata dalla III Sez. del TAR Campania-Napoli, che spezza una lancia per gli edifici dei centri storici ostaggio di auto, moto e immondizia.
Secondo la giurisprudenza amministrativa il comune non può ignorare le richieste del condominio che vuole mettere un divieto di sosta con dissuasori, tutelare con paletti il passo carrabile o allargare il marciapiede all'ingresso del comprensorio. Ma se l'immobile è di pregio niente paletti in ferro. Senza dimenticare che l'amministrazione può far rimuovere le opere abusive dal parcheggio condominiale anche se la strada è chiusa da un lato.
Restano dove sono i paletti piantati dal condominio: sbaglia l'ente locale a ordinarne la rimozione. Per i dissuasori basta la semplice Scia perché contano soltanto natura e dimensioni delle opere e dopo la posa dei manufatti l'area resta accessibile a tutti, in primis ai pedoni, tranne che alle macchine.
Il ricorso dell'ente di gestione contro il comune del Napoletano è accolto perché l'installazione dei paletti rientra nell'inserimento degli elementi accessori ex articolo 3, lettera c), del Testo unico dell'edilizia: l'unica sanzione che può scattare è quella pecuniaria di cui all'articolo 37, comma primo, dello stesso dpr 308/2001. I paletti «incriminati» dalla polizia municipale, in effetti, sono alti soltanto un metro e hanno un diametro di dieci centimetri per dieci: non si tratta di manufatti in grado di incidere in modo permanente sull'assetto del territorio perché possono essere facilmente rimossi.
D'altronde neppure l'amministrazione locale contesta che facciano da dissuasori al parcheggio non autorizzato e all'abbandono dei rifiuti. Né conta che l'area sia soggetta a vincolo paesaggistico: l'ente locale non indica in modo esplicito quale sarebbe l'incidenza negativa delle opere.
I precedenti.
Nuovo contraddittorio. È illegittimo il silenzio-inadempimento serbato dal comune sulla segnalazione dei condomini che chiedono sia allargato il marciapiede oppure installato un divieto di sosta con dissuasori: così neppure riescono a entrare nel palazzo. Il parcheggio selvaggio si trasforma in barriera architettonica e l'amministrazione locale ha l'obbligo almeno di pronunciarsi sull'istanza del condominio sulla base dei poteri che gli derivano dal codice della strada sulla gestione della circolazione stradale dei veicoli e dei pedoni in città.
È quanto emerge dalla sentenza 423/2018, pubblicata dalla I Sez. del Tar Toscana.
Accolto il ricorso dell'ente di gestione e dei singoli condomini: non giova al comune obiettare che nell'edificio non risultano residenti che abbiano difficoltà motorie. Il punto è che il condominio è certificato contro le barriere architettoniche interne, ma risulta difficilmente accessibile da fuori: a impedire il passaggio sul marciapiede poco profondo sono le auto parcheggiate l'una a ridosso dell'altra e i bauletti che sporgono dagli scooter.
Ed è dalle stesse relazioni depositate dall'amministrazione che emerge come siano fondate le istanze del condominio. In effetti gli uffici dell'ente stanno valutando l'allargamento del marciapiede e l'installazione del divieto di sosta, ma senza dissuasori. Su questo il giudice non può intervenire, ma la scelta discrezionale che sarà adottata dall'ente dovrà di nuovo essere vagliata nel contraddittorio.
Obbligo di manutenzione. Il comune non può far finta di niente anche quando è il passo carrabile dello stabile nella strada stretta a essere schiavo del parcheggio selvaggio: deve rispondere entro un mese all'istanza dei condomini che chiedono l'installazione di paletti o di un divieto di sosta all'altezza del numero civico in modo da poter entrare e uscire dal palazzo usando anche loro l'auto. E se l'amministrazione non provvede in tempo arriva il commissario indicato dal prefetto.
Lo stabilisce la sentenza 4280/2015, pubblicata dalla I Sez. del Tar Campania.
La grana scoppia perché uno dei condomini in preda a una colica non può uscire dal cancello con la macchina per essere accompagnato al pronto soccorso. La polizia municipale conferma: lo spazio di manovra davanti al passo carrabile è troppo angusto anche a causa dei veicoli parcheggiati sul marciapiede. E in caso di emergenza un'ambulanza avrebbe difficoltà a intervenire in zona. L'ente locale, dunque, non può rimanere inerte: ha un preciso obbligo di vigilanza sulle strade e sulle relative pertinenza in quanto proprietaria delle infrastrutture, ne deve garantire «la destinazione pubblica e il pacifico utilizzo da parte degli utenti».
Ed è lo stesso codice della strada a imporre al comune di installare la segnaletica stradale a partire dal divieto di sosta (articolo 37) e i paletti dissuasori autorizzati dal ministero dei Trasporti da «utilizzare come impedimento materiale alla sosta abusiva» dei veicoli (art. 42). Se l'amministrazione locale non provvede, a rispondere all'istanza dei cittadini sarà un funzionario dell'ufficio territoriale del governo indicato dal prefetto.
Utilizzo legittimo. Bisogna fare i conti anche con le Soprintendenze, però. Il comune non può vietare al condominio di utilizzare il cortile come parcheggio dei veicoli di proprietari e inquilini anche se l'edificio in pieno centro storico risulta sottoposto a vincolo dai Beni culturali. E ciò perché lo stabile si trova in un'area che è «residenziale» secondo il piano regolatore generale: la destinazione indicata dalle norme di attuazione prg risulta estesa agli spazi di pertinenza. L'ente di gestione, tuttavia, non può delimitare l'area di sosta con paletti di ferro perché rovinano l'acciottolato di pregio, come ha stabilito la Soprintendenza.
È quanto emerge dalla sentenza 98/2019, pubblicata dalla II Sez. del Tar Piemonte.
Il condominio fa annullare l'ordinanza del dirigente del servizio edilizia che vieta di parcheggiare in cortile. Pesa l'esposto di uno dei proprietari esclusivi che denuncia il posteggio selvaggio sotto il suo balcone. L'amministrazione minaccia di applicare sanzioni all'ente di gestione in caso d'inottemperanza ex articolo 7-bis primo comma Tuel. In realtà sono più di quarant'anni che le macchine vengono parcheggiate in cortile con il permesso dell'assemblea: l'impiego dell'area risulta legittimo in quanto costituisce una delle possibili forme ordinarie utilizzazione dell'area di pertinenza all'edificio residenziale.
Il condominio, comunque, deve provvedere a delimitare gli spazi della sosta con elementi a terra come stalli o strisce dipinte perché i paletti stop-auto sono incompatibili con il decoro architettonico dell'edificio.
Apertura sufficiente. Attenzione, infine, ai paletti in ferro nel parcheggio condominiale. La rimozione ordinata dal comune scatta anche se l'area su cui i dissuasori sono installati risulta proprietà dell'edificio: ciò che conta è l'uso pubblico della strada su cui affaccia il caseggiato, mentre il fatto che la via sia chiusa da un lato non basta a renderla privata.
È quanto emerge dalla sentenza 1224/2015, pubblicata dalla II Sez. del Tar Sicilia.
Niente da fare, stavolta, per il condominio: deve rassegnarsi a far sparire catene e lucchetti che blindano le auto parcheggiate sotto il palazzo come ha ordinato il servizio edilizia pubblica e privata del comune. All'amministrazione non può disconoscersi il potere di far abbattere le opere abusive. E i dissuasori messi a bordo strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di soccorso.
È poi escluso che la strada dove sorge il fabbricato possa davvero essere ritenuta privata: inutile eccepire il fatto che la via sia chiusa da un lato e non metta in comunicazione due pubbliche vie, risulta infatti sufficiente che l'apertura da un lato consenta l'accesso da e per una strada pubblica.
Affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché l'utilizzo si protrae da tempo (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2019).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, diversamente da quanto sostiene parte ricorrente
l’intervento effettuato non ricade tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo tassativo all’art. 6 del t.u. n. 380 del 2001, in deroga al generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art. 6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del citato art. 6.
Tuttavia coglie nel segno il profilo di censura con cui parte ricorrente ritiene che nel caso qui in esame non venga in discussione un’ipotesi di trasformazione edilizio–urbanistica, o di alterazione permanente dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Deve invece ritenersi, sulla falsariga di quanto affermato dal Giudice di appello in una fattispecie del tutto simile a quella oggetto di causa, che l’intervento ricada nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in tema di SCIA (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16.07.2015, n. 3554).
Sulla questione, intuitivamente affine, dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso di costruire, la giurisprudenza amministrativa di primo grado, afferma che
la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (si vedano, tra le altre, TAR Campania, n. 3328/2013 e n. 1542/2012, TAR Lombardia, n. 6266/2009, TAR Lazio, n. 8644/2009, TAR Veneto, n. 1215/2011, TAR Calabria, n. 1299/2014, TAR Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre), sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura e la recinzione non è facilmente rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire, ma a tal fine occorre avere riguardo a tutte le opere realizzate nel loro complesso.
Invero questa Sezione di recente ha ritenuto che: <<
la posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II, 04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n. 5908)>> (cfr. TAR Campania, Sez. III, 24.12.2018, n. 7333).
Ciò posto,
l’intervento in argomento, alla luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso (10 paletti dell’altezza di mt. 1 ciascuno e diametro 10x10, si vedano le foto prodotte in giudizio), ricade nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, cioè, tra quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previste dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con variazioni essenziali, ma con l'applicazione della mera sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un basamento di calcestruzzo assai sottile, risultano distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile accesso pedonale all’area ed effettivamente sembrano svolgere una funzione, non contestata dal Comune, di dissuasori della sosta e dell’abbandono dei rifiuti. Viene in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare la proprietà del condominio ricorrente (non si tratta neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”), rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del territorio.
Non vi è poi alcun concreto elemento, a parte la generica e immotivata asserzione del Comune resistente, di incidenza negativa sul paesaggio nei termini di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, come invece addotto nel gravato provvedimento, laddove la limitata evidenza dell’intervento avrebbe richiesto una più esplicita indicazione in tal senso.
Poiché dunque la realizzazione dei paletti per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del t.u. n. 380 del 2001, ne consegue che l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 d.P.R. n. 380/2001 porterebbe alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, co. 1 d.P.R. n. 380/2001.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza impugnata conseguentemente deve essere annullata.

febbraio 2019

EDILIZIA PRIVATA: Dissuasori della sosta.
Il TAR Milano, dopo aver premesso che la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura non facilmente rimuovibili, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire), ritiene che la realizzazione senza titolo urbanistico e viabilistico di dissuasori della sosta in cemento su area di proprietà privata, ma esterna al muro di recinzione e, di conseguenza, collocata in area destinata all’uso pubblico o ad essa adiacente, costituisce una trasformazione stabile del territorio che per la sua rilevanza edilizia e per i rischi che comporta per la circolazione in strada (nella fattispecie molto stretta), dev’essere sanzionata con la demolizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.02.2019 n. 331 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
5. Il quarto motivo è parzialmente fondato.
Infatti
la posa di alcuni paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (da ultimo TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 24.12.2018 n. 7333).
Diverso è invece il caso dei dissuasori della sosta in cemento.
In merito la giurisprudenza ha chiarito che
la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (si vedano, tra le altre, Tar Campania, n. 3328/2013 e n. 1542/2012, Tar Lombardia, n. 6266/2009, Tar Lazio, n. 8644/2009, Tar Veneto, n. 1215/2011, Tar Calabria, n. 1299/2014, Tar Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre), sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura non facilmente rimuovibili, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire.
Nel caso di specie
la realizzazione senza titolo urbanistico e viabilistico di dissuasori della sosta in cemento su area di proprietà privata ma esterna al muro di recinzione e, di conseguenza, collocata in area destinata all’uso pubblico o ad essa adiacente, costituisce una trasformazione stabile del territorio che per la sua rilevanza edilizia e per i rischi che comporta per la circolazione in una strada molto stretta qual è quella in questione, dev’essere sanzionata con la demolizione.
In definitiva quindi il ricorso va accolto limitatamente alla realizzazione della recinzione mentre i dissuasori in cemento debbono essere rimossi.

dicembre 2018

EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittimità dell'ordinanza di demolizione relativamente all'installazione di n. 6 paletti metallici con rete metallica ed alla posa in opera della pavimentazione di un’area di circa 35 mq..
La sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 si riferisce agli interventi di nuova costruzione per i quali è prescritta la previa acquisizione di un permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a), ed eseguiti in assenza, o in difformità totale del prescritto titolo abilitativo.
Gli interventi di nuova costruzione che richiedono il permesso di costruire, in difetto del quale è applicabile l’ingiunzione di demolizione ex art. 31, consistono negli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, non rientranti nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, contemplati nell’art. 3, co. 1, lett. e), del citato d.P.R. n. 380.
La posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici.
L'opera di pavimentazione di un’area esterna di modesta estensione neppure è di per sé soggetta al permesso di costruire salvo che non comporti una trasformazione urbanistica del suolo ed un cambio della sua destinazione, sempre ferma restando l’osservanza dei vincoli paesaggistici.
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... per l'annullamento:
- dell'ordinanza n. 63 del 24.10.2018 per la parte in cui revoca solo parzialmente la precedente ordinanza di demolizione n. 48 del 24.08.2018 confermando l'ordine demolitorio relativamente all'installazione di n. 6 paletti metallici ed alla posa in opera della pavimentazione di un’area di circa 35 mq.;
- dell'ordinanza n. 48 del 24.08.2018 per la parte non oggetto della revoca operata con l'ordinanza di cui al precedente punto; nonché di ogni altro atto connesso, se ed in quanto lesivo, ivi compreso il verbale di sopralluogo del 15.03.2017 redatto congiuntamente da Polizia Locale e U.T.C.;
...
Ritenuto nel merito che:
   - la sanzione prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, nella specie irrogata con le ordinanze impugnate, si riferisce agli interventi di nuova costruzione per i quali è prescritta la previa acquisizione di un permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a), ed eseguiti in assenza, o in difformità totale del prescritto titolo abilitativo;
   - gli interventi di nuova costruzione che richiedono il permesso di costruire, in difetto del quale è applicabile l’ingiunzione di demolizione ex art. 31, consistono negli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, non rientranti nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, contemplati nell’art. 3, co. 1, lett. e), del citato d.P.R. n. 380;
   - la posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II, 04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n. 5908);
   - l'opera di pavimentazione di un’area esterna di modesta estensione neppure è di per sé soggetta al permesso di costruire salvo che non comporti una trasformazione urbanistica del suolo ed un cambio della sua destinazione, sempre ferma restando l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Napoli, sez. VI, 01/08/2018, n. 5144; cfr. art. 6, co. 1, lett. e-ter), del d.P.R. n. 380);
   - nella specie non risultano adottati atti di autotutela riferiti ai titoli abilitativi di cui la ricorrente riferisce il possesso e posti a sostegno degli interventi in questione;
   - né la sussistenza di vincoli paesaggistici giustifica l’applicazione di una sanzione edilizia diversa da quella prevista in relazione al difetto del prescritto titolo abilitativo edilizio, fatta salva ovviamente l’applicazione, se del caso, delle pertinenti misure repressive (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 24.12.2018 n. 7333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2018

EDILIZIA PRIVATA: La realizzata “recinzione” (costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di lunghezza) è di entità notevole, non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e terrazzamento del terreno adiacente.
Sicché, dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato, va affermato che la realizzazione del muro descritto già effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera programmata.
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... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’ordinanza n. 113 del 16.09.2005 recante l’ordine di demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La Rocca;
...
1.1. Con il presente gravame, MU.Ma., impugna il provvedimento n. 113 del 16.09.2005 con cui il Comune di Caserta ha ordinato la demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La Rocca in seguito alla decadenza del permesso di costruire rilasciato per il lotto medesimo (permesso n. 271 del 29.11.2001).
...
2.1. Il risalente provvedimento è adottato, in sostanza, sul presupposto dell’avvenuta decadenza del titolo edilizio n. 271 del 29.11.2001 che, pacificamente, contemplava la recinzione in questione tra le opere da realizzare.
2.2. Il Comune di Caserta rileva che il permesso di costruire sarebbe decaduto per il mancato inizio dei lavori entro l’anno come previsto dall’art. 15, co. 2, del D.P.R. 380/2001 (“il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori”) e, pertanto, ingiunge la demolizione della recinzione poiché effettuata senza titolo edilizio.
3. In punto di fatto, occorre considerare che la “recinzione” è costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di lunghezza, effettuato previo terrazzamento dei terreni adiacenti (v. perizia a firma del geom. Toscano), realizzato a partire dal 18.11.2002, come da comunicazione di inizio lavori inviata in pari data (in atti).
4.1. La circostanza appena descritta dimostra la fondatezza della censura sub III che assume rilievo assorbente.
4.2. L’entità dell’opera realizzata, infatti, è notevole non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e terrazzamento del terreno adiacente.
4.3. Dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato (v. Consiglio di Stato, sez. V, 31/08/2017, n. 4150), va affermato che la realizzazione del muro descritto già effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera programmata (sull’idoneità di lavori di sbancamento e di realizzazione di un muro di contenimento a rappresentare l’inizio dei lavori, v. Cassazione penale, sez. II, 06/02/1979; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19/09/2017, n. 4381 e, in termini, TAR Genova, sez. I, 28/01/2016, n. 93).
5. Giova precisare che, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato (in cui si dava per assodata la decadenza dal titolo edilizio), il 15.09.2004, non era ancora decorso il termine ultimo per la conclusione dei lavori (tre anni dall’inizio dei lavori, art. 15, co. 2, D.P.R. 380/2001, cit.) che, parimenti, avrebbe implicato la decadenza del titolo edilizio. In ragione dell’adozione del provvedimento impugnato, peraltro, legittimamente la ricorrente ha sospeso ogni attività edilizia e, pertanto, dovrà essere rimessa in termini per concludere l’opera di cui al menzionato permesso di costruire con un’opportuna proroga.
6. Il ricorso va, pertanto, accolto nei sensi sopra precisati. Le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del Comune intimato per il principio di soccombenza e dovendosi comunque stigmatizzare il contegno processuale di mancata ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 628/2018 (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.07.2018 n. 5016 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di un muro di recinzione - Modifica rilevante dell'assetto urbanistico del territorio - Permesso a costruire - Necessità - Giurisprudenza.
In tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.05.2018 n. 20739 - link a
www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001.
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Né va dimenticato il principio generale secondo cui, in tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261521, cfr. in motivazione, quanto alle esemplificazioni del principio dichiarato) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.05.2018 n. 20739).

aprile 2018

EDILIZIA PRIVATA: E' noto che la realizzazione di opere di recinzione può ritenersi esente dal regime del permesso di costruire solo ove le recinzioni non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quindi, ad esempio, recinzioni in rete metallica, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), essendo per contro necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
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10. Con il quinto motivo si censura l’ordine di demolizione nella parte in cui ingiunge il ripristino anche di opere (la recinzione, l’impianto di illuminazione e le colonnine antifurto) che, in sé, non avrebbero rilevanza urbanistica e dunque non potrebbero essere oggetto di sanzione ripristinatoria.
La tesi non appare condivisibile dal momento che, come rilevato dalla difesa del Comune, l’ordine di demolizione è atto diretto alla repressione dell’abuso nel suo complesso e, quindi, a tutte le singole opere che concorrono a determinarlo, tenuto conto fra l’altro che esse sono fra loro “evidentemente legate e mirate al compimento di un medesimo e complesso illecito, ossia la trasformazione in un’area inedificata in un piazzale commerciale” che “solo in quanto tale è stato pavimentato, recintato, dotato di antifurto e impianto di illuminazione”.
In ogni caso, è noto che la realizzazione di opere di recinzione può ritenersi esente dal regime del permesso di costruire solo ove le recinzioni non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quindi, ad esempio, recinzioni in rete metallica, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), essendo per contro necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio (TAR Lazio, sez. II, 04.09.2017 n. 9529; TAR Marche, 23.01.2017 n. 69)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 17.04.2018 n. 556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle diposizioni regolamentari integrative del codice civile, per "costruzione" deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente, dall'impiego di malta cementizia.
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Sempre in tema di distanze legali, mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione”, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, “perchè costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione di carattere terminologico sulle espressioni di "terrapieno naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico.
La prima, infatti, consiste in un ossimoro, poiché ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo.
Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni.
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Quanto all’abuso in questione, nell’istanza di permesso di costruire in sanatoria si è prefigurata la realizzazione di una “cantina in luogo di terrapieno esistente (…) annessa tramite disimpegno all'appartamento”, consistente –come rilevato nel sopralluogo dei tecnici comunali del 07.11.2006– in un “locale in muratura intonacata con tetto piano, realizzato in adiacenza ad edificio esistente”.
Orbene, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è del tutto costante “nel ritenere che ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle diposizioni regolamentari integrative del codice civile, per "costruzione" deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 5753/2014, 23189/2012, 15972/2011, 22127/2009, 25837/2008, S.U. 7067/1992 e 3199/2002), indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente, dall'impiego di malta cementizia (Cass. n. 4196/1987).
Ed è altrettanto costantemente affermato, in tema di distanze legali, che mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione”, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, “perchè costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. nn. 1217/2010, 145/2006, 8144/2001, 4511/1997, 7594/1995 e 1467/1994).
A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione di carattere terminologico sulle espressioni di "terrapieno naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico. La prima, infatti, consiste in un ossimoro, poiché ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo. Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni
” (cfr. Corte di Cassazione, 16.03.2015, n. 5163) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2018 n. 180 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mentre il muro di cinta, nella dizione di cui alla legge n. 662/1996, è un’opera di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume natura pertinenziale, diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. muri di contenimento, che si differenziano perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla funzione di contenimento.
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... per l'annullamento, con ricorso originario:
   - dell’ordinanza dirigenziale emessa dal Comune di Napoli n. 615 del 30.10.2006, di rigetto dell'istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 – pratica n. 53/06 in relazione alle opere abusive realizzate alla via ... n. 34 (muro di contenimento di 18 metri lineari per un’altezza di tre metri, accedente ad un’area cortilizia di un immobile abusivo);
...
La ricorrente Ma.Ro.To., in qualità di proprietaria dell’area sita in Napoli, via ... n. 34, dopo aver impugnato l’ordine ripristinatorio emanato dal dirigente del Comune di Napoli, con il quale si ingiunge di eliminare le opere abusive ivi realizzate (muro di contenimento di 18 metri lineari per un’altezza di tre metri, accedente ad un’area cortilizia di un immobile abusivo), è insorta avverso il rigetto della istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 per la sanatoria delle opere oggetto dell’ordinanza originariamente impugnata.
...
1. Il ricorso ed i connessi motivi aggiunti non sono meritevoli di accoglimento.
1.1. L’amministrazione comunale, anche con il conforto della relazione esplicativa successiva, ha evidenziato il contrasto dell’opera (in quanto nuova costruzione con consentita) con le prescrizioni di zona, che vietano entrambe la tipologia di opere qui in rilievo.
2. L’area interessata è classificata come zona F – parco territoriale - sottozona Fa1 (area agricola) e Fa2 (area incolta), nell’ambito Vallone S. Rocco, disciplinato dagli artt. 45 e 46 e 162, comma 7, che impongono il divieto di edificare nuovi volumi e, in particolare, consentono allo stato solo interventi di messa in sicurezza dei terreni da realizzarsi con tecniche di riqualificazione e restauro ambientale.
L’amministrazione comunale ha chiarito in modo esaustivo il contrasto del manufatto con le prescrizioni di zona, evidenziando che, con delibera giuntale n. 3417 del 2002, le tecniche di riqualificazione comprendono la realizzazione di interventi a grata viva, a gabbionate e materassi inverditi, o a terra rinforzata, o a scogliera rinverdita, con materiali di origine vegetale.
2.1. Dal contenuto degli riversati in giudizio si ricava che il muro in questione non può qualificarsi quale “muro di cinta”, ma risulta costruito al fine di prevenire possibili smottamenti del terreno, onde va qualificato come “muro di contenimento”.
Mentre il muro di cinta, nella dizione di cui alla legge n. 662/1996, è un’opera di recinzione, non suscettibile di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assume natura pertinenziale, diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. muri di contenimento, che si differenziano perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla funzione di contenimento.
2.1. Nel sistema dell’ambito del Vallone S. Rocco, vista la peculiare conformazione agricola dell’area, tale incisivo intervento edilizio deve essere caratterizzato dalla funzione di contenimento della smottamento di terreno e da una struttura costituita da materiale organico.
Nella specie, la relazione dell’amministrazione ha evidenziato che, per estensione, tipologia e funzione, il muro realizzato non rispetta le caratteristiche imposte dalla normativa edilizia di riferimento, particolarmente rigorosa anche in considerazione della zona agricola e vincolata paesaggisticamente in cui l’intervento è inserito.
2.2. Da queste premesse deriva che le opere realizzate hanno determinato una palese violazione delle norme urbanistiche, rispetto a cui l’evocata disparità di trattamento non può trovare ingresso, poiché l’irrogazione della misura ripristinatoria rappresenta un’attività doverosa e vincolata.
Il Comune di Napoli, dunque, non poteva legittimamente concedere la richiesta sanatoria, comportando l’accertamento di conformità, a norma dell’art. 36 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, la verifica della conformità dell’opera eseguita alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso sia al momento della presentazione della domanda, verifica che evidenziava, di contro, il contrasto con le citate norme di attuazione.
Il primo motivo è dunque da disattendere (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 02.01.2018 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini, il Collegio ritiene che tale intervento non necessitasse di titolo autorizzatorio in quanto è stata realizzata senza interventi in muratura e non costituisce espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
Nella fattispecie la sbarra in questione si presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un titolo edilizio a proprio fondamento.
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1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, è impugnata l'ordinanza n. 6 del 18.02.2016 con la quale il Comune di Alcamo ha ordinato la rimozione delle seguenti opere, eseguite alla data del 06.03.2015, perché realizzate senza l’autorizzazione di cui all’ art. 5 della l.r. 37/1985:
   1. stradella ricoperta di materiale inerte di collegamento, attraverso la spiaggia (arenile demaniale) tra la strada comunale e il fabbricato insistente sul terreno in catasto al fg. 1, p.lle 381 e 3 (in parte);
   2. spiazzo antistante il predetto fabbricato, sulla spiaggia (arenile demaniale);
   3. barra di legno (longitudinale posta su due pilastrini) che ostruisce l’accesso pedonale alla stradella di cui al punto 1.
Trattasi di opere insistenti sull’aerea demaniale marittima di mq 248 concessa con atto n. 520 del 16.12.2004, per mq 65 (spazio antistante in fabbricato) in uso esclusivo e per i restanti mq 183 in uso non esclusivo.
Nella motivazione dell’atto è spiegato che:
   - nella suddetta concessione demaniale non è previsto il collocamento della sbarra di legno;
   - ai sensi dell’art. 23 del R.E. per le opere realizzate era necessario il titolo abilitativo;
   - l’area di che trattasi ricade in Z.T.O. Fp6 nella quale l’edilizia libera può concernere la realizzazione di strada poderali con caratteristiche di ruralità, di cui sarebbe priva l’opera in questione;
   - la concessione demaniale n. 520 del 16.12.2004, all’art. 2, obbligava il concessionario a richiedere al Comune il titolo edilizio prima dell’inizio dei lavori.
Il sig. Si.Pi., in qualità di comproprietario, ne chiede l’annullamento previa sospensione cautelare, deducendone l’illegittimità per i motivi di violazione degli artt. 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale n. 37/1985, degli artt. 31, 34 e 37 del D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 23 del regolamento edilizio, nonché per eccesso di potere e difetto di motivazione, in quanto sia la stradella sia lo spiazzo esisterebbero almeno dal 1968, come accertato in fatto dal Tribunale di Trapani con la sentenza n. 47/2014 (relativa a controversia tra proprietari, in cui il ricorrente era parte) e di cui l’A.R.T.A. ha preso atto con la nota n. 44856 del 02.10.2014.
Le opere eseguite, quindi, sarebbero di mera manutenzione e come tali rientranti nella tipologia dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985 che, invero, riguarderebbe anche le strade poderali e non solo quelle rurali; parimenti non rileverebbe il fatto che le opere ricadono in zona Fp6 poiché l’area ricade nel demanio marittimo; non troverebbe applicazione l’art. 23 del regolamento edilizio che disciplina la costruzione di strade interpoderali assoggettandola ad autorizzazione, poiché quella oggetto di lite servirebbe soltanto l’abitazione del ricorrente.
Quanto alla sbarra in legno, si sostiene che la sua collocazione –comunque da ricondurre alla fattispecie dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985- sarebbe stata autorizzata dall’A.R.T.A. con la concessione demaniale marittima n. 520/2014 oltre che imposta dallo stesso assessorato con la nota n. 23634/2014 (1° motivo).
Trattandosi di opere soggette a autorizzazione l’unica sanzione applicabile sarebbe quella pecuniaria e comunque la demolizione non sarebbe attuabile per la stradella, esistente ab immemorabile (2° motivo).
Lamenta anche la violazione delle norme sulla partecipazione procedimentale di cui alla legge 241 del 1990 a causa dell’omessa valutazione delle controdeduzioni presentate e il difetto di istruttoria e di motivazione (3° motivo).
Con l’ordinanza collegiale n. 759 del 04.07.2016, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare dell'esecuzione del provvedimento impugnato.
Il Comune di Alcamo si è costituito in giudizio con memoria, il 10.05.2017, controdeducendo che ai sensi dell’art. 74 (“Fp6 zona delle dune e della spiaggia”) delle N.T.A. del P.R.G. –che espressamente disciplina sia le aree private, sia le aere demaniali- nella zona Fp6 non sono ammesse opere stabili come la sbarra sorretta da pilastrini, né la copertura di un sentiero naturale in terra battuta con misto granulometrico calcareo in quanto “nella zona Fp6 sono consentiti soltanto interventi con applicazione di tecniche naturalistiche volti a ristabilire l’equilibrio delle dune e dello specifico habitat dunale.
Nella spiaggia lungo il litorale sono ammesse solo attività per la diretta fruizione del mare che non comportino installazioni o impianti stabili, al fine di garantire l’azione eolica di ripascimento delle dune.
Nelle aeree di proprietà privata ricadenti in zona Fp6 sono ammesse destinazioni d’uso relative a giardini e verde privato, purché compatibili con le finalità e gli interventi della zona Fp6
”.
...
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini, il Collegio, invece, ritiene che tale intervento non necessitasse di titolo autorizzatorio –prescindendosi in questa sede dagli aspetti connessi alle limitazioni all’accesso alla spiaggia da parte del pubblico discendenti dalla concessione demaniale marittima che non sono oggetto del giudizio- in quanto è stata realizzata senza interventi in muratura e non costituisce espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 05/06/2013, n. 1460; Cons. di Stato, Sez. V, 09/04/2013, n. 1922; Cons. St., Sez. V, 23/02/2012, n. 976).
Nella fattispecie la sbarra in questione -così come descritta nell’atto impugnato, negli atti istruttori ed evincibile dal materiale fotografico versato in atti- si presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un titolo edilizio a proprio fondamento.
In parte qua, dunque, l’atto impugnato è illegittimo e va annullato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 28.11.2017 n. 2758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2017

EDILIZIA PRIVATA: Va qualificata come attività edilizia libera la realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m. 1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10 circa".
L’intervento edilizio contestato è costituito dalla realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m. 1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10 circa".
Dalla relazione del tecnico comunale traspare in modo evidente l'urgente necessità di tale opera, allorché si legge che essa "insiste in una scarpata naturale" ed è "a contenimento di terreno vegetale del retrostante terrapieno di una piccola area del fondo agricolo coperta da vegetazione spontanea ad inclinazione notevole".
È evidente, pertanto, che l’intervento in questione non può essere qualificato come intervento di nuova costruzione, non rientrando in nessuna delle definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001; né può essere qualificato come un intervento di cd. “ristrutturazione pesante” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), non potendo essere qualificato come un intervento rivolto “a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Tale intervento, piuttosto, va qualificato come un intervento di pratica agro-silvo-pastorale, di cui all’art. 6, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001: la staccionata, oltre a non comportare una trasformazione irreversibile del territorio, è palesemente funzionale al contenimento del terreno. Dunque, va qualificata come un’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1 (allora vigente) del d.P.R. n. 380/2001.
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FATTO
Con ricorso iscritto al n. 5571 dell’anno 2016, la parte ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe. A sostegno delle sue doglianze, premetteva:
   - di essere proprietario di un compendio immobiliare ubicato in località Santa Maria della Neve del Comune di Massa Lubrense, frazione Sant'Agata sui Due Golfi, censito al Foglio della planimetria catastale del medesimo Comune, particelle n. 1479, n. 1213 ed altre (particelle 404, 406, 403 e 402), a queste ultime limitrofe, e che si estendono a quota ancora più bassa, degradando a terrazzamenti verso il golfo di Salerno;
   - che sulla prima delle due particelle —ubicata nella parte di monte– sorge l'unità immobiliare con l'abitazione del proprietario, mentre tutte le rimanenti sono destinate a fondo agricolo. Essa si sviluppa a valle della via dei Campi, dalla quale, in corrispondenza del civico n. 49, parte la stradina privata che -correndo in ripida discesa pressappoco ortogonalmente alle curve di livello– la delimita su due lati e dà accesso, oltre che alla stessa, a diversi altri fondi situati sullo stesso versante;
   - che, ad eccezione della zona più prossima all'abitazione, in particolare occupata dal giardino, e, quindi, costantemente manutenuta, il fondo agricolo -una volta gestito da un colono- era rimasto da molti anni praticamente abbandonato, divenendo col tempo praticamente inaccessibile a causa della gran quantità di vegetazione cresciuta spontaneamente fino a ricoprire completamente le scalette di pietra e le rampe di terreno che collegano a più livelli i diversi terrazzamenti;
   - di aver pertanto deciso di provvedere alla pulizia del terreno, dandone comunicazione al Sindaco di Massa Lubrense con nota 18.07.2014 acquisita in pari data al protocollo comunale;
   - che, durante l'esecuzione di tale intervento di pulizia del terreno, con rimozione di arbusti, rovi, erbacce e potatura di alberi, veniva alla luce che una parte di terreno notevolmente acclive, posta immediatamente a monte del rivolo che funge da confine con una proprietà aliena, era interessata da uno smottamento, probabilmente causato, oltre che dal cedimento del muretto di pietrame posto al piede della scarpata, dalla perdita di coerenza del terreno medesimo non più trattenuto dalle radici delle piante selvatiche rimosse: e pertanto si rendeva oltremodo necessario provvedere urgentemente ad arrestare il fenomeno, per evitare che la frana invadesse il rivolo e si estendesse oltre il confine;
   - che tale intervento -così come rilevato e descritto dal Tecnico Comunale nella relazione del 17/11/2015 prot. 25028, redatta all'esito dell'accertamento in loco eseguito il 16/11/2016- è costituito dalla realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m.1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10 circa". Da tale Relazione traspare in modo evidente la urgente necessità di tale opera, allorché si legge che essa "insiste in una scarpata naturale" ed è "a contenimento di terreno vegetale del retrostante terrapieno di una piccola area del fondo agricolo coperta da vegetazione spontanea ad inclinazione notevole";
   - che, pertanto, si tratta –con tutta evidenza– di attività puramente manutentiva;
   - che, ciò nonostante, il Comune di Massa Lubrense ha dapprima ordinato la sospensione dei lavori con ordinanza emessa in data 12/01/2016, allorquando tuttavia l'attività manutentiva risultata già effettuata (come risulta dalla stessa relazione del tecnico comunale del 17/11/2015), e per di più notificata solo in data 08.06.2016 (a distanza di sei mesi, allorquando l'ordine di sospensione aveva perduto di efficacia e comunque non aveva più alcuna ragione la sua stessa notificazione);
   - di aver ribadito la natura delle opere effettuate; che, tuttavia, il Comune adottava gli atti impugnati.
Instava quindi per l’annullamento degli atti impugnati con vittoria di spese processuali.
L’Amministrazione non si costituiva.
All’udienza camerale del 07.02.2017, con ordinanza n. 201/2017, veniva fissata l’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a..
All’udienza del 27.06.2017, il ricorso è stato assunto in decisione.
DIRITTO
La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe per i seguenti motivi:
   1) il provvedimento impugnato è illegittimo perché esso qualifica l'intervento eseguito dal ricorrente, e costituito da una staccionata in legno a contenimento di una scarpata naturale, come opera soggetta al regime edilizio del permesso di costruire, senza null'altro aggiungere in proposito ed in palese contrasto con le risultanze delle operazioni di accertamento eseguite in loco dal Tecnico Comunale in data 16/11/2015, e riportate nella relazione del 17/11/2015, come già precisato in punto di fatto e nella perizia tecnica a firma dell'Ing. Di.Ad., ed in modo ancor più illegittimo ne dispone la rimozione;
   2) violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, attesa l’omessa comunicazione di avvio del procedimento;
   3) eccesso di potere per difetto di istruttoria, atteso che l’Amministrazione ha utilizzato un modulo prestampato senza alcun effettivo accertamento dello stato dei luoghi.
Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito precisati.
Risultano infatti fondate la prima e la terza censura.
Come si evince dalla relazione del Tecnico Comunale del 17/11/2015 prot. 25028, redatta all'esito dell'accertamento in loco eseguito il 16/11/2016, l’intervento edilizio contestato è costituito dalla realizzazione di una "fitta staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d'altezza media m. 1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di castagno, d'altezza m. 1,10 circa". Da tale Relazione traspare in modo evidente la urgente necessità di tale opera, allorché si legge che essa "insiste in una scarpata naturale" ed è "a contenimento di terreno vegetale del retrostante terrapieno di una piccola area del fondo agricolo coperta da vegetazione spontanea ad inclinazione notevole".
È evidente, pertanto, che l’intervento in questione non può essere qualificato come intervento di nuova costruzione, non rientrando in nessuna delle definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001; né può essere qualificato come un intervento di cd. “ristrutturazione pesante” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), non potendo essere qualificato come un intervento rivolto “a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Tale intervento, piuttosto, va qualificato come un intervento di pratica agro-silvo-pastorale, di cui all’art. 6, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001: la staccionata, oltre a non comportare una trasformazione irreversibile del territorio, è palesemente funzionale al contenimento del terreno. Dunque, va qualificata come un’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1 (allora vigente) del d.P.R. n. 380/2001.
Appare fondata anche la terza censura. Nell’ordinanza di demolizione, infatti, non è riportata neanche la descrizione dell’abuso contestato; ciò che rende verosimile la sussistenza del vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria.
D’altronde, l’intervento contestato è molto diverso dagli abusi edilizi per i quali è prevista la sanzione della demolizione; ed anche tale assunto rende ragionevole la sussistenza del censurato difetto di istruttoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 13.07.2017 n. 3749 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di una sbarra metallica a delimitazione della proprietà privata è intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>> per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo”.
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1. Con atto di ricorso ritualmente notificato e depositato, il sig. Ev.Pe. ha adito l’intestato Tribunale per chiedere l’annullamento del provvedimento, meglio in epigrafe specificato, con il quale gli è stata ordinata al ricorrente predetto la rimozione di due cartelli di segnalazione di proprietà privata posti su due alberi e di una sbarra in ferro installati su strada vicinale privata, in quanto ritenuti abusivi per mancanza dei necessari titoli abilitativi.
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2. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per carenza di motivazione e contraddittorietà dell’istruttoria condotta dall’amministrazione comunale, in quanto le opere di cui è stata ordinata la demolizione sarebbero state realizzate prima del 1954, ossia prima dell’apposizione vincolo paesaggistico asseritamente violato.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. Dalla documentazione versata in atti e, in particolare, dalla relazione prodotta dall’Ufficio Servizi Operativi del Comune resistente (cfr., nota del 28.05.2015, prot. n. 28/2015 U.S.O) -peraltro non citata nelle premesse del provvedimento impugnato- risulta infatti che la strada in argomento, “è chiusa con una sbarra da tempo immemorabile” ed appare “utilizzata esclusivamente ad uso privato”.
2.3. Ciò conduce a ritenere inattendibile l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui “la strada era libera da impedimenti al libero transito almeno dall’inizio degli anni 80”, trattandosi peraltro di determinazione alla quale l’amministrazione è giunta sulla scorta “di sommarie informazioni acquisite da tre persone” (cfr., verbale di polizia municipale in data 11.09.2015), che sul punto risultano contraddette da dichiarazioni prodotte da altri soggetti, concludenti, al contrario, per la presenza della sbarra in contestazione fin “dagli inizi degli anni 50” (cfr., dichiarazione di cui al doc. n. 6 di parte ricorrente, acquisita agli atti del Comune di Assisi in data 03.02.2015).
2.4. Deve pertanto confermarsi, ad avviso del Collegio, la sussistenza del dedotto vizio di contraddittorietà dell’istruttoria, risultando invero inequivocabile la mancata ponderazione di tutte le risultanze probatorie istruttorie in possesso dell’amministrazione resistente, la quale ha trascurato di verificare mediante accertamenti attendibili e non contradditori, in merito all’apposizione della sbarra in questione nonché dei relativi cartelli di segnalazione di proprietà privata, dopo l’apposizione del vincolo paesaggistico del quale è stata contestata la violazione.
2.5. Occorre peraltro aggiungere che, a prescindere dal menzionato vincolo paesaggistico, l’installazione di una sbarra metallica a delimitazione della proprietà privata è intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>> per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo” (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 20.11.2013, 5513, idem, sez. VI, 07.08.2015, n. 3898), per il che risulta parimenti sconfessata, sotto questo ulteriore profilo, la dedotta assenza dei necessari titoli abilitativi, anche con riferimento alla asserita sostituzione della sbarra stessa (TAR Umbria, sentenza 02.02.2017 n. 120 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2017

EDILIZIA PRIVATA: In via generale, la posa di una recinzione –manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni– è solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell’art. 841 del c.c..
E’ stato osservato che il titolo abilitativo edilizio non è necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno (senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti il manufatto rientra appunto tra le manifestazioni del diritto di proprietà che comprende lo "jus excludendi alios".
Solamente la recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico deve essere preceduta da un titolo abilitativo del Comune, mentre tale atto non risulta necessario in presenza di trasformazioni che –per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento– non comportino un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale: la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto..
È quindi al tipo di recinzione in concreto che occorre guardare per stabilire se si tratti dell’uno o dell’altro tipo di manufatto: un esempio del secondo tipo è la modesta recinzione di fondo rustico senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.
Nella fattispecie esaminata, il posizionamento di una semplice rete metallica priva di basamento in calcestruzzo la rende (potenzialmente) legittima anche in assenza di titolo abilitativo, per cui si rivela fondato il quarto motivo di ricorso, con le precisazioni che seguono. In proposito, il Comune è tenuto ad avviare un approfondimento istruttorio (coinvolgendo l’autorità preposta alla tutela del vincolo) per apprezzare in concreto le caratteristiche della recinzione.

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4. Sotto altro punto vista invece, in via generale, la posa di una recinzione –manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni– è solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce il contenuto tipico del diritto dominicale, e per pacifica giurisprudenza persino la presenza di un vincolo dello strumento pianificatorio non può incidere (di per sé) negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell’art. 841 del c.c. (TAR Campania Napoli, sez. II – 04/02/2005 n. 803; TAR Lombardia Milano, sez. II – 11/02/2005 n. 367).
E’ stato osservato che il titolo abilitativo edilizio non è necessario per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno (senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti il manufatto rientra appunto tra le manifestazioni del diritto di proprietà che comprende lo "jus excludendi alios" (C.G.A. Sicilia, sez. consultive – 18/12/2013 n. 1548; TAR Campania Salerno, sez. II – 11/09/2015 n. 1902; TAR Umbria – 18/08/2016 n. 571 e la citata giurisprudenza).
4.1 Solamente la recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico deve essere preceduta da un titolo abilitativo del Comune, mentre tale atto non risulta necessario in presenza di trasformazioni che –per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento– non comportino un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale: la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 06/02/2015 n. 938, che risulta appellata e che richiama Consiglio di Stato, sez. V – 09/04/2013 n. 922).
È quindi al tipo di recinzione in concreto che occorre guardare per stabilire se si tratti dell’uno o dell’altro tipo di manufatto: un esempio del secondo tipo è la modesta recinzione di fondo rustico senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR Toscana, sez. III – 27/02/2015 n. 320, che risulta appellata).
Nella fattispecie esaminata, il posizionamento di una semplice rete metallica priva di basamento in calcestruzzo la rende (potenzialmente) legittima anche in assenza di titolo abilitativo, per cui si rivela fondato il quarto motivo di ricorso, con le precisazioni che seguono. In proposito, il Comune è tenuto ad avviare un approfondimento istruttorio (coinvolgendo l’autorità preposta alla tutela del vincolo) per apprezzare in concreto le caratteristiche della recinzione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 26.04.2017 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2016
EDILIZIA PRIVATA: Muro di contenimento di terrapieno e distanze dal confine - Se il dislivello tra terreni è artificiale il muro di contenimento deve essere considerato una costruzione e quindi deve rispettare la distanza dal confine di tre metri (01.11.2016 - link a www.laleggepertutti.it).
maggio 2016

EDILIZIA PRIVATANon può sostenersi che le opere eseguite (da considerare unitariamente) rientrassero nell’ambito di applicazione della S.C.I.A., cosicché per esse non sarebbe prevista la sanzione demolitoria. Si tratta, invece, di opere necessitanti del previo permesso di costruire, perché comportano una permanente e significativa trasformazione del territorio.
Invero, ad avviso della giurisprudenza assolutamente prevalente, la realizzazione di un muro di recinzione in muratura necessita del permesso di costruire, non essendo sufficiente, a tal proposito, la presentazione di una D.I.A./S.C.I.A..
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Nel caso di specie, i ricorrenti hanno presentato istanza di permesso di costruire, che, però, ad oggi non risulta rilasciato, né al riguardo è ipotizzabile la formazione del silenzio-assenso, ricadendo l’area oggetto di intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (v. art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380/2001);
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L’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere, ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, non ha nulla a che vedere con la legittimità di queste sotto l’aspetto edilizio, trattandosi di profili che sono e debbono restare del tutto distinti.
Pertanto, sono infondate le pretese dei ricorrenti che la P.A. non desse seguito al procedimento sanzionatorio edilizio in pendenza del procedimento ex art. 167 cit., e che l’accoglimento dell’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica comporterebbe la caducazione della demolizione irrogata dal Comune per la verificata mancanza del titolo abilitativo edilizio, e la sua sostituzione con la sanzione pecuniaria.
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Per giurisprudenza consolidata, l’ordinanza di demolizione rappresenta un atto dovuto e rigorosamente vincolato, che può dirsi sorretto da adeguata e sufficiente motivazione, ove la stessa sia rinvenibile già solo nella compiuta descrizione delle opere abusive, nella constatazione della loro esecuzione in mancanza del necessario titolo abilitativo edilizio e nell’individuazione della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento;
Ancora di recente si è precisato che per i provvedimenti di ingiunzione di demolizione di opere edilizie non è necessaria una specifica motivazione, in aggiunta alla descrizione dell’abuso commesso ed alla sua identificazione oggettiva, la quale dia conto anche della valutazione delle ragioni di interesse pubblico sottese alla demolizione, o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: ciò non comporta violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, atteso che il provvedimento deve considerarsi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico attuale e concreto alla sua rimozione, sicché, ricorrendo tali circostanze, la P.A. deve senza indugio emettere l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive.
Questa Sezione, del resto, ha già avuto modo di osservare che l’interesse pubblico in re ipsa alla rimozione degli abusi edilizi consiste nel ripristino dell’assetto urbanistico violato.

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Richiede un ulteriore approfondimento la questione del rapporto tra procedimento di rilascio del parere di compatibilità paesaggistica ex art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004 e procedimento di conformità edilizia delle opere eseguite.
Dalla lettura dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, infatti, si evince che la compatibilità delle opere sotto il profilo paesaggistico –comportando l’applicazione di una sanzione pecuniaria– preclude la rimessione in pristino di esse, prevista per il caso in cui l’autorizzazione paesaggistica manchi o sia negata, ma, certo, non preclude la demolizione dei manufatti ex artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001, per l’abusività degli stessi sotto l’aspetto edilizio.
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... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dell’ordinanza del Comune di Fondi n. 31 del 09.03.2015, notificata il 17.03.2015, recante ingiunzione di demolire le opere abusive ivi descritte, realizzate in loc. Torre Canneto;
...
1. I sigg.ri Gi.Ma. e Pa.Lu. espongono di essere proprietari di un fondo rustico in Fondi, loc. Torre Canneto, ubicato in zona soggetta a vincolo paesaggistico, e di aver richiesto al Comune di Fondi il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una recinzione di detto fondo.
1.1. In data 06.08.2013 il Comune rilasciava il nulla osta paesaggistico per la realizzazione della recinzione con muretto e rete soprastante su un solo lato (dalla parte di via L. Cristini), mentre per gli altri confini veniva autorizzata la messa in opera di paletti e rete metallica.
1.2. Gli esponenti in data 21.03.2014 comunicavano all’Amministrazione comunale l’inizio di lavori di manutenzione ordinaria, costituiti dalla sistemazione del giardino e dalla realizzazione del muro di cinta con cancello, e di seguito davano corso ai lavori.
1.3. In particolare, procedevano a realizzare la recinzione con cordolo in muratura per tutti i lati del lotto, nonché ad appoggiare sul terreno piastre precompresse da giardino (senza stabilità alcuna) ed a porre cancelli di entrata.
1.4. Con ordinanza n. 71 del 31.03.2014 la P.A. ingiungeva l’immediata sospensione dei lavori, cui faceva poi seguito l’ordinanza n. 31 del 09.03.2015, recante ingiunzione di demolizione delle opere eseguite (recinzione in muratura e paletti di ferro del terreno; al suo interno, pavimentazione in marmette prefabbricate di circa mq. 130, delimitata con cigli; due tratti di delimitazione dell’area, con all’interno parziale posa di brecciame), in quanto abusive.
...
3.3. Va premesso che, come già osservato in sede cautelare, è indiscutibile la difformità delle opere eseguite rispetto ai titoli vantati dai ricorrenti: questi, infatti, da un lato hanno presentato istanza di permesso di costruire in data 10.01.2013, ma ad oggi siffatto permesso non risulta rilasciato e, nonostante ciò, le opere sono state ugualmente realizzate.
Dall’altro, hanno ottenuto dal Comune di Fondi l’autorizzazione paesaggistica n. 365 del 06.08.2013, che però riguarda la realizzazione di un cordolo e del muro di recinzione solo dal lato di via L. Cristini, mentre per gli altri confini della proprietà consente soltanto la messa in opera di paletti e rete.
In terzo luogo, hanno presentato il 21.03.2014 comunicazione di inizio lavori di “manutenzione ordinaria”, ma è evidente che i lavori effettivamente eseguiti –per come descritti nella stessa comunicazione (riparazione della corte nel giardino; sostituzione del mattonato appoggiato senza malta cementizia, né leganti; realizzazione di muro di cinta con cancello)– esorbitano dalla manutenzione ordinaria.
3.4. Ciò premesso, le doglianze dedotte dai ricorrenti si rivelano destituite di fondamento giuridico, per le seguenti ragioni:
- non può sostenersi che le opere eseguite (da considerare unitariamente) rientrassero nell’ambito di applicazione della S.C.I.A., cosicché per esse non sarebbe prevista la sanzione demolitoria. Si tratta, invece, di opere necessitanti del previo permesso di costruire, perché comportano una permanente e significativa trasformazione del territorio;
- ed invero, ad avviso della giurisprudenza assolutamente prevalente, la realizzazione di un muro di recinzione in muratura necessita del permesso di costruire, non essendo sufficiente, a tal proposito, la presentazione di una D.I.A./S.C.I.A. (cfr., ex multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 25.09.2013, n. 2017; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 03.04.2012, n. 1542; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 11.09.2009, n. 8644);
- nel caso di specie, come detto, i ricorrenti hanno presentato istanza di permesso di costruire, che, però, ad oggi non risulta rilasciato, né al riguardo è ipotizzabile la formazione del silenzio-assenso, ricadendo l’area oggetto di intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (v. art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380/2001);
- nessuna censura (di contraddittorietà o altro) può essere avanzata nei confronti dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata ai ricorrenti dal Comune di Fondi nel 2013, che “copre” la costruzione della recinzione in cordolo e muratura soltanto dal lato di via L. Cristini, non avendo detta autorizzazione formato oggetto di impugnativa da parte dei ricorrenti;
- l’accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere, ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, non ha nulla a che vedere con la legittimità di queste sotto l’aspetto edilizio, trattandosi di profili che sono e debbono restare del tutto distinti. Pertanto, sono infondate le pretese dei ricorrenti che la P.A. non desse seguito al procedimento sanzionatorio edilizio in pendenza del procedimento ex art. 167 cit., e che l’accoglimento dell’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica comporterebbe la caducazione della demolizione irrogata dal Comune per la verificata mancanza del titolo abilitativo edilizio, e la sua sostituzione con la sanzione pecuniaria;
- per giurisprudenza consolidata (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Latina, Sez. I, 22.12.2014, n. 1100; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 06.06.2013, n. 956; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.09.2010, n. 17302), l’ordinanza di demolizione rappresenta un atto dovuto e rigorosamente vincolato, che può dirsi sorretto da adeguata e sufficiente motivazione, ove la stessa sia rinvenibile già solo nella compiuta descrizione delle opere abusive, nella constatazione della loro esecuzione in mancanza del necessario titolo abilitativo edilizio e nell’individuazione della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento;
- ancora di recente si è precisato (C.d.S., Sez. V, 11.07.2014, n. 3568) che per i provvedimenti di ingiunzione di demolizione di opere edilizie non è necessaria una specifica motivazione, in aggiunta alla descrizione dell’abuso commesso ed alla sua identificazione oggettiva, la quale dia conto anche della valutazione delle ragioni di interesse pubblico sottese alla demolizione, o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: ciò non comporta violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, atteso che il provvedimento deve considerarsi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico attuale e concreto alla sua rimozione, sicché, ricorrendo tali circostanze, la P.A. deve senza indugio emettere l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive.
Questa Sezione, del resto, ha già avuto modo di osservare che l’interesse pubblico in re ipsa alla rimozione degli abusi edilizi consiste nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Latina, Sez. I, 08.09.2015, n. 603; id., 11.12.2013, n. 963).
4. Richiede un ulteriore approfondimento la questione del rapporto tra procedimento di rilascio del parere di compatibilità paesaggistica ex art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004 e procedimento di conformità edilizia delle opere eseguite. Ciò, in ragione del rilascio da parte della Regione Lazio, con determinazione n. 400597 del 29.01.2016, del parere positivo circa la compatibilità delle opere stesse sotto il profilo paesaggistico.
4.1. L’assunto del Collegio poc’anzi illustrato –secondo cui i due procedimenti in questione sono e devono restare distinti ed autonomi– trova conferma, anzitutto, nel dato normativo di riferimento e cioè nello stesso art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, nonché, in secondo luogo, nella determinazione della Regione Lazio del 29.01.2016, ora citata.
4.2. Dalla lettura dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, infatti, si evince che la compatibilità delle opere sotto il profilo paesaggistico –comportando l’applicazione di una sanzione pecuniaria– preclude la rimessione in pristino di esse, prevista per il caso in cui l’autorizzazione paesaggistica manchi o sia negata, ma, certo, non preclude la demolizione dei manufatti ex artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001, per l’abusività degli stessi sotto l’aspetto edilizio.
In questo senso è, poi, decisiva la determinazione della Regione Lazio n. 400597 del 29.01.2016, la quale, nell’accertare la compatibilità dal lato paesaggistico delle opere, al par. 2 del dispositivo recita: “la presente determinazione è rilasciata ai soli fini paesaggistici. Il Comune dovrà accertare, nella propria competenza, l’ammissibilità o meno del progetto in ordine alle vigenti norme urbanistiche ed edilizie e a vincoli di altra natura, nonché alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e sovra comunali”.
4.3. Alla luce di quanto appena visto, non può perciò ammettersi una ricaduta del parere favorevole della Regione (e di quello altrettanto favorevole emesso dalla Soprintendenza) sulla qualificazione dell’intervento sotto l’aspetto edilizio: qualificazione che resta rimessa in via esclusiva alla sfera di attribuzioni del Comune e che, nel caso di specie, appare corretta e condivisibile, visto che le opere eseguite non possono certo ritenersi dei semplici lavori di manutenzione ordinaria rispetto a quanto autorizzato nel 2013.
Dal punto di vista edilizio, appare evidente l’abuso commesso dai ricorrenti, i quali hanno eseguito opere che incidono sull’assetto del territorio, senza alcun titolo edilizio ed anzi in contrasto con l’autorizzazione del 2013: il richiamo, nell’ordinanza impugnata, alla possibilità di chiedere una sanatoria (evidentemente riferito alla sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001), lungi dal denotare un’ulteriore incongruità del provvedimento, come lamentato dai ricorrenti, è invece del tutto coerente con la normativa di settore, poiché l’ottenimento della sanatoria edilizia ex art. 36 cit. precluderebbe i successivi sviluppi del procedimento sanzionatorio, ed in particolare l’acquisizione gratuita.
5. In definitiva, pertanto, il ricorso è nel suo complesso infondato e da respingere (TAR Lazio-Latina, sentenza 18.05.2016 n. 317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro a sostegno di un terrapieno non costituisce costruzione in senso stretto (rilevante, ai fini del rispetto delle distanze rispetto al confine), solo nell’ipotesi in cui sia di modeste dimensioni e abbia l’esclusiva funzione di evitare frane e smottamenti, non anche altre funzioni come la realizzazione di una terrazza.
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Con istanza del 22.01.2008 i ricorrenti avevano chiesto al Comune di Trinità D’Agultu e Vignola l’accertamento di conformità di alcune opere realizzate senza titolo sul lotto n. 40, di loro proprietà, ubicato nella lottizzazione Costa Paradiso; in particolare avevano chiesto la sanatoria di un muro di contenimento alto mt. 1 per contenere il naturale declivio del terreno del lotto e di un altro muro di contenimento realizzato per contenere il materiale utilizzato per il prolungamento della terrazza antistante l’abitazione.
Con il provvedimento impugnato, n. 4503 dell'08.05.2008, il responsabile del settore edilizia privata del Comune ha respinto la domanda per mancato rispetto delle distanze minime dal confine previste dalle N.T.A. del piano di lottizzazione, in relazione ai muri di contenimento realizzati, tra cui quello relativo al terrapieno sul quale è stata realizzata la terrazza.
...
Con il terzo motivo si sostiene che l’obbligo di rispetto delle distanze dal confine, vale soltanto per le opere che sviluppano volume, mentre la terrazza realizzata non creerebbe alcun volume.
La censura è infondata.
Come esattamente osservato dalla difesa del Comune,
il muro a sostegno di un terrapieno non è costruzione nella sola ipotesi in cui sia di modeste dimensioni ed abbia l’esclusiva funzione di evitare frane e smottamenti. Nel caso di specie il muro di contenimento ha un’altezza superiore a due metri ed è stato realizzato per creare una terrazza da parte dei ricorrenti.
I muri di contenimento del terreno di appena un metro, quindi di modeste dimensioni, non rientrano nel concetto di costruzioni, cosicché per essi non vale la regola contenuta nelle N.T.A. del piano di lottizzazione, sul rispetto della distanza di 4 metri dal confine.
Pertanto, in relazione ai muri di altezza fino a metri 1, realizzati per contenere il naturale declivio del terreno, il ricorso deve essere accolto (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 05.05.2016 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2016

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio considera che il detto muretto si caratterizzi come vero e proprio muro di cinta in quanto posto sul confine ed avente una evidente funzione di separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà (tale qualificazione fa venir meno –per quanto mai possa in questa sede rilevarsi e considerarsi, e ferme comunque le autonome valutazioni del giudice civile, competente a quei fini- la questione dell’obbligo di rispettare le distanze legali ai sensi del combinato disposto degli artt. 873 e 878 Cod. civ.).
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In ordine alla verifica di quale titolo edilizio fosse richiesto per la realizzazione va precisato che il Testo unico dell’edilizia (approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380) non contiene indicazioni dirimenti: non vi è detto se il muro di cinta necessiti del permesso di costruire in quanto intervento di nuova costruzione (ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e), e 10 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata di inizio di attività, ai sensi dell' articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell'articolo 49 d.l. 31.05.2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30.07.2010, n. 122).
L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso che più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990.
Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n. 3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel singolo intervento aveva determinato un'incidenza sull'assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Era quella una motivazione puntuale, adattata al caso di specie, confermativa dell’approccio sostanzialista (e non nominalistico) che attribuisce in ogni caso rilievo alla consistenza quali-quantitativa del concreto intervento edilizio sul territorio.
Ciò detto, deve essere conseguentemente qui puntualmente confermato l'orientamento secondo cui, in linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo -invece- il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
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Il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a semplice d.i.a. (ora s.c.i.a.), non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a d.i.a. la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art. 37 T.U. cit., che fa salve le ipotesi degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico).

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1.- Ba.Lo., in proprio e quale titolare della ditta Lo., impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sezione di Parma, 15.01.2015 n. 7 che ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso il provvedimento 16.01.2014 n. 398 dell’Unione Bassa Est Parmense, recante l’ordine di demolizione di opere edilizie (sostanzialmente, di un muretto divisorio in cemento armato) realizzate sine titulo lungo il confine nord del lotto posto all’interno del piano particolareggiato per insediamenti produttivi denominato “Parma Nord” a confine con la proprietà Ca..
L’appellante insiste anche in questo grado nell’assumere la legittimità dell’intervento edilizio, come semplice muretto di recinzione a supporto della rete metallica posta a divisione dei lotti, legittimato dal permesso di costruire n. 17 del 20.06.2003 rilasciato per la realizzazione del capannone e dalla delibera del Comune di Mezzano 27.06.2002, n. 27 recante l’approvazione delle opere dell’intero comparto a destinazione artigianale-industriale.
Conclude l’appellante per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado e per l’annullamento dell’atto in quella sede gravato, in riforma della impugnata sentenza.
Si è costituita in giudizio l’Unione Bassa Est Parmense per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno scambiato memorie illustrative e memorie di replica in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 01.12.2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3.- L’ordine di demolizione impugnato in primo grado riguarda un muretto in cemento armato posto sul lato nord del lotto in titolarità dell’odierna società appellante, a confine con proprietà Ca..
La demolizione è stata disposta dall’odierna amministrazione appellata sull’assunto che quel muro sia stato realizzato dagli originari titolari del lotto (M.. L. & F. s.p.a.) senza la previa acquisizione del permesso di costruire.
Gli argomenti qui controversi riguardano:
a) la natura giuridica del muro, se in particolare si tratti di muro di cinta ovvero di muro di contenimento del terreno (in quella parte ad andamento declive) e, in quest’ultima ipotesi, se superi o non superi in altezza il piano di campagna;
b) le connesse questioni inerenti il tipo di titolo legittimante l’intervento e la corretta sanzione da applicare, ove fosse mai stata necessaria la previa acquisizione di un titolo. In sostanza, se la sanzione reale della riduzione in pristino impugnata con il ricorso di primo grado sia sanzione appropriata in relazione al profilo di pretesa abusività contestato.
Il giudice di primo grado è pervenuto all’adozione della gravata sentenza reiettiva ritenendo che il muro divisorio non potesse qualificarsi come muro di solo contenimento del terreno: e tanto vuoi perché il riempimento della scarpata sarebbe ascrivibile ad opera dell’uomo (e quindi non si tratterebbe di un terrapieno “naturale”), vuoi perché il muro risulterebbe eretto ad una quota, al colmo, senz’altro superiore al piano di campagna. Di qui la ritenuta congruità della sanzione demolitoria dell’opera, qualificata come nuova costruzione e come tale priva di titolo edilizio in quanto mai assentita con permesso di costruire.
4.- Il Collegio ritiene che tali conclusioni non siano da condividere e che non resistano alle censure dedotte dalla appellante.
In particolare, il Collegio considera che il detto muretto si caratterizzi come vero e proprio muro di cinta (come del resto accertato dalla relazione di consulenza tecnica nel giudizio civile dinanzi al Tribunale di Parma promosso dal confinante Ca. nei confronti dell’odierno appellante) in quanto posto sul confine ed avente una evidente funzione di separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà (tale qualificazione fa venir meno –per quanto mai possa in questa sede rilevarsi e considerarsi, e ferme comunque le autonome valutazioni del giudice civile, competente a quei fini- la questione dell’obbligo di rispettare le distanze legali ai sensi del combinato disposto degli artt. 873 e 878 Cod. civ.).
Si può prescindere, sulla base delle considerazioni in diritto che si svolgeranno più avanti, dall’approfondire qui la questione in fatto se detto muro sia svolga anche la funzione pratica di muro di contenimento di un terreno naturalmente in declivio (assunto che varrebbe, secondo la prospettazione, ad escludere la rilevanza della previa acquisizione di un titolo legittimante la sua erezione).
Ciò posto in termini di qualificazione giuridica, il Collegio ritiene che prima di affrontare la questione della legittimità dell’ordinanza di demolizione vada preliminarmente verificato quale titolo edilizio fosse richiesto per la realizzazione.
Il Testo unico dell’edilizia (approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380) non contiene indicazioni dirimenti: non vi è detto se il muro di cinta necessiti del permesso di costruire in quanto intervento di nuova costruzione (ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e), e 10 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata di inizio di attività, ai sensi dell'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell' articolo 49 d.l. 31.05.2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30.07.2010, n. 122).
5.- L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso che più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es. Cons. Stato, VI, 04.07.2014 n. 3408).
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2621).
Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n. 3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel singolo intervento aveva determinato un'incidenza sull'assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Era quella una motivazione puntuale, adattata al caso di specie, confermativa dell’approccio sostanzialista (e non nominalistico) che attribuisce in ogni caso rilievo alla consistenza quali-quantitativa del concreto intervento edilizio sul territorio.
Ciò detto, deve essere conseguentemente qui puntualmente confermato l'orientamento secondo cui, in linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo -invece- il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
6.- Venendo al caso che ne occupa, si deve anzitutto rilevare che il muro divisorio di che trattasi risulta di altezza tanto modesta da essere visivamente percepito solo dal lato della proprietà Ca., essendo dall’altra parte completamente neutralizzato, sul piano dell’impatto visivo, dal terrapieno che copre il muro per quasi tutta la sua altezza.
Per conseguenza, l'impatto sortito dal manufatto in parola sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza sole che si consideri che -come emerge dal materiale fotografico acquisito- lo stesso manufatto supera di poco (al di là della sua maggiore o minore percezione visiva a seconda del versante prospettico) il piano di campagna; e che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di proprietà è in concreto assicurata da una rete metallica infissa sul predetto muro (sulla legittimità del titolo alla apposizione della rete metallica non si è fatta qui questione, l’ordine di abbattimento avendo riguardato il solo muro portante).
Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non rappresenta un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio: tanto più se si considera che il giudizio è necessariamente relazionale rispetto al concreto contesto e che, nella specie, queste opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto comparto a destinazione artigianale-industriale.
La rilevanza di cui si verte, ai fini della rammentata capacità trasformativa, va invero considerata in modo proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non risultarlo altrove. E non vi è dubbio che un contesto come quello di un comparto a destinazione artigianale- industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la medesima opera in un contesto abitativo.
Da quanto sopra consegue che il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a semplice d.i.a. (ora s.c.i.a.), non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a d.i.a. la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art. 37 T.U. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti, degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come “A” dallo strumento urbanistico).
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguenziale annullamento degli atti in quella sede gravati (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.01.2016 n. 10 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: LA RECINZIONE DI UN FONDO RUSTICO NON RICHIEDE IL P.D.C. SOLO QUANDO VENGA ATTUATA CON OPERE NON PERMANENTI.
In tema di reati edilizi, la recinzione di un fondo rustico non necessita del permesso di costruire solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti, mentre il provvedimento abilitativo è sempre richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la zoccolatura di calcestruzzo.
La S.C. si sofferma, con la sentenza in esame, sulla questione della possibilità di eseguire l’intervento di recinzione di un fondo rustico senza necessità di richiedere preventivamente il permesso di costruire.
La vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte per affrontare la questione segue alla sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell’imputato per aver recintato il fondo agricolo di circa mq. 2.000 costruendovi abusivamente un muro di cinta alto circa mt. 2,75. Contro la sentenza, proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, dolendosi per il fatto che, come confermato dal responsabile dell’ufficio tecnico comunale, il Comune non aveva mai richiesto per tale tipo di opere il permesso di costruire, sicché, ad avviso della difesa, era stato illegittimamente disapplicato dal giudice il provvedimento autorizzativo così ottenuto.
La Corte, nel respingere il ricorso, ha affermato il principio di cui in massima, confermando la sentenza di condanna ed escludendo che si potesse trattare di intervento edilizio non subordinato a permesso di costruire. In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e) (Cass. pen., Sez. III, 11.11.2014, n. 52040, in CED, n. 261521). 
In particolare, nel valutare la realizzazione di un muro di recinzione in cemento armato di dimensioni ben più modeste di quello che ci occupa, si è affermata la necessità della concessione edilizia (oggi permesso per costruire) di fronte all’erezione al confine di un fondo rustico di un muro in cemento armato, o comunque in mattoni e malta cementizia, anche alto fuori terra solo ottanta centimetri, affermandosi, invece, che la concessione non è necessaria se la recinzione è realizzata con opere non permanenti, quali ad esempio semplici paletti conficcati nel terreno e filo spinato o un muretto cosiddetto a secco (Cass. pen., Sez. III, 25.01.1988, n. 5395, in CED, n. 178306) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.12.2015 n. 50447 - Urbanistica e appalti 3/2016).

novembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra costruzioni, la Cassazione sui fondi con dislivelli.
In caso di modifica al piano di campagna, l’altezza del muro di confine va misurata computandovi il terrapieno creato artificialmente.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la realizzazione di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario posizionamento del terreno prima dell'innalzamento.
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2. - Con il secondo motivo (erronea applicazione di norme di legge; erronea e contraddittoria motivazione; erronea valutazione di un elemento essenziale attinente alle risultanze istruttorie) ci si duole che la Corte d'appello abbia ritenuto illegittima l'altezza del muro di recinzione perché, pur realizzato all'altezza prevista dalla norma all'epoca in vigore, questa sarebbe stata calcolata rispetto alla nuova situazione di fatto derivante dalla mutazione del piano di campagna.
Il motivo si conclude con il quesito "se dall'esecuzione di opere di livellamento dà fondi limitrofi, con alterazione degli originari piani di campagna, derivi il conseguente obbligo di limitare l'altezza dei muri di confini in relazione al dislivello raggiunto dai fondi a seguito del mutamento del piano di campagna".
2.1. - Il motivo è infondato.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la realizzazione di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario posizionamento del terreno prima dell'innalzamento (cfr. Cass., Sez. Il, 24.06.2003, n. 9998; Cass., Sez. Il, 04.06.2010, n. 13628) (Corte di Cassazione, Sez. II, civile, sentenza 24.11.2015 n. 23934).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina delle distanze o del regime autorizzativo delle nuove costruzioni.
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1. Nel presente giudizio è controversa la legittimità degli atti mediante i quali le competenti amministrazioni –ciascuna per la parte di proprio intervento– hanno assentito la realizzazione di un’opera presso il cortile della proprietà del sig. Vi.Ga., ubicato sulla via ... in territorio del Comune di Cannobio (VB), in zona vincolata paesaggisticamente, e consistente nell’apertura di un nuovo passo carraio e livellamento del terreno (ai fini di ospitare il parcheggio di autovetture).
A contestare le opere sono i ricorrenti vicini di casa, la cui proprietà è confinante con quella del sig. Ga., i quali sostengono trattarsi, in realtà, della realizzazione di un nuovo terrapieno, con muri di contenimento alti fino a 90 cm., in violazione delle prescrizioni urbanistiche di zona nonché delle disposizioni di legge in materia di autorizzazione paesaggistica e di edificazione di nuove costruzioni.
...
3.2. Quanto alla reale consistenza dell’intervento, deve osservarsi quanto segue.
Le tavole di progetto depositate in giudizio, nel raffronto tra ante e post operam (si vd., in particolare, le tavole allegate all’istanza di autorizzazione paesaggistica, sub doc. n. 3 del controinteressato – quelle della comunicazione di inizio lavori, depositate dai ricorrenti sub doc. 14, sono invece illeggibili nei valori rilevanti), indicano chiaramente che la differenza massima in altezza derivante dall’esecuzione delle opere, rispetto allo stato originario dei luoghi, tocca i 40 cm.: all’interno del cortile della proprietà Gallotti, infatti, si indicava come valore originario quello di “+1075”, nel punto più vicino alla via ..., e di “+1050”, nel punto immediatamente più a nord; laddove, nel progetto del post operam, quei valori sono sostituiti, rispettivamente, da “+1095” e da “+1090”, e dunque con un’altezza maggiore prevista di soli +20 e +40 cm.
In merito i ricorrenti sostengono che quei valori di altezza sarebbero stati falsamente rappresentati dal progettista, come sarebbe dimostrato dal “cumulo di terra incolta” raffigurato nella documentazione fotografica allegata alla comunicazione di inizio lavori (loro doc. n. 12), circostanza che –a loro dire– sarebbe sintomatica del fatto che solo di recente era stata ivi riportata della terra proprio allo scopo di innalzare artificialmente il suolo e di falsare, così, le successive risultanze.
Tuttavia i ricorrenti non provano quanto asseriscono; nessuna certezza può invero desumersi dalla richiamata documentazione fotografica, né tantomeno dal raffronto di essa con la foto depositata sub doc. n. 7 (rappresentativa dello stato dei luoghi prima del denunciato riporto di terra; fotografia, peraltro, scattata da una distanza oggettivamente inidonea a rendere chiaramente quanto sostenuto dai ricorrenti), elementi dai quali non è affatto desumibile né che l’originaria altezza dei luoghi misurasse solo +1000 cm. né che ci sia effettivamente stato, nelle condizioni di tempo denunciate dai ricorrenti, l’apposito “riporto di terra” volto a modificare artificiosamente lo stato dei luoghi. Nonostante, pertanto, che la relazione descrittiva parlasse della realizzazione di un nuovo “terrapieno”, e nonostante che la documentazione fotografica depositata dai ricorrenti faccia presumere, a prima vista, un non trascurabile impatto visivo dell’innalzamento realizzato, quest’ultimo in realtà –così come emerge dalle raffigurazioni e dalle misurazioni oggettive indicate nelle tavole di progetto– non presenta le caratteristiche tipiche del “nuovo terrapieno”, quali in particolare ricostruite dalla giurisprudenza amministrativa, e non rientra pertanto nel concetto di “nuova costruzione”.
In proposito, si deve ricordare che, secondo la costante giurisprudenza, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina delle distanze o del regime autorizzativo delle nuove costruzioni (cfr., tra le tante, TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 2721 del 2013).
Nel caso di specie, il naturale declivio del terreno, già esistente in precedenza, è stato oggetto solo di un’opera di livellamento e di minimo innalzamento (si ripete, per la sola misura di +40 cm., nel punto più alto), con pavimentazione, realizzazione di appositi muretti di sostegno e complessiva funzionalizzazione al parcheggio di autoveicoli, opera che, per tali oggettive caratteristiche, secondo il Collegio rientra appieno nella definizione di cui all’art. 6, comma 2, lett. c, del d.P.R. n. 380 del 2001 (“opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta”), con la conseguenza di rientrare tra le attività edilizie libere realizzabili con mera comunicazione di inizio lavori
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.11.2015 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: Tar Campania. Muri cinta. Distanze in libertà.
Muro di cinta o di contenimento? C'è una bella differenza: il primo rappresenta una mera recinzione e non risulta soggetto alle distanze minime fra costruzioni, il secondo serve a contenere il dislivello fra due fondi e dunque costituisce un'opera vera e propria, assoggettata al regime di concessione edilizia, con obbligo di demolizione in caso di inosservanza.

È quanto emerge dalla sentenza 11.09.2015 n. 1992, che è stata pubblicata dalla II Sez. del TAR Campania-Salerno.
Tutela del territorio
Non ha buon gioco il proprietario del fondo nel tentativo di far demolire le opere realizzate dal vicino. È vero: soltanto il muro di cinta può essere considerato una mera pertinenza dell'immobile e dunque risultare sottratto al rispetto delle distanze legali. E ciò perché non altera la conformazione del terreno ma serve soltanto a delimitare e proteggere la proprietà privata, con eventuali abbellimenti.
Il muro di contenimento, invece, può ben essere utilizzato come recinzione ma costituisce comunque un'opera autonoma perché nasce per evitare danni in caso di frane.
Nella specie, tuttavia, la distinzione non è utile a dirimere la controversia: anche il muro di contenimento può sorgere sul confine se il terreno del vicino risulta «inedificato» e le norme di attuazione del piano urbanistico comunale sono ispirate al principio della prevenzione per la tutela del territorio rimandando alle disposizioni del codice civile. Spese di giudizio compensate per la peculiarità della questione (articolo ItaliaOggi del 30.09.2015).
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MASSIMA
2.- Il gravame è, per contro, tempestivo in relazione ai profili di doglianza attinenti l’autorizzazione alla variatio del progetto edificatorio, non essendo stata dimostrata (giusta il consueto canone probatorio, gravante sulla parte eccipiente) la effettiva risalenza temporale della relativa e piena percezione della concreta e specifica lesività delle opere assentite.
Siffatte doglianze si appuntano, in sostanza, sulla autorizzazione alla realizzazione, in asserita violazione del regime legale delle distanze, di un muro posto al confine con la proprietà del ricorrente.
Sul punto, l’intero apparato critico si fonda sul presupposto –diffusamente argomentato– della distinzione tra “muro di cinta” o “di recinzione” (concretante pertinenza dell’unità immobiliare e, come tale, sottratto, in assenza di autonomia sotto il profilo costruttivo, al rispetto delle distanze legali) e “muro di contenimento”.
Nella specie, a dispetto della qualificazione effettuata dall’interessato, si tratterebbe di un muro della seconda specie, in quanto finalizzato a contenere un dislivello non preesistente, ma frutto della contestata iniziativa edificatoria.
È noto, invero, giusta il diffuso orientamento giurisprudenziale in subiecta materia, che per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), d.l. 05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in l. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 08.04.2014, n. 1651).
Ne discende che,
in caso di dislivello derivante dall'opera dell'uomo, sono da considerare costruzioni in senso tecnico-giuridico, rientranti nell'art. 873 c.c., il terrapieno ed il relativo muro di contenimento, che lo abbiano prodotto, o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi; è pertanto illegittimo il provvedimento di accertamento di conformità richiesto con d.i.a. a sanatoria in relazione a lavori oggetto di d.i.a. in variante al permesso di costruire, ove venga in rilievo un muro di fabbrica -di altezza superiore a tre metri, e dunque non considerabile quale muro di cinta ex art. 878 c.c.- recante sostegno di un terrapieno e posto a una distanza dal confine laterale inferiore ai mt. 3 prescritta dall'art. 873 c.c. (in termini, TAR Lazio Latina, sez. I, 05.05.2014, n. 324).
Così posta la questione, la controversia andrebbe, in tesi astratta, risolta sull’accertamento, in punto di fatto, della effettiva natura e consistenza del muro oggetto del contestato provvedimento abilitativo (che parte ricorrente –assumendo artificialmente mutato il dislivello tra i fondi finitimi– ritiene, per l’appunto, muro di contenimento).
Tuttavia, osserva il Collegio come il punto, in concreto, non appaia nella specie decisivo, in quanto, ai sensi dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione del PUC di Caposele, per le zone B2, di completamento del tessuto urbano moderno la distanza dal confine risulta regolata con espresso richiamo alle disposizioni dettate in materia dal codice civile, le quali si ispirano e valorizzano il c.d. principio della prevenzione.
Con il che, in buona sostanza –essendo in concreto incontestato che il fondo di proprietà del ricorrente è, allo stato, inedificato– il muro in contestazione, quand’anche dovesse qualificarsi, per le sua concrete caratteristiche, nuova costruzione, potrebbe legittimamente essere collocato, come dal titolo, in contestazione, sulla linea di confine tra i fondi.

luglio 2015

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della conformità alle distanze legali, non è considerato come costruzione il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a circoscrivere il fondo, adempie anche alla funzione di supporto e contenimento del declivio naturale; qualora invece il dislivello sia di origine artificiale, è da considerarsi quale costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che rivesta in modo permanente e definitivo anche la funzione di contenimento di un terrapieno creato dall’opera dell’uomo.
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Il ricorrente impugna il parere del Comune di Fossacesia al SUAP Sangro Aventino, espresso in merito a istanza di permesso di costruire in sanatoria riferita a talune opere eseguite nell’ambito di un capannone artigianale e relative pertinenze in difformità dai vari titoli edilizi in precedenza rilasciati, nella parte in cui prescrive che una di tali opere (sopraelevazione di un muro a confine con altra proprietà di cui a DIA 4421/1997) venga ricondotta allo stato di cui alla DIA entro il termine previsto dall’ingiunzione di demolizione in precedenza notificata. Ciò in base alla considerazione che la suddetta sopraelevazione può “configurarsi come muro di contenimento capace di incidere sull’osservanza delle distanze”.
...
Considerato che il Comune si è costituito in giudizio senza controdedurre, il Collegio rileva:
   - che è pacifico in atti che il muro in questione ha altezza inferiore a tre metri, per cui “non è considerato per il computo della distanza indicata dall’art. 873” (art. 878 c.c.) e che non sono contestate le risultanze della relazione tecnica in atti, da cui si evince che “la sopraelevazione del muro in questione non ha prodotto alcun incremento del dislivello preesistente tra i due fondi/aree attigui, avendo determinato semplicemente un diverso profilo della scarpata di delimitazione del rilevato già presente”;
   - che è pertanto immotivato, rispetto al principio secondo cui “nel caso, peraltro, di fondi a dislivello, nei quali adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata; pertanto, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale, mentre nel caso di dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo” (Cass. 8144/2001), l’assunto secondo cui il predetto muto è “capace di incidere sull’osservanza delle distanze”;
   - che il predetto rilievo manifesta l’illegittimità della condizione apposta e ne determina l’annullamento, con ciò determinando l’assorbimento del secondo profilo sopra riportato;
   - che, in ordine alla domanda di annullamento dell’atto nella parte in cui viene richiesto il preventivo parere della Soprintendenza beni archeologici, il Collegio rileva che l’Amministrazione statale interessata non è stata evocata in giudizio, il che determina l’inammissibilità della censura in quanto il suo esito è in grado di produrre effetti anche sull’interesse pubblico che fa capo alla predetta Soprintendenza.
In tali limiti il ricorso va accolto, con annullamento dell’atto impugnato nei limiti indicati in motivazione (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.07.2015 n. 296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2015

EDILIZIA PRIVATA: In tema di proprietà e confini, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell’osservanza delle distanze legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento di un terrapieno (Cfr. Cass. civ. 15.06.2001 n. 8144) (TRIBUNALE di Massa, Sez. civile, sentenza 29.05.2015 n. 606).

EDILIZIA PRIVATA: Trattandosi di uso non consentito della cosa comune e non di violazione di distanze perde rilievo la tematica relativa alla qualifica di costruzione o meno da dare al così detto“terrapieno” del convenuto: infatti ciò che rileva in questa sede è che il comproprietario si è in ogni caso appropriato di un bene comune e lo ha assoggettato al suo uso e godimento esclusivo, sottraendolo al pari uso dell’attrice. Va dunque accolta la domanda di rivendica e restituzione della parte del mappale illegittimamente occupata dall’edificio del convenuto e del terzo chiamato, con condanna degli stessi alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mediante rimozione della parte di edificio di loro proprietà che ricade nella proprietà comune.
Essendo in ogni caso la costruzione dei convenuti a distanza legale da quella dell’attrice questa non può lamentare alcun danno tipico da violazione distanze legali (ad es. minor luce, minor aria, minor amenità del suo fondo e della sua abitazione) ma solo il danno eventualmente derivante dall’essere stato il mappale in parte destinato ad un uso esclusivo; il che tuttavia non si vede quale danno in concreto possa aver cagionato all’attrice la quale ha comunque potuto continuare a godere della scala che insiste sull’altra parte di esso per accedere e recedere dalla propria abitazione
(TRIBUNALE di Genova, Sez. III civile, sentenza 14.05.2015 n. 1501).

EDILIZIA PRIVATAE' necessaria la preventiva acquisizione del permesso di costruire per la realizzazione di un muro di recinzione allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare, come nel caso di specie sia per dimensioni che per materiali impiegati (muro alto 1,10 m. con sovrastante ringhiera in metallo di metri 0,80), l'assetto urbanistico del territorio, rientrando nel novero degli interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Per quel che concerne, infine, le opere di cui al punto 3, il Collegio non può che riaffermare, tenuto conto della consistenza dell’opere di recinzione (muro alto 1,10 m. con sovrastante ringhiera in metallo di metri 0,80) la necessaria preventiva acquisizione del permesso di costruire, tenuto conto che la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare, come nel caso di specie sia per dimensioni che per materiali impiegati, l'assetto urbanistico del territorio, rientrando nel novero degli interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 12.05.2015 n. 6886 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2015

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è consolidata nel ritenere che soltanto la realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba essere preceduta da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione di Cons. Stato Sez. V, 26.10.1998, n. 1537, secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, (e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione di ius utendi più che di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30.09.1988), secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo”.

... per l'annullamento ordinanza prot. n. 510 del 17/02/2014 a firma del responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Laurino, recante ingiunzione di demolizione/rimozione della recinzione consistente in 5 paletti in ferro collegati da tre file di catena metallica, realizzata sulla particella n. 903 del foglio 8 di proprietà del ricorrente; di ogni atto connesso.
...
5.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento alla stregua delle considerazioni che seguono.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che soltanto la realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba essere preceduta da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione di Cons. Stato Sez. V, 26.10.1998, n. 1537, secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, (e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione di ius utendi più che di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30.09.1988), secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo” (cfr. in aggiunta Cass. pen., sez. III, 02.10.2010, n. 41518; sez. III, 13.12.2007).
Nella fattispecie, come risulta dall’atto impugnato “siamo in presenza di una recinzione, senza opere murarie, costituita da tre file di catena metallica sorrette da 05 paletti in ferro, rientrante nella categoria delle opere precarie…in zona classificata “B” – completamento dal vigente Programma di Fabbricazione, che non incide sull’assetto del territorio e priva di impatto ambientale” e cioè di un’opera che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento non comporta un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale.
Da qui l’accoglimento della prima censura, nonché della seconda censura, a mente delle cui indicazioni la modesta recinzione in questione, siccome caratterizzata dalla finalità di azionare lo ius excludendi omnes alios e non anche lo ius aedificandi, non poteva essere sanzionata con l’ingiunzione di demolizione, bensì con una sanzione pecuniaria ex art. 37 dpr n. 380/2001.
Può concludersi per l’accoglimento del ricorso, previa reiezione della terza ed ultima censura, relativa alla invocata motivazione in ordine al lasso di tempo intercorso tra la sua realizzazione ed il suo accertamento, per le considerazioni espresse da Cons. St. Sez. V 09.09.2013 n. 4470 (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 22.04.2015 n. 887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2015

EDILIZIA PRIVATA: L’esenzione dal rispetto delle distanze fra costruzioni di cui all'art. 878 cod.civ. si applica anche ai muri di cinta quando l'altezza sia superiore a tre metri.
L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo.
Per "costruzione", dunque, si intende qualsiasi manufatto dotato di stabilità, solidità ed immobilizzazione al suolo che abbia caratteristiche comunque tali da non poter rientrare nella qualifica di "muro di conta". Questi ultimi infatti sono connotati dall'avere una altezza massima di tre metri da misurarsi dal piano di campagna, altezza che, nella fattispecie, risultava superata
(massima tratta da www.e-glossa.it).
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1.- Il primo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e 878 cod. civ., censura la decisione gravata che, nell'escludere la natura di costruzione del muro realizzato nella proprietà della ricorrente, non aveva tenuto conto che si trattava di un muro di altezza superiore ai tre metri e Che, come tale, non poteva qualificarsi come muro di cinta, che non viene considerato al fine dell'osservanza delle distanze legali.
2.- Il secondo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e 934 cod. civ., deduce che, una volta accertato che il muro-costruzione era di proprietà della convenuta, perché edificato all'interno della sua proprietà, non avrebbero potuto trovare applicazione le norme sulle distanze legali in relazione a un opera -la tettoia- che era stata realizzata all'interno di costruzione preesistente.
3. - Il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 115, 2729 e 950 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove avrebbe ritenuto che il muro de quo non sarebbe all'interno della proprietà di essa ricorrente, facendo riferimento alle mappe catastali, senza peraltro esaminarle in relazione agli altri elementi probatori e in particolare quanto emerso dalla descrizione compiuta dal consulente tecnico.
4.- Il quarto motivo denuncia sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione le doglianze formulate con il terzo motivo.
5.- I motivi -che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente- sono infondati.
La sentenza, nel verificare l'inosservanza delle distanze dal confine prescritte dallo strumento urbanistico locale della tettoia edificata dalla convenuta, ha respinto la tesi dell'appellante secondo cui la tettoia non sarebbe soggetta al rispetto del distacco, in quanto collocata all'interno del muro-costruzione di proprietà della stessa convenuta; al riguardo i Giudici hanno escluso:
a) innanzitutto che fosse stata fornita la prova che detto muro ricadesse all'interno della proprietà attorea;
b) in ogni caso, anche ove si fosse accolta tale tesi, che lo stesso potesse essere considerato costruzione, dovendo piuttosto qualificarsi come muro di cinta, attesa la funzione di delimitazione dei fondi; pertanto, il manufatto edificato all'interno avrebbe dovuto rispettare la distanza dal confine.
Orbene, la decisione è corretta, posto che
un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha determinate caratteristiche: destinazione a recingere una determinata proprietà, altezza non superiore a tre metri, emergere dal suolo ed avere entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali caratteristiche è applicabile la disciplina prevista dall'art. 878 cod. civ. e dalle norme di esso integrative, in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni; tuttavia, tale normativa si applica anche nel caso in cui si abbia un manufatto in tutto o in parte carente di alcune di esse, purché sia idoneo a delimitare un fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass. 8671/2001; 2940/1992).
Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha escluso che il muro de quo potesse essere considerato costruzione al fine del calcolo delle distanze
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 16.02.2015 n. 3037).

gennaio 2015

EDILIZIA PRIVATAIl muro di contenimento di un terrapieno artificiale deve essere considerato ai fini del rispetto delle distanze previste dal c.c. come nuova costruzione.
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Invero, nella specie è accaduto che la modifica intervenuta tra il muretto originariamente previsto e quello poi realizzato ha mutato la natura giuridica del manufatto edilizio, facendolo passare da elemento esteriore di recinzione della proprietà (che non pone un problema di rispetto delle distanze dal confine) a “muro di contenimento” qualificabile come “costruzione” e che deve quindi rispettare la distanza dal confine di proprietà, secondo la disciplina di cui all’art. 104 del R.E.; quest’ultima norma prevede che la distanza minima degli edifici dai confini “dovrà essere pari alla metà della distanza prevista tra gli edifici dalle norme di zona e potrà essere variata solamente nel caso in cui tra i confinanti si stabilisca una convenzione, per atto pubblico, in base alla quale venga assicurato il rispetto della distanza prescritta tra gli edifici”, norma di zona che (per stessa ammissione di parte ricorrente) deve essere individuata nell’art. 28 delle NTA al RE, relativo alla zone di completamento B1, che richiama l’art. 9 del DM 1444 del 1968 (quindi distanza tra edifici di 10 metri e distanza dai confini pari a 5 metri), con il risultato che la suddetta distanza sicuramente non è rispettata nel caso di specie, essendo l’opera realizzata sul confine.

Con la censura in esame i ricorrenti contestano il punto centrale della motivazione dell’Amministrazione e cioè si dolgono della qualificazione del muro così come realizzato quale “fabbricato” e quindi come opera chiamata a rispettare le distanze dai confini di proprietà.
La censura è infondata.
La Sezione ha avuto modo di affermare recentemente (sentenza 12.06.2014, n. 1028), con statuizione che il Collegio ribadisce, che “il muro di contenimento di un terrapieno artificiale debba essere considerato ai fini del rispetto delle distanze previste dal c.c. come nuova costruzione (TAR Genova sez. I, 21/11/2013 n. 1406; Cassazione civile sez. II 13.05.2013 n. 11388)”; dunque nella specie è accaduto che la modifica intervenuta tra il muretto originariamente previsto e quello poi realizzato ha mutato la natura giuridica del manufatto edilizio, facendolo passare da elemento esteriore di recinzione della proprietà (che non pone un problema di rispetto delle distanze dal confine) a “muro di contenimento” qualificabile come “costruzione” e che deve quindi rispettare la distanza dal confine di proprietà, secondo la disciplina di cui all’art. 104 del R.E.; quest’ultima norma prevede che la distanza minima degli edifici dai confini “dovrà essere pari alla metà della distanza prevista tra gli edifici dalle norme di zona e potrà essere variata solamente nel caso in cui tra i confinanti si stabilisca una convenzione, per atto pubblico, in base alla quale venga assicurato il rispetto della distanza prescritta tra gli edifici”, norma di zona che (per stessa ammissione di parte ricorrente) deve essere individuata nell’art. 28 delle NTA al RE, relativo alla zone di completamento B1, che richiama l’art. 9 del DM 1444 del 1968 (quindi distanza tra edifici di 10 metri e distanza dai confini pari a 5 metri), con il risultato che la suddetta distanza sicuramente non è rispettata nel caso di specie, essendo l’opera realizzata sul confine
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.01.2015 n. 122 - link a www.giustizia-amminitrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl manufatto per cui è causa non può ricondursi alla nozione del muro di cinta, atteso che non assolve la mera funzione di delimitare la proprietà ma anche quella di contenimento del terreno, tale da consentire l'edificazione ad una quota diversa rispetto a quella naturale.
Invero, per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), D.L. 05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione.

In altri termini il tecnico del ricorrente riferisce che esisteva un dislivello fra i due terreni: circostanza che trova conferma nelle foto n. 9 e n. 13 allegate alla relazione.
Risulta, dunque, documentata per tabulas la preesistenza del dislivello successivamente colmato con terreno di riporto fino a rendere pianeggiante la quota di calpestio del terreno del ricorrente.
Da ciò discende che il manufatto per cui è causa non può ricondursi alla nozione del muro di cinta, atteso che non assolve la mera funzione di delimitare la proprietà ma anche quella di contenimento del terreno, tale da consentire l'edificazione ad una quota diversa rispetto a quella naturale.
Invero, “per muro di cinta, nella dizione contenuta nell'art. 4, comma 7, lett. c), D.L. 05.10.1993 n. 398, convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493, e sostituito per effetto dell'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996 n. 662, devono intendersi le opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà; ben diversa è invece la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso e quindi devono necessariamente presentare una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive. Di conseguenza il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, sotto il profilo edilizio è un'opera ben più consistente di una recinzione in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale; il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio, sia la legittimità della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione” (Cons. Stato, sez. V, 08.04.2014, n. 1651; v. anche TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 14.02.2013, n. 145; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.11.2012, n. 2687; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 26.10.2012, n. 4275)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 15.01.2015 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATALa valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
Pertanto se per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, o per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, per la realizzazione di una recinzione in muratura (come quella in questione che è peraltro sovrapposto da barriere metalliche e munita di cancello d'accesso) è necessario il permesso di costruire, incidendo l’opera in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.

Infine, quanto al muretto di cinta frontale sovrapposto da barriere metalliche, al cancello d'accesso, e al muro divisorio centrale, sempre stante quanto indicato, il Collegio aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui opere simili necessitano del permesso di costruire.
In particolare, la giurisprudenza cui ci si richiama afferma che la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Pertanto se per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, o per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio (TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; TAR Lazio Roma, sez. II, 05.11.2004, n. 12554; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2003, n. 6196), per la realizzazione di una recinzione in muratura (come quella in questione che è peraltro sovrapposto da barriere metalliche e munita di cancello d'accesso) è necessario il permesso di costruire, incidendo l’opera in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897; TAR Liguria Genova, Sez. I, 11.09.2002, n. 961) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 24.07.2014 n. 4205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sfugge al Collegio un orientamento secondo cui la realizzazione di muri di cinta di altezza inferiore a tre metri (articolo 878 del Codice civile) sarebbe in ogni caso assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990.
Il Collegio, tuttavia, osserva anzitutto che la norma di cui all’art. 878 del Codice civile attiene ai rapporti interprivati nelle costruzioni (non di cognizione del giudice amministrativo), mentre qui si tratta di identificare il tipo di titolo edilizio in rapporto all’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio; e ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a coniugare il richiamato orientamento con quello secondo cui la configurabilità di un intervento edilizio quale ‘nuova costruzione’ (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) debba essere valutata secondo un’ottica sostanziale, avendo prioritario riguardo all’effettiva idoneità del singolo intervento a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie del territorio.
In particolare, indipendentemente dal dato meramente quantitativo relativo all’altezza del manufatto (nel caso di specie l’appellante riferisce un’altezza al colmo pari a 1,70 mt.), appare necessario il permesso di costruire nelle ipotesi in cui il singolo intervento determini un’incidenza sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Si tratta di un’evenienza che ricorre nel caso in esame, dal momento che –come condivisibilmente osservato dal primo giudice– il muro di cinta qui non assume una mera funzione di difesa della proprietà da ingerenze materiali, vale a dire una funzione strumentale all’esercizio del ius excludendi alios (il che sarebbe stato possibile anche attraverso la realizzazione di una semplice cancellata), ma dà luogo a una significativa e permanente trasformazione territoriale attraverso un consistente manufatto caratterizzato da un rilevante ingombro visivo e spaziale, incidente sul deflusso delle acque e condizionante il passaggio dell’aria, di per sé non indispensabile in relazione alla dichiarata funzione di semplice protezione della proprietà.
Sotto questo aspetto, deve essere qui puntualmente confermato l’orientamento secondo cui se è vero che la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) laddove non superi in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorre –invece- il permesso di costruire, ove detti interventi superino (come nel caso in esame) tale soglia.

2. L’appello è infondato.
2.1. Risulta dirimente ai fini della presente decisione stabilire se l’intervento edilizio rientrasse fra quelli di nuova costruzione (di cui agli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380) per i quali è richiesto il rilascio del permesso di costruire ovvero fra quelli per i quali è richiesta unicamente la denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata di inizio di attività ai sensi dell’articolo 19 della l. 07.08.1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell’articolo 49 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30.07.2010, n. 122).
Al riguardo non sfugge al Collegio un orientamento secondo cui la realizzazione di muri di cinta di altezza inferiore a tre metri (articolo 878 del Codice civile) sarebbe in ogni caso assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2621).
Il Collegio, tuttavia, osserva anzitutto che la norma di cui all’art. 878 del Codice civile attiene ai rapporti interprivati nelle costruzioni (non di cognizione del giudice amministrativo), mentre qui si tratta di identificare il tipo di titolo edilizio in rapporto all’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio; e ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a coniugare il richiamato orientamento con quello secondo cui la configurabilità di un intervento edilizio quale ‘nuova costruzione’ (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) debba essere valutata secondo un’ottica sostanziale, avendo prioritario riguardo all’effettiva idoneità del singolo intervento a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie del territorio.
In particolare, indipendentemente dal dato meramente quantitativo relativo all’altezza del manufatto (nel caso di specie l’appellante riferisce un’altezza al colmo pari a 1,70 mt.), appare necessario il permesso di costruire nelle ipotesi in cui il singolo intervento determini un’incidenza sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Si tratta di un’evenienza che ricorre nel caso in esame, dal momento che –come condivisibilmente osservato dal primo giudice– il muro di cinta qui non assume una mera funzione di difesa della proprietà da ingerenze materiali, vale a dire una funzione strumentale all’esercizio del ius excludendi alios (il che sarebbe stato possibile anche attraverso la realizzazione di una semplice cancellata), ma dà luogo a una significativa e permanente trasformazione territoriale attraverso un consistente manufatto caratterizzato da un rilevante ingombro visivo e spaziale, incidente sul deflusso delle acque e condizionante il passaggio dell’aria, di per sé non indispensabile in relazione alla dichiarata funzione di semplice protezione della proprietà.
Sotto questo aspetto, deve essere qui puntualmente confermato l’orientamento secondo cui se è vero che la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) laddove non superi in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorre –invece- il permesso di costruire, ove detti interventi superino (come nel caso in esame) tale soglia.
Si aggiunga al riguardo che l’impatto quali-quantitativo sortito dal manufatto in parola risulta tanto più rilevante laddove si osservi che è posto su un’affollata zona litoranea sul cui complessivo equilibrio il manufatto in questione incide in senso certamente sensibile.
2.1.2. Né può in alcun modo essere condivisa la tesi dell’appellante il quale sottolinea che l’intervento in questione si sarebbe limitato al mero ripristino di una porzione di muro già esistente già al momento dell’acquisto dell’area (e successivamente crollato), nonché a una modesta sopraelevazione della recinzione sul lato nord e ovest.
In particolare, anche ad ammettere in punto di fatto la circostanza per cui l’appellante avrebbe realizzato la mera ricostruzione di un muro in larga parte già esistente, ciò non esclude la configurabilità dell’intervento in questione quale ‘nuova costruzione’ ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e) del d.P.R. n. 380 del 2001., sussistendone tutti relativi presupposti.
In particolare, le opere realizzate dall’odierno appellante, in quanto sostitutive di interventi edilizi mai in precedenza assistiti da alcun titolo abilitativo, erano da qualificarsi comunque quali interventi di ‘nuova costruzione’, irrilevante essendo –ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile- il dato solo materiale relativo alla preesistenza fisica delle opere
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.07.2014 n. 3408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per recinzione deve intendersi un manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni, secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta ex art. 878 c.c..
Sotto il profilo amministrativo, si è ritenuto che la posa di una recinzione, anche in muratura, da parte del proprietario, non ha di per sé il fine di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche, essendo solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce contenuto tipico del diritto di proprietà. Secondo detta linea interpretativa, anche la presenza di un vincolo di P.R.G. non può incidere di per sé negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell'art. 841 c.c., tramite la costruzione di una recinzione.
La descritta facoltà è legittimamente sacrificabile solamente quando ricorrano le condizioni previste dall'ordinamento in funzione di superiori interessi pubblici, dei quali va dato conto nella motivazione attraverso il loro bilanciamento con le opposte ragioni di cui sono portatori i soggetti privati coinvolti: così il P.R.G. -in materia di recinzioni della proprietà privata- può dettare particolari prescrizioni ispirate a fini di tutela ambientale, ad esempio individuando particolari modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di specifici materiali, purché ciò avvenga nel rispetto del principio generale di buona amministrazione, sancito dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di logicità, equità, imparzialità ed economicità, nonché delle norme di diritto positivo di carattere inderogabile.
È di conseguenza inammissibile un generalizzato divieto di recinzione dei fondi, perché esso sostanzialmente elimina un attributo essenziale tipico del diritto di proprietà, espressamente confermato dalla richiamata disciplina codicistica. In questo senso, neppure la presenza del vincolo espropriativo derivante da una previsione di piano regolatore priva il proprietario di tale diritto, né è con esso incompatibile, posto che tale previsione si limita ad attribuire al fondo una qualità giuridica, esponendolo all’acquisizione alla mano pubblica, ma non lo sottrae alla disponibilità del proprietario fino a quando non vengano emessi idonei atti ablativi (di espropriazione o di occupazione d’urgenza) previa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Né, d’altra parte, la realizzazione della recinzione costituisce fattore ostativo -sul piano giuridico o materiale- alla futura ed eventuale attuazione del vincolo.

Va premesso che per recinzione deve intendersi un manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, di custodirla e difenderla da intrusioni, secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta ex art. 878 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. II 03.09.1991 n. 9348 e 15.11.1986 n. 6737).
Sotto il profilo amministrativo, si è ritenuto -con impostazione già condivisa da questa sezione (TAR Piemonte, sez. I - sentenza 22.05.2013 n. 617)- che la posa di una recinzione, anche in muratura, da parte del proprietario, non ha di per sé il fine di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche, essendo solo diretta a far valere lo ius excludendi alios che costituisce contenuto tipico del diritto di proprietà. Secondo detta linea interpretativa, anche la presenza di un vincolo di P.R.G. non può incidere di per sé negativamente sulla potestà del dominus di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo ai sensi dell'art. 841 c.c., tramite la costruzione di una recinzione (TAR Napoli, sez. II 04.02.2005 n. 803; TAR Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 367).
La descritta facoltà è legittimamente sacrificabile solamente quando ricorrano le condizioni previste dall'ordinamento in funzione di superiori interessi pubblici, dei quali va dato conto nella motivazione attraverso il loro bilanciamento con le opposte ragioni di cui sono portatori i soggetti privati coinvolti: così il P.R.G. -in materia di recinzioni della proprietà privata- può dettare particolari prescrizioni ispirate a fini di tutela ambientale, ad esempio individuando particolari modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di specifici materiali, purché ciò avvenga nel rispetto del principio generale di buona amministrazione, sancito dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di logicità, equità, imparzialità ed economicità, nonché delle norme di diritto positivo di carattere inderogabile (TAR Friuli Venezia Giulia, 23.07.2001, n. 421).
È di conseguenza inammissibile un generalizzato divieto di recinzione dei fondi, perché esso sostanzialmente elimina un attributo essenziale tipico del diritto di proprietà, espressamente confermato dalla richiamata disciplina codicistica. In questo senso, neppure la presenza del vincolo espropriativo derivante da una previsione di piano regolatore priva il proprietario di tale diritto, né è con esso incompatibile, posto che tale previsione si limita ad attribuire al fondo una qualità giuridica, esponendolo all’acquisizione alla mano pubblica, ma non lo sottrae alla disponibilità del proprietario fino a quando non vengano emessi idonei atti ablativi (di espropriazione o di occupazione d’urgenza) previa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (TAR Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 367; TAR Brescia, sez. I, 05.02.2008, n. 40; TAR Bari sez. III, 22.02.2006, n. 572).
Né, d’altra parte, la realizzazione della recinzione costituisce fattore ostativo -sul piano giuridico o materiale- alla futura ed eventuale attuazione del vincolo (TAR Milano, sez. II, 19.06.2009, n. 4072)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.06.2014 n. 1142 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In caso di dislivello derivante dall’opera dell’uomo, sono da considerare costruzioni in senso tecnico-giuridico, rientranti nell’art. 873 c.c., il terrapieno ed il relativo muro di contenimento, che lo abbiano prodotto, o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi.
E' pertanto illegittimo il provvedimento di accertamento di conformità richiesto con d.i.a. a sanatoria in relazione a lavori oggetto di d.i.a. in variante al permesso di costruire rilasciato per la realizzazione di un impianto di distribuzione di carburanti, ove venga in rilievo un muro di fabbrica –di altezza superiore a tre metri, e dunque non considerabile quale muro di cinta ex art. 878 c.c.– recante sostegno di un terrapieno e posto a una distanza dal confine laterale inferiore ai mt. 3 prescritta dall’art. 873 c.c..
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 Considerato che, nel merito, sono palesemente fondate le censure di violazione dell’art. 873 c.c. e di erronea applicazione alla fattispecie dell’art. 878 c.c., dedotte dalla ricorrente, atteso che:
   - la stessa controinteressata ammette nelle sue difese (v. p. 7 della memoria del 19.11.2012) il superamento del limite di altezza di mt. 3 in alcuni tratti del muro per cui è causa, ciò che vale di per sé ad impedire l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 878, primo comma, c.c. (il quale permette di non considerare, per il computo della distanza di cui all’art. 873 c.c., il muro di cinta ed ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri);
   - sul punto si richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo cui non può essere considerato muro di cinta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 878 c.c. (e cioè per l’inapplicabilità delle distanze legali tra le costruzioni ex art. 873 c.c.) quello che, sebbene posto sul confine ed isolato da entrambe le facce, presenti un’altezza superiore a mt. 3, dovendosi in tal ipotesi osservare la distanza di cui all’art. 873 c.c. (Cass. civ., Sez. II, 02.02.2000, n. 1134);
   - per di più la documentazione prodotta dalla ricorrente dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che nella fattispecie all’esame la costruzione dell’impianto di distribuzione di carburanti ha comportato la realizzazione di un dislivello artificiale, che ha modificato artificialmente l’andamento altimetrico del terreno.
Ciò è comprovato, in particolare, dalla documentazione fotografica allegata alla perizia di parte (all. 9 al ricorso), che mostra la situazione dell’area interessata –e soprattutto il declivio del terreno– prima e dopo la costruzione dell’impianto di distribuzione di carburanti: in tali fotografie, infatti, si può rilevare che, mentre prima della suddetta costruzione le aperture situate al piano terra della palazzina confinante con l’impianto erano in gran parte visibili, dopo la conclusione dei lavori, a causa della sopraelevazione artificiale del terreno, tali aperture non sono più in alcun modo visibili ed anzi il muro realizzato arriva al marcapiano del primo piano della predetta palazzina.
In secondo luogo, dette fotografie confermano oltre ogni dubbio che il muro di cui si discute ha una funzione di contenimento del terrapieno creato ex novo ed artificialmente e che esso non costituisce né un mero muro di cinta, né ha una funzione di sostegno del declivio naturale, come sostenuto dal Comune di Norma nella sanatoria impugnata, attesa la sopraelevazione artificiale del terreno che si desume dal confronto tra le fotografie ante operam e post operam;
   - alla luce di quanto ora illustrato, non può che concludersi per l’assoggettamento del muro per cui è causa alla disciplina ex art. 873 c.c. A tale conclusione si perviene sulla base della giurisprudenza di legittimità ed in specie sulla base di Cass. civ., Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, che ha configurato quale “costruzione” (come tale rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 873 c.c.) la realizzazione di un terrapieno artificiale, con riporto di terra addossato al muro di cinta costruito dai vicini, e di un cordolo di calcestruzzo in aderenza al predetto muro, per rafforzare la funzione di contenimento del terreno fatta assumere al muro stesso;
   - infatti, secondo la decisione in commento, che richiama una giurisprudenza di legittimità del tutto pacifica, il muro di sostegno di un terrapieno, in quanto costituente vera e propria costruzione, per il rispetto delle distanze legali deve considerarsi come muro di fabbrica e non già soltanto come muro di cinta (che, a norma dell’art. 878 c.c., è quello destinato alla protezione e delimitazione del fondo, con altezza non superiore a tre metri e con le due facce isolate).
È altresì pacifico in giurisprudenza che, in caso di dislivello derivante dall’opera dell’uomo, sono costruzioni in senso tecnico-giuridico (quindi rientrano nell’art. 873 c.c.) il terrapieno ed il relativo muro di contenimento, che lo abbiano prodotto, o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi (cfr. Cass. civ., Sez. II, 21.05.1997, n. 4541);
   - dal riferito insegnamento giurisprudenziale si ricava l’illegittimità del provvedimento di sanatoria, per non avere la P.A. tenuto conto che, come si legge nel già citato verbale della Polizia Municipale del 25.02.2010, il muro in parola non rispetta le distanze prescritte dal ricordato art. 873 c.c.: infatti, mentre quest’ultimo prevede per le costruzioni una distanza minima di mt. 3, il verbale della Polizia Municipale menziona la presenza di un muro di contenimento in cemento armato dell’intera struttura “che dista dal confine laterale interno di (sic) circa m. 01” (TAR Lazio-Latina sentenza 05.05.2014 n. 324).

EDILIZIA PRIVATA: La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
In base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, trattandosi di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione.

Sulla scorta delle risultanze della suindicata istruttoria si può, quindi, affermare:
- che in relazione alla strada in questione sussiste una presunzione iuris tantum di uso pubblico della stessa discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche, presunzione che non risulta superata da quanto emerso a seguito della verificazione, e dalla inclusione di tale strada, a tutto il 1948, tra le “strade non rotabili” nelle planimetrie dell’Istituto Geografico Militare;
- che effettivamente la recinzione insiste su un tratto di strada comunale, quale risulta dalle mappe catastali, e che allo stato attuale la strada risulta deviata dal suo tracciato originario e occupa un’area di proprietà della ricorrente (mappale 1 foglio 9).
Né tali conclusioni possono essere inficiate sostenendo, sulla base della nota esplicativa redatta dal consulente tecnico di parte, che “la strada, già all’epoca della realizzazione della recinzione, non coincideva più con il tracciato catastale a seguito di uno slittamento verso sud verificatosi “in modo del tutto naturale””, spostamento, “oggi visibile in loco”, che avrebbe comportato un’invasione della proprietà della ricorrente esterna all’area del campeggio recintata; che, pertanto, non potrebbe essere contestata sulla scorta delle risultanze catastali una difformità tra lo stato realizzato e quello concessionato, dal momento che le risultanze catastali già all’epoca non avrebbero rispecchiato l’esatto stato dei luoghi.
Infatti, tali affermazioni, oltre a non essere adeguatamente supportate sul piano probatorio, non sarebbero comunque in grado di superare il contrasto esistente tra quanto realizzato e quanto concessionato, sulla base di quanto risulta, con un adeguato grado di attendibilità, per espressa ammissione della stessa ricorrente, dalla planimetria allegata alla concessione edilizia n. 30 del 28.05.1980; è, infatti, la stessa ricorrente (pg. 8 del ricorso) ad asserire che, nella suindicata planimetria, “Nella parte meridionale (quella che qui interessa) la recinzione è affiancata da una doppia riga tratta dalla mappa catastale e volta, probabilmente, a rappresentare la strada vicinale” -che, aggiunge, “non è più esistente”- riconoscendo in tal modo che, secondo la rappresentazione catastale della strada, questa correva esternamente alla recinzione così come concessionata.
Quand’anche, infatti, il tracciato stradale risultante dalle mappe catastali non fosse stato all’epoca fedelmente riproduttivo dello stato dei luoghi, come sostenuto dalla ricorrente, tale circostanza non avrebbe comunque legittimato la ricorrente a modificare unilateralmente le prescrizioni della concessione.
Né si può fondatamente sostenere che per la realizzazione della recinzione di cui si discute, tenuto conto delle caratteristiche costruttive della stessa, quali emergono dal provvedimento impugnato e dal verbale di accertamento n. 03/96 del 21.12.2012, nello stesso richiamato, non fosse necessaria la concessione edilizia.
Infatti, si è in presenza di un intervento di trasformazione del territorio (ex art. 1 della legge 10/1977, che subordinava a concessione ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale), realizzato con installazione di un muro in calcestruzzo con pali e rete metallica.
Sul punto la giurisprudenza è concorde; si veda, fra le tante, TAR Lazio Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644, secondo cui “la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio. Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, trattandosi di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione” (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 02.05.2014 n. 668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il manufatto in questione supera in diversi tratti l’altezza di m. 3 e assolve alle precipue funzioni di contenimento di un terrapieno artificialmente realizzato e di sostegno di una rampa di accesso al fabbricato.
Tali caratteristiche del manufatto ragionevolmente escludono, pertanto, la sua configurabilità quale muro di cinta della proprietà, a' sensi dell’art. 878 cod. civ., posto che questo, ai fini dell’esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dall’art. 873 c.c., deve essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, non superare un’altezza di tre metri ed avere entrambe le facce isolate da altre costruzioni.
Va rilevato anche che, di per sé, il muro di contenimento elevato ad opera dell’uomo per assolvere alla stabilizzazione di un terrapieno artificiale ricade per certo nel regime di rilascio del titolo edilizio, all’epoca dei fatti di causa indubitabilmente concessorio.
Infatti, per “muro di cinta”, nella dizione contenuta nell’art. 4, comma 7, lett. c), del D.L. 05.10.1993 n. 498 convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493 e sostituito per effetto dell’art. 2, comma 60, della L. 23.12.1996 n. 662, all’epoca in vigore, devono intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà, nel mentre ben diversa è la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche, perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso.
Per assolvere a tale funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è tuttavia sotto il profilo edilizio un’opera ben più consistente di una recinzione proprio in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale dianzi illustrata: il che pertanto esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza delle modifiche che esso produce, sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio all’epoca vigente, sia la legittimità, a torto contestata dall’appellante, dell’applicazione della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione.

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In linea di principio le norme in tema di distanze sono per loro natura inderogabili in quanto assolvono al fine ripartire in misura eguale il distacco tra edifici tra i lotti confinanti.
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Come si è visto innanzi, secondo la prospettazione del Pr. il muro di cui trattasi, edificato a sostegno dello scivolo prefabbricato e dei vani retrostanti posti sul lato nord del complesso edilizio, sarebbe stato assentito già con la concessione edilizia n. 3 del 1997 in quanto asseritamente rappresentato negli elaborati grafici allegati alla relativa domanda; non implicherebbe problemi in ordine alla sua distanza dall’altrui proprietà in quanto si configurerebbe comunque quale muro di recinzione; né potrebbe applicarsi alla specie l’art. 17 delle N.T.A. del P.R.G. che impone per le costruzioni il rispetto della distanza di 5 metri dal confine della proprietà essendo stato acquisito in data 15.07.1999 l’assenso del proprietario del fondo vicino.
A tale riguardo va innanzitutto rilevato che negli elaborati progettuali richiamati dal Pr. a sostegno della propria tesi secondo la quale la realizzazione del muro in questione sarebbe già stata assentita per effetto della predetta concessione edilizia n. 3 del 1997 il muro medesimo non è rappresentato nelle sue effettive dimensioni, posto che la sua rappresentazione grafica negli elaborati medesimi consiste in un breve tratto di muro completamente interrato verso est adiacente ad altro breve muro di cinta libero su entrambi i lati.
Viceversa, dal doc. 27 di parte ricorrente sub R.G. 4478 del 2000 (fascicolo del giudizio di primo grado innanzi al TAR per la Lombardia) consta inequivocabilmente che il manufatto in questione è ben più lungo, supera in diversi tratti l’altezza di m. 3 e assolve alle precipue funzioni di contenimento di un terrapieno artificialmente realizzato dal medesimo Pr. (peraltro poi sostituito da vani e locali) e di sostegno di una rampa di accesso al fabbricato.
Tali caratteristiche del manufatto ragionevolmente escludono, pertanto, la sua configurabilità quale muro di cinta della proprietà, a' sensi dell’art. 878 cod. civ., posto che questo, ai fini dell’esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dall’art. 873 c.c., deve essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, non superare un’altezza di tre metri ed avere entrambe le facce isolate da altre costruzioni (così, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. II, 20.11.2012 n. 20351; concorda su tali caratteristiche del muro di cinta al fine del regime di realizzazione della relativa opera Cons. Stato, Sez. IV, 03.05.2011 n. 2621).
Va rilevato anche che, di per sé, il muro di contenimento elevato ad opera dell’uomo per assolvere alla stabilizzazione di un terrapieno artificiale ricade per certo nel regime di rilascio del titolo edilizio, all’epoca dei fatti di causa indubitabilmente concessorio.
Infatti, per “muro di cinta”, nella dizione contenuta nell’art. 4, comma 7, lett. c), del D.L. 05.10.1993 n. 498 convertito con modificazioni in L. 04.12.1993 n. 493 e sostituito per effetto dell’art. 2, comma 60, della L. 23.12.1996 n. 662, all’epoca in vigore, devono intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà, nel mentre ben diversa è la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche, perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso.
Per assolvere a tale funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive.
Il muro di contenimento, pur potendo assolvere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione (come, per l’appunto, accade nel caso di specie), è tuttavia sotto il profilo edilizio un’opera ben più consistente di una recinzione proprio in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale dianzi illustrata: il che pertanto esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza delle modifiche che esso produce, sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio all’epoca vigente, sia la legittimità, a torto contestata dall’appellante, dell’applicazione della sanzione della demolizione prevista per il caso di assenza di concessione.
In tale contesto, pertanto, gli atti di diniego di rilascio della sanatoria e di ingiunzione a demolire impugnati dal Pr. in primo grado sub R.G. 4478 del 2000 risultano intrinsecamente legittimi stante la difformità dell’opera da lui realizzata rispetto all’art. 17.1 delle N.T.A. del P.R.G. comunale, il quale impone alle costruzioni il rispetto della distanza di 5 metri dal confine: distanza che nella specie risulta assodatamente violata.
A questo punto, va evidenziato che, se in linea di principio le norme in tema di distanze sono per loro natura inderogabili in quanto assolvono al fine ripartire in misura eguale il distacco tra edifici tra i lotti confinanti (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10.01.2012 n. 53 e Sez. IV, 30.06.2010 n. 4181), nella specie non può comunque sostenersi –a differenza di quanto affermato dal Pr.- che il proprietario del fondo vicino abbia prestato il proprio consenso alla realizzazione del manufatto in questione, posto che la nota sottoscritta dal Sig. Do.Be. in data 15.07.1999 e prodotta in copia quale doc. 15 di parte resistente nel giudizio di primo grado proposto sub R.G. 4478 del 2000 innanzi al TAR di Milano si sostanzia nella denuncia della realizzazione da parte dello stesso Pr. di un’opera difforme –come, per l’appunto, si è detto innanzi– rispetto al progetto originario e, per di più, anche in sedime non suo, e si conclude con la richiesta di un sopralluogo al fine di verificare tali irregolarità
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.04.2014 n. 1651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima l'inibizione ovvero l'ordinanza di demolizione di opere volte alla sostituzione -tal quale- di una recinzione esistente da tempo ancorché a distanza inferiore a mt. 3 dal confine stradale.
L’articolo 26 del d.p.r. 16.12.1992, n. 495, che costituisce il regolamento di attuazione del codice della strada, posto dall’amministrazione alla base dei provvedimenti impugnati, pur prevedendo il necessario rispetto di una distanza non inferiore a m. 3 dal confine stradale per le recinzioni di altezza superiore a m. 1 dal terreno, precisa, al comma nono, che tali prescrizioni non si applicano alle opere preesistenti.
Nel caso in esame è incontestato che la recinzione è risalente nel tempo e che l’intervento in parola non è diretto a costruirne una nuova, con caratteristiche diverse rispetto a quella preesistente, bensì ad effettuare una manutenzione mediante la sostituzione della rete e dei pali in legno mantenendone, tuttavia, tutte le caratteristiche sia per quanto riguarda la tipologia (pali distanziati tra loro e rete metallica plastificata di maglie flessibili, senza modifica del passo carrabile) sia per quanto riguarda la collocazione.
Conseguentemente non possono trovare applicazione i commi settimo ed ottavo del citato articolo 26, bensì il comma nono, in quanto la recinzione è preesistente e sono state semplicemente sostituiti i pali e la rete metallica evidentemente usurati dal tempo.
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Non può ritenersi insito un pericolo nella esistenza di una recinzione, senza il rispetto dei m. 3 dal confine stradale, in quanto il legislatore ha proprio ritenuto di salvaguardarle, se preesistenti rispetto all’entrata in vigore del regolamento di attuazione del codice della strada.

... per l'annullamento:
● quanto al ricorso introduttivo:
   - del provvedimento del comune di Cesena del 26/3/2012 PGN 19155 di annullamento della pratica 528/SCIA/2011 avente per oggetto una recinzione;
● quanto ai primi motivi aggiunti:
   - del provvedimento del comune di Cesena prot. 0089417/72/EA/NC del 17.12.2012 di demolizione;
● quanto ai secondi motivi aggiunti:
   - del provvedimento del comune di Cesena del 30/12/2013, P.G. 99793 di rettifica ed annullamento parziale della pratica 528/SCIA/2011 avente per oggetto una recinzione;
   - del provvedimento del comune di Cesena del 30/12/2013, P.G. 99794 di rettifica dell’ingiunzione di demolizione prot. 0089417/72/EA/NC del 17.12.2012
...
In linea di fatto va osservato che la recinzione, oggetto del presente giudizio, è costituita da pali in legno e da una rete metallica posti in essere in sostituzione di una pre-esistente recinzione del tutto analoga e risalente nel tempo e collocata nella medesima posizione.
3. Ciò premesso il ricorso è fondato.
L’articolo 26 del d.p.r. 16.12.1992, n. 495, che costituisce il regolamento di attuazione del codice della strada, posto dall’amministrazione alla base dei provvedimenti impugnati, pur prevedendo il necessario rispetto di una distanza non inferiore a m. 3 dal confine stradale per le recinzioni di altezza superiore a m. 1 dal terreno, precisa, al comma nono, che tali prescrizioni non si applicano alle opere preesistenti.
Nel caso in esame è incontestato che la recinzione è risalente nel tempo e che l’intervento in parola non è diretto a costruirne una nuova, con caratteristiche diverse rispetto a quella preesistente, bensì ad effettuare una manutenzione mediante la sostituzione della rete e dei pali in legno mantenendone, tuttavia, tutte le caratteristiche sia per quanto riguarda la tipologia (pali distanziati tra loro e rete metallica plastificata di maglie flessibili, senza modifica del passo carrabile) sia per quanto riguarda la collocazione.
Conseguentemente non possono trovare applicazione i commi settimo ed ottavo del citato articolo 26, bensì il comma nono, in quanto la recinzione è preesistente e sono state semplicemente sostituiti i pali e la rete metallica evidentemente usurati dal tempo.
4. Né risultano indicate nel provvedimento impugnato concrete ragioni di pericolo tali da giustificare l’annullamento in autotutela del titolo edilizio (SCIA) già perfezionato.
4.1. Non può, infatti, ritenersi insito un pericolo nella esistenza di una recinzione, senza il rispetto dei m. 3 dal confine stradale, in quanto il legislatore ha proprio ritenuto di salvaguardarle, se preesistenti rispetto all’entrata in vigore del regolamento di attuazione del codice della strada.
4.2. Era, pertanto, necessario motivare con riferimento a circostanze specifiche e concrete per giustificare l’affermazione dell’esistenza di un pericolo per la pubblica incolumità tali da non consentire l’applicazione dell’articolo 26 del codice della strada che, invece, come sopra precisato, ha inteso salvaguardare le recinzioni preesistenti alla sua entrata in vigore.
5. Per tali ragioni il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati tutti gli atti impugnati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti di ricorso (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 04.04.2014 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non possono essere considerati muri di cinta, ai fini della loro esclusione dal regime delle distanze, i manufatti aventi funzioni prevalentemente diverse da quella di delimitazione e difesa del fondo, quali la funzione di contenimento di un terrapieno artificiale (TRIBUNALE di Benevento, Sez. civile, sentenza 08.01.2014 n. 28).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Lo sbancamento di un terreno, l’arretramento del muro di contenimento e la pavimentazione cortilizia non costituiscono interventi effettuati sull’edificio contiguo e pertanto non sono configurabili come lavori di manutenzione del medesimo.
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Il muro di contenimento, determinando una durevole trasformazione dell’area dallo stesso impegnata, non rappresenta intervento di mera manutenzione.

Sennonché lo sbancamento di un terreno, l’arretramento del muro di contenimento e la pavimentazione cortilizia non costituiscono interventi effettuati sull’edificio contiguo e pertanto non sono configurabili come lavori di manutenzione del medesimo.
Peraltro è stato chiarito che il muro di contenimento, determinando una durevole trasformazione dell’area dallo stesso impegnata, non rappresenta intervento di mera manutenzione (cfr. Cass., sez. pen. III, 03/03/2010, 15370) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 13.11.2013 n. 5076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina delle distanze e, pertanto, non è assoggettato al regime autorizzativo delle nuove costruzioni, mentre sia il muro di cinta sia il muro di contenimento elevato ad opera dell’uomo per assolvere in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno artificiale, sono assoggettati, così come tutte le altre costruzioni, alle distanze dal confine stradale imposte dal Codice della strada e dal relativo regolamento di esecuzione a garanzia della sicurezza della circolazione.
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Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso sostengono i ricorrenti che la natura di muro di contenimento, e non già di cinta, ricollegabile al manufatto in progetto, rende l’opera insuscettibile, come tale, di integrare una costruzione assoggettata alla fascia di rispetto stradale.
Tale doglianza, condivisibile in generale dal Collegio ove riferita esclusivamente al muro di contenimento della proprietà, non può trovare accoglimento nel caso concreto, perché i ricorrenti pretendono di estendere lo speciale regime che con riferimento ai muri di sostegno di dislivelli naturali consente di derogare alla disciplina legale sulle distanze minime dal manto stradale (Codice della strada e relativo regolamento di esecuzione), anche all’intervento edilizio riguardante un locale interrato destinato a deposito, realizzato all’interno del terrapieno.
Giova premettere che, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze, e pertanto non è assoggettato al regime autorizzativo delle nuove costruzioni, così come evidenziato dai ricorrenti con il primo motivo di ricorso, mentre sia il muro di cinta (cfr. Cass. civ., n. 8144/2001; Cons. Stato, n. 2954/2008) sia il muro di contenimento elevato ad opera dell'uomo per assolvere in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno artificiale, sono assoggettati, così come tutte le altre costruzioni, alle distanze dal confine stradale imposte dal Codice della strada e dal relativo regolamento di esecuzione a garanzia della sicurezza della circolazione.
Nel caso di specie risulta incontrovertibilmente dalla documentazione di causa (check list, relazione tecnica ed elaborati grafici) che il progetto di demolizione e ricostruzione riguarda due strutture, di cui una è il locale interrato adibito a deposito, da ricostruire mantenendo la stessa volumetria e sagoma e che “è tutt’oggi destinato a deposito di materiali ed attrezzature agricole a servizio del terreno e della casa di proprietà della committenza” (relazione tecnica al progetto), e l’altra un muro di contenimento della proprietà che rappresenta il prolungamento di tale locale interrato.
La verificazione disposta dalla Sezione ha poi consentito di accertare che il confine lato nord che affaccia sulla S.S. 113 è solo in parte costituito dal muro di contenimento della proprietà, che si sviluppa per una lunghezza di metri 10,95, mentre la restante parte di tale confine è costituita dal manufatto interrato che, come si evince dalla pianta allegata alla relazione di verificazione, si affaccia direttamente sulla strada per un lunghezza di poco più di 11 metri con un accesso carrabile di metri 3,75 munito di portone in ferro scorrevole su due guide esterne.
Gli esiti della verificazione, dalla quale il Collegio non ravvisa motivo di discostarsi, rendono chiaro che solo una delle due strutture interessate dal progetto presentato dai ricorrenti è un muro che assolve al contenimento del terreno, mentre l’altra struttura consiste in un manufatto adibito a deposito al servizio dell’immobile principale, cui non può riconoscersi natura di muro di contenimento nonostante le asserzioni di segno contrario dei ricorrenti.
A fronte di tali esiti vengono meno i presupposti di fatto su cui si fondano i ricorrenti, i quali non hanno chiesto semplicemente di demolire e ricostruire il muro di contenimento esistente mantenendolo sul confine stradale, ma pretendono di demolire e ricostruire anche il locale deposito senza arretrare da detto confine.
Ciò che, invero, non è possibile ai sensi dell’art. 16 del codice della strada, che vieta ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati di “costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale” (lett. b), rinviando al regolamento di esecuzione per la determinazione delle distanze dal confine stradale entro le quali vigono i divieti di cui al comma 1, tra cui, per quanto qui di interesse, il divieto di cui alla lettera b).
Il divieto riguarda, e dunque le distanze si applicano, non solo alle "nuove costruzioni", ma altresì alle ricostruzioni di manufatti di qualsiasi tipo e materiale conseguenti a demolizioni integrali, come nella fattispecie, e anche ai volumi interrati, poiché, come affermato dalla giurisprudenza, il limite di edificabilità in questione non può essere inteso restrittivamente come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo, suscettibili come tali di costituire pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni, con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 3498 del 2011; TAR Toscana, Firenze, Sez. III 15.05.2013, n. 806).
Tanto più poi che il locale deposito in argomento, ricavato all’interno del terrapieno, prospetta direttamente sulla strada con una apertura carrabile, suscettibile pertanto di costituire pregiudizio alla sicurezza della circolazione stradale e alla incolumità delle persone.
Ne consegue che la demolizione e successiva ricostruzione del locale interrato è soggetta al rispetto delle distanze dal confine stradale imposte dal codice della strada e relativo regolamento di attuazione (art. 26 richiamato dall’amministrazione), e l’ANAS legittimamente ha contestato ai ricorrenti la violazione della fascia di rispetto stradale, atteso che le richiamate disposizioni di legge e regolamentari sulle distanze minime da osservarsi dalle costruzioni a confine con le strade al di fuori dal perimetro del centro abitato sono dirette alla protezione di interessi pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza della circolazione stradale.
Da quanto fin qui esposto discende altresì l’infondatezza della seconda censura sollevata in ricorso, in quanto non è ravvisabile nel comportamento dell’ANAS alcun eccesso di potere o difetto di istruttoria, né tantomeno alcun “capriccio” (memoria di parte ricorrente del 07.02.2012) nel non consentire una “ricostruzione” che ictu oculi si manifesta come contra legem.
L’assunto difensivo di parte ricorrente cade anche con riferimento all’art. 30 del codice della strada, che non è stato richiamato nel provvedimento impugnato ma che i ricorrenti richiamano nella seconda censura del ricorso, in quanto la norma consente, lungo le strade ed autostrade, la costruzione e la riparazione solo di quelle opere di sostegno che assolvano alla esclusiva funzione di difendere e sostenere i fondi adiacenti, senza possibilità di ulteriori e diverse destinazioni ed utilizzazioni, come avviene invece nel caso di specie.
La comunicazione interna dell’Area Tecnica Esercizio Strade Statali della Sezione compartimentale dell’ANAS di Catania del 01.10.2012, depositata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato, evidenzia al riguardo che “Appare del tutto evidente che la funzione del muro non è esclusivamente quella che dovrebbe assolvere (statica), bensì è destinato congiuntamente ad altri usi (locale adibito a deposito).” .
Va infine rilevato che neanche il paventato pericolo di crollo del muro, a prescindere da quanto risulta dalla verificazione (“al momento non risulterebbe compromessa la staticità delle strutture” – relazione di verificazione sub “conclusioni”), può costituire argomento idoneo a giustificare la pretesa di parte ricorrente ad ottenere il rilascio da parte dell’ANAS di un provvedimento illegittimo.
Per le considerazioni esposte, il ricorso in epigrafe va respinto in quanto infondato; va conseguentemente respinta la domanda risarcitoria (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 08.11.2013 n. 2721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di recinzione - Permesso a costruire – Necessità – Presupposto - Modificazione dell'assetto urbanistico del territorio.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio (Cass. Sez. 3 n. 4755 del 13/12/2007) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2013 n. 38338 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo.
Anche per quanto concerne l’istallazione dell’inferriata, la censura secondo cui tale intervento non necessita del permesso di costruire non può essere accolta. Infatti, per costante giurisprudenza di questo Tribunale, è richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo (Tar Campania, Napoli, sez. VII, n. 4261/2012).
Nel caso di specie, come si evince dal provvedimento impugnato, è stata istallata un’inferriata su m.l. 30 su un muro, sicché anche tale intervento era subordinato al previo rilascio del permesso di costruire (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 18.09.2013 n. 4345 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In caso di fondi a dislivello, mentre non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, destinato ad impedirne smottamenti o frane, devono invece considerarsi costruzioni in senso tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti all’opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (nella specie, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano qualificato come costruzione il manufatto creato artificialmente dalla parte per consentire l’ampliamento del piazzale sovrastante di sua proprietà e fargli da sostegno).
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MASSIMA
2) Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 15 delle disposizioni preliminari del c.c., del principio "iura novit curia" e dell'art. 873 c.c., nonché la contraddittorietà della motivazione.
Deduce che, essendo stato accertato dal C.T.U. che la convenuta ha realizzato un terrapieno con muro di contenimento, la Corte di Appello non avrebbe dovuto applicare il pregresso regolamento edilizio comunale di Trento, bensì quello sopravvenuto, in vigore a far data dal 29.02.2004, che all'art. 12, comma 3, ha introdotto distanze inferiori per i terrapieni e i riporti con i relativi muri di contenimento.
Rileva, inoltre, che il giudice del gravame non avrebbe dovuto prendere a riferimento il versante come innaturalmente inclinatosi a causa dei lavori eseguiti a valle dal Condominio Ze., non seguiti dal ripristino dello stato dei luoghi prescritto nella licenza edilizia, ma avrebbe dovuto considerare solo l'andamento naturale del piano di campagna, come ricostruito planimetricamente dal C.T.U. e, conseguentemente, accertare la piena conformità dei manufatti all'art. 12 del nuovo regolamento edilizio.
Il motivo si conclude con la formulazione di tre quesiti ex art. 366-bis c.p.c., con cui si chiede:
   A) "Se una muratura realizzata nel Comune di Trento avente funzione di contenimento di retrostante terrapieno viene disciplinata dall'art. 12 del regolamento edilizio di / Trento approvato con delibera del 28.01.2004";
   B) "se il regolamento edilizio del Comune di Trento è norma regolamentare integrativa del codice civile sulle distanze legali e, quindi, se le sue modificazioni intervenute in corso di causa debbono essere immediatamente applicate dal giudicante ai fini del decidere in ogni stato e grado e fino al passaggio in giudicato, e cioè d'ufficio o essendo comunque intervenuta richiesta di una parte";
   C) "se costituisce motivazione contraddittoria ed in parte omessa l'avere il giudice dichiarato di condividere gli accertamenti di cui alla consulenza tecnica da esso disposta ma poi avere disatteso, senza motivazione specifica, le stesse risultanze peritali, nella specie ricostruzione dell'andamento del piano naturale di campagna manomesso con abuso edilizio permanente dall'attore-resistente ed applicazione dell'art. 12, comma 3, del nuovo testo del regolamento edilizio di Trento esonerativi dalla distanza di m. 5 dal confine".
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha accertato che i due muri realizzati dalla Ed., costituenti un'unica costruzione, "che consente il riempimento con nuovo terreno del volume creato tra il profilo originale del pendio ed il parametro interno della muratura", non rappresentano il contenimento di un versante franoso a tutela del fondo sottostante, ma sono destinati al sostegno della parte allargata del piazzale superiore.
Tale accertamento non può essere riposto in discussione in questa sede, costituendo espressione di un apprezzamento in fatto riservato al giudice di merito ed essendo sorretto da una motivazione immune da vizi logici, con cui è stato fatto riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.
Poiché, dunque, i muri in questione non hanno la funzione di mero contenimento di un dislivello naturale, il giudice del gravame ha ritenuto che essi costituiscono una "costruzione" in senso tecnico-giuridico, soggetta alla distanza regolamentare di cinque metri dal confine prescritta dallo regolamento locale, senza che in relazione a tali opere possano trovare applicazione le minori distanze previste, con riferimento ai "muri di cinta e muri di contenimento", dallo ius superveniens invocato dalle ricorrente, rappresentato dall'art. 12 del nuovo regolamento edilizio del Comune di Trento.
Così decidendo, la Corte di Appello si è uniformata ai principi più volte enunciati dalla giurisprudenza, secondo cui,
in caso di fondi a dislivello, mentre non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, destinato ad impedirne smottamenti o frane, devono invece considerarsi costruzioni in senso tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per n accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. 10.01.2006 n. 145; Cass. 21.05.1997 n. 4511; Cass. 11.01.1992 n. 243; Cass. 06.05.1987 n. 4196).
Nel caso di specie, essendosi in presenza di un manufatto creato artificialmente dalla convenuta per consentire l'ampliamento del piazzale sovrastante di sua proprietà e fargli da sostegno, non par dubbio che tale opera debba essere considerata una vera e propria "costruzione", come tale assoggettata al rispetto delle ordinarie distanze legali dettate in materia dall'art. 873 c.c. e dalle norme integrative locali.
Sotto altro profilo, si osserva che appare altrettanto evidente che, al fine di valutare la conformità dell'opera realizzata dalla Ed. alle prescrizioni regolamentari, si debba tener conto della situazione dei luoghi quale si presentava all'epoca della costruzione, e non di quella, risalente a circa 20 anni prima, esistente al momento della edificazione effettuata dal Condominio Ze.. E' alle condizioni attuali dei luoghi, di conseguenza, che la ricorrente avrebbe dovuto adeguare la sua costruzione; sicché essa non può pretendere di sottrarsi all'osservanza della normativa locale sulle distanze in considerazione delle modifiche apportate alla originaria pendenza del terreno in occasione dei pregressi lavori eseguiti dall'attore.
La convenuta, infatti, ove si fosse ritenuta danneggiata dagli abusi commessi dalla controparte, avrebbe potuto eventualmente avvalersi di altri strumenti, ma non avrebbe certo potuto sentirsi autorizzata ad eseguire costruzioni a distanza inferiore a quella prescritta dalle norme legali e regolamentari Non sussistono, pertanto, le violazioni di legge e i vizi di motivazione denunciati dalla ricorrente, essendo la decisione impugnata sorretta da argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico, con cui è stato fatto buon governo dei principi affermati in materia di distanze delle costruzioni dalla giurisprudenza  (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.09.2013 n. 21192).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di confine deve rispettare le distanze tra edifici? E' una costruzione vera e propria?
Il Decreto Fare ha modificato le distanze tra edifici. La realizzazione di un muro scatena la lite tra vicini. Muro di contenimento o sostegno? Il Decreto Fare: derogabilità del D.M. 1444/1968 da parte della Regione.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha accertato che i due muri realizzati dalla Edilvalsugana, costituenti un'unica costruzione, "che consente il riempimento con nuovo terreno del volume creato tra il profilo originale del pendio ed il parametro interno della muratura", non rappresentano il contenimento di un versante franoso a tutela del fondo sottostante, ma sono destinati al sostegno della parte allargata del piazzale superiore.
Tale accertamento non può essere riposto in discussione in questa sede, costituendo espressione di un apprezzamento in fatto riservato al giudice di merito ed essendo sorretto da una motivazione immune da vizi logici, con cui è stato fatto riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.
Poiché, dunque, i muri in questione non hanno la funzione di mero contenimento di un dislivello naturale, il giudice del gravame ha ritenuto che essi costituiscono una "costruzione" in senso tecnico-giuridico, soggetta alla distanza regolamentare di cinque metri dal confine prescritta dallo regolamento locale, senza che in relazione a tali opere possano trovare applicazione le minori distanze previste, con riferimento ai "muri di cinta e muri di contenimento", dallo
ius superveniens invocato dalle ricorrente, rappresentato dall'art. 12 del nuovo regolamento edilizio del Comune di Trento.
Così decidendo, la Corte di Appello si è uniformata ai principi più volte enunciati dalla giurisprudenza, secondo cui,
in caso di fondi a dislivello, mentre non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, destinato ad impedirne smottamenti o frane, devono invece considerarsi costruzioni in senso tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. 10.01.2006 n. 145; Cass. 21.05.1997 n. 4511; Cass. 11.01.1992 n. 243; Cass. 06.05.1987 n. 4196).
Nel caso di specie, essendosi in presenza di un manufatto creato artificialmente dalla convenuta per consentire l'ampliamento del piazzale sovrastante di sua proprietà e fargli da sostegno, non par dubbio che tale opera debba essere considerata una vera e propria "costruzione", come tale assoggettata al rispetto delle ordinarie distanze legali dettate in materia dall'art. 873 c.c. e dalle norme integrative locali.
Sotto altro profilo, si osserva che appare altrettanto evidente che, al fine di valutare la conformità dell'opera realizzata dalla Edilvalsugana alle prescrizioni regolamentari, si debba tener conto della situazione dei luoghi quale si presentava all'epoca della costruzione, e non di quella, risalente a circa 20 anni prima, esistente al momento della edificazione effettuata dal Condominio XXXX. È alle condizioni attuali dei luoghi, di conseguenza, che la ricorrente avrebbe dovuto adeguare la sua costruzione; sicché essa non può pretendere di sottrarsi all'osservanza della normativa locale sulle distanze in considerazione delle modifiche apportate alla originaria pendenza del terreno in occasione dei pregressi lavori eseguiti dall'attore. La convenuta, infatti, ove si fosse ritenuta danneggiata dagli abusi commessi dalla controparte, avrebbe potuto eventualmente avvalersi di altri strumenti, ma non avrebbe certo potuto sentirsi autorizzata ad eseguire costruzioni a distanza inferiore a quella prescritta dalle norme legali e regolamentari.
Non sussistono, pertanto, le violazioni di legge e i vizi di motivazione denunciati dalla ricorrente, essendo la decisione impugnata sorretta da argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico, con cui è stato fatto buon governo dei principi affermati in materia di distanze delle costruzioni dalla giurisprudenza.

(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.09.2013 n. 21192 - link a www.avvocatocivilista.net).

EDILIZIA PRIVATAIl muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento.
La parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.

Con particolare riguardo al muro, sussunto, nel provvedimento impugnato, nella categoria del muro di contenimento, la giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, ha statuito che "il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione, agli effetti delle norme sulle distanze, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento dovuti all'opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente" (Corte di Cassazione, sentenza n. 243 del 11/01/1992; sentenza n. 12763 del 28/11/1991) (TAR Marche, sentenza 13.09.2013 n. 634 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un muretto di recinzione, accompagnata dall'apposizione di ringhiere e cancelli metallici, non rientra nel novero delle opere soggette a concessione edilizia, bensì, per il suo carattere pertinenziale, nell'ambito delle opere assentibili con autorizzazione gratuita, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 della Legge n. 10/1977 e 7, comma 2, lett. a), del D.L. n. 9/1982, convertito nella Legge n. 94/1982.
Ne discende che il regime sanzionatorio appropriato non consiste nell'irrogazione dell'ingiunzione di demolizione, ma nella comminatoria di una sanzione pecuniaria. (…) Il Collegio osserva che le opere di recinzione in questione ben possono essere ricomprese nell'ambito delle "opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti", di cui all'art. 7 del D.L. n. 9/1982 cit..
Invero, esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale connette al concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente (…).
Ne deriva che la sanzione irrogabile per le recinzioni aventi natura pertinenziale, effettuate in assenza della prescritta autorizzazione gratuita, si concreta in una misura di carattere pecuniario e non nell'ordine di demolizione.

A non diverse conclusioni deve poi pervenirsi in relazione all'ulteriore opera interessata dall'impugnato ordine di demolizione, rappresentata da un "muretto divisorio posto circa a metà del terrazzo composto da muro di altezza m. 0,90 e inferriata di altezza m. 1,10, di lunghezza circa m. 9,00, con cancelletto metallico m. 1,10".
Invero, è stato affermato dalla giurisprudenza, in relazione a siffatta tipologia di opere (cfr. TAR per la Calabria, Catanzaro, Sez. II, 10.06.2008, n. 647), che "la realizzazione di un muretto di recinzione, accompagnata dall'apposizione di ringhiere e cancelli metallici, non rientra nel novero delle opere soggette a concessione edilizia, bensì, per il suo carattere pertinenziale, nell'ambito delle opere assentibili con autorizzazione gratuita, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 della Legge n. 10/1977 e 7, comma 2, lett. a), del D.L. n. 9/1982, convertito nella Legge n. 94/1982.
Ne discende che il regime sanzionatorio appropriato non consiste nell'irrogazione dell'ingiunzione di demolizione, ma nella comminatoria di una sanzione pecuniaria. (…) Il Collegio osserva che le opere di recinzione in questione ben possono essere ricomprese nell'ambito delle "opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti", di cui all'art. 7 del D.L. n. 9/1982 cit..
Invero, esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale connette al concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente (…).
Ne deriva che la sanzione irrogabile per le recinzioni aventi natura pertinenziale, effettuate in assenza della prescritta autorizzazione gratuita, si concreta in una misura di carattere pecuniario e non nell'ordine di demolizione
" (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 21.06.2013 n. 1377  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente sull'assetto edilizio del territorio.
Diversamente, è invece richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina una irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o addirittura inferriata sovrastante il muro al quale poi s'incardinano cancelli.

La prima argomentazione a supporto del provvedimento impugnato fa riferimento al mancato rispetto delle formalità previste dal t.u. edilizia n. 380 del 2001 e al mancato rilascio del titolo abilitativo (autorizzazione) asseritamente occorrente per l'intervento.
Tali considerazioni non valgono a fondare la legittimità del provvedimento impugnato.
La mancanza di autorizzazione edificatoria non costituisce, in ogni caso, valida giustificazione dell'impugnato ordine di rimozione.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano, infatti, come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente sull'assetto edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, Tar Liguria I, 20.09.2010 n. 1174; Tar Toscana III, 09.06.2011 n. 1005, Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Lazio, Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
L'intervento in questione rientra, piuttosto nella portata residuale degli interventi realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u. dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, in totale difformità del medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.
Diversamente, è invece richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina una irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o addirittura inferriata sovrastante il muro al quale poi s'incardinano cancelli.
Nel caso di specie l’intervento si sostanzia esclusivamente nell’apposizione di una rete metallica con paletti di ferro e senza alcun tipo di opera muraria, con caratteristiche di precarietà e senza trasformazione effettiva dello stato dei luoghi.
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Un secondo ordine di considerazioni fa riferimento alla mancanza di autorizzazione paesaggistica.
Si osserva preliminarmente che non è contestata l'esistenza del vincolo.
Ciò premesso, appare irrilevante che la recinzione in esame (costituita, si ribadisce, da una semplice rete metallica e da paletti infissi nel terreno e senza opere murarie) sia stata eseguita senza nulla osta in area vincolata, trattandosi di opera priva di apprezzabile impatto ambientale (cfr., in analoga fattispecie, Tar Piemonte I, 15.02.2010 n. 950; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 27.05.2013 n. 5276 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento non è pertinenza.
Secondo giurisprudenza consolidata il muro di contenimento non può essere considerato pertinenza, mentre il muro di recinzione necessita del permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, o da opera muraria.
La realizzazione ex novo di un muro di recinzione in cemento armato di rilevanti dimensioni, con sovrastante ringhiera in ferro e un muro di contenimento, in quanto strutture autonome e indipendenti e, comunque, di rilevanti dimensioni non possono configurarsi come opere pertinenziali, né quale interventi di restauro e risanamento conservativo.
In particolare, secondo giurisprudenza, il muro di contenimento non può essere considerato pertinenza (TAR Lombardia Brescia Sez. II, 02.07.2012, n. 1265; TAR Liguria Genova Sez. I, 31.12.2009, n. 4131) mentre il muro di recinzione necessita del permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n. 4755) (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.05.2013 n. 2677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'apposizione di condizioni al rilascio di un titolo edilizio è ammissibile soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell'intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell'intervento edilizio, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale della concessione stessa. Concedendo spazio al perseguimento di finalità estranee a quelle sottese al potere esercitato -legato allo svolgimento dell'attività edificatoria– si finirebbe infatti per funzionalizzare l'attività amministrativa ad interessi avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore.
La giurisprudenza ha già avuto modo di dichiarare illegittime le condizioni che subordinano la validità della concessione edilizia alla cessione gratuita di aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche, in quanto condizionare l’assenso all’intervento edilizio a fattori diversi da quelli di stretta conformità ai richiesti parametri normativi, appare non in linea con la natura e le finalità dei poteri dell’amministrazione in materia edilizia, trattandosi di attività vincolata da specifiche norme e funzionale al solo accertamento della corrispondenza degli interventi e dei relativi elaborati progettuali con tali prescrizioni normative.
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La recinzione di un fondo non può essere ostacolata dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo esercizio dello jus excludendi, di per sé, non contrasta con la detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono.
Le censure svolte dal ricorrente appaiono fondate sotto plurimi profili.
Innanzitutto, il provvedimento di diniego opposto dal Comune alla richiesta di concessione edilizia non reca adeguata motivazione in merito all’intervenuta cessazione del vincolo espropriativo che in precedenza destinava parte dell’area privata a viabilità pubblica.
L’intenzione palesata dall’amministrazione di condizionare il rilascio del titolo abilitativo alla previa cessione della fascia di terreno inscritta nell’ambito dei viabilità pubblica, non trova infatti giustificazione nella pianificazione urbanistica all’epoca vigente.
Il punto è di evidente rilievo se si considera che lo "ius aedificandi" costituisce facoltà insita nel diritto di proprietà, comprimibile esclusivamente per un contrasto con esigenze di pubblico interesse recepite nelle prescrizioni urbanistiche. Se, pertanto, un provvedimento di diniego presuppone necessariamente che siano evidenziate ipotesi di contrasto tra l'elaborato progettuale e le prescrizioni urbanistiche, senza possibilità di limitazioni non strettamente pertinenti all'aspetto urbanistico, nel caso di specie tale condizione di contrasto non è rinvenibile, atteso che all’epoca della presentazione dell’istanza di concessione, in data 20.04.2006, era già pacificamente decaduto il vincolo espropriativo potenzialmente configgente con l’intervento edificatorio.
L’operato della pubblica amministrazione si è svolto, inoltre, in contrasto con il principio -costantemente affermato dalla giurisprudenza- secondo il quale l'apposizione di condizioni al rilascio di un titolo edilizio è ammissibile soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell'intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento. Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell'intervento edilizio, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale della concessione stessa. Concedendo spazio al perseguimento di finalità estranee a quelle sottese al potere esercitato -legato allo svolgimento dell'attività edificatoria– si finirebbe infatti per funzionalizzare l'attività amministrativa ad interessi avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore (cfr. TAR Milano sez. IV, 10.09.2010, n. 5655; TAR Trentino Alto Adige, Trento sez. I, 04.01.2011, n. 2; TAR Lecce sez. III, 28.09.2012, n. 1623).
La giurisprudenza ha già avuto modo di dichiarare illegittime le condizioni che subordinano la validità della concessione edilizia alla cessione gratuita di aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche (cfr. Cons. St. sez. V, 24.03.2001, n. 1702; TAR Milano sez. II, 18.02.1984, n. 77), in quanto condizionare l’assenso all’intervento edilizio a fattori diversi da quelli di stretta conformità ai richiesti parametri normativi, appare non in linea con la natura e le finalità dei poteri dell’amministrazione in materia edilizia, trattandosi di attività vincolata da specifiche norme e funzionale al solo accertamento della corrispondenza degli interventi e dei relativi elaborati progettuali con tali prescrizioni normative.
Sotto diverso profilo, correttamente la difesa di parte ricorrente richiama il principio giurisprudenziale secondo il quale la recinzione di un fondo non può essere ostacolata dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore (nel caso di specie peraltro assente), in quanto il legittimo esercizio dello jus excludendi, di per sé, non contrasta con la detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono (cfr. TAR Bari sez. III, 22.02.2006, n. 572; TAR Catanzaro sez. II, 24.02.2003, n. 351; TAR Milano, sez. II, 20.05.1993 n. 334 e 24.10.1991 n. 1247) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.05.2013 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di applicazione della disciplina delle distanze legali, il terrapieno deve essere considerato una costruzione a tutti gli effetti quando completi la struttura e la funzionalità di un altro corpo di fabbrica “principale”.
In tema di distanze legali, rientrano nel concetto di “costruzione”, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., il terrapieno ed i locali in esso ricompresi, avendo il medesimo terrapieno la funzione essenziale di stabilizzare il piano di campagna posto a quote differenti dal fondo confinante, mediante un manufatto eretto a chiusura statica del terreno, e potendo, tuttavia, egualmente qualificarsi il riporto di terra volto a sopraelevare il piano di campagna allo scopo di coprire degli insediamenti edilizi, senza che risulti di impedimento alla ravvisata equiparazione del terrapieno alla “costruzione” la sopravvenuta separazione del muro di contenimento dal retrostante accumulo di terreno, in quanto tale muro è soltanto diretto ad eliminare la pericolosità del riporto, allorché non sia stata rispettata la distanza solonica di cui all’art. 891 cod. civ..

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MASSIMA
IX — Vanno esaminati congiuntamente i motivi da uno a cinque per la loro stretta connessione logica, rappresentata dall'interpretazione del concetto di costruzione, se riferito ad un terrapieno ed ai locali in esso ricompresi, e del valore da attribuire ad un elemento costruttivo —la pavimentazione che sormonta detto terrapieno- adducente all'abitazione principale.
IX.a — Va innanzi tutto statuito che rientra in un giudizio di fatto —insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato— l'accertamento se persista la caratteristica di "terrapieno" nel riporto di terreno che abbia perso uno dei contrafforti —quello verso il confine-: sul punto la Corte bresciana ha assunto che le innovazioni apportate, per mezzo di uno scavo a confine, nel corso del giudizio di primo grado, se avevano reso impossibile mettere in rapporto il manufatto confinario così lasciato scoperto ed il retrostante terreno, tuttavia non avevano eliminato il carattere di "costruzione" da attribuirsi al detto riporto -ed alle costruzioni che al suo interno si trovavano- per lo stretto rapporto che il primo e le seconde avevano con l'edificio principale.
IX.b — Tale ricostruzione va mantenuta ferma in quanto
il terrapieno, nella sua espressione più frequente, ha la funzione di stabilizzare il piano di campagna originariamente posto, rispetto al confine, a quote differenti dal terreno del vicino -e rispetto alla cui finalità è coessenziale la presenza di un manufatto a chiusura statica del terreno medesimo-; medesima qualificazione però deve essere attribuita al riporto di terra mediante il quale si sopraelevi il livello dell'originario piano di campagna, anche allo scopo —qui caratterizzante la fattispecie- di coprire degli insediamenti edilizi-; in entrambe le ipotesi la sopravvenuta separazione del manufatto —muro di contenimento- dal retrostante riporto di terra non è di impedimento alla equiparabilità del terrapieno alla costruzione, essendo il muro funzionale solo alla eliminazione della pericolosità statica del riporto, le volte in cui non sia stata rispettato il principio della c.d. scarpa o distanza solonica, introdotto dall'art. 891 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 13.05.2013 n. 11388).

EDILIZIA PRIVATA: Nell'attività repressiva in tema di opere edilizie abusive non è necessaria la previa comunicazione dell' avvio procedimentale di cui all'art. 7 l. 241/1990, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato; sicché l'ordinanza di demolizione è sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera edilizia e, proprio in quanto atto vincolato, l'ordinanza medesima non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.
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Avuto riguardo alla natura tipicamente vincolata dell’ordine di demolizione in esame, l’impugnato provvedimento non necessitava di una particolare motivazione, diversa da quella consistente nell’indicazione del tipo di abuso realizzato dal ricorrente, e delle norme da lui violate.
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La giurisprudenza prevalente considera che la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione vada effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.
Viceversa, è necessario il permesso di costruire, quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.

Si legge nell’impugnato provvedimento che i ricorrenti hanno realizzato “… una recinzione in c.a. dell’altezza fuori terra di mt. 3,50 circa, dal livello della strada privata che fronteggia l’area, con tre accessi chiusi da un portone in ferro. Sul lato della recinzione … è stato realizzato un muro di contenimento in c.a. dell’altezza variabile tra mt 3,00 e mt. 5,00 con una lunghezza di mt. 38 circa”.
Tale essendo la ricostruzione in fatto operata dall’amministrazione, e considerato altresì che l’impugnato provvedimento dà conto che “trattasi di opere realizzate in assenza di permesso di costruire”, occorre ora stabilire se tale impianto motivazionale soddisfa il relativo obbligo di cui all’art. 3 l. n. 241/1990.
A tal riguardo, premette il Collegio che, per condivisa giurisprudenza amministrativa, “nell'attività repressiva in tema di opere edilizie abusive non è necessaria la previa comunicazione dell' avvio procedimentale di cui all'art. 7 l. 241/1990, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato; sicché l'ordinanza di demolizione è sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera edilizia e, proprio in quanto atto vincolato, l'ordinanza medesima non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione” (TAR Campania, Salerno, II, 28.11.2012, n. 2161. In senso confermativo, cfr. altresì, ex multis, TAR Campania, Napoli, III, 04.12.2012, n. 4913; TAR Friuli Venezia Giulia, I, 20.12.2012, n. 498; TAR Lazio, II, 05.09.2012, n. 7570; TAR Liguria, I, 24.07.2012, n. 1073; TAR Sardegna, II, 23.07.2012, n. 747).
Tanto chiarito, e venendo ora al caso di specie, reputa il Collegio che, avuto riguardo alla natura tipicamente vincolata dell’ordine di demolizione in esame, l’impugnato provvedimento non necessitava di una particolare motivazione, diversa da quella consistente nell’indicazione del tipo di abuso realizzato dal ricorrente, e delle norme da lui violate. E poiché l’impugnata ordinanza reca compiute indicazioni in entrambi i sensi or ora menzionati, essa si sottrae senz’altro alle censure lamentate in parte qua dal ricorrente.
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Con il secondo motivo di ricorso, deducono i ricorrenti l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, in quanto assunto sul falso presupposto dell’assenza di permesso di costruire. A tal riguardo, deducono i ricorrenti che la presentazione, in data 15.06.2006, di denuncia di inizio di attività, sia sufficiente a ritenere integrata la sussistenza di regolare titolo edilizio.
L’assunto è infondato.
La giurisprudenza prevalente, cui il Collegio aderisce, considera che la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione vada effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2003, n. 6196).
Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II, 07.03.2006, n. 533).
Viceversa, è necessario il permesso di costruire, quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR Campania, Napoli, IV, 03.04.2012, n. 1542; TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera muraria (Cassazione penale , sez. III, 13.12.2007, n. 4755).
Ciò chiarito, e venendo ora al caso di specie, si legge nell’impugnato provvedimento che l’abuso in esame consiste in una recinzione in c.a. dell’altezza fuori terra di mt. 3,50 circa, con tre accessi chiusi da un portone in ferro. Inoltre, sul lato della recinzione è stato realizzato un muro di contenimento in c.a. dell’altezza variabile tra mt. 3,00 e mt. 5,00, con una lunghezza di mt. 38 circa.
Avuto riguardo a tale descrizione delle opere in esame, è pertanto di tutta evidenza che i ricorrenti hanno realizzato non già una struttura precaria, ma un’opera che, per natura e dimensioni, può senz’altro definirsi permanente, incidendo in maniera durevole sull’assetto del territorio.
Ne discende che i ricorrenti avrebbero dovuto premunirsi di permesso di costruire, non essendo sufficiente una mera denuncia di inizio attività. E poiché essi non hanno in tal senso operato, del tutto legittimamente l’amministrazione ha ordinato la demolizione delle opere da loro abusivamente realizzate
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 10.05.2013 n. 714 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha da tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono “muro”, in base alla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia unicamente la delimitazione della proprietà, si ricade nell'ipotesi della “pertinenza”, per cui non è normalmente necessario il rilascio della concessione ai sensi di quanto previsto, a contrario, dall’art. 3, comma 1, lett. e.6, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Nel caso in cui il muro sia invece destinato non solo a recingere un fondo, ma anche a contenere o a sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, l’opera è tale da presentare una funzione autonoma, sia dal punto di vista edilizio che da quello economico, con la conseguenza che fuoriesce dalla nozione edilizia di “pertinenza” e necessita del permesso di costruire.
In ogni caso ciò che più conta è “l’impegno visivo” dell’opera, ossia la sua concreta idoneità ad incidere sulla trasformazione del suolo: beninteso, purché però tale “impegno” (che deve formare, evidentemente, oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione) sia adeguatamente valorizzato come parte integrante della motivazione dell’ordine di ripristino, nel senso che l’amministrazione deve preoccuparsi di offrire ragionevoli indicazioni (derivanti, ad esempio, dalle notevoli dimensioni o dalle modalità costruttive dell’opera) in ordine alla ritenuta trasformazione del suolo, tali da giustificare il più severo regime edilizio applicato.

Osserva il Collegio che la giurisprudenza, anche di questo TAR (cfr. TAR Piemonte, sez. I, n. 657 del 2003), ha da tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono “muro”, in base alla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia unicamente la delimitazione della proprietà, si ricade nell'ipotesi della “pertinenza”, per cui non è normalmente necessario il rilascio della concessione ai sensi di quanto previsto, a contrario, dall’art. 3, comma 1, lett. e.6, del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel caso in cui il muro sia invece destinato non solo a recingere un fondo, ma anche a contenere o a sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, l’opera è tale da presentare una funzione autonoma, sia dal punto di vista edilizio che da quello economico, con la conseguenza che fuoriesce dalla nozione edilizia di “pertinenza” e necessita del permesso di costruire (cfr., più di recente, TAR Campania, Napoli, sez. IV, n. 4275 del 2012).
In ogni caso –è stato anche aggiunto– ciò che più conta è “l’impegno visivo” dell’opera, ossia la sua concreta idoneità ad incidere sulla trasformazione del suolo (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 3847 del 2010): beninteso, purché però tale “impegno” (che deve formare, evidentemente, oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione) sia adeguatamente valorizzato come parte integrante della motivazione dell’ordine di ripristino, nel senso che l’amministrazione deve preoccuparsi di offrire ragionevoli indicazioni (derivanti, ad esempio, dalle notevoli dimensioni o dalle modalità costruttive dell’opera) in ordine alla ritenuta trasformazione del suolo, tali da giustificare il più severo regime edilizio applicato.
Nel caso di specie non appare dubbio, in base sia agli atti versati in giudizio sia alla motivazione dell’ordinanza di demolizione, che la funzione del muro edificato è unicamente quella di recingere l’area adibita a deposito e stoccaggio di materiali industriali, anche al fine di assicurare idonee condizioni di sicurezza dello stabilimento. Sotto altro profilo, poi, la motivazione dell’atto, nella sua estrema sinteticità, non si è preoccupata di individuare i profili che potevano indurre a ritenere integrata una vera e propria trasformazione urbanistica del suolo, in modo da giustificare l’applicazione del regime edilizio della concessione, in luogo di quello tipico delle opere pertinenziali.
Emerge, in definitiva, ed allo stato degli atti, un’oggettiva destinazione pertinenziale dell’opera de qua a servizio della proprietà, senza particolari problematiche di compatibilità urbanistica (se non un fugace, e del tutto generico, accenno –compiuto nell’ordinanza impugnata– a non meglio definite “difformità da quanto previsto dalle norme di attuazione del vigente PRGC”), con un quadro di risulta tale quindi da determinare l’applicazione del più blando regime edilizio della d.i.a., e la conseguente inapplicabilità della sanzione ripristinatoria ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 09.05.2013 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accesso carrabile e pedonale da un’area privata su strada ad uso pubblico senza il consenso del proprietario.
L’amministrazione comunale non può, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso carrabile e pedonale, da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso da parte del proprietario.
La compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.
Se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.

Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società cooperativa edilizia avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo con cui è stato accolto il ricorso proposto da una società cooperativa controinteressata e, per l’effetto, è stato disposto l’annullamento del titolo edilizio rilasciato in suo favore nel dicembre del 2004 per la parte in cui le ha consentito di realizzare un accesso carrabile su una strada privata (ma ad uso pubblico) di proprietà della ricorrente in primo grado.
Il thema decidendum consiste nello stabilire se legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso –carrabile e pedonale– da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi: vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario
Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita risposta in senso negativo.
Al riguardo si osserva in primo luogo:
- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria viaria in parte di proprietà comunale e in parte di proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si configura –almeno in parte– come strada privata di suo pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via Abruzzo e la Via della Scuola);
- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare della società appellante ricade in toto nella porzione della via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della provincia dell’Aquila).
Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una controversia avente ad oggetto la delimitazione della consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.
Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai fini della definizione della presente controversia, nel cui ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti e degli obblighi delle parti private in lite viene in rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.
In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove ha osservato che la compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.
Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.
Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 09.06.2008, n. 2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).
Si osserva al riguardo:
- che quella sentenza ha compendiato i princìpi giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo) relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti altresì che l’amministrazione possa –in assenza o in contrasto con la volontà del proprietario– consentire un accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;
- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata comporta che questa diviene soggetta alla normale disciplina stradale “e la proprietà privata si riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale”, per altro verso essa non ha affatto affermato che ciò comporti necessariamente la possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi dell’articolo 1032 del Codice civile) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.05.2013 n. 2416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento non è una costruzione.
La CORTE D'APPELLO di Venezia, Sez. II civile, nella sentenza 23.04.2013 n. 969, chiarisce che il muro di contenimento e la sua (eventuale) sopraelevazione non costituiscono una costruzione atteso che il concetto di costruzione non si identifica con quella di edificio poiché “si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (Cass. Sentenza n. 15972 del 27/07/2011).
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parte naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (Sentenza n. 14 del 10/01/2006).
La parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche (Sentenza n. 145 del 10/01/2006); rappresentano, invece, certamente costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. Sentenza n. 1345 del 10/01/2006; Cass. Sentenza n. 1217 del 22/01/2010)
”.
Di conseguenza: “ritiene questa Corte che per la parte in cui il muro costituisce contenimento della parete naturale o scarpata lo stesso non è qualificabile come costruzione, mentre la parte in sopraelevazione rappresenta “muro di cinta” ex art. 878 c.c. che non costituisce costruzione ai fini delle distanze legali perché di altezza inferiore a tre metri (la sopraelevazione è di circa 83 cm.)”.
La sentenza in commento, per la parte che ivi interessa, riforma quanto sancito dal TRIBUNALE di Vicenza, Sez. II civile, con la sentenza 21.11.2008 n. 1834, che aveva considerato come costruzione la parte del muro di contenimento costruita in sopraelevazione: “tale distanza nella fattispecie non risulta osservata, come con divisibilmente affermato dal consulente tecnico d’ufficio, posto che il c.d. muro di contenimento, per le illustrate caratteristiche costruttive, costituisce, quanto meno per la parte superiore, una vera e propria costruzione.
Dal punto di vista edilizio e civilistico, per integrare il concetto normativo di costruzione, come più volte affermato dalla Cassazione, vengono in rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della stabilità e dell’immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzioni meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabili.
Anche la migliore dottrina include nella nozione di “costruzione” non solo l’opera che abbia le caratteristiche di un edificio o di altra fabbrica in muratura, ma anche qualsiasi altra opera edilizia che presenti carattere di solidità, stabilità e di immobilizzazione rispetto al suolo, ancorché manchi di propria individualità ed autonomia in quanto costituente un semplice accessorio del fabbricato.
Per quanto più specificamente concerne la problematica del muro c.d. di contenimento, la giurisprudenza di legittimità afferma che “in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte di muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati dall’opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (Cassazione civ., sez. II, 10.01.2006 n. 145; in senso sostanzialmente conforme Cassazione n. 8144/2005)
” (tratto da  e link a http://venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche un rialzamento del terreno realizzato a opera dell’uomo può integrare gli estremi della costruzione secondo quanto previsto dall’art. 873 c.c., tenuto conto che ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera.
Nel caso di dislivello derivante dall’opera dell’uomo devono ritenersi costruzioni, in senso tecnico giuridico, il terrapieno e il relativo muro di contenimento che lo abbiano prodotto o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi.
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MASSIMA
3. I due motivi, tra loro collegati, possono essere esaminati congiuntamente risolvendosi nell'unitaria censura della sentenza che ha escluso la natura di costruzione alla sopraelevazione artificiale del piano di campagna da parte del confinante. I motivi si concludono con la formulazione di un quesito per ciascun motivo.
Il primo quesito è diretto a stabilire se per costruzione debba intendersi anche quella realizzata con riporto di terreno con il quale venga artificialmente aumentato il piano naturale del fondo rispetto a quello confinante e comunque il dislivello naturale tra due fondi, indipendentemente dallo spessore e dal volume del terrapieno.
Il secondo quesito è diretto a stabilire se è soggetto all'obbligo delle distanze, in quanto equiparabile a costruzione, anche il terrapieno realizzato artificialmente anche se non appoggiato ad un muretto di contenimento.
4. I motivi sono infondati.
Il giudice di appello ha escluso che la realizzazione del terrapieno costituisse "costruzione" sulla base di due rationes decidendi, una delle quali costituita dalla modestia dell'intervento realizzato con semplice apporto di terra su terra per pochi centimetri di altezza.
Occorre premettere:
   - che in sede possessoria era stato richiesto di riportare la quota del terreno al livello preesistente per la distanza di metri cinque dal confine,
   - che è pacifico che la quota del terreno è stata rialzata artificialmente di pochi centimetri e senza la realizzazione di muratura di contenimento;
   - che non è controverso in causa che la violazione delle distanze possa costituire molestia nel possesso, come d'altra parte già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al possesso del fondo finitimo, contro la quale è data l'azione di manutenzione, perché anche quando non ne comprime di fatto l'esercizio, apporta automaticamente modificazione o restrizione delle relative facoltà (v. Cass. 03/07/1998 n. 6483; Cass. 23/01/1995 n. 724; Cass. 19/03/1991 n. 2927; Cass. 09/09/1989 n. 3911).
Questa Corte ha, inoltre, di recente riaffermato il principio, qui condiviso, secondo il quale
anche un rialzamento del terreno realizzato ad opera dell'uomo può integrare gli estremi della costruzione secondo quanto previsto dall'art. 873 c.c., tenuto conto che ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera (Cass. 20/07/2011 n. 15972).
Già in precedenza era consolidato l'orientamento secondo il quale
nel caso di dislivello derivante dall'opera dell'uomo devono ritenersi costruzioni in senso tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento che lo abbiano prodotto o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi (v. Cass. 15/06/2001 n. 8144; Cass. 02/02/2000 n. 1134; Cass. 21/05/1997 n. 4541).
Tuttavia questi principi non sono applicabili alla fattispecie nella quale è stato escluso dalla Corte di Appello con motivazione di puro merito, che l'opera di sistemazione del terreno in concreto realizzata possa essere qualificata come costruzione anche tenendo conto dei criteri elaborati da questa Corte per l'individuazione dell'ambito della nozione di costruzione.
Questa valutazione, in primo luogo, esclude la dedotta violazione dell'art. 873 c.c. che impone di rispettare, nelle costruzioni, le distanze legali eventualmente anche maggiori stabilite dai regolamenti locali (nel caso concreto 5 metri).
Il non avere riconosciuto che non è costruzione il riporto di pochi centimetri di terreno sul suolo non significa non avere ricondotto il fatto accertato alla fattispecie di legge (art. 873 c.c.) in quanto a tal fine sono state valorizzate circostanze tali da escludere il presupposto in fatto di applicabilità della norma, ossia l'esistenza di una costruzione anche nell'accezione recepita dalla giurisprudenza di legittimità; ciò comporta che neppure è messo in discussione il principio per il quale le disposizioni sulle distanze legali non lasciano al giudice nessun margine di accertamento e di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza e, in particolare, alla formazione di eventuali intercapedini (dannose o pericolose), avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano (Cass. n. 213/2006; n. 15367/2001, n. 8023/1999, n. 12195/1998).
Infine non messo in discussione il principio dell'assolutezza del diritto reale che non tollera limitazioni e la cui tutela non può quindi essere subordinata alla prova di un pregiudizio (cfr. ex multis Cass. 12/10/2009 n. 21629).
In conclusione, una volta escluso che la decisione impugnata si ponga in diretto contrasto con la disposizione che si assume violata (art. 873 c.c.), la questione si riduce a stabilire se sia ravvisabile il pur dedotto vizio di motivazione in ordine alla qualificazione dell'intervento e, in particolare, se nell'escludere che tale intervento possa essere considerato una "costruzione" possa ravvisarsi un contrasto con la nozione elaborata dalla giurisprudenza quanto alle caratteristiche della costruzione ai fini del rispetto delle distanze legali (riemergendo, solo in caso di accertato contrasto, anche il vizio di falsa applicazione dell'art. 873 c.c.).
A questo punto riacquista rilevanza il giudizio sulla astratta idoneità alla creazione di intercapedini nocive (cfr. Cass. 12/02/1998 n. 1509). Infatti l'art. 873 c.c., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, si riferisce, in relazione all'interesse tutelato dalla norma, non necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, inoltre, per la sua consistenza, abbia l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà, idoneità il cui accertamento è rimesso al giudice di merito (Cass. 06/03/2002 n. 3199; Cass. 17/12/2012 n. 23189).
Nella specie, la Corte di merito, nel rispetto dei criteri elaborati dalla giurisprudenza quanto alla nozione di costruzione, ha valorizzato il dato (certo) della irrilevante fuoriuscita dal suolo, implicitamente, ma inequivocabilmente escludendo anche l'astratta possibilità di creazione di qualsivoglia intercapedine, trattandosi di un mero intervento di sistemazione del terreno con l'apporto di terra e all'esito del quale la quota è risultata più elevata per pochi centimetri (circa 50 centimetri secondo il ricorrente).
I due motivi sono pertanto infondati e al primo quesito di diritto occorre dare risposta negativa nel senso che
la sopraelevazione di pochi centimetri del terreno come conseguenza di una mera sistemazione del suolo con l'apporto di terra senza che si realizzi, per la modestissima variazione della quota, neppure l'astratta possibilità del formarsi di intercapedini non costituisce costruzione.
Il secondo quesito pur affermando un principio pacifico (e soggetto all'obbligo delle distanze il terrapieno artificialmente realizzato anche se non appoggiato ad un muretto di contenimento), non pertinente alla fattispecie in quanto, con accertamento adeguatamente motivato il giudice del merito ha ritenuto per la irrilevanza della variazione della quota altimetrica non sussistano i requisiti minimi affinché l'intervento sul terreno possa essere qualificato come costruzione.
5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; tuttavia, quanto alle spese di questo giudizio di cassazione, non si può non considerare che nella valutazione in fatto i giudici dei due gradi di merito hanno espresso (in forma molto sintetica quelle del giudice di appello) valutazioni opposte, pur nella comune e dichiarata adesione, sia da parte del giudice di primo grado che da parte del giudice di appello ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 16.04.2013 n. 9179).

EDILIZIA PRIVATA: Le opere di recinzione di un edificio rientrano nel concetto di pertinenza, attesa la destinazione a scopo di protezione e delimitazione della cosa principale, senza che alle stesse possa essere riconosciuta alcuna sostanziale autonomia funzionale.
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Non possono svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, mai oggetto di sanatoria edilizia; né tale ulteriore attività costruttiva può spiegare effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l'opera abusiva nella sua interezza.
Infatti, «in presenza di manufatti abusivi non sanati, né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione».

Invero, le opere di recinzione di un edificio rientrano nel concetto di pertinenza, attesa la destinazione a scopo di protezione e delimitazione della cosa principale, senza che alle stesse possa essere riconosciuta alcuna sostanziale autonomia funzionale (TAR Napoli Campania sez. II 11.09.2009 n. 4935).
Di conseguenza, ferma restando la natura abusiva del fabbricato, colpito da più ordinanze di demolizione citate nell’atto impugnato, nella fattispecie deve applicarsi il principio secondo cui «non possono svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, mai oggetto di sanatoria edilizia; né tale ulteriore attività costruttiva può spiegare effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l'opera abusiva nella sua interezza» (TAR Campania Napoli, sez. VI, 12.11.2010 n. 24017); infatti, «in presenza di manufatti abusivi non sanati, né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione» (TAR Napoli Campania sez. VI 06.02.2013 n. 760 TAR Napoli Campania sez. VI 02.01.2013 n. 10; TAR Napoli Campania sez. VI 02.05.2012 n. 2000; TAR Napoli Campania sez. VI 02.05.2012 n. 2006).
Nel caso in esame, non risultando istanze o provvedimenti di condono, si rivela legittimo il diniego opposto dal Comune di Marcianise oggetto della presente impugnazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 11.04.2013 n. 1955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’imponenza della recinzione che si estende per una lunghezza di circa 346 metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo.
La realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico deve essere preceduta ex l. 10/1977 da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’interevento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale.
La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso senso la più recente secondo cui “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione di ius utendi (come nel caso di specie) più che di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo”.

Ad ogni modo, risulta corretta la ricostruzione giuridica operata dal primo Giudice in ordine alla necessità che la recinzione de qua fosse preceduta da titolo edilizio, atteso che la giurisprudenza sia di questo Consiglio che della Suprema Corte di Cassazione ritiene che la realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba essere preceduta ex l. 10/1977 da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’interevento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale.
La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione di questa Sezione (Cons. Stato Sez. V, 26-10-1998, n. 1537), secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "jus excludendi alios"; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”.
Nello stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23.02.2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23.05.2011, n. 3046; sez. IV, 30.06.2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione di ius utendi (come nel caso di specie) più che di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un quid novi>>).
Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30.09.1988), secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo” (cfr. in aggiunta Cass. pen., sez. III, 02.10.2010, n. 41518; sez. III, 13.12.2007).
Nella fattispecie l’imponenza della costruzione che si estende per una lunghezza di circa 346 metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.04.2013 n. 1922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune può certamente dettare prescrizioni circa le modalità tecniche da osservare nella realizzazione delle recinzioni, nell'ambito della propria potestà pianificatoria, ma non può precluderne in toto l'edificazione, essendo pertanto illegittimo un generalizzato divieto di recinzione dei fondi.
Sono parimenti fondate le censure rivolte avverso gli artt. 31.3.6 e 32.5.1 delle N.T.A., nella parte in cui vietano qualsiasi tipo di recinzione delle proprietà nelle zone agricole E1 ed E2.
Il Comune può certamente dettare prescrizioni circa le modalità tecniche da osservare nella realizzazione delle recinzioni, nell'ambito della propria potestà pianificatoria, ma non può precluderne in toto l'edificazione, essendo pertanto illegittimo un generalizzato divieto di recinzione dei fondi (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 05.02.2008 n. 40), come invece avvenuto nel caso di specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.03.2013 n. 751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn forza dell’art. 878 del codice civile “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873 cod. civ.”.
In linea generale tuttavia quando un intervento edilizio determini (o faccia venir meno) un dislivello rispetto al fondo interessato, si realizza una modifica del terreno normalmente assimilata a una nuova costruzione, ed il muro che delimita il terrapieno perde la qualificazione di muro di cinta per assumere quella di muro di sostegno.
In tal senso la Corte di Cassazione ha affermato che “In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato "ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni”.

In forza dell’art. 878 del codice civile “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873 cod. civ.”. In linea generale tuttavia quando un intervento edilizio determini (o faccia venir meno) un dislivello rispetto al fondo interessato, si realizza una modifica del terreno normalmente assimilata a una nuova costruzione, ed il muro che delimita il terrapieno perde la qualificazione di muro di cinta per assumere quella di muro di sostegno (cfr. sentenza Sezione 24/08/2012 n. 1462).
In tal senso la Corte di Cassazione (sez. II civile – 04/06/2010 n. 13628) ha affermato che “In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato "ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni”.
Nel caso di specie, tuttavia, parte ricorrente ha argomentato in fatto (fornendo in proposito documentazione probante) la preesistenza di un manufatto in muratura che cingeva le proprietà laterali, il quale è stato ripristinato come in origine, sistemando il terreno alla stessa quota di quelli limitrofi; né in giudizio sono stati esibiti elementi di prova in senso contrario, stante la mancata costituzione dell’amministrazione e della controinteressata.
Il Collegio deve quindi applicare l’art. 64 del codice del processo amministrativo il quale statuisce che “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni” (comma 1) e che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite” (comma 2). In effetti, a fronte del ripristino di un muro già esistente e posizionato in loco, deve ritenersi che la modifica artificiale abbia ricondotto la situazione dei luoghi allo stadio originario, recuperando il muro stesso al suo andamento “storico” e naturale. In presenza di tale peculiare condizione non è applicabile l’orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto al precedente paragrafo, e l’opera deve ritenersi ammissibile in quanto rispondente alle condizioni introdotte dall’art. 878 del c.c. (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 19.03.2013 n. 273 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon può affermarsi che i terrapieni trattenuti dai muri in questione abbiano prodotto un dislivello oppure abbiano aumentato il dislivello già esistente per la natura dei luoghi, presupposto che deve invece sussistere perché i muri possano qualificarsi quali costruzioni.
Esclusa la natura di costruzioni delle opere realizzate ed attesa la funzione svolta, di sostenere il terreno al fine evitare movimenti franosi, esse non sono computabili ai fini delle distanze e non violano la destinazione impressa dal p.r.g. all’area in questione, né sono, tantomeno, soggette alle disposizioni che regolano le recinzioni.

Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 34 delle n.t.a. in relazione all'art. 1, l. n. 10/1977, essendo i terreni inseriti in zona F1 ed inedificabili ed in quanto la norma tecnica di attuazione consentirebbe la realizzazione di recinzioni e non di terrazzamenti con relativi muri di sostegno.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5 delle n.t.a., la quale prescrive la distanza minima delle costruzioni di cinque metri dal confine: a suo avviso, i muri in questione ed i retrostanti terrapieni, che sarebbero stati realizzati artificialmente, sarebbero delle costruzioni, tenute al rispetto delle distanze legali.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico e giuridico, sono privi di fondamento.
Il Collegio è dell’avviso che l’attività istruttoria compiuta nel corso del giudizio civile che si è svolto tra le medesime parti -e che si è concluso con la sentenza del Tribunale di Milano n. 607/2007 del 17.04.2007, parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 500/12 del 09.02.2012- sia esaustiva e che possa, pertanto, disattendersi ogni richiesta di consulenza tecnica d’ufficio avanzata dal ricorrente.
La consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Corte d’Appello di Milano –al fine di ottenere chiarimenti in merito alle conclusioni espresse dalla consulenza tecnica depositata nel giudizio di primo grado- ha accertato la funzione di contenimento dei muri e la loro necessità al fine di evitare “il denudamento, il franamento e/o lo scivolamento della terra naturale”.
Queste valutazioni sono state recepite nella sentenza della Corte d’Appello n. 500/2012 del 09.02.2012, che ha escluso la natura di "costruzioni", agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., dei muri e dei terrazzamenti realizzati dai sig.ri Luigi Pietroboni e Silvio Pietroboni e quindi la violazione della distanza dal confine, quale prescritta dallo strumento urbanistico vigente.
Il Collegio condivide le conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello, ritenendo che -alla luce di quanto accertato dalle consulenze tecniche rese nel corso del giudizio civile- non possa affermarsi che i terrapieni trattenuti dai muri in questione abbiano prodotto un dislivello oppure abbiano aumentato il dislivello già esistente per la natura dei luoghi, presupposto che deve invece sussistere perché i muri possano qualificarsi quali costruzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
Né assume rilievo, ai fini della qualificazione dell’intervento, la circostanza che l’amministrazione abbia rilasciato un permesso di costruire in sanatoria: il rilascio di un permesso di costruire è previsto all’art. 10 d.P.R. n. 380/2001 anche per la realizzazione di interventi diversi dalle nuove costruzioni e, comunque, non incide sulla qualificazione delle opere con esso assentite.
Esclusa la natura di costruzioni delle opere realizzate ed attesa la funzione svolta, di sostenere il terreno al fine evitare movimenti franosi, esse non sono computabili ai fini delle distanze e non violano la destinazione impressa dal p.r.g. all’area in questione, né sono, tantomeno, soggette alle disposizioni che regolano le recinzioni.
Non sussiste quindi la violazione degli artt. 5 e 34 delle n.t.a. (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.03.2013 n. 645 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno.
Entro tali limiti, infatti, la recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios”, e non comporta di norma trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, a differenza di altre e diverse ipotesi in cui la recinzione stessa non assume solo la funzione ora descritta ma dà luogo ad una trasformazione ulteriore mediante installazione di elementi non strettamente necessari alla sua primaria funzione, quali, ad esempio, un muretto di sostegno in calcestruzzo lungo tutto il perimetro.
Tale conclusione deve ritenersi applicabile anche ai relativi cancelli, che ugualmente, se inseriti nella recinzione non costituita da una semplice rete, dà luogo a trasformazione urbanistica tale da richiedere la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), con conseguente legittima irrogazione della sanzione ripristinatoria di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, ove tale concessione non sia stata rilasciata.

Privo di pregio è anche l'ulteriore motivo, con cui il ricorrente sostiene che “la recinzione in rete metallica di un fondo con cancello di ingresso incorporato”, non raggiungendo la soglia di rilevanza urbanistica, non necessiterebbe di titolo concessorio e, conseguentemente, l’abusiva realizzazione della stessa non sarebbe suscettibile di sanzione ripristinatoria, ex art. 7 della legge n. 47/1985, ma solo di sanzione pecuniaria; la questione, peraltro, sarebbe stata definitivamente risolta dal D.L. 22.07.1996, n. 388, vigente al momento dell’adozione dell’impugnato diniego, che avrebbe sottoposto le recinzioni, muri di cinta e cancellate a semplice denuncia di inizio di attività, prevedendo, in assenza della DIA, l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria.
Va, innanzitutto, rilevato a riguardo che la recinzione per cui è causa, secondo la descrizione fattane nella dichiarazione allegata alla domanda di condono e nella diffida a demolire, è in muratura (“costruzione dei muri di recinzione del lotto con cancello su strada”), e che, la sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta -per sua natura incompatibile con ogni manufatto, che alteri lo stato dei luoghi e sia destinato a soddisfare esigenze costanti nel tempo, a prescindere dai materiali usati e dalle tecniche costruttive– è di per sé sufficiente a giustificarne la demolizione, unitamente al cancello nella stessa incorporato.
Va, comunque, precisato, che, secondo la prevalente giurisprudenza, condivisa dal Collegio, non è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno (cfr., ex multis, TAR Veneto, sez. II, 07.03.2006, n. 533; TAR Campania, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82).
Entro tali limiti, infatti, la recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios”, e non comporta di norma trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, a differenza di altre e diverse ipotesi in cui la recinzione stessa non assume solo la funzione ora descritta ma dà luogo ad una trasformazione ulteriore mediante installazione di elementi non strettamente necessari alla sua primaria funzione, quali, ad esempio, un muretto di sostegno in calcestruzzo lungo tutto il perimetro (cfr., ex multis, TAR Basilicata, 19.09.2003, n. 897; TAR Liguria, I, 11.09.2002, n. 961; TAR Toscana, I, 26.03.2009, n. 521; TAR Toscana, II, 13.10.2009, n. 1532).
Tale conclusione deve ritenersi applicabile anche ai relativi cancelli, che ugualmente, se inseriti nella recinzione non costituita da una semplice rete, dà luogo a trasformazione urbanistica tale da richiedere la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) (cfr., TAR Lombardia, Brescia, n. 574/2011; TAR Campania, VII, n. 1222/2009; TAR Lazio, II, n. 8777/2008), con conseguente legittima irrogazione della sanzione ripristinatoria di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, ove tale concessione non sia stata rilasciata.
Né può fondatamente invocarsi l’applicazione del D.L. n. 388/1996, essendo l’ambito di operatività dello stesso circoscritto alle nuove costruzioni e non a quelle già realizzate oggetto di istanza di condono
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.03.2013 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASi ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.
Al contrario, occorre il permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria.

- che invero, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II, 07.03.2006, n. 533); al contrario occorre il permesso di costruire, quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n. 4755);
- atteso che nel caso di specie, la natura e le dimensioni della recinzione realizzata abusivamente dal ricorrente, costituita da muretto di base e sovrastante cancellata, richiedeva il permesso di costruire;
- ne consegue che, respinta la sanatoria, l’ordine di demolizione impartito risulta legittimo (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2013 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento non è costruzione ex art. 873 c.c..
Come costantemente affermato dalla Suprema Corte in tema di distanze legali: <<…il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento>> (cfr. da ultimo Cassazione civile, sez. VI, 13.09.2012, n. 15391).
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per la parte di muro sopraelevata sul muro di contenimento a scopo di recinzione, che non può, ai sensi dell’art. 878, co. 1 c.c., essere considerata ai fini del computo delle distanze, laddove l’altezza complessiva sia contenuta nei limiti fissati dalla normativa comunale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.11.2012 n. 2687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per “muro di cinta”, nella dizione di cui alla legge n. 662/1996, possono intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà. Esse in quanto aventi natura pertinenziale sono assoggettate, nel sistema vigente all’epoca della adozione dell’atto impugnato, della denuncia di inizio attività prevista e disciplinata dall’art. 62 della legge n. 662/1996.
Diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. "muri di contenimento", che si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per funzione, ma anche, come innanzi precisato, perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla funzione di contenimento.
Pertanto, il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati. Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza delle modifiche che esso produce sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell'applicazione della misura demolitoria prevista per il caso di assenza di concessione.

Ed infatti, dal contenuto del verbale di sopralluogo citato, e dalle risultanze della CTU si ricava che il muro in questione non può qualificarsi quale “muro di cinta”, ma, risulta costruito per “evitare l’ulteriore dilavamento del terreno”. Da tali dichiarazioni si ricava quindi che il muro in questione è stato realizzato dalla ricorrente, asseritamente, quale opera muraria al fine di prevenire possibili smottamenti del terreno.
Da tali risultanze si ricava che l’opera in questione va qualificata come “muro di contenimento” le cui caratteristiche lo differenziano sostanzialmente dal muro c.d. “di cinta” .
A parere del Collegio, per “muro di cinta”, nella dizione di cui alla legge n. 662/1996, possono intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà. Esse in quanto aventi natura pertinenziale sono assoggettate, nel sistema vigente all’epoca della adozione dell’atto impugnato, della denuncia di inizio attività prevista e disciplinata dall’art. 62 della legge n. 662/1996.
Diversa è invece la consistenza e la funzione dei c.d. "muri di contenimento", che si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per funzione, ma anche, come innanzi precisato, perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per assolvere a siffatta funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla funzione di contenimento.
Pertanto, il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati. Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza delle modifiche che esso produce sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell'applicazione della misura demolitoria prevista per il caso di assenza di concessione.
Nella specie, la scrupolosa indagine del CTU consente di ritenere che, per entità, estensione, tipologia, la serie di muri realizzata –a prescindere da una effettiva idoneità concreta- non può considerarsi una mera recinzione del fondo, ma si propone anche una funzione di contenimento, e come tale va assoggettata all’obbligo di preventivo rilascio del titolo edilizio, anche in considerazione della sua esecuzione in zona vincolata paesaggisticamente
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.10.2012 n. 4275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti - recinzione - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita - il potere sanzionatorio in materia edilizia.
La giurisprudenza è univoca e costante nell’affermare che, ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 9 del 1982, ogni opera pertinenziale al servizio di edifici già esistenti, tra le quali rientra anche una recinzione, nella misura in cui se ne accerti l’effettiva funzione pertinenziale nei riguardi di un fabbricato già esistente, è soggetta non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione gratuita.
Pertanto, poiché nel provvedimento si fa riferimento ad una mera recinzione -e non già ad una opera più complessa, quale una recinzione composta da muro di sostegno con sovrastante rete metallica, che costituendo una vera e propria costruzione idonea a modificare l’assetto urbanistico-edilizio del territorio, avrebbe comportato il previo rilascio del titolo concessorio- si appalesa illegittimo il provvedimento con il quale il Sindaco ha ordinato la demolizione della recinzione dell’edificio, in base al presupposto che si trattasse di opera soggetta a concessione.
Né il provvedimento potrebbe essere giustificato dalla rilevata circostanza che la recinzione di cui trattasi graverebbe su tratto di strada mulattiera, perché al fine di rimuovere tale situazione il sindaco non avrebbe dovuto esercitare il potere sanzionatorio in materia edilizia, ma, tempestivamente, a suo tempo (allorché lo stato di fatto preesistente, come sembra emergere dalle planimetrie allegate alla perizia tecnica, alla quale si è in precedenza accennato, era stato pregiudicato non dalla recinzione, ma dallo stesso edificio, che aveva invaso con il piano seminterrato l’angolo sud/est della strada mulattiera, impedendone il transito), avrebbe dovuto ordinare la rimessa in pristino della strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi degli artt. 378, L. 20.3.1865 n. 2248, all. F e 15, d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.10.2002 n. 5610 - massima tratta da www.ambientediritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di tamponamento del terrapieno dev’essere considerato una costruzione ai fini del computo delle distanze di cui all’art. 873 c.c. nella parte in cui, finendo la propria specifica funzione, vale a dire quella di contenimento del retrostante terreno e quindi di conservazione dello stato dei luoghi, assume connotati del tutto diversi, quali, per esempio, quello di parapetto utile a consentire l’affaccio illegittimo sul fondo del vicino.
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MASSIMA
4.2. - Il secondo motivo è fondato sotto il duplice profilo della violazione dell'art. 873 e della logicità del connesso impianto motivazionale diretto ad escludere che l'opera in questione fosse qualificabile come costruzione.
E' costante affermazione di questa S.C. che, in tema di distanze legali,
il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello de/fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. nn. 145/2006 e 243/1992).
Ne deriva che
il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall'opera dell'uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distanze previste dall'art. 873 cod. civ. e dalle eventuali norme integrative (Cass. n. 1217/2010) (Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza 13.09.2012 n. 15391).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e non eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere configurato quale “costruzione” al fine della disciplina regolamentare ec art. 9, comma 2, del D.M. 1444/1968.
Per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 29-bis delle N.T.A. del P.R.G., già illustrata in primo grado e riproposta in appello, va evidenziato che il Della Giovampaola afferma che il muro costruito dal Comune al fine di delimitare l’area dove è sta realizzata la stazione ecologica dista dal confine della proprietà del medesimo appellante ricorrente soltanto m. 1,5 e non già m. 5.
Come emerso in sede di giudizio di primo grado, ad una determinata distanza da tale muro sono in effetti i cassonetti di raccolta dei rifiuti.
L’art. 29-bis delle N.T.A., che ha per oggetto “Attrezzature e servizi speciali a gestione pubblica e privata (S4),” prevede che “in tali aree possono insediarsi, su iniziativa pubblica, privata o mista, attività di servizio (compresa la commercializzazione) per il deposito, il trattamento ed il trasporto di rifiuto liquidi e solidi.”, con contestuale obbligo per gli edifici ivi realizzati, sia per servizi che per le residenze di servizio per il gestore o il custode dell’attività insediata, di articolarsi in due piani al massimo, di avere un’altezza massima di m. 12, di avere una copertura a capanna, a padiglione, o piana, di collocarsi ad una distanza dai confini di zona e di proprietà privata di m. 5, di rispettare la distanza dalle strade prevista dal Codice della Strada e –da ultimo– di estendersi per una superficie territoriale coperta massima del 40%.
Come rettamente rilevato da giudice di primo grado, la surriportata disciplina di piano contempla distanze dai confini e dalla proprietà previste che ragionevolmente non possono che riferirsi alle costruzioni e non già ai muri di cinta, quale è -per l’appunto- quello la cui realizzazione è segnatamente contestata da Della Giovampaola.
In tal senso, deve pertanto concludersi che la realizzazione del muro medesimo è comunque conforme a quanto disposto dall’art. 878 cod. civ., in forza del quale –per l’appunto– “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’articolo 873” dello stesso codice: e, poiché il muro di cui trattasi è alto soltanto m. 1,20, ne consegue l’irrilevanza, nell’economia della presente causa, di tutta la giurisprudenza della Corte di Cassazione che il medesimo Della Giovampaola cita a preteso conforto delle proprie tesi.
Va anche respinto il motivo d’appello con il quale il Della Giovampaola afferma che “il muro funzionale alla stazione ecologica” sarebbe stato realizzato a distanza minore di dieci metri dal capannone di proprietà del ricorrente stesso (posto a sette metri dal detto muro), così violando la distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista in dieci metri dall’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444 del 1968: e ciò in quanto il muro medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e non eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere configurato quale “costruzione” al fine della disciplina regolamentare testé richiamata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.09.2012 n. 4672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un muro di recinzione, peraltro di consistenza piuttosto limitata, il quale non comporta alcuna trasformazione urbanistica del territorio, né ha alcuna particolare incidenza sul carico urbanistico e sulla conformazione dei luoghi, esprime una facoltà accessoria al diritto dominicale, consistente nel potere di escludere l'accesso indebito di terzi nell'area di proprietà e non risulta soggetto ad alcun titolo abilitativo.
Invero, qualora la recinzione, collocata in zona non urbana, abbia una ridotta incidenza e consistenza, non altera sensibilmente il territorio e costituisce solo minimale espressione del diritto di proprietà: detto manufatto apparendo non idoneo a mutare l'aspetto del territorio in essere non richiede il titolo abilitativo edilizio.

Deduce il ricorrente difetto di motivazione del provvedimento impugnato poiché, a fronte di una DIA finalizzata alla mera costruzione di un muro di recinzione nei pressi del fabbricato di proprietà del ricorrente sito in località Case Campoli (area PEEP), il provvedimento di inammissibilità della DIA non risulta sufficientemente motivato.
La censura è fondata posto che la realizzazione di un muro di recinzione, peraltro di consistenza piuttosto limitata, il quale non comporta alcuna trasformazione urbanistica del territorio, né ha alcuna particolare incidenza sul carico urbanistico e sulla conformazione dei luoghi, esprime una facoltà accessoria al diritto dominicale, consistente nel potere di escludere l'accesso indebito di terzi nell'area di proprietà e non risulta soggetto ad alcun titolo abilitativo.
A tal proposito il TAR Brescia Lombardia sez. I, 15.02.2012, n. 234 ha affermato che “Qualora la recinzione, collocata in zona non urbana, abbia una ridotta incidenza e consistenza, non altera sensibilmente il territorio e costituisce solo minimale espressione del diritto di proprietà: detto manufatto apparendo non idoneo a mutare l'aspetto del territorio in essere non richiede il titolo abilitativo edilizio” (TAR Lazio-Latina, sentenza 02.08.2012 n. 637 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muovendo dall'art. 878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha un'altezza superiore a tre metri e che solo per un manufatto di queste dimensioni è ravvisabile la possibilità di applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001 n. 380).
In tali limiti va, pertanto, interpretato il comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha subordinato alla denunzia d'inizio d'attività gli interventi ivi indicati (tra i quali "recinzioni, mura di cinta e cancellate").
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Nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. di recente sez. IV, 03.05.2011, n. 2621) è nel senso che, muovendo dall'art. 878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha un'altezza superiore a tre metri e che solo per un manufatto di queste dimensioni è ravvisabile la possibilità di applicare l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001 n. 380); in tali limiti va, pertanto, interpretato il comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha subordinato alla denunzia d'inizio d'attività gli interventi ivi indicati (tra i quali "recinzioni, mura di cinta e cancellate") e che erroneamente -in punto di fatto- il ricorrente invoca a proprio vantaggio.
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In proposito, è sufficiente richiamare, ex multis, la sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165, secondo la quale, nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; 27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte 07.05.2003, n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; 19.10.1994, n. 345)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.07.2012 n. 1265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Solo una sanzione pecuniaria e non la demolizione se la recinzione viene realizzata in difformità all’autorizzazione comunale.
Nella vicenda attenzionata dal TAR si controverte della legittimità di un’ordinanza di demolizione di un capannone abusivo, nonché di un muro di cinta e di un cancello in ferro, realizzati in difformità dell’autorizzazione.
Il Collegio facendo leva sulla natura vincolata dell’ordinanza di demolizione ha affermato che non è necessaria la previa adozione di un atto di sospensione dei lavori, dal momento che risponde meramente ad un’esigenza esclusiva dell’amministrazione. (Cons. st. V 05.06.1997 n. 603).
Viene, inoltre, precisato che per quanto concerne la realizzazione di recinzioni e del cancello, in difformità all’autorizzazione all'uopo rilasciata, la misura della demolizione risulta eccessiva in quanto è sufficiente l’adozione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art.10 della legge n. 47/1985 (e successive modifiche) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 12.04.2012 n. 693 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' soggetta a concessione edilizia l'edificazione del muro di contenimento.
Nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.

Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la giurisprudenza è, da tempo, attestata nel ritenere soggetta a concessione edilizia l'edificazione del muro di contenimento.
In proposito è sufficiente richiamare, ex multis, la sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165, secondo la quale, nel caso in cui la funzione del muro sia quella di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; 27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte 07.05.2003, n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; 19.10.1994, n. 345) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.04.2012 n. 742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Cassazione chiarisce i significati di volume tecnico e pertinenza urbanistica. Il titolo edilizio non può essere eluso parcellizzando l’attività.
Costituisce orientamento consolidato che, “mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, non così il muro di contenimento che viene assimilato alla categoria delle costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione. Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori; in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico”, “si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione”, con conseguente necessità del permesso di costruire.

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Con la
sentenza 14.02.2012 n. 5618 la Corte di Cassazione, Sez. III penale, fa nuovamente il punto su alcune importanti questioni in materia di titoli abilitativi edilizi e di inerenti fattispecie criminose, con particolare riguardo a quelle realizzate mediante pratiche elusive.
Le questioni rilevanti.
Vengono in rilevo, segnatamente, le seguenti questioni:
- l’individuazione dell’ambito di riferimento del permesso di costruire, se come intervento complessivo ovvero come singole opere in cui esso si estrinseca, con quanto ne consegue in ordine al fenomeno della parcellizzazione dell’attività edificatoria;
- la nozione di “volume tecnico” e la sua riferibilità o meno alle parti di edificio destinate all’assolvimento di funzioni complementari;
- la puntualizzazione del concetto di “pertinenza urbanistica”, con particolare riferimento ai profili della strumentalità funzionale e della individualità strutturale rispetto all’edificio principale.
Le soluzioni.
La pronuncia in commento riafferma, ponendosi in linea di continuità con una consolidata giurisprudenza sia di legittimità che amministrativa, la rilevanza penale degli interventi edilizi che non trovino abilitazione in un corrispondente permesso di costruire, nonché l’approccio sostanziale che deve guidare tali riscontri.
La suddivisione dell’attività edificatoria.
Viene ribadito, segnatamente, che la realizzazione di opere riguardanti un preesistente fabbricato necessita sempre di un permesso di costruire, la cui valenza abilitativa va riferita all’intervento complessivo, al fine di evitare che i vincoli urbanistici possano essere aggirati per il tramite di pratiche elusive consistenti nella artificiosa parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, facendo leva sul fatto che le stesse sono astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate, in ragione della loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. Per contro, l’opera deve essere sempre “considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti” (Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent. 11.10.2005).
Al citato fine antielusivo, la Cassazione puntualizza inoltre i contenuti di alcune nozioni urbanistiche che sovente sono invocate al fine, per l’appunto stigmatizzato dal Giudice della legittimità, di reperirvi una pretesa giustificazione in ordine a interventi edilizi sostanzialmente ampliativi dei fabbricati preesistenti.
Il volume tecnico.
Un primo concetto in tal senso esaminato è quello di volume tecnico. La Cassazione ne ribadisce una interpretazione restrittiva, rigorosamente ancorata al dato funzionale e perimetrata in termini di effettiva indispensabilità tecnica. In questa prospettiva, richiamandosi la risalente e consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sent. n. 6038 del 16.09.2004), vengono individuati come tali esclusivamente i volumi che siano “strettamente necessari a consentire l’eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
Trattasi, in altri termini, di volumi “che, per funzione e dimensione, si pongono rispetto alla costruzione come elementi tecnici essenziali per l’utilizzazione della stessa” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 239/1982; sez. V, sent. n. 44/1991) e ai quali, soltanto e nella misura delineata dalla necessità tecnica ineludibile, è consentito eccedere rispetto ai limiti urbanistici posti alla parte abitativa, la quale, diversamente, si vedrebbe pregiudicata con riferimento a profili funzionali essenziali.
Dalle esposte premesse discende una serie di più articolate conseguenze. In primis, quella per cui i volumi tecnici, quali “parti di edificio destinate a comprendere gli impianti tecnici che, per la loro funzionalità, non possono essere contenuti entro i limiti volumetrici previsti dalla legge” (Cass., sez. III, sent. 28.10.1981), non possono mai fare riferimento all’intero edificio, legittimandone indifferenziati e generalizzati aumenti di volume, bensì soltanto a porzioni ben individuate dell’edificio stesso, la cui eccedenza rispetto ai limiti urbanistici non può che essere commisurata e perimetrata in ragione di quanto necessario e sufficiente ad assicurare la funzionalità degli impianti.
Ne discende, ancora, che possono qualificarsi come volumi tecnici soltanto quelli destinati a ospitare “le parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”, con esclusione dunque di ogni ampliamento volumetrico che fosse invece finalizzato a contenere parti di impianti
che ben potrebbero, senza alcun pregiudizio funzionale, essere localizzate e contenute all’interno della parte abitativa.
Ulteriore corollario attiene al fatto che i volumi tecnici “non sono utilizzabili né adattabili a uso abitativo” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 638/2004, richiamata da Cass., sez. III, sent. n. 5618/2012 in commento), non potendosi, in buona sostanza, approfittare della copertura offerta dal regime abilitativo di favore consentito, in via di stretta eccezione, per fronteggiare le necessità tecniche essenziali ineludibili degli impianti al fine distorto ed elusivo dei vincoli urbanistici e, come tale, illecito di espandere il volume della parte abitativa oltre quanto obiettivamente indispensabile in relazione alle necessità tecniche suddette.
Un’altra importante conseguenza è quella per cui i volumi tecnici “non ricomprendono quelli suscettibili di assolvere a funzioni complementari” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 239 del 19.03.1982; sez. V, sent. n. 44 del 14.01.1991). Ciò è connesso al carattere di “funzionalità essenziale” che il volume tecnico deve rivestire, dovendo trattarsi, ai fini dell’esclusione del calcolo della volumetria ammissibile, di spazi destinati e “strettamente necessari a contenere o a consentire l’accesso a quelle parti degli impianti (es. idrico, termico, elevatoio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione ecc.)” che pur non potendo “per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche” “si pongono rispetto alla costruzione come elementi tecnici essenziali per l’utilizzazione della stessa”, il cui difetto ne pregiudicherebbe pertanto l’obiettiva attitudine all’uso essenziale (abitativo) cui essa è destinata (Cons. Stato, sent. n. 6038/2004). Non può quindi invocarsi il regime di favore in relazione ad ampliamenti volumetrici connessi alla realizzazione di finalità complementari, stante la non essenzialità ad assicurare la funzionalità del fabbricato, attenendo piuttosto gli stessi a una maggiore valorizzazione del costrutto che non trova giustificazione in termini di ineludibile necessità e che, come tale, è soggetta all’ordinario regime abilitativo.
La suddetta caratteristica di strumentalità necessaria è inoltre presidiata per il tramite della remissione dell’individuazione della tipologia e della volumetria delle parti di impianti qualificabili come volumi tecnici, cui consegue l’ammissione al regime derogatorio di favore, alle specifiche elencazioni e ai relativi indici come definiti, per ciascuna zona, a opera dei competenti strumenti urbanistici. Elencazioni e prescrizioni alle quali la giurisprudenza riconosce “natura tassativa” (Cons. Stato, sent. n. 6038/2004), con conseguente esclusione della invocabilità del favorevole regime derogatorio di non computo del volume tecnico con riferimento sia a tipologie di impianti che esulino da quelle tassativamente elencate e sia a volumi eccedenti rispetto agli indici altrettanto tassativamente prescritti.
In tale prospettiva, è stato escluso dalla sentenza penale in commento che l’insediamento di tipologia di impianto esulante dalla tassativa elencazione contenuta nello strumento urbanistico potesse giustificare la maggiore altezza di tutto l’edificio in termini di destinazione al volume tecnico, ritenendosi piuttosto che si trattasse di una vera e propria sopraelevazione, assolvente a funzioni complementari all’abitazione e non invece “alla necessaria funzionalità degli impianti del fabbricato preesistente”.
A tale ultimo riguardo va sottolineata l’importanza del riferimento della funzionalità necessaria al fabbricato preesistente, che sottende l’esclusione del beneficio della scomputabilità del volume tecnico con riferimento alla sopraelevazione o ultraedificazione a beneficio di parte del fabbricato che non sia sorretta da un corrispondente titolo abilitante. In altri termini, il volume tecnico può riferirsi soltanto agli spazi eccedentari che sono necessari ad assicurare la funzionalità degli impianti a servizio essenziale del preesistente fabbricato, sul presupposto e nella misura in cui lo stesso sia conforme alle abilitazioni edilizie, dovendo invece escludersi che lo scomputo volumetrico possa invocarsi anche con riferimento agli spazi destinati a servire la sopraelevazione o ultraedificazione illegittima.
Ciò in quanto l’illiceità della stessa, conseguente al difetto ab origine di un idoneo titolo abilitante, si estende automaticamente e conseguenzialmente anche a ogni opera che sia servente rispetto a quella abusiva. In tal senso la giurisprudenza ha precisato che “Il regime delle pertinenze urbanistiche … non è applicabile allorché l’accessorio acceda a un manufatto principale abusivo non sanato ex art. 13 della legge n. 47/1985 e non condonato. […] Infatti: il regime pertinenziale è un regime eccezionale di favore che non può essere esteso a situazioni non corrispondenti alla sua ratio; l’accessorio è intimamente connesso al principale, per cui se quest’ultimo è abusivo non vi è alcuna ragione per agevolare la costruzione di altra opera destinata a produrre una compromissione del territorio ulteriore rispetto a quella causata dal manufatto principale; la non conformità, o comunque la mancata verifica di conformità allo strumento urbanistico dell’opera principale, realizzata in assenza di concessione edilizia, priva il comune del parametro di legalità in relazione al quale può essere esercitato il potere di autorizzare opere pertinenziali che costituiscono completamento di quanto conserva caratteristiche di contrarietà all’assetto urbanistico del territorio” (Cass. pen., sez. VI, sent. n. 4164 del 19.07.1995, richiamata da Cass. pen., sez. III, sent. n. 4087 del 28.01.2008).
La pertinenza urbanistica.
L’ulteriore nozione disaminata dalla sentenza penale in commento, con il fine di puntualizzarne i contenuti in senso antielusivo, è quella di pertinenza urbanistica, anch’essa sovente invocata nella prassi quale possibile escamotage, per l’appunto stigmatizzato dal giudice della legittimità, per la pretesa giustificazione di abusi edilizi. Anche per le pertinenze urbanistiche nonché per le costruzioni di natura accessoria è previsto un regime di favore, potendo le stesse essere sottratte alle disposizioni degli strumenti urbanistici relative ai fabbricati e alle norme sulle distanze integrative del codice civile sulla base e nei limiti delle espresse previsioni derogatoria che siano in tal senso eventualmente sancite dagli strumenti urbanistici (Cass. civ., sez. II, sent. n. 4208 del 06.05.1987).
La giurisprudenza ha meglio delineato i tratti distintivi della pertinenza urbanistica rispetto alla nozione civilistica.
Quest’ultima è fornita dall’art. 817 c.c., che definisce tali “le cose destinate in modo durevole a servizio od ornamento di un’altra cosa”; il nesso funzionale stabile che contrassegna ontologicamente il rapporto pertinenziale si traduce nella regola generale, salvo diversa disposizione legislativa o contrattuale, dell’assoggettamento della pertinenza al medesimo regime e destino giuridico del bene principale (artt. 818, 819 c.c.).
Più articolato è il concetto di pertinenza urbanistica, che riflette “il preminente rilievo che nel settore urbanistico hanno le esigenze di tutela del territorio”. In tale prospettiva, “mentre nella pertinenza civilistica rilevano sia l’elemento obiettivo che quello soggettivo, nella pertinenza urbanistica acquista rilevanza solo l’elemento oggettivo”.
Proprio con riferimento all’elemento oggettivo il Legislatore, “con il Testo unico dell’edilizia approvato con Dpr n. 380/2001, per superare le incertezze derivanti dal criterio quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha fissato due criteri per precisare quando l’intervento perde le caratteristiche della pertinenza per assumere i caratteri della nuova costruzione: il primo rinvia alla determinazione delle norme tecniche degli strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle aree; il secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova opera gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio principale” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 28504 del 18.07.2007).
A ogni modo, va precisato che “una trasformazione urbanistica e/o edilizia per essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio in senso ampio dell’autorità amministrativa non deve essere ‘precaria’: un’opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare.
Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere contingente e a essere presto eliminati
” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Anche con riferimento al profilo della precarietà, l’approccio valutativo, trattandosi di “tutela del territorio”, deve essere sempre “oggettivo e non soggettivo”. Segnatamente, detta caratteristica “non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione” (Cass., sez. III, sentenze n. 26573 del 26.06.2009; n. 25965 del 22.06.2009; n. 22054 del 25.02.2009; tutte richiamate da sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Inoltre “la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio
”. La precarietà va esclusa “quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all’opera del proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3321 del 15.06.2000; sent. n. 97 del 23.01.1995).
Anche a tale fine, l’approccio valutativo deve essere globale e non parcellizzato: invero, “l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti” (Cass., sez. III, sent. del 27.05.2004). “La stabilità non va confusa con l’irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione a essa assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell’attitudine a una utilizzazione che non sia temporanea e contingente” (Cass., sez. III, sent. del 07.06.2006).
È stato anche precisato che “la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo” (Cass., sez. III, sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Proseguendo nel solco tracciato dagli esposti orientamenti giurisprudenziali, la pronuncia n. 5618/2012 in commento, individua la pertinenza urbanistica nella “opera che abbia comunque una propria individualità fisica e una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato preordinata a un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente e oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede” (artt. 22, 100 e 101 del Dpr n. 380/2001; Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010, sent. n. 4134/1998). Due, in sostanza, i requisiti, uno di carattere strutturale e l’altro di carattere funzionale.
Sotto il profilo strutturale, l’opera deve essere dotata di una individualità sua propria, che sia distinta, autonoma e separata dall’edificio principale, così come da ogni altro fabbricato; in relazione al detto requisito strutturale, la pronuncia in commento esclude la qualificabilità in termini pertinenziali di ogni opera che sia fisicamente parte integrante o costitutiva di altro fabbricato nonché dell’“ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi i bisogni cui è destinato” (in tal senso anche Cass. pen., sez. III, sent. n. 36941/2007, e 40843/2005 e Cass. pen., sez. III, n. 24241/2010, che ha escluso la natura pertinenziale della edificazione di una tettoia-portico, che, per la relazione di connessione fisica con l’edificio, ne costituisce parte integrante, attenendo all’essenza dell’immobile e completandola affinché lo stesso soddisfi i bisogni cui è destinato, dovendo pertanto qualificarsi in termini di ampliamento).
Invero, è incompatibile con la nozione di pertinenza che la stessa possa essere parte integrante della cosa principale ovvero rappresentare un elemento indispensabile per la sua esistenza. In tal senso, “L’elemento distintivo tra la parte e la pertinenza non consiste solo in una relazione di congiunzione fisica, normalmente presente nella prima e assente nella seconda, ma anche e soprattutto in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della parte al tutto e della pertinenza alla cosa principale: tale collegamento si esprime per la parte come necessità di questa per completare la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è destinata: la parte quindi è elemento della cosa. Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un servizio od ornamento che viene realizzato in una cosa già completa e utile di per sé: la funzione pertinenziale attiene non all’essenza della cosa ma alla sua gestione economica e alla sua forma estetica. Inoltre […] la pertinenza si riferisce a un’opera autonoma dotata di propria individualità mentre la parte di un edificio è compresa nella struttura di esso ed è quindi priva di autonomia” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 28504/2007).
Per quanto concerne il profilo funzionale, l’unità pertinenziale, strutturalmente separata da quella principale, deve essere caratterizzata da una destinazione servente alle obiettive esigenze dell’edificio principale, “allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale)”. Tale destinazione funzionale servente deve essere ineludibile e trovare rispondenza, da un lato, nella congruità della struttura della pertinenza rispetto alle obiettive esigenze della struttura principale e, dall’altro lato, nella altrettanto oggettiva impossibilità di destinare la pertinenza stessa, proprio in relazione alla sua conformazione strutturale inevitabilmente servente, ad alcuna destinazione autonoma o diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
L’esposta configurazione funzionale ineludibilmente servente della pertinenza urbanistica si riflette nella sua non negoziabilità in via autonoma e nella conseguente assenza di un autonomo valore di mercato, che sola può giustificare, unitamente alla modestia dimensionale del volume rispetto all’edificio principale “in modo da evitare il cosiddetto carico urbanistico”, la non valutabilità della stessa in termini di cubatura e la diversità di regime abilitativo (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1174/2000; sez. V, sent. n. 2325/2001; sez. V, sent. n. 7822/2003). In assenza invece degli esposti stringenti requisiti strutturali e funzionali, la nozione di pertinenza urbanistica, nonché il corrispondente regime derogatorio di non computo volumetrico, non sono invocabili e torna quindi a riespandersi la regola generale della necessità del permesso di costruire.
Resta a ogni modo fermo che il regime agevolato delle pertinenze non può mai trovare applicazione in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici (Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010).
Una chiara concretizzazione dei principi suesposti la si ha, ad esempio, in relazione alla diversa disciplina che la giurisprudenza ha individuato con riferimento al muro di contenimento ovvero al muro di cinta, che costituisce specifico oggetto della pronuncia n. 5618/2012 in commento.
In proposito, costituisce orientamento consolidato che, “mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, non così il muro di contenimento che viene assimilato alla categoria delle costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione (Tar Emilia Romagna, Parma, n. 106/2001; Tar Liguria, sez. I, sent. n. 492/1996; Tar Liguria, sent. n. 345/1994). Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (Tar Emilia Romagna, Parma, sent. n. 246/2001; Tar Lazio, sez. II, sent. n. 8923/2000); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico” (Tar Piemonte, sent. n. 657/2003)”, “si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione”, con conseguente necessità del permesso di costruire (Tar Liguria, sez. I, sent. n. 4131/2009; Cass., sez. III, sent. n. 35898/2008) (commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2012 -
Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2012 n. 5618 - tratto da www.lexambiente.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Il manufatto oggetto della presente controversia rientra fra le opere di recinzione legittimamente realizzabili dal proprietario, in adesione all’orientamento espresso dalla costante giurisprudenza in materia.
La recinzione, infatti, è manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, a custodirla e difenderla da intrusioni, nozione che può essere tratta dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta, come da art. 878 c.c.; mentre, sotto il versante più propriamente amministrativo, la recinzione da parte del proprietario non comporta di per sé una diversa utilizzazione urbanistica dell'area, essendo solo diretta a far valere quello ius excludendi alios costituente tipico contenuto del diritto di proprietà e legittimamente sacrificabile solo quando ricorrano le condizioni previsti dall'ordinamento in funzioni di superiori interessi pubblici, da adeguatamente motivarsi nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; in definitiva, la tipologia di intervento in questione non implica ex se una trasformazione del territorio incompatibile con la previsione urbanistica della zona.

Con il presente ricorso l’istante impugna il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale gli è stata ingiunta la demolizione di una recinzione assunta dal comune come realizzata abusivamente, oltre al ripristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
L’intervento realizzato dalla ricorrente sull’area di sua proprietà destinata all’esercizio di attività produttiva ha la consistenza di una recinzione, realizzata al posto di una cancellata prima preesistente, spostata in alta posizione.
Il comune ha ordinato la demolizione di tale manufatto, ritenendo la natura abusiva del medesimo in relazione alla sussistenza di un vincolo dell’area per destinazioni pubbliche ad uso degli insediamenti.
Successivamente la ricorrente, nonostante l’accoglimento dell’istanza cautelare dalla stessa avanzata, ha presentato istanza di sanatoria di tale manufatto, ma il comune non ha fornito alcun riscontro, come risulta dalla documentazione versata in atti.
Il vincolo di destinazione è, poi, decaduto, avendo l’area attualmente integrale destinazione industriale.
Il collegio non ritiene di discostarsi dall’opinione espressa in sede cautelare, nella quale è stato evidenziato come il manufatto oggetto della presente controversia rientra fra le opere di recinzione legittimamente realizzabili dal proprietario, in adesione all’orientamento espresso dalla costante giurisprudenza in materia.
La recinzione, infatti, è manufatto essenzialmente destinato a delimitare una determinata proprietà allo scopo di separarla dalle altre, a custodirla e difenderla da intrusioni, nozione che può essere tratta dalla giurisprudenza civile in materia di muro di cinta, come da art. 878 c.c.; mentre, sotto il versante più propriamente amministrativo, la recinzione da parte del proprietario non comporta di per sé una diversa utilizzazione urbanistica dell'area, essendo solo diretta a far valere quello ius excludendi alios costituente tipico contenuto del diritto di proprietà e legittimamente sacrificabile solo quando ricorrano le condizioni previsti dall'ordinamento in funzioni di superiori interessi pubblici, da adeguatamente motivarsi nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; in definitiva, la tipologia di intervento in questione non implica ex se una trasformazione del territorio incompatibile con la previsione urbanistica della zona (cfr. TAR Campania, sez. II, 11.09.2009, n. 4935).
Tale recinzione era, infatti, volta a sostituire il cancello preesistente nonché ad impedire l’accesso indisturbato all’area industriale da parte di estranei, costituendo esercizio del cosiddetto “ius excludendi alios”, in alcun modo precluso dalla concreta destinazione urbanistica dell’area.
Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, disponendosi l’annullamento del provvedimento impugnato (TAR Lombardia, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 2834 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non sono sanabili, pur se realizzati dall'interessato con una denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire (art. 22, comma terzo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria, ma richiedono la procedura di accertamento di conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36 del citato decreto (fattispecie relativa alla realizzazione di un muro di contenimento).
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di L'Aquila ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di C.E.E. in ordine ai reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); b) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71, a lui ascritti per avere realizzato un muro a in calcestruzzo armato dell'altezza di mt. 4 e della lunghezza di mt. 10, nonché una gabbionata con riempimento in pietrame dell'altezza di mt. 1 e la lunghezza di mt. 9 ed un altro muro in pietrame senza il permesso di costruire e senza avere fatto la prescritta denuncia per le opere in cemento armato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva dedotto che le opere di cui alla contestazione potevano essere realizzate in base a DIA, la cui carenza non costituisce reato, e dedotto che, in ogni caso, i reati dovevano dichiararsi estinti per effetto di una DIA in sanatoria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione di legge.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che il muro di contenimento di cui alla contestazione fosse assentibile mediante DIA, in base al rilievo che lo stesso si eleva al di sopra del suolo, poiché tale accertamento deve essere riferito alla posizione del muro a monte e non a valle, da cui soltanto si nota la parete in sopraelevazione.
Si deduce, poi, che, anche se si ritenesse il manufatto soggetto a permesso di costruire, l'interessato può, con scelta discrezionale, optare, ai sensi del D.P.R n. 380 del 2001, art. 22, comma 2, per la richiesta di permesso di costruire o edificare previa denuncia di inizio attività, la cui mancanza è sanzionabile penalmente per il disposto di cui al citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, u.c..
Si inferisce da tale disposto normativo che l'abuso può essere sanato mediante il rilascio di DIA in sanatoria, che l'imputato aveva ottenuto nel caso in esame. Sul punto si richiamano anche le disposizioni del codice civile che non considerano costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, i muri di contenimento.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia carenza di motivazione in ordine alla destinazione dell'opera a servizio dell'edificio principale, essendo finalizzata a impedire smottamenti della scarpata con la conseguente natura pertinenziale della stessa.
Con l'ultimo mezzo di annullamento si denuncia carenza e illogicità della motivazione con riferimento alla interpretazione della DIA in sanatoria.
Si deduce che la sentenza impugnata ha affermato erroneamente che la DIA in sanatoria non è conforme allo strumento urbanistico, in quanto quest'ultimo prevede il ricorso alla DIA per opere provvisionali ed indifferibili, nonché carenza di motivazione con riferimento alle dichiarazioni del tecnico comunale esaminato come teste, che aveva ritenuto la sanatoria legittima. Il ricorso non è fondato.
E' stato già affermato da questa Suprema Corte che "In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione". (sez. 3^, 14.05.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075).
E' evidente che tale massima si riferisce a qualsiasi muro di contenimento, in considerazione delle rilevanti dimensioni che l'opera in genere assume ed alla modificazione edilizia permanente del territorio che essa determina, non in considerazione de fatto che l'opera si elevi al di sopra del suolo a monte o a valle, trattandosi di una distinzione che non ha senso in relazione alla funzione del manufatto.
Quanto alla DIA in sanatoria, anche se il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma, l'esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività, l'art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l'interessato ha optato per l'esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell'art. 36).
Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che il muro di contenimento non risultava neppure conforme al PRG, in quanto detto strumento urbanistico prevede esclusivamente l'esecuzione di "opere provvisionali di assoluta urgenza, indispensabili per evitare pericoli e danni", mentre le opere incriminate, secondo la sentenza impugnata, non possono assolutamente essere considerate tali, essendo di tipo "durevole e permanente".
Il richiamo alle norme civilistiche in materia di distanze è del tutto improprio con riferimento alla disciplina edilizia ed urbanistica sotto il profilo penale.
E' noto che rientrano nella nozione di pertinenza solo manufatti di modeste dimensioni posti durevolmente a servizio di un edificio principale.
Tale certamente non può essere ritenuto il muro di contenimento di cui all'imputazione considerate le notevoli dimensioni dell'opera e la naturale destinazione del muro di contenimento ad una più ampia funzione di prevenzione in relazione alle eventuali modificazioni naturali del territorio.
Sull'ultimo motivo la sentenza ha correttamente osservato che le diverse valutazioni degli organi amministrativi non possono avere incidenza su quella del giudice ordinario e quanto affermato in punto di diritto in relazione al primo motivo di gravame risulta assorbente di qualsivoglia diversa opinione espressa dal tecnico comunale quale teste (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2011 n. 41425).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un muro di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt. 1,30, con relativa scala di collegamento con il terrazzamento sovrastante rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la realizzazione del muro di contenimento di cui trattasi (ndr: nello specifico, muro di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt. 1,30, con relativa scala di collegamento con il terrazzamento sovrastante) rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. In particolare:
A) l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l’autorizzazione paesaggistica i casi previsti dal predetto articolo 167, comma 4, costituiti -oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria- dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, fermo restando che l’interpretazione teleologica di tale disposizione induce a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380; 03.04.2009, n. 1748).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce a ritenere che esulino dall’eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi;
B) ciò posto in termini generali, il Collegio osserva, da un lato, che nel caso in esame la ricorrente non contesta la situazione di fatto descritta nella motivazione del provvedimento impugnato -ossia la circostanza che il muro di contenimento sia stato realizzato al fine di creare ex novo (in luogo di una preesistente scarpata) un terrazzamento, mediante il riporto di terreno- e, dall’altro, che un intervento di tal genere non può non essere incluso tra quelli per i quali è radicalmente precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché la costruzione del terrazzamento ha determinato, contestualmente, la realizzazione di una nuova superficie utile, in quanto destinata alla coltivazione (come implicitamente ammette la stessa ricorrente quando riconduce l’intervento di cui trattasi tra quelli di “riordino colturale”), e di nuovo volume, costituito dal terrapieno ottenuto mediante il riporto di terreno
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento tra due aree poste a livello differente va considerato costruzione, se il dislivello deriva dall'opera dell'uomo o è stato artificialmente accentuato; in quanto costruzione, esso è soggetto all'osservanza delle norme sulle distanze.
La disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è applicabile anche ai beni e alle opere pubblici, secondo quanto affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria, sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che richiama la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto conto che la norma citata è volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario ed è perciò ineludibile non si vede perché le opere pubbliche dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza.

In proposito si osserva quanto segue:
- come evidenziato al precedente punto 3.2), la realizzazione della nuova strada è prevista ad una quota superiore di oltre 3 metri rispetto al piano terreno dell’abitazione dei ricorrenti; ciò presuppone la realizzazione di un rilevato artificiale e di muri di contenimento, come risulta chiaro dalla planimetria doc. 20 depositata dal Comune resistente il 27/04/2011;
- la giurisprudenza è orientata a ritenere che il muro di contenimento tra due aree poste a livello differente va considerato costruzione, se il dislivello deriva dall'opera dell'uomo o è stato artificialmente accentuato, come nel caso in esame; in quanto costruzione, esso è soggetto all'osservanza delle norme sulle distanze (cfr. Cass. Civile, sez. II, 22.01.2010 n. 1217; TAR Marche 10.02.2009 n. 18);
- contrariamente a quanto sostenuto dalle controparti la disciplina delle distanze ex D.M. n. 1444/1968 è applicabile anche ai beni e alle opere pubblici, secondo quanto affermato (tra l'altro con specifico riferimento alle distanze tra pareti finestrate ex art. 9) dal TAR Liguria, sez. I, nella recente sentenza 26.03.2010 n. 1235 che richiama (oltre a precedenti del medesimo Tribunale) la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2000 n. 5907; e d'altra parte, tenuto conto che la norma citata è volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario ed è perciò ineludibile (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.2010 n. 7731 e 05.12.2005 n. 6909; TAR Toscana, sez. III, 04.12.2001 n. 1734) non si vede perché le opere pubbliche dovrebbero sottrarsi alla sua osservanza;
- perché debba trovare applicazione il citato art. 9 in tema di "pareti finestrate" è sufficiente che sia tale anche una sola delle due pareti frontistanti (TAR Milano, sez. IV, 19.05.2011 n. 1282): e questo è proprio il caso di cui controverte, in cui la norma in questione risulta dunque violata (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Debbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare il naturale dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare –come nel caso di specie– il naturale dislivello esistente tra i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217; id., 10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n. 8144; TAR Marche, I, 10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Sanremo, le norme sulle distante stabilite dal piano si applichino soltanto alle costruzioni aventi la consistenza di veri e propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi non già secondo l’uso comune, bensì secondo il significato proprio della parola, significato che, in materia di proprietà fondiaria e di distanze nelle costruzioni, è quello risultante dall’opera nomofilattica della Suprema Corte, più sopra richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria 30.06.2006, nella parte in cui ha inteso legittimare l’innalzamento del terrapieno e del muro a confine dei due fondi oltre il naturale dislivello preesistente, in contrasto con la norma di P.R.G. relativa alla zona agricola E1a, che fissa in 5 metri dal confine la distanza minima per le nuove costruzioni (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.
Quanto alla realizzazione del muro, la Corte di merito ha ricordato che, contrariamente, all'assunto degli appellanti, esso non poteva certo ritenersi di modeste o piccole dimensioni. Era stato accertato, infatti, che era lungo circa 15 mt., largo 35 cm., ed alto da un minimo di 0,60 mt. ad un massimo di mt. 2,50. Ha, inoltre, evidenziato che, anche a voler ritenere più corrette e conformi alla situazione dei luoghi le misurazioni effettuate dal consulente della difesa (secondo cui il muro aveva una larghezza di cm. 30 ed un'altezza da mt. 0,60 a mt. 1,90), era, comunque, necessario permesso di costruire.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si è uniformata la Corte di merito, "In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n.35898 del 14.05.2008)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.06.2011 n. 25227).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; Cons. St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Cons. St, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Il muro di contenimento, quale entità corrispondente senza alcuna variazione al dislivello naturale dei fondi, non può essere presa in considerazione nel calcolo dell'altezza della costruzione, da misurarsi dal piano di campagna al fine di determinarne la distanza da osservare rispetto alle costruzioni del vicino, sia perché le costruzioni sottostanti al piano di campagna che separa i fondi in dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante> e quindi in violazione del disposto della norma di cui all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca altezza.
Il muro di contenimento, quale entità corrispondente senza alcuna variazione al dislivello naturale dei fondi, non può essere presa in considerazione nel calcolo dell'altezza della costruzione, da misurarsi dal piano di campagna al fine di determinarne la distanza da osservare rispetto alle costruzioni del vicino, sia perché le costruzioni sottostanti al piano di campagna che separa i fondi in dislivello non può per definizione considerarsi <frontistante> e quindi in violazione del disposto della norma di cui all'art. 17 della legge n. 765 del 1967 come inteso a distanziare le costruzioni in rapporto alla reciproca altezza” (Cass. Civ., sez. II, 17.10.1992, n. 11435).
Come emerge dagli atti processuali, trattasi di costruzione completamente interrata con coronatura di muro a secco, avente unica ed esclusiva funzione di contenimento del terreno esistente nel dislivello, nella fattispecie necessitato proprio dalla significativa acclività del suolo, assolvendo così alla specifica finalità di protezione del fondo da smottamenti del terreno ovvero da possibili movimenti franosi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.11.2010 n. 8260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di Costruire - Distanze tra i fabbricati - Art. 878 c.c. - Caratteristiche della costruzione - Sopravvenuta carenza di interesse.
2. Permesso di Costruire - D.I.A. in variante - Art. 41 L.R. n. 12/2005 - Interpretazione.
1. Considerato l'art. 878 c.c. secondo cui il muro di cinta con altezza inferiore ai tre metri non è considerato per il computo delle distanze di cui all'art. 873 c.c., e le caratteristiche del manufatto (modificate con D.I.A.) si deve escludere la rilevanza, ai fini delle distanze, di una costruzione (muro di cinta, appunto) avente le caratteristiche di cui alla citata norma del codice civile, risultando conseguente improcedibile il gravame per sopravvenuta carenza di interesse.
2. L'art. 41 L.R. n. 12/2005 deve essere interpretata nel senso che la facoltà di presentare D.I.A. senza interruzione dei lavori per le varianti minori non esclude comunque nel rispetto del principio generale sull'alternatività tra D.I.A. e permesso di costruire di cui all'art. 41, c. 1, L.R. n. 12/2005, la facoltà per il titolare di permesso di costruire di presentare D.I.A. anche per varianti sostanziali, con la precisazione però che, non trattandosi dell'ipotesi di cui al comma 2 dello stesso articolo, per tali D.I.A. non è possibile la presentazione dopo l'ultimazione dei lavori, ma prima degli stessi, secondo il regime per così dire ordinario della denuncia di inizio attività (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.11.2010 n. 7236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione.
La Giurisprudenza ha avuto occasione di osservare che quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione (Cassazione civile, sez. II, 10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse comune, in ogni caso la erigenda costruzione avrebbe dovuto arretrarsi di 5 mt. rispetto la parete esterna del muro, senza considerarne lo spessore, atteso che nell’ipotesi di muro comune, giustamente osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in quanto in proprietà indivisa, dev’essere considerato alieno rispetto al proprietario del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S., sentenza 04.11.2010 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Individuazione bene culturale (fattispecie relativa al cimitero comunale) ex art. 10 D.Lgs. n. 42/2004.
DOMANDA 1: nel caso prospettato, del cimitero nella sua dimensione originaria avente più di 50 anni, per “bene culturale” si intende l’intero complesso edificato, comprensivo di ogni singolo manufatto ivi presente qualunque esso sia oppure si devono intendere i singoli manufatti (edicole funerarie, cappella, loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.) che hanno più di 50 anni ed il cui autore non sia più vivente??
La risposta è necessaria conoscere al fine di capire se per l’intervento edilizio –che si vorrebbe realizzare- di posa pannelli fotovoltaici sopra la copertura di una campata di loculi, costruiti 10 anni or sono, necessiti –o meno- acquisire preliminarmente l’autorizzazione del Soprintendente ex art. 21, comma 4, del Codice.
DOMANDA 2: la parte di cimitero ampliata 10 anni or sono, ed annessa alla parte originaria demolendo/modificando il muro di cinta, deve intendersi anch’essa “bene culturale” oppure lo diverrà decorsi 50 anni dalla sua costruzione e sempre che l’autore non sia più vivente??
Lo stesso dicasi per i singoli manufatti (edicole funerarie, cappella, loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.) ivi costruiti nel frattempo (Soprintendenza di Milano, nota 02.11.2010 n. 14123 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali dai confini, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario.

Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Giurisprudenza dominante ritiene che le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Sicché, la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
Sulla scorta dei detti condivisibili principi, poi, la Giurisprudenza è giunta a varie soluzioni.
A titolo esemplificativo, è stato ritenuto che la realizzazione di una recinzione in rete metallica su muro costituisce opera di carattere permanente che richiede la concessione edilizia, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Altre decisioni, invece, ritengono che la recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, costituendo installazione precaria non incide in modo permanente sull'assetto edilizio del territorio.
Altre pronunce, infine, hanno evidenziato un’altra differenza fondata sul corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell'ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità dell'eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo.
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori; in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico. Tuttavia, la medesima decisione, posto che il muro aveva una estensione di 30 mt., ha ritenuto che la funzione della costruzione si ricava dalla sua estensione.
Secondo altre analoghe impostazione, nel concetto di pertinenza possono essere ricomprese le recinzioni, certamente configurabili come opere poste a servizio ed ornamento della cosa principale, giusta l'art. 817 c.c., ciò non può dirsi per i muri di contenimento che hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell'immutazione che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell'applicazione della misura sanzionatoria prevista dall'art. 7 della legge n. 47/1985.
Ciò premesso, asserisce parte ricorrente che il muro in questione, al più, rientrerebbe tra le ipotesi di opere soggette ad autorizzazione e, quindi, secondo la previsione contenuta nell’art. 10 della L. 47/1985, la sua realizzazione abusiva consentirebbe soltanto l’irrogazione di una sanzione pecuniaria e non già la demolizione.
La ricostruzione appare corretta.
Occorre, però, verificare se la realizzazione del muro rientri nelle fattispecie previste dal detto art. 5 della l.r. 37/1985.
Premesso che il regime autorizzatorio costituisce l’eccezione rispetto a quello concessorio per le opere di trasformazione del suolo, in Sicilia il vigente art. 5 della l.r. 10.08.1985, n. 37, così stabilisce: "l'autorizzazione del sindaco sostituisce la concessione per gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro conservativo, così come definiti dall'art. 20 della legge regionale 27.12.1978, n. 71, per le opere costituenti pertinenze o impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti per l'impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo, per le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero, per le demolizioni, per l' escavazione di pozzi e per le strutture ad essi connesse, per la costruzione di recinzioni, con esclusione di quelle dei fondi rustici di cui all'art. 6, per la costruzione di strade interpoderali o vicinali, nonché per i rinterri e gli scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere.".
Per quanto rileva nel presente giudizio, quindi, rientra tra le opere di trasformazione del suolo soggetta a mera autorizzazione la costruzione di recinzioni, non potendosi accedere alla tesi sostenuta in ricorso circa la riferibilità del muro in questione alla realizzazione di strade poderali e sistemazione dei suoli agricoli, in quanto, nel caso in esame la funzione dello stesso non è ascrivibile a dette ipotesi.
Ed invero, la Giurisprudenza dominante ritiene che le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 950).
Sicché, la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2010, n. 95).
Sulla scorta dei detti condivisibili principi, poi, la Giurisprudenza è giunta a varie soluzioni.
A titolo esemplificativo, è stato ritenuto che la realizzazione di una recinzione in rete metallica su muro costituisce opera di carattere permanente che richiede la concessione edilizia, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (cfr., TAR Lazio ult. cit, dove vengono riportate le seguenti conformi decisioni: Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 1998, n. 1537; TAR Emilia-Romagna, Parma, 31.07.2001, n. 651; TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897).
Altre decisioni, invece, ritengono che la recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, costituendo installazione precaria non incide in modo permanente sull'assetto edilizio del territorio (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I, 15.02.2010, n. 950, cit.; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266 cit.).
Altre pronunce, infine, hanno evidenziato un’altra differenza (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I, 07.05.2003, n. 657) fondata sul corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell'ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità dell'eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo (tar Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; tar Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; Id, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (tar Emilia Romagna, Parma, 27.04.2001, n. 246; tar Lazio, sez. II, 04.11.2000, n. 8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.
Tuttavia, la medesima decisione, posto che il muro aveva una estensione di 30 mt., ha ritenuto che la funzione della costruzione si ricava dalla sua estensione.
Secondo altre analoghe impostazione (cfr. TAR Lazio Latina, 07.03.2002, n. 285), nel concetto di pertinenza possono essere ricomprese le recinzioni, certamente configurabili come opere poste a servizio ed ornamento della cosa principale, giusta l'art. 817 c.c., ciò non può dirsi per i muri di contenimento che hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento).
Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un'opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell'immutazione che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell'applicazione della misura sanzionatoria prevista dall'art. 7 della legge n. 47/1985.
Sulla scorta dei detti principi, il Collegio ritiene che dai rilievi fotografici esibiti dalle parti se è pur vero che la funzione apparente di parte del muro è di contenimento di aiuole, per altra parte appare avere la funzione di delimitazione della proprietà.
In ogni caso, ciò che più conta è che l’impegno visivo (che, in definitiva, è quello che rileva per definire l’incidenza sulla trasformazione del suolo), stante l’estensione non contestata dell’opera, pari a ben 25 mt., non pare possa considerarsi trascurabile o avente una funzione meramente subordinata pertinenziale, sicché, se ne deve inferire che la mera autorizzazione, al di là della modalità di esecuzione (conglomerato cementizio o meno), non sembra sufficiente
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 27.09.2010 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' soggetta a concessione edilizia (oggi permesso di costruire) l’edificazione sia di un muro di recinzione, con specifiche caratteristiche, sia l’edificazione di un muro di contenimento.
La giurisprudenza è, da tempo, attestata nel ritenere soggetta a concessione edilizia (oggi permesso di costruire), l’edificazione sia del muro di recinzione, con specifiche caratteristiche, sia l’edificazione del muro di contenimento.
In proposito basterà richiamare, ex multis, Cons. St. Sez. V, 15.06.2000, n. 3320, a mente delle cui statuizioni, per la recinzione di un fondo rustico, è necessaria la concessione edilizia, se realizzata con opere edilizie permanenti, mentre non lo è nel caso di semplici paletti conficcati nel terreno o di ogni altro manufatto che, per le sue caratteristiche di precaria installazione, ha insito il concetto della precarietà e sua facile asportazione in caso di necessità.
In merito ai muri di contenimento, risulterà sufficiente richiamare, ex multis, C.G.A. 05.05.1993 n. 165, orientato a ritenere che un muro di sostegno di cemento armato non può considerarsi recinzione in quanto non ogni muro esistente al confine è opera di recinzione per cui, nel caso in cui in concreto la funzione del muro non sia quella di recingere ma di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
A chiusura delle considerazioni espresse, appare opportuno riportarsi a quanto sinteticamente e chiaramente espresso da Tar Lazio–Latina n. 285 del 2002 che di seguito si trascrive, in quanto condiviso: “Ritiene il Collegio che se nel concetto di pertinenza possono essere ricomprese le recinzioni, certamente configurabili come opere poste a servizio ed ornamento della cosa principale, giusta l’art. 817 c.c., ciò non può dirsi per i muri di contenimento che hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento). Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un’opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell’immutazione che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell’applicazione della misura sanzionatoria prevista dall’art. 7 della legge n. 47/1985
.”.
L’autonoma rilevanza dell’opera in questione esclude che esso possa essere ricondotto nella figura del risanamento conservativo che presuppone l’esistenza dell’organismo edilizio su cui intervenire (ex multis Cons. St. Sez. V 24.09.1999 n. 1154)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
Non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è, invece, necessaria, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.

La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto, entro tali limiti, la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Alla stregua di tali coordinate, per giurisprudenza consolidata alla quale il Collegio aderisce, la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è, invece, necessaria, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Nel caso di specie, di conseguenza, non si può qualificare l'opera abusiva come meramente precaria, essendo invece stabilmente infissa al suolo attraverso il muro di calcestruzzo (cfr., TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul territorio sia quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo.
In relazione allo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva e preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, va affermata la necessarietà della concessione edilizia.
Deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers.
Non è necessario il permesso per costruire modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo il confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro realizzazione in un contesto tipicamente agricolo.
La L. n. 28.1.1977 n. 10, vigente all’epoca dei fatti, all’art. 1 -“Trasformazione urbanistica del territorio e concessione di edificare”- disponeva che: “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge”.
L'interpretazione di tale norma aveva dato luogo a contrasti, dato che la giurisprudenza e la dottrina avevano elaborato due indirizzi ermeneutici: secondo il primo, avrebbero dovuto essere assoggettati a titolo abilitativo solo gli interventi di portata -simultaneamente- urbanistica ed edilizia. Invero, osservavano i fautori della tesi in esame, l'uso congiunto delle due espressioni (urbanistica ed edilizia) nel citato articolo escluderebbe l'assoggettamento al previo rilascio del titolo degli interventi che, pur non mancando di impatto urbanistico, siano privi di consistenza materiale di opere edilizie.
Secondo l'opposto indirizzo, l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 sulla edificabilità dei suoli, che pone la regola della soggezione a concessione di ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutte quelle consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica (cfr.: Cons. St., Sez. V, 31.01.2001, n. 343; Cons. St., Sez. V, 20.12.1999, n. 2125; Cons. St., Sez. V, 01.03.1993, n. 319; tale orientamento è condiviso anche dalla giurisprudenza ordinaria: cfr. Cass. pen., 14.10.1988; Cass. pen., sez. III, 24.10.1997, n. 10709; Cass. pen., sez. VI, 24.07.1997, n. 8520). La giurisprudenza favorevole a tale tesi ha aggiunto che l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 imponeva al soggetto attuatore di munirsi di concessione edilizia per ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico, o solo funzionale (cfr. Cons. St., Sez. VI, 26.09.2003, n. 5502).
La Sezione, condividendo quanto rilevato dal Cons. St. Sez. V con la decisione n. 7325 dell’11.11.2004, opta per la seconda interpretazione, dovendosi affermare che è soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul territorio sia quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo (cfr. Cons. St., Sez. V, 14.12.1994, n. 1486; Cons. St., Sez. VI, 27.01.2003, n. 419; Cons. St., Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Alla stregua di tale generale principio, in relazione allo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva e preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, va affermata (cfr. Cons. St. Sez. V, 22.12.2005 n. 7343) la necessarietà della concessione edilizia.
Tale indirizzo, peraltro, risulta corroborato dalla risalente interpretazione del Giudice penale, secondo cui deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers (cfr. Cass. pen., 09.06.1982).
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Passando ad esaminare la connessa questione, relativa alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione, va posto in luce che occorre distinguere le differenti situazioni alla stregua di due parametri: la natura e le dimensioni delle opere e la loro destinazione e funzione (cfr. TAR Lombardia, Sez. IV, 29.12.2009, n. 6266; TAR Lazio, Sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
In base a tale criterio, può affermarsi che non è necessario il permesso per costruire modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà. Al contrario, la concessione è necessaria quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Applicando siffatti principi alla fattispecie all’esame, va affermato che l’opera realizzata (la costruzione di un muro di cinta, alto circa m. 0,80 e lungo m. 120, con soprastanti paletti in ferro atti a fissare una rete di protezione) non integra un’ipotesi di mero esercizio dello ius excludendi alios, ma una modifica dell’assetto del territorio. Altrettanto è a dirsi dello spandimento di uno strato di ghiaia rullato sul manto erboso.
Siffatta conclusione risulta in linea con quanto già affermato dalla Sezione (cfr. sentenza n. 32 dell’11.01.2006) laddove ha rilevato che “La realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo il confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro realizzazione in un contesto tipicamente agricolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Fontechiari - Parere in merito alla possibilità di rilasciare permesso di costruire in sanatoria per muro di contenimento finalizzato alla messa in sicurezza di opere abusive (Regione Lazio, parere 03.03.2010 n. 117282 di prot.).

EDILIZIA PRIVATALe opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio.
L’intervento in questione rientra, piuttosto nella portata residuale degli interventi realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u. dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, in totale difformità del medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.

La prima argomentazione a supporto dei provvedimenti impugnati fa riferimento al mancato rispetto delle formalità previste dal t.u. edilizia n. 380 del 2001 e al mancato rilascio del titolo abilitativo (autorizzazione) asseritamente occorrente per l’intervento.
Tali considerazioni non valgono a fondare la legittimità dei provvedimenti impugnati.
Va rilevata, innanzitutto, la genericità della motivazione del diniego di installazione (“l’intervento oggetto di comunicazione deve essere presentato come richiesta ai sensi del DPR 380/2001”) la quale, peraltro, appare incoerente rispetto al contenuto dispositivo dell’atto che considera la comunicazione dei proprietari come vera e propria istanza di parte (“per le motivazioni di cui sopra, la vostra richiesta è respinta”).
La mancanza di autorizzazione edificatoria non costituisce, in ogni caso, valida giustificazione dell’impugnato ordine di rimozione.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano, infatti, come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, TAR Lazio, Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
L’intervento in questione rientra, piuttosto nella portata residuale degli interventi realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., a mente dell'art. 22 del t.u. dell'edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previsti dall'art. 31 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, in totale difformità del medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ma con l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAppare irrilevante che la recinzione in esame (costituita da una semplice rete metallica e da paletti infissi nel terreno) sia stata eseguita senza nulla-osta in area vincolata, trattandosi di opera priva di apprezzabile impatto ambientale.
Un secondo ordine di considerazioni fa riferimento alla mancanza di autorizzazione paesaggistica.
Si osserva preliminarmente che non è contestata l’esistenza del vincolo, atteso che l’area interessata dall’intervento è pacificamente inclusa nella fascia di rispetto di 150 metri dalle sponde del torrente Orco.
Va quindi precisato, a confutazione dei rilievi di legittimità svolti dalla parte ricorrente, che l’erroneo riferimento normativo contenuto in entrambi i provvedimenti impugnati (è stato richiamato l’abrogato d.lgs. n. 490 del 1999, in luogo del vigente d.lgs. n. 42 del 2004) non vale certo ad inficiarne la legittimità, poiché i presupposti dei provvedimenti stessi sono riconducibili senza margini di incertezza alle disposizioni legislative che li regolano (cfr., ex multis, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.12.2006, n. 2997).
Ciò premesso, appare irrilevante che la recinzione in esame (costituita, si ribadisce, da una semplice rete metallica e da paletti infissi nel terreno) sia stata eseguita senza nulla-osta in area vincolata, trattandosi di opera priva di apprezzabile impatto ambientale (cfr., in analoga fattispecie, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di recinzione del terreno - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione - Condizioni - Fattispecie.
Le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione, per la quale è necessario il previo rilascio di permesso di costruire, quando, per natura e dimensioni, rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Tale è il caso della recinzione eseguita senza opere murarie, costituita da una semplice rete metallica sorretta da paletti in ferro, la quale costituisce installazione precaria e non incide in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio (cfr., fra le ultime, TAR Lazio, Roma, sez. II, 11.09.2009, n. 8644) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze legali - Muro di contenimento - Natura di “costruzione” ai fini di cui all’art. 873 c.c. - Parte compresa tra le fondamenta e il livello del fondo superiore - Esclusione - Parte del muro realizzata oltre il piano del fondo sovrastante - Costruzione in senso tecnico-giuridico.
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 453 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nella distanza tra fabbricati frontistanti una strada a fondo cieco, quest'ultima non deve essere tenuta in considerazione, trovando applicazione il disposto di cui all'art. 9, comma 2, del DM 1444/1968.
Parte ricorrente insiste nel ritenere applicabile l’ultimo comma dell’art. 9 del DM 1444/1968, secondo cui “qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.” Pertanto, secondo i calcoli di parte ricorrente, il nuovo edificio sarebbe tenuto a rispettare una distanza pari alla sua progettata altezza dalle costruzioni.
Secondo le difese avversarie la disposizione va invece letta unitamente al capoverso precedente, dettato per la disciplina delle distanze tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico, ad esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici e di insediamenti.
E’ emerso dall’istruttoria che Via Mocchetti è una strada a fondo cieco, il fabbricato erigendo dista dagli altri fabbricati rispettivamente mt. 10,05 a sud e 10,75 a nord, mentre l’altezza prevista nel permesso di costruire è di 11,70, a fronte di quella massima consentita di 12,50.
Ad avviso del Collegio la distanza è rispettata, dovendo trovare applicazione nel caso de quo l’art. 9, punto 2), che prescrive la distanza di 10 mt..
Gli ultimi due capoversi invece contengono una disciplina, tra loro integrativa, per il calcolo delle distanze nel caso di edifici tra i quali sono interposte strade, con la chiara ipotesi di esclusione delle strade a fondo cieco, che è stata accertata nel caso de quo.
Anche la disposizione secondo cui va calcolata la distanza va maggiorata fino al raggiungimento della misura corrispondente all’altezza del fabbricato più alto si applica solo nell’ipotesi di edifici tra i quali sono interposte strade destinate al traffico dei veicoli.
Quanto alla distanza dal box e dal muro, si osserva che correttamente il box non è stato considerato, in quanto lo stesso è interrato e pertanto non integra, ai fini delle distanze, la nozione di costruzione.
Rispetto al muro di sostegno, parte ricorrente afferma la violazione della distanza in quanto disterebbe mt. 8,10 dal suddetto muro, da considerarsi come muro di fabbrica e non di cinta e quindi assoggettato al rispetto delle distanze legali.
Il Comune ha invece qualificato il muro come muro di sostegno del terreno di proprietà del ricorrente, in quanto ha la funzione di contenimento del dislivello naturale; pertanto è corretta la scelta di non considerare detto manufatto rilevante ai fini delle distanze ai fini dell'art. 9 del d.m. 1444/1968, dal momento che la norma presuppone che le pareti siano «costruzioni» in senso edilizio, non mere opere di contenimento del declivio naturale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2010 n. 191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative (v. Cass. 4511/1997, 4196/1987), principio dal quale non può che derivare tale assoggettamento, anche nell’ipotesi di accentuazione del preesistente livello naturale, per la parte eccedente quello preesistente (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 22.01.2010 n. 1217).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Muro di cinta e muro di contenimento - Differenza - Assimilabilità del muro di cinta alle pertinenze - Assimilabilità del muro di contenimento alle costruzioni - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Rispetto delle distanze dai confini.
Mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, non così il muro di contenimento che viene assimilato alla categoria delle costruzioni. Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade infatti nell'ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione (TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; TAR Liguria, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (TAR Emilia Romagna, Parma, 27.04.2001, n. 246; TAR Lazio, sez. II, 04.11.2000, n. 8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico (TAR Piemonte 07.05.2003 n. 657).
Avendo il muro di contenimento la natura di costruzione, deve, tendenzialmente, rispettare le distanze dai confini stabilite dalle n.t.a. del p.r.g. (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 31.12.2009 n. 4131 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni.
Si richiama l'indirizzo di questo Consiglio che ha avuto modo di osservare come ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. St., sez. V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n. 3637; Cass. civ., sez. II, 01.03.1995, n. 2342; id., 28.11.1991, n. 12763) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione muro di recinzione.
Anche la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all’art. 3, lett. e), del d. P.R. n. 380 del 2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2009 n. 20131 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di sostegno e distanze.
La circostanza che una concessione limiti l’altezza di un muro a tre metri non elide affatto la sua natura di costruzione ed impone in ogni caso il rispetto dei cinque metri dal confine (TAR Abruzzo-Aquila, sez. I, sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muri di cinta tra fondi a dislivello - Modifica dello stato naturale dei luoghi - Idoneità a creare intercapedini nocive con le altrui costruzioni - Distanze legali - Equiparazione ai muri di fabbrica - Necessità di verifica di ciascuna concreta fattispecie.
I muri di cinta tra fondi a dislivello che, oltre ad essere destinati alla delimitazione e alla difesa del fondo, assolvono anche all’ulteriore funzione di contenere e sostenere la scarpata o il terrapieno, e che danno luogo al dislivello tra i due fondi limitrofi non rientrano, come accade normalmente per i muri di cinta, nella categoria dei muri isolati o liberi da entrambe le facce.
Essi, pertanto, facendo corpo con il terreno che contengono e modificando, in particolare, attraverso l’opera dell’uomo, lo stato naturale dei luoghi con la costruzione di un manufatto, sono idonei a creare intercapedini nocive con l’altrui costruzione, con conseguente necessità di verificare in ciascuna concreta fattispecie se, avuto riguardo allo loro particolari caratteristiche strutturali e dimensioni, siano da considerare o meno alla stregua di un muro di fabbrica agli effetti delle distanze legali (Cass. 15.10.1983, n. 6060) (TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.
ambientediritto.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.

L’intervento assentito con l’impugnato permesso di costruire consiste nella realizzazione di un terrapieno artificiale con mura di tamponamento, necessario per portare “a livello” della strada il terreno adiacente all’immobile degli appellanti e consentire così la creazione di un parcheggio scoperto e di un muretto che lo delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova costruzione” e non può essere qualificato come manutenzione straordinaria (semplice sistemazione di spazi aperti comportante modifica alle quote dei terreni), come affermato dagli appellanti e ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V, n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. civ, II, n. 145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons. Stato, n. 5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n. 8144/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze dal muro di cinta e valutazione delle scelte estetiche.
Il muro di cinta di altezza non superiore ai tre metri, pur essendo una costruzione in senso materiale, non è considerato tale ai fini delle distanze legali per la sua mancanza di autonomia strutturale, costituendo una semplice protezione del fondo: per il computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in considerazione gli edifici che si trovano rispettivamente al di qua e al di là del muro di cinta, come se questo non esistesse, per cui la distanza di legge va computata tra l’edificio preesistente e la nuova costruzione ovvero ampliata. Ne consegue, nello specifico, che la distanza minima da rispettare tra i porticati ed il confine non è quella stabilita dall’art. 873 c.c., ma quella tra sagoma limite e confine.
Dal momento che il Giudice amministrativo non può sindacare il merito delle scelte estetico-funzionali dell’amministrazione se non nei limiti della illogicità, quando si discute di concreti valori estetico-tipologici riservati all’amministrazione medesima, è sufficiente appurare che le norme edilizie in vigore ammettono l’intervento di interesse con le caratteristiche morfologiche e strutturali desumibili anche dalla documentazione fotografica agli atti processuali
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.03.2008 n. 931 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di un muro di contenimento in cemento armato.
La costruzione di un muro di contenimento in cemento armato, a fronte della linea di battigia, già nella vigenza della legge n. 47/1985 era assoggettata a concessione edilizia, in quanto "attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale" ai sensi dell'art. 1 della legge n. 10/1977. Attualmente le categorie di interventi che comportano una "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" e che sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire sono definite dall’ art. 10 del T.U. n. 380/2001 e ricomprendono "gli interventi di nuova costruzione". La definizione delle opere di nuova costruzione è data, a sua volta, dall'art. 3, lett, e), dello stesso T.U., con indicazione di carattere residuale comprendente tutti quegli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non rientranti nelle categorie della manutenzione, del restauro o del risanamento conservativo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.02.2008 n. 6428 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di recinzione - Necessità di permesso a costruire - Presupposti - Fattispecie.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3 lett. e) del d. P.R. n. 380 del 2001 (fattispecie relativa ad un muro di altezza pari a metri 2,5 con struttura in blocchi di lapillo e pilastri in cemento armato di sostegno, relativo ad un'area di circa mq. 1200) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.01.2008 n. 4755 - link a www.lexambiente.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Sopraelevare un muro di cinta: il titolo edilizio è l’autorizzazione.
Il fatto che il territorio del Comune sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico, di per sé non comporta l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilità della procedura cosiddetta di denuncia dell’inizio dell'attività, sempre che si dimostri l'esistenza di uno specifico vincolo gravante sull'immobile oggetto dell'intervento.
Il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in questione al regime concessorio deve essere condotto alla stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che l'art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito in l. 25.03.1982 n. 94, assoggetta al regime autorizzatorio.
La sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per sostituire la barriera metallica preesistente e quindi conferire una migliore protezione alla proprietà, senza alterare l’altezza complessiva della recinzione medesima, non solo conferma il già acquisito vincolo pertinenziale ma rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere sul carico urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.10.2007 n. 5515 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una recinzione costituita da semplice rete metallica e paletti infissi nel terreno non necessita di concessione edilizia, dal momento che non configura un’opera edilizia permanente, ma un manufatto di precaria installazione e di immediata asportazione.
Si tratta invece di opera sottoposta a semplice regime di Denuncia Inizio Attività, come tra l’altro espressamente stabilito dall’art. 4 L. n. 493/1993 (L. n. 662/1996).
Nessuno rilievo può avere, poi, il fatto che, nella specie, l’opera in questione sia stata realizzata in area vincolata, sia perché le richiamate disposizioni non pongono alcuna distinzione al riguardo (che pertanto non può essere posta dall’interprete), sia perché si tratta comunque di opere, per quanto sopra, prive di impatto ambientale.

Preliminarmente occorre chiarire, in punto di fatto, che le opere in questione consistono (alla luce della stessa istruttoria tecnica espletata dal Comune resistente) nella realizzazione, in area vincolata paesaggisticamente, di <<una recinzione costituita con 11 putrelle in ferro piantate nel terreno e recintate con 10 pannelli di rete elettrosaldata, legata alle putrelle con filo di ferro per una lunghezza totale di 15 metri circa>>.
Non si tratta quindi tout court di “pannelli” (come affermato in memoria dal Comune), ma di “pannelli di rete elettrosaldata”, come tali privi di qualsiasi impatto ambientale, posti unicamente a delimitazione della proprietà privata (come si evince altresì dalla perizia e dalla relativa documentazione fotografica allegata al ricorso).
Tanto chiarito, il Collegio ritiene, conformemente alla giurisprudenza formatasi sul punto, che la realizzazione di una recinzione costituita da semplice rete metallica e paletti infissi nel terreno (come appunto avvenuto nel caso di specie) non necessiti di concessione edilizia, dal momento che non configura un’opera edilizia permanente, ma un manufatto di precaria installazione e di immediata asportazione (cfr. TAR Emilia Romagna, Sez. II, n. 82/2007).
Si tratta invece di opera sottoposta a semplice regime di Denuncia Inizio Attività, come tra l’altro espressamente stabilito dall’art. 4 L. n. 493/1993 (L. n. 662/1996), nonché dall’art. 35 del Regolamento Edilizio del Comune di Napoli.
Nessuno rilievo può avere, poi, il fatto che, nella specie, l’opera in questione sia stata realizzata in area vincolata, sia perché le richiamate disposizioni non pongono alcuna distinzione al riguardo (che pertanto non può essere posta dall’interprete), sia perché si tratta comunque di opere, per quanto sopra, prive di impatto ambientale.
Il Comune avrebbe dovuto quindi applicare la diversa sanzione prevista per la mancanza di Denuncia Inizio Attività (
TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 08.05.2007 n. 4821 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Reati edilizi - Condono - Opere non residenziali - Esclusione della condonabilità - Fattispecie: muro di contenimento - Art. 4 D. L. n. 398/1993 conv. L. n. 493/1993 - L. n. 662/1996.
Sono escluse dal condono edilizio tutte le opere a destinazione non residenziale. Pertanto, la costruzione di un terrapieno, costituito da un muro con funzione di contenimento con notevoli dimensioni (così come nella specie) non è soggetta alla semplice denuncia di inizio dei lavori, ai sensi dell'art. 4 del D.L.. 05.10.1993 n. 398, convertito in L. 04.12.1993 n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996 n. 662 (Cass., Sez. III, 17.07.1999-29.09.1999, n. 11126).
In conclusione, per la realizzazione di un terrapieno costituito da un muro con funzione di contenimento di notevoli dimensioni è necessario il permesso di costruire.
Condono edilizio - Nuove costruzioni non residenziali - Esclusione - Procedimenti penali per violazioni edilizie - L. n. 326/2003 - Art. 44 L. n.47/1985.
I procedimenti penali per violazioni edilizie relative a nuove costruzioni non residenziali non possono essere sottoposti, durante la pendenza dei termini di presentazione del cd. condono edilizio, alla sospensione prevista dall'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47, cui rinviano le disposizioni di cui al decreto legge 30.09.2003 n. 269, convertito con legge 24.11.2003 n. 326, atteso che l'art. 32 del citato decreto n. 289 limita l'applicabilità del condono edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali Cass., Sez. III, 17.02.2004-24.03.2004, n. 14436, (Conf. Cass., Sez. 3, 18.11.2003-29.01.2004, n. 3358).
Né rileva la conservazione degli effetti penali perché comunque non risulta un'oblazione ritualmente perfezionata con il pagamento della somma dovuta.
Reati urbanistici - Abusivismo edilizio - Condono - Sospensione - Limiti - Requisiti per la condonabilità - Necessità.
In materia di reati edilizi, la sospensione di cui all'art. 44 della legge 28.02.1985 n. 47 non è automatica e non va applicata a tutti i procedimenti per reati urbanistici astrattamente interessati al condono, ma solo a quelli aventi ad oggetto opere che abbiano oggettivamente i requisiti per la condonabilità ex art. 32 del D.L. 30.09.2003 n. 326 (nella specie l'opera abusiva non risultava suscettibile di sanatoria, in quanto costruzione di tipo non-residenziale, realizzata in assenza del titolo abilitativo) (Cass. Pen. Sez. III, 06.04.2004-07.05.2004, Sentenza n. 21679) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.02.2007 n. 8067 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: Costruire un muro di recinzione in mattoni in luogo della rete metallica è un intervento di ristrutturazione edilizia.
Le nozioni di “manutenzione straordinaria”, “ristrutturazione” e “nuova costruzione” [art. 3, comma 1, lett. b), d), e), DPR n. 380/2001], invero, sono riferite agli interventi edilizi “tipici” e comportano “rinnovazione e/o sostituzione di parti strutturali senza modifiche di destinazione d’uso, alterazione dei volumi e superfici” (manutenzione straordinaria), “trasformazione dell’organismo edilizio anche in parte diverso da quello iniziale, con sostituzione di elementi costitutivi” (ristrutturazione), “la realizzazione di un <quid novi>, ovvero di una trasformazione edilizia” (nuova costruzione).
Adeguando tali nozioni al muro di recinzione, la nuova muratura, in sostituzione della rete metallica, è conforme alla destinazione d’uso (recinzione), che non è modificata, ma la manutenzione straordinaria implica che la “rinnovazione e/o sostituzione delle parti strutturali”, non dovendo alterare i volumi e le superfici, abbia una identità e/o similarietà con la struttura precedente, poiché i mattoni hanno consistenza e dimensioni diverse rispetto alla rete metallica, che era l’elemento costitutivo precedente, la cui sostituzione fa rientrare l’intervento nell’ambito della ristrutturazione, per sostituzione di un elemento costitutivo
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.05.2006 n. 334 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto del proprietario di chiudere il proprio fondo non può essere impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica interessante l’area in questione (nella specie verde pubblico), atteso che il legittimo esercizio dello “ius escludendi alios”, laddove attuato mediante l’apposizione di una recinzione costituita da una rete metallica -senza l’uso di materiali ad elevato impatto ambientale quali cemento, mattoni e simili- non contrasta, di per sé, con detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche.
- Considerato che il diritto del proprietario di chiudere il proprio fondo non può essere impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica interessante l’area in questione (nella specie verde pubblico), atteso che il legittimo esercizio dello “ius escludendi alios”, laddove attuato mediante l’apposizione di una recinzione costituita da una rete metallica -senza l’uso di materiali ad elevato impatto ambientale quali cemento, mattoni e simili- non contrasta, di per sé, con detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.02.2006 n. 572 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di costruzione e distanze legali.
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 10.01.2006 n. 145).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: Una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava realizzando una costruzione che era solo in parziale aderenza con quanto costruito in precedenza dal Sig. Greco, con superamento in altezza del muro di confine, con la conseguenza che parte della nuova costruzione era stata edificata ad una distanza di circa 5 metri dalla preesistente parete finestrata del confinante, mentre il limite minimo in questi casi era stabilito in 10 metri dalla locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione di fatto ma sostiene che essendoci un muro di confine tra i due fabbricati non occorreva rispettare alcuna distanza per la nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha da tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità dell’eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo.
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori; in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.

Il giudice osserva che la giurisprudenza ha da tempo individuato un corretto discrimine tra le costruzioni che si definiscono muro: la differenziazione viene istituita movendo dalla destinazione del manufatto.
Nel caso in cui lo scopo della realizzazione sia la delimitazione della proprietà si ricade nell’ipotesi della pertinenza, per cui non è necessario il rilascio della concessione, con le note conseguenze in tema di legittimità dell’eventuale ordinanza di demolizione adottata al riguardo (TAR Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n. 492; Id, 19.10.1994, n. 345).
Diversa è la situazione, allorché il muro è destinato non solo a recingere un fondo, ma contiene o sostiene esso stesso dei volumi ulteriori (tar Emilia Romagna, Parma, 27.04.2001, n. 246; tar Lazio, sez. II, 04.11.2000, n. 8923); in tal caso il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico.
Nel caso in questione il muro svolge la funzione di contenimento (si intenda, del terreno) per circa trenta metri, al di là della recinzione preesistente, ed è connesso ad un porticato che si estende per una superficie di circa 105 metri quadrati. La funzione della costruzione si ricava dalla sua estensione, per cui non può ritenersi che il ricorrente abbia inteso soltanto recingere la proprietà, allorché realizzò quanto indicato.
Ne consegue che il manufatto avrebbe dovuto essere edificato in forza di una concessione, sì che i motivi dedotti al riguardo sono infondati e vanno respinti (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.05.2003 n. 657 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il completamento della recinzione di un fondo non può essere impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo esercizio dello jus excludendi alios, di per sé, non contrasta con la detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in alcun modo l’amministrazione nell’esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Ed invero, il completamento della recinzione di un fondo non può essere impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore, in quanto il legittimo esercizio dello jus excludendi alios, di per sé, non contrasta con la detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche e non limitando in alcun modo l’amministrazione nell’esercizio dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono (cfr. TAR Milano, sez. II, 20.05.1993 n. 334 e 24.10.1991 n. 1247) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 24.02.2003 n. 351 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATAPremesso il diritto del proprietario di un’area di recintare la stessa allo scopo di delimitarne i confini, essendo tale attività espressione dell’esercizio del diritto di proprietà implicante lo ius excludendi alios, detto comportamento non può ritenersi in contrasto con le previsioni di utilizzo pubblico dell’area, ogni qual volta detta recinzione non costituisca ostacolo alla destinazione alla stessa impressa.
Ne consegue che, premesso il diritto del proprietario di un’area di recintare la stessa allo scopo di delimitarne i confini, essendo tale attività espressione dell’esercizio del diritto di proprietà implicante lo ius excludendi alios, detto comportamento non può ritenersi in contrasto con le previsioni di utilizzo pubblico dell’area, ogni qual volta detta recinzione non costituisca ostacolo alla destinazione alla stessa impressa (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 14.06.2002 n. 968 - link a www.giustizia-amministrativa).

anno 2001

EDILIZIA PRIVATA: Una recinzione in manufatti di cemento che si sviluppa per una lunghezza di circa m. 346 con altezza di m. 2,50 costituisce intervento che comporta, per le sue rilevanti dimensioni, quella “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale” per la quale è necessario, ex art. 1 L. n. 10 del 1977, il previo rilascio della concessione edilizia da parte della competente amministrazione comunale.
Il Tribunale deve osservare, infatti, che non è assolutamente condivisibile la tesi della ricorrente secondo cui la realizzazione della recinzione di cui trattasi, non sarebbe stata soggetta al rilascio di alcun titolo edilizio, costituendo tale intervento una semplice estrinsecazione dello “jus excludendi alios” insito nel diritto di proprietà.
Invero, a confutazione di quanto precede, basta sottolineare che una recinzione in manufatti di cemento che si sviluppa per una lunghezza di circa m. 346 con altezza di m. 2,50 costituisce intervento che comporta, per le sue rilevanti dimensioni, quella “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale” per la quale è necessario, ex art. 1 L. n. 10 del 1977, il previo rilascio della concessione edilizia da parte della competente amministrazione comunale (v. TAR Puglia –LE- sez. 1^, 04/05/1999 n. 481; TAR Lazio –RM- sez. 2^, 10/03/1999 n. 829; TAR Piemonte, sez. 1^, 06/11/1997 n. 738).
E’ inoltre infondata l’ulteriore argomentazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio secondo la quale, per tali interventi di recinzione, non sarebbe richiesto titolo edilizio alcuno a norma dell’art. 23, comma 1, del P.R.G. comunale.
La citata norma, infatti, anche secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente, richiede l’autorizzazione edilizia per le recinzioni riguardanti lotti edificati e, pertanto, risulta del tutto legittimo il provvedimento comunale che ha irrogato, ex art. 10 L. n. 47 del 1985, la sanzione pecuniaria di cui si discute, sul presupposto che fosse quantomeno sottoposto a regime autorizzatorio l’intervento di recinzione di un’area sulla quale insiste lo stabilimento industriale della società ricorrente (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 27.04.2001 n. 246 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche la realizzazione ex novo di un muro di contenimento rientra tra gli interventi soggetti a semplice autorizzazione edilizia.
Ciò premesso, risulta che i lavori in questione rientrassero a pieno titolo tra quelli di manutenzione straordinaria, assentibili dall’Autorità Comunale con semplice titolo autorizzatorio e non con concessione edilizia, atteso che, secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio, anche la realizzazione ex novo di un muro di contenimento rientra tra gli interventi soggetti a semplice autorizzazione edilizia (v. TAR Liguria, sez. 1^, 14/11/1996 n.492; 19/10/1994 n. 345).
In tale ottica, quindi, mentre l’intervento sul muretto non risultava in alcun modo difforme dall’autorizzazione edilizia legittimamente rilasciata dal Comune, l’ulteriore intervento, contestato alla ricorrente con l’ordinanza impugnata e costituito dalla sostituzione della recinzione in rete metallica sovrastante il muretto con una recinzione in legno, ben poteva essere qualificato quale opera eseguita in difformità dall’autorizzazione edilizia ed essere conseguentemente sanzionato con la pena pecuniaria prevista per tali violazioni dall’art. 10 L. n. 47 del 1985.
Risulta pertanto illegittima, per violazione della suddetta disposizione, l’ordinanza impugnata, con la quale il Sindaco ha ordinato alla ricorrente, con avvertimento di comminatoria dell’acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune delle opere e dell’area di sedime in caso di inadempimento, la demolizione di opere che, risultando (solo per una di esse) difformi dall’autorizzazione edilizia precedentemente rilasciata, dovevano essere sanzionate con l’irrogazione della pena pecuniaria prevista dall’art. 10 L. n.47 del 1985 (v. TAR Abruzzo –PE- 05/12/1997 n. 671; TAR Piemonte, sez. 1^, 16/10/1996 n. 714) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 12.03.2001 n. 106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA: Non ogni muro che sia collocato ai limiti di un’area su cui insistono costruzioni edilizie può considerarsi come “recinzione” allorquando, come nel caso in esame, la funzione dello stesso non sia quella di recingere bensì di sostenere altri volumi ovvero, più precisamente, di contenere il terreno di un’area di livello superiore suscettibile di smottamenti: infatti in tale ultima ipotesi non soccorre più il regime semplificato istituito per la realizzazione delle vere e proprie opere di recinzione di edifici preesistenti, restando invero anche il muro di contenimento assoggettato al regime del rilascio della concessione edilizia.
Nel caso di specie l’opera realizzata dalla attuale istante per la sua collocazione, che la medesima indica nel ricorso come situata immediatamente a ridosso non già del preesistente edifici per abitazione bensì di due capannoni installati nell’area adiacente, non può certo ritenersi come un’opera muraria di conservazione delle strutture o di altre parti dell’organismo edilizio abitativo, essendo stata posta per fornire un riparo da smottamenti di terreno ad un’area circostante la proprietà edilizia della stessa istante.
A tale opera le medesima assegna anche la funzione costitutiva della dotazione di un “muro di cinto” a quella parte della sua proprietà, sulla quale, come sopra riferito, si trovano installati due capannoni (vedasi al riguardo le precisazioni che la stessa esponente fornisce nella memoria depositata in data 16.06.1999).
Va tuttavia osservato che deve escludersi che le finalità di recinzioni che la istante intenderebbe ritenere riconoscibili nel suo intervento murario, possano far considerare tale muro rientrante tra quelle opere (“recinzioni”) che restano escluse dal regime della concessione edilizia per restare soggette a quello, semplificato, della c.d. “denunzia di inizio dei lavori”, previsto dall’art. 4 della legge n. 493/1993 come sostituito dall’art. 2 -comma 60- della legge 23.12.1996 n. 662.
La funzione della stessa opera come muro di contenimento, benché posto su una pretesa linea di cinta di una parte della proprietà immobiliare della ricorrente, non la rende annoverabile tra le “recinzioni” cui si riferisce la suindicata disposizione.
Va al riguardo osservato che non ogni muro che sia collocato ai limiti di un’area su cui insistono costruzioni edilizie può considerarsi come “recinzione” allorquando, come nel caso in esame, la funzione dello stesso non sia quella di recingere bensì di sostenere altri volumi ovvero, più precisamente, di contenere il terreno di un’area di livello superiore suscettibile di smottamenti: infatti in tale ultima ipotesi non soccorre più il regime semplificato istituito per la realizzazione delle vere e proprie opere di recinzione di edifici preesistenti, restando invero anche il muro di contenimento assoggettato al regime del rilascio della concessione edilizia (cfr. sul punto in fattispecie pressoché analoga C.S.I. 05.05.1993, n. 165)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.11.2000 n. 8923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).