dossier
INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO |
aprile 2020 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento
di incarichi di patrocinio legale, in ogni momento le verifiche sul possesso
dei requisiti.
Con la
delibera
01.04.2020 n. 303, Anac, in risposta alla richiesta di parere
ricevuta da un Comune, fornisce ulteriori chiarimenti in ordine alle
modalità di verifica del possesso dei requisiti generali di moralità,
compreso quello di regolarità contributiva, nel caso di affidamento di
incarichi di patrocinio legale, in quanto servizi esclusi dall'integrale
applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Preliminarmente, per rispondere al quesito, Anac richiama le proprie linee
guida n. 12 dedicate all'affidamento dei servizi legali, dove viene
specificato che il possesso dei requisiti di moralità da parte degli
operatori economici, che a qualunque titolo concorrono all'esecuzione di
appalti pubblici, rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico,
che trova applicazione anche negli affidamenti riguardanti contratti in
tutto o in parte esclusi dall'applicazione del Codice dei contratti
pubblici, andando così a rispondere all'esigenza di assicurare
l'affidabilità del soggetto che contratta con la pubblica amministrazione.
Questo significa che seppur sulla base dell'articolo 17, comma 1, lettera
d), punto n. 1) del Dlgs 50/2016, la rappresentanza legale di un cliente da
parte di un avvocato è esclusa dall'integrale applicazione del codice dei
contratti pubblici, rimane comunque soggetta al rispetto dei principi
stabiliti nell'articolo 4.
Quindi, in caso di costituzione di un elenco di avvocati, da consultare ai
fini del conferimento del singolo incarico professionale, i requisiti
generali di moralità, tra cui quello di regolarità contributiva, devono
essere posseduti dai professionisti al momento della richiesta di iscrizione
nell'elenco e devono essere controllati al momento di ogni singolo
affidamento.
Tuttavia, precisa Anac, la stazione appaltante, proprio perché si tratta di
contratti esclusi dall'integrale applicazione del codice dei contratti
pubblici, non può esigere il medesimo rigore formale di cui all'articolo 80
del Dlgs 50/2016 e gli stessi vincoli procedurali, ma al contempo,
nell'esercizio della propria discrezionalità amministrativa, può effettuare
in ogni momento le verifiche sul possesso dei requisiti generali
autocertificati dall'operatore economico che intende iscriversi nell'elenco.
Chiarito il primo punto del quesito, in ordine al secondo quesito sulla
disciplina applicabile agli incarichi dello stesso genere, ma affidati con
il precedente codice (Dlgs 163/2006), a differenza di quanto sostenuto dal
Comune istante, Anac ricorda come la stessa Autorità con le determinazioni
n. 1/2010 e n. 1/2012, in ordine al possesso dei requisiti generali, aveva
precisato come le cause di esclusione di cui all'articolo 38 del previgente
codice riguardassero tutti i contratti pubblici, indipendentemente dalla
tipologia, dall'oggetto, dal valore del contratto e dalla procedura di
scelta del contraente adottata (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
16.04.2020). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento
incarico di patrocinio legale – Requisiti di ordine generale - Verifica
Gli operatori economici che prendono parte
all’esecuzione di appalti pubblici devono possedere i requisiti generali di
moralità, tra cui quello di regolarità contributiva.
In caso di costituzione
di un apposito elenco di avvocati, da consultare ai fini del conferimento
del singolo incarico professionale, tali requisiti devono essere posseduti
dai professionisti al momento della richiesta di iscrizione nel citato
elenco e debbono essere controllati al momento di ogni singolo affidamento,
fermo restando, da un lato, che non può esigersi il medesimo rigore formale
di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 (prima art. 38 d.lgs. 163/2006) e,
dall’altro, che la stazione appaltante nell’esercizio della propria
discrezionalità amministrativa può valutare di svolgere in ogni momento le
verifiche ritenute necessarie.
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Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’adunanza del
01.04.2020,
VISTA la richiesta di parere prot. 2344/2020, acquisita dall’ANAC al prot.
9386/2020, con cui il Comune di Ugento ha formulato due quesiti: l’uno
relativo alle modalità di verifica del possesso del requisito di regolarità
contributiva di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 nel caso di affidamento di
incarichi legali di cui all’art. 17, comma 1, lett. d), d.lgs. 50/2016,
l’altro concernente la disciplina da applicare agli incarichi di tal genere
già affidati ed espletati in vigenza del d.lgs. 163/2006;
VISTI gli articoli 4, 17 del decreto legislativo 18.04.2016 n. 50 e s.m
nonché l’allegato IX al citato decreto;
VISTI gli articoli 20, 21, 27 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163
e s.m. nonché l’allegato II B al citato decreto;
VISTE le Linee Guida n. 12 “Affidamento dei servizi legali” approvate dal
Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018 e l’unita
Relazione AIR;
VISTE le determinazioni dell’Autorità n. 4 del 10.10.2012, n. 1 del 16.05.2012; n. 1 del 12.01.2010;
RILEVATO che con riferimento alla prima questione secondo l’istante, alla
luce della normativa vigente, sarebbero possibili tre diverse soluzioni: a)
i requisiti di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 dovrebbero essere posseduti
all’atto della richiesta dell’iscrizione nell’apposito elenco di
professionisti tenuto dall’Amministrazione; b) ai fini di aumentare la
concorrenza, la regolarità contributiva andrebbe verificata al momento del
conferimento del singolo incarico; c) la regolarità contributiva dovrebbe
essere verificata solo al momento della liquidazione;
RILEVATO altresì che con riferimento alla seconda questione il Comune
evidenzia alcune criticità nella fase di liquidazione dei compensi delle
prestazioni già eseguite dal legale affidatario, dovute, a suo dire, al
fatto che il d.lgs. 163/2016 non avrebbe esteso all’affidamento dei servizi
legali i principi che regolano gli affidamenti degli appalti pubblici;
CONSIDERATO che in virtù di quanto previsto dall’art. 17, comma 1, lettera
d), punto n. 1), d.lgs. 50/2016, la rappresentanza legale di un cliente da
parte di un avvocato ex art. 1, legge 09.02.1982, n. 31, rientra nell’ambito
dei contratti esclusi dall’integrale applicazione del d.lgs. 50/2016,
rimanendo soggetta, però, al rispetto dei principi di cui all’art. 4 d.lgs.
50/2016;
CONSIDERATO altresì che nelle Linee guida n. 12, paragrafo 3.1.5 l’Autorità
ha chiarito: ‹‹Il possesso di inderogabili requisiti di moralità da parte
dei soggetti che a qualunque titolo concorrono all’esecuzione di appalti
pubblici rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico, che trova
applicazione anche negli affidamenti riguardanti contratti in tutto o in
parte esclusi dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici. Esso
risponde, infatti, all’esigenza di assicurare l’affidabilità del soggetto
che contratta con la pubblica amministrazione››.
Conseguentemente, per i servizi legali di cui al citato articolo 17, sebbene
la stazione appaltante non possa esigere il medesimo rigore formale previsto
dall’articolo 80 d.lgs. 50/2016, la stessa, ha, comunque, l’obbligo di
verificare in concreto il possesso da parte dei concorrenti dei requisiti
generali di cui al citato articolo 80. Nel caso in cui l’amministrazione
abbia provveduto alla costituzione di un elenco di professionisti, da cui
attingere per il conferimento del singolo incarico, tale verifica ‹‹va
effettuata in occasione delle specifiche procedure per cui i soggetti
iscritti nell’elenco sono interpellati, ferma restando la facoltà della
stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti generali di cui
all’articolo 80, autocertificati dall’interessato nell’istanza ai sensi del
decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000 n. 445, anche ai fini
dell’iscrizione nell’elenco››;
CONSIDERATO che i servizi legali erano contemplati al punto 21 dell’allegato
II B del d.lgs. n. 163/2006 e, pertanto, il loro affidamento era retto dalle
norme del codice e segnatamente dagli artt. 20, 27, 65, 68, 225. In
particolare, l’articolo 20 disponeva che l’aggiudicazione degli appalti
aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B era disciplinata
dagli articolo 68, 65, 225); l’articolo 27 imponeva il rispetto dei principi
di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità per l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto
lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di
applicazione oggettiva del d.lgs. 163/2006, e richiedeva che tale
affidamento fosse preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se
compatibile con l’oggetto del contratto;
CONSIDERATO che nella Relazione AIR delle Linee guida n. 12 l’Autorità ha
già chiarito l’ambito oggettivo di applicazione del d.lgs. 163/2006 come
segue: ‹‹Nel previgente quadro normativo, la giurisprudenza
amministrativa e contabile aveva affermato la distinzione tra il
conferimento del singolo incarico di patrocinio legale e l’attività di
assistenza e consulenza giuridica. Il primo caso era sottratto alla
disciplina del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, in quanto
qualificato come “contratto d’opera intellettuale”, in ragione del fatto che
il prestatore d’opera, pur avendo l’obbligo di compiere, dietro
corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di
subordinazione e con assunzione del relativo rischio, esegue detto servizio
con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione.
Il secondo caso, invece, era qualificato come appalto di servizi, in quanto
l’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla
complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata, pur
presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia
rispetto al committente), si differenzia da quest’ultimo poiché la
prestazione è eseguita con organizzazione di mezzi e personale che fanno
ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio,
la qualità di imprenditore commerciale caratterizzata da una specifica
organizzazione. Conseguentemente, si riteneva che la scelta fiduciaria del
patrocinatore legale fosse esclusivamente soggetta ai principi generali
dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e
adeguata motivazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11.05.2012, n.
2730), mentre l’attività di assistenza e consulenza giuridica dovesse essere
affidata nel rispetto degli artt. 20 e 27 del d.lgs. n. 163/2006››;
DELIBERA
●
Con riferimento al primo quesito,
per l’affidamento dei servizi
legali di cui al citato articolo 17, comma 1, lett. d), punto 1, la stazione
appaltante ha l’obbligo di verificare in concreto il possesso da parte dei
concorrenti dei requisiti generali di cui al citato articolo 80, secondo le
modalità indicate nelle predette Linee guida a cui si rinvia, sebbene la
stessa non possa esigere il medesimo rigore formale previsto dall’articolo
80 d.lgs. 50/2016 (cfr. anche ANAC, delibera n. 1158 del 09.11.2016).
●
Con riferimento al secondo quesito, si osserva che
non è
condivisibile l’assunto dell’istante secondo il quale prima dell’adozione
del d.lgs. 50/2016 l’affidamento dei servizi legali non sarebbe stato
regolato dal legislatore. Diversamente da quanto asserito dal Comune,
infatti, il d.lgs. 163/2006 dettava al riguardo un’apposita disciplina e,
segnatamente, agli artt. 20, 27, ed allegato IX, come chiarito nella
Relazione AIR alle Linee guida n. 12 a cui si rinvia.
Inoltre, anche in vigenza del precedente codice l’Autorità, con riferimento
al possesso dei requisiti generali, aveva precisato che:
«Le
cause di esclusione di cui all’art. 38 concernono tutti i contratti pubblici
(art. 3, comma 3, del Codice), qualunque ne sia la tipologia e l’oggetto ed
indipendentemente dal valore del contratto e dalla procedura di scelta del
contraente adottata (si vedano, al riguardo, le determinazioni dell’Autorità
n. 1 del 12.01.2010 e n. 1 del 16.05. 2012)»
(delibera
01.04.2020 n. 303 - link a
www.anticorruzione.it. |
dicembre 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Il TAR Milano sospende un bando di un Comune
per l’affidamento di servizi legali.
Il TAR Milano sospende
un bando di un Comune lombardo per
l’affidamento di servizi legali, sulla base
del seguente percorso motivazionale:
- «considerata la natura discriminatoria e irragionevole della
clausola che preclude la partecipazione agli
avvocati che non abbiano avuto in passato
tra i lori clienti Pubbliche
Amministrazioni, ben potendo questi ultimi
aver maturato l’esperienza necessaria a
divenire affidatari della procedura
impugnata, anche difendendo soggetti privati
nei giudizi amministrativi;
- l’indeterminatezza e l’eterogeneità delle prestazioni richieste,
ciò che preclude la possibilità di formulare
un’offerta ponderata;
- la contrarietà della lex specialis alla legge professionale,
nella parte in cui prevede la corresponsione
di un corrispettivo fisso indipendentemente
dal numero dei contenziosi, ciò che pare
violare il principio dell’equo compenso, e
nella parte in cui prevede l’assegnazione di
un punteggio preferenziale in favore degli
avvocati che hanno patrocinato giudizi
conclusi con un esito positivo per le
amministrazioni, considerato che la loro
attività non ha ad oggetto obbligazioni di
risultato»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
ordinanza 20.12.2019 n. 1720 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
... per l'annullamento, previa sospensione
dell'efficacia, dell’avviso, del
disciplinare, e del capitolato, relativi
alla procedura indetta dal Comune di Pieve
Emanuele (MI) per l’affidamento dei servizi
legali CIG Z3D2A103AA, e di ogni atto
presupposto, connesso e conseguente, ivi
espressamente inclusa la determinazione n.
1202 del 21.10.2019, di approvazione della
documentazione concorsuale.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione
dell'esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte
ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e
competenza;
...
Ritenuto che, ad un sommario esame, il
ricorso sia assistito dal requisito del
fumus boni iuris considerate, in
particolare:
- la natura discriminatoria e irragionevole della clausola che
preclude la partecipazione agli avvocati che
non abbiano avuto in passato tra i lori
clienti Pubbliche Amministrazioni, ben
potendo questi ultimi aver maturato
l’esperienza necessaria a divenire
affidatari della procedura impugnata, anche
difendendo soggetti privati nei giudizi
amministrativi;
- l’indeterminatezza e l’eterogeneità delle prestazioni richieste,
ciò che preclude la possibilità di formulare
un’offerta ponderata;
- la contrarietà della lex specialis alla legge
professionale, nella parte in cui prevede la
corresponsione di un corrispettivo fisso
indipendentemente dal numero dei
contenziosi, ciò che pare violare il
principio dell’equo compenso, e nella parte
in cui prevede l’assegnazione di un
punteggio preferenziale in favore degli
avvocati che hanno patrocinato giudizi
conclusi con un esito positivo per le
amministrazioni, considerato che la loro
attività non ha ad oggetto obbligazioni di
risultato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Lombardia (Sezione Prima), accoglie la
domanda cautelare, e per l'effetto sospende
l’efficacia del provvedimento in epigrafe
impugnato.
Fissa per la trattazione di merito del
ricorso l'udienza pubblica del 10.06.2020. |
novembre 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Il CIG e i servizi legali esclusi dall’applicazione del codice.
Domanda
L’ente deve affidare dei servizi legali, è necessario acquisire il CIG?
Risposta
Dalla natura del quesito non è possibile capire a quale fattispecie sia da
ricondurre l’affidamento dei servizi legali, ovvero, se trattasi di servizi
legali esclusi dall’applicazione oggettiva del codice ai sensi dell’art. 17,
co. 1, lett. d), quali ad esempio gli incarichi di patrocinio conferiti in
relazione ad una specifica lite, oppure quei servizi soggetti alla
disciplina alleggerita di cui all’allegato IX del d.lgs. 50/2016, ad esempio
il contenzioso seriale affidato in gestione ad un operatore economico.
Sulla base di tali differenti prestazioni l’Anac, nelle linee guida n. 12,
aderendo all’impostazione del Consiglio di Stato ha qualificato quest’ultima
come appalto di servizi, e contratto d’opera professionale la trattazione
della singola controversia. Sul punto si segnala che alcune posizioni
dottrinarie e giurisprudenziali ritengono che, nel caso di affidamento di un
incarico di patrocinio, anche se escluso dall’applicazione del codice, la
prestazione debba comunque rientrare nella nozione di appalto.
Tuttavia, indipendentemente dalla qualificazione negoziale, alla luce del
nuovo comunicato del Presidente dell’Anac del 16.10.2019, anche per i
servizi legali esclusi dal codice, è necessario acquisire il CIG e versare
il contributo Anac, qualora di valore pari o superiore a € 40.000.
L’Autorità ha ritenuto di dover acquisire dati e informazioni sulle
procedure escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici e,
nelle more dell’adozione del nuovo regolamento sul funzionamento
dell’Osservatorio ai sensi dell’art. 213, co. 9, ha definito gli obblighi di
acquisizione del CIG e pagamento del contributo in favore dell’Autorità per
alcune tipologie di affidamento, in precedenza non previste, elencate in una
tabella distinta per riferimento normativo, descrizione della prestazione,
obbligo o meno di acquisizione del CIG, nonché di eventuale versamento della
tassa Anac.
La procedura di richiesta dello smartCIG è infatti arricchita, nelle
fattispecie contrattuali, da queste nuove tipologie che al momento non
sembrano essere presenti nel caso di acquisizione del CIG tramite il sistema
SIMOG.
Solo per citarne alcune e più strettamente connesse al quesito:
- SERVIZI DI ARBITRATO E CONCILIAZIONE FINO A 40.000 EURO
- SERVIZI LEGALI FINO A 40.000 EURO
L’autorità inoltre precisa che per quanto attiene alla trasmissione dei dati
all’Osservatorio dei contratti pubblici, che gli obblighi di comunicazione
attualmente in essere per i settori ordinari si intendono estesi a tutte le
altre fattispecie, ivi comprese quelle elencate nella citata tabella, con
decorrenza dal 01.01.2020 (06.11.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
settembre 2019 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI
COMUNALI: Nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000,
n. 267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al
difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco,
sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche
prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo
statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo
di valenza esterna.
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Rilevato che
- il primo motivo è in parte inammissibile, in parte
infondato;
- per un verso si tratterebbe, in tesi, di omessa
pronuncia sull'eccezione, in senso lato, indicata come
formulata, e non del dedotto omesso esame, il cui regime
normativo fa diversamente riferimento a un fatto storico
discusso in istruttoria;
- per altro verso i ricorrenti indicano di aver
proposto l'eccezione in una non meglio specificata memoria
di replica, senza chiarire quindi se sia stato un atto
meramente illustrativo facente parte della discussione
scritta finale, ovvero di altro atto assertivo, con una
violazione degli artt. 366, nn. 3 e 6, cod. proc. civ., che
non permette di constatare se si tratti di questione nuova,
e come tale in questa sede preclusa, essendo sotteso, al
rilievo, possibile anche d'ufficio, un accertamento in fatto
(la presenza o meno della delibera, in funzione della
decisione sulla sussistenza di valida procura);
- nel merito, infine, la questione sarebbe stata comunque
infondata, poiché questa Corte ha chiarito che, nel nuovo
ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000, n.
267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al
difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco,
sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche
prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo
statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo
di valenza esterna (Cass., 23/03/2016, n. 5802, pag. 3, Cass.,
21/06/2018, n. 16459, pagg. 4-5) (Corte di Cassazione, Sez.
III civile,
sentenza 10.09.2019 n. 22526). |
giugno 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: «Rinvio
pregiudiziale – Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi – Direttiva 2014/24/UE – Articolo 10,
lettera c) e lettera d), i), ii) e v) – Validità – Ambito di applicazione –
Esclusione dei servizi di arbitrato e di conciliazione e di determinati
servizi legali – Principi di parità di trattamento e sussidiarietà –
Articoli 49 e 56 TFUE»
Per quanto riguarda i servizi forniti da avvocati, di
cui all’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, dal considerando
25 di tale direttiva risulta che il legislatore dell’Unione ha tenuto
conto del fatto che tali servizi legali sono di solito prestati da organismi
o persone designati o selezionati secondo modalità che non possono essere
disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in
determinati Stati membri, cosicché occorreva escludere tali servizi legali
dall’ambito di applicazione della direttiva in parola.
A tale riguardo, occorre rilevare che l’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24 non esclude
dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono
essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma
unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un
procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di
conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno
Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle
istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale fornita
nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto
procedimento. Simili prestazioni di servizi fornite da un avvocato
si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra
l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza.
Orbene, da un lato, un siffatto rapporto
intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla
libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo
avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si
attende dai servizi da prestare.
Dall’altro, la riservatezza del rapporto tra
avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle
circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel
salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto
nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la
possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato
(v., in tal senso, sentenza del 18.05.1982, AM & S Europe/Commissione,
155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere
minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di
precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la
pubblicità che deve essere data a tali condizioni.
Ne consegue che, alla luce delle loro caratteristiche oggettive,
i servizi di cui all’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, non sono
comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della
direttiva medesima. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è altresì
senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore
dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere
tali servizi dall’ambito di applicazione di detta direttiva.
Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda i
servizi legali rientranti nelle attività che partecipano, anche
occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, di cui all’articolo
10, lettera d), v), della direttiva 2014/24, tali attività, e
pertanto tali servizi, sono escluse, ai sensi dell’articolo 51 TFUE,
dall’ambito di applicazione delle disposizioni di detto Trattato relative
alla libertà di stabilimento e di quelle relative alla libera prestazione di
servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE.
Siffatti servizi si distinguono da quelli che rientrano nell’ambito di
applicazione di tale direttiva poiché partecipano direttamente o
indirettamente all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno
ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre
collettività pubbliche.
Ne risulta che, per loro stessa natura, i servizi legali
connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono
comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi
inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Tenuto
conto di tale differenza oggettiva, è, ancora una volta, senza violare il
principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha
potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escluderli dall’ambito di
applicazione della direttiva 2014/24.
Pertanto, dall’esame delle disposizioni dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24
non è emerso alcun elemento che possa inficiare la loro validità alla luce
dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli
articoli 49 e 56 TFUE.
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Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e
che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un
lato, P.M., N.G.d.M. e P.V.d.S. e, dall’altro, il Ministerraad (Consiglio
dei Ministri, Belgio) in merito all’esclusione, ad opera della normativa
belga di trasposizione delle disposizioni della direttiva 2014/24, di
determinati servizi legali dalle procedure di aggiudicazione di appalti
pubblici.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 I considerando 1, 4, 24 e 25 della direttiva 2014/24 stabiliscono
quanto segue:
«(1) L’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di
autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del trattato [FUE] e
in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di
stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne
derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo
riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. Tuttavia, per gli
appalti pubblici con valore superiore a una certa soglia è opportuno
elaborare disposizioni per coordinare le procedure nazionali di
aggiudicazione degli appalti in modo da garantire che a tali principi sia
dato effetto pratico e che gli appalti pubblici siano aperti alla
concorrenza.
(...)
(4) La crescente diversità delle forme di intervento pubblico ha
reso necessario definire più chiaramente il concetto stesso di appalto.
Questo chiarimento in quanto tale non dovrebbe tuttavia ampliare l’ambito di
applicazione della presente direttiva rispetto a quello della direttiva
2004/18/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31.03.2004, relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114)]. La normativa
dell’Unione in materia di appalti pubblici non intende coprire tutte le
forme di esborsi di fondi pubblici, ma solo quelle rivolte all’acquisizione
di lavori, forniture o prestazioni di servizi a titolo oneroso per mezzo di
un appalto pubblico. (...)
(...)
(24) È opportuno ricordare che i servizi d’arbitrato e di
conciliazione e altre forme analoghe di risoluzione alternativa delle
controversie sono di norma prestati da organismi o persone approvati, o
selezionati, secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme
di aggiudicazione degli appalti. Occorre precisare che la presente direttiva
non si applica agli appalti di servizi per la fornitura di tali servizi
indipendentemente dalla loro denominazione nel diritto interno.
(25) Taluni servizi legali sono forniti da prestatori di servizi
designati da un organo giurisdizionale di uno Stato membro, comportano la
rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati,
devono essere prestati da notai o sono connessi all’esercizio di pubblici
poteri. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone
selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate
da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per
la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi
legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della
presente direttiva».
4 L’articolo 10 di detta direttiva, intitolato «Esclusioni specifiche per
gli appalti di servizi», dispone, alle lettere c) e d), quanto segue:
«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi:
(...)
c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
i) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai
sensi dell’articolo 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio [, del
22.03.1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera
prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU 1977, L 78, pag. 17)]:
– in un arbitrato o in una conciliazione tenuti
in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o
conciliativa internazionale; oppure
– in procedimenti giudiziari dinanzi a organi
giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o
dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
ii) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei
procedimenti di cui alla presente lettera, punto i), o qualora vi sia un
indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la
consulenza divenga oggetto del procedimento in questione, sempre che la
consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della
direttiva [77/249];
(...)
v) altri servizi legali che, nello Stato membro interessato, sono
connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri».
Diritto belga
5 Con la legge sugli agli appalti pubblici, del 17.06.2016 (Moniteur
belge del 14.07.2016, pag. 44219), il legislatore belga ha rivisto le norme
per l’aggiudicazione degli appalti e ha reso conforme la propria
legislazione con la direttiva 2014/24. L’articolo 28 di tale legge prevede
quanto segue:
«§ 1°. Fatto salvo il paragrafo 2, non sono soggetti all’applicazione
della presente legge gli appalti pubblici di servizi:
(...)
3° concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
4° concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
a) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai
sensi dell’articolo 1 della direttiva [77/249]:
i. in un arbitrato o in una conciliazione tenuti
in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o
conciliativa internazionale; oppure
ii. in procedimenti giudiziari dinanzi a organi
giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o
dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
b) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei
procedimenti di cui al presente punto, lettera a), o qualora vi sia un
indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la
consulenza divenga oggetto del procedimento in questione, sempre che la
consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della
direttiva [77/249];
(...)
e) altri servizi legali che, nel Regno, sono connessi, anche
occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;
(...)
§ 2. Il Re può stabilire le norme di aggiudicazione cui sono assoggettati
gli appalti di cui al paragrafo 1, 4, lettere a e b, nei casi da esso
stabiliti».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
6 Il 16.01.2017, P.M., N.G.d.M. e P.V.d.S., ricorrenti nel procedimento
principale, avvocati e soggetti con una formazione giuridica, hanno adito il
giudice del rinvio, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio),
con un ricorso di annullamento delle disposizioni della legge sugli appalti
pubblici, che escludono determinati servizi legali, nonché determinati
servizi di arbitrato e di conciliazione, dall’ambito di applicazione di
detta legge.
7 I ricorrenti nel procedimento principale fanno valere che tali
disposizioni, poiché hanno l’effetto di sottrarre l’attribuzione dei servizi
ivi previsti dalle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici
previste da suddetta legge, creano una differenza di trattamento che non può
essere giustificata.
8 Il giudice del rinvio ritiene quindi che si ponga la questione se
l’esclusione di tali servizi dalle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici pregiudichi gli obiettivi, perseguiti dal legislatore dell’Unione
al momento dell’adozione della direttiva 2014/24, relativi alla piena
concorrenza, alla libera prestazione di servizi e alla libertà di
stabilimento, e se i principi di sussidiarietà e di parità di trattamento
non avrebbero dovuto condurre a un’armonizzazione delle norme del diritto
dell’Unione anche nei confronti di tali servizi.
9 Secondo tale giudice, per valutare la costituzionalità delle disposizioni
legislative nazionali di cui è chiesto l’annullamento, è necessario
esaminare se le disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i),
ii) e v), di tale direttiva siano compatibili con i principi di parità di
trattamento e di sussidiarietà nonché con gli articoli 49 e 56 TFUE.
10 Ciò considerato, il Grondwettelijk Hof (Corte
costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva [2014/24] sia
conforme al principio di parità di trattamento, eventualmente in combinato
disposto con il principio di sussidiarietà e con gli articoli 49 e 56 [TFUE],
atteso che i servizi ivi menzionati sono esclusi dall’applicazione delle
norme di aggiudicazione di cui alla citata direttiva, che garantiscono
peraltro la piena concorrenza e la libera circolazione nell’acquisto di
servizi ad opera della pubblica amministrazione».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
11 I governi ceco e cipriota contestano la ricevibilità della questione
pregiudiziale e, pertanto, della domanda di pronuncia pregiudiziale.
12 Il governo ceco afferma che tale questione non ha alcun rapporto con
l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale, che riguarderebbe
la questione se la Costituzione belga osti a che il diritto nazionale
sottragga dall’ambito di applicazione delle norme nazionali in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici determinati servizi legali parimenti
esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Orbene, il
diritto dell’Unione non imporrebbe a uno Stato membro di includere i servizi
in questione nell’ambito di applicazione delle norme nazionali di
trasposizione. Tale questione dovrebbe quindi essere valutata unicamente
alla luce della Costituzione belga.
13 Il governo cipriota sostiene, dal canto suo, che la questione posta verte
sulla conformità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), di
tale direttiva agli articoli 49 e 56 TFUE. Orbene, qualsiasi misura
nazionale che avrebbe costituito oggetto di un’armonizzazione esauriente a
livello dell’Unione dovrebbe essere valutata alla luce delle disposizioni di
questa misura di armonizzazione, e non di quelle del diritto primario.
14 A tale proposito, occorre ricordare che, quando una questione concernente
la validità di un atto adottato dalle istituzioni dell’Unione è sollevata
dinanzi ad un giudice nazionale, spetta a quest’ultimo giudicare se una
decisione su tale punto sia necessaria per pronunciare la sua sentenza e,
pertanto, chiedere alla Corte di statuire su tale questione. Di conseguenza,
qualora le questioni sollevate dal giudice nazionale riguardino la validità
di una disposizione di diritto dell’Unione, in via di principio la Corte è
tenuta a statuire [sentenze dell’11.11.1997, Eurotunnel e a., C‑408/95,
EU:C:1997:532, punto 19, del 10.12.2002, British American Tobacco (Investments)
e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 34, e del 28.03.2017,
Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 49].
15 La Corte può rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale
sottoposta da un giudice nazionale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE,
soltanto qualora, segnatamente, non siano rispettati i requisiti relativi al
contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale riportati all’articolo 94
del regolamento di procedura della Corte o appaia in modo manifesto che
l’interpretazione di una norma dell’Unione o il giudizio sulla sua validità
chiesti da tale giudice non abbiano alcuna relazione con l’effettività o con
l’oggetto del procedimento principale o qualora il problema sia di natura
ipotetica (sentenza del 28.03.2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto
50).
16 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che le disposizioni
nazionali di cui trattasi nel procedimento principale, delle quali si chiede
l’annullamento dinanzi al giudice del rinvio, riguardano la legge di
trasposizione, nel diritto belga, della direttiva 2014/24 e, in particolare,
l’esclusione di determinati servizi legali dall’ambito di applicazione di
quest’ultima.
17 In siffatte circostanze, contrariamente a quanto sostenuto dai governi
ceco e cipriota, la questione della validità dell’articolo 10, lettera c) e
lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 non è priva di pertinenza
ai fini dell’esito della controversia principale. Infatti, nell’ipotesi in
cui l’esclusione prevista da dette disposizioni sia dichiarata invalida, le
disposizioni di cui si chiede l’annullamento dinanzi al giudice del rinvio
dovrebbero essere considerate contrarie al diritto dell’Unione.
18 Dalle considerazioni che precedono risulta che la questione posta, e
pertanto la domanda di pronuncia pregiudiziale, è ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
19 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede,
in sostanza, alla Corte di pronunciarsi sulla validità
dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24,
alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché
degli articoli 49 e 56 TFUE.
20 Per quanto concerne, in primo luogo, il principio di sussidiarietà
e il rispetto degli articoli 49 e 56 TFUE, si deve ricordare, da un lato,
che il principio di sussidiarietà, enunciato all’articolo 5, paragrafo 3,
TUE, prevede che l’Unione, nei settori che non sono di sua esclusiva
competenza, intervenga solo e nei limiti in cui gli obiettivi dell’azione
prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e
dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione prospettata,
possano essere realizzati meglio a livello dell’Unione (v., in tal senso,
sentenza del 04.05.2016, Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325,
punto 215 e giurisprudenza citata).
21 Discende necessariamente dal fatto che il legislatore
dell’Unione ha escluso dall’ambito di applicazione della
direttiva 2014/24 i servizi di cui all’articolo 10, lettera c) e lettera d),
i), ii) e v), di quest’ultima che esso ha, in tal modo, ritenuto
che spettava ai legislatori nazionali determinare se tali servizi dovessero
essere soggetti alle norme in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.
22 Pertanto, non si può sostenere che tali disposizioni siano state adottate
in violazione del principio di sussidiarietà.
23 Dall’altro lato, quanto al rispetto degli articoli 49 e 56 TFUE,
il considerando 1 della direttiva 2014/24 enuncia che
l’aggiudicazione di appalti pubblici da parte delle autorità degli Stati
membri o in loro nome deve essere conforme ai principi del Trattato FUE, in
particolare alle disposizioni relative alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione di servizi.
24 Secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, il
coordinamento a livello dell’Unione delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici è diretto a eliminare gli ostacoli alla libera circolazione
dei servizi e delle merci che tali procedure possono instaurare e a
proteggere, quindi, gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno
Stato membro i quali intendano offrire beni o servizi alle amministrazioni
aggiudicatrici stabilite in un altro Stato membro (v., in tal senso,
sentenza del 13.11.2007, Commissione/Irlanda, C‑507/03, EU:C:2007:676, punto
27 e giurisprudenza citata).
25 Non ne consegue tuttavia che ‑escludendo i servizi di
cui all’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24
dall’ambito di applicazione di quest’ultima e, pertanto, non costringendo
gli Stati membri a sottoporli alle norme in materia di aggiudicazione di
appalti pubblici‑ questa stessa
direttiva violerebbe le libertà garantite dai Trattati.
26 Per quanto concerne, in secondo luogo, il potere discrezionale del
legislatore dell’Unione e il principio generale di parità di trattamento,
secondo una giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima ha
riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle
competenze a esso demandate, un ampio margine di discrezionalità quando la
sua azione implica scelte di natura politica, economica e sociale, e quando
è chiamato a effettuare valutazioni complesse (sentenze del 16.12.2008,
Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 57,
nonché del 30.01.2019, Planta Tabak, C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 44). Solo
la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione
allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la
legittimità di tale misura (sentenza del 14.12.2004, Swedish Match,
C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 48).
27 Tuttavia, anche in presenza di un tale potere, il legislatore dell’Unione
è tenuto a basare la sua scelta su criteri oggettivi e adeguati rispetto
allo scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (sentenza del
16.12.2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728,
punto 58).
28 Inoltre, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, il
principio generale della parità di trattamento, quale principio generale del
diritto dell’Unione, impone che situazioni analoghe non siano trattate in
maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera
uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato
(sentenza del 16.12.2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07,
EU:C:2008:728, punto 23 e giurisprudenza citata).
29 La comparabilità di situazioni diverse è valutata tenendo conto di tutti
gli elementi che le caratterizzano. Tali elementi devono, in particolare,
essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto
dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Inoltre, devono
essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si
riferisce l’atto in parola (sentenze del 12.05.2011, Lussemburgo/Parlamento
e Consiglio, C‑176/09, EU:C:2011:290, punto 32, nonché del 30.01.2019,
Planta Tabak, C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 37).
30 È alla luce di tali principi che occorre esaminare la
validità dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii), e v), della direttiva 2014/24
con riferimento al principio della parità di trattamento.
31 Pertanto, per quanto riguarda, sotto un primo profilo, i servizi
di arbitrato e di conciliazione di cui all’articolo
10, lettera c), della direttiva 2014/24, il considerando 24
di quest’ultima enuncia che gli organismi o persone che forniscono servizi
di arbitrato e di conciliazione e altre forme analoghe di risoluzione
alternativa delle controversie sono selezionati secondo modalità che non
possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti.
32 Infatti, gli arbitri e conciliatori devono sempre essere accettati da
tutte le parti della controversia e sono designati di comune accordo da
queste ultime. Un ente pubblico che lanci una procedura di aggiudicazione di
appalti pubblici per un servizio di arbitrato o di conciliazione non
potrebbe, pertanto, imporre all’altra parte l’aggiudicatario di tale appalto
in quanto arbitro o conciliatore comune.
33 Tenuto conto delle loro caratteristiche oggettive, i servizi di arbitrato
e di conciliazione di cui all’articolo
10, lettera c), non sono pertanto comparabili agli altri servizi inclusi
nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Ne consegue che è senza
violare il principio della parità di trattamento che il legislatore
dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere i
servizi di cui all’articolo
10, lettera c), della direttiva 2014/24 dall’ambito di applicazione di
quest’ultima.
34 Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda i
servizi forniti da avvocati, di cui all’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, dal considerando
25 di tale direttiva risulta che il legislatore dell’Unione ha tenuto
conto del fatto che tali servizi legali sono di solito prestati da organismi
o persone designati o selezionati secondo modalità che non possono essere
disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in
determinati Stati membri, cosicché occorreva escludere tali servizi legali
dall’ambito di applicazione della direttiva in parola.
35 A tale riguardo, occorre rilevare che l’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24 non esclude
dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono
essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma
unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un
procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di
conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno
Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle
istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale fornita
nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto
procedimento. Simili prestazioni di servizi fornite da un avvocato si
configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra
l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza.
36 Orbene, da un lato, un siffatto rapporto
intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla
libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo
avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si
attende dai servizi da prestare.
37 Dall’altro, la riservatezza del rapporto tra
avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle
circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel
salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto
nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la
possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato
(v., in tal senso, sentenza del 18.05.1982, AM & S Europe/Commissione,
155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere
minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di
precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la
pubblicità che deve essere data a tali condizioni.
38 Ne consegue che, alla luce delle loro caratteristiche oggettive,
i servizi di cui all’articolo
10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, non sono
comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della
direttiva medesima. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è altresì
senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore
dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere
tali servizi dall’ambito di applicazione di detta direttiva.
39 Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda i
servizi legali rientranti nelle attività che partecipano, anche
occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, di cui all’articolo
10, lettera d), v), della direttiva 2014/24, tali attività, e
pertanto tali servizi, sono escluse, ai sensi dell’articolo 51 TFUE,
dall’ambito di applicazione delle disposizioni di detto Trattato relative
alla libertà di stabilimento e di quelle relative alla libera prestazione di
servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE.
Siffatti servizi si distinguono da quelli che rientrano nell’ambito di
applicazione di tale direttiva poiché partecipano direttamente o
indirettamente all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno
ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre
collettività pubbliche.
40 Ne risulta che, per loro stessa natura, i servizi legali
connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono
comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi
inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Tenuto conto di
tale differenza oggettiva, è, ancora una volta, senza violare il principio
della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto,
nell’ambito del suo potere discrezionale, escluderli dall’ambito di
applicazione della direttiva 2014/24.
41 Pertanto, dall’esame delle disposizioni dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24
non è emerso alcun elemento che possa inficiare la loro validità alla luce
dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli
articoli 49 e 56 TFUE.
42 In relazione a quanto sopra esposto, occorre rispondere alla questione
sollevata dichiarando che dall’esame di quest’ultima non è
emerso alcun elemento che possa inficiare la validità delle disposizioni
dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24
alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché
degli articoli 49 e 56 TFUE.
Sulle spese
43 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
Dall’esame della questione non è emerso alcun elemento che
possa inficiare la validità delle disposizioni dell’articolo
10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti
pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, alla luce dei principi di
parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE
(Corte di Giustizia UE, Sez. V,
sentenza 06.06.2019 - C-264/18). |
marzo 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
legali: come assolvere l’obbligo di pubblicazione.
Domanda
Gli incarichi di patrocinio legale si pubblicano ancora
nella sezione consulenti e collaboratori, come prevede
l’art. 15 del d.lgs. 33/2013?
Risposta
L’articolo 15, del decreto Trasparenza (decreto legislativo
14.03.2013, n. 33), impone la pubblicazione degli incarichi
di consulenza e di collaborazione nella relativa
sottosezione del sito istituzionale. Le sanzioni per la
mancata pubblicazione sono piuttosto pesanti, comportando
una procedimentio disciplinare ed una sanzione pari
all’importo pagato dal dirigente/responsabile di servizio
che ha affidato l’incarico. L’Autorità Anticorruzione (ANAC)
si è espressa in merito alle pubblicazione degli incarichi
legali, con la Faq Trasparenza 6.6, emanata in vigenza del
vecchio codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006).
In sintesi, ritiene che i singoli incarichi di patrocinio
siano inquadrabili come consulenze e dunque da pubblicare
nella relativa sottosezione, mentre l’affidamento della
complessiva gestione del servizio di assistenza legale, ivi
inclusa la difesa giudiziale sia qualificabile come appalto
di servizi e, quindi, le relative informazioni siano da
pubblicare nella sottosezione “bandi di gara e contratti”,
secondo le disposizioni dell’art. 37, del d.lgs. 33/2013.
Detta posizione è coerente con la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, espressa nella sentenza n. 2730/2012,
nella quale si sostiene che la difesa in giudizio è
prestazione d’opera professionale e che la selezione
dell’avvocato, pur non soggiacendo all’obbligo di
espletamento di una procedura comparativa di stampo
concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione
amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e
adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione
della congruità della scelta fiduciaria posta in atto
rispetto al bisogno di difesa da appagare.
Nella Faq. 6.5, l’ANAC, considerata l’eterogeneità di detti
incarichi, rimette a ciascuna amministrazione
l’individuazione delle fattispecie non riconducibili alle
categorie degli incarichi di collaborazione e consulenza,
dandone adeguata motivazione.
Certo, qualificare un incarico di difesa in giudizio, quale
consulenza non è indolore in quanto sarà poi soggetti ai
limiti procedurali e di valore stabiliti per le stesse, come
interpretati dalla magistratura contabile (art. 3, comma 56,
legge 244/2007, art. 6, comma 7, d.l. 78/2010, art. 1, comma
173, della legge 266/2005).
Il nuovo codice dei contratti (d.lgs. 18.04.2016, n. 50), ha
portato nell’alveo degli appalti la rappresentanza legale di
un cliente da parte di un avvocato. L’articolo 17 è,
infatti, esplicito nel definire anche detta rappresentanza “appalto”,
pur escludendo l’applicazione del codice per le procedure di
affidamento, fermo restando i principi generali indicati
nell’articolo 4. Nella nozione europea, infatti, non vi è
distinzione tra appalto di servizi e prestazione d’opera,
come rinvenibile nella tradizione giuridica italiana normata
nel Codice civile.
Le linee guida ANAC n. 12, approvate con delibera n. 907 del
24.10.2018, in materia di affidamento di incarichi legali,
pur sottoponendo detti affidamenti ai principi di cui
all’articolo 4 Codice dei Contratti (affidamento servizi
esclusi), qualificano la rappresentanza legale come
contratto d’opera, sul solco del parere reso dal Consiglio
di Stato.
Di diverso avviso è, invece, la magistratura contabile, la
quale qualifica come appalto di servizi il patrocino legale
(Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna,
delibere n. 74-153/2017, 4-35-82-105-144/2018).
Nella citata deliberazione n. 144, interessante è quanto
affermato in ordine agli obblighi di trasparenza:
Questa sezione ritiene che il citato articolo, lì ove
riferisce l’obbligo genericamente agli “incarichi di
collaborazione o consulenza”, debba necessariamente
considerarsi riferito anche agli incarichi di patrocinio
legale affidati all’esterno; tale lettura trova un riscontro
da parte dell’ANAC, sia pure limitatamente a quanto espresso
in sede di FAQ in materia di trasparenza (FAQ 6.6). Ciò,
ovviamente precedentemente rispetto alla riconduzione degli
stessi, ad opera del codice dei contratti pubblici, agli
appalti di servizi, in quanto ora devono conseguentemente
essere pubblicati, ai sensi dell’art. 37 del codice d.lgs. n.33/2013,
nella sottosezione (di “Amministrazione trasparente”)
dedicata ai Bandi di gara e contratti.
Conclusivamente, si ritiene che, motivando adeguatamente,
anche con riferimento alla Faq 6.5 e alla menzionata
delibera n. 144, gli incarichi di patrocinio legale vadano
correttamente pubblicati nella sottosezione “Bandi di
gara e contratti”, a norma dell’articolo 29, del codice
dei contratti ora vigente, acquisendo il relativo Codice
Identificativo di Gara (CIG) (05.03.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
ottobre 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento
dei servizi legali senza deroghe ai parametri sui compensi degli avvocati.
La valutazione della componente economica non è il criterio fondamentale
nelle procedure di affidamento di attività legali per la gestione del
contenzioso, ma vanno rispettati dei parametri sui compensi degli avvocati.
L' Autorità nazionale anticorruzione analizza nelle
linee guida n. 12
(delibera 24.10.2018 n. 907) (si
veda anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 novembre) la
particolare problematica relativa alla gestione dell'analisi del prezzo
delle prestazioni professionali dei legali, assumendo a presupposto la
necessaria applicazione del principio di economicità ai percorsi selettivi
dei professionisti ai quali affidare la rappresentanza legale nel singolo
contenzioso giudiziale e stragiudiziale.
Congruità ed equità
L'Anac
evidenzia come il principio, esplicitato tra quelli che devono ispirare il
processo selettivo nell' articolo 4 del codice dei contratti pubblici,
imponga alle amministrazioni un uso ottimale delle risorse da impiegare
nello svolgimento della selezione ovvero nell'esecuzione del contratto, in
virtù del quale le stesse, prima dell' affidamento dell' incarico, sono
tenute ad accertare la congruità e l'equità del compenso.
Le linee guida
chiariscono che in considerazione della particolare natura dei servizi
legali e dell'importanza della qualità delle prestazioni, il risparmio di
spesa non è il criterio di guida nella scelta che deve compiere l'amministrazione, ma anche che il richiamo all'economicità implica la
necessità di tener conto dell' entità della spesa e di accertarne la
congruità.
La preferenza per la valutazione fondata su una pluralità di
elementi oltre alla componente economica si evince nelle indicazioni dell'Anac che sollecitano le amministrazioni a porre particolare attenzione ai
profili di competenza e di esperienza specifiche. In ordine alla definizione
del compenso, viene peraltro a essere evidenziato il necessario rispetto del
sistema di parametri stabilito per la professione forense dal Dm 55/2014,
recentemente attualizzato e integrato dal Dm 37/2018.
Preventivi a confronto
Le linee guida n. 12 forniscono anche altre alcune soluzioni operative per
la valutazione della congruità del compenso (e quindi delle proposte dei
singoli professionisti ricondotti alla procedura comparativa), che può
essere effettuata anche mediante un confronto con la spesa per precedenti
affidamenti, o con gli oneri riconosciuti da altre amministrazioni per
incarichi analoghi o con una valutazione comparativa di due o più
preventivi.
In quest'ultimo caso, trattandosi di servizi esclusi dall'
ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, l'amministrazione
può stabilire discrezionalmente il numero di preventivi da confrontare, più
confacente alle proprie esigenze, tenendo conto anche del valore economico
dell' affidamento
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa dell'08.11.2018). |
agosto 2018 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI:
Legali, niente incarichi fiduciari. Per la difesa in giudizio
della pubblica amministrazione. Il Consiglio di stato concorda con l’Anac
nell’escluderli dall’applicazione del Codice.
La pubblica amministrazione non può affidare ad
avvocati esterni incarichi per la difesa in giudizio per via fiduciaria.
La Commissione speciale del Consiglio di stato, espressasi con
parere 03.08.2018 n. 2017 sullo schema di Linee guida dell'Anac
per l'affidamento dei servizi legali (si veda ItaliaOggi del 07/08/2018)
elimina definitivamente ogni possibile dubbio sulla permanenza della
legittima possibilità delle amministrazioni di scegliere l'avvocato
fiduciariamente, anche quando il tipo di contratto che si stipula non è un
vero e proprio appalto, ma una prestazione d'opera intellettuale.
Palazzo Spada concorda con quanto evidenzia l'Anac in merito alla
circostanza che i servizi legali previsti dall'articolo 17, comma 1, lettera
d), del dlgs 50/2016 siano da considerare come contratti esclusi dal campo
di applicazione del codice, ma non estranei.
Dunque, tali affidamenti debbono rispettare i principi posti dall'articolo 4
del dlgs 50/2016. Il che, osserva la Commissione, impone «la
procedimentalizzazione nella scelta del professionista al quale affidare
l'incarico di rappresentanza in giudizio (o in vista di un giudizio)
dell'amministrazione, evitando scelte fiduciarie oppure motivate dalla
“chiara fama” (spesso non dimostrata) del professionista».
Dunque, occorre sempre e comunque una procedura selettiva, per quanto non
soggetta alle regole stringenti del codice, per individuare il legale.
Secondo il Consiglio di stato è opportuno che le amministrazioni selezionino
i professionisti preventivamente inseriti in uno specifico albo, utilizzando
almeno tre parametri: esperienza e competenza tecnica, pregressa e proficua
collaborazione con la stessa stazione appaltante per la stessa questione; e
anche il costo del servizio, smentendo i molti che ritengono non corretto o
impossibile considerare questo elemento.
Le amministrazioni non possono fare a meno di confrontare una short list
di avvocati sulla base di parametri che consentano una scelta che deve
comunque essere discrezionale, purché sorretta da una solida motivazione che
appunto i parametri selettivi consentono di elaborare in modo compiuto.
Secondo Palazzo Spada non deve mai essere consentita la scelta per
estrazione a sorte. Allo stesso modo, l'affidamento diretto per casi di
urgenza dovrebbe essere un'ipotesi solo astratta. Infatti, l'urgenza
potrebbe essere scongiurata se le amministrazioni dessero vita ad appalti di
servizio veri e propri, per una durata pluriennale (almeno 3 anni) a studi
professionali interdisciplinari: infatti, in questo caso l'appalto potrebbe
considerarsi «al bisogno» e quindi lo studio potrebbe essere attivato
immediatamente.
L'urgenza non può giustificare affidamenti diretti, senza quel minimo di
procedura necessaria ai sensi dell'articolo 4 del codice, a meno che non si
tratti di vertenze del tutto particolari, come per esempio quelle attinenti
a questioni sulle quali ancora non vi siano pronunce giurisprudenziali.
Il parere appare, però, poco persuasivo quando distingue la difesa in
giudizio in due tipologie contrattuali. Quella appunto della prestazione
d'opera intellettuale, che coincide con la previsione dell'articolo 17,
comma 1, lettera d); e quella dell'appalto vero e proprio, che comprende lo
svolgimento di una serie indefinita di difese in giudizio, oltre che
consulenze ed altri servizi indicati nell'allegato IX, per un tempo
definito, assegnandoli a società o comunque studi organizzati.
Oggettivamente, Palazzo Spada pare ancora incorrere nell'errore di ritenere
rilevanti nella disciplina degli appalti pubblici le differenze ricavabili
dal codice civile tra prestazione resa personalmente senza prevalenza di
mezzi e organizzazione (prestazione d'opera intellettuale) e appalto di
servizi, con organizzazione di impresa ed assunzione del rischio. La difesa
in giudizio, sia che venga resa personalmente, sia che sia organizzata da
uno studio, non ha visibilmente alcuna predisposizione di mezzi ed
assunzione dei rischi imprenditoriali propri dell'appalto come definito dal
codice civile.
Ma, questo, ai fini del codice dei contratti e delle direttive europee, è
totalmente irrilevante, visto che espressamente l'articolo 3, comma 1,
lettera p), del codice considera come «operatore economico» anche una
persona fisica alla sola condizione che, come qualsiasi avvocato, offra sul
mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la
prestazione di servizi (articolo
ItaliaOggi del 10.08.2018). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Servizi
legali con appalto se la prestazione è seriale. Parere del Consiglio di
stato sulle linee guida dell’Anac.
Servizi legali affidabili dalle amministrazioni con
appalto di servizi quando relativi ad attività non quantificabili nella loro
consistenza, ma riferibili a prestazioni continuative e «seriali». Ricorso
ai contratti d'opera professionali, ma con scelta da elenchi aperti e
pubblici, con criteri di selezione per l'iscrizione; limitato il ricorso
all'affidamento diretto dell'incarico professionale.
Sono queste alcune delle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato nel
parere 03.08.2018 n. 2017, positivo con osservazioni, sulle linee
guida per l'affidamento dei servizi legali predisposte dall'Anac.
Le linee guida, non vincolanti, emesse a seguito di una consultazione
afferiscono alla disciplina del codice dei contratti e in particolare agli
articoli artt. 4 e 17 e all'Allegato IX del codice dei contratti pubblici .
Esaminata questa disciplina il Consiglio di Stato distingue fra i servizi
legali cui si riferisce l'Allegato IX, relativi ad attività (anche rese da
avvocati iscritti all'albo ai sensi dell'art. 2, comma 6, l. 247 del 2012)
che sono, però, connotate dallo svolgimento in forma organizzata,
continuativa» peraltro «non esattamente quantificabili nella loro
consistenza al momento dell'assunzione dell'incarico».
Per queste attività si ricorre all'appalto di servizi con procedure
semplificate e criteri di selezione «non eccessivamente restrittivi per
evitare di escludere gli studi associati di più recente formazione (e nei
quali, dunque, siano presenti professionisti più giovani)». In sede di
scelta si dovranno favorire gli «studi che trattano più materie, così da
garantire all'amministrazione il ragionevole affidamento di trovare nei
professionisti incaricati competenze idonee per qualsiasi tipo di
contenzioso dovesse insorgere nel periodo di vigenza dell'affidamento».
Si dovrà utilizzare il criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto
qualità-prezzo, anche in relazione ai contratti di valore inferiore ai
40.000 euro.
Per il Consiglio di stato le amministrazioni che decidono di ricorrere al
contratto di appalto dei servizi legali devono procedere «all'affidamento
dell'intero contenzioso di loro interesse per una durata predeterminata (che
potrebbe essere, ad esempio, triennale) a professionisti che, nelle forme
attualmente consentite dall'ordinamento, siano in grado di assicurare, per
le plurime competenze di cui dispongono, una complessiva attività di
consulenza legale».
Viceversa se si è in presenza di una prestazione di un servizio con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente espletata secondo un incarico non continuativo o periodico, ma
puntuale ed episodico, destinato a soddisfare un singolo bisogno
manifestatosi (la difesa e rappresentanza in una singola causa per esempio)
si «rientra a pieno titolo nella qualificazione di cui all'art. 2222 c.c.».
In questi casi il rispetto dei principi generali impone però la
procedimentalizzazione nella scelta del professionista «evitando scelte
fiduciarie ovvero motivate dalla chiara fama (spesso non dimostrata) del
professionista». Occorre quindi predisporre un elenco ristretto di
professionisti o studi legali perché «sarebbe oneroso e complesso da
gestire per l'amministrazione in contrasto con i principi di efficacia e
economicità dell'azione amministrativa».
L'elenco, pubblicato sul sito istituzionale, deve essere sempre aperto e
suscettibile di integrazione e modificazione, nonché accompagnato da brevi
schede che riassumano la storia professionale dell'aspirante affidatario
(articolo
ItaliaOggi del 07.08.2018). |
giugno 2018 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI
COMUNALI: Per
il Comune, soggetto legittimato a stare in giudizio, ai
sensi dell'art. 75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50
del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale,
cosicché tale ultimo organo, anche laddove abbia, per
statuto, il potere di autorizzare il Sindaco alla
proposizione di azioni in giudizio, è privo del potere di
nomina del difensore, il quale, seppure designato mediante
delibera di giunta, deve nuovamente essere nominato, con
conferimento di apposita procura alle liti, dal Sindaco.
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna,
ha natura meramente gestionale e tecnica.
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Costituisce orientamento consolidato di questo giudice di
legittimità quello secondo il quale, alla luce dei principi
generali in tema di procura alle liti (artt. 83 e 365 c.p.c.)
e di mandato (art. 1716 c.c., disciplinante l'ipotesi di
pluralità di mandatari), ove il mandato alle liti venga
conferito a più difensori, si presume che esso sia conferito
disgiuntamente a ciascuno di essi, salvo inequivoca
manifestazione di volontà della parte in favore del
carattere congiuntivo del mandato, con la conseguenza che
ciascuno dei difensori, in difetto di un'espressa ed
inequivoca volontà della parte circa il carattere
congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha
pieni poteri di rappresentanza processuale (Cass. 1168/2004;
Cass. 13252/2006).
Ne deriva che non integra gli estremi della fattispecie
normativa di cui all'art. 301 cod. proc. civ. (interruzione
del processo per morte del procuratore) il decesso di uno
solo dei due difensori muniti di mandato dal quale non
risulti, espressamente, l'obbligo di agire congiuntamente,
tanto che è stata ritenuta (Cass. 8189/1997; Cass.
8931/2000; Cass. 15293/2002) irrilevante la mancanza,
nell'atto predetto, della espressione "anche
disgiuntamente", la cui assenza non consente di ritenere
escluso il potere di rappresentanza disgiunta in capo a
ciascuno dei procuratori della parte.
Nella specie, nella procura alle liti allegata a margine
dell'atto di appello era pacificamente apposta la clausola "con
poteri anche disgiunti".
Ora, a fronte di ciò, il ricorrente invoca una deliberazione
della Giunta comunale, con la quale, sulla base di specifica
disposizione statutaria, sarebbe stato autorizzato il
Sindaco a resistere in giudizio ed a proporre appello,
conferendo mandato congiunto ai difensori.
Tuttavia, questa Corte ha chiarito che, per il Comune,
soggetto legittimato a stare in giudizio, ai sensi dell'art.
75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50 del d.lgs.
18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale, cosicché tale
ultimo organo, anche laddove abbia, per statuto, il potere
di autorizzare il Sindaco alla proposizione di azioni in
giudizio, è privo del potere di nomina del difensore, il
quale, seppure designato mediante delibera di giunta, deve
nuovamente essere nominato, con conferimento di apposita
procura alle liti, dal Sindaco (Cass. 18062/2010).
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna,
ha natura meramente gestionale e tecnica (Cass. 11516/2007;
Cass. 5802/2016).
Ne consegue che assume rilievo la sola procura alle liti
conferita dal Sindaco, a margine dell'atto di appello, con
poteri disgiunti ai due difensori, Avv.ti Ma. ed As., non
anche la delibera della Giunta del 2001, con la quale,
secondo quanto ritrascritto in ricorso, venivano incaricati
"in maniera congiunta" i due avvocati ad "opporsi
alla sentenza" di primo grado (Corte di Cassazione, Sez.
I civile,
sentenza 21.06.2018 n. 16459). |
maggio 2018 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI: Il
rimborso spese è automatico. Stampe, fotocopie e cancelleria: difensore
ristorato. AVVOCATI/ La Corte di cassazione si pronuncia sulle spettanze
previste dalla legge.
Il rimborso forfettario delle spese generali (nella
specie ai sensi dell'art. 1, comma 2, del dm n. 140 del 2012) compete
automaticamente al difensore anche in assenza di allegazione specifica e di
apposita istanza. Quest'ultima deve ritenersi implicita nella domanda di
condanna al pagamento degli onorari giudiziali che grava sulla parte
soccombente.
È
con l'ordinanza 30.05.2018, n. 13693
che la Corte di Cassazione, Sez. I civile, si pronuncia sulla
spettanza automatica del rimborso forfettario delle spese generali di
giustizia di competenza dei legali. Le spese generali sono riconosciute
all'avvocato per legge.
I giudici di Cassazione ricordano che l'articolo 13,
comma 10, della legge numero 147/2012, stabilisce che «oltre al compenso per
la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso
di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale,
oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri
e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma
per il rimborso delle spese forfetarie».
La previsione legale del rimborso forfettario del 15% comporta, quindi, il diritto ad ottenere tale somma
anche a prescindere da un'esplicita indicazione delle stesse in sentenza.
Quando si parla di spese generali i giudici fanno riferimento ad esempio,
alle numerose stampe e fotocopie effettuate dal legale per partecipare ai
processi, alle spese di cancelleria, a quelle per reperire il materiale per
studiare la questione giuridica e così via.
La mancata liquidazione in
favore dell'avvocato della parte vittoriosa delle somme dovute per spese
generali costituisce un errore materiale della sentenza, che può essere
corretto con il procedimento di cui agli articoli 287 e seguenti cod. proc.
civ., in quanto l'omissione riguarda una statuizione di natura accessoria e
a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera
operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e
parametri oggettivi (articolo
ItaliaOggi del 30.08.2018).
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MASSIMA
8. Il quinto motivo, infine, che censura la condanna alle spese
inflitta al Veronese dal Tribunale di Bolzano e la sua quantificazione, è
infondato.
8.1. Il giudice di merito, nell'applicare il principio di soccombenza
-certamente non incorrendo, per ciò solo, nel vizio di violazione di legge (cfr.,
ex plurimis, Cass. n. 19613 del 2017; Cass. n. 8421 del 2017; Cass.
n. 14349 del 2012; Cass. nn. 17145 e 25270 del 2009)- ha liquidato le spese
giudiziali «...secondo i criteri di cui al d.m. 20.07.2012, n. 140, preso
come riferimento lo scaglione da € 100.000,01 a € 500.000,00 ed applicati i
valori medi di liquidazione, con riduzione del 50% dei soli valori medi
della fase decisoria, in considerazione della ridotta attività processuale
espletata nella detta fase (partecipazione ad un'unica udienza di
discussione senza redazione di memorie conclusionali)» (cfr. pag. 11 del
decreto impugnato).
8.2. Il ricorrente assume che tale decisione violerebbe «platealmente»
il complesso normativo desumibile dal d.m. n. 140 del 2012: «in primo
luogo, perché la quantificazione dei compensi ... avrebbe dovuto essere, a
norma di legge, inferiore, ed in secondo luogo perché non avrebbe potuto
comunque pronunciarsi la condanna anche al rimborso forfettario pari al
12,5%» (cfr. 48 del ricorso).
8.2.1. Quest'ultima doglianza è infondata atteso che l'art. 1, comma 2, del
d.m. predetto (oggi sostituito dal d.m. n. 55 del 2014, ma qui applicabile
ratione temporis), prevede[va] che «nei compensi non sono comprese
le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella
concordata in modo forfettario».
Posta, allora,
la diversità tipologica e concettuale chiaramente esistente tra
compenso spettante al difensore e spese dal medesimo sostenute
nell'espletamento dell'attività professionale svolta per il cliente, giova
solo ricordare, da un lato, che le spese cd. generali (o forfetarie)
sono quelle di norma sostenute durante una causa, la cui dimostrazione è
difficile oppure oltremodo gravosa, sicché il loro rimborso è dovuto anche
senza la prova del relativo sostenimento; dall'altro, che costituisce
principio consolidato quello secondo il quale il rimborso cd. forfetario
delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, la
cui misura è predeterminata dalla legge, che spetta automaticamente al
professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di
apposita istanza, dovendosi quest'ultima ritenere implicita nella domanda di
condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte
soccombente (cfr. Cass. 15818 del
2013, in motivazione; Cass. n. 4209 del 2010). |
gennaio 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarico legale senza impegno di spesa.
La regola contabile generale, validata
anche per gli enti locali, prevede che in mancanza del
preventivo impegno di spesa, nonché della corrispondente
copertura finanziaria, eventuali affidamenti di incarichi in
violazione di questi principi sono da considerarsi nulli.
Tuttavia, il principio contabile non può essere esteso agli
affidamenti degli incarichi legali, sia perché è incerta
l'incidenza del relativo onere economico, condizionato alla
soccombenza, e sia perché, nel bilancio dell'ente, è di
norma presente una voce generale nella quale possono essere
inserite le prevedibili spese di lite,
principi questi stabiliti dalla Corte di Cassazione, Sez.
III civile, nella
sentenza 25.01.2018
n. 1830.
Inoltre, applicando questi principi alla contabilità
armonizzata, se ne deduce che la mancata copertura
finanziaria, una volta affidata la difesa dell'ente ad un
avvocato del libero foro, la spesa non potrà essere
qualificata quale debito fuori bilancio ma, in mancanza di
un prudente stanziamento in bilancio nel fondo rischi, in
caso di soccombenza, emergerà una passività pregressa da
coprire finanziariamente e contabilmente nell'esercizio in
cui si sia verificata la soccombenza per l'ente (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.01.2018).
---------------
MASSIMA
2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente
in quanto tra loro collegati, sono fondati.
La Corte d'appello di Napoli ha revocato il decreto
ingiuntivo emesso in favore dell'Avv. St. reputando che la
procura speciale ex art. 83 cod. proc. civ. rilasciata al
predetto procuratore per patrocinare il Comune nel giudizio
arbitrale non fosse sufficiente a costituire validamente il
vincolo contrattuale in forma scritta difettando:
- la formazione della volontà negoziale in un unico documento («lo
scambio del mandato (proposta) e della sottoscrizione
dell'atto difensivo (accettazione), non risulta rispettoso
degli artt. 16 e 17 del r.d. del 1923 che impongono, non
solo la forma scritta, ma anche la formazione della volontà
negoziale nell'ambito di un unico documento. ... La
formazione con atto separato, quindi, esclude che il
professionista possa accettare separatamente l'incarico
oggetto di delibera»);
- il «contenuto minimo del contratto formale della pubblica
amministrazione» («La ratio del divieto del contratto
a distanza tra p.a. e privato ... non risiede nella
impossibilità di scambiarsi proposta ed accettazione, ma
nella necessità che le condizioni contrattuali siano
espressamente regolate (oggetto dell'incarico, compenso,
motivi di risoluzione, durata, ecc.). Il riferimento
giurisprudenziale al "documento" non va inteso nella
materialità cartacea del documento (che nella specie
contiene sia la procura sia l'atto sottoscritto), ma con
riferimento alla forma-contenuto dell'atto negoziale»)
e, in particolare, il corrispettivo stabilito per il
professionista («non può neppure sostenersi che,
relativamente alla statuizione delle spettanze
dell'avvocato, per relationem si applicavano, tacitamente,
le tariffe legali sussistenti all'epoca, perché tali tariffe
erano, e sono, in vigore per tutte le professioni
intellettuali e tale circostanza non ha mai portato la
giurisprudenza della Corte di cassazione a sostenere che il
disciplinare di incarico, per questa ragione, fosse
superfluo»);
- il preventivo impegno di spesa da parte dell'Ente («La
obbligazione di pagamento pretesa con il decreto ingiuntivo
del professionista risulta invalida perché non assistita dal
correlativo impegno di spesa richiesto, non solo dalle norme
generali in tema di contabilità di Stato, ma anche dalle
norme sugli enti locali ... La circostanza che sia stato
nella delibera di incarico previsto un impegno di spesa a
titolo di acconto ... non soddisfa minimamente il requisito
previsto dalle norme, che presuppongono, al contrario,
l'intera prestazione contrattuale pretesa sia stata
contemplata ed assistito dalla copertura finanziaria. ... è
la previsione del costo del proprio legale che può e deve
essere oggetto di una previsione iniziale che, come avviene
per appalti servizi, potrà poi avere una successiva
variazione di costo, se giustificata. Non sembra, peraltro,
che le norme in materia di contabilità consentano eccezioni
con riferimento alla figura specifica del legale e che si
possa affidare un incarico a quest'ultimo in assenza di
attestazione di copertura finanziaria»).
La Corte di merito si pone in consapevole contrasto con un
consolidato orientamento della giurisprudenza di
legittimità, al quale il Collegio intende dare continuità
non sussistendo valide argomentazioni per discostarsene.
Infatti, questa Corte ha già più volte statuito che «in
tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A.,
il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con
il rilascio al difensore della procura ai sensi dell'art. 83
cod. proc. civ., atteso che l'esercizio della rappresentanza
giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione
dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di
volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma
scritta, rendendo così possibile l'identificazione del
contenuto negoziale e i controlli dell'Autorità tutoria»
(Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 2266 del 16/02/2012, Rv.
621776-01; nello stesso senso, Cass., Sez. 2, Sentenza n.
8500 del 05/05/2004, Rv. 572611-01, Cass., Sez. 2, Sentenza
n. 13963 del 16/06/2006, Rv. 592970-01, e Cass., Sez. 2,
Sentenza n. 10707 del 15/05/2014, non nnassimata; sulla
idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta della
procura generale alle liti purché individui l'ambito delle
controversie per cui opera, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n.
3721 del 24/02/2015, Rv. 634430-01, Cass., Sez. 6-3,
Sentenza n. 15454 del 22/07/2015, Rv. 636092-01, Cass., Sez.
6-2, Ordinanza n. 4562 del 08/03/2016, non massimata, Cass.,
Sez. 6-2, Ordinanza n. 4563 del 08/03/2016, non massimata,
Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 5805 del 23/03/2016, non
massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 15648 del
27/07/2016, non massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n.
15649 del 27/07/2016, non massimata).
Contrariamente alle asserzioni della Corte territoriale,
l'unicità del documento negoziale (requisito preteso
dalla giurisprudenza citata nella pronuncia impugnata) è
costituita dalla procura e dall'atto difensivo, che
individua in forma scritta il contenuto essenziale
dell'accordo (volontà delle parti, oggetto dell'incarico),
peraltro integrato ex art. 1374 cod. civ. dalle allora
vigenti (e inderogabili) tariffe professionali del d.m.
05.10.1994, n. 585
(corretta è, peraltro, l'osservazione del ricorrente secondo
cui gli altri professionisti intellettuali, pur vincolati da
tariffe predeterminate da atto normativo, non ricevono un
mandato ad litem con le caratteristiche formali e
sostanziali degli avvocati).
Quanto ai richiamati principi di
contabilità pubblica, «è evidente che la nullità prevista
per la mancata previsione della spesa e della sua copertura
non concerne anche le deliberazioni relative alla
partecipazione degli Enti a controversie giudiziarie, sia
perché è incerta l'incidenza del relativo onere economico,
condizionato alla soccombenza, e sia perché, nel bilancio
dell'Ente, è di norma presente una voce generale nella quale
possono essere inserite le prevedibili spese di lite»
(Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13963 del 16/06/2006, in
motivazione; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8646 del 12/02/1993,
in motivazione); inoltre, «il
riferimento alle vigenti tariffe professionali, la cui
applicabilità, in assenza di uno specifico accordo tra le
parti, è di per sé sufficiente ad escludere l'incertezza in
ordine alla controprestazione dovuta dalla Amministrazione,
quantificabile soltanto in via approssimativa al momento
della stipulazione del contratto, in quanto correlata al
compimento degli atti difensivi resi necessari
dall'evoluzione del giudizio, e proprio per tale motivo
idonea a giustificare la previsione della copertura
finanziaria mediante generica imputazione al capitolo di
bilancio riguardante le spese processuali»
(Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24859 del 09/12/2015, in
motivazione).
3. In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con
rinvio alla Corte d'appello di Napoli in diversa
composizione, la quale esaminerà la fattispecie alla luce
delle indicazioni fornite da questa Corte (Corte di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza
25.01.2018 n. 1830). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Affidamento incarichi legali.
Domanda
Nell’ente (una pubblica amministrazione) ci si è posti il
problema di come procedere con l’affidamento degli incarichi
legali relativamente alla difesa in giudizio.
Alla luce delle varie posizioni –dell’ANAC e della
giurisprudenza– circa la possibilità degli incarichi
fiduciari, della configurazione in termini di appalti (che
emerge dal codice dei contratti) o della possibilità di
costituire degli elenchi, si chiede cortesemente quale possa
essere il procedimento corretto che gli uffici devono
seguire.
Risposta
Il quesito, effettivamente, presenta estrema attualità e
delicatezza ed a tal proposito si preferisce fornire un
duplice riscontro, in questa prima parte si affronta la
tematica in generale nella seconda parte ci si soffermerà
sulla costituzione dell’elenco/albo dei legali tenendo conto
delle indicazioni fornite dall’ANAC, nelle linee guida
ancora non definitive –ma utilissimi al RUP– e della
giurisprudenza.
L’affidamento dell’incarico legale, secondo anche le
indicazioni dell’ANAC e delle delibere di controllo della
Corte dei Conti, può avvenire con la scelta dei soggetti
direttamente da albi predisposti dalla stazione appaltante.
La pratica operativa di costituire ed attingere dall’albo di
professionisti costituisce, anzi, una modalità virtuosa del
RUP di gestire il procedimento di affidamento (e non solo
per gli appalti del servizio legale ma per ogni procedimento
di acquisto soprattutto nell’ambito sotto soglia
comunitaria).
Pertanto deve ritenersi non solo facoltativa ma doverosa per
assicurare imparzialità ed oggettività nell’assegnazione
degli appalti.
A tal proposito si legge nello schema di linee guida dell’ANAC
sui servizi legali (non ancora formalizzato) che “Anche
per l’affidamento dei servizi legali di cui all’art. 17 del
Codice (così come per i contratti sotto soglia di cui
all’art. 36, comma 2), gli operatori economici a cui
richiedere preventivi per una valutazione comparativa
possono essere selezionati da elenchi previamente costituiti
dall’amministrazione”.
È bene da subito evidenziare che l’albo/elenco non è una
graduatoria ma, appunto, una sorta di “catalogo” da
cui il RUP deve attingere per avviare una micro–competizione
o, in specifiche ipotesi, avviare l’affidamento diretto.
La Corte dei Conti ha avuto modo di evidenziare (nella
delibera della sezione regionale Emilia Romagna, n.
129/2017) che dall’albo i professionisti possono essere
selezionati “su una base non discriminatoria”, a
presentare offerte.
Quanto, deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione
della “rosa” dei soggetti selezionati,
dell’importanza della causa e del compenso prevedibile.
In tema di deroga ai principi appena richiamati è
interessante riportare proprio la riflessione della Corte
dei Conti, nella delibera appena citata.
Nella deliberazione si legge che “l’affidamento diretto
di incarichi professionali esterni si pone in contrasto con
la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude
la possibilità di effettuare l’affidamento in via
fiduciaria. La mancanza di una procedura comparativa,
infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e
concorrenza“.
La riflessione è comune alle varie sezioni che rammentano,
oramai, che l’incarico dei servizi legali –con il nuovo
codice degli appalti– è sicuramente un appalto che, per ciò
stesso, impone il rispetto delle disposizioni classiche
delle procedure (sia pur, in questo caso, con delle
semplificazioni).
Le semplificazioni, in ogni caso, non possono giungere a
violare palesemente la necessità di oggettività
nell’affidamento (si rammenta che deve essere sicuramente
abbandonata la prassi di affidare gli incarichi intuitu
personae con delibera giuntale).
La sezione, in ogni caso, non esclude che insistano
effettivamente delle ragioni di urgenza che non rendano
praticabile una “competizione/confronto” tra i
soggetti iscritti all’albo ed in questo caso ammette
l’affidamento diretto.
Sul punto nella deliberazione citata –ma anche in questo
caso si tratta di una affermazione consueta– qualora vi
siano ragioni di urgenza, motivate “e non derivanti da
un’inerzia dell’Ente conferente, tali da non consentire
l’espletamento di una procedura comparativa, le
amministrazioni possono prevedere che si proceda
all’affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente
motivato, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano
stati istituiti elenchi di operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi)”.
La giurisprudenza amministrativa
La recente sent. n. 334 del 06.02.2017, il TAR
Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l’affidamento di un
appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei
contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere
assicurata la massima partecipazione mediante una procedura
di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi
diritto di partecipare, in condizioni di parità e
uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente.
Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo,
inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse
pubbliche che rappresenta l’obiettivo del pubblico
dipendente.
Naturalmente occorre affrontare anche la questione del
criterio di aggiudicazione ed il criterio del minor prezzo
ha un ambito di utilizzo fortemente limitato (questo in
generale anche da quanto emerge dalla disposizioni del
codice dei contratti).
Nel documento dell’ANAC si legge che riguardo al criterio di
aggiudicazione, i servizi legali non rientrano nelle
fattispecie individuate dall’art. 95, comma 4, del Codice
per le quali è consentito l’utilizzo del criterio del minor
prezzo.
Però, trattandosi di servizi di natura intellettuale per
essi è espressamente previsto dall’art. 95, comma 3, lett.
b), del codice l’obbligo di utilizzo del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata
sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo nel caso di
servizi di importo pari o superiore a 40.000.
In definitiva, il criterio del minor prezzo può essere
utilizzato solo per gli affidamenti di contratti di importo
inferiore a 40.000 euro.
L’ANAC comunque suggerisce che proprio la natura dei servizi
in questione e l’importanza degli interessi alla cui tutela
è preposta l’attività difensiva l’utilizzo anche per gli
affidamenti di minor valore, del multi criterio che consente
di selezionare il professionista cui affidare l’espletamento
dei servizi legali richiesti attraverso sub-criteri tali in
grado di valorizzare la qualità del legale sulla base di
credenziali di esperienza e di competenza.
I criteri di valutazione delle offerte
I criteri di valutazione delle offerte all’uopo utilizzabili
–nella competizione avviata attingendo i nominativi
dall’albo– possono riguardare:
a) la professionalità e adeguatezza dell’offerta desunta dal numero
di servizi svolti dal concorrente affini a quelli oggetto
dell’affidamento;
b) le caratteristiche metodologiche dell’offerta desunte
dall’illustrazione delle modalità di svolgimento delle
prestazioni oggetto dell’incarico;
c) il ribasso percentuale unico indicato nell’offerta economica. E’
molto importante rilevare –circa il valore (il punteggio) da
attribuire al ribasso- che la giurisprudenza ha configurato
come illegittimo il comportamento della stazione appaltante
(invero del RUP) che individua criteri/sub-criteri che
annullano la rilevanza del prezzo. I punti da assegnare
all’offerta economica devono essere contingentati
nell’ambito dei 30 punti come ora –per effetto del decreto
legislativo correttivo– dispone l’articolo 95, comma 10 -bis
(in questo senso il Consiglio di Stato, sez. V, con la
sentenza del 21.08.2017 n. 4044);
d) i titoli accademici o professionali attinenti alla materia
oggetto del servizio legale oggetto di affidamento.
I sub-criteri
Con riferimento ai sub-criteri e sub-pesi sulla base dei
quali la commissione giudicatrice dovrà valutare la migliore
offerta, a titolo meramente esemplificativo, il RUP può
considerare che:
– per il criterio di valutazione relativo alla professionalità e
adeguatezza dell’offerta può farsi riferimento al numero e
al valore economico degli incarichi pregressi assunti dal
concorrente;
– per il criterio di valutazione relativo alle caratteristiche
metodologiche dell’offerta può farsi riferimento a proposte
di miglioramento e di innovazione dei servizi offerti
rispetto a quelli descritti nella documentazione di gara.
A ciascun criterio di valutazione debbano essere attribuiti,
nei documenti di gara, i fattori ponderali secondo un
principio di proporzionalità e adeguatezza e nel rispetto di
quanto stabilito dall’art. 95, comma 8, del codice
Per assicurare la qualità della prestazione, i fattori
ponderali, per ciascun criterio, devono mantenersi
all’interno di parametri da determinarsi anche avendo
riguardo al tipo di formula prescelta.
Altre indicazioni dell’Autorità anticorruzione
Resta fermo che, qualora le esigenze del mercato
suggeriscano di assicurare un maggiore confronto
concorrenziale, anche per gli appalti “esclusi” le
stazioni appaltanti, nell’esercizio della propria
discrezionalità, possono ricorrere alle procedure ordinarie
previste per gli appalti sopra soglia o a quelle
semplificate per gli appalti sotto soglia.
Il rispetto dei suddetti principi informatori aiuta a
garantire un uso efficiente del denaro pubblico e a
prevenire corruzione e favoritismi (17.01.2018 - link
a www.publika.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Il singolo incarico di patrocinio legale va inquadrato come
appalto di servizi.
A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs..
---------------
A partire dalla
deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione
regionale di controllo per la Basilicata, la giurisprudenza
di questa Corte si era progressivamente consolidata nel
considerare il singolo incarico di patrocinio legale come
non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto
d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice
civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già riteneva che
detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile
direttamente agli incarichi professionali esterni
disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti, del d.lgs. n.
165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per
legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi
facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse
comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo
essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta
a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di
consentire il rispetto dei principi di imparzialità e
trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in
sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale
della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario
2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del
15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi
aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere,
tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il
19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di
patrocinio legale appare dover essere inquadrato come
appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui
all’art. 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti
di appalto e concessione di servizi”), che considera
come contratto escluso la rappresentanza legale di un
cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento
giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di
come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione
europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più
ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In
ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del
citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve
avvenire nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento,
proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina
dei principi summenzionati, conferma l’orientamento
consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di
considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come
connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice
dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare
una ricognizione interna finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale incardinato
nell’ufficio legale, ove istituito, a svolgere l’incarico
(così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione
n. 66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR
Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l'affidamento di un
appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei
contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere
assicurata la massima partecipazione mediante una procedura
di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi
diritto di partecipare, in condizioni di parità e
uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente.
Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo,
inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse
pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP ha evidenziato, operando una
specificazione condivisa da questa Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni
possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei
contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione,
ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati,
mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di
adeguata pubblicità, dal quale selezionare, su una base non
discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a
presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione
della “rosa” dei soggetti selezionati,
dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È
altresì utile precisare che detti elenchi di operatori
qualificati possono essere articolati in diversi settori di
competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un
numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non
derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non
consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le
amministrazioni possono prevedere che si proceda
all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente
motivato, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano
stati istituiti elenchi di operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il
nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito
dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra
enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre
all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale,
fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che
tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o
modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio
legale” (C. conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza
amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di
servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel
patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si
configuri come modalità organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più complesso e
articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale
ma in essa non si esaurisca” (ex multis, TAR
Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato, la distinzione tra
affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto
di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui
all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica
amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere
presente che è tuttora possibile affidare a un legale un
incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 e
seg., del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad
oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un
parere legale.
A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli
incarichi professionali esterni individuati da questa
giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al
conferimento degli incarichi professionali esterni, si
rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di
spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e
ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità
e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari
2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia
Romagna”, di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Infine, si ricorda come il d.lgs. 14.03.2013, n. 33 recante
“Riordino della disciplina riguardante il diritto di
accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni”, all’art. 15 (“Obblighi di
pubblicazione concernenti i titolari di incarichi di
collaborazione o consulenza”), comma 4, abbia stabilito
per i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza
che i dati di cui al comma 1, i relativi atti di
conferimento (questi ultimi completi di indicazione dei
soggetti percettori, della ragione dell’incarico e
dell’ammontare erogato), nonché l’afferente comunicazione
alla Presidenza del consiglio dei Ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, debbano essere pubblicati entro tre
mesi dall’attribuzione dell’incarico e per i tre anni
successivi alla cessazione dello stesso.
Tanto premesso, si segnalano i seguenti
specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame
delle risposte fornite e dai dati relativi agli incarichi
affidati all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di
consulenza legale in un atto di programmazione
L’Ente non ha inserito in alcun atto di
programmazione gli incarichi di patrocinio e di consulenza
legale che prevedibilmente sarebbero stati conferiti
nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
La relativa inclusione sarebbe stata rispondente a un
criterio di buon andamento e di corretta gestione delle
risorse pubbliche, anche per agevolare una stima appropriata
delle consequenziali coperture finanziarie.
Ricorso all’affidamento diretto fino al 2015
L’attribuzione diretta, fino al 2015, di
incarichi professionali esterni, si pone in contrasto con la
giurisprudenza consolidata di questa Corte che esclude la
possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria,
giurisprudenza oggi avvalorata dalle richiamate novità
normative di cui al d.lgs. n. 50/2016.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i
principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
Mancanza di uno specifico disciplinare che regola
l’affidamento degli incarichi legali - omessa
formalizzazione dell’accertamento sull’impossibilità di
svolgere il patrocinio all’interno dell’Ente
L’Ausl ha predisposto, nel 2016, un elenco di avvocati
esterni formato sulla base di avviso pubblico, avendo
inoltre adottato, nel 2013, un atto che definisce i criteri
per la determinazione delle tariffe da riconoscere per le
prestazioni effettuate. Peraltro, non risulta uno specifico
disciplinare che regolamenti l’attribuzione degli incarichi
legali tra gli avvocati esterni selezionati ed, in
particolare, che garantisca il doveroso rispetto del
criterio di rotazione nell’affidamento dei patrocini.
A riprova dell’inefficacia del sistema predisposto che negli
effetti non si discosta dal previo metodo di affidamento
diretto, ad esito di interrogazione effettuata sul sito
dell’Ente si rileva che nel 2017 sono stati affidati al
medesimo legale 12 patrocini su 16 totali attribuiti ad
avvocati esterni. Si tratta, peraltro, dello stesso
professionista cui, nel 2015, venivano conferiti
direttamente 9 patrocini legali su 10.
Al contrario, se pur è ammissibile la
predisposizione di un sistema di qualificazione, ovvero “la
redazione di un elenco di operatori qualificati mediante una
procedura trasparente e aperta oggetto di adeguata
pubblicità”
(cfr. deliberato Anac richiamato), è
altrettanto vero che l’applicazione di una rotazione, quanto
meno minima, tra i richiamati operatori qualificati e
pertanto del tutto idonei al compito da affidare,
rappresenta un’imprescindibile esigenza di salvaguardia dei
principi di non discriminazione, concorrenzialità e buon
andamento dell’azione amministrativa.
L’anomalia segnalata è da correggere ed assume particolare
rilievo alla luce del pregresso storico dell’Ente che
nell’annualità oggetto di esame, ovvero il 2015, ha
attribuito direttamente patrocini legali quasi sempre allo
stesso professionista, precostituendogli
pertanto, di fatto, un indebito vantaggio competitivo visto
che tra i requisiti di ammissione alla procedura per
l’iscrizione all’elenco è richiesta l’assunzione di un certo
numero incarichi difensivi per enti sanitari.
Inoltre, per i due conferimenti esterni di
patrocinio specificamente esaminati, non risulta
formalizzato il previo accertamento dell’impossibilità di
svolgere l’incarico all’interno dell’Ente.
In proposito si sottolinea che una
normativa finalizzata a disciplinare la materia dovrebbe,
tra l’altro, prevedere che l’affidamento degli incarichi di
patrocinio avvenga, in via preferenziale, in favore degli
avvocati interni all’Ente. Essa dovrebbe, inoltre,
procedimentalizzare l’accertamento, preliminare rispetto
all’affidamento di ciascun incarico, dell’effettiva
impossibilità, per i legali dipendenti dall’Ente, di
assumere il patrocinio.
In mancanza di una disciplina specifica
sarebbe stato comunque onere dell’Ausl dare riscontro
formale del previo accertamento dell’impossibilità, da parte
dei componenti dell’ufficio legale, a svolgere gli
incarichi, allo scopo di evitare una possibile spesa inutile
e, pertanto, un conseguente danno all’erario.
Un accertamento di tale tipo sarebbe da considerarsi
presupposto necessario per l’affidamento legittimo anche
qualora si considerasse la scelta del libero professionista
come a carattere fiduciario, ed è indispensabile anche alla
luce della nuova configurazione di tali incarichi come
appalti di servizi.
Tutela dei principi di imparzialità, parità di
trattamento e trasparenza ex art. 4 del d.lgs. n. 50/2016
Anac declina i principi di cui all’art. 4 del Codice dei
contratti pubblici precisando che “l’effetto
restrittivo della concorrenza derivante dalla limitazione
temporale della presentazione delle istanze [di ammissione
all’Elenco dei legali dell’Ente] dovrebbe essere
contemperato dalla riduzione del termine di validità
dell’iscrizione, che potrebbe essere portata a un anno, in
modo da rendere più frequenti le finestre temporali entro le
quali i soggetti qualificati possono manifestare l’interesse
all’iscrizione nell’elenco (60 giorni ogni anno e non 60
giorni ogni tre anni)”
(Anac,
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP).
In conformità l’Ausl non si è avvalsa della facoltà di
proroga per un massimo di due anni prevista nell’avviso
pubblico di cui alla deliberazione n. 138 del 01.06.2016.
In proposito, peraltro, la Sezione rimarca la necessità di
attenersi ai criteri operativi richiamati, espungendo dal
nuovo avviso, in fase di approvazione, la facoltà
dell’Azienda di prorogare, per un massimo di 24 mesi, la
durata di validità dell’Elenco, altresì stabilendo un
termine non inferiore a 60 giorni per la presentazione delle
relative domande di ammissione.
Contraddittorietà della clausola del modello di contratto
approvato nel 2013 dal Collegio Tecnico AVEC con il
requisito della comprovata esperienza richiesta nella
deliberazione n. 138/2016 recante “Avviso pubblico
inerente la formazione di un elenco di avvocati per
l’affidamento di incarichi difensivi in applicazione
dell’istituto contrattuale del patrocinio legale”
Nell’esaminare il modello di contratto per l’affidamento a
legali esterni di prestazioni di assistenza legale,
approvato nel 2013 dal Collegio Tecnico AVEC, si riscontra
una criticità al relativo punto 4, laddove viene precisato
che “Il Professionista può avvalersi, sotto la propria
responsabilità, di sostituti e collaboratori per lo
svolgimento della prestazione, nonché di domiciliatari,
senza costi aggiuntivi”.
La clausola, laddove non circoscrive l’attività di eventuali
sostituti e collaboratori ad aspetti marginali della
prestazione, si pone in contraddizione con uno dei criteri
fissati per l’iscrizione nell’elenco degli avvocati
dell’Ente, ovvero il possesso di una particolare e
comprovata esperienza specifica (punto 6 dei requisiti di
ammissione). Una siffatta causa rende, altresì, possibile il
mancato rispetto di principi rilevanti nell’affidamento dei
patrocini ad esterni, in particolare la procedura di
comparazione effettuata sulla base del curriculum vitae.
L’Ente ha, comunque, dichiarato che è in fase di
approvazione un nuovo avviso pubblico per la formazione di
un elenco di avvocati da utilizzarsi per l’affidamento di
incarichi difensivi, lo schema di domanda (all.A) per la
richiesta di iscrizione e l’atto relativo alle Condizioni
Generali (all.B) che deve essere sottoscritto dal
professionista e il cui rispetto costituisce “condizione
necessaria per il mantenimento nell’Elenco e il successivo
conferimento di eventuali incarichi”.
In proposito, l’art. 3 di questo ultimo atto, rubricato “Accettazione
dell’incarico e modalità di espletamento” prevede che “Il
professionista si impegna a svolgere il mandato
personalmente e in piena autonomia tecnico-organizzativa,
garantendo la propria personale reperibilità sia nello
svolgimento di incarichi conferiti dall’ente, sia nello
svolgimento di incarichi conferiti da personale aziendale”.
La Sezione ribadisce che la richiamata “autonomia
tecnico-organizzativa” non può implicare la facoltà di
avvalersi di eventuali sostituti e collaboratori se non per
aspetti marginali della prestazione, richiedendo una
puntualizzazione in tal senso.
Per quanto sopra esposto, la Sezione
INVITA L’ENTE
ad assicurare il rispetto della normativa e dei principi per
l’affidamento di incarichi legali;
INVITA L’ORGANO DI REVISIONE
a vigilare sulla legittimità dell’azione dell’Ente
nell’affidamento di incarichi legali;
DISPONE
- che la deliberazione sia trasmessa - mediante posta elettronica
certificata al Legale Rappresentante, nonché all’Organo di
revisione;
- che copia della presente deliberazione sia
trasmessa alla Procura della Corte dei Conti per la Regione
Emilia-Romagna, in relazione agli eventuali profili di danno
erariale conseguenti all’affidamento diretto di incarichi di
patrocinio legale, deliberati senza che vi sia stata una
previa valutazione formalizzata in merito alla possibilità,
da parte degli avvocati interni, di svolgere detti patrocini
(Corte dei Conti,
Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 16.01.2018 n. 4). |
INCARICHI PROFESSIONALI: La
difesa in giudizio è un appalto di servizi.
Sì alle short list di avvocati.
La difesa in giudizio è un appalto di
servizi rientrante tra quelli esclusi dal
campo di completa applicazione del codice
dei contratti, del quale si applicano solo i
principi indicati nell'articolo 4. Dunque
sono legittimi albi o «short list» di
avvocati, come quella realizzata da
Equitalia, per attingervi allo scopo di
selezionare professionisti cui affidare le
cause.
La
sentenza
09.01.2018 n. 150 del TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis rappresenta un
decisivo cambio di rotta della
giurisprudenza amministrativa, per molti
tratti ancora aggrappata ad una pronuncia
del Consiglio di Stato del 2012, da
considerare superata, secondo la quale gli
incarichi non sarebbero appalti di servizi
ma prestazioni professionali.
Il Tar Lazio, infatti, ha respinto su tutta
la linea i motivi di ricorso contro la short list di Equitalia, presentati dal Consiglio
dell'ordine degli avvocati, fierissimo
avversario della qualificazione della difesa
in giudizio come appalto di servizi.
La sentenza ha, in primo luogo, considerato
legittimo formare una short list di
avvocati, con la fissazione di un termine di
60 giorni dalla pubblicazione dell'avviso
per chiedere l'inserimento in elenco e la
possibilità di aggiornarla ogni anno.
Il termine per la presentazione delle
candidature e la chiusura della lista per la
durata di un anno non sono da considerare
lesivi della concorrenza, ma al contrario
sono considerati un sistema razionale per la
gestione degli incarichi.
Né dalla legge sulla disciplina della
professione forense, la legge 247/2012,
secondo il Tar, si può desumere alcuna
illegittimità del sistema di selezione degli
avvocati mediante short list (sistema per
altro consigliato dall'Anac).
In secondo luogo, il Consiglio dell'ordine,
contraddicendo il proprio orientamento
contrario all'applicabilità degli articoli 4
e 17 del dlgs 50/2017 alla difesa legale,
avevano lamentato che Equitalia nel
regolamentare la short list avrebbe violato
delle norme, stabilendo compensi lesivi
della decoro professionale, perché limitai
al 60% della tariffa regolata dal dm
55/2014.
Il Tar Lazio ha respinto anche questo motivo
di ricorso, rilevando che i compensi
tariffari sono rimessi alla pattuizione
delle parti e che la tariffa non risulta
obbligatoria; per altro, secondo la
sentenza, non necessariamente il regolamento
di disciplina della short list imponeva la
riduzione dei compensi al 60% della tariffa,
limitandosi, invece, a prenderla come
parametro per la loro determinazione con
l'offerta.
Gli strali dei ricorrenti hanno riguardato
anche un tetto massimo per i compensi degli
avvocati di complessivi 35.000 euro
indipendente dal numero di giudizi affidati.
La sentenza ha respinto la presunta
illegittimità per violazione dell'articolo
36 della Costituzione.
Il limite complessivo dei compensi, infatti,
non è forfetario e non corrisponde a un
numero infinito di affari assegnati al
singolo avvocato. Si riferisce, invece, in
modo razionale, al limite di spesa per
incarichi «seriali» superato il quale scatta
l'obbligo di affidamento ad un altro legale.
Infine, i ricorrenti hanno censurato la
presunta violazione dell'articolo 4 del
codice dei contratti, sull'assunto che i
criteri selettivi per l'accesso alla short list sarebbero stati eccessivamente
restrittivi, tali da impedire l'accesso ai
giovani avvocati, in violazione
dell'articolo 1, comma 2, lettera D, della
legge 247 del 2012 e del principio di
concorrenza.
Da notare che il Consiglio ritiene, in
propri scritti, che invece il principio di
concorrenza non sarebbe mai applicabile e
che gli incarichi agli avvocati da parte
delle p.a. resterebbero ancora «fiduciari».
Il motivo di ricorso è un'evidente
contraddizione in termini che indebolisce le
argomentazioni del Consiglio forense contro
le regole del codice dei contratti, poiché è
un implicito riconoscimento della sua
necessaria applicazione.
In ogni caso, per il Tar Lazio la disciplina
di accesso alla short list è legittima: è
stato nella sostanza richiesto un volume
d'affari annuo di 33,000 euro di fatturato,
soglia che «non appare sproporzionata
rispetto ai compensi mediamente percepiti
dagli avvocati di normale professionalità»
(articolo ItaliaOggi del
12.01.2018).
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MASSIMA
Con il primo motivo di ricorso,
parte ricorrente deduce la violazione della
legge numero 247 del 2012 e la violazione
dell’articolo 4 del decreto legislativo
numero 50 del 2016 per violazione dei
principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, libera
concorrenza e massima partecipazione:
Gli atti impugnati sarebbero illegittimi
nella parte in cui prevedono che le
richieste di iscrizione debbano essere
presentate entro 60 giorni dalla
pubblicazione dell’avviso e che l’elenco
abbia una durata predeterminata in un anno;
tali limitazioni si tradurrebbero in
restrizioni della concorrenza, atteso che
l’iscrizione agli elenchi dovrebbe essere
aperta; un elenco chiuso, immotivatamente
così previsto, non assicurerebbe la massima
partecipazione dei professionisti
interessati; eppure l’Autorità nazionale
anticorruzione, nel parere reso ad Equitalia
sullo schema dell’avviso impugnato, avrebbe
precisato che l’iscrizione avrebbe dovuto
essere consentita senza limitazioni
temporali; le stesse Linee Guida numero 4
adottate dall’Autorità anticorruzione per le
procedure di affidamento di contratti di
importo inferiore alle soglie di rilevanza
comunitaria e per la formazione e gestione
di elenchi di operatori economici avrebbero
stabilito l’iscrizione degli operatori
economici provvisti dei requisiti richiesti
senza limitazioni temporali, al fine di
assicurarne la più ampia partecipazione;
solo in via subordinata l’Autorità nazionale
anticorruzione avrebbe prospettato l’ipotesi
alternativa di ridurre ad un solo anno la
validità dell’elenco, al fine di mitigarne
l’effetto restrittivo della concorrenza che
comunque l’iscrizione a scadenza fissa
inevitabilmente comporterebbe; Equitalia,
quindi, non avrebbe ottemperato alle
indicazioni contenute nel parere
dell’Autorità anticorruzione, senza alcuna
apprezzabile giustificazione.
Il motivo è infondato.
La L. 31/12/2012, n. 247, Nuova disciplina
dell'ordinamento della professione forense,
all’art. 1 prevede che l'ordinamento
forense, stante la specificità della
funzione difensiva e in considerazione della
primaria rilevanza giuridica e sociale dei
diritti alla cui tutela essa è preposta,
garantisce l'indipendenza e l'autonomia
degli avvocati, indispensabili condizioni
dell'effettività della difesa e della tutela
dei diritti.
Si tratta di norma da cui non discende
alcuna illegittimità del regolamento
impugnato che, nel prevedere un elenco
chiuso, limitato a chi abbia presentato la
domanda di iscrizione entro il termine di 60
giorni dalla pubblicazione dell’avviso, non
reca alcuna lesione all’indipendenza e
all’autonomia degli avvocati.
L’altra norma citata dai ricorrenti a
fondamento del motivo di impugnazione è
l’art. 4 del D.Lgs. 18/04/2016, n. 50,
Codice dei contratti pubblici, recante i
principi relativi all'affidamento di
contratti pubblici esclusi. Essa stabilisce
che l'affidamento dei contratti pubblici
aventi ad oggetto lavori, servizi e
forniture e dei contratti attivi, esclusi,
in tutto o in parte, dall'ambito di
applicazione oggettiva del codice, avviene
nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità,
pubblicità, tutela dell'ambiente ed
efficienza energetica.
Ad avviso dei ricorrenti la formazione di un
elenco chiuso si risolverebbe in una
illegittima restrizione della concorrenza,
ma la deduzione non è confortata né dal
parere dell’Autorità nazionale
anticorruzione da essi richiamato, né dalle
Linee guida della stessa Autorità allegate a
sostegno della censura.
In realtà il parere
dell’Autorità anticorruzione risulta
favorevole alla predisposizione di un elenco
chiuso, a condizione che l’effetto
restrittivo derivante dalla limitazione
temporale della presentazione delle domande
sia contemperato, come di fatto è avvenuto,
dalla riduzione del termine di validità
dell’iscrizione, da portare a un anno, in
modo da rendere più frequenti le finestre
temporali entro le quali i soggetti
interessati possono iscriversi nell’elenco.
La soluzione suggerita
dall’Autorità anticorruzione e adottata
dall’amministrazione resistente è
condivisibile in quanto da una parte,
stabilendo un termine di 60 giorni dalla
presentazione delle domande, consente a
Equitalia di sapere in qualsiasi momento su
quali professionisti potrà contare per la
gestione del proprio contenzioso; ciò
sarebbe meno agevole nel caso di previsione
di un elenco aperto, sottoposto a continui
aggiornamenti che determinerebbe inevitabili
difficoltà nella concreta attività di
affidamento degli incarichi; d’altra
parte, la limitazione di durata
dell’elenco a un solo anno consente il
ricambio frequente degli avvocati
interessati e pertanto risulta pienamente
aderente ai principi di massima concorrenza,
parità di trattamento, trasparenza e
pubblicità evocati dai ricorrenti e tutelati
dall’ordinamento.
Con il 2º motivo, i ricorrenti
deducono che, in violazione degli articoli 4
e 17 del codice dei contratti pubblici,
sarebbero stati stabiliti compensi irrisori
e lesivi del decoro della professione di
avvocato, in quanto commisurati al 60% della
tariffa di cui al decreto ministeriale
numero 55 del 2014; inoltre il regolamento
prevederebbe una sorta di gara tra i
professionisti iscritti nell’elenco, un
confronto competitivo mediante offerte al
ribasso su una base di partenza già
irrisoria, in quanto commisurata al 60%
della tariffa e quindi irragionevolmente
compressa; sarebbe perfino previsto un tetto
massimo per il compenso pari ad euro 35.000,
aumentato ad euro 45.000 solo per il caso di
opzione per tutti i tribunali del
circondario, a fronte di un numero
indeterminato di giudizi affidati; la misura
del compenso quindi, non sarebbe adeguata
all’importanza dell’opera o al decoro della
professione; inoltre la gara tra i
professionisti non sarebbe richiesta dal
codice, trattandosi di servizi contemplati
dall’articolo 17, per cui l’affidamento dei
servizi legali non dovrebbe avvenire tramite
un confronto economico competitivo; per
giunta, di volta in volta, la scelta del
professionista dovrebbe avvenire mediante
selezione dei preventivi forniti da tre
professionisti selezionati per ogni singolo
incarico, in base al criterio del minor
prezzo; ciò sarebbe in violazione
dell’articolo 95 del codice che consente il
criterio del minor prezzo solo per i servizi
con caratteristiche standardizzate ovvero
caratterizzati da elevata ripetitività.
Anche il 2º motivo è infondato.
Come correttamente eccepito dalla
amministrazione resistente,
per effetto del superamento del
sistema tariffario, nel nostro ordinamento i
compensi delle attività forensi sono
demandati ad accordi fra le parti.
Ne deriva che le tabelle
allegate al decreto ministeriale numero 55
del 2014 non possono più essere elevate a
parametro di legittimità dei compensi
contrattualmente stabiliti.
Gli importi indicati nel decreto
ministeriale numero 55 del 2014 per la
liquidazione dei compensi agli avvocati in
sede giudiziaria sono stati presi in
considerazione dal regolamento impugnato
come parametro di riferimento, ma il
regolamento non prevede necessariamente la
decurtazione del 60% lamentata dai
ricorrenti.
In realtà il regolamento prevede un sistema
complesso per la determinazione dei
compensi, distinguendo gli incarichi
relativi al contenzioso sulla riscossione,
per i quali è previsto un compenso fisso,
oltre spese generali e il contenzioso
relativo ad altre materie per cui si prevede
una determinazione tenendo conto del valore
della lite, del grado di complessità
dell’incarico e dell’importanza dell’opera.
Le tabelle evocate dai ricorrenti sono prese
in considerazione, con possibilità di
riduzione non superiore al 60%, ma anche di
incremento, non superiore al 20%. Tale
sistema di predeterminazione, in linea
generale, dei compensi, non risulta adottato
in violazione di alcuna legge, né appare
palesemente irragionevole, tenendosi conto
di parametri oggettivi quali il valore della
lite e il grado di complessità della
controversia.
Il fatto che sia poi prevista una procedura
selettiva per l’affidamento del singolo
incarico non configura una violazione del
codice dei contratti pubblici che, come
dedotto dai ricorrenti, esclude i servizi
legali dalle procedure di affidamento dei
contratti pubblici e, soprattutto, esclude
che tali servizi possano essere affidati con
il criterio del prezzo più basso.
In realtà il regolamento impugnato non
prevede alcuna procedura competitiva al
ribasso, limitandosi a prestabilire un
criterio della scelta del singolo
professionista cui affidare uno specifico
incarico.
Il sistema adottato consiste nel sorteggio
di una lettera da applicare all’ordine
alfabetico in cui sono iscritti gli
avvocati, procedendo quindi, in base a
criteri di rotazione, all’affidamento degli
incarichi.
Solo per il caso di incarichi legali
particolarmente complessi e rilevanti il
regolamento prevede un interpello fra tre
avvocati iscritti nell’elenco acquisendo i
rispettivi preventivi.
Invece, per il contenzioso della riscossione
davanti a giudici di merito, considerato più
semplice, gli incarichi vengano affidati
direttamente con il criterio della
rotazione, in modo che, quando un avvocato
ha raggiunto il tetto massimo predefinito
per il compenso, il successivo incarico
viene conferito ad altro professionista.
Non si tratta, quindi, dell’affidamento del
servizio legale tramite una gara al massimo
ribasso, ma di una procedura oggettiva per
scegliere, in casi particolari, il
professionista cui affidare l’incarico in
base al preventivo meno oneroso per
l’amministrazione.
Con il 3º motivo, i ricorrenti
deducono la violazione dell’articolo 4 del
decreto legislativo 50 del 2016 per essere
stati stabiliti criteri di ammissione
sproporzionati, tali da impedire l’accesso
ai giovani professionisti, in violazione
dell’articolo 1, comma 2, lettera D, della
legge 247 del 2012, ostacolando la
possibilità di iscrizione di avvocati
competenti potenzialmente interessati; in
violazione del principio della concorrenza
sarebbero stati introdotti criteri di
selezione discriminatori, di ostacolo e
restrittivi alla predisposizione delle
offerte; il fatturato globale minimo, il
fatturato specifico, il numero minimo di
questioni trattate sarebbero illegittimi
avendo stabilito l’Autorità anticorruzione
che, per consentire la partecipazione anche
ai giovani professionisti, in alternativa al
fatturato può essere richiesta altra
documentazione idonea; nella fattispecie
oltre il 90% degli avvocati iscritti alla
cassa di previdenza e assistenza forense del
2016 non avrebbe un reddito medio
sufficiente per assolvere il requisito di
iscrizione; in particolare le donne e i
giovani sarebbero discriminati percependo
redditi inferiori alla media; il requisito
alternativo dei 50 incarichi analoghi
espletati non sarebbe sufficiente al
contemperamento e anche il requisito
dell’iscrizione nella sezione sul
contenzioso del lavoro sarebbe irragionevole
facendo riferimento a incarichi conferiti da
soggetti con più di 1000 dipendenti; il
requisito organizzativo della collaborazione
di due avvocati e di una segreteria sarebbe
illegittimo e irragionevole perché il
compenso non sarebbe remunerativo se si
dovesse sostenere il costo del lavoro dei
collaboratori.
Il motivo è infondato.
Seppure è condivisibile la considerazione
dei ricorrenti per cui i principi della
contrattualistica pubblica esigono che sia
rispettata la parità di trattamento tra
tutti gli operatori economici e che non
siano introdotti criteri di selezione
discriminatori, nella
fattispecie non si è in presenza di
requisiti di iscrizione alla lista
eccessivamente restrittivi oppure
irragionevoli.
Il regolamento, nell’introdurre quale
requisito di iscrizione alla lista un
determinato volume d’affari, non ha
stabilito un criterio di selezione
irragionevole, essendo riconducibile il
volume d’affari di un avvocato all’attività
professionale esercitata e all’esperienza
maturata.
Il requisito non è neppure eccessivamente
restrittivo, posto che è stato richiesto un
volume d’affari complessivo di EUR 100.000
nel triennio, corrispondente a un fatturato
annuo di circa EUR 33.000.
Si tratta di una soglia discrezionalmente
stabilita dall’amministrazione resistente
che comunque non appare sproporzionata
rispetto ai compensi mediamente percepiti
dagli avvocati di normale professionalità.
Si deve considerare, al riguardo, che volume
d’affari è nozione diversa dal reddito,
corrispondente alla differenza tra i ricavi
e le spese, per cui anche con riferimento ai
professionisti operanti nelle regioni
meridionali, ai giovani e alle donne che
mediamente percepiscono redditi meno
elevati, le soglie di fatturato prescritte
per l’iscrizione nella lista non possono
essere ritenute incongrue.
Neppure i requisiti speciali prescritti per
l’iscrizione appaiono sproporzionati,
laddove viene richiesto un fatturato
triennale di almeno EUR 50.000 in attività
analoghe a quelle della sezione di
contenzioso di interesse oppure, in
alternativa e per la sola iscrizione nella
sezione contenzioso sulla riscossione, lo
svolgimento di almeno 50 incarichi nel
triennio, requisiti corrispondenti a circa
EUR 16.600 di fatturato specifico per anno e
a 16 incarichi specifici per anno, numeri,
questi ultimi, non esorbitanti per il
contenzioso sulla riscossione generalmente
contraddistinto da una certa serialità; per
la iscrizione nella sezione sul contenzioso
sul lavoro, il regolamento richiede lo
svolgimento nell’ultimo anno solare di
almeno 3 incarichi conferiti da
organizzazioni con più di 1000 dipendenti;
requisito di esperienza che risulta
corrispondente alle speciali caratteristiche
del contenzioso del lavoro di interesse di
Equitalia, organizzazione complessa
comprendente migliaia di dipendenti, per cui
è necessario che la difesa in giudizio sia
prestata da avvocati esperti nelle
problematiche di gestione del rapporto di
lavoro proprie delle organizzazioni
complesse.
Quanto al requisito organizzativo,
rappresentato da una struttura comprendente
almeno altri due avvocati con la dotazione
di una segreteria, si deve ritenere anche
esso ragionevole e adeguato alle esigenze
dell’amministrazione che deve poter contare
su un servizio legale costantemente
disponibile e reperibile, pena
l’impossibilità di gestire efficacemente il
contenzioso di cui si tratta.
...
Il ricorso, in conclusione, deve essere
respinto, per l’infondatezza di tutti i
motivi di impugnazione dedotti. |
novembre 2017 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Limiti spesa formazione.
Domanda
Vorrei iscrivermi ad uno dei vostri corsi di formazione
programmati in quest’ultima parte dell’anno, è vero –come
mi ha riferito qualche collega– che per il 2017 non
sussistono più i limiti alla spesa per la formazione del
personale dettati dall’art. 6 del d.l. 78/2010?
Risposta
La conversione in legge del d.l. 50/2017 ha introdotto una
serie di agevolazioni con il fine dichiarato di stimolare
gli enti locali al rispetto delle scadenze di legge dettate
per l’approvazione dei documenti fondamentali della propria
programmazione finanziaria.
Nel dettaglio, l’art. 21-bis del citato decreto ha previsto
che, per l’anno 2017, ai comuni (e alle loro forme
associative) che hanno approvato il rendiconto nei termini e
che hanno rispettato nell’anno precedente i vincoli di
finanza pubblica imposti dalla l. 243/2012, non si applicano
alcune limitazioni previste dall'art.
6 d.l. 78/2010 e, in
particolare, quelle riferite a:
– studi e incarichi di consulenza (comma 7);
– relazioni pubbliche, convegni, pubblicità e spese di
rappresentanza (comma 8); restano invece soggette a limite
le mostre;
– sponsorizzazioni (comma 9);
– spese per attività di formazione (comma 13).
Quanto al quesito, pertanto, per l’anno in corso l’ente non
è sottoposto ai limiti di spesa per la formazione del
personale imposti dal d.l. 78/2010 qualora abbia rispettato
la normativa sul Pareggio di Bilancio per l’anno 2016 e
approvato il relativo rendiconto entro il 30.04.2017 (06.11.2017 - link a
www.publika.it).
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RIEPILOGO
L'art.
21-bis decreto-legge 24.04.2017, n. 50, coordinato con la
legge di conversione 21.06.2017, n. 96, così
dispone:
Art. 21-bis. Semplificazioni
1. Per l’anno 2017, ai comuni e alle loro forme associative
che hanno approvato il rendiconto 2016 entro il 30.04.2017 e
che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra
entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della
legge 24.12.2012, n. 243, non si applicano
le limitazioni e i vincoli di cui:
a) all’articolo
6, commi 7, 8, fatta eccezione delle spese per mostre, 9 e
13, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122;
b) all’articolo
27, comma 1, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133.
2. A decorrere dall’esercizio 2018 le
disposizioni del comma 1 si applicano esclusivamente ai
comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il
bilancio preventivo dell’esercizio di riferimento entro il
31 dicembre dell’anno precedente e che hanno rispettato
nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese
finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243.
In buona sostanza le limitazioni (temporaneamente) non
applicabili sono quelle:
●
di cui alla
precedente lett. a):
7.
Al fine di valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni,
a
decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed
incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed
incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti,
sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli
enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati
nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi ai
processi di privatizzazione e alla regolamentazione del
settore finanziario, non può essere
superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009.
L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui
al presente comma costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al
presente comma non si applicano alle attività sanitarie
connesse con il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del
personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
8. A decorrere dall'anno 2011
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti,
non possono effettuare spese per relazioni pubbliche,
convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un
ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta
nell'anno 2009 per le medesime finalità.
Al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e
di efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni, a
decorrere dal 1° luglio 2010 l'organizzazione di convegni,
di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di
inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle
Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché da parte
degli enti e delle strutture da esse vigilati è subordinata
alla preventiva autorizzazione del Ministro competente.
L'autorizzazione è rilasciata nei soli casi in cui non sia
possibile limitarsi alla pubblicazione, sul sito internet
istituzionale, di messaggi e discorsi ovvero non sia
possibile l'utilizzo, per le medesime finalità, di
video/audio conferenze da remoto, anche attraverso il sito
internet istituzionale; in ogni caso gli eventi autorizzati,
che non devono comportare aumento delle spese destinate in
bilancio alle predette finalità, si devono svolgere al di
fuori dall'orario di ufficio. Il personale che vi partecipa
non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario
ovvero indennità a qualsiasi titolo. Per le magistrature e
le autorità indipendenti, fermo il rispetto dei limiti
anzidetti, l'autorizzazione è rilasciata, per le
magistrature, dai rispettivi organi di autogoverno e, per le
autorità indipendenti, dall'organo di vertice. Le
disposizioni del presente comma non si applicano ai convegni
organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli
incontri istituzionali connessi all'attività di organismi
internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste
da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle
Forze armate e delle Forze di polizia, nonché, per il 2012,
alle mostre autorizzate, nel limite di spesa complessivo di
euro 40 milioni, nel rispetto dei limiti derivanti dalla
legislazione vigente nonché dal patto di stabilità interno,
dal Ministero per i beni e le attività culturali, di
concerto, ai soli fini finanziari, con il Ministero
dell'economia e delle finanze.
9. A decorrere dall'anno 2011
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti,
non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
(omissis)
13. A decorrere dall'anno 2011 la spesa
annua sostenuta
dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti, per
attività esclusivamente di formazione deve essere non
superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno
2009.
Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente
l'attività di formazione tramite la Scuola superiore della
pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi
di formazione. Gli atti e i contratti posti in essere in
violazione della disposizione contenuta nel primo periodo
del presente comma costituiscono illecito disciplinare e
determinano responsabilità erariale. La disposizione di cui
al presente comma non si applica all'attività di formazione
effettuata dalle Forze armate, dal Corpo nazionale dei
vigili del fuoco e dalle Forze di Polizia tramite i propri
organismi di formazione, nonché dalle università.
● di cui alla precedente lett.
b):
Art. 27.
Taglia-carta
1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta,
dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche
riducono del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa
per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione
prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente
od inviata ad altre amministrazioni.
(omissis)
CONSIDERAZIONI
Ciò che più
interessa l'UTC sono:
- le spese per la formazione professionale (convegni, ecc.)
e, soprattutto
- le spese per studi ed incarichi di consulenza (di norma al
legale).
E' di tutta evidenza che, comunque, l'incarico al legale
esterno (per affari complessi) potrà essere legittimamente
affidato solo dopo aver preliminarmente interpellato per
iscritto il legale del comune (è cioè il Segretario Comunale
... se non non si vuole incorrere nella scure della Corte
dei Conti) il quale, nella fattispecie, dovrà motivatamente
per iscritto "dare forfait" all'interrogativo
formulato dal Dirigente/P.O. (comunque, sono fatti salvi ed impregiudicati i
numerosi limiti, da verificare di volta in volta e di cui
darne conto nella determinazione dirigenziale di affidamento
dell'incarico, individuati -sempre- dalla Corte dei Conti:
si consulti, in proposito, l'apposito
dossier INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI).
Invero, ricordiamo che l'art.
97 del D.Lgs. n. 267/2000 così recita:
CAPO II - Segretari comunali e provinciali
Art. 97. Ruolo e funzioni
1. Il comune e la provincia hanno un segretario titolare dipendente
dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei
segretari comunali e provinciali, di cui all'articolo 102 e
iscritto all'albo di cui all'articolo 98.
2. Il segretario comunale e provinciale svolge
compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
3. Il sindaco e il presidente della provincia, ove si avvalgano
della facoltà prevista dal comma 1 dell'articolo 108,
contestualmente al provvedimento di nomina del direttore
generale disciplinano, secondo l'ordinamento dell'ente e nel
rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli, i rapporti tra
il segretario ed il direttore generale.
4. Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei
dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e
per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e
il presidente della provincia abbiano nominato il direttore
generale. Il segretario inoltre:
a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di
assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne
cura la verbalizzazione;
b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione
alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia
responsabili dei servizi;
c) roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali
l’ente è parte e autentica scritture private ed atti
unilaterali nell'interesse dell'ente;
d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto
o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal
presidente della provincia;
e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi
prevista dall'articolo 108 comma 4.
5. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, può
prevedere un vicesegretario per coadiuvare il segretario e
sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
6. Il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali è
disciplinato dai contratti collettivi ai sensi del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive
modificazioni ed integrazioni. |
ottobre 2017 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarico
di patrocinio legale e appalto di servizi.
●
A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs..
●
E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di competenza.
(Criticità rilevate nell'operato del comune: - mancato inserimento degli incarichi di patrocinio
nel documento unico di programmazione o in altro atto di
programmazione; - omesso accertamento dell’impossibilità di
svolgere l’incarico all’interno dell’ente; - ricorso
all’affidamento diretto; - affidamento diretto di
domiciliazioni legali.
Invio in procura di un incarico poiché affidato
direttamente, senza previa ricognizione in merito alle
professionalità interne, né motivazione circa le ragioni
della scelta dell’incaricato).
---------------
A partire dalla
deliberazione
03.04.2009 n. 19, della Sezione
regionale di
controllo per la Basilicata, la giurisprudenza di questa
Corte si era
progressivamente consolidata nel considerare il singolo
incarico di patrocinio
legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un
contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del
codice civile.
In ogni caso, la
magistratura contabile già riteneva che detta tipologia
d’incarico, pur non
riconducibile direttamente agli incarichi professionali
esterni disciplinati dall’art.
7, comma 6 e seguenti, del d.lgs. n. 165/2001, poiché
conferito per adempimenti
obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi,
qualsiasi facoltà
discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque
essere oggetto di
affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di
procedura
comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò,
allo scopo di consentire il
rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza (in tal
senso, da ultimo, questa
Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto
generale della
Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015,
approvato con
deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi
aventi a oggetto
un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista,
alla luce dell’entrata in
vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale
data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare
dover essere
inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del
disposto di cui all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e
concessione di servizi”),
che considera come contratto escluso la rappresentanza
legale di un cliente, da
parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi
a organi
giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in
preparazione di detto
procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche
tenuto conto di come
l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea
che, com’è noto,
accoglie una nozione di appalto più ampia di quella
rinvenibile dal nostro codice
civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto
dall’art. 4 del citato decreto
legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel
rispetto dei principi di
economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di
trattamento,
proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina
dei principi
summenzionati, conferma l’orientamento consolidato di questa
Corte in merito
all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato
esterno all’ente come
connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti
pubblici, l’ente
deve preliminarmente operare una ricognizione interna
finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere
l’incarico (così, da ultima,
questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR
Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l'affidamento di
un appalto di servizi legali alla luce del
nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come
per
esso debba essere
assicurata la massima partecipazione mediante una procedura
di tipo
comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto
di partecipare, in
condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la
scelta del contraente.
Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo,
inoltre, di assicurare
il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP ha
evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa
Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni
possono attuare i
principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici
applicando sistemi di
qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di
operatori qualificati,
mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di
adeguata pubblicità,
dal quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli
operatori che saranno
invitati a presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione,
applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa”
dei soggetti
selezionati, dell'importanza della causa e del compenso
prevedibile. È altresì
utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati
possono essere articolati
in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque
legittimo
prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non
derivanti da
un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire
l’espletamento di una
procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere
che si proceda
all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente
motivato, sulla base di un
criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di
operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il
nuovo codice
dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti
di collaborazione che
possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi
esterni, che oltre
all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale,
fosse possibile
l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia
richiedeva “un quid pluris
per prestazione o modalità organizzativa rispetto al
semplice patrocinio legale”
(C. conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione
03.04.2009 n. 19).
In tal
senso anche la prevalente
giurisprudenza amministrativa, per la quale era
configurabile un appalto di
servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel
patrocinio legale o
episodico dell’amministrazione, ma si configuri come
modalità organizzativa di un servizio, affidato a
professionisti esterni, più complesso e articolato, che può
anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si
esaurisca” (ex multis,
TAR Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come
già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio
legale e di un appalto di
servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui
all’art. 17, del nuovo
codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che
possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un
legale a essa
esterno, occorre tenere presente che è tuttora possibile
affidare a un legale un
incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6, del
t.u. sul pubblico
impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o,
più
frequentemente, un parere legale. A esso si applicano tutti
i presupposti di
legittimità degli incarichi professionali esterni
individuati da questa
giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al
conferimento degli
incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3
del “Monitoraggio degli
atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e
ricerche, relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza,
posti in essere negli
esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi
sede nell’Emilia-
Romagna”, di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso, si segnalano i seguenti specifici profili di
criticità
che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al
questionario sui servizi legali
e dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente
all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel
documento
unico di programmazione o in altro atto di programmazione.
L’Ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di
programmazione gli
incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati
conferiti nell’anno di
riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione
delle summenzionate
previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando
nel contenuto
necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n.
118/2011, allegato n. 4/1,
risponde ad un criterio di buon andamento e di corretta
gestione delle risorse
pubbliche, anche in funzione di una stima appropriata delle
coperture
finanziarie.
Omesso accertamento dell’impossibilità di svolgere
l’incarico
all’interno dell’ente.
È onere dell’ente accertare, volta per volta, prima di
affidare gli incarichi
di patrocinio all’esterno, l’impossibilità da parte dei
componenti dell’ufficio legale
a svolgere gli stessi, allo scopo di evitare una spesa
inutile e, quindi, un possibile danno all’erario.
Una
verifica di tale tipo è da considerarsi presupposto
necessario per l’affidamento legittimo all’esterno di un
incarico di patrocinio,
anche qualora si consideri la scelta del libero
professionista esterna come a
carattere fiduciario, ed è indispensabile anche alla luce
della nuova
configurazione di tali incarichi come appalti di servizi.
Ricorso all’affidamento diretto.
Gli affidamenti diretti di incarichi di patrocinio legale,
operati dall’ente in
analisi, si pone in contrasto con la giurisprudenza
consolidata di questa Corte,
che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in
via fiduciaria di tali
incarichi. La mancanza di una procedura comparativa,
infatti, viola i principi di
imparzialità, pubblicità e concorrenza. Peraltro, gli
incarichi esaminati a
campione non contengono la motivazione in merito alle
ragioni di fatto
sottostanti la scelta.
In proposito, è utile ricordare come
anche il filone
giurisprudenziale il quale, prima dell’emanazione del nuovo
codice dei contratti
pubblici, riteneva legittimo l’affidamento degli incarichi
di patrocinio legale sulla
base di una scelta fiduciaria, puntualizzava comunque che
“resta inteso che
l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico,
pur non soggiacendo
all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di
stampo
concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione
amministrativa in materia
di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde
rendere possibile la
decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta
in atto rispetto al
bisogno di difesa da appagare” (C. di S.,
Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730).
Affidamento diretto di domiciliazioni legali.
Poiché la domiciliazione è un incarico in cui il requisito
dell’intuitus personae non
è di particolare rilevanza, la scelta dell’affidatario non
può ragionevolmente
fondarsi sull’aspetto prettamente fiduciario, ma deve
orientarsi su un altro
criterio di selezione, in particolare il costo più basso
ottenibile tramite una
procedura comparativa.
Non è poi da sottovalutare che, con
la digitalizzazione e
l’informatizzazione del sistema giudiziario, la funzione di
interlocuzione diretta
con i differenti plessi giudiziari da parte dei legali della
circoscrizione risulta
meno rilevante che in passato.
Pertanto, l’ente è invitato,
per il futuro, a
valutare con la massima attenzione la convenienza di
ricorrere a domiciliazioni
legali.
Conclusioni.
Pur avendo l’Ente disciplinato i presupposti per
l’affidamento degli
incarichi di patrocinio legale all’esterno,
i provvedimenti
di nomina del legale non contengono la necessaria
motivazione in merito all’accertamento
dell’impossibilità di svolgerli all’interno. L’importanza
che rivestirebbe una
verifica di tale natura è ancora più chiara se solo si
considera l’elevato
ammontare delle somme spese dal Comune per gli incarichi di
patrocinio;
nell’anno in analisi, infatti, sono stati assegnati
patrocini legali all’esterno per un
importo di 218.010,30 euro e riconosciuti debiti fuori
bilancio, conseguenti
all’esecuzione di incarichi di patrocinio legale, per un
importo totale di
1.647.275,21 euro.
In merito alle spese legali sostenute dai dipendenti o dagli
amministratori, in futuro l’ente dovrà subordinarne il
rimborso ad una stima di
congruità della parcella (o, nel caso di scelta concordata
del legale, ad
un’accettazione, da parte del Comune, del preventivo).
L’Ente locale in analisi ha proceduto all’affidamento
diretto all’esterno di
un incarico di patrocinio legale in favore dell’avv. M.G.D.G., per un importo di
euro 17.363,53, senza avere motivato espressamente
l’impossibilità a svolgerlo
da parte dell’ufficio interno. Non ci si può esimere dal
rilevare, inoltre, come
nell’anno 2015 il citato avvocato sia stato affidatario
diretto di 7 incarichi di
patrocinio legale, per un importo complessivo di euro
86.088,60.
Peraltro, il
Comune non ha motivato le ragioni che lo hanno indotto a
scegliere l’avvocato
in questione, né dal succinto curriculum vitae dello stesso,
trasmesso a questa
Sezione dal Comune a seguito di richiesta istruttoria,
emergono gli elementi che
hanno determinato la scelta.
Per completezza si evidenzia
come il
provvedimento di nomina del legale, a parere di questa
Sezione, motivi
dettagliatamente la valutazione in merito alla congruità e
alla convenienza del
preventivo in ragione della circostanza che, nel determinare
lo stesso, è stato
applicato lo scaglione relativo alle cause di valore
indeterminabile e, all’interno
di detto scaglione, sono stati utilizzati parametri
inferiori a quelli medi.
Da ultimo, il Collegio rileva come tra i debiti fuori
bilancio riconosciuti dal
Comune di Forlì nell’anno in analisi un importo pari a
1.166.594,88 euro sia
riconducibile a compensi in favore dell’avv. M.G.D.G..
Per quanto sopra esposto, la Sezione
INVITA L’ENTE
al rispetto della normativa e dei principi richiamati
nell’affidamento di
incarichi legali;
INVITA L’ORGANO DI REVISIONE
a vigilare sulla legittimità dell’azione dell’Ente
nell’affidamento di incarichi
legali;
DISPONE
-
che la deliberazione sia trasmessa -mediante posta
elettronica
certificata– al Consiglio comunale del Comune di Forlì e al
rispettivo Sindaco,
nonché all’Organo di revisione;
-
che copia della presente deliberazione sia trasmessa alla
Procura della
Corte dei conti per la Regione Emilia-Romagna, in relazione
agli eventuali profili
di danno conseguenti all’affidamento diretto dell’incarico
di patrocinio legale
all’avv. M.G.D.G., deliberato senza che vi sia stata una
previa valutazione
formalizzata in merito alla possibilità, da parte degli
avvocati interni, di svolgere
detti patrocini e in mancanza di una motivazione in merito
alle ragioni di fatto
sottostanti la scelta dell’incaricato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 12.10.2017 n. 153). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarico di patrocinio legale e appalto di servizi.
●
A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs..
●
E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di competenza.
(Criticità rilevate nell'operato del comune: - mancato inserimento degli incarichi di patrocinio
e di consulenza legale nel documento unico di programmazione
o in altro atto di programmazione; - mancata adozione di norme
regolamentari finalizzate a disciplinare l’affidamento dei
patrocini legali; - ricorso ad affidamento diretto - mancata
pubblicità in merito all’intenzione di affidare l’incarico;
- mancanza di una previa valutazione di congruità del
preventivo).
---------------
DIRITTO
A partire dalla
deliberazione
03.04.2009 n. 19, della Sezione
regionale di
controllo per la Basilicata, la giurisprudenza di questa
Corte si era
progressivamente consolidata nel considerare il singolo
incarico di patrocinio
legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un
contratto d’opera
intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In
ogni caso, la magistratura
contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur
non riconducibile
direttamente agli incarichi professionali esterni
disciplinati dall’art. 7, comma 6 e
seguenti del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per
adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in
tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto
di affidamento
diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura
comparativa, aperta a
tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire
il rispetto dei principi di
imparzialità e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa
Sezione, in sede di
giudizio di parificazione del rendiconto generale della
Regione Emilia-Romagna
per l’esercizio finanziario 2015, approvato con
deliberazione n. 66/2016/PARI, del
15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi
aventi a oggetto
un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista,
alla luce dell’entrata in
vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data
anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover
essere inquadrato come
appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui
all’art. 17 (recante “Esclusioni
specifiche per contratti di appalto e concessione di
servizi”), che considera come
contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da
parte di un avvocato,
in un procedimento giudiziario dinanzi a organi
giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento.
Tale
interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come
l’art. 17 richiamato
recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto,
accoglie una nozione di
appalto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice
civile. In ogni caso, nel
rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto
legislativo, l’affidamento
dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia,
trasparenza, imparzialità, parità di trattamento,
proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina
dei principi
summenzionati, conferma l’orientamento consolidato di questa
Corte in merito
all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato
esterno all’ente come
connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti
pubblici, l’ente
deve preliminarmente operare una ricognizione interna
finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere
l’incarico (così, da ultima,
questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR
Sicilia–Palermo,
Sez. III, nel giudicare l'affidamento di un appalto di
servizi legali alla luce del
nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come
per
esso debba essere
assicurata la massima partecipazione mediante una procedura
di tipo
comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto
di partecipare, in
condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la
scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente
condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il
migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP ha
evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa
Sezione, che nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni
possono attuare i
principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici
applicando sistemi di
qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di
operatori qualificati,
mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di
adeguata pubblicità, dal
quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli
operatori che saranno
invitati a presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione,
applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa”
dei soggetti selezionati,
dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È
altresì utile precisare
che detti elenchi di operatori qualificati possono essere
articolati in diversi settori
di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere
un numero
massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non
derivanti da
un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire
l’espletamento di una
procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere
che si proceda
all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente
motivato, sulla base di un
criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di
operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il
nuovo codice dei
contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di
collaborazione che
possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi
esterni, che oltre
all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale,
fosse possibile
l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia
richiedeva “un quid pluris per
prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice
patrocinio legale” (C.
conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione
03.04.2009 n. 19).
In tal senso
anche la prevalente
giurisprudenza amministrativa, per la quale era
configurabile un appalto di servizi
legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio
legale o episodico
dell’amministrazione, ma si configuri come modalità
organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più complesso e
articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si
esaurisca” (ex multis, TAR
Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già
evidenziato, la
distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale
e di un appalto di servizi
sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art.
17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che
possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un
legale a essa esterno,
occorre tenere presente che è tuttora possibile affidare a
un legale un incarico
professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6, del t.u. sul
pubblico impiego,
quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più
frequentemente, un parere
legale. A esso si applicano tutti i presupposti di
legittimità degli incarichi
professionali esterni individuati da questa giurisprudenza
(per un
approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli
incarichi professionali
esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli
atti di spesa relativi a
collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni
pubbliche, convegni,
mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli
esercizi finanziari 2011
e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia-Romagna”,
di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso, si segnalano i seguenti specifici profili di
criticità
che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al
questionario sui servizi legali,
dai dati relativi agli incarichi affidati e dalla risposta
alla richiesta istruttoria.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di
consulenza
legale nel documento unico di programmazione o in altro atto
di
programmazione.
L’Ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di
programmazione gli
incarichi di patrocinio e di consulenza legale che
prevedibilmente sarebbero stati
conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie
e costi.
L’inclusione
delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione,
pur non rientrando
nel contenuto necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011,
allegato n. 4/1, sarebbe stata rispondente a un criterio di
buon andamento e di
corretta gestione delle risorse pubbliche, anche in funzione
di una stima
appropriata delle coperture finanziarie.
Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a
disciplinare l’affidamento dei patrocini legali
Il Comune di Budrio non ha regolamentato l’affidamento di
patrocini legali
all’esterno: una normativa finalizzata a disciplinare la
materia è funzionale a un
corretto agere amministrativo da porsi anche a presidio di
un attento impiego
delle risorse pubbliche.
La regolamentazione dovrà prevedere
che gli incarichi di
patrocinio vengano affidati, in via prioritaria, ai legali
interni all’ente, ove presenti.
Ricorso ad affidamento diretto - Mancata pubblicità in
merito
all’intenzione di affidare l’incarico
L’attribuzione diretta
di incarichi di patrocinio legale si pone in contrasto
con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che
esclude la possibilità di
effettuare l’affidamento in via fiduciaria, giurisprudenza
oggi avvalorata dalle
richiamate novità normative di cui al d.lgs. n. 50/2016. La
mancanza di una
procedura comparativa, infatti, viola i principi di
imparzialità, pubblicità e
concorrenza.
Si rileva che l’Ente non ha dato pubblicità circa la propria
intenzione di
affidare all’esterno gli incarichi di patrocinio legale
analizzati.
In proposito, la
Sezione ritiene necessario evidenziare che l’espletamento di
una procedura
comparativa per l’assegnazione di incarichi esterni implica
che l’avviso per la
partecipazione sia adeguatamente pubblicizzato per un
congruo periodo di tempo
sul sito web istituzionale dell’ente (art. 54, codice
dell’amministrazione digitale,
di cui al d.lgs. 07.03.2005, n. 82 e art. 32 della l. 18.06.2009, n. 69);
tale
periodo, secondo i precedenti di questa Sezione relativi, in
generale,
all’affidamento di incarichi professionali esterni, non
dovrebbe avere durata
inferiore a 15 giorni (ex multis, deliberazione n. 81/2016/REG,
di questa
Sezione).
Nello specifico sono state esaminate le determine di
affidamento n. 235
dell’08.06.2015, n. 404 del 24.09.2015 e n. 321
del 28.07.2015,
nelle quali si richiamano le corrispondenti delibere di
Giunta comunale che
autorizzano il Sindaco a resistere in giudizio e individuano
il patrocinatore in via
diretta in ragione dell’esperienza in materia.
Mancanza di una previa valutazione di congruità del
preventivo
L’Ente, prima di procedere all’affidamento dell’incarico
deve accertare la
congruità del preventivo che, a tal fine, dovrebbe essere
adeguatamente
dettagliato anche sulla base degli eventuali scostamenti dai
valori medi tabellari
di cui al
D.M. n. 55/2014. In ragione del principio di buon
andamento ed
economicità dell’azione pubblica, sarebbe altresì opportuno
che i preventivi accolti
presentassero decurtazioni rispetto al richiamato valore
medio.
Detta valutazione
è necessaria per garantire un’attenta e prudente gestione
della spesa pubblica e
deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il preventivo e
l’importanza, nonché
la delicatezza della vertenza. Peraltro, il generale
principio di economicità
dell’azione amministrativa è ora esplicitamente richiamato
dall’art. 4 del d.lgs.
n. 50/2016.
Il Comune di Budrio, a seguito di una specifica richiesta
istruttoria
ha dichiarato che la valutazione di congruità dei preventivi
non è stata
formalizzata in un atto, pur affermando che “sono stati
ritenuti congrui avendo a riferimento i parametri forensi,
in relazione alla complessità e specificità delle
materie oggetto dei diversi ricorsi”.
Al contrario la Sezione ritiene che il doveroso rispetto dei
principi di buon
andamento e trasparenza dell’azione amministrativa e di un
dovuto riscontro della spendita delle risorse pubbliche implichi un vaglio motivato
dell’importo dei
preventivi presentati di cui vi sia necessario riferimento
nell’atto di affidamento
dell’incarico, riferimento invece totalmente pretermesso ad
esempio nel
provvedimento n. 321/2015 che pur impegna, sulla base delle
delibera di
affidamento n. 67/2015, il rilevante importo di euro
9.002,77 e nel
provvedimento n. 404/2015 che impegna, sulla base della
delibera di affidamento
n. 84/2015, l’importo di euro 8.200,00 (Corte
dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 12.10.2017 n. 150). |
giugno 2017 |
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APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALI: Sussiste
l'onere d’immediata impugnazione del bando di gara pubblica
per contestare clausole di loro impeditive dell'ammissione
dell'interessato alla gara, o anche solo impositive, ai fini
della partecipazione, di oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso
rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero
che rendano ingiustificatamente più difficoltosa per i
concorrenti la partecipazione alla gara.
In siffatti casi già la pubblicazione del bando genera una
lesione della situazione giuridica per chi intenderebbe
partecipare alla competizione ma non può farlo a causa della
barriera all’ingresso a quello specifico mercato provocata
da clausole del bando per lui insuperabili perché
immediatamente escludenti o che assume irragionevoli o
sproporzionate per eccesso; il che comporta per lui un
arresto procedimentale perché gli si rendono inconfigurabili
successivi atti applicativi utili.
----------------
Il motivo, ritiene qui il Collegio, è infondato.
Vanno condivise le giuste considerazioni della sentenza di
prime cure sull’onere di immediata impugnazione del bando di
gara, che opera allorché –come nel caso presente- le
clausole della lex specialis prevedano requisiti di
partecipazione ex se ostativi all'ammissione
dell'interessato, vale a dire autonomamente ed
immediatamente escludenti.
La giurisprudenza da tempo assume che sussiste l'onere
d’immediata impugnazione del bando di gara pubblica per
contestare clausole di loro impeditive dell'ammissione
dell'interessato alla gara, o anche solo impositive, ai fini
della partecipazione, di oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso
rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero
che rendano ingiustificatamente più difficoltosa per i
concorrenti la partecipazione alla gara. In siffatti casi
già la pubblicazione del bando genera una lesione della
situazione giuridica per chi intenderebbe partecipare alla
competizione ma non può farlo a causa della barriera
all’ingresso a quello specifico mercato provocata da
clausole del bando per lui insuperabili perché
immediatamente escludenti o che assume irragionevoli o
sproporzionate per eccesso; il che comporta per lui un
arresto procedimentale perché gli si rendono inconfigurabili
successivi atti applicativi utili (da ultimo Cons. Stato, V,
16.01.2015, n. 92; V, 20.11.2015, n. 5296; V, 06.06.2016 n.
2359).
Nella specie, una tale preclusione all’accesso alla contesa
è costituita, per un avvocato –vale a dire, per un esercente
la professione cui è per legge riservato il tipo giuridico
della prestazione in gara di consulenza legale e che dunque
è per ciò solo legittimato ad ambire all’aggiudicazione-
dalla richiesta del requisito di un fatturato globale di
ingenti entità, corrispondenti a non meno di € 20.000.000,
iva esclusa, per consulenze strategico-organizzative e un
fatturato per servizi legali nel diritto amministrativo non
inferiore a €. 2.000.000,00, iva esclusa, di cui almeno €.
1.000.000,00 conseguiti per prestazioni di assistenza e di
consulenza stragiudiziale legale in materia di contratti
pubblici all’interno di tre esercizi finanziari ed un
oggetto di gara.
Sulla base di siffatti livelli economici –di dimensioni tali
da superare una proporzione che sia indice di qualità
professionale- la sommatoria delle pregresse prestazioni
richieste restringe effettivamente la platea dei concorrenti
a un numero limitatissimo: sicché l’effetto di sbarramento
del mercato con conseguente onere di immediata impugnazione
diviene palese; la presentazione della domanda di
partecipazione avrebbe avuto solo un carattere formale e
dunque non necessario a radicare il bisogno di giustizia
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2017 n. 3110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2017 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla
illegittimità di un appalto di servizi legali indetto da un
Comune secondo il criterio del prezzo più basso e sulle
modalità con cui l’amministrazione comunale ha determinato
l’importo dell’appalto.
Il D.Lgs. n. 50/2016 e, prima ancora, la direttiva
2014/24/UE, ha segnato una netta preferenza per
l’applicazione di criteri di aggiudicazione che si fondino
su un complessivo apprezzamento del miglior rapporto
qualità/prezzo, relegando il tradizionale criterio del
prezzo più basso ad ipotesi tassativamente individuate.
Conseguentemente, il criterio di aggiudicazione fondato sul
rapporto qualità/prezzo costituisce un principio immanente
al sistema che consente l’applicazione del prezzo più basso
solo nei casi espressamente previsti.
---------------
In tale prospettiva,
il criterio qualità/prezzo è certamente
più agevolmente coniugabile (rispetto al criterio del
massimo ribasso) con il disposto dell’art. 2233, 2° comma,
cod. civ., che –nel disciplinare il contratto d’opera
intellettuale, cui è pur sempre riconducibile l’attività
legale– dispone che “in ogni caso la misura del compenso
deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro
della professione”.
Le considerazioni innanzi svolte dimostrano
le ragioni dell’illegittimità
della scelta dell’amministrazione comunale di procedere con
il criterio del prezzo più basso, atteso che esso non è
compatibile con le disposizioni dell’art. 95 del codice
–come si è detto, per più motivi applicabile all’appalto per
cui è causa– poiché il legislatore ne ha reso possibile
l’applicazione solo in presenza di prestazioni ripetitive
ovvero standardizzate, connotati questi che certo non
possono ritenersi propri della attività legale che si
caratterizza, invece, proprio per la peculiarità e
specificità di ciascuna questione, sia essa contenziosa o
stragiudiziale.
---------------
I servizi esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del
Codice, quale quello in esame, sono comunque soggetti ai “principi
di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità,
tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” ex art. 4
Codice.
L’applicazione dei principi di trasparenza e di pubblicità
richiedono che ogni potenziale offerente sia messo in
condizione di essere a conoscenza di tutte le informazioni
necessarie all’appalto in modo tale da consentire un’offerta
completa ed adeguata.
Nel caso in esame, l’amministrazione comunale ha omesso del
tutto l’applicazione di questi principi.
Infatti, nessuna motivazione è stata data in ordine alla
congruità del compenso posto a base di gara, e non è stata
effettuata alcuna istruttoria per determinare i parametri,
quali la tipologia o quantità del contenzioso anche
prendendo in considerazione gli anni precedenti, idonei per
determinare il prezzo posto a base di gara e per permettere
un’offerta consapevole.
Infatti, l’impossibilità di predeterminare il numero e gli
importi dei procedimenti contenziosi, nonché la qualità e
quantità dell’attività stragiudiziale, preclude qualsiasi
serio apprezzamento della congruità dell’importo a base
d’asta che, almeno teoricamente, l’amministrazione avrebbe
potuto confortare ove avesse fornito dati statistici desunti
dall’attività svolta negli anni precedenti.
---------------
FATTO
I ricorrenti hanno impugnato gli atti con cui il comune di
Racale ha indetto una gara, per l’affidamento della gestione
del contenzioso e del supporto giuridico-legale ai vari
uffici, e la successiva aggiudicazione provvisoria.
I ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi:
1. Violazione art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001; eccesso di
potere per falsa applicazione del d.lgs. 50/2016; eccesso di
potere per carenza di istruttoria.
2. Violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. 50/2016;
eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità
manifeste.
3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 95 e 83 del
d.lgs. 50/2016; eccesso di potere per illogicità e
irragionevolezza manifeste; carenza di istruttoria.
4. Violazione di legge; violazione d.lgs. 50/2016 e, in
particolare, degli artt. 3 e 95, comma 2; violazione del
d.m. 55/2014; violazione dell’art. 2233, comma 2, c.c.;
violazione dei principi i tema di appalto a corpo e di
indeterminatezza dell’oggetto.
5. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione degli
artt. 17, 4, 60 e 95, del d.lgs. 50/2016; violazione dei
principi generali in materia di organizzazione e struttura
dei servizi comunali, anche di cui al d.lgs. 267/2000;
violazione degli artt. 18, 19 e 23 della l. 247/2012;
violazione dei principi generali in tema di obbligo di
svolgimento del concorso pubblico; falsa ed erronea
interpretazione ed applicazione degli artt. 7, comma 6,
6-bis, 6-ter e 6-quater del d.lgs. 165/2001, dell’art. 110,
comma 6, del d.lgs. 267/2000, dell’art. 2222 e ss. c.c. e
dell’art., comma 56, della l. 244/2007, in considerazione
anche del d.l. 112/2008; assoluta carenza motivazionale;
violazione di legge; sviamento di potere.
Sostengono i ricorrenti:
- che la prestazione professionale prevista dal bando non
rientra nell’ambito di applicazione del d.lgs. 50/2016, ma
deve ritenersi regolata dagli artt. 7 e 8 del d.lgs.
165/2001;
- che la prestazione di rappresentanza legale non rientra
nell’ambito dell’appalto;
che comunque, anche a voler ammettere l’appalto di servizi
legali, non è possibile affidare questi servizi con il
criterio del massimo ribasso e senza idonei criteri di
selezione;
- che, in ragione dell’importo a base d’asta, l’affidamento
del servizio, essendo sottosoglia, risulta disciplinato
dall’art. 95 del Codice che ammette il criterio del minor
prezzo solo per i servizi con caratteristiche standardizzate
o le cui condizioni sono definite dal mercato; che non sono
stati indicati idonei criteri di selezione;
- che sussiste una carenza di istruttoria in ordine alla
determinazione dell’importo del prezzo base su cui operare
il ribasso;
- che si tratta di un contratto a misura e non a corpo;
- che il prezzo previsto è violativo dell’art. 2233, comma
2, c.c.;
- che, in ragione delle modalità di svolgimento del servizio
richiesto, si è, in sostanza, acquisita senza concorso la
disponibilità di prestazioni professionali assimilabili a
quelle del lavoro dipendente;
- che ciò integra una ulteriore illegittimità sotto il
profilo dell’incompatibilità con il regime proprio
dell’attività dell’avvocato esercente la libera professione.
I ricorrenti hanno poi chiesto il rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia sulla questione se la direttiva
2014/24/UE osti a una disciplina nazionale che preveda la
possibilità di indire una procedura a evidenza pubblica per
l’affidamento di un appalto di servizi legali.
Il Comune, con memoria del 16.01.2017, ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso collettivo per la
disomogeneità delle posizioni sostanziali vantate dai
ricorrenti, nonché per difetto di legittimazione a ricorrere
in capo alle varie categorie di ricorrenti, e l’irricevibilità
del ricorso.
Nel merito ha rilevato:
- che con l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti
non si può più applicare l’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001;
- che il nuovo codice chiarisce che lo svolgimento di
attività giuridico-legale in favore delle amministrazioni
configura un appalto di servizi;
- che le amministrazioni possono scegliere di avviare una
vera e propria procedura di gara;
- che nessuna norma preclude l’utilizzo del criterio del
massimo ribasso;
- che l’art. 95 del codice non può applicarsi al caso in
esame posto che è uno dei servizi per i quali trovano
applicazione solo gli artt. 140, 142, 143 e 144;
- che nessuna disposizione impone alla stazione appaltante
di prevedere speciali criteri di qualificazione;
- che alla procedura hanno partecipato 17 professionisti con
la conseguenza che il prezzo determinato non può ritenersi
incongruo;
- che le tariffe professionali sono state abrogate; che il
Comune non ha assunto alcun nuovo dipendente.
Con
ordinanza 19.01.2017 n. 21 è stata accolta la
richiesta misura cautelare.
Le parti hanno depositato ulteriori memorie.
Alla pubblica udienza del 29.03.2017 il ricorso è stato
trattenuto in decisione.
DIRITTO
...
2. Nel merito.
2.1. Infondato è il motivo di ricorso con cui si contesta
l’applicazione alla tipologia di servizi in questione della
disciplina del d.lgs. 50/2016.
Il nuovo codice dei contratti, che, per quanto qui
interessa, ha fedelmente recepito le direttive comunitarie,
ha mantenuto i servizi legali tra gli appalti elencati
nell’allegato IX, cui si applica il regime “alleggerito”
ex artt. 140 e ss., mentre all’art. 17 sono elencati tra gli
appalti esclusi dall’applicazione del codice quelli di
servizi concernenti cinque tipologie di servizi legali tra
cui, per quanto qui interessa, quelli di “rappresentanza
legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi
dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n. 31, e successive
modificazioni”.
Nel caso di specie, è pacifico che
il bando aveva ad oggetto
sia l’affidamento relativo all’attività contenziosa,
rientrante nel citato art. 17, sia l’affidamento di attività
stragiudiziale rientrante negli appalti di servizi di cui al
citato allegato IX.
Quest’ultima, soprattutto quando ha carattere generale, deve
essere affidata nel rispetto delle previsioni del codice dei
contratti.
Nel caso in esame non è possibile apprezzare se risulti
prevalente l’attività contenziosa (il cui affidamento
è sottratto al codice dei contratti) o quella
stragiudiziale (da affidare nel rispetto del codice dei
contratti e delle altre norme dell’ordinamento applicabili)
e, a ben vedere, non è neanche necessario tale accertamento
poiché l’amministrazione ha inteso operare un unico
affidamento sia per il contenzioso sia per l’attività
stragiudiziale, di talché una siffatta scelta non poteva che
comportare la necessità della procedura ad evidenza
pubblica, quale che fosse l’estensione e il “peso”
delle attività stragiudiziali, pena, altrimenti, la
violazione delle norme che ne regolano l’affidamento.
Peraltro, la ordinaria sottrazione dell’affidamento del
contenzioso alle procedure del codice dei contratti non
preclude certo all’amministrazione di far ricorso ad esse
per propria scelta, non risultando rinvenibile un divieto in
tal senso.
Va da sé che la decisione di operare un unico affidamento
–sia del contenzioso sia dell’attività stragiudiziale–
impone, come innanzi già esposto, il rispetto delle norme
del codice dei contratti pubblici e delle altre disposizioni
dell’ordinamento.
Di qui l’insussistenza dei presupposti per una rimessione
della questione alla Corte di Giustizia.
2.2. Ciò premesso, al fine di individuare, per quanto in
questa sede necessario, le disposizioni applicabili
all’affidamento dei servizi legali, occorre rammentare che,
oltre agli artt. 140, 142, 143 e 144, trova applicazione
all’appalto de quo anche l’art. 95 d.lgs. 50/2016
–concernente i criteri di aggiudicazione- come rilevato da
una condivisibile giurisprudenza, “in virtù
dell'esplicito rinvio operato, per tutti gli appalti dei
settori speciali, dall'art. 133, I comma, dello stesso
Codice (applicabile anche ai servizi specifici di cui
all'Allegato IX, per effetto della previsione dell'art. 114,
I comma, il quale estende in via generale l'applicabilità
della disciplina del Titolo VI - Capo I del Codice, ivi
compreso l'art. 133 e le norme da quest'ultimo richiamate,
anche ai servizi elencati nell'Allegato IX e menzionati
nell'art. 140, I comma)” (Tar Calabria, Reggio Calabria,
sez. I, 30.11.2016, n. 1186).
L’art. 95 codice dei contratti pubblici, prevede che “salve
le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
relative al prezzo di determinate forniture o alla
remunerazione di servizi specifici, le stazioni appaltanti,
nel rispetto dei principi di trasparenza, di non
discriminazione e di parità di trattamento, procedono
all'aggiudicazione degli appalti e all'affidamento dei
concorsi di progettazione e dei concorsi di idee, sulla base
del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa
individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o
sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un
criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del
ciclo di vita, conformemente all'articolo 96” (comma 2).
Per il comma 4 “Può essere utilizzato il criterio del
minor prezzo:
a) per i lavori di importo pari o inferiore a
1.000.000 di euro, tenuto conto che la rispondenza ai
requisiti di qualità è garantita dall'obbligo che la
procedura di gara avvenga sulla base del progetto esecutivo;
b) per i servizi e le forniture con caratteristiche
standardizzate o le cui condizioni sono definite dal
mercato;
c) per i servizi e le forniture di importo
inferiore alla soglia di cui all'articolo 35, caratterizzati
da elevata ripetitività, fatta eccezione per quelli di
notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere
innovativo”.
Il D.Lgs. n. 50/2016 e, prima ancora, la direttiva
2014/24/UE, ha segnato una netta preferenza per
l’applicazione di criteri di aggiudicazione che si fondino
su un complessivo apprezzamento del miglior rapporto
qualità/prezzo, relegando il tradizionale criterio del
prezzo più basso ad ipotesi tassativamente individuate.
Conseguentemente, il criterio di aggiudicazione fondato sul
rapporto qualità/prezzo costituisce un principio immanente
al sistema che consente l’applicazione del prezzo più basso
solo nei casi espressamente previsti.
In tale prospettiva, il criterio qualità/prezzo è certamente
più agevolmente coniugabile (rispetto al criterio del
massimo ribasso) con il disposto dell’art. 2233, 2° comma,
cod. civ., che –nel disciplinare il contratto d’opera
intellettuale, cui è pur sempre riconducibile l’attività
legale– dispone che “in ogni caso la misura del compenso
deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro
della professione”.
Le considerazioni innanzi svolte dimostrano –conformemente
alle deduzioni ricorsuali- le ragioni dell’illegittimità
della scelta dell’amministrazione comunale di procedere con
il criterio del prezzo più basso, atteso che esso non è
compatibile con le disposizioni dell’art. 95 del codice
–come si è detto, per più motivi applicabile all’appalto per
cui è causa– poiché il legislatore ne ha reso possibile
l’applicazione solo in presenza di prestazioni ripetitive
ovvero standardizzate, connotati questi che certo non
possono ritenersi propri della attività legale che si
caratterizza, invece, proprio per la peculiarità e
specificità di ciascuna questione, sia essa contenziosa o
stragiudiziale.
2.3. È inoltre fondato il motivo con cui si contestano le
modalità con cui l’amministrazione comunale ha determinato
l’importo dell’appalto.
I servizi esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del
Codice, quale quello in esame, sono comunque soggetti ai “principi
di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità,
tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” ex art. 4
Codice.
L’applicazione dei principi di trasparenza e di pubblicità
richiedono che ogni potenziale offerente sia messo in
condizione di essere a conoscenza di tutte le informazioni
necessarie all’appalto in modo tale da consentire un’offerta
completa ed adeguata.
Nel caso in esame, l’amministrazione comunale ha omesso del
tutto l’applicazione di questi principi.
Infatti, nessuna motivazione è stata data in ordine alla
congruità del compenso posto a base di gara, e non è stata
effettuata alcuna istruttoria per determinare i parametri,
quali la tipologia o quantità del contenzioso anche
prendendo in considerazione gli anni precedenti, idonei per
determinare il prezzo posto a base di gara e per permettere
un’offerta consapevole.
Infatti, l’impossibilità di predeterminare il numero e gli
importi dei procedimenti contenziosi, nonché la qualità e
quantità dell’attività stragiudiziale, preclude qualsiasi
serio apprezzamento della congruità dell’importo a base
d’asta che, almeno teoricamente, l’amministrazione avrebbe
potuto confortare ove avesse fornito dati statistici desunti
dall’attività svolta negli anni precedenti.
3 In conclusione, il ricorso, previa dichiarazione di
inammissibilità dello stesso per difetto di legittimazione
attiva nei confronti dell’Ordine degli Avvocati, va accolto,
nei termini innanzi indicati, con assorbimento delle censure
non esaminate
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 31.05.2017 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2017 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Illegittima la scelta fiduciaria del legale
esterno.
Con la
deliberazione 26.04.2017 n. 75
(Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 -
Comune di Faenza (Ra). A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di
competenza. Criticità: mancato inserimento degli incarichi di
patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di
un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e
omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere
l'incarico all'interno dell'ente; conferimento di un elevato
numero di patrocini in relazione al numero di legali in
forza all'Ufficio legale interno; ricorso all'affidamento
diretto; ricorso alla transazione senza previa acquisizione
del parere da parte dell'Organo di revisione contabile)
la Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, vaglia
l'operato di un Comune sotto il profilo dell'organizzazione
e del funzionamento dell'ufficio legale, ponendo in rilievo
una serie di criticità sia nella gestione dei servizi legali
e di patrocinio, sia nella scelta dei professionisti esterni
incaricati (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e
della Pa del 03.05.2017).
Le censure della Corte
Dopo un'accurata analisi delle procedure dell'ente locale, i
giudici contabili formulano le seguenti censure:
a) mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento
unico di programmazione o in altro atto di programmazione;
b) mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a
disciplinare l'affidamento dei patrocini legali e omesso
accertamento dell'impossibilità di svolgerli all'interno
dell'ente;
c) conferimento di un elevato numero di patrocini e di incarichi
esterni, anche in relazione al numero dei legali in forza
all'ufficio interno;
d) ricorso ingiustificato all'affidamento diretto degli incarichi,
in contrasto con la giurisprudenza consolidata della
magistratura contabile.
Tali conclusioni presuppongono una chiave di lettura
estremamente rigorosa, che si può rintracciare nel percorso
logico seguito dal collegio nell'affrontare la questione.
La disciplina sugli incarichi
La Sezione osserva che la disciplina da applicarsi agli
incarichi di patrocinio legale deve essere rivista alla luce
del Dlgs 18.04.2016 n. 50 (codice dei contratti), per il
fatto che quest'ultimo, in aderenza ai principi del diritto
comunitario, accoglie una nozione molto ampia dell'appalto
di servizi, entro cui non può che rientrare ogni incarico di
patrocinio legale.
Di conseguenza, l'affidamento di tali incarichi deve perciò
avvenire nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
Questo assunto non era stato finora espresso in termini così
chiari dato che la giurisprudenza contabile, a partire dalla
deliberazione 03.04.2009 n. 19
della Sezione Basilicata, ha per anni considerato l'incarico
di patrocinio legale come un contratto d'opera intellettuale
regolato dall'articolo 2230 del codice civile, e nel
contempo non disciplinato al pari di un incarico esterno ex
articolo 7, comma 6 e seguenti, del Dlgs 165/2001, in quanto
conferito per adempimenti obbligatori ex lege.
Il cambio di rotta
Questo orientamento ha talora favorito la prassi di
scegliere legali esterni secondo ragioni di carattere
fiduciario, prassi che oggi non può trovare giustificazione,
se non in casi isolati.
La Sezione Emilia Romagna rileva sul punto che ove ricorrano
«ragioni di urgenza, dettagliatamente motivate e non
derivanti da un'inerzia dell'ente conferente, tali da non
consentire l'espletamento di una procedura comparativa, le
amministrazioni possono prevedere che si proceda
all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un
criterio di rotazione».
In vista di tale evenienza, la Pa deve comunque istituire
elenchi di operatori qualificati, in modo che l'affidatario
venga individuato tra gli avvocati iscritti in detti
elenchi.
Si tratta, in ogni caso, della classica eccezione che
conferma la regola, da identificarsi nella necessità di
avviare una procedura comparativa per la scelta del legale
esterno.
A conferma di ciò, il collegio evoca la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334
con cui il Tar Sicilia-Palermo, Sezione III, nel trattare
l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del
nuovo codice dei contratti, ha rimarcato come per tale
appalto «debba essere assicurata la massima
partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo
idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di
partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla
selezione per la scelta del contraente».
Il collegio accoglie queste indicazioni, ritenendo che esse
rappresentino un passaggio obbligato per assicurare il
corretto utilizzo delle risorse pubbliche, con l'effetto che
deve ritenersi precluso agli enti locali qualsiasi margine
di discrezionalità in materia
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 08.05.2017). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Anche il patrocinio legale «singolo» è un appalto
di servizi.
Anche il singolo incarico di patrocinio legale deve essere
inquadrato come appalto di servizi, soggetto ai principi di
imparzialità, pubblicità e concorrenza, ed è vietato
procedere all'affidamento diretto sulla base del carattere
fiduciario della scelta.
Con la
deliberazione 26.04.2017 n. 73
(Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015
- Comune di Ravenna (FC). A seguito dell'entrata in vigore
del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di
patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di
servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art.
4 del citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di competenza.
Criticità: ricorso a domiciliazioni legali; violazione dei
principi sul rimborso delle spese legali),
deliberazione 26.04.2017 n. 74
(Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 -
Comune di Cesena (FC). A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di
competenza.Criticità: mancato inserimento degli incarichi di
patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di
un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e
omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere
l'incarico all'interno dell'ente; ricorso all'affidamento
diretto; mancata previa valutazione di congruità del
preventivo; avventato ricorso a domiciliazioni legali) e
deliberazione 26.04.2017 n. 75
(Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 -
Comune di Faenza (Ra). A seguito dell'entrata in vigore del
d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio
legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi,
affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del
citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di
operatori qualificati articolati in settori di
competenza. Criticità: mancato inserimento degli incarichi di
patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di
un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e
omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere
l'incarico all'interno dell'ente; conferimento di un elevato
numero di patrocini in relazione al numero di legali in
forza all'Ufficio legale interno; ricorso all'affidamento
diretto; ricorso alla transazione senza previa acquisizione
del parere da parte dell'Organo di revisione contabile)
-relative alle relazioni sui servizi legali di alcuni
capoluogo di provincia- la Sezione regionale di controllo
della Corte dei Conti per l'Emilia Romagna chiarisce le
corrette modalità per l'affidamento degli incarichi legali.
Tali indicazioni si aggiungono così a quelle proposte dall'Anac
con lo schema di atto di regolamento sull'affidamento dei
servizi legali, sottoposto a consultazione nei giorni
scorsi. L'analisi dei magistrati parte dalla considerazione
che con l'entrata in vigore del Dlgs 50/2016, anche il
singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere
inquadrato come appalto di servizi, soggetto
all'applicazione del codice di contratti pubblici.
Ciò, sulla base del disposto di cui all'articolo 17, che
considera come contratto escluso la rappresentanza legale di
un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento
giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento. L'applicazione, anche al singolo patrocinio,
della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma
dunque l'impossibilità di considerare la scelta
dell'avvocato esterno all'ente come connotata da carattere
fiduciario.
L’elenco di operatori qualificati
Per la scelta del professionista, l'ente potrebbe avvalersi
di un elenco di operatori qualificati, da individuare con
procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata
pubblicità, dalla quale selezionare, su una base non
discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a
presentare offerta. Quanto sopra deve avvenire sulla base di
un principio di rotazione, applicato tenendo conto
dell'importanza della causa e del compenso prevedibile.
È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori
qualificati possono essere articolati in diversi settori di
competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un
numero massimo di iscritti. In quest'ultimo punto i giudici
contabili si discostano dall' Anac che sembra invece
ammettere la previsione di un numero massimo di iscritti.
Quando l’affidamento diretto
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza,
dettagliatamente giustificate e non derivanti da un'inerzia
dell'ente conferente, tali da non consentire l'espletamento
di una procedura comparativa, le amministrazioni possono
prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli
incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano
stati istituiti elenchi di operatori qualificati,
l'affidatario dev'essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Inserimento nel Dup
L'adozione di criteri di buon andamento e corretta gestione
delle risorse pubbliche impone poi l'inserimento nel Dup, o
in altro atto di programmazione, degli incarichi di
patrocinio, la cui regolamentazione deve essere in ogni caso
prevista dall'ente. Secondo i magistrati l'affidamento degli
incarichi di patrocinio dovrebbe avvenire, in via
preferenziale, in favore degli avvocati interni all'ente.
Per questo, occorrerebbe procedimentalizzare l'accertamento,
preliminare rispetto all'affidamento di ciascun incarico,
dell'effettiva impossibilità per i legali dipendenti
dall'ente di assumere l'incarico.
In mancanza di una disciplina specifica, è comunque onere
dell'ente accertare, volta per volta, prima di affidare gli
incarichi di patrocinio all'esterno, l'impossibilità da
parte dei componenti dell'ufficio legale a svolgere tale
incarico, allo scopo di evitare una spesa inutile e, quindi,
un possibile danno all'erario. Un accertamento di tale tipo
è da considerarsi presupposto necessario per l'affidamento
legittimo all'esterno di un patrocinio ed è indispensabile
anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi
come appalti di servizi.
La mera indicazione, nella deliberazione di giunta «preso
atto della impossibilità da parte dell'avvocatura comunale
di assumere la difesa per effetto del pensionamento del Capo
Servizio contenzioso» non è infatti sufficiente ad
integrare detto accertamento. La presenza di un ufficio
legale interno all'ente cui sia istituzionalmente demandata
la competenza in materia di difesa in giudizio ed assistenza
giuridica, implica che l'affidamento delle summenzionate
attività a un soggetto esterno debba rappresentare
un'eccezione rispetto ad un ordinario assetto delle
attribuzioni.
Fra le criticità evidenziate, in tema di domiciliazione
legale, i giudici contabili asseriscono che in questo caso
l'intuitus personae non è di particolare rilevanza,
pertanto la scelta dell'affidatario non può ragionevolmente
fondarsi sull'aspetto prettamente fiduciario, ma deve
orientarsi sul costo più basso ottenibile tramite una
procedura comparativa. Risulta infatti meno rilevante,
grazie all'utilizzo della pec, la funzione di interlocuzione
diretta con le cancellerie da parte dei legali della
circoscrizione.
Il parere dell'organo di revisione sulle
delibere di giunta
Infine, la Corte affronta il tema del parere dell'organo di
revisione sulle delibere di giunta aventi ad oggetto
transazioni. Pur riconoscendo che la giurisprudenza
prevalente esclude il parere dell'organo di revisione
contabile sulle transazioni di competenza dell'organo
esecutivo, i magistrati ritengono comunque utile segnalare
l'opportunità, da parte dell'ente pubblico, di chiedere un
parere all'organo di revisione anche in riferimento a
transazioni non di competenza del consiglio, ove le stesse
siano di particolare rilievo, o relative a controversie di
notevole entità (articolo
Quotidiano Enti Locali & Pa del 03.05.2017). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
INCARICHI PROFESSIONALI:
Criticità rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente,
di incarichi legali.
L’affidamento diretto di incarichi di
patrocinio legale, operati dall’ente, si pone in contrasto
con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che
esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via
fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i
principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
---------------
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di
programmazione gli incarichi di patrocinio che
prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di
riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni
in un atto di programmazione, pur non rientrando nel
contenuto necessario del DUP,
come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1,
risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di
corretta gestione delle risorse pubbliche.
---------------
Pur costituendo la transazione uno strumento che si presta
ad abusi, la giurisprudenza della Corte dei conti è ormai
consolidata nel ritenere pienamente ammissibile il ricorso a
tale strumento, ove risulti conveniente per
l’Amministrazione, anche in riferimento a fattispecie
rispetto alle quali non sia legislativamente previsto il
tentativo obbligatorio di mediazione.
Occorre tuttavia la massima prudenza da parte dell’ente,
nonché una dettagliata motivazione che dia conto del
percorso logico seguito per giungere alla definizione
transattiva della controversia, anche sulla base di un
giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso.
La deliberazione di Giunta di
autorizzazione alla conclusione della transazione, nella
fattispecie, non ha conseguito (richiesto) il parere
dell’Organo di revisione.
La Sezione è a conoscenza dei precedenti
giurisprudenziali che hanno ritenuto obbligatoria
l’acquisizione di detto parere solo nel caso in cui
costituisca atto di un procedimento che deve concludersi con
una delibera del Consiglio.
Si ritiene comunque utile segnalare
l’opportunità, da parte dell’ente pubblico, di chiedere un
parere all’Organo di revisione anche in riferimento a
transazioni non di competenza del Consiglio, ove le stesse
siano di particolare rilievo, o relative a controversie di
notevole entità.
Ovviamente in detti casi, qualora
non siano state previamente ampliate in via regolamentare le
funzioni dei revisori, ai sensi dell’art. 239, comma 6, del
tuel (ampliamento che è rimesso alla discrezionale potestà
dell’ente locale, ma che sarebbe utile) non vi è l’obbligo
da parte dell’Organo di controllo interno di rendere il
parere.
---------------
testo
deliberazione
A partire dalla
deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione
regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente
consolidata nel considerare il singolo incarico di
patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi,
bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art.
2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già
riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non
riconducibile direttamente agli incarichi professionali
esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del
d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti
obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi,
qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non
potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto,
dovendo essere attribuito a seguito di procedura
comparativa, aperta a tutti i possibili interessati.
Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di
imparzialità, e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa
Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto
generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio
finanziario 2015, approvato con deliberazione n.
66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina
applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo
patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce
dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs.
18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo
incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato
come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui
all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto
e concessione di servizi”), che
considera come contratto escluso la rappresentanza legale di
un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento
giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche
tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca
direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una
nozione di appalto molto più ampia di quella rinvenibile dal
nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto
previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo,
l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia, trasparenza,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio
della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma
l’orientamento consolidato di questa Corte in merito
all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato
esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti
pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una
ricognizione interna finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere
l’incarico (così,
da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n.
66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR
Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare
l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del
nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per
esso debba essere assicurata la massima partecipazione
mediante una procedura di tipo comparativo idonea a
permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in
condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la
scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente
condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il
migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP, ha evidenziato, operando una
specificazione condivisa da questa Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le
amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4
del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di
qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di
operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e
aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla quale
selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori
che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un
principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella
individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati,
dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È
altresì utile precisare che detti elenchi di operatori
qualificati possono essere articolati in diversi settori di
competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un
numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di
urgenza, dettagliatamente motivate e non derivanti da
un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire
l’espletamento di una procedura comparativa, le
amministrazioni possono prevedere che si proceda
all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un
criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di
operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato
tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che
entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si
riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che
possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi
esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di
patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un
appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid
pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al
semplice patrocinio legale”
(C. conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente
giurisprudenza amministrativa, per la quale era
configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento
non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico
dell’amministrazione, ma si configuri come modalità
organizzativa di un servizio, affidato a professionisti
esterni, più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca”
(ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato, la distinzione tra
affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto
di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui
all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica
amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere
presente che è tuttora possibile affidare a un legale un
incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del
t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno
studio, una ricerca o, più frequentemente, un
parere legale.
Ad esso si applicano tutti i presupposti di legittimità
degli incarichi professionali esterni individuati da questa
giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al
conferimento degli incarichi professionali esterni, si
rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di
spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e
ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità
e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari
2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede
nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso, si segnalano i seguenti
specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame
delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e
dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente
all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel
documento unico di programmazione o in altro atto di
programmazione
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro
atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che
prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di
riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni
in un atto di programmazione, pur non rientrando nel
contenuto necessario del DUP,
come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1,
risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di
corretta gestione delle risorse pubbliche.
Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a
disciplinare l’affidamento dei patrocini legali e omesso
accertamento dell’impossibilità di svolgerli all’interno
dell’ente
L’ente
in analisi ha considerato gli incarichi di
patrocinio legale come esclusi dalla disciplina che ha
dettato per l’affidamento degli incarichi professionali
esterni. Tuttavia, non ha regolamentato in alcun modo
l’affidamento di patrocini legali all’esterno: una normativa
finalizzata a disciplinare la materia sarebbe in realtà
opportuna e dovrebbe tra l’altro prevedere che l’affidamento
degli incarichi di patrocinio avvenga, in via preferenziale,
in favore degli avvocati interni all’ente.
Essa dovrebbe, inoltre, procedimentalizzare
l’accertamento, preliminare rispetto all’affidamento di
ciascun incarico, dell’effettiva impossibilità per i legali
dipendenti dall’ente di assumere l’incarico. In mancanza di
una disciplina specifica, è comunque onere dell’ente
accertare, volta per volta, prima di affidare gli incarichi
di patrocinio all’esterno, l’impossibilità da parte dei
componenti dell’ufficio legale a svolgere gli stessi, allo
scopo di evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile
danno all’erario.
Un accertamento di tale tipo è da
considerarsi presupposto necessario per l’affidamento
legittimo all’esterno di un incarico di patrocinio ed è
indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di
tali incarichi come appalti di servizi. La mera indicazione,
nella deliberazione di Giunta “preso atto della
impossibilità da parte dell’avvocatura comunale di assumere
la difesa per effetto del pensionamento del Capo Servizio
contenzioso” non è sufficiente a integrare detto
accertamento, soprattutto se si considera che solo 5
patrocini sono stati affidati nel corso dell’anno
all’Ufficio legale.
Conferimento di un elevato numero di patrocini e di
incarichi esterni, anche in relazione al numero dei legali
in forza all’Ufficio interno
La presenza di un ufficio legale interno
all’ente cui sia istituzionalmente demandata la competenza
in materia di difesa in giudizio ed assistenza giuridica,
implica che l’affidamento delle summenzionate attività a un
soggetto esterno debba rappresentare un’eccezione rispetto
ad un ordinario assetto delle attribuzioni e, anche in
ragione del principio di buon andamento ed economicità dell’agere
pubblico, debba rispondere ad un criterio di stretta
necessità congruamente motivata.
Si ritiene che il Comune debba valutare l’opportunità di
effettuare uno studio, allo scopo di verificare la
possibilità di economicizzare la propria azione, utilizzando
meglio i propri legali.
Ricorso all’affidamento diretto
L’affidamento diretto di incarichi di
patrocinio legale, operati dall’ente in analisi, si pone in
contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte,
che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in
via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i
principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
Ricorso alla transazione
Pur costituendo la transazione uno
strumento che si presta ad abusi, la giurisprudenza della
Corte dei conti è ormai consolidata nel ritenere pienamente
ammissibile il ricorso a tale strumento, ove risulti
conveniente per l’Amministrazione, anche in riferimento a
fattispecie rispetto alle quali non sia legislativamente
previsto il tentativo obbligatorio di mediazione.
Occorre tuttavia la massima prudenza da parte dell’ente,
nonché una dettagliata motivazione che dia conto del
percorso logico seguito per giungere alla definizione
transattiva della controversia, anche sulla base di un
giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso.
La deliberazione di Giunta di
autorizzazione alla conclusione della transazione
descritta nella parte in fatto della presente deliberazione,
reca il parere dell’avvocatura interna, che è integrato nel
parere di regolarità tecnica. Tuttavia, non
è stato richiesto il parere dell’Organo di revisione.
La Sezione è a conoscenza dei precedenti
giurisprudenziali che hanno ritenuto obbligatoria
l’acquisizione di detto parere solo nel caso in cui
costituisca atto di un procedimento che deve concludersi con
una delibera del Consiglio
(Sez. regionale di controllo per il Piemonte,
parere 26.09.2013 n. 345 e Sez. regionale di
controllo per la Puglia,
parere 28.11.2013
n. 181), pertanto tale mancata richiesta non
sembra viziare l’atto.
Si ritiene comunque utile segnalare
l’opportunità, da parte dell’ente pubblico, di chiedere un
parere all’Organo di revisione anche in riferimento a
transazioni non di competenza del Consiglio, ove le stesse
siano di particolare rilievo, o relative a controversie di
notevole entità.
Ovviamente in detti casi, qualora non siano
state previamente ampliate in via regolamentare le funzioni
dei revisori, ai sensi dell’art. 239, comma 6, del tuel
(ampliamento che è rimesso alla discrezionale potestà
dell’ente locale, ma che sarebbe utile) non vi è l’obbligo
da parte dell’Organo di controllo interno di rendere il
parere (Corte dei
Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 26.04.2017 n. 75). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Criticità
rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente, di
incarichi legali.
L’affidamento diretto di un incarico di
patrocinio legale,
operato dall’ente, si pone in
contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte,
che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in
via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i
principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
-------------
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di
programmazione gli incarichi di patrocinio che
prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di
riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di
programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario
del DUP,
come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1,
risponderebbe ad un criterio di buon
andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche.
-------------
L’ente, prima di procedere all’affidamento dell’incarico non
ha accertato la congruità del preventivo, il quale, a tal
fine, dovrebbe essere adeguatamente dettagliato anche sulla
base degli eventuali scostamenti dai valori medi tabellari
di cui al D.M. n. 55/2014.
A tal fine in ragione del principio di buon andamento ed
economicità dell’azione pubblica, sarebbe
altresì opportuno che i preventivi accolti presentassero
decurtazioni rispetto al richiamato valore medio.
Detta valutazione è necessaria per
garantire un’attenta e prudente gestione della spesa
pubblica e deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il
preventivo e l’importanza, nonché la delicatezza della
causa. Il responsabile del procedimento, successivamente,
ogni anno deve chiedere al legale di confermare o meno il
preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto
l’impegno originario, in modo da assicurare la copertura
della spesa.
---------------
testo deliberazione
A partire dalla
deliberazione 03.04.2009 n. 19,
della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era
progressivamente consolidata nel considerare il singolo
incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto
di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale,
regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già
riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non
riconducibile direttamente agli incarichi professionali
esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del
d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti
obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi,
qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non
potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto,
dovendo essere attribuito a seguito di procedura
comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò,
allo scopo di consentire il rispetto dei principi di
imparzialità e trasparenza
(in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di
giudizio di parificazione del rendiconto generale della
Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015,
approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del
15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina
applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo
patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce
dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs.
18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo
incarico di patrocinio legale sembra dover essere inquadrato
come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui
all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto
e concessione di servizi”), che
considera come contratto escluso la rappresentanza legale di
un cliente da parte di un avvocato in un procedimento
giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche
tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca
direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una
nozione di appalto molto più ampia di quella rinvenibile dal
nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto
previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo,
l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia, trasparenza,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità e pubblicità .
L’applicazione anche al singolo patrocinio
della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma
l’orientamento consolidato di questa Corte in merito
all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato
esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti
pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una
ricognizione interna finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere
l’incarico (così,
da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n.
66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334,
il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel
giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla
luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato
come per esso debba essere assicurata la massima
partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo
idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di
partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla
selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni
sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di
assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP,
ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da
questa Sezione, che nell'affidamento di un
patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i
principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici
applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di
un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura
trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla
quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli
operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione
della “rosa” dei soggetti selezionati,
dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È
altresì utile precisare che detti elenchi di operatori
qualificati possono essere articolati in diversi settori di
competenza, e che non sarebbe comunque legittimo prevedere
un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza,
dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia
dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento
di una procedura comparativa, le amministrazioni possono
prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli
incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano
stati istituiti elenchi di operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il
nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito
dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra
enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre
all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale,
fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che
tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o
modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio
legale” (C.
conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente
giurisprudenza amministrativa, per la quale era
configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento
non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico
dell’amministrazione, ma si configuri come modalità
organizzativa di un servizio, affidato a professionisti
esterni, più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca”
(ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato, la distinzione tra
affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto
di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui
all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica
amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere
presente che è tuttora possibile affidare a un legale un
incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del
t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno
studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale.
A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli
incarichi professionali esterni individuati da questa
giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al
conferimento degli incarichi professionali esterni, si
rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di
spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e
ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità
e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari
2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede
nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso, si segnalano i seguenti
specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame
delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e
dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente
all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel
documento unico di programmazione o in altro atto di
programmazione
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro
atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che
prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di
riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di
programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario
del DUP, come
puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1,
risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di
corretta gestione delle risorse pubbliche.
Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a
disciplinare l’affidamento dei patrocini legali ed omesso
accertamento dell’impossibilità di svolgere l’incarico
all’interno dell’ente
Il Comune
di Cesena ha considerato gli incarichi di
patrocinio legale come esclusi dalla disciplina che ha
dettato per l’affidamento degli incarichi professionali
esterni. Tuttavia, non ha regolamentato l’affidamento di
patrocini legali all’esterno: una normativa finalizzata a
disciplinare la materia sarebbe in realtà opportuna e
dovrebbe tra l’altro prevedere che l’affidamento degli
incarichi di patrocinio avvenga, in via preferenziale, in
favore degli avvocati interni all’ente. Essa dovrebbe,
inoltre, procedimentalizzare l’accertamento, preliminare
rispetto all’affidamento di ciascun incarico, dell’effettiva
impossibilità per i legali dipendenti dall’ente di assumere
l’incarico .
In mancanza di una disciplina specifica,
sarebbe stato comunque onere dell’ente accertare, volta per
volta, prima di affidare gli incarichi di patrocinio
all’esterno, l’impossibilità da parte dei componenti
dell’ufficio legale a svolgere gli stessi, allo scopo di
evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile danno
all’erario. Un accertamento di tale tipo sarebbe da
considerarsi presupposto necessario per l’affidamento
legittimo all’esterno di un incarico di patrocinio, anche
qualora si considerasse la scelta del libero professionista
esterna come a carattere fiduciario, ed è indispensabile
anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi
come appalti di servizi.
Ricorso all’affidamento diretto
L’affidamento diretto di un incarico di
patrocinio legale,
operato dall’ente in analisi, si pone in
contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte,
che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in
via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i
principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
Mancanza di una previa valutazione di congruità del
preventivo
L’ente, prima di procedere all’affidamento
dell’incarico non ha accertato la congruità del preventivo,
il quale, a tal fine, dovrebbe essere adeguatamente
dettagliato anche sulla base degli eventuali scostamenti dai
valori medi tabellari di cui al D.M. n. 55/2014.
A tal fine in ragione del principio di buon andamento ed
economicità dell’azione pubblica, sarebbe
altresì opportuno che i preventivi accolti presentassero
decurtazioni rispetto al richiamato valore medio.
Detta valutazione è necessaria per
garantire un’attenta e prudente gestione della spesa
pubblica e deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il
preventivo e l’importanza, nonché la delicatezza della
causa. Il responsabile del procedimento, successivamente,
ogni anno deve chiedere al legale di confermare o meno il
preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto
l’impegno originario, in modo da assicurare la copertura
della spesa.
Peraltro, il generale principio di economicità dell’azione
amministrativa è ora esplicitamente richiamato dall’art. 4
del d.lgs. n. 50/2016.
Ricorso a domiciliazioni legali
Pur avendo l’ente fatto ricorso ad una sola domiciliazione
legale, peraltro per un importo ragionevole, è utile
evidenziare che, poiché la domiciliazione è un incarico in
cui il requisito dell’intuitus personae non è di
particolare rilevanza, la scelta dell’affidatario non può
ragionevolmente fondarsi sull’aspetto prettamente
fiduciario, ma deve orientarsi su un altro criterio di
selezione, in particolare il costo più basso ottenibile
tramite una procedura comparativa.
Non è poi da sottovalutare che, in ragione del fatto che le
comunicazioni da parte delle cancellerie dei tribunali a
mezzo di posta elettronica certificata possono intervenire
presso i difensori legali su tutto il territorio nazionale,
la funzione di interlocuzione diretta con le cancellerie da
parte dei legali della circoscrizione risulta meno
rilevante. Pertanto, l’ente è invitato, per il futuro, a
valutare con la massima attenzione la convenienza di
ricorrere a domiciliazioni legali.
A seguito di istruttoria è pertanto emerso come il Comune di
Cesena abbia proceduto all’affidamento diretto all’esterno
degli incarichi di patrocinio legale, peraltro senza di
volta in volta avere previamente accertato l’impossibilità,
da parte dell’ufficio interno, a svolgere detti incarichi.
Non ci si può esimere dal rilevare, inoltre, come nell’anno
2015 un unico avvocato sia risultato affidatario diretto di
due incarichi di patrocinio su cinque, dell’unico incarico
di domiciliazione e sia stato selezionato a seguito di
comparazione di curricula per uno dei due appalti di
servizi legali; ciò, per un importo totale pari ad euro
45.948,14. Lo stesso avvocato, inoltre, nei due anni
precedenti, quindi tra il 2013 e il 2014, è stato
affidatario di ulteriori 5 incarichi di patrocinio legale e
di 3 appalti di servizi legali, per un importo totale di
euro 86.467,65
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 26.04.2017 n. 74). |
CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO
IMPIEGO: Criticità
rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente, di
incarichi legali e sul rimborso delle spese legali ad
amministratori e dipendenti.
Il rimborso delle spese legali in favore
dei dipendenti e degli amministratori pubblici, assolti per
non avere commesso il fatto nell’ambito di un procedimento
connesso con l’espletamento del servizio, deriva dal
principio per il quale non solo nei rapporti privati, ma
anche in quelli pubblici, chi agisce per un interesse altrui
non deve sopportare nella sua sfera personale gli effetti
svantaggiosi di questa attività, bensì deve essere tenuto
indenne sia dalle spese sostenute, sia dai danni subiti per
la fedele esecuzione del suo compito.
Il rimborso in favore dei dipendenti degli
enti locali è attualmente disciplinato dall’art. 12 del CCNL
del 12.12.2002 per l’area della dirigenza, e dall’art. 28
del CCNL del 14.09.2000, per il restante personale; dette
norme lo subordinano alle circostanze che i fatti o gli atti
siano direttamente connessi all’espletamento del servizio e
all’adempimento dei compiti d’ufficio, all’insussistenza del
conflitto d’interessi e all’assenza di dolo o di colpa
grave.
Solo recentemente il legislatore statale ha
riconosciuto, con
l’art. 7-bis del d.l. 19.06.2015, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 06.08.2015, n. 125,
detto diritto anche in favore degli
amministratori locali; ciò, “nel caso di conclusione del
procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di
un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti
requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente
amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni
esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di
dolo o colpa grave”.
L’assenza di conflitto d’interessi
con l’ente, condicio sine qua non della risarcibilità delle
spese in argomento, richiede in generale l’accertamento che
i beneficiari del rimborso non abbiano tenuto comportamenti
contrari ai doveri d’ufficio.
Solo le pronunce di assoluzione
motivate per insussistenza del fatto o perché l’imputato non
lo ha commesso, consentono di escludere in radice il
conflitto d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai
sensi del comma 2, dell’art. 530, del c.p.p., che ricorre
qualora “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova
che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il
fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da
persona imputabile”, occorrerà altresì verificare l’assenza
del conflitto d’interessi con l’ente pubblico; sarà pertanto
onere dell’ente, prima di rimborsare le spese legali,
effettuare un accertamento interno che, qualora venga aperto
un fascicolo disciplinare, sarà coincidente con le
risultanze di quest’ultimo.
Nello specifico, invece, il Comune ha deliberato il rimborso
delle spese legali sulla mera base di un provvedimento di
archiviazione che si è limitato ad escludere la sussistenza
degli elementi costitutivi del delitto, nonché di un
ulteriore provvedimento di archiviazione relativo a un
procedimento penale connesso al primo, il quale ha
dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta remissione
di querela nei confronti di un dipendente e l’infondatezza
della notizia di reato rispetto ad altro dipendente.
Tali circostanze, in assenza di un
accertamento interno, non escludono che i comportamenti in
argomento possano essere stati contrari a doveri d’ufficio.
---------------
testo
deliberazione
A partire dalla
deliberazione 03.04.2009 n. 19,
della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era
progressivamente consolidata nel considerare il singolo
incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto
di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale,
regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già
riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non
riconducibile direttamente agli incarichi professionali
esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del
d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti
obbligatori per legge
(mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà
discrezionale dell’amministrazione), non
potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto,
dovendo essere attribuito a seguito di procedura
comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò,
allo scopo di consentire il rispetto dei principi di
imparzialità e trasparenza
(in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di
giudizio di parificazione del rendiconto generale della
Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015,
approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del
15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina
applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo
patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce
dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs.
18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di
patrocinio legale appare dover essere inquadrato come
appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui
all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto
e concessione di servizi”), che
considera come contratto escluso la rappresentanza legale di
un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento
giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la
consulenza legale fornita in preparazione di detto
procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di
come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione
europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto
molto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice
civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto
dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento
dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina
del codice dei contratti pubblici conferma l’orientamento
consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di
considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come
connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti
pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una
ricognizione interna finalizzata ad accertare
l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere
l’incarico (così,
da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n.
66/2016).
Con la recente
sentenza 06.02.2017 n. 334,
il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel
giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla
luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato
come per esso debba essere assicurata la massima
partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo
idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di
partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla
selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni
sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di
assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con
Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG
45/2016/AP,
ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da
questa Sezione, che nell'affidamento di un
patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i
principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici
applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di
un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura
trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla
quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli
operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di
rotazione, applicato tenendo conto, nell’individuazione
della rosa dei soggetti selezionati, dell'importanza della
causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare
che detti elenchi di operatori qualificati possono essere
articolati in diversi settori di competenza, e che non
sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di
iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza,
dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia
dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento
di una procedura comparativa, le amministrazioni possono
prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli
incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano
stati istituiti elenchi di operatori qualificati,
l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati
iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che
entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si
riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che
possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi
esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di
patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un
appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid
pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al
semplice patrocinio legale”
(C. conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente
giurisprudenza amministrativa, per la quale era
configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento
non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico
dell’amministrazione, ma si configuri come modalità
organizzativa di un servizio, affidato a professionisti
esterni, più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca”
(ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato, la distinzione tra
affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto
di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui
all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di
collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica
amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere
presente che è tuttora possibile affidare a un legale un
incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del
t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno
studio, una ricerca o, più frequentemente, un
parere legale. Ad esso si applicano tutti i presupposti
di legittimità degli incarichi professionali esterni
individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento
dei vincoli posti al conferimento degli incarichi
professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio
degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze,
studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre,
pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi
finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede
nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con
deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso, si segnalano i seguenti
specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame
delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e
dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente
all’esterno.
Ricorso a domiciliazioni legali
Pur apparendo l’importo complessivamente corrisposto dal
Comune di Ravenna per incarichi di domiciliazione legale
giustificato, poiché sono stati affidati 23 incarichi di
detta tipologia a fronte di una spesa complessiva lorda di
11.712,22 euro, è comunque utile ricordare che, in ragione
della circostanza che le comunicazioni da parte delle
cancellerie dei tribunali, a mezzo di posta elettronica
certificata, possono intervenire presso i difensori legali
su tutto il territorio nazionale, la funzione di
interlocuzione diretta con le cancellerie da parte dei
legali della circoscrizione risulta meno rilevante.
Pertanto, l’ente in analisi è invitato, per il futuro, a
valutare con attenzione la convenienza di ricorrere a
domiciliazioni legali.
Violazione dei principi sul rimborso delle spese legali
Il rimborso delle spese legali in favore
dei dipendenti e degli amministratori pubblici, assolti per
non avere commesso il fatto nell’ambito di un procedimento
connesso con l’espletamento del servizio, deriva dal
principio per il quale non solo nei rapporti privati, ma
anche in quelli pubblici, chi agisce per un interesse altrui
non deve sopportare nella sua sfera personale gli effetti
svantaggiosi di questa attività, bensì deve essere tenuto
indenne sia dalle spese sostenute, sia dai danni subiti per
la fedele esecuzione del suo compito
(C. conti, S.r. n. 707/1991).
Il rimborso in favore dei dipendenti degli
enti locali è attualmente disciplinato dall’art. 12 del CCNL
del 12.12.2002 per l’area della dirigenza, e dall’art. 28
del CCNL del 14.09.2000, per il restante personale; dette
norme lo subordinano alle circostanze che i fatti o gli atti
siano direttamente connessi all’espletamento del servizio e
all’adempimento dei compiti d’ufficio, all’insussistenza del
conflitto d’interessi e all’assenza di dolo o di colpa
grave.
Solo recentemente il legislatore statale ha
riconosciuto, con
l’art. 7-bis del d.l. 19.06.2015, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 06.08.2015, n. 125,
detto diritto anche in favore degli amministratori
locali; ciò, “nel caso di conclusione del procedimento
con sentenza di assoluzione o di emanazione di un
provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti
requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente
amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni
esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di
dolo o colpa grave”.
L’assenza di conflitto d’interessi con
l’ente, condicio sine qua non della risarcibilità
delle spese in argomento, richiede in generale
l’accertamento che i beneficiari del rimborso non abbiano
tenuto comportamenti contrari ai doveri d’ufficio.
Solo le pronunce di assoluzione motivate
per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo ha
commesso, consentono di escludere in radice il conflitto
d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai sensi del
comma 2, dell’art. 530, del c.p.p., che ricorre qualora “manca,
è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto
sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto
costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona
imputabile”, occorrerà altresì verificare l’assenza del
conflitto d’interessi con l’ente pubblico; sarà pertanto
onere dell’ente, prima di rimborsare le spese legali,
effettuare un accertamento interno che, qualora venga aperto
un fascicolo disciplinare, sarà coincidente con le
risultanze di quest’ultimo.
Nello specifico, invece, il Comune di Ravenna ha deliberato
il rimborso delle spese legali sulla mera base di un
provvedimento di archiviazione che si è limitato ad
escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del
delitto, nonché di un ulteriore provvedimento di
archiviazione relativo a un procedimento penale connesso al
primo, il quale ha dichiarato l’estinzione del reato per
intervenuta remissione di querela nei confronti di un
dipendente e l’infondatezza della notizia di reato rispetto
ad altro dipendente.
Tali circostanze, in assenza di un
accertamento interno, non escludono che i comportamenti in
argomento possano essere stati contrari a doveri d’ufficio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 26.04.2017 n. 73). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocati,
ribassi banditi. Il legale non può chiedere
compensi irrisori. Tar Lombardia sulle gare
per affidare la difesa in giudizio dei
comuni.
Nelle gare per affidare la difesa in
giudizio di un comune, l'avvocato non può
proporre un compenso irrisorio. Ad esempio
chiedere solo le spese vive in caso di
soccombenza, contando di vedersi riconoscere
un compenso a carico di controparte in caso
di vittoria, equivale proporre di lavorare
gratis. E questa offerta è inammissibile per
contrasto con il dm sui parametri dei
compensi forensi, che impongono compensi
proporzionati all'attività svolta.
È quanto ha deciso il TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV, con la
sentenza
19.04.2017 n. 902, che
interviene in materia di affidamento con
gara degli incarichi giudiziali agli
avvocati. Tra l'altro, la questione in sé
tutt'altro che pacifica, anche avendo
riguardo al Codice dei contratti pubblici,
in cui gli incarichi ai legali sono inseriti
tra i contratti esclusi, e ritenendosi da
alcuni che questo implichi l'applicazione
delle regole generali, relativi a procedure
selettive, con esclusione degli incarichi
diretti su base fiduciaria.
Tornando al caso lombardo, un comune ha
iniziato una procedura negoziata per
l'affidamento del servizio di rappresentanza
legale dell'ente in un procedimento
giurisdizionale di recupero di un credito
dell'ente nei confronti della società
telefonica. La procedura di gara si è svolta
per via telematica avvalendosi di una
piattaforma regionale e il criterio di
aggiudicazione è stato quello del prezzo più
basso.
Al termine del procedura, il servizio è
stato affidato a uno studio legale. Un altro
avvocato, partecipante alla gara, ha
presentato ricorso al Tar e ha avuto torto.
I fatti rilevanti sono stati i seguenti. Il
criterio di aggiudicazione era quello del
prezzo più basso. E l'avvocato arrivato
secondo ha offerto il prezzo di euro 550,00,
molto inferiore a quello degli altri
partecipanti.
Il funzionario del comune responsabile del
procedimento (Rup) ha chiesto chiarimenti,
invitando a dettagliare l'offerta sulla base
dei compensi da richiedersi a fronte di un
ricorso per decreto ingiuntivo finalizzato
al recupero del credito
dell'amministrazione.
Alla richiesta di chiarimenti, l'avvocato
arrivato secondo ha risposto con una nota,
nella quale, quanto al compenso indicato
nell'offerta (euro 550), l'avvocato
specificava che la stessa corrispondeva
soltanto alle spese «vive» dell'attività
giurisdizionale, in quanto il vero e proprio
compenso professionale sarebbe stato
costituito dal compenso liquidato dal
giudice a proprio favore e posto a carico
della parte perdente, vista la «certezza
della vittoria processuale pronosticata».
Per l'ipotesi di sconfitta l'avvocato non
avrebbe chiesto nulla, se non di trattenere
le 550 euro di spese vive.
Il Tar ha dato torto all'avvocato, per una
serie di ragioni.
Innanzi tutto è contrario alla comune
esperienza affermare che sicuramente si
vincerà la causa, essendo noto ad ogni
operatore del diritto (giudice o avvocato),
che ogni azione giurisdizionale porta in sé
inevitabilmente un margine più o meno ampio
di incertezza.
Inoltre, anche se si vince, non sempre il
giudice liquida le spese a favore
dell'avvocato che difende la parte
vittoriosa.
L'offerta è stata, quindi, ritenuta
indeterminata e condizionata, notando che
nel caso di eventuale soccombenza, l'offerta
del ricorrente finirebbe per essere
un'offerta pari a zero.
E un'offerta pari a zero appare non
legittima in quanto, oltre che non essere
seria e affidabile, non sono emersi ragioni
particolari per le quali la prestazione del
professionista intellettuale debba essere di
fatto gratuita. D'altra parte il decreto
ministeriale sui parametri del compenso
dell'avvocato prescrive che il compenso sia
«proporzionato all'importanza dell'opera» e,
rileva il Tar, un'offerta a compenso zero
appare in evidente contrasto con tale
previsione normativa.
Il giudice ha quindi confermato l'incarico
conferito allo studio legale che ha chiesto
un compenso e ha condannato l'avvocato
arrivato secondo a pagare le spese del
giudizio al Tar.
Dunque questo legale proponeva di fare
attività a compenso zero e si trova ora a
dover pagare oltre 3 mila euro di spese di
soccombenza, da dividere in parti uguali a
favore del Comune e del collega che si è
aggiudicato l'incarico
(articolo ItaliaOggi
Sette dell'08.05.2017). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Per
l’Anac appalto di servizi per tutte le attività dei legali.
Tutte le attività professionali legali svolte per le
pubbliche amministrazioni rientrano nel concetto generale di
appalto di servizi legali e alcune tipologie di pareri
possono essere richiesti anche ad altri professionisti.
L'Autorità nazionale anticorruzione ha sottoposto a
consultazione (del 10.04.2017) (con osservazioni che possono essere presentate
sino al 10 maggio) uno
schema di atto di regolazione
finalizzato a risolvere le problematiche applicative delle
norme del codice sull'affidamento di tali particolari
attività, con particolare riferimento a quelle di gestione
del contenzioso.
Il concetto di appalto di servizio legale
L'Anac evidenzia anzitutto come debba ritenersi superata la
posizione interpretativa formatasi in precedenza, in vigenza
del Dlgs 163/2006, in base alla quale il patrocinio legale,
cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto
bisogno di difesa giudiziale del cliente, fosse inquadrabile
nell'ambito della prestazione d'opera intellettuale,
distinguendolo dai servizi legali, intesi come attività più
complesse e con differente modulo organizzativo.
Il documento posto in consultazione evidenzia, invece, come
tale distinzione non possa più ritenersi attuale, in quanto,
a seguito del recepimento delle direttive comunitarie, la
nozione di appalto è molto lata e ben più ampia della
nozione italiana, come desunta dal codice civile, e in
questo quadro il legislatore europeo ha ricondotto ogni
attività professionale legale in favore delle pubbliche
amministrazioni nel concetto generale di appalto di servizio
legale, non operando alcuna distinzione tra incarico singolo
e occasionale, eseguito dal professionista con lavoro
prevalentemente proprio (senza una necessaria
organizzazione) e incarico di assistenza e consulenza
giuridica eseguita con organizzazione di mezzi e personale.
La gestione del contenzioso in sede giudiziale e
stragiudiziale
L'Anac afferma pertanto che, indipendentemente dalla
qualificazione civilistica del contratto di affidamento
dell'incarico per la prestazione di servizi legali,
l'affidamento deve essere ricondotto alla categoria degli
appalti di servizi e, a seconda della tipologia lo stesso
dovrà essere inquadrato nell'elenco di cui all'articolo 17
del Dlgs 50/2016 oppure nella categoria residuale di cui
all'Allegato IX.
L'esclusione dall'applicazione del codice riguarda non solo
la gestione del contenzioso in sede giudiziale e
stragiudiziale, ma anche i servizi di consulenza legale
prodromici ad un'attività di difesa in un procedimento di
arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, prestati da
avvocati e necessari per valutare la possibilità di tutela
di una propria posizione giuridica soggettiva attraverso la
promozione di uno dei procedimenti in sede giurisdizionale o
stragiudiziale o per valutare l'eventuale fondatezza di una
pretesa da altri vantata nei propri confronti e le possibili
strategie difensive (compresa l'opportunità di pervenire ad
una conciliazione).
Alcune specificità
L'affidamento dei servizi legali esclusi dall'applicazione
del codice deve avvenire comunque nel rispetto dei principi
comunitari (secondo quanto indicati dall'articolo 4 del Dlgs
50/2016), potendo considerare anche alcune specificità (es.
per l'affidamento di un servizio di rappresentanza in
giudizio, la presenza di un pregresso contenzioso che si è
concluso con esito positivo per la stessa amministrazione).
L'Anac precisa come per tali affidamenti le amministrazioni
debbano richiedere preventivi per una valutazione
comparativa, potendo selezionare gli avvocati da elenchi
previamente costituiti mediante una procedura trasparente e
aperta, potendo così restringere tra i soggetti iscritti il
confronto concorrenziale al momento dell'affidamento. Gli
elenchi devono essere costituiti in base a un avviso
pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione e
possono essere eventualmente suddiviso per settore di
competenza.
Nell'ipotesi di costituzioni in giudizio impellenti e non
conciliabili con i tempi sia pur stretti e semplificati
richiesti dall'attuazione dei principi comunitari,
l'autorità considera ammissibile un'estrazione a sorte
dall'elenco o una scelta diretta, ma motivata.
Il documento di consultazione precisa anche gli elementi
interpretativi per l'individuazione dei servizi legali
compresi nell'allegato IX, sottoposti alle regole di
affidamento previste dal codice dei contratti pubblici, con
le possibilità di semplificazione previste dagli articoli
142 e 143. In tale novero secondo l'Anac rientrano
soprattutto quei servizi che si realizzano prevalentemente
mediante la produzione di pareri e di atti di assistenza
legale non connessa alla difesa in giudizio.
Si tratta,
quindi, di attività stragiudiziale non riservata agli
avvocati, ma che può essere svolta anche da altre categorie
professionali dotate di formazione equivalente (consulenti
del lavoro, commercialisti, eccetera) (articolo
Quotidiano Enti Locali & Pa del 12.04.2017). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
No all'affidamento fiduciario ai legali.
L'Anac sull'assegnazione dei servizi.
Gli incarichi agli avvocati non possono essere assegnati
intuitu personae per via fiduciaria, né se si tratti della
difesa in giudizio, né se si tratti di altri servizi legali,
come le consulenze. Inoltre, la circostanza che un servizio
possa essere configurato come prestazione d'opera
individuale non può essere sufficiente per escludere
l'applicazione dei principi del diritto comunitario, che
ispirano le regole contenute nel codice dei contratti.
L'Anac, con il
documento sui servizi legali posto in
consultazione (del 10.04.2017) sul suo sito allo scopo di emanare uno
specifico atto di regolazione, interviene in maniera chiara
e definitiva sull'annosa questione dell'assegnazione dei
servizi legali.
Secondo l'Autorità «non può più considerarsi
attuale» la teoria, sostenuta anche dal Consiglio di stato
con la sentenza della Sezione V, 11.05.2012, n. 2730
secondo cui si dovrebbe distinguere il conferimento di un
singolo incarico di patrocinio legale dall'attività di
assistenza e consulenza giuridica. Il primo caso era
sottratto alla disciplina del dlgs. n. 163/2006 in quanto.
Secondo tale teoria, la difesa in giudizio sarebbe un
«contratto d'opera intellettuale», nell'ambito del quale il
legale opera in via principalmente personale e con lavoro
proprio senza organizzazione imprenditoriale, sicché
sfuggirebbe alla qualificazione di «appalto». Invece,
l'attività di assistenza e consulenza giuridica,
comprendente l'organizzazione di una serie di servizi legali
tra cui plurime difese in giudizio, in quanto caratterizzata
dalla complessità dell'oggetto e dalla predeterminazione
della durata, sarebbe un appalto e, quindi soggetta alle
regole codicistiche.
Il documento posto in consultazione dall'Anac è tranciante
nel negare che col dlgs 50/2016 tale distinzione (molto
dubbia anche nel precedente regime normativo) sia
ulteriormente applicabile e che, quindi, si possano affidare
gli incarichi di difesa in giudizio per via fiduciaria. L'Anac
insiste sulla circostanza che il codice dei contratti
recepisce le direttive comunitarie, a loro volta espressione
di un ordinamento che offre dell'appalto un'accezione lata e
molto più ampia di quella definibile dall'ordinamento
civilistico interno e tale da ricomprendere, nella sostanza,
ogni prestazione di servizi, anche se resa da persone
fisiche con lavoro proprio. Dunque, le «prestazioni d'opera
intellettuale» finiscono per restare attratte nella
disciplina dei contratti.
In particolare, spiega l'Anac, la difesa in giudizio non può
essere regolata dal codice civile, ma dall'articolo 17 del
dlgs 165/2001. Pertanto, la difesa in giudizio è da
considerare senza alcun dubbio come «appalto di servizi»,
anche se escluso dall'applicazione delle regole puntuali
procedurali previste dal codice e, dunque, soggetto solo ai
principi enunciati dall'articolo 4 del codice. L'attuazione
dei quali impone comunque una scelta motivata, trasparente e
competitiva.
Il documento in consultazione propone un'interessante
definizione dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità, pubblicità, il rispetto dei quali impedisce
affidamenti intuitu personae. In particolare, il principio
di imparzialità fa sì che «la stazione appaltante maturi la
sua decisione finale da una posizione di terzietà rispetto a
tutti i concorrenti, senza essere indebitamente influenzata
nelle sue decisioni da interessi politici di parte»: il che
esclude radicalmente gli affidamenti fiduciari.
L'Anac suggerisce di raccogliere manifestazioni di interesse
degli avvocati ad essere iscritti in albi sempre aperti, ai
quali attingere nel rispetto dei criteri di rotazione per
attivare una competizione concorrenziale. La procedura
selettiva dovrà rispettare criteri qualitativi, ma anche
inevitabilmente economici: l'Anac considera inevitabile, nel
rispetto del principio di economicità, chiedere anche un
ribasso sulla base di gara, determinabile in base all'esame
di incarichi analoghi conferiti dalle p.a. o dalle tariffe
professionali vigenti.
Molte amministrazioni si mostrano restie a procedure
selettive per i legali, soprattutto perché preoccupate da
non infrequenti casi nei quali occorre procedere con
urgenza. L'Anac evidenzia che ciò non crea alcun problema:
l'urgenza può consentire un affidamento diretto tramite
estrazione a sorte dall'albo eventualmente costituito dalla
singola pubblica amministrazione o una scelta diretta ma
motivata (del resto, è applicabile anche l'articolo 63 del
codice).
Per questi affidamenti, l'Anac ritiene
indispensabile verificare i requisiti generali dei legali,
in applicazione dell'articolo 80 del codice, sia pure in
forma attenuata. Gli «altri servizi legali», tra i quali i
servizi di certificazione o di consulenza, sono indicati
dall'allegato IX e, pertanto, sono ricompresi nella
disciplina del codice, con una soglia comunitaria di 750.000
euro, in quanto si applicano gli articoli da 140 e 144 del
codice, se sopra soglia. Si può applicare l'articolo 32,
invece, se sotto soglia
(articolo ItaliaOggi del 12.04.2017). |
dicembre 2016 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla
natura del conferimento della difesa legale da parte
della pubblica amministrazione a liberi professionisti.
Sussiste
un terzo orientamento,
maggiormente condiviso in giurisprudenza secondo il quale occorre partire dalla differenza
ontologica tra l’affidamento di un incarico di patrocinio
legale “occasionato da puntuali esigenze di difesa
dell’ente in giudizio” e l’attività di assistenza e
consulenza giuridica “caratterizzata dalla
sussistenza di una specifica organizzazione, dalla
complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della
durata”.
Solo quest’ultimo affidamento,
caratterizzato da “un quid pluris per prestazione o
modalità organizzativa” rispetto al patrocinio legale, e
che richiede l’inserimento nell’apparato amministrativo
dell’Ente, rientra nel novero del “servizio legale”
di cui al punto 21 dell’allegato B del d.lgs. 163/2006 e, in
quanto tale, è soggetto alla disciplina dell’appalto dei
servizi.
Per converso, il contratto di conferimento
di incarico legale, finalizzato esclusivamente alla difesa
tecnica dell’ente in giudizio, rientra nel contratto di
prestazione d’opera intellettuale disciplinato dall’art.
2230 del c.c., e, in quanto tale, non soggiace alla
normativa dell’evidenza pubblica.
Esplicativa, in proposito, è la
deliberazione 03.04.2009 n. 19 resa dalla Sezione
Regionale di controllo per la Basilicata, ove è affermato “Appare
senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni
scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il
contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla
rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa
giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale
regolato dall’art. 2230 c.c. e ss.".
Detta interpretazione è preferibile anche a parere di questo
Collegio, ove si consideri che il
patrocinio legale è occasionato da esigenze contingenti di
difesa in giudizio, che non è predeterminabile nei suoi
aspetti temporali, economici e sostanziali della
prestazione, che è sempre un’obbligazione di mezzi. A ciò si
aggiunga anche la natura strettamente fiduciaria della
prestazione che non è compatibile con una procedura
concorsuale e/o comparativa per la scelta del difensore.
Queste considerazioni trovano peraltro
conforto nella
direttiva 2014/24/UE relativa ai contratti di
appalto ove al punto 25 del considerato viene evidenziato
che “Taluni servizi legali….. comportano la
rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da
parte di avvocati,……. Tali servizi legali sono di solito
prestati da organismi o persone selezionate o designate
secondo modalità che non possono essere disciplinate da
norme di aggiudicazione degli appalti (….). Tali servizi
legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall'ambito di
applicazione della presente direttiva”.
Così come l’art.
10, alla lettera i), esclude l’applicazione della
disciplina degli appalti nei confronti della rappresentanza
legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi
dell’art. 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:
— in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato
membro, un paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o
conciliativa internazionale; oppure
— in procedimenti giudiziari dinanzi a organi
giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o
un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o
istituzioni internazionali.
Tutto ciò considerato l’affidamento di
incarichi legali per la difesa in giudizio non è soggetto
alla normativa del codice degli appalti e, segnatamente, ai
richiamati articoli 20 e 27 del d.lgs. 163/2006.
---------------
La SS.RR. della Corte dei conti, in sede di controllo, con la
delibera 15.02.2005 n. 6/2005,
relativa alle modalità per il conferimento degli incarichi
di studio, ricerca ovvero di consulenza,
ha chiarito che
dagli stessi restano esclusi “gli incarichi di
rappresentanza in giudizio ed il patrocinio
dell’amministrazione” in quanto “conferiti per gli
adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali
ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione”.
Ma anche in questo senso si è espressa la Sezione delle
Autonomie con la
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008; peraltro,
così come evidenziato dal
parere
03.04.2009 n. 8
della Sezione Basilicata “Si aggiunge in questa sede,
inoltre, con riferimento ai
presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6,
del D.Lgs. n. 165/2001,
che la prestazione di patrocinio legale
per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere
ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali
attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto
per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire
obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto
dalla norma. In effetti, la difesa giudiziale
rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il
quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti
(negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si
estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai
paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che
quel potere attribuisce. Per lo stesso motivo, pur essendo
astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera
intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione,
non appare configurabile il mero patrocinio legale
alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al
quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n.
112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito
programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi
dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.“.
Tutto ciò premesso, questo Collegio
ritenendo la natura fiduciaria e personale del rapporto che
intercorre tra assistito e difensore e la non
riconducibilità della difesa legale tra le funzioni
istituzionali dell’Asp, esclude che tale tipo di incarico
rientri nella categoria di cui all’art. 46 del d.l. 112/2008
e quindi alla procedura comparativa di cui all’art. 7, comma
6-bis, del d.lgs. 165/2001.
---------------
Ebbene, rispetto ai conferimenti legali, la Procura contesta
ai convenuti, in primo luogo, di non aver seguito alcuna
procedura comparativa o di evidenza pubblica, in violazione
degli art. 20 e 27 del d.lgs. 163/2006, ma di aver affidato
gli incarichi con modalità strettamente fiduciaria.
Detto assunto non è condiviso dal Collegio.
Invero, sulla natura del conferimento degli
incarichi professionali, e, segnatamente, del conferimento
della difesa legale da parte della pubblica amministrazione
a liberi professionisti, vi sono difformi indirizzi
giurisprudenziali.
- Secondo un primo orientamento, non definibile come
prevalente, tutte le prestazioni rese dagli avvocati in
favore delle amministrazioni sono da considerarsi come “servizi”,
quindi riconducibili, tutti, nel settore indicato al punto
21 dell’allegato II B del d.lgs. 163/2006 (codice degli
appalti).
Tale impostazione scaturisce dall’ampia definizione offerta
dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 59 del 26.03.2010, secondo
la quale il servizio è qualunque attività economica,
imprenditoriale o professionale svolta senza vincolo di
subordinazione, diretta alla fornitura anche di prestazione
intellettuale.
E’ evidente che, in tale ottica, costituisce affidamento di
un servizio anche l’affidamento di incarico ad avvocato per
la difesa in giudizio dell’amministrazione.
Conseguentemente, secondo questo orientamento,
l’amministrazione è tenuta, anche per il patrocinio legale,
alla necessaria osservanza delle disposizioni contenute
negli art. 20, 65, 68, 225 e 27 del codice degli appalti (si
veda TAR Lazio, Latina, sez. I, sentenza n. 606/2011, TAR
Calabria, Reggio Calabria, sentenza n. 330/2008, TAR Puglia,
Lecce, sentenza 25.10.2006).
- Ma in giurisprudenza si è affermato, invero
occasionalmente, anche un opposto orientamento
secondo il quale, tutte le prestazioni professionali degli
avvocati in favore delle amministrazioni, e quindi sia la
difesa legale che l’affidamento di rapporti più complessi
che presuppongono l’inserimento del prestatore nella
struttura amministrativa, sono da qualificarsi come opera
intellettuale ex art. 2230 del c.c.; tale esegesi scaturisce
dalla considerazione che l’appaltatore deve essere per forza
un imprenditore e non un libero professionista iscritto
negli appositi albi (si veda TAR Campania, sentenza n.
4855/2008).
- Vi è, infine, un terzo orientamento,
maggiormente condiviso in giurisprudenza, e anche da questo
Collegio, secondo il quale, occorre partire dalla differenza
ontologica tra l’affidamento di un incarico di patrocinio
legale “occasionato da puntuali esigenze di difesa
dell’ente in giudizio” e l’attività di assistenza e
consulenza giuridica “caratterizzata dalla
sussistenza di una specifica organizzazione, dalla
complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della
durata”.
Solo quest’ultimo affidamento,
caratterizzato da “un quid pluris per prestazione o
modalità organizzativa” rispetto al patrocinio legale, e
che richiede l’inserimento nell’apparato amministrativo
dell’Ente, rientra nel novero del “servizio legale”
di cui al punto 21 dell’allegato B del d.lgs. 163/2006 e, in
quanto tale, è soggetto alla disciplina dell’appalto dei
servizi
(determinazione n. 4 del 07.07.2011 dell’Autorità per a
Vigilanza dei contratti Pubblici di Lavori Servizi e
Forniture, al punto 4.3).
Per converso, il contratto di conferimento
di incarico legale, finalizzato esclusivamente alla difesa
tecnica dell’ente in giudizio, rientra nel contratto di
prestazione d’opera intellettuale disciplinato dall’art.
2230 del c.c., e, in quanto tale, non soggiace alla
normativa dell’evidenza pubblica.
Esplicativa, in proposito, è la
deliberazione 03.04.2009 n. 19 resa dalla Sezione
Regionale di controllo per la Basilicata, ove è affermato “Appare
senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni
scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il
contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla
rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa
giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale
regolato dall’art. 2230 c.c. e ss.".
Detta interpretazione è preferibile anche a parere di questo
Collegio, ove si consideri che il
patrocinio legale è occasionato da esigenze contingenti di
difesa in giudizio, che non è predeterminabile nei suoi
aspetti temporali, economici e sostanziali della
prestazione, che è sempre un’obbligazione di mezzi. A ciò si
aggiunga anche la natura strettamente fiduciaria della
prestazione che non è compatibile con una procedura
concorsuale e/o comparativa per la scelta del difensore.
Queste considerazioni trovano peraltro
conforto nella
direttiva 2014/24/UE relativa ai contratti di
appalto ove al punto 25 del considerato viene evidenziato
che “Taluni servizi legali….. comportano la
rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da
parte di avvocati,……. Tali servizi legali sono di solito
prestati da organismi o persone selezionate o designate
secondo modalità che non possono essere disciplinate da
norme di aggiudicazione degli appalti (….). Tali servizi
legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall'ambito di
applicazione della presente direttiva”.
Così come l’art.
10, alla lettera i), esclude l’applicazione della
disciplina degli appalti nei confronti della rappresentanza
legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi
dell’art. 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:
— in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato
membro, un paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o
conciliativa internazionale; oppure
— in procedimenti giudiziari dinanzi a organi
giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o
un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o
istituzioni internazionali.
Tutto ciò considerato l’affidamento di
incarichi legali per la difesa in giudizio non è soggetto
alla normativa del codice degli appalti e, segnatamente, ai
richiamati articoli 20 e 27 del d.lgs. 163/2006.
Né tale conclusione può essere revocata dal fatto che gli
incarichi affidati all’avv. Ni. siano stati numerosi.
In proposito si evidenzia che al suddetto difensore, così
come ad altri numerosi professionisti, sono stati affidati
incarichi di patrocinio solo in occasione di esigenze
contingenti di difese in giudizio, che, seppure numerosi,
gli incarichi non erano predeterminabili sotto il profilo
temporale ed economico.
Infine, il numero cospicuo non ne modifica la natura
intellettuale e fiduciaria.
IV) La Procura contesta altresì ai convenuti di non aver
osservato, nella scelta del difensore, le disposizioni
contenute negli art.li 6-bis e 7 del d.lgs. 165/2001.
Anche detto assunto non è condiviso.
Invero, indubbiamente, il fatto di inquadrare il contratto
di patrocinio (inteso appunto come quello volto solo a
soddisfare il circoscritto bisogno di difesa giudiziale
dell’ente) nell’ambito del contratto di prestazione d’opera
intellettuale, pone un ulteriore problema e cioè se detto
rapporto rientri o meno nella disciplina delle
collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate
dall’art. 46 del d.l. 112/2008; e conseguentemente se
l’affidamento del patrocinio legale debba sottostare al
conferimento procedimentalizzato e dalla previa procedura
comparativa prevista dall’art. 7, comma 6, e 6-bis del
d.lgs. 165/2001.
A tale legittimo quesito ha risposto la SS.RR. della Corte
dei conti, in sede di controllo, con la
delibera 15.02.2005 n. 6/2005,
relativa alle modalità per il conferimento degli incarichi
di studio, ricerca ovvero di consulenza, ove
ha chiarito che
dagli stessi restano esclusi “gli incarichi di
rappresentanza in giudizio ed il patrocinio
dell’amministrazione” in quanto “conferiti per gli
adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali
ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione”.
Ma anche in questo senso si è espressa la Sezione delle
Autonomie con la
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008; peraltro,
così come evidenziato dal
parere
03.04.2009 n. 8
della Sezione Basilicata “Si aggiunge in questa sede,
inoltre, con riferimento ai
presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6,
del D.Lgs. n. 165/2001,
che la prestazione di patrocinio legale
per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere
ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali
attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto
per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire
obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto
dalla norma. In effetti, la difesa giudiziale
rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il
quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti
(negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si
estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai
paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che
quel potere attribuisce. Per lo stesso motivo, pur essendo
astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera
intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione
(Cass. Civ., III, 26.07.2005, n. 15607),
non appare configurabile il mero patrocinio legale
alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al
quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n.
112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito
programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi
dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.“.
Tutto ciò premesso, questo Collegio
ritenendo la natura fiduciaria e personale del rapporto che
intercorre tra assistito e difensore e la non
riconducibilità della difesa legale tra le funzioni
istituzionali dell’Asp, esclude che tale tipo di incarico
rientri nella categoria di cui all’art. 46 del d.l. 112/2008
e quindi alla procedura comparativa di cui all’art. 7, comma
6-bis, del d.lgs. 165/2001.
V) Le considerazioni innanzi evidenziate inducono ad
escludere anche l’assunta violazione dell’art. 16 della l.
9/2007 a cagione del quale “nelle aziende del servizio
sanitario regionale l'indizione e l’espletamento di
concorsi, le assunzioni, anche a tempo determinato, i
trasferimenti, la mobilità, i comandi ed ogni altra forma di
copertura di posti della dotazione organica anche mediante
forme di lavoro flessibile, collaborazione coordinata e
continuativa o a progetto, sono soggette a preventiva
autorizzazione regionale”.
E’ evidente, infatti, che l’affidamento di
incarichi legali non rientra nelle ipotesi disciplinate
dalla disposizione in esame
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria,
sentenza 27.12.2016 n. 344). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Gli
incarichi
legali costituiscono mere prestazioni di lavoro autonomo
professionale essendo l’affidamento caratterizzato
dall’elemento della fiduciarietà il quale preclude la
riconduzione della fattispecie negoziale all’appalto di
servizi (che potrebbe sussistere, con obbligo di gara
pubblica, solo ove la prestazione richiesta al
professionista non si esaurisca nel patrocinio legale a
favore dell’ente, configurandosi quale modalità
organizzativa di un servizio più complesso ed articolato.
Tale interpretazione tesa all’esclusione
dell’obbligo di gara pubblica è stata avallata dall’art. 17,
comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, il quale ha escluso che
si possano applicare le disposizioni del Codice gli appalti
persino agli incarichi legali qualificabili come appalti di
servizi.
Dunque gli incarichi legali non sono equiparabili
alle mere consulenze esterne, con conseguenziale
inapplicabilità dei limiti per esse previsti, tra cui i
presupposti di legittimità per il ricorso nonché l’obbligo
di procedura ad evidenza pubblica.
---------------
3. Venendo al merito del ricorso l’azione è solo
parzialmente fondata nei limiti di seguito indicati.
...
3.2. Attribuzione di incarichi all’Avv. Cu. in relazione
alle controversie relative alla stabilizzazione del
personale stagionale
Si è contestato al Ma. e al Da., nella qualità di
commissario straordinario e di direttore generale firmanti,
l’attribuzione di incarichi di difesa legale all’Avv. Cu. in
relazione a controversie aventi ad oggetto richieste di
stabilizzazione di operai avventizi assunti a tempo
determinato (pag. 5, 6, e 24 della citazione).
Come emerge dal corpo dell’atto di citazione la
responsabilità potrebbe essere ascritta al funzionario
esecutivo che non avrebbe fatto sottoscrivere i contratti di
lavoro a tempo determinato per gli operai che avevano
lavorato da maggio a novembre senza contratto.
In più la scelta di difendersi in giudizio non può essere,
in ragione delle circostanze del caso concreto, imputata a
colpa grave dei convenuti i quali hanno cercato di evitare
gli effetti prodotti dalla decisione dell’A.G.O., anche alla
luce dei gravi problemi finanziari in cui versava l’ente,
mentre la responsabilità amministrativa non può sorgere
secundum eventum litis, essendo la valutazione in ordine
all’elemento soggettivo essere effettuata ex ante
alla luce delle circostanze di fatto e di diritto esistenti
al tempo dell’azione.
A ciò si aggiunga che al tempo del conferimento
dell’incarico non poteva effettuarsi un affidamento
cumulativo trattandosi di ricorsi incardinati come cause
isolate, solo successivamente riunite dal giudicante. Del
resto i problemi evidenziati con l’Avv. De Ro., dal quale
deriva la denuncia di danno erariale, che hanno condotto al
licenziamento confermato dalla magistratura ordinaria,
avevano fatto venir meno ogni relazione fiduciaria con il
legale interno.
Né gli incarichi legali sono equiparabili alle c.d.
consulenze esterne alle quali si applica il regime degli
art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 e 110, comma 6, d.lgs.
267/2000.
Sia la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730) che gli indirizzi dell’Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici (determinazione 07.07.2011,
n. 4) hanno affermato che
gli incarichi
legali costituiscono mere prestazioni di lavoro autonomo
professionale essendo l’affidamento caratterizzato
dall’elemento della fiduciarietà il quale preclude la
riconduzione della fattispecie negoziale all’appalto di
servizi (che potrebbe sussistere, con obbligo di gara
pubblica, solo ove la prestazione richiesta al
professionista non si esaurisca nel patrocinio legale a
favore dell’ente, configurandosi quale modalità
organizzativa di un servizio più complesso ed articolato
– così C. conti, sez. contr. Basilicata,
deliberazione 03.04.2009 n. 19;
C. conti., sez. contr. Umbria,
parere
19.12.2013 n. 137).
Tale interpretazione tesa all’esclusione
dell’obbligo di gara pubblica è stata avallata dall’art. 17,
comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, il quale ha escluso che
si possano applicare le disposizioni del Codice gli appalti
persino agli incarichi legali qualificabili come appalti di
servizi.
Dunque gli incarichi legali non sono equiparabili
alle mere consulenze esterne, con conseguenziale
inapplicabilità dei limiti per esse previsti, tra cui i
presupposti di legittimità per il ricorso nonché l’obbligo
di procedura ad evidenza pubblica
(aspetto comunque non contestato dalla Procura regionale;
del resto i vari incarichi in questione sono certamente
sotto soglia).
La
sentenza 11.05.2012 n. 2730 del Consiglio di
Stato, Sez. V (in termini
TAR Campania, Napoli, n. 1197/2015), pur escludendo
l’obbligo di gara, ha comunque precisato che l’affidamento
dell’incarico legale è comunque soggetto ai principi
generali dell’azione amministrativa in materia di
imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde
rendere possibile la decifrazione della congruità della
scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di
difesa da appagare.
Nella specie le difese dei convenuti hanno fatto emergere le
ragioni chiare dell’affidamento degli incarichi ad avvocati
esterni alla luce delle criticità che connotavano i rapporti
tra consorzio e Avv. De Ro. (le quali avrebbero condotto al
licenziamento del legale interno) con pieno rispetto dei
sovra menzionati principi.
Ciò premesso, tuttavia, il Collegio ritiene che
la
liquidazione delle parcelle all’Avv. Cu. avrebbe dovuto
tenere conto del carattere seriale delle controversie, con
la conseguente applicazione dell’art. 5, comma 4, d.m.
127/2004 (aumento sull’onorario unico della controversia
pilota).
Tale danno deve essere equitativamente (art. 1226 c.c.)
liquidato in € 15.000,00, anche tenendo conto della
compensatio lucri cum damno nonché esercitando
ampiamente il potere riduttivo dell’addebito, e posto a
carico del solo Ma. (non avendo il direttore generale alcuna
competenza al riguardo)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza
14.12.2016 n. 635). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Codice
appalti, due strade per i servizi degli avvocati.
Alcuni dicono che serve una mini gara, altri
sostengono l'affidamento diretto dell'incarico.
La nuova disciplina dei contratti pubblici sulla
rappresentanza e difesa in giudizio della p.a..
Pasticciaccio sugli incarichi agli avvocati da parte
delle p.a. dopo il nuovo codice degli appalti. C'è
chi dice che bisogna fare una mini gara perché sono
contratti di appalto, anche se si escludono le
procedure più pesanti (gara pubblica) e c'è chi dice
che è un contratto d'opera, assolutamente estraneo
al campo di applicazione del codice dei contratti
pubblici (dlgs 50/2016).
Tutto sta nel fatto che proprio il nuovo codice dei
contratti pubblici indica la rappresentanza e difesa
in giudizio come «servizio escluso». Con
questa classificazione, però, si apre la strada alla
applicazione delle mini gare: se siamo di fronte a
un contratto escluso dall'applicazione dei
procedimenti ordinari, è pur vero che questo
presupporrebbe che siamo nel campo della normativa
sui contratto di appalto. Per stare al di fuori di
questa logica, bisogna qualificare il contratto con
l'avvocato incaricato della difesa in giudizio non
come contratto di appalto di servizi, ma come
contratto d'opera intellettuale.
Ma analizziamo le due impostazioni, mentre le p.a.
vanno a tentoni e aspettano un chiarimento dalla
giurisprudenza.
Appalto.
Una tesi sostiene che gli incarichi ad avvocati sono
appalto di servizio, per cui è escluso l'affidamento
diretto su basi fiduciarie (in latino «intuitu
personae»).
Questa tesi si appoggia sull'art. 17 del codice dei
contratti, che inserisce, tra i contratti cosiddetti
esclusi, i servizi legali, anche quelli concernenti
la rappresentanza legale di un cliente da parte di
un avvocato in un arbitrato o conciliazione, nei
procedimenti giudiziari.
Secondo questa impostazione l'esclusione non
significa che le amministrazioni hanno mano libera.
Anzi è nuova la classificazione di queste attività
come servizi ed è quindi preclusa la strada
dell'affidamento dell'incarico ai sensi del codice
civile, che vale solo per i committenti privati. Il
risultato di questa impostazione è che bisogna
applicare i principi generali degli appalti, tra cui
l'economicità, la trasparenza, la par condicio
tra i concorrenti.
Ci vorrebbe un avviso pubblico, precisando le
caratteristiche del servizio, magari richiedendo
particolari esperienze o specializzazioni. Si può
acquisire le manifestazioni di interesse e poi
passare a un confronto concorrenziale. Non si
esclude la possibilità di una scelta diretta, ma
solo se motivata da urgenza delle procedure.
Opera intellettuale.
La tesi diametralmente opposta fa leva sull'articolo
4 del codice degli appalti. Questo articolo
definisce l'ambito di applicazione dei dlgs 50/2016
ai soli contratti di appalto, tra cui non può essere
inserito il mandato difensivo. L'appalto, infatti, è
un contratto con cui l'appaltatore si assume il
rischio connesso al compimento dell'opera o del
servizio; nel mandato difensivo manca questa
caratteristica, anzi l'articolo 2230 del codice
civile esprime una regola del tutto diversa (tanto
che si parla di obbligazione di mezzi e non di
risultato).
Peraltro sarebbe opinabile una norma che impedisse a
un soggetto giuridico di scegliersi il difensore,
prerogativa certamente connaturata al diritto di
difesa costituzionalmente garantito.
E non si potrebbe dire che il codice dei contratti
del 2016 abbia abrogato implicitamente le
disposizioni del codice civile sull'attività
professionale. Infine viene ricordata la
giurisprudenza del consiglio di stato che si era
pronunciata nel senso di escludere le gare per gli
affidamenti ai legali in vigenza del vecchio codice
dei contratti pubblici (dlgs 163/2006).
Secondo il Consiglio di stato, Sez. V, 11.05.2012 n.
2730 la scelta dell'avvocato per la difesa in
giudizio dell'amministrazione costituisce
prestazione intellettuale, estranea all'applicazione
dell'obbligo di gara per i servizi legali.
Da ultimo ci si chiede come si possa fare a
imbastire le procedure di mini gara quando scadono i
termini processuali e si rischia di incaricare
l'avvocato a ridosso delle scadenze. Ci si chiede
altresì come possa sostenersi la necessità di
rispettare il principio di economicità (prendere
l'avvocato che offre il prezzo più basso) quando in
giudizio vale la regola dell'accollo delle spese in
base alla soccombenza in giudizio (articolo
ItaliaOggi Sette del 05.12.2016 - tratto
da www.centrostudicni.it). |
novembre 2016 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
In merito alla legittimità di liquidare parcelle emesse da
un avvocato, relative a cause per le quali era stato
incaricato dall’ente tramite delibera di Giunta, senza avere
preventivamente acquisito il preventivo di spesa.
L'obbligo di preventivo per incarichi
legali salva l'ente da debiti fuori bilancio. L'ente locale
ha l'obbligo di richiedere un preventivo all'avvocato cui
conferisce un incarico di patrocinio, al fine di evitare la
formazione di debiti fuori bilancio.
La Corte dei
conti, sezione regionale di controllo del Veneto, con il
parere 29.11.2016 n. 375
ha evidenziato come la richiesta di esplicitazione dei
valori economici da parte dei professionisti incaricati di
difendere l'ente sia adempimento ineludibile.
La necessità di un preventivo di massima che indichi la
misura del compenso, oltre a essere oggetto di specifica
previsione da parte della normativa che ha abrogato le
tariffe professionali (l'articolo 9 del Dl 1/2012 convertito
dalla legge 27/2012) e che attualmente disciplina i
compensi, tra l'altro, degli avvocati, viene espressamente
contemplata dal principio contabile applicato concernente la
contabilità finanziaria (allegato n. 4/2 al Dlgs 118/2011).
Le regole contabili
La regola stabilita dal principio contabile, al paragrafo
5.2, lettera g), prevede due misure particolari, finalizzate
proprio a evitare la formazione di debiti fuori bilancio.
Anzitutto essa stabilisce, in deroga al principio della
competenza potenziata, l'imputabilità dell'impegno assunto
con il conferimento dell'incarico all'esercizio in cui il
contratto è firmato, garantendo, in tal modo, la copertura
della spesa.
Il principio impone all'ente anche di chiedere ogni anno al
legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla
scorta del quale è stato assunto l'impegno originario.
Secondo la Corte dei conti, la richiesta confermativa anno
per anno deve essere effettuata dovendo tener conto della
probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel
quale l'obbligazione viene effettivamente a scadenza, del
residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo
di imputazione previsto dal principio suddetto.
Questi elementi e l'obbligo specifico di comunicazione per
ogni anno delle eventuali variazioni del preventivo devono
essere tradotti nel disciplinare d'incarico.
La delibera
Il parere dei magistrati contabili fa rilevare peraltro come
la carenza iniziale nella stima del costo della prestazione
da un lato espone l'ente al rischio (o anche certezza) della
formazione di oneri a carico del bilancio privi della
necessaria copertura, ma da un altro non può influire sulla
esistenza ed entità dell'obbligazione sorta per effetto
dell'espletamento dell'incarico, che deve trovare,
ovviamente nei limiti della effettiva spettanza e nel
rispetto delle norme e dei principi che regolano il
riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la dovuta
rappresentazione contabile nelle scritture dell'ente, allo
scopo di consentirne il regolare adempimento.
Pertanto, qualora la stima non sia stata adeguata ed
effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano
l'impegno assunto, l'alternativa è il riconoscimento del
debito, secondo la procedura disciplinata dall'articolo 194
del Tuel ovvero, nell'ipotesi di non riconoscibilità del
rapporto obbligatorio per la accertata assenza dei
presupposti ivi previsti, l'imputazione diretta del rapporto
medesimo all'amministratore, funzionario o dipendente che
abbiano consentito l'acquisizione della prestazione in
assenza dell'impegno e della necessaria copertura (articolo
191, comma 4, del Tuel) (articolo Quotidiano Enti Locali
& Pa del 21.12.2016).
---------------
MASSIMA
Nella richiesta di parere, il Sindaco del Comune di
Bussolengo (VR) chiede se sia legittimo “liquidare
parcelle di un avvocato relative a cause per le quali lo
stesso era stato incaricato con delibera di Giunta, senza
aver preventivamente acquisito preventivo di spesa” ed,
in caso di risposta affermativa, in che misura, tenuto conto
di quanto affermato, da un canto, dalla Suprema Corte in
merito alla sussistenza, in capo all’ente,
dell’obbligazione, esclusivamente per la somma impegnata in
bilancio e, dall’altro, dalla Corte dei conti (tra
l’altro, nel
parere 01.04.2015 n. 110 della Sezione regionale di
controllo per la Campania) in merito al
ricorso alla procedura del riconoscimento del debito fuori
bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL.
...
Nel merito, esso ha ad oggetto la possibilità di liquidare,
in favore di professionista formalmente incaricato dall’ente
(nella specie, avvocato) e per la prestazione resa, un
importo maggiore di quello impegnato, ove questo,
determinato in assenza di apposito preventivo di spesa,
risulti “significativamente inferiore rispetto all’attività
svolta e documentata da parcella professionale per la quale
sono stati applicati i tariffari previsti dai decreti
ministeriali in materia di onorari e diritti professionali”.
In sostanza, l’ente chiede a questa Sezione se l’assunzione
dell’impegno di spesa costituisca un limite rispetto
all’obbligazione civilistica sorta per effetto del
conferimento dell’incarico al professionista ed, in caso di
risposta negativa, quale sia la procedura corretta da
seguire sotto il profilo contabile ai fini della
liquidazione dell’importo eccedente la previsione.
Il problema ovviamente si pone nei casi in cui la “stima”
del valore della prestazione richiesta al professionista sia
inadeguata e determini, quindi, l’insufficienza dell’impegno
assunto al momento del conferimento.
Deve precisarsi, in merito, che
la necessità di un
preventivo di massima che indichi la misura del compenso,
oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte
della normativa che ha abrogato le tariffe professionali
(art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012)
e
che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli
avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio
contabile applicato concernente la contabilità finanziaria
(All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011),
il quale, al paragrafo
5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione di
debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga al
principio della competenza potenziata, l’imputabilità
dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico
all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in
tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì,
all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o
meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato
assunto l’impegno originario
(ciò in considerazione della
probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel
quale l’obbligazione viene effettivamente a scadenza, del
residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo
di imputazione previsto dal principio suddetto).
Analogamente, prima della entrata in vigore della normativa
sull’armonizzazione dei sistemi contabili appena richiamata,
era previsto che i compensi per prestazioni professionali
dovessero trovare copertura in bilancio già dal momento del
conferimento, in base ad una stima del relativo costo, in
modo da evitare il più possibile la formazione di debiti
fuori bilancio (Principio contabile n. 2 per gli enti locali
formulato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità
degli Enti Locali).
Posto ciò,
la carenza iniziale nella stima del costo della
prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza)
della formazione di oneri a carico del bilancio privi della
necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana
gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed
entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento
dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della
effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei
principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori
bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle
scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare
adempimento.
Come correttamente rilevato dalla Sezione regionale di
controllo per la Campania nel
parere 01.04.2015 n. 110, richiamato nella richiesta di parere, infatti,
ove la stima non sia stata adeguata ed effettivamente i
compensi maturati dal legale eccedano l’impegno assunto,
l’alternativa è il riconoscimento del debito, secondo la
procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL ovvero,
nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto
obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi
previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo
all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano
consentito l’acquisizione della prestazione in assenza
dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4°
comma, TUEL).
In quest’ottica, deve essere risolto il dubbio manifestato
dall’ente circa la possibilità di limitare il vincolo
derivante dal detto rapporto obbligatorio all’importo
dell’impegno di spesa originario.
In primo luogo, deve rilevarsi che la pronuncia della
Suprema Corte da ultimo richiamata nella richiesta di parere
(SS.UU., sentenza n. 10798/2015) non consente affatto di
ipotizzare, sic et simpliciter, “che sia sorta
un’obbligazione per l’ente solo ed esclusivamente per la
somma impegnata in bilancio”.
Oltre a ribadire il carattere di sussidiarietà dell’azione
di indebito arricchimento (art. 2042 c.c.), la sentenza si
limita ad affermare il principio secondo cui
il
riconoscimento, da parte della p.a., dell’utilità della
prestazione o dell’opera non costituisce un requisito
dell’azione di indebito arricchimento e rileva soltanto “in
funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del
riscontro dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente
pubblico”, ma non esime la pubblica amministrazione
dall’attivazione della procedura di riconoscimento del
debito, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed
arricchimento”, atteso che la responsabilità diretta del o
dei dipendenti che hanno consentito la fornitura sorge
soltanto per la (e se vi sia una) ”parte non riconoscibile
ai sensi dell’articolo 194, 1° comma, lett. e)” del TUEL
(art. 191, 4° comma, cit.).
La sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento, che
comporta la non esperibilità dell’azione medesima
nell’ipotesi in cui il danneggiato disponga di un altro
rimedio per farsi indennizzare il pregiudizio subito (art.
2042 c.c.), infatti, oltre ad attenere ad un ambito
processuale e di tutela giurisdizionale
–del tutto diverso
da quello, di natura contabile, al quale è riconducibile la
problematica della gestione della spesa pubblica, oggetto di
esame–
comunque non esclude l’imputabilità dell’obbligazione
direttamente all’ente, qualora si sia verificato un
arricchimento, percepibile come tale e suscettibile di
riconoscimento.
Diversamente, si consentirebbe di riversare indebitamente
sui dipendenti che agiscono in nome e per conto dell’ente
anche il costo di prestazioni dalle quali quest’ultimo abbia
tratto un obiettivo (e consapevole) beneficio e di
arricchirsi, quindi, ingiustamente, a scapito di terzi
(professionista ovvero dipendenti), in violazione del
generale principio secondo cui nemo lucupletari potest
cum aliena iactura
(Corte dei Conti, Sez. controllo
Veneto,
parere 29.11.2016 n. 375). |
INCARICHI PROFESSIONALI: La necessità di un
preventivo di massima che indichi la misura del compenso,
oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte
della normativa che ha abrogato le tariffe professionali
(art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012) e
che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli
avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio
contabile applicato concernente la contabilità finanziaria
(All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011),
il quale, al paragrafo
5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione
di debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga
al principio della competenza potenziata, l’imputabilità
dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico
all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in
tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì,
all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o
meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato
assunto l’impegno originario (ciò in considerazione della
probabile reimputazione ad altro.
---------------
La carenza iniziale nella stima del costo della
prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza)
della formazione di oneri a carico del bilancio privi della
necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana
gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed
entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento
dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della
effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei
principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori
bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle
scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare
adempimento.
Ove la stima non sia stata adeguata ed
effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano
l’impegno assunto, l’alternativa è il riconoscimento del
debito, secondo la procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL
ovvero, nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto
obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi
previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo
all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano
consentito l’acquisizione della prestazione in assenza
dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4°
comma, TUEL).
---------------
Nella richiesta di parere, il Sindaco del Comune di
Bussolengo (VR) chiede se sia legittimo “liquidare
parcelle di un avvocato relative a cause per le quali lo
stesso era stato incaricato con delibera di Giunta, senza
aver preventivamente acquisito preventivo di spesa” ed,
in caso di risposta affermativa, in che misura,
tenuto conto di quanto affermato, da un canto, dalla Suprema
Corte in merito alla sussistenza, in capo all’ente,
dell’obbligazione, esclusivamente per la somma impegnata in
bilancio e, dall’altro, dalla Corte dei conti (tra l’altro,
nella deliberazione della Sezione regionale di controllo per
la Campania n. 110/2015/PAR) in merito al ricorso alla
procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio, ex
art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL.
...
Nel merito, esso ha ad oggetto la possibilità di liquidare,
in favore di professionista formalmente incaricato dall’ente
(nella specie, avvocato) e per la prestazione resa, un
importo maggiore di quello impegnato, ove questo,
determinato in assenza di apposito preventivo di spesa,
risulti “significativamente inferiore rispetto
all’attività svolta e documentata da parcella professionale
per la quale sono stati applicati i tariffari previsti dai
decreti ministeriali in materia di onorari e diritti
professionali”.
In sostanza, l’ente chiede a questa Sezione se l’assunzione
dell’impegno di spesa costituisca un limite rispetto
all’obbligazione civilistica sorta per effetto del
conferimento dell’incarico al professionista ed, in caso di
risposta negativa, quale sia la procedura corretta da
seguire sotto il profilo contabile ai fini della
liquidazione dell’importo eccedente la previsione.
Il problema ovviamente si pone nei casi in cui la “stima”
del valore della prestazione richiesta al professionista sia
inadeguata e determini, quindi, l’insufficienza dell’impegno
assunto al momento del conferimento.
Deve precisarsi, in merito, che
la necessità di un
preventivo di massima che indichi la misura del compenso,
oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte
della normativa che ha abrogato le tariffe professionali
(art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012) e
che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli
avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio
contabile applicato concernente la contabilità finanziaria
(All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011),
il quale, al paragrafo
5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione
di debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga
al principio della competenza potenziata, l’imputabilità
dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico
all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in
tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì,
all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o
meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato
assunto l’impegno originario (ciò in considerazione della
probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel
quale l’obbligazione viene effettivamente a scadenza, del
residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo
di imputazione previsto dal principio suddetto).
Analogamente, prima della entrata in vigore della normativa
sull’armonizzazione dei sistemi contabili appena richiamata,
era previsto che i compensi per prestazioni professionali
dovessero trovare copertura in bilancio già dal momento del
conferimento, in base ad una stima del relativo costo, in
modo da evitare il più possibile la formazione di debiti
fuori bilancio (Principio contabile n. 2 per gli enti locali
formulato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità
degli Enti Locali).
Posto ciò,
la carenza iniziale nella stima del costo della
prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza)
della formazione di oneri a carico del bilancio privi della
necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana
gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed
entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento
dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della
effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei
principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori
bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle
scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare
adempimento.
Come correttamente rilevato dalla Sezione regionale di
controllo per la Campania nel
parere 01.04.2015 n. 110), richiamata nella richiesta di parere, infatti,
ove la stima non sia stata adeguata ed
effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano
l’impegno assunto, l’alternativa è il riconoscimento del
debito, secondo la procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL
ovvero, nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto
obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi
previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo
all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano
consentito l’acquisizione della prestazione in assenza
dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4°
comma, TUEL).
In quest’ottica, deve essere risolto il dubbio manifestato
dall’ente circa la possibilità di limitare il vincolo
derivante dal detto rapporto obbligatorio all’importo
dell’impegno di spesa originario.
In primo luogo, deve rilevarsi che la pronuncia della
Suprema Corte da ultimo richiamata nella richiesta di parere
(SS.UU., sentenza n. 10798/2015) non consente affatto di
ipotizzare, sic et simpliciter, “che sia sorta
un’obbligazione per l’ente solo ed esclusivamente per la
somma impegnata in bilancio”.
Oltre a ribadire il carattere di sussidiarietà dell’azione
di indebito arricchimento (art. 2042 c.c.), la sentenza si
limita ad affermare il principio secondo cui il
riconoscimento, da parte della p.a., dell’utilità della
prestazione o dell’opera non costituisce un requisito
dell’azione di indebito arricchimento e rileva soltanto “in
funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del
riscontro dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente
pubblico”, ma non esime la pubblica amministrazione
dall’attivazione della procedura di riconoscimento del
debito, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità
ed arricchimento”, atteso che la responsabilità diretta
del o dei dipendenti che hanno consentito la fornitura sorge
soltanto per la (e se vi sia una) ”parte non
riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, 1° comma, lett. e)”
del TUEL (art. 191, 4° comma, cit.).
La sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento, che
comporta la non esperibilità dell’azione medesima
nell’ipotesi in cui il danneggiato disponga di un altro
rimedio per farsi indennizzare il pregiudizio subito (art.
2042 c.c.), infatti, oltre ad attenere ad un ambito
processuale e di tutela giurisdizionale –del tutto diverso
da quello, di natura contabile, al quale è riconducibile la
problematica della gestione della spesa pubblica, oggetto di
esame– comunque non esclude l’imputabilità dell’obbligazione
direttamente all’ente, qualora si sia verificato un
arricchimento, percepibile come tale e suscettibile di
riconoscimento.
Diversamente, si consentirebbe di riversare indebitamente
sui dipendenti che agiscono in nome e per conto dell’ente
anche il costo di prestazioni dalle quali quest’ultimo abbia
tratto un obiettivo (e consapevole) beneficio e di
arricchirsi, quindi, ingiustamente, a scapito di terzi
(professionista ovvero dipendenti), in violazione del
generale principio secondo cui nemo lucupletari potest
cum aliena iactura
(Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto,
parere 29.11.2016 n. 375). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Quali limiti alla parcella dell’avvocato?
Alla fine della causa l’avvocato mi ha
presentato una parcella che raggiunge quasi la metà di
quanto l’avversario mi dovrà dare: è legittimo oppure c’è un
limite massimo per il suo compenso?
Così come non esistono limiti minimi alle tariffe degli
avvocati, la legge non prevede neanche limiti massimi: la
parcella dell’avvocato viene quantificata sulla base di
quanto le parti hanno convenuto all’atto del conferimento
del mandato. In pratica, anche in tema di compensi dovuti
all’avvocato vale il principio generale del nostro
ordinamento della libera trattativa tra le parti.
Come, del resto, un negoziante è libero di venderci un
vestito a un prezzo dieci volte superiore al valore del
bene, altrettanto può fare il professionista. Ecco perché è
sempre bene concordare in anticipo la parcella. Peraltro, se
richiesto dal cliente, il preventivo va messo per iscritto,
salvi eventuali «correttivi» in aumento qualora il
giudizio dovesse presentare difficoltà o costi sopravvenuti,
comunque da giustificare. (...continua) (21.11.2016 -
link a www.laleggepertutti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Legali,
parcella per ogni atto. Compenso dovuto anche per
comunicazioni e trasferte. La Cassazione definisce il
perimetro delle competenze economiche degli avvocati.
La Corte di Cassazione (VI Sez. civile) con
ordinanza 10.11.2016 n. 22951,
ha ribadito che all'avvocato è dovuto un compenso per
l'esame del dispositivo di ogni sentenza e di ogni decreto o
ordinanza, anche se emessi in udienza. Sono, altresì, dovuti
i compensi chiesti a titolo di corrispondenza informativa ed
anche quelli per indennità di trasferta.
La Corte di appello aveva parzialmente accolto il ricorso
proposto da Caio, avvocato, e riliquidato le spese di primo
grado in somma diversa da quella richiesta, avuto riguardo
al minimo tariffario previsto dal dm 08/04/2004 n. 127 per
lo scaglione di riferimento in considerazione della minima
complessità della controversia, detraendo l'importo chiesto
a titolo di onorari per la discussione orale e per i diritti
di procuratore le voci relative all'esame della
documentazione di controparte, l'esame di tre ordinanze non
risultando altra ordinanza se non quella di nomina del Ctu
già presente in udienza, quella relativa alla corrispondenza
informativa con il cliente mancando documentazione al
riguardo e le somme chieste a titolo di indennità di
trasferta per tre udienze mancandone la prova necessaria.
Inoltre i giudici della Suprema corte hanno anche
evidenziato come bisogna ritenere per ciò stesso assolto da
parte del difensore il dovere di informare il cliente per
invitarlo a parteciparvi, con la conseguenza che per la
liquidazione della corrispondente voce non è richiesta la
prova.
L'attribuzione di ulteriori competenze per tale titolo è
subordinata, invece, in ossequio a un ormai consolidato
orientamento giurisprudenziale, alla documentazione e,
comunque, alla prova certa dell'effettività della
prestazione professionale come specificamente indirizzata a
tenere informato il cliente di eventi processuali rilevanti
(si veda, tra le altre, Cass. 17/10/2007 n. 8152). Sembra
quindi opportuno evidenziare come il tenore letterale della
voce n. 15 dell'allegato B al dm n. 127 dell'08.04.2004, sia
chiaro nel disporre che è dovuto un compenso «per l'esame
del dispositivo di ogni sentenza e di ogni decreto o
ordinanza, anche se emessi in udienza».
Quanto all'indennità di trasferta i giudici della Cassazione
hanno rilevato che la voce n. 57 della citata tabella
prevede che «Per il trasferimento fuori dal proprio
domicilio sono dovute le spese e l'indennità così come
previste nella tabella degli onorari stragiudiziali».
L'art. 8 della Tabella D prevede che «all'avvocato che,
per l'esecuzione dell'incarico ricevuto, debba trasferirsi
fuori dal proprio domicilio professionale, sono dovute le
spese di viaggio e di soggiorno -pernottamento in albergo 4
stelle e vitto- rimborsate nel loro ammontare documentato,
con una maggiorazione del 10% a titolo di rimborso delle
spese accessorie; in caso di utilizzo di autoveicolo proprio
è dovuta un'indennità chilometrica pari ad un quinto del
costo del carburante a litro, oltre alle spese documentate
per pedaggio autostradale e parcheggio. Sono in ogni caso
dovuti gli onorari relativi alla prestazione effettuata e
un'indennità di trasferta da un minimo di euro 10,00 a un
massimo di euro 30,00 per ogni ora o frazione di ora, con un
massimo di otto ore giornaliere»
(articolo ItaliaOggi Sette del 21.11.2016). |
INCARICHI PROFESSIONALI: L'errore
dell'avvocato non basta. Cassazione.
L'avvocato non è responsabile per il solo fatto di aver
commesso un errore o un'omissione nello svolgimento del suo
incarico. Per accertare la responsabilità professionale,
infatti, è necessario che il cliente, dopo aver mosso
specifiche censure, dimostri la ragionevole probabilità di
un diverso e più favorevole esito in assenza della condotta
asseritamente dannosa.
Così la Corte di Cassazione, Sez. III civile, con la
sentenza 10.11.2016 n. 22882.
Il caso è quello di un'azione di responsabilità
professionale promossa da una società operante nella sanità
privata, nei confronti di due legali, fondata su presunti
errori commessi nel fornire assistenza in relazione ad
alcune fasi di una complessa procedura di licenziamento
collettivo dei propri dipendenti, che, rivelatasi poi
illegittima, si è tradotta in un danno consistente.
Gli Ermellini hanno ritenuto che l'impugnazione promossa
dalla Casa di cura avverso le sentenze di primo e secondo
grado, che avevano escluso la responsabilità dei legali,
fosse essenzialmente priva di pregio, per diverse ragioni.
Con specifico riferimento ai criteri di valutazione
dell'operato dei professionisti, la Corte ha condiviso
l'impianto motivazionale adottato dai Giudici di merito,
fondato su due aspetti: la “marginalità” della
condotta dei professionisti nella produzione del danno e
l'esclusione della colpevolezza.
Quanto al primo, hanno escluso la rilevanza causale di detta
condotta dei legali, atteso che l'incarico era stato loro
conferito “in corso d'opera”, vale a dire in epoca
successiva all'avvio delle procedure amministrative di
licenziamento. Quanto al secondo, hanno valorizzato la
circostanza per cui l'incarico atteneva a questione resa
controversa da una giurisprudenza ambigua, peraltro
complicata da sopraggiunti interventi normativi.
In ogni caso, il “cuore” della sentenza attiene ad un
aspetto di carattere prettamente processuale, che si
traduce, sostanzialmente, in una severa interpretazione
dell'onere della prova a carico del cliente asseritamente
danneggiato
(articolo ItaliaOggi del 17.11.2016). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Per il nuovo codice il patrocinio legale è un
appalto di servizi.
Le attività di rappresentanza legale in giudizio sono
appalti di servizi, compresi tra quelli esclusi
dall'applicazione del codice dei contratti ma assoggettati
al rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario.
L'Autorità nazionale anticorruzione fornisce con il
Parere
sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP
una prima indicazione interpretativa sulla qualificazione
del patrocinio legale alla luce delle previsioni contenute
nel Dlgs 50/2016.
Tra vecchie e nuove regole
L'Anac ricostruisce il quadro formatosi nell'ordinamento
previgente, che aveva condotto alla qualificazione del
patrocinio come contratto di prestazione d'opera
intellettuale, pertanto interamente sottratto alle regole
del Dlgs 163/2006, quindi delinea l'impatto delle nuove
disposizioni.
Rilevando come il nuovo codice dei contratti abbia mantenuto
i servizi legali tra quelli (elencati nell'Allegato IX) cui
si applica il regime alleggerito delineato dagli articoli
140 e seguenti, l'Autorità evidenzia come l'articolo 17 del
Dlgs 50/2016, recependo l'articolo 10 della direttiva
2014/24/Ue, abbia annoverato tra gli appalti esclusi
dall'applicazione del Codice gli appalti di servizi
concernenti cinque tipologie di servizi legali.
In questa classificazione, definita dalla lettera d) dello
stesso articolo 17, rientrano infatti la rappresentanza
legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato
o in una conciliazione nonché in procedimenti giudiziari
dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche.
I princìpi applicabili
Secondo l'Anac, la disposizione del Dlgs 50/2016, pur volta
a sottrarre dall'ambito oggettivo di applicazione del codice
alcuni servizi legali, vale tuttavia a qualificare il
patrocinio legale come un appalto di servizi.
La riconducibilità del patrocinio legale tra gli appalti di
servizi (benché esclusi dall'ambito di applicazione del
nuovo codice) comporta il necessario rispetto dei principi
generali che informano l'affidamento degli appalti pubblici,
esplicitati nell'articolo 4 del Dlgs 50/2016, e la
conseguente impossibilità di procedere attraverso
affidamenti fiduciari.
Per l'applicazione dei principi dell'ordinamento comunitario
l'Anac richiama la
Comunicazione interpretativa della
Commissione Ue 2006/C-179/02, nella quale si stabilisce che
la stazione appaltante deve garantire una procedura di
aggiudicazione equa e imparziale, nonché con adeguata
pubblicizzazione.
La comunicazione interpretativa richiede che siano garantiti
l'uguaglianza di accesso per gli operatori economici di
tutti gli Stati membri, termini adeguati per la
presentazione della manifestazione d'interesse o
dell'offerta e un approccio trasparente e oggettivo, in modo
che tutti i concorrenti conoscano in anticipo le regole
applicabili e abbiano la certezza che tali regole saranno
applicate nello stesso modo a tutti gli operatori.
L'Anac, rilevando come la finalità perseguita con
l'applicazione dei principi dell'ordinamento comunitario sia
l'apertura del mercato alla concorrenza, evidenzia come la
Commissione ammetta espressamente che le amministrazioni
aggiudicatrici possono prevedere di applicare sistemi di
qualificazione, come la redazione di un elenco di operatori
qualificati mediante una procedura trasparente e aperta
oggetto di adeguata pubblicità da cui selezionare, su una
base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati
a presentare offerta.
L'iscrizione all'elenco
Rispetto a questo quadro l'Autorità precisa (richiamando le
proprie linee-guida sugli affidamenti sottosoglia) che
l'iscrizione all'elenco dei soggetti interessati provvisti
dei requisiti richiesti dovrebbe essere consentita senza
limitazioni temporali e di numero (massimo) degli avvocati,
in quanto incidenti sulla concorrenza.
In relazione ai requisiti per l'iscrizione al sistema di
qualificazione, l'Anac evidenzia come in capo ai soggetti
interessati non debbano sussistere i motivi di esclusione
previsti dall'articolo 80 del codice, nonché distingue
nettamente tra il potenziale conflitto di interessi regolato
dall'articolo 42 del Dlgs 50/2016 (che deve essere
verificato caso per caso e non impedisce l'iscrizione) e
quello disciplinato dall'articolo 24 del Codice deontologico
forense, in quanto si tratta di una causa di esclusione che
recepisce il principio di prevenzione dei conflitti tra
interessi contrapposti.
Tale disposizione, infatti, impone all'avvocato di astenersi
dal prestare attività professionale quando questa possa
determinare un conflitto con gli interessi della parte
assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di
altro incarico anche non professionale, risultando quindi
ostativa, quando sussistente, all'iscrizione in un elenco
dell'amministrazione (articolo Quotidiano Enti Locali &
PA dell'08.12.2016).
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MASSIMA
Servizi legali – patrocinio legale – appalto di
servizi – esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione
del Codice – rispetto dei principi generali dell’art. 4 del
d.lgs. n. 50/2016 – elenco di professionisti per
l’affidamento di incarichi di rappresentanza e difesa in
giudizio.
Il patrocinio legale è un appalto di servizi escluso
dall’ambito di applicazione del Codice e va affidato nel
rispetto dei principi di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 50 del
2016.
Non è conforme ai richiamati principi l’affidamento tramite
elenco di professionisti per il quale è congiuntamente
previsto un numero massimo di iscritti, un termine di 60 gg.
per la presentazione delle richieste di iscrizione e la
durata triennale dell’iscrizione.
Articoli 4 e 17 del d.lgs. 50/2016.
---------------
Considerato in fatto
Con nota acquisita al prot. n. 108546 del 14.07.2016,
Equitalia S.p.A. ha chiesto all’Autorità di esprimere il
proprio avviso su alcuni profili dell’adottando sistema di
affidamento di incarichi di rappresentanza e difesa in
giudizio tramite costituzione di elenco di professionisti,
al fine di verificarne il rispetto dei principi fondamentali
della normativa europea in materia di appalti, ai sensi
dell’art. 41 del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto servizi
esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice.
Il “Regolamento per la costituzione dell’elenco dei
professionisti per l’affidamento di incarichi di
rappresentanza e difesa in giudizio da parte delle società
del gruppo Equitalia", che l’istante è in procinto di
emanare, disciplina la costituzione dell’elenco e ne
stabilisce i requisiti e i criteri per l’iscrizione, le
modalità di utilizzo e di eventuale aggiornamento.
In estrema sintesi, il sistema prevede la formazione di un
elenco, di durata triennale -strutturato in sei sezioni,
ciascuna con un numero massimo di iscritti- tramite
l’iscrizione dei soggetti in possesso dei requisiti
richiesti (paragrafo 6) «fino al raggiungimento del
numero massimo dei soggetti iscrivibili per ciascuna
sezione/area geografica dell’Elenco» ed, eventualmente,
tramite sorteggio pubblico, nel caso in cui il numero delle
domande ammesse sia superiore al numero massimo dei soggetti
iscrivibili per ciascuna sezione/area geografica (paragrafi
4 e 5).
Il Regolamento dispone che l’affidamento degli incarichi
agli iscritti nell’Elenco, cui si può ricorrere solo dopo «l’avvenuto
accertamento preliminare dell’impossibilità oggettiva di
utilizzare dipendenti interni» (paragrafo 3), avvenga
sulla base del criterio di rotazione, derogabile solo in
alcune ipotesi predefinite, di modo che «i professionisti
potranno essere destinatari di un nuovo affidamento solo una
volta che sia stato completato il giro di rotazione»
(paragrafo 7).
Più in dettaglio, il paragrafo 5 dedicato alla struttura
dell’Elenco, dopo avere chiarito che «l’inserimento
nell’Elenco non comporta l’attribuzione di alcun diritto e/o
interesse del professionista in ordine a eventuali
conferimenti di incarichi né conseguentemente, l’assunzione
di alcun obbligo da parte delle Società del Gruppo»,
precisa che, con esclusivo riferimento alla sezione V.a
(contenzioso della riscossione che include tutte le Autorità
Giudiziarie competenti in materia di contenzioso della
riscossione con esclusione della Corte di Cassazione), «si
stima che ad ogni professionista potranno essere affidati un
numero annuo di incarichi pari a circa centocinquanta per un
compenso stimato pari a circa 35.000 euro oltre accessori»,
con l’ulteriore precisazione che, «trattandosi di una
stima, il numero degli incarichi e l’importo dei compensi
potrà variare a seconda delle effettive esigenze del Gruppo
Equitalia».
Il primo quesito verte sulla conformità ai principi
di cui all’art. 4 del Codice, con particolare riferimento ai
principi di proporzionalità, economicità, imparzialità e
parità di trattamento, della previsione di un numero annuo
medio di incarichi e di un compenso minimo.
Il paragrafo 4 del Regolamento prevede che sia pubblicato un
avviso sul profilo del committente per 60 giorni, termine
entro il quale gli interessati devono presentare le domande
di iscrizione all’Elenco. Il paragrafo 5 individua le
sezioni in cui è articolato l’Elenco, una delle quali è
ulteriormente suddivisa in sottosezioni geografiche, e il
numero massimo di iscritti per ogni sezione e sottosezione.
Con il secondo quesito, l’istante chiede se la
previsione di un elenco aperto solo per un periodo
predeterminato, unitamente alla previsione di un numero
massimo di iscritti per ciascuna sezione (che l’istante
valuta proporzionato all’entità del contenzioso e al numero
di incarichi tale da assicurare la remuneratività dei
servizi legali affidati), risponda ai principi di cui
all’art. 4 del Codice.
Il paragrafo 6 elenca i requisiti di carattere generale e
speciale che devono essere posseduti ai fini dell’iscrizione
nell’Elenco. Tra questi,
(a) inesistenza di cause di incompatibilità con lo svolgimento
dell’incarico professionale affidato e di situazioni anche
potenziale di conflitti di interesse (è vietato
l’affidamento dell’incarico a familiari, entro il secondo
grado, di dipendenti del Gruppo Equitalia assegnati alle
strutture del contenzioso);
(b) non avere in corso, in qualità di difensore di altre parti, il
patrocinio per cause promosse contro le Società del Gruppo,
Agenzia delle Entrate e INPS;
(c) avere conseguito negli ultimi tre anni solari un volume di
affari pari ad almeno 120.000 euro di cui la quota
costituita da servizi resi al Gruppo Equitalia non potrà
essere superiore al 30% del volume d’affari complessivo;
(d) avere conseguito negli ultimi tre anni solari un fatturato
specifico in attività analoghe a quelle oggetto della
specifica sezione per la quale si chiede l’iscrizione pari
ad almeno 50.000,00 euro, ovvero, ai soli fini
dell’iscrizione nelle sezioni V.a (contenzioso della
riscossione che include tutte le Autorità Giudiziarie
competenti in materia di contenzioso della riscossione con
esclusione della Corte di Cassazione) e V.b (contenzioso
della riscossione davanti alla Corte di Cassazione), avere
svolto almeno 50 incarichi in attività analoghe;
(e) avere svolto nell’ultimo anno solare almeno tre incarichi in
attività analoghe a quelle oggetto della specifica sezione
per la quale si chiede l’iscrizione:
(f) possesso di adeguata polizza assicurativa a copertura dei
rischi derivanti dall’attività professionale con impegno del
professionista ad adeguare il massimale ove richiesto, o, in
alternativa, possesso di una polizza di “responsabilità
professionale” con massimale non inferiore a 2 milioni
di euro.
Il terzo quesito verte sulla conformità ai principi
di cui all’art. 4 del Codice dei requisiti sopra indicati
e,con particolare riferimento al requisito di cui alla
lettera (a) –cause di incompatibilità e conflitti di
interesse– è volto a verificare se esso non introduca una
restrizione della libertà di iniziativa economica
incompatibile con i principi di proporzionalità, efficacia,
imparzialità e parità di trattamento. Viene inoltre chiesto
se l’eventuale previsione di una polizza assicurativa con
massimale non inferiore a 2 milioni di euro sia
proporzionale al compenso minimo stimato di 35.000,00 euro.
Il paragrafo 7 prevede che non saranno conferiti incarichi
ai professionisti iscritti nell’Elenco per i quali dovessero
risultare cartelle di pagamento complessivamente di importo
superiore a 1.000,00 euro per le quali risulti morosità.
Con il quarto quesito l’istante chiede l’avviso
dell’Autorità in ordine al rispetto dei principi di cui
all’art. 4 del Codice della richiamata previsione, tenuto
conto che essa introduce una disciplina più stringente
rispetto alla specifica causa di esclusione di cui all’art.
80, comma 4, del Codice.
Ritenuto in diritto
L’analisi dei singoli quesiti presuppone la sintetica
ricostruzione del quadro normativo di riferimento inerente
l’affidamento dei servizi legali e, in particolare, del
patrocinio legale, che, con l’entrata in vigore del nuovo
Codice, appare significativamente mutato.
Sotto la vigenza del d.lgs. n. 163/2006, i servizi legali,
in quanto ricompresi nell’Allegato IIB, erano sottratti alla
disciplina puntuale del Codice, se non per gli articoli 65,
68 e 225, ed erano soggetti al regime di affidamento
semplificato risultante dal combinato disposto dell’art. 20
e dell’art. 27.
Tuttavia, parte della giurisprudenza distingueva dalla
categoria generale dei servizi legali l’incarico di
patrocinio legale conferito singolarmente, ritenendo
sussistente una differenza ontologica tra l’attività di
assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla
presenza di una specifica organizzazione -riconducibile ad
un servizio oggetto di appalto affidabile tramite procedura
ad evidenza pubblica- e il conferimento del singolo incarico
di patrocinio legale, ritenuto integrante un contratto
d’opera intellettuale e quindi non rientrante nell’ambito
oggettivo di applicazione della disciplina codicistica in
materia di appalti.
Veniva conseguentemente ritenuto che la scelta fiduciaria
del patrocinatore legale fosse esclusivamente soggetta ai
principi generali dell’azione amministrativa in materia di
imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730).
La stessa Autorità, nella
determinazione
07.07.2011 n. 4, aveva
ritenuto che il patrocinio legale, cioè il contratto volto a
soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa
giudiziale del cliente, fosse inquadrabile nell’ambito della
prestazione d’opera intellettuale, in base alla
considerazione per cui il servizio legale, per essere
oggetto di appalto, richieda qualcosa in più, “un quid
pluris per prestazione o modalità organizzativa” (cfr.
Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la
Basilicata, deliberazione n. 19/2009/PAR).
Il nuovo Codice dei contratti ha mantenuto i “servizi
legali” tra quelli - elencati nell’Allegato IX - cui si
applica il regime alleggerito delineato dagli artt. 140 e
ss.
L’art. 17 del d.lgs. n. 50/2016,
tuttavia, recependo l’art. 10 della dir. 2014/24/UE, ha
annoverato tra gli appalti esclusi dall’applicazione del
Codice gli appalti di servizi concernenti cinque tipologie
di servizi legali, tra cui, alla lettera d), n. 1), la
rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato
ai sensi dell’art. 1 della legge 09.02.1982, n. 31, (1.1 in
un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato
membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a
un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; 1.2 in
procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o
autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o
un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o
istituzioni internazionali).
La richiamata disposizione, volta a sottrarre dall’ambito
oggettivo di applicazione del Codice taluni servizi legali,
vale tuttavia a qualificare il patrocinio legale
(sicuramente identificabile nella richiamata lettera d), n.
1), dell’art. 17, comma 1), come un appalto di servizi. La
riconducibilità del patrocinio legale tra gli appalti di
servizi (benché esclusi dall’ambito di applicazione del
Codice) comporta il necessario rispetto dei principi
generali che informano l’affidamento degli appalti pubblici,
esplicitati nell’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, e la
conseguente impossibilità di procedere attraverso
affidamenti fiduciari.
I principi generali che presiedono all’affidamento dei
contratti pubblici sono richiamati nel considerando n. (1)
della direttiva 2014/24/UE che sancisce la necessità che
l’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di
autorità degli Stati membri rispetti i principi del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea e in particolare la
libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento
e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne
derivano, come la parità di trattamento, la non
discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità
e la trasparenza.
L’assunto è recepito dal legislatore nazionale nel combinato
disposto dell’art. 30, comma 1, e dell’art. 4 del d.lgs. n.
50/2016 dove, con riferimento agli appalti e alle
concessioni soggette al Codice (art. 30) e ai contratti
esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione
oggettiva del Codice (art. 4), sono fissati i principi
discendenti dal TFUE che devono presiedere all’affidamento.
Fondamentali indicazioni, anche operative, circa
l’applicazione dei richiamati principi nel caso di
affidamento di contratti esclusi dall’applicazione delle
direttive sono stati fornite dalla Commissione europea nella
Comunicazione interpretativa 2006/C 179/02.
Con specifico riferimento alle procedure di aggiudicazione
dell’appalto, cui si riferiscono i primi due quesiti, la
Commissione ha chiarito che, a corollario dell’obbligo di
garantire una pubblicità trasparente, la stazione appaltante
deve garantire una procedura di aggiudicazione equa e
imparziale. Nella specie, secondo le indicazioni della
Commissione, occorre garantire, tra le altre, l’uguaglianza
di accesso per gli operatori economici di tutti gli Stati
membri, termini adeguati per la presentazione della
manifestazione d’interesse o dell’offerta e un approccio
trasparente e oggettivo, di modo che tutti i concorrenti
conoscano in anticipo le regole applicabili e abbiano la
certezza che tali regole saranno applicate nello stesso modo
a tutti gli operatori. La finalità perseguita è l’apertura
del mercato alla concorrenza.
Circa le modalità pratiche attraverso cui dare attuazione ai
richiamati principi, la Commissione ammette espressamente
che le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere di
applicare sistemi di qualificazione, ovvero «la redazione di
un elenco di operatori qualificati mediante una procedura
trasparente e aperta oggetto di adeguata pubblicità» da cui
selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori
che saranno invitati a presentare offerta.
Rientra nella descritta tipologia il sistema di selezione
che l’istante ha deliberato di adottare.
La peculiarità dell’elenco in esame risiede nel fatto che
Equitalia ha fissato per ciascuna sezione dell’elenco un
numero massimo di iscritti. Tale numero massimo, nel caso
della sezione V.a, risulta calcolato, sulla base dei dati
storici, in modo da garantire tendenzialmente l’affidamento
di un numero annuo di incarichi pari a circa centocinquanta
per un compenso stimato pari a circa 35.000 euro oltre
accessori. A corollario del sistema, il regolamento prevede
che le richieste di iscrizione all’elenco possano essere
presentate solo nell’arco dei 60 giorni durante i quali
l’avviso è pubblicato sul profilo del committente e che
l’elenco ha durata triennale.
Al riguardo, si osserva che la combinazione delle richiamate
disposizioni (numero massimo degli iscritti, termine di 60
gg. per la presentazione dell’istanza e durata triennale
dell’iscrizione) determina un indubbio effetto restrittivo
della concorrenza finendo per comprimere l’effettiva
contendibilità dell’affidamento del servizio di patrocinio
legale da parte dei soggetti potenzialmente interessati.
L’iscrizione dei soggetti interessati provvisti dei
requisiti richiesti dovrebbe essere consentita senza
limitazioni temporali (cfr. proposta di Linee guida
Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di
importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria,
indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di
operatori economici). Qualora le difficoltà gestionali
paventate dall’istante legate al rilevante numero di domande
che verosimilmente potrebbero essere ricevute si rivelassero
non superabili attraverso l’adozione di opportune misure
organizzative, l’effetto restrittivo derivante dalla
limitazione temporale della presentazione delle istanze
dovrebbe essere contemperato dalla riduzione del termine di
validità dell’iscrizione, che potrebbe essere portata a un
anno, in modo da rendere più frequenti le finestre temporali
entro le quali i soggetti qualificati possono manifestare
l’interesse all’iscrizione nell’elenco (60 giorni ogni anno
e non 60 giorni ogni tre anni).
Quanto alla limitazione del numero dei soggetti che possono
iscriversi a ciascuna sezione dell’Elenco, si tratta di una
misura tendenzialmente contraria all’interesse
dell’amministrazione che dovrebbe, in linea di principio,
tendere a poter disporre della platea più ampia possibile di
soggetti qualificati tra cui selezionare, in questo caso
sulla base del criterio di rotazione, gli affidatari del
servizio.
L’imposizione di un numero massimo di iscritti, inoltre, è
di fatto limitativa della concorrenza perché equivale a
contingentare il numero dei soggetti che possono accedere ad
un sistema di qualificazione prodromico all’affidamento di
servizi. Non pare neppure sostenibile che la misura in esame
possa essere legittimata dall’intento di “garantire”
a ciascun professionista qualificato un certo numero di
incarichi annuo, trattandosi di una logica estranea (e
contraria) ai principi informatori –concorrenza e par
condicio su tutti– dell’affidamento dei contratti pubblici.
Il terzo e il quarto quesito riguardano i
requisiti generali e speciali richiesti ai fini
dell’iscrizione nell’Elenco.
Al riguardo, si evidenzia che costituisce ius receptum il
principio secondo cui tutti i soggetti che a qualunque
titolo concorrono all’esecuzione di appalti pubblici devono
essere in possesso dei requisiti di moralità previsti dal
Codice dei contratti. Il possesso di inderogabili requisiti
di moralità rappresenta un fondamentale principio di ordine
pubblico economico che trova applicazione anche nelle gare
riguardanti appalti in tutto o in parte esclusi
dall’applicazione del Codice (Parere
sulla Normativa 11.07.2012 - rif. AG 10/12,
Parere sulla Normativa 03.07.2013 - rif. AG 8/13,
Parere di Precontenzioso 17.07.2013 n. 128 - rif. PREC
119/13/F,
Parere di Precontenzioso 29.07.2014 n. 14 - rif. PREC
56/14/S).
Vi è infatti l’imprescindibile esigenza che il soggetto che
contratta con la pubblica amministrazione sia affidabile e
quindi in possesso dei requisiti di carattere generale
attualmente tipizzati dall’art. 80 del d.lgs n. 50/2016. Se
dunque, nell’ambito delle richiamate procedure, la stazione
appaltante può non esigere il medesimo rigore formale di cui
all’art. 80 e gli stessi vincoli procedurali, essa ha
comunque l’obbligo di verificare in concreto il possesso da
parte dei concorrenti dei requisiti di moralità indicati
nell’art. 80.
Si rileva, inoltre, che la giurisprudenza ha precisato, con
riferimento al previgente Codice ma sulla base di principi
applicabili anche alla vigente normativa, «che nessuna
delle norme del codice dei contratti pubblici (…) sembra
impedire alle Amministrazioni che, come nel caso in esame,
intendono predisporre un elenco di operatori economici da
interpellare per procedure negoziate per l’affidamento di
lavori di subordinare l’inserimento dei candidati
nell'elenco stesso al possesso dei requisiti soggettivi di
cui all’art. 38, comma 1, del predetto codice( …); un
anticipato accertamento (rispetto alle singole procedure)
del possesso dei requisiti in questione non solo non è
espressamente vietato, ma anzi può risultare utile a
prevenire il rischio per le Amministrazioni pubbliche di
intrattenere rapporti o comunque di entrare in contatto con
soggetti nei cui confronti sussistono cause ostative alla
partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e alla
stipulazione dei relativi contratti; ferma comunque la
necessità di operare puntuali verifiche nei confronti dei
soggetti inclusi nell’elenco in occasione delle specifiche
procedure per cui siano interpellati» (TAR Toscana, Sez.
I,
sentenza 24.03.2011 n. 498).
Se dunque appare corretta la richiesta dell’insussistenza
dei motivi di esclusione di cui all’art. 80, la richiesta di
ulteriori requisiti va vagliata alla luce del principio
generale di tassatività della cause di esclusione.
Con riferimento al requisito dell’insussistenza di cause di
incompatibilità con lo svolgimento dell’incarico
professionale affidato e di situazioni anche potenziali di
conflitto di interesse (di cui alla lettera (a) del
richiamato elenco), si rappresenta che il comma 5, lett. d),
dell’art. 80 reca già la disciplina delle indicate
fattispecie prevedendo il divieto di partecipazione alla
gara dell’operatore economico qualora determini una
situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42,
comma 2, non sia diversamente risolvibile.
L’art. 42, comma 2, definisce il conflitto di interesse come
la situazione in cui il personale di una stazione appaltante
che interviene nello svolgimento della procedura di
aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può
influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha,
direttamente o indirettamente, un interesse finanziario,
economico o altro interesse personale che può essere
percepito come una minaccia alla sua imparzialità e
indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di
concessione.
In particolare, costituiscono situazione di conflitto di
interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione
previste dall’art.
7 del d.P.R. 16.04.2013, n. 62, ovvero i casi in
cui l’adozione di decisioni o ad attività possono
coinvolgere interessi del dipendente, ovvero di suoi
parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di
conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di
frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od
organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa
pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito
significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui
sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti,
associazioni anche non riconosciute, comitati, società o
stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o
dirigente.
Qualora ciò si verifica, l’art. 42, comma 3, impone
l’obbligo di astensione del personale dalla partecipazione
alla procedura di aggiudicazione.
Pertanto l’operatività
della causa di esclusione di cui al comma 5, lett. d),
dell’art. 80 scatta unicamente quando la situazione di
conflitto di interessi non sia risolvibile o non sia risolta
tramite la misura prevista dall’art. 42 di astensione del
personale della stazione appaltante coinvolto in tale
situazione.
Ritenuto dunque che, alla luce della disciplina dell’art.
80, peraltro richiamata dal Regolamento in esame, il
conflitto di interessi porta all’esclusione del concorrente
solo come extrema ratio, si reputa che la clausola
del Regolamento che sancisce il divieto di partecipazione
nei casi di conflitto di interesse anche potenziale, oltre a
contrastare con il comma 5, lett. d), dell’art. 80, violi i
principi di proporzionalità e parità di trattamento di cui
all’art. 4 del Codice.
Diverso è il caso del requisito di cui alla lettera (b) del
richiamato elenco (non avere in corso, in qualità di
difensore di altre parti, il patrocinio per cause promosse
contro le Società del Gruppo, Agenzia delle Entrate e INPS),
trattandosi di causa di esclusione che recepisce il
principio di prevenzione dei conflitti tra interessi
contrapposti sancito dal Codice deontologico forense -che
impone all’avvocato di astenersi dal prestare attività
professionale quando questa possa determinare un conflitto
con gli interessi della parte assistita e del cliente o
interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non
professionale (art. 24)- e che dunque è connaturato alla
peculiare qualifica professionale degli operatori economici
interessati alla procedura di selezione in esame.
Quanto al requisito dell’insussistenza di cartelle di
pagamento complessivamente di importo superiore a 1.000,00
euro per le quali risulti morosità (dove per morosità si
intende la sussistenza di cartella di pagamento o avviso di
accertamento esecutivo o avviso di addebito scaduto ed
impagato per debiti complessivi superiori a 1.000,00 euro),
si rappresenta che il “livello di moralità” che il
contraente con la pubblica amministrazione deve possedere è
già stato stabilito dal legislatore, per ciò che concerne la
regolarità contributiva, con i parametri di cui al
comma 4
dell’art. 80. Richieste più stringenti, se non previste da
altre disposizioni di legge vigenti, sono da ritenersi
sproporzionate e lesive della par condicio.
Infine, per ciò che concerne i requisiti speciali, si
evidenzia che le stazioni appaltanti, anche nel caso di
appalti esclusi, hanno facoltà di richiedere, nel rispetto
dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, requisiti
minimi di idoneità tecnica ed economica, anche diversi da
quelli previsti dal Codice, al fine di garantire un
determinato livello di affidabilità dell’aggiudicatario sul
piano economico-finanziario e tecnico-organizzativo (Parere
sulla Normativa 27.05.2015 - rif. AG 37/2015/AP).
Deve ovviamente trattarsi di requisiti individuati «tenendo
conto della natura del contratto ed in modo proporzionato al
valore dello stesso; in ogni caso, detti requisiti non
devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali,
sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza»
(determinazione
10.10.2012 n. 4). Alla stregua dei richiamati
parametri, il requisito di cui alla lettera (c) del
richiamato elenco (volume di affari negli ultimi tre anni di
120.000,00 euro) potrebbe apparire sproporzionato e
potenzialmente discriminatorio nei confronti di soggetti che
abbiano maturato una esperienza specifica nel settore del
contenzioso della riscossione che, per stessa ammissione
dell’istante, è caratterizzato da elevata numerosità degli
incarichi con compensi non rilevanti.
Il Consiglio
ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
●
il patrocinio legale è un appalto di servizi escluso
dall’ambito di applicazione del Codice e va affidato nel
rispetto dei principi di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 50 del
2016.
Non è conforme ai richiamati principi l’affidamento tramite
elenco di professionisti per il quale è congiuntamente
previsto un numero massimo di iscritti, un termine di 60 gg.
per la presentazione delle richieste di iscrizione e la
durata triennale dell’iscrizione
(Parere
sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP
- link a www.anticorruzione.it). |
agosto 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 17. Affidamento di servizi
legali.
Il decreto legislativo 18.04.2016, n.
50, nell'innovare la disciplina dell'affidamento degli
incarichi legali, li definisce come appalti di servizi ed
opera una classificazione individuando sostanzialmente due
categorie di servizi legali, differenziate in base alla loro
natura:
1) i servizi elencati all'art. 17, comma 1, lett. d), (per
lo più connessi alla gestione del contenzioso) che
soggiacciono alla disciplina codicistica soltanto per il
rispetto dei principi generali delineati all'art. 4;
2) le prestazioni legali diverse da quelle lì individuate,
che rientrano invece nei servizi di cui all'allegato IX, per
il cui affidamento è necessario applicare il Codice dei
contratti (con alcune differenziazioni in tema di
pubblicità).
Il Comune chiede un parere con riferimento alla procedura da
seguire per l'affidamento dei servizi legali di cui all'art.
17 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, nell'ambito
delle previsioni contenute nel nuovo Codice degli appalti,
che ha apportato significative modifiche alla disciplina di
tale settore.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza di questa
Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Preliminarmente pare utile ricordare che in base alla
normativa previgente, rinvenibile nel decreto legislativo
12.04.2006, n. 163, i servizi legali (non meglio
specificati) erano ricompresi nei servizi elencati
all'allegato II B; di conseguenza a tali affidamenti,
considerati parzialmente esclusi, si applicavano soltanto
alcune norme del D.Lgs. 163/2006 [1].
Al riguardo, la giurisprudenza [2]
e l'AVCP [3]
distinguevano il conferimento del singolo incarico di
patrocinio legale, che configurava un contratto d'opera
intellettuale sottratto alla disciplina del codice, dalla
attività di assistenza e consulenza giuridica a carattere
complesso, che costituiva invece un appalto di servizi.
Con il nuovo Codice dei contratti il legislatore ha
innanzitutto definito i servizi legali come appalti di
servizi (art. 17, comma 1), ed ha quindi operato una sorta
di classificazione di tali servizi legali, determinando il
superamento della distinzione in base alla funzione degli
affidamenti (prestazioni complesse e strutturate o incarichi
di patrocinio/difesa legale, collegati a necessità
contingenti).
L'art. 17, comma 1, lettera d), elenca una serie di servizi
legali che non soggiacciono all'applicazione delle
disposizioni del Codice (fatto salvo il rispetto, come si
dirà nel prosieguo, dei principi di cui all'art. 4); tutti
gli altri servizi legali lì non individuati rientrano invece
nei servizi di cui all'allegato IX, per i quali trova
applicazione il Codice, con alcune differenziazioni in tema
di pubblicità.
Nel dettaglio, non sottostanno alla disciplina codicistica i
servizi di:
'1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un
avvocato ai sensi dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n.
31, e successive modificazioni:
1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato
membro dell'Unione europea, un Paese terzo o dinanzi a
un'istanza arbitrale o conciliativa internazionale;
1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o
autorità pubbliche di uno Stato membro dell'Unione europea o
un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o
istituzioni internazionali;
2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei
procedimenti di cui al punto 1.1), o qualora vi sia un
indizio concreto e una probabilità elevata che la questione
su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento,
sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi
dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n. 31, e successive
modificazioni;
3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti
che devono essere prestati da notai;
4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o
altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un
organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per
legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di
detti organi giurisdizionali;
5) altri servizi legali che sono connessi, anche
occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri; (...)'.
Tutti gli altri servizi legali non indicati all'articolo
citato, e riferibili sostanzialmente alle prestazioni di un
avvocato non connesse al contenzioso, vengono invece
ricompresi, come anticipato, nei servizi di cui all'allegato
IX, per i quali è previsto l'affidamento con l'applicazione
quasi integrale del Codice.
Infatti l'art.35, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 50/2016
prevede l'applicazione ai servizi indicati all'allegato IX
delle norme del nuovo Codice al superamento della soglia
prevista di 750.000 euro e introduce un regime differenziato
soltanto per quanto concerne la pubblicazione degli avvisi
(art. 142). [4]
Per quanto riguarda invece le procedure di affidamento dei
contratti sotto soglia, compresi quelli relativi ai servizi
specifici elencati all'allegato IX per i quali, come detto,
la soglia prevista è di 750.000 euro, si rinvia alle Linee
guida fornite dall'ANAC, approvate dal Consiglio
dell'Autorità nell'adunanza del 28.06.2016.
Per contro, con riferimento ai servizi legali elencati
all'art. 17, comma 1, lett. d), è opportuno tenere presente
che l'affidamento dei contratti esclusi (in tutto o in
parte) deve comunque avvenire nel rispetto dei principi di 'economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità pubblicità (...)' richiamati dall'art.
4.
Ne deriva che le amministrazioni sono tenute a definire le
procedure di affidamento dei servizi legali di gestione del
contenzioso garantendo adeguate forme di pubblicità e di
tutela della concorrenza. [5]
---------------
[1] L'art. 20, comma 1, del D.Lgs. 163/2006 così
recitava: 'L'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto
i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata
esclusivamente dall'articolo 68 (specifiche tecniche),
dall'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di
affidamento), dall'articolo 225 (avvisi relativi agli
appalti aggiudicati).' Parimenti, agli affidamenti di
contratti aventi ad oggetto servizi esclusi, in tutto od in
parte, dall'ambito di applicazione del Codice, si applicava
anche l'art. 27, il cui comma 1 disponeva il rispetto dei
principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza e proporzionalità.
[2] Nella sentenza n. 2730 dell'11.05.2012, la Quinta
Sezione del Consiglio di Stato rimarcava l'esistenza di una
'differenza ontologica che, ai fini della qualificazione
giuridica delle fattispecie e delle ricadute ad essa
conseguenti in materia di soggezione alla disciplina recata
dal codice dei contratti pubblici, connota l'espletamento
del singolo incarico di patrocinio legale, occasionato da
puntuali esigenze di difesa dell'ente locale, rispetto
all'attività di assistenza e consulenza giuridica,
caratterizzata dalla sussistenza di una specifica
organizzazione, dalla complessità dell'oggetto e dalla
predeterminazione della durata. Tali elementi di
differenziazione consentono, infatti, di concludere che,
diversamente dall'incarico di consulenza e di assistenza a
contenuto complesso, inserito in un quadro articolato di
attività professionali organizzate sulla base dei bisogni
dell'ente, il conferimento del singolo incarico episodico,
legato alla necessità contingente, non costituisca appalto
di servizi legali ma integri un contatto d'opera
intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in
materia di procedure di evidenza pubblica'.
[3] L'AVCP (ora ANAC), nella determinazione n. 4 del
07.07.2011, affermava che 'il patrocinio legale, cioè il
contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno
di difesa giudiziale del cliente, sia inquadrabile
nell'ambito della prestazione d'opera intellettuale, in base
alla considerazione per cui il servizio legale, per essere
oggetto di appalto, richieda qualcosa in più, 'un quid
pluris per prestazione o modalità organizzativa' (cfr. Corte
dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata,
deliberazione n. 19/2009/PAR)'.
[4] Si veda ANAC, FAQ sul D.Lgs. 50/2016 nel periodo
transitorio, allegate al Comunicato del Presidente
dell'08.06.2016, con riferimento ai servizi sociali
rientranti nell'allegato IX.
[5] Si vedano, in dottrina, A. BARBIERO, 'Appalti: per gli
incarichi agli avvocati serve la «mini-gara» pubblica' su Il
Sole 24 Ore di lunedì 16.05.2016; L. OLIVERI, 'Servizi
legali, il nuovo codice dei contratti chiarisce che sono
appalti - no intuitu personae' su luigioliveri.blogspot.it;
G. PISANO, 'L'affidamento dei servizi legali. Prime
considerazioni alla luce del nuovo codice degli appalti
(d.lgs. 19.04.2016, n 50)' su www.gianlucapisano.it (10.08.2016
-
link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla
possibilità da parte del Comune, privo di un servizio
interno di avvocatura, di affidare annualmente un appalto
per l’affidamento dello svolgimento del servizio di
assistenza legale “che si sostanzi in un servizio di
consulenza legale oltre che di patrocinio dell’ente nelle
possibili vertenze che possano coinvolgere l’Ente in sede
civile, amministrativa, tributaria ed anche penale".
Questa Sezione non può fornire indicazioni
puntuali sul versante gestionale, esprimendosi sul quesito
nei termini formulati dall’Ente, per dirimere il dubbio
relativo alla conferibilità in concreto di appalti annuali
per l’affidamento dei servizi di rappresentanza e consulenza
legale al di fuori delle garanzie previste dal codice dei
contratti pubblici per i servizi “non esclusi”,
trattandosi di questione la cui soluzione si presenta
prodromica all’adozione di concreti atti gestionali, la cui
valutazione spetta alla specifica attribuzione dei
competenti organi comunali (organi politici coadiuvati ex
art. 97 del T.U.E.L. dagli organi gestionali dell’Ente).
----------------
PREMESSO
che con nota indicata in epigrafe, non inoltrata a questa
Sezione tramite il C.A.L., il Sindaco del Comune di
Bracciano (RM) formulava richiesta di parere in ordine alla
possibilità da parte del Comune, privo di un servizio
interno di avvocatura, di affidare annualmente un appalto
per l’affidamento dello svolgimento del servizio di
assistenza legale “che si sostanzi in un servizio di
consulenza legale oltre che di patrocinio dell’ente nelle
possibili vertenze che possano coinvolgere l’Ente in sede
civile, amministrativa, tributaria ed anche penale là dove
si configuri l’opportunità che il Comune di Bracciano si
costituisca parte civile nell’ambito di procedimenti penali”.
A tal fine precisava che l’art. 17 del D.Lgs. n. 50/2016
(codice dei contratti pubblici) esclude gli appalti
concernenti i servizi legali anche di consulenza
dall’applicazione delle disposizioni del codice e,
trattandosi di servizi “esclusi”, pare consentire il
conferimento del patrocinio e della consulenza legale
attraverso un appalto di servizio, da effettuarsi in
applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016 e nel
rispetto dei principi da esso elencati.
Concludeva, pertanto, chiedendo se fosse legittimo
per l’Ente procedere all’affidamento di un appalto annuale
di servizi di rappresentanza e consulenza legali in
applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016, al fine di
velocizzare e semplificare l’azione amministrativa, “senza
incorrere nel rischio di successive censure e/o contenziosi”.
CONSIDERATO
che le Sezioni Regionali di controllo della Corte dei Conti
sono investite, ex art. 7, comma 8, della L. n. 131/2003,
del potere di rendere pareri, ma che l’esercizio di siffatta
funzione consultiva è subordinato alla previa verifica in
concreto della coesistenza di due noti requisiti di
ammissibilità: la legittimazione soggettiva dell’organo
richiedente, che deve essere il legale rappresentante pro
tempore di uno degli Enti previsti dalla L. n. 131 del 2003
e, sotto il profilo oggettivo, l’attinenza del quesito
prospettato alle materie di contabilità pubblica.
Nel caso di specie, relativamente alla sussistenza del profilo soggettivo,
la richiesta di parere è ammissibile, in quanto presentata a
firma del Sindaco pro-tempore, soggetto munito di generali
poteri di rappresentanza politico-istituzionale e dunque
legittimato ad esprimere la volontà e ad impegnare l’Ente
locale verso l’esterno (art. 50 TUEL).
Occorre comunque segnalare che la richiesta di parere è
stata inoltrata a codesta Sezione direttamente dal Comune a
mezzo PEC, senza seguire la vigente procedura, che ne
prescrive l’invio di norma per il tramite del Consiglio
delle Autonomie Locali (C.A.L.), previsto dall’art. 123,
comma 4, Cost. ed istituito dall’art. 66 dello Statuto della
Regione Lazio, nonché disciplinato -nei suoi profili
attuativi- dalla legge regionale n. 1/2007, organo del quale
-da tempo- la Sezione sollecita il concreto svolgimento
della funzione di “filtro” attribuitagli a livello
ordinamentale e ribadita dalla Sezione delle Autonomie (delib.
n. 13/AUT/07), per agevolare la pronta ed omogenea
risoluzione delle questioni interpretative di contabilità
pubblica nell’ambito del territorio regionale di
riferimento.
Sotto il profilo oggettivo, invece, la richiesta di parere
verte su questione avente per oggetto l’interpretazione di
due norme del codice dei contratti pubblici: gli articoli 4
e 17 del D.Lgs. n. 15 del 2016, di cui appare quanto meno
dubbia la riconducibilità alla materia della “contabilità
pubblica”, al fine di poter ritenere esercitabile la
funzione consultiva, pur essendo foriera la loro
applicazione in termini diversi da parte dell’Ente di
probabili effetti finanziari riflessi.
Occorre preliminarmente ricordare che la nozione di
contabilità pubblica che rileva nell’esercizio della
funzione consultiva è, com’è noto, più ristretta di quella
generale, anche considerato che la funzione consultiva di
cui al comma 8 dell’art. 7 della legge n. 131/2003 deve
essere in ogni caso ricollegata al precedente comma 7, che
attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare
il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento
degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di
principio e di programma, nonché la sana gestione
finanziaria degli Enti locali. Sul punto, sono anzitutto di
ausilio gli indirizzi ed i criteri generali elaborati dalla
Sezione delle Autonomie della Corte dei conti ed
esplicitati, in particolare, nell’atto di indirizzo del
27.04.2004, nonché nella deliberazione n. 5/AUT/2006 del
10.03.2006.
In quest’ultima, premesso che la funzione consultiva della
Corte non può “investire qualsiasi attività degli enti
che abbia comunque riflessi di natura
finanziaria-patrimoniale…con l’ulteriore conseguenza che le
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie
locali”, si è voluto restringere l’ambito oggettivo
della nozione di contabilità pubblica, limitandolo alla
normativa disciplinante, in generale, l’attività finanziaria
che precede o che segue i distinti interventi di settore,
compresi, in particolare, la disciplina dei bilanci ed i
relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate,
l’organizzazione finanziario-contabile, la disciplina del
patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la
rendicontazione ed i relativi controlli.
Al riguardo, le Sezioni Riunite della Corte dei conti,
intervenendo qualche anno dopo con una pronuncia in sede di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17,
co. 31, del D.L. 01.07.2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102, hanno
delineato un concetto unitario di contabilità pubblica,
incentrato sulla tradizionale nozione di “sistema di
principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e
patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici”, da
integrarsi in senso dinamico, ossia da intendersi “in
continua evoluzione in relazione alle materie che incidono
direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui
pertinenti equilibri di bilancio”.
Tale accezione dinamica della “contabilità pubblica”
pare consentire un ampliamento dell’angolo visuale rispetto
al tradizionale contesto della gestione del bilancio,
giungendo ad attrarre nell’orbita dell’attività consultiva
della Corte ulteriori materie, che ne resterebbero
altrimenti estranee, ma che vengono ad esservi ricomprese,
in quanto afferenti ad aspetti che implicano problematiche
interpretative inerenti a statuizioni recanti limiti e
divieti “strumentali al raggiungimento degli specifici
obiettivi di contenimento della spesa ed idonei a
ripercuotersi sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e
sui relativi equilibri di bilancio” (SS.RR. delibera n.
54, del 17.11.2010).
Ne discende che –allo stato– sono suscettibili di essere
esaminate in sede consultiva, non soltanto le questioni
tradizionalmente riconducibili al concetto di contabilità
pubblica intesa come sistema di principi e di norme che
regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e
degli Enti pubblici, ma “anche quelle materie che
risultano connesse alle modalità di utilizzo delle risorse
pubbliche nel quadro di specifici obiettivi di contenimento
della spesa sanciti dai principi di coordinamento della
finanza pubblica ed in grado di ripercuotersi direttamente
sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti
equilibri di bilancio” (come ribadito, anche
successivamente, da SS.RR., delibera n. 14 dell’08.03.2011).
La Sezione Autonomie ha operato ulteriori precisazioni
rilevando come, pur costituendo la materia della contabilità
pubblica “una categoria concettuale estremamente ampia”,
i criteri utilizzabili per valutare ammissibile, sotto il
profilo oggettivo, una richiesta di parere possono essere,
oltre al “riduttivo ed insufficiente…criterio dell’eventuale
riflesso finanziario di un atto…sul bilancio dell’ente”,
anche l’attinenza del quesito proposto “ad una competenza
tipica della Corte dei conti in sede di controllo sulle
autonomie territoriali” (deliberazione n. 3/2014/SEZAUT).
Competenza tipica che -in relazione alla materia degli
appalti pubblici disciplinata dall’apposito codice (D.Lgs.
n. 15/2016)- non si rinviene, trattandosi di profili
pertinenti e riconducibili ad altri organi e plessi
giudiziari.
È appena il caso di osservare che il sindacato di
legittimità sulle delibere di conferimento di servizi
legali, anche in assenza di selezione pubblica è devoluto
alla giurisdizione del G.A. (in tal senso, espressamente,
Tar Campania, Salerno, sez. II – Sentenza 16.07.2014 n.
1383), per cui ove si opinasse diversamente si creerebbe
anche il rischio di interferenza nel senso che, ove fosse
reso, il parere potrebbe giungere ad interferire con
l’esercizio delle funzioni giurisdizionali demandate per
legge ad altri ordini magistratuali.
Ciò posto, deve anche ribadirsi che la funzione consultiva
non può svolgersi in ordine a quesiti concreti che
implichino valutazioni di comportamenti amministrativi
riservati al giudizio discrezionale dell’Ente e ciò
all’evidente fine sia di tutelare l’autonomia decisionale
dell’amministrazione, sia di mantenere la necessaria
posizione di neutralità e di indipendenza della Corte dei
conti.
Possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei
Conti le sole questioni volte ad ottenere l’esame, da un
punto di vista astratto e generale, di una normativa
contabile al fine di dirimerne un dubbio ermeneutico,
dovendo quindi ritenersi inammissibili le richieste
concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici
o in cui difetta -come nel caso specifico- la sussistenza di
un dubbio ermeneutico da sciogliere sotto il profilo
giuscontabilistico.
Non è possibile, pertanto, scendere in valutazioni
suscettibili di determinare un’ingerenza nella discrezionale
attività dell’Ente, né l’ausilio consultivo può tramutarsi
in una sorta di autorizzazione preventiva a provvedere
idonea ad esonerare da responsabilità
amministrativo-contabile o di altro genere. Ciò in quanto è
d’uopo ribadire che il limite conformativo della funzione
consultiva esclude qualsiasi possibilità di interferenza con
la concreta attività gestionale ed amministrativa ricadente
nell’esclusiva competenza dell’Ente locale.
Questa Sezione,
perciò, non può fornire indicazioni
puntuali sul versante gestionale, esprimendosi sul quesito
nei termini formulati dall’Ente, per dirimere il dubbio
relativo alla conferibilità in concreto di appalti annuali
per l’affidamento dei servizi di rappresentanza e consulenza
legale al di fuori delle garanzie previste dal codice dei
contratti pubblici per i servizi “non esclusi”,
trattandosi di questione la cui soluzione si presenta
prodromica all’adozione di concreti atti gestionali, la cui
valutazione spetta alla specifica attribuzione dei
competenti organi comunali (organi politici coadiuvati ex
art. 97 del T.U.E.L. dagli organi gestionali dell’Ente)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio,
parere 01.08.2016 n. 97). |
luglio 2016 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Parcelle, non serve nota spese. Per dimostrare
che il compenso è al di sotto dei minimi. AVVOCATI/ Per la
Cassazione è sufficiente descrivere in modo succinto le
prestazioni.
Nel caso in cui a un avvocato vengano liquidati compensi al
di sotto dei minimi, per verificare tale violazione in
appello non sarà necessario produrre la nota spese.
Lo hanno stabilito i giudici della VI-2 Sez. civile
della Corte di Cassazione con la
sentenza
13.07.2016 n. 14342.
Nel processo di appello del caso sottoposto all'attenzione
dei giudici di piazza Cavour, il giudice si era espresso in
questi termini: «la parte appellante non produce alcuna nota
spese e non specifica le voci e gli importi considerati in
ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in
onore (...) tale difetto vale a giustificare la statuizione
di inammissibilità dell'appello, in ragione della inidoneità
delle censure a consentire, comunque, la rideterminazione
dei compensi professionali».
Gli Ermellini hanno, quindi,
osservato come dal punto di vista sostanziale l'avvocato che
si era rivolto alla Cassazione si era doluto con l'appello
dell'evidente inadeguatezza della liquidazione delle spese
operata dal primo giudice, effettuata globalmente e
palesemente al di sotto dei minimi tariffari applicabili.
Pertanto, a parere dei giudici della suprema corte,
dall'evidenza di tali doglianze sarebbe stato possibile
consentire all'appellante di «prospettare le censure in
termini sintetici, senza ulteriormente dettagliare le
attività svolte, avendo sufficientemente descritto nello
svolgimento del processo (risultante comunque dagli atti),
le attività che necessariamente erano state espletate per
giungere alla pronuncia della sentenza di primo grado».
Inoltre, nel caso di specie, tutte le indicazioni necessarie
per individuare il valore della causa erano state fornite
dall'avvocato in sede di appello, ed era apparso chiaro come
la selezione della tariffa professionale applicabile (e dei
relativi importi quanto meno nella loro misura minima) fosse
attuabile in modo del tutto agevole attraverso il tipo di
controversia e le date di inizio e di fine del giudizio.
Né, secondo i giudici della Cassazione, era necessario
depositare una nota spese, che avrebbe invece imposto al
giudice di operare l'ulteriore analitico esame di tutte le
voci esposte. Pertanto, gli Ermellini hanno concluso
osservando che il giudice d'appello, a fronte di censure che
in sintesi indicavano la liquidazione effettuata al di sotto
dei minimi e in modo largamente insufficiente, avrebbe
dovuto verificare se, applicando i minimi inderogabili alle
attività necessariamente svolte per l'espletamento della
causa, sussistesse o meno la violazione indicata.
Qualora la verifica avesse dato esito positivo (in pratica
la violazione dei minimi inderogabili) e in assenza di
notula lo stesso giudici di appello avrebbe poi dovuto
procedere ad una liquidazione secondo tariffa e con riguardo
alle attività effettivamente e necessariamente svolte con
esclusione di tutte le altre non documentate (articolo ItaliaOggi Sette del 25.07.2016). |
maggio 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
L’applicazione di
qualunque regola di finanza pubblica impone di definire, a
priori, l’ambito oggettivo di applicazione della norma, nel
caso di specie della corretta qualificazione di un incarico
affidato a un professionista esterno.
Quest’ultimo, infatti,
è generalmente riconducibile, per il diritto civile, al contratto d’opera (art.
2222 cod. civ.) e, più di preciso,
al contratto d’opera intellettuale (art.
2229 cod. civ.).
----------------
Il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt.
2222 e
2229 del codice civile) e
contratto d’appalto di servizi
(art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al
codice civile, nel carattere personale o intellettuale delle
prestazioni, nel primo caso, e nella natura imprenditoriale
del soggetto esecutore, nel secondo.
L’appalto di servizi,
pur presentando elementi di affinità con il contratto
d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia
da quest’ultimo in ordine al profilo dell’organizzazione,
atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con mezzi e
personale che fanno ritenere sussistente, assieme al
requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di
imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.). Il
prestatore d’opera, di converso, pur avendo anch’egli
l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a
favore del committente, senza vincolo di subordinazione e
con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo
con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria
organizzazione.
La delimitazione fra contratto d’opera intellettuale e
contratto d’appalto di servizi sfuma, come accennato, in
sede di applicazione della disciplina, di derivazione
comunitaria, sui contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016
e, in precedenza, d.lgs. n. 163 del 2006), che, come noto,
impone predeterminate procedure amministrative, ad evidenza
pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da
parte delle pubbliche amministrazioni (o dei soggetti, anche
privati, a queste ultime assimilati).
---------------
Secondo una parte
della giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Latina,
sentenza
20.07.2011 n. 604), infatti, il codice dei contratti
pubblici attrae nella nozione di appalto di servizi anche le
prestazioni d’opera intellettuale, imponendo di considerare
appaltatore non solo chi è tale in base alla nozione
civilistica, ma anche il professionista che partecipa ad una
gara pubblica per l’affidamento di un servizio di natura
intellettuale. Altra giurisprudenza (Consiglio di Stato,
sez. V,
sentenza
11.05.2012 n. 2730) valorizza, invece, le
differenze fra i due contratti ai fini delle conseguenti
ricadute in materia di soggezione al codice dei contratti
pubblici. In tale prospettiva, è stato ritenuto elemento
qualificante dell’appalto di servizi, oltre alla complessità
dell’oggetto, la circostanza che l’affidatario dell’incarico
necessiti, per l’espletamento, di apprestare una specifica
organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una
nozione ampia di appalto di servizi, che comprende, in
alcuni casi, anche l’attività del professionista
intellettuale. Si tratta di nozione finalizzata ad estendere
l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina di cui
al
d.lgs. n. 50 del 2016 (in aderenza, da ultimo, alle
direttive comunitarie del 26.02.2014, n. 2014/23/UE,
n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, tese a favorire il confronto
concorrenziale fra operatori economici, la libera
circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento).
Tale
nozione, come accennato,
non si ripercuote, tuttavia, sulle
definizioni di contratto di prestazione d’opera, di
prestazione d’opera intellettuale o di appalto di servizi,
come delineate dal codice civile, posto che il codice dei
contatti pubblici è teso a disciplinare le procedure di
affidamento di un’ampia gamma di contratti, che, pur
definiti come “appalto”, comprendono una serie eterogena di
negozi civilistici (per esempio, somministrazione, mandato,
trasporto, assicurazione etc., cfr. art. 1, comma 1, lett. dd), ii) ed ss) del
d.lgs. n. 50 del 2016).
Con riferimento alla fattispecie concreta,
va tuttavia ribadito
come spetti al Comune istante
valutare se, in concreto, ricorrano i presupposti per
qualificare gli incarichi tecnico-professionali che intende
affidare in termini di contratto d’opera intellettuale o di
appalto di servizi.
Attenendosi ai soli elementi desumibili
dalla richiesta di parere, la Sezione osserva che
la
prestazione sembra necessitare di competenze tecniche (e,
come tale, deve essere resa da soggetto qualificato e
regolarmente iscritto nell’albo professionale), ma non pare
ravvisarsi la necessità di un’organizzazione aggiuntiva
(tipica dell’appalto).
La necessità di utilizzare, da parte di un
professionista, mezzi compresi fra gli ordinari strumenti
cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque
lavoratore del settore, non è sufficiente a ritenere che,
per il diritto civile, il contratto debba essere inquadrato
nell’appalto di servizi.
---------------
La Sezione
ricorda che i principi di unità e universalità, propri dei
bilanci degli enti locali (cfr. Allegato 1 al d.lgs. n. 118
del 2011), come di tutte le pubbliche amministrazioni,
comportano che tutte le entrate e le spese sostenute da un ente transitino
per il bilancio (mentre le gestioni fuori bilancio o le
contabilità separate sono ammesse solo nei casi previsti
dalla legge), imponendo, pertanto, che l’eventuale
contributo finanziario di un qualunque terzo (concretante un
atto di liberalità) debba essere accertato e incassato dal
Comune beneficiario e, successivamente, finalizzato
all’assunzione dell’impegno di spesa per il pagamento del
professionista incaricato.
---------------
Il Sindaco del Comune di Grassobbio (BG), con nota del
06.05.2016, ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto
i limiti finanziari agli incarichi di consulenza.
Premette
che il Comune ha un cospicuo fondo cassa (euro 13.562.052),
un congruo avanzo d'amministrazione (euro 4.891.491) ed una
spesa di personale (euro 1.061.538) peri a circa un quarto
di quella corrente. Tuttavia, nel 2009, aveva sostenuto
spese per consulenze per soli euro 3.182.
Nel 2016, l’Ente riferisce di avere la necessità
d'incaricare alcuni avvocati per la predisposizione delle
norme della variante del Piano di governo del territorio e
di altre specifiche e delicate regolamentazioni, ma,
riferisce il Sindaco, secondo il segretario ed il revisore
dei conti, queste spese sono da includere fra quelle di
consulenza (e non di appalti di servizi), per le quali
occorre osservare il limite del 20% della spesa sostenuta
nel 2009 allo stesso titolo.
L’istanza ricorda, altresì, come la Sezione delle Autonomie,
con deliberazione n. 26/2013/QMIG, abbia stabilito,
richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 139
del 2012, che è possibile prendere in esame non le varie
tipologie di spese soggette a limite, ma la loro somma
totale.
Il quesito richiama, inoltre, un ulteriore limite
finanziario, in base al quale le spese per consulenze devono
comunque essere contenute nella percentuale del 4,2% di
quelle per il personale (tetto che, per il Comune istante,
ammonterebbe, nel 2016, a circa 42.000 euro). Tuttavia,
secondo il segretario ed il revisore, prosegue il Sindaco,
questo limite concorre con quello del 20% del 2009, per cui
il tetto per l’Ente sarebbe di euro 636 (20% di euro 3.182).
Il Sindaco istante ritiene evidente che si tratti di una
situazione imbarazzante ed ingiusta, posto che gli enti
locali che, negli anni precedenti, sono stati più virtuosi
vengono penalizzati.
Sulla base di tali premesse, in relazione al potenziale
conferimento di incarichi legali per la predisposizione
delle norme della variante del Piano di governo del
territorio e di altre specifiche regolamentazioni, pone
quattro
quesiti:
1) con il primo, se gli incarichi in discorso siano
qualificabili come consulenze o appalti di servizi;
2) con il secondo, quali siano le spese soggette a limite da
prendere in esame e se, tra esse, vanno inserite anche le
spese per collaborazioni continuative;
3) con il terzo, quali siano i limiti finanziari da
rispettare;
4) con il quarto, se sia possibile per il Sindaco, previo
conferimento in base alle procedure di legge, pagare i
professionisti incaricati direttamente di tasca propria
ovvero rimborsare al Comune, sempre di tasca propria, le
spese sostenute. Quest’ultima eventuale iniziativa, al fine
di non incorrere in danni erariali.
...
I. La distinzione fra contratti d’opera e contratti di appalto di servizi
Come più volte ribadito nelle pronunce della magistratura
contabile (da ultimo, si rinvia a SRC Liguria, deliberazioni
n. 54/2015/PAR e n. 79/2015/PAR), l’applicazione di
qualunque regola di finanza pubblica impone di definire, a
priori, l’ambito oggettivo di applicazione della norma, nel
caso di specie della corretta qualificazione di un incarico
affidato a un professionista esterno. Quest’ultimo, infatti,
è generalmente riconducibile, per il diritto civile, al
contratto d’opera (art.
2222 cod. civ.) e, più di preciso,
al contratto d’opera intellettuale (art.
2229 cod. civ.).
Le norme di finanza pubblica, tuttavia, fanno consueto
riferimento (si rinvia, appunto, all’art. 6, comma 7, del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla legge
30.07.2010, n. 122 o all’art. 1, comma 5, del
decreto-legge 31.08.2013, n. 101, convertito dalla legge
30.10.2013, n. 125), nel definire divieti o limitazioni
di spesa, ai “contratti di consulenza” (spesso affiancati a
quelli di studio o di ricerca) o, in altri casi, ai
“contratti conferibili ai sensi dell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165” (cfr., per esempio, art. 17,
comma 30, del decreto-legge 01.07.2009, n. 78,
convertito dalla legge 03.08.2009, n. 122), norma che
disciplina i presupposti e la procedura per il conferimento
di incarichi a soggetti terzi mediante contratti di lavoro
autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa.
Appare anche opportuno precisare che alcuni rapporti
negoziali, qualificabili, per il diritto civile, come
contratti d’opera o di opera intellettuale, sono stati
attratti, in punto di procedure per l’affidamento, alla
disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici
(dlgs 19.04.2016, n. 50), che, in
esecuzione a specifiche direttive comunitarie, nel delineare
l’ambito oggettivo di applicazione, contiene una definizione
di “contratto di appalto di servizi” (cfr. art. 3, comma 1,
lett. dd), ii) ed ss) del d.lgs. n. 50 del 2016 e, in
precedenza, art. 3, commi 3, 6 e 10 del d.lgs. n. 163 del
2006) molto più ampia di quella del codice civile, attraendo
anche negozi qualificabili come contratti d’opera o di
opera
intellettuale.
Sul punto, si rinvia, per gli aspetti di carattere generale,
alle numerose pronunce rese in materia dalla magistratura
contabile, fra le quali possono ricordarsi, senza pretesa di
esaustività, Sezioni Riunite in sede di controllo,
deliberazione n. 6/CONTR/2005 del 15.02.2005; Sezione
delle Autonomie, deliberazione n. 6/AUT/2008; Sezione
regionale di controllo la Lombardia, deliberazioni n.
355/2012/PAR, n. 51/2013/PAR, n. 236/2013/PAR e n.
178/2014/PAR.
Il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt.
2222 e
2229 del codice civile) e
contratto d’appalto di servizi
(art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al
codice civile, nel carattere personale o intellettuale delle
prestazioni, nel primo caso, e nella natura imprenditoriale
del soggetto esecutore, nel secondo.
L’appalto di servizi,
pur presentando elementi di affinità con il contratto
d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia
da quest’ultimo in ordine al profilo dell’organizzazione,
atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con mezzi e
personale che fanno ritenere sussistente, assieme al
requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di
imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.). Il
prestatore d’opera, di converso, pur avendo anch’egli
l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a
favore del committente, senza vincolo di subordinazione e
con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo
con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria
organizzazione.
La delimitazione fra contratto d’opera intellettuale e
contratto d’appalto di servizi sfuma, come accennato, in
sede di applicazione della disciplina, di derivazione
comunitaria, sui contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016
e, in precedenza, d.lgs. n. 163 del 2006), che, come noto,
impone predeterminate procedure amministrative, ad evidenza
pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da
parte delle pubbliche amministrazioni (o dei soggetti, anche
privati, a queste ultime assimilati).
Secondo una parte
della giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Latina,
sentenza
20.07.2011 n. 604), infatti, il codice dei contratti
pubblici attrae nella nozione di appalto di servizi anche le
prestazioni d’opera intellettuale, imponendo di considerare
appaltatore non solo chi è tale in base alla nozione
civilistica, ma anche il professionista che partecipa ad una
gara pubblica per l’affidamento di un servizio di natura
intellettuale. Altra giurisprudenza (Consiglio di Stato,
sez. V,
sentenza
11.05.2012 n. 2730) valorizza, invece, le
differenze fra i due contratti ai fini delle conseguenti
ricadute in materia di soggezione al codice dei contratti
pubblici. In tale prospettiva, è stato ritenuto elemento
qualificante dell’appalto di servizi, oltre alla complessità
dell’oggetto, la circostanza che l’affidatario dell’incarico
necessiti, per l’espletamento, di apprestare una specifica
organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una
nozione ampia di appalto di servizi, che comprende, in
alcuni casi, anche l’attività del professionista
intellettuale. Si tratta di nozione finalizzata ad estendere
l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina di cui
al
d.lgs. n. 50 del 2016 (in aderenza, da ultimo, alle
direttive comunitarie del 26.02.2014, n. 2014/23/UE,
n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, tese a favorire il confronto
concorrenziale fra operatori economici, la libera
circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento).
Tale
nozione, come accennato,
non si ripercuote, tuttavia, sulle
definizioni di contratto di prestazione d’opera, di
prestazione d’opera intellettuale o di appalto di servizi,
come delineate dal codice civile, posto che il codice dei
contatti pubblici è teso a disciplinare le procedure di
affidamento di un’ampia gamma di contratti, che, pur
definiti come “appalto”, comprendono una serie eterogena di
negozi civilistici (per esempio, somministrazione, mandato,
trasporto, assicurazione etc., cfr. art. 1, comma 1, lett. dd), ii) ed ss) del
d.lgs. n. 50 del 2016).
Con riferimento alla fattispecie concreta, posta all’odierno
esame della Sezione, va tuttavia ribadito (cfr. SRC Liguria,
deliberazione n. 79/2015/PAR) come spetti al Comune istante
valutare se, in concreto, ricorrano i presupposti per
qualificare gli incarichi tecnico-professionali che intende
affidare in termini di contratto d’opera intellettuale o di
appalto di servizi.
Attenendosi ai soli elementi desumibili
dalla richiesta di parere, la Sezione osserva che
la
prestazione sembra necessitare di competenze tecniche (e,
come tale, deve essere resa da soggetto qualificato e
regolarmente iscritto nell’albo professionale), ma non pare
ravvisarsi la necessità di un’organizzazione aggiuntiva
(tipica dell’appalto).
Come evidenziato in precedenti pareri
(cfr., per esempio, SRC Lombardia,
parere 20.05.2014 n.
178), la necessità di utilizzare, da parte di un
professionista, mezzi compresi fra gli ordinari strumenti
cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque
lavoratore del settore, non è sufficiente a ritenere che,
per il diritto civile, il contratto debba essere inquadrato
nell’appalto di servizi.
II. Gli aggregati di spesa oggetto di limitazione
Con il secondo ed il terzo quesito, trattabili
unitariamente, il Sindaco istante chiede di conoscere quali
siano le spese vincolate da prendere in esame e se, tra
esse, debbano essere inserite anche quelle per le
collaborazioni coordinate e continuative. Di conseguenza,
anche per queste ultime, chiede quali siano i limiti
finanziari da rispettare.
II.a) La Sezione evidenzia, in primo luogo, come i contratti
di collaborazione coordinata e continuativa siano soggetti
ad una differente norma limitativa di finanza pubblica,
precisamente l’art. 9, comma 28, del citato decreto-legge n.
78 del 2010.
La ridetta norma dispone, infatti, che, dal
2011, le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di
personale assunto a tempo determinato o con altri contratti
c.d. flessibili (fra i quali annovera, espressamente, quelli
di collaborazione coordinata e continuativa) nel limite del
50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità
nell'anno 2009. Tale disposizione costituisce principio
generale ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai
quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti
locali e quelli del servizio sanitario nazionale.
In particolare, per gli enti locali, l’art. 11, comma 4-bis,
del decreto-legge 24.06.2014, n. 90, introdotto dalla
legge di conversione 11.08.2014, n. 114, ha inserito,
nel citato comma 28, un ulteriore periodo, in base al quale
le limitazioni ivi previste non si applicano agli enti
locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di
personale, di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della
legge 27.12.2006, n. 296, e successive modificazioni.
La spesa complessiva non può, comunque, essere superiore a
quella sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 (sul
punto, si rinvia alla deliberazione della Sezione delle
Autonomine n. 2/2015/QMIG).
Le limitazioni poste agli enti locali alla spesa per il
personale assunto a tempo determinato o con altri contratti
c.d. flessibili sono state oggetti di svariate pronunce da
parte delle Sezioni regionali e centrali (alle cui
motivazioni e conclusioni può farsi rinvio), anche riguardo
le modalità di applicazione da parte degli enti di minori
dimensioni (si rinvia, per esempio, alla deliberazione delle
Sezioni riunite n. 11/CONTR/2012).
II.b) Per quanto riguarda, invece, i contratti d’opera e di
opera intellettuale (definiti nelle esaminate norme di
finanza pubblica, come “incarichi di consulenza e studio”),
l’art. 6, comma 7, del decreto legge n. 78 del 2010,
convertito dalla legge n. 122 del 2010, come accennato nel
precedente paragrafo, stabilisce che, a decorrere dal 2011,
la spesa annua non possa essere superiore al 20% di quella
sostenuta nel 2009.
Circa le concrete modalità applicative
della norma, tuttavia, sia in sede consultiva (cfr., per
esempio, SRC Liguria deliberazione n. 54/2015/PAR), che di
verifica dei rendiconti consuntivi (cfr., per esempio, SRC
Lombardia deliberazione n. 379/2013/PRSE), la magistratura
contabile, al fine di valutare la misura e le modalità con
cui la disciplina vincolistica influisce sullo spazio di
autonomia gestionale proprio degli enti locali, ha
richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 139 del
04.06.2012, nella quale è stato precisato che,
per questi
ultimi, le disposizioni dell’art. 6 del decreto-legge n. 78
del 2010 "non operano in via diretta, ma solo come
disposizioni di principio”.
In particolare, dette disposizioni non impongono al sistema
delle autonomie l’adozione di tagli puntuali alle singole
voci di spesa considerate dal legislatore, bensì
costituiscono il riferimento per la determinazione
dell’ammontare complessivo dell’obiettivo di riduzione, che
ciascun ente locale può discrezionalmente rimodulare tra i
diversi aggregati oggetto di limitazione.
Pertanto,
nell'esercizio della propria autonomia, ove vi sia capienza
di bilancio, gli enti locali conservano la facoltà anche di
mantenere inalterata (o di incrementare) la spesa per
consulenze, purché riducano, per percentuali superiori, le
altre voci contemplate nell'art. 6 del decreto-legge n. 78
del 2010 (missioni; formazione; relazioni pubbliche,
convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; etc.).
In seguito, la Sezione delle autonomie di questa Corte, con
la deliberazione n. 26/QMIG del 30.12.2013, ha
ulteriormente esteso la possibilità, per gli enti locali, di
operare compensazioni fra le spese costituenti i c.d.
consumi intermedi, ammettendola con riferimento a tutte le
norme di finanza pubblica ponenti dei limiti al ridetto
aggregato (nell’occasione il problema afferiva
all’inclusione, fra le riduzioni passibili di compensazione,
dei limiti posti alla spesa per mobili e arredi dall’art. 1,
commi 141 e 142, della legge 24.12.2012, n. 228). Il
principio è stato poi ripreso dalle Sezioni regionali (da
ultimo, si può far rinvio a SRC Sardegna, deliberazione n.
5/2016/PAR).
II.c) L’art. 14, comma 1, del decreto legge n. 66 del 2014,
convertito con la legge n. 89 del 23.06.2014, ha
introdotto un diverso limite, che si aggiunge a quelli sopra
esaminati.
La norma dispone, infatti, che, fermi restando i
limiti derivanti dalle vigenti disposizioni, e in
particolare dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 78
del 2010 e dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 101
del 2013, “le amministrazioni pubbliche …, a decorrere
dall’anno 2014, non possono conferire incarichi di
consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva
sostenuta nell’anno per tali incarichi è superiore rispetto
alla spesa per il personale dell’amministrazione che
conferisce l’incarico, come risultante dal conto annuale del
2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa di personale
pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,4% per le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni
di euro”.
Analoga limitazione è stata introdotta, dal legislatore, per
i contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
precludendone il conferimento “quando la spesa complessiva
per tali contratti è superiore rispetto alla spesa del
personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico
come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le
amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5
milioni di euro, e all'1,1% per le amministrazioni con spesa
di personale superiore a 5 milioni di euro”.
Va, tuttavia, ricordato, come il comma 4-ter della medesima
disposizione, introdotto dalla legge di conversione n. 89
del 2014, consente alle regioni, alle province, alle città
metropolitane ed ai comuni di rimodulare o adottare misure
alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di
conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione delle due sopraesposte limitazioni
finanziarie agli incarichi di consulenza, studio e
ricerca e
di collaborazione.
In proposito, nell’istanza di parere il Sindaco evidenzia
come, in base a quest’ultima limitazione normativa, il
Comune potrebbe sostenere spese annuali per consulenze fino
a 42.000 euro (onere che, in base ai dati di bilancio
sinteticamente esposti, appare anche finanziariamente
sostenibile). Tuttavia, questo vincolo, come sopra
accennato, concorre con quello del 20% dell’impegnato 2009
(che il legislatore ha, espressamente, fatto salvo), per cui
il tetto per l’Ente si riduce a soli euro 636 (il 20% di
euro 3.182).
II.d) Per quanto riguarda il profilo dell’assenza di spesa
nell’anno base di riferimento preso in considerazione dalla
norma statale di finanza pubblica (nel caso di specie, il
2009), la Sezione, poco dopo l’introduzione della norma in
questione (cfr.
parere 29.04.2011 n. 227), ha osservato
che la ratio sottesa alla legge è di rendere operante, a
regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di
consulenza e di studio. Tuttavia, il legislatore non ha
inteso vietare agli enti locali la possibilità di conferire
i ridetti incarichi esterni, quando ne ricorrono i
presupposti. Pertanto, valorizzandone la ridetta finalità,
di riduzione dell’incidenza di questa tipologia di spesa sui
bilanci degli enti locali e non di divieto, si era giunti
alla conclusione che per gli enti locali che, nel corso
dell’anno 2009, non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di
incarichi per studi e consulenze, andasse individuato un
diverso, ma congruo e razionale, parametro di riferimento.
Era stato evidenziato che, ove non si fosse adottata questa
interpretazione, la riduzione lineare prevista dal citato
art. 6, comma 7, avrebbe finito per premiare proprio gli
enti meno virtuosi, che, nel corso dell’anno 2009 (o in
altri presi a riferimento dal legislatore statale), hanno
sostenuto una spesa rilevante per consulenze (al contrario,
il vincolo finanziario si tradurrebbe in un divieto assoluto
per gli enti più virtuosi che, in quello stesso anno, non
hanno sostenuto spese).
Pertanto, si era concluso nel senso
che il limite da osservare fosse quello della “spesa
strettamente necessaria” che l’ente locale deve sostenere
per conferire un incarico di consulenza o di studio.
Quest’ultimo limite, a sua volta, diverrà il parametro
finanziario per gli anni successivi.
In seguito, questo orientamento è stato ripreso dalla
Sezione in relazione ad altre norme di finanza pubblica. Può
farsi rinvio, per esempio, alla fattispecie dell’assenza di
parametro di spesa nel caso dei limiti ai compensi agli
amministratori di società partecipate (cfr. deliberazione n.
1/2015/PAR) o delle assunzioni a tempo determinato o con
altri contratti c.d. flessibili (cfr. deliberazioni n.
157/2014/PAR e n. 215/2014/PAR).
Tuttavia, la riferita interpretazione non è
stata seguita nel caso in cui l’ente abbia sostenuto una
spesa, anche se minima, nell’anno base di riferimento
(in tema di consulenze, può farsi rinvio al
parere 28.03.2012 n. 88)
o nell’ipotesi in cui la norma di finanza
pubblica preveda essa stessa un parametro alternativo (cfr.,
in materia di assunzioni a tempo determinato, i citati
parere 18.04.2013 n. 157 e n. 215/2014/PAR).
In questi ultimi casi, infatti, la difficoltà per
l’interprete di stabilire fino a che punto una “spesa
minima” possa essere assimilata ad una “spesa assente”,
unitamente agli elementi di flessibilità applicativa
affermati, per le autonomie locali, dalla Corte
costituzionale nella citata sentenza n. 139/2012, hanno
indotto la Sezione, in attesa di auspicabili interventi
chiarificatori o correttivi da parte del legislatore, a non
estendere il principio di diritto affermato in caso di
mancanza di spesa nell’anno base di riferimento.
III. La possibilità di pagamento al consulente con fondi
privati
Con il quarto quesito il Sindaco istante chiede se sia
possibile, previo conferimento in base alle procedure di
legge (il richiamo, implicito, è ai presupposti ed alle
procedure comparative previste dall’art. 7, comma 6, del
d.lgs. 165 del 2001, ovvero, qualora l’incarico sia
qualificabile come appalto di servizi, a quelle di gara
poste dal d.lgs. n. 50 del 2016), pagare i professionisti
direttamente di tasca propria o rimborsare al Comune le
spese sostenute.
Sul punto, va premesso, in primo luogo, come
costituisca
approdo ormai consolidato della giurisprudenza contabile il
principio secondo cui, dal computo delle spese per consulenza (come dalle altre elencate dall’art. 6 del
decreto-legge n. 78 del 2010 o da ulteriori norme di finanza
pubblica), vadano escluse quelle coperte mediante
finanziamenti finalizzati o risorse provenienti (per
esempio, sponsorizzazioni) da altri soggetti, pubblici o
privati (cfr., ex multis, le deliberazioni delle Sezioni
regionali di controllo per l’Emilia Romagna, n.
233/2014/PAR, per la Lombardia, n. 398/2012/PAR, per il
Piemonte, n. 40/2011/PAR).
Come affermato, infatti, nella deliberazione delle Sezioni
riunite in sede di controllo n. 7/CONTR del 07.02.2011,
in cui il principio era stato formulato proprio con
riferimento alle spese per studi e consulenze, l’obiettivo
comune di tali disposizioni finanziarie non è di limitare tout court i servizi e le funzioni realizzate a mezzo di
determinate spese, bensì quello di ridurne l’impatto sul
bilancio degli enti. Pertanto,
ove tale incidenza non
sussista o sia neutralizzata da una fonte esterna, la norma
limitativa di spesa non trova applicazione.
Per quanto riguarda le specifiche modalità alternative
proposte dal Sindaco istante, la Sezione ricorda che i
principi di unità e universalità, propri dei bilanci degli
enti locali (cfr. Allegato 1 al d.lgs. n. 118 del 2011),
come di tutte le pubbliche amministrazioni, comportano che
tutte le entrate e le spese sostenute da un ente transitino
per il bilancio (mentre le gestioni fuori bilancio o le
contabilità separate sono ammesse solo nei casi previsti
dalla legge), imponendo, pertanto, che l’eventuale
contributo finanziario di un qualunque terzo (concretante un
atto di liberalità) debba essere accertato e incassato dal
Comune beneficiario e, successivamente, finalizzato
all’assunzione dell’impegno di spesa per il pagamento del
professionista incaricato (Corte dei Conti, Sez. controllo
Lombardia,
parere 30.05.2016 n. 162). |
INCARICHI LEGALI:
Legali in gara, quantum deciso dalla p.a..
Nel caso di partecipazione di un avvocato a una commissione
di gara per un appalto pubblico non vanno applicate le
tariffe professionali, bensì il compenso fissato
dall'amministrazione.
Questo è quanto ha precisato la Corte di Cassazione, Sez. II
civile, con la
sentenza 11.05.2016 n. 9659.
I giudici della Suprema corte, infatti, hanno rilevato come
le tariffe professionali degli avvocati siano applicabili
solo per quelle attività tecniche, o comunque collegate con
prestazioni di carattere tecnico, che siano considerate
nella tariffa, oggettivamente proprie della professione
legale.
Tali attività devono essere specificamente riferite alla
consulenza o assistenza delle parti in affari giudiziari o
extragiudiziari e non possono essere, quindi, applicate,
solo perché rese da un professionista iscritto all'albo,
alle prestazioni svolte nell'ambito di una commissione
mista, i cui atti siano imputabili esclusivamente all'organo
collegiale.
Alla luce di queste considerazioni ne deriva che, nel caso
in esame, in caso di commissione composta dal presidente
dell'Ufficio regionale per i pubblici appalti, da tre
professionisti ingegneri e/o architetti e da un
professionista esperto in materie giuridiche, il compenso di
quest'ultimo componente deve essere liquidato, sebbene
avvocato, non applicando le tariffe professionali forensi,
bensì secondo la misura stabilita dall'assessore regionale
per i lavori pubblici, al quale, per legge regionale, spetta
provvedere alla relativa determinazione (articolo ItaliaOggi
Sette del 16.05.2016). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Pareri pure senza motivazione.
Discrezionalità al Consiglio dell'Ordine degli avvocati.
PARCELLE/ Il Tar Umbria sui compensi contenuti tra minimi e
massimi tariffari.
I pareri di congruità espressi dal Consiglio dell'Ordine
degli avvocati sulla liquidazione delle parcelle
professionali, contenuta tra i minimi ed i massimi
tariffari, non richiedono specifica motivazione.
Lo ha
precisato il TAR Umbria con la
sentenza 10.05.2016 n. 395.
Nel caso in esame era stato chiesto l'annullamento del
provvedimento con cui l'Ordine degli avvocati di Perugia
aveva disposto la liquidazione di un compenso professionale
pari a euro 16 mila per l'attività svolta da un avvocato nel
corso di una controversia civile al fine di fare accertare
il mancato rispetto delle distanze legali tra costruzioni e
di chiedere la conseguente condanna a porre in essere le
opere necessarie a eliminare il manufatto illecitamente
realizzato.
Il ricorrente, sebbene la causa si fosse conclusa
positivamente, a suo favore, aveva lamentato che tale
provvedimento di liquidazione impugnato non conteneva alcuna
motivazione.
I giudici amministrativi respingono il ricorso.
Il Collegio osserva, infatti, come il parere di congruità
sulle parcelle professionali reso dal Consiglio dell'Ordine
degli avvocati sia un atto soggettivamente e oggettivamente
amministrativo. Tale atto non si esaurisce in una mera
certificazione della rispondenza del credito alla tariffa
professionale, ma implica una valutazione di congruità della
prestazione.
Dal momento che tale valutazione di congruità non si
esaurisce in un mero riscontro di conformità alla tariffa
delle prestazioni professionali degli avvocati, la
liquidazione così effettuata interviene nell'esercizio di un
potere ampiamente discrezionale che -secondo i giudici
amministrativi- se contenuta tra i minimi e i massimi
tariffari non richiede alcuna precisa motivazione
(articolo ItaliaOggi Sette del 16.05.2016
-
tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
Ciò precisato, va ricordato che secondo il costante
indirizzo giurisprudenziale,
il parere di congruità sulle parcelle professionali reso dal
Consiglio dell’Ordine degli avvocati è atto soggettivamente
ed oggettivamente amministrativo, che non si esaurisce in
una mera certificazione della rispondenza del credito alla
tariffa professionale, ma implica una valutazione di
congruità della prestazione.
Non esaurendosi dunque siffatta valutazione di congruità in
un mero riscontro di conformità alla tariffa delle
prestazioni professionali degli avvocati, la liquidazione
così effettuata interviene nell’esercizio di un potere
ampiamente discrezionale e, se contenuta tra i minimi ed i
massimi tariffari
(il che non è contestato nella fattispecie),
non richiede specifica motivazione, spettando al contrario
al professionista che lo contesti dedurre e provare che il
giudizio stesso si sia tradotto in una determinazione, che
finisce con il prescindere dal considerare l’effettiva
realtà delle prestazioni professionali rese
(in termini Cons. Stato, Sez. IV, 23.12.2010, n. 9352; Sez.
IV, 24.12.2009, n. 8749).
La liquidazione della parcella del ricorrente non è dunque
inficiata da vizio motivazionale, tanto più che, nella
vicenda in esame, vi è stata la nota dell’Ordine degli
Avvocati di Perugia in data 11.05.2015 che ha esplicitato al
ricorrente come «le valutazioni di merito sono […] da
ritenersi incorporate nelle annotazioni e nei depennamenti
posti a margine della Sua nota, che prevedeva uno scaglione
di riferimento differente rispetto a quanto dichiarato negli
atti di causa».
Piuttosto, esaminando le censure del ricorrente, il
Consiglio ha legittimamente preso a parametro lo scaglione
di valore indeterminabile (alto), mentre il ricorrente aveva
applicato quello del valore tra euro 500.000,00 ed euro
1.500.000,00; ed invero la domanda di accertamento della
realizzazione di un edificio in violazione delle norme sulle
distanze tra le costruzioni non consente di individuare il
valore effettivo della controversia, e, del resto, lo stesso
ricorrente aveva indicato un valore indeterminato ai fini
del contributo unificato.
Il “pro-memoria” esplicativo del valore della causa,
ipotizzante un intervento di demolizione e di
consolidamento, anche a prescindere dalla sua attendibilità,
non ha valore, in quanto attiene alla fase di esecuzione
della sentenza. |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Legali, niente tetto agli onorari nelle
controversie sulle multe.
Il tetto per spese, competenze e onorari dei difensori nelle
cause davanti al giudice di pace, introdotto dal decreto
Salva Italia non opera nelle controversie di opposizione a
ordinanza-ingiunzione, a verbale di accertamento per le
violazioni al codice della strada e a cartella di pagamento
laddove si denuncia la mancata notifica della multa.
E ciò
perché deve ritenersi che la soglia introdotta dal dl 212/2011
operi soltanto nelle liti in cui il giudice di pace decide
secondo equità, mentre nelle controversie inerenti le
sanzioni amministrative si possono porre questioni complesse
che implicano decisioni secondo diritto, anche se la parte
opponente e la stessa amministrazione possono stare in
giudizio di persona.
È quanto emerge dalla
sentenza
05.05.2016 n. 8961 della VI Sez. civile della Corte di
Cassazione.
È stato accolto il ricorso del trasgressore, dopo la
sconfitta in sede di merito, quanto alla liquidazione di
competenze e onorari. Anche secondo il tribunale se si
litiga davanti al Gdp per una multa di 73 euro le spese di
giustizia non potrebbero essere liquidate in misura
superiore a 70. E invece no.
Il Salva Italia ha modificato
l'art. 91 cpc introducendo il tetto alle spese di giustizia
pari al valore della lite con un rinvio alle «cause previste
dall'art. 82, comma 1 cpc»: quest'ultima norma dispone che
«davanti al Gdp le parti possono stare in giudizio
personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro
1.100».
Il legislatore, dunque, ha voluto mettere una soglia
solo per le controversie che sono attribuite alla
giurisdizione equitativa del Gdp: deve, infatti, ricordarsi
l'art. 113 Cpc, comma 2, secondo cui il Gdp decide secondo
equità le cause il cui valore non eccede 1.100 euro, salvo
quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti
conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 cc.
La limitazione delle spese, quindi, riguarda le controversie
nelle quali si può stare in giudizio da soli, mentre nelle
cause sulle multe la difesa tecnica non solo è giustificata
ma, in certi casi, indispensabile
(articolo ItaliaOggi del 06.05.2016). |
aprile 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: L'avvocato ha un tris di doveri.
Sollecitazione, dissuasione e informazione al cliente.
La Corte di cassazione passa in rassegna le modalità
operative del professionista.
L'avvocato è tenuto ad assolvere, sia all'atto del
conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento
del rapporto, ai doveri di sollecitazione, dissuasione e
informazione del cliente, visto che lo stesso avvocato è
tenuto a rappresentare all'assistito tutte le questioni di
fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al
raggiungimento del risultato, o comunque produttive del
rischio di effetti dannosi.
È quanto ribadito dai giudici
della II Sez. civile della Corte di Cassazione con
la
sentenza
19.04.2016 n. 7708.
Inoltre, secondo
una ormai consolidata giurisprudenza della stessa Cassazione
(Cass., sez. 2ª, sentenza n. 14597 del 2004), è facoltà
dell'avvocato quella di richiedere al cliente gli elementi
necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo
dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito
probabilmente sfavorevole.
I giudici hanno anche osservato
che sarà onere dell'avvocato fornire la prova della condotta
mantenuta e che al riguardo non potrà considerarsi
sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure
necessarie all'esercizio dello ius postulandi, «trattandosi
di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del
dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze
indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una
decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di
iniziare un processo o intervenire in giudizio».
Secondo gli Ermellini, poi, l'attività del professionista
legale tesa a persuadere il cliente al compimento o meno di
un atto, ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo
informativo, sarà concretamente inesigibile, oltre che
contrastante, con il principio secondo cui l'obbligazione
informativa dell'avvocato è un'obbligazione di mezzi e non
di risultato.
Il difensore è tenuto a informare i clienti sui diversi
punti della causa, e ciò si configura come dovere di
diligenza
(articolo ItaliaOggi Sette del 09.05.2016).
----------------
MASSIMA
1.2.2. - La motivazione resa dalla Corte territoriale
risulta
esente da censura.
Non può ritenersi che il difensore avesse il dovere di
insistere
per ottenere il consenso della parte alla chiamata in
causa del terzo: la diligenza cui era tenuto il difensore
nell'esercizio del suo mandato era stata assolta nel momento
in cui il cliente era stato informato sul punto (ex plurimis,
Cass., sez. 3^, sentenza n. 24544 del 2009).
Vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
l'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di
cui
agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone
all'avvocato di assolvere -sia all'atto del conferimento
del
mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto-
anche
ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del
cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a
quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto,
comunque
insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o
comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di
richiedergli
gli elementi necessari o utili in suo possesso; di
sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio
dall'esito probabilmente sfavorevole.
E' vero, di
conseguenza, che incombe sul professionista l'onere di
fornire la prova
della condotta mantenuta, e che al riguardo non è
sufficiente
il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie
all'esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento
che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di
informazione
in ordine a tutte le circostanze indispensabili per
l'assunzione da parte del cliente di una decisione
pienamente
consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo
o
intervenire in giudizio
(Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597
del
2004).
Ciò detto,
è altresì vero che l'attività di persuasione
del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore
rispetto
all'assolvimento dell'obbligo informativo, è concretamente
inesigibile,
oltre che contrastante con il principio secondo
cui l'obbligazione informativa dell'avvocato è
un'obbligazione
di mezzi e non di risultato
(ex plurimis, Cass., sez. 3^,
sentenza
n. 10289 del 2015).
1.2.3. - Nel caso di specie la scelta del cliente, di non
chiamare in garanzia il terzo, era riconducibile a ragioni
fattuali e non giuridiche, non esplicitate dal cliente al
difensore,
mentre la consapevolezza delle conseguenze giuridiche
della mancata chiamata in garanzia, ossia l'impossibilità di
rivalersi sul garante, era contenuta nell'informazione resa
in
merito alla facoltà di chiamata in causa del terzo.
E del resto, il difensore non poteva prospettare in modo
certo al proprio cliente la responsabilità della ditta
installatrice
dell'impianto di allarme, a fronte della pronuncia di
merito che aveva ritenuto non accertato il nesso causale tra
inidoneità o malfunzionamento dell'impianto e perpetrazione
del furto.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge.
2. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in
relazione
all'art. 360, primo coma, n. 5, cod. proc. civ., per
avere la Corte d'appello ritenuto che l'eventualità della
chiamata in garanzia del terzo non implicasse la risoluzione
di specifiche questioni processuali o di diritto
sostanziale,
ma fosse rimessa ad una valutazione di opportunità spettante
al cliente e non sindacabile dal difensore.
2.1. - La doglianza è infondata.
2.1.1. - Il dovere di informazione del difensore si
arrestava
dinanzi alla prospettazione della possibilità di chiamare
in garanzia la società che aveva installato l'impianto
antifurto
-peraltro, verificato pochi giorni prima del furto e
risultato non manomesso dopo la perpetrazione del furto- e
non residuavano altri oneri informativi o di sollecitazione
che il difensore avrebbe potuto fornire, alla stregua di
specifiche
cognizioni giuridiche di cui disponeva, tanto più che
la scelta della Sh.Te. di non chiamare in causa
l'installatore era riconducibile a ragioni di opportunità,
sulle quali il difensore non avrebbe potuto sindacare. |
INCARICHI PROFESSIONALI:
L'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato
disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod.
civ., impone all'avvocato di assolvere -sia all'atto del
conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento
del rapporto- anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione
ed informazione del cliente, essendo il professionista
tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di
fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al
raggiungimento del risultato, o comunque produttive del
rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi
necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo
dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito
probabilmente sfavorevole.
----------------
1. - Il ricorso è infondato.
1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt.
1176, 1218, 1375, 2229 e 2236 cod. civ., in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere
la Corte d'appello ritenuto che -a fronte di uno specifico
dovere informazione nei confronti del proprio cliente in
ordine all'opportunità di chiamare in causa il terzo- non
era fonte di responsabilità professionale il comportamento
omissivo dell'avvocato, che non aveva sollecitato il cliente
dopo che questi aveva rifiutato l'ipotesi di effettuare la
chiamata in causa del terzo.
1.2. - La doglianza è infondata.
1.2.1. - La Corte d'appello ha osservato che dalle prove
raccolte (prova testimoniale diretta, testi Ro. e Ve.)
emergeva con certezza che l'amministratore della Sh.Te. era
stato informato dall'avvocato Pa., codifensore insieme
all'avvocato Mi., dell'opportunità di chiamare in causa
-oltre all'istituto incaricato della sorveglianza del
capannone nel quale era stato perpetrato il furto- anche la
società che aveva installato l'impianto di allarme, ed
inoltre che, all'esito dell'informazione, la Sh.Te. aveva
scelto di non dare seguito alla predetta chiamata.
Tale valutazione di opportunità, secondo la Corte d'appello,
era rimessa al cliente e non era sindacabile dal difensore.
1.2.2. - La motivazione resa dalla Corte territoriale
risulta esente da censura.
Non può ritenersi che il difensore avesse il dovere di
insistere per ottenere il consenso della parte alla chiamata
in causa del terzo: la diligenza cui era
tenuto il difensore nell'esercizio del suo mandato era stata
assolta nel momento in cui il cliente era stato informato
sul punto (ex
plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 24544 del 2009).
Vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
l'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato
disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod.
civ., impone all'avvocato di assolvere -sia all'atto del
conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento
del rapporto- anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione
ed informazione del cliente, essendo il professionista
tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di
fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al
raggiungimento del risultato, o comunque produttive del
rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi
necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo
dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito
probabilmente sfavorevole.
E' vero, di conseguenza, che incombe sul
professionista l'onere di fornire la prova della condotta
mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio
da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio
dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non
è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di
informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili
per l'assunzione da parte del cliente di una decisione
pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare
un processo o intervenire in giudizio
(Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597 del 2004).
Ciò detto, è altresì vero che l'attività di
persuasione del cliente al compimento o non di un atto,
ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo
informativo, è concretamente inesigibile, oltre che
contrastante con il principio secondo cui l'obbligazione
informativa dell'avvocato è un'obbligazione di mezzi e non
di risultato (ex
plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 10289 del 2015) (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 19.04.2016 n. 7708). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Cliente è chi fa procura. Tra gli effetti,
l'obbligo di pagare il legale. La
Cassazione pone una parola chiarificatrice sulla
qualificazione.
La I Sez. civile della Corte di Cassazione con una
sentenza 14.04.2016 n. 7382 ha posto una parola
chiarificatrice circa la qualificazione del cliente nei
rapporti con un avvocato: cliente, cioè colui che sarà
tenuto al pagamento del compenso professionale, dovrà essere
considerato chi ha materialmente rilasciato la procura alle
liti.
I giudici di piazza Cavour nella sentenza in commento hanno
altresì evidenziato come un ormai consolidato orientamento
giurisprudenziale abbia chiarito che l'accertamento di quale
sia la situazione ricorrente di volta in volta nel caso
concreto -cioè se la procura al legale che chieda il
pagamento del compenso sia stata conferita dal legale che
abbia ricevuto la procura alle liti dal cliente (ex art.
2232 c.c.) oppure (come nel nostro caso) direttamente dallo
stesso cliente finale- sia una questione di fatto che,
essendo rimessa alla valutazione del giudice di merito, si
sottrae al vaglio di legittimità della Cassazione.
Il caso sottoposto all'attenzione degli Ermellini vedeva un
avvocato, Tizio, che proponeva diversi decreti ingiuntivi
per il pagamento di alcuni compensi nei confronti di alcuni
clienti, alcuni dei quali pienamente accordati, altri
ridotti e la Corte d'appello aveva rigettato i motivi di
gravame con i quali alcuni dei destinatari dei decreti
avevano dedotto l'insussistenza di un rapporto professionale
tra loro e l'avvocato Tizio, ma solo con l'avvocato Caio al
quale avevano corrisposto il compenso.
Secondo i giudici della Corte d'appello era, comunque,
dimostrato con il rilascio della procura alle liti il
conferimento di specifici mandati professionali anche a
Tizio, che li aveva espletati in aggiunta al mandato
conferito all'altro avvocato.
I giudici di merito avevano accertato che la procura
all'avvocato Tizio era stata conferita direttamente dai
ricorrenti e avevano precisato che l'opera da lui svolta non
rientrava tra le attività costituenti oggetto della
collaborazione professionale in esclusiva con Caio e che il
primo non faceva parte dello studio del secondo.
L'affermazione secondo la quale non ci sarebbero stati
contatti diretti tra i ricorrenti e l'avv. Tizio non
scalfisce, secondo i giudici della Cassazione, la portata
del suddetto accertamento, dal quale i giudici di merito
hanno tratto la conclusione del conferimento al medesimo
avv. G. del mandato di patrocinio professionale.
Questa conclusione, secondo la Suprema corte, è conforme a
diritto, poiché «se è vero che per la conclusione del
contratto di patrocinio con il cliente non occorre il
rilascio della procura ad litem, che è necessaria solo per
il compimento dell'attività processuale (v., da ultimo,
Cass. n. 13927/2015), e se è anche vero (...) che obbligato
al pagamento del compenso potrebbe essere chi non ha dato la
procura, è però anche vero che, in mancanza di una prova del
conferimento dell'incarico professionale da parte di altro
soggetto, si deve «presumere che il cliente è colui che ha
rilasciato la procura» e, quindi, è tenuto al pagamento (v.
Cass. n. 13401/2015, n. 26060/2013, n. 4959/2012)»
(articolo ItaliaOggi Sette del 25.04.2016). |
marzo 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Corresponsione, da parte del Comune, degli onorari al
proprio legale. Necessità o meno che la parcella sia vistata
dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati. Passività
pregresse.
1) La parcella del legale è svincolata
dalla liquidazione compiuta dal giudice; pertanto il
difensore della parte vittoriosa potrebbe richiedere un
compenso diverso da quello liquidato giudizialmente.
2) Quanto alla maggior somma richiesta dal legale al proprio
cliente si tratta di verificare se tali importi
costituiscano somme conseguenti alla sentenza o di maggiore
parcella legata ad attività ulteriori non conosciute né
conoscibili dal giudice.
3) L'Ente locale prima di procedere al pagamento della
parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di
esaminare la documentazione relativa all'attività svolta dal
difensore per valutarne la congruità.
4) Circa quale sia la corretta procedura per l'imputazione
in bilancio dei maggiori oneri relativi ad una parcella
professionale presentata, a conclusione di un giudizio,
dall'avvocato incaricato della difesa del Comune si
contrappongono la teoria la quale afferma che la maggiore
spesa tra quanto originariamente impegnato dall'Ente e
l'importo finale della parcella presentata dal
professionista costituisce debito fuori bilancio e quella
che, invece, ritiene sufficiente, per sanare la maggiore
spesa, effettuare un impegno residuale nell'esercizio in cui
viene richiesto il pagamento (teoria delle passività
pregresse).
Il Comune, sentito anche per le vie brevi, chiede un parere
in merito alle spese da corrispondere al legale che lo ha
assistito in una causa giudiziale ed a come le stesse
debbano essere contabilizzate.
Più in particolare, riferisce che il giudice d'appello ha
condannato le controparti alla rifusione delle spese di lite
per entrambi i gradi di giudizio in favore
dell'amministrazione comunale. A seguito di un tanto il
legale ha emesso la relativa fattura di importo
corrispondente alle spese come liquidate dal giudice,
maggiorate di una ulteriore somma. Precisa l'Ente che quanto
richiesto dal legale è di importo superiore alla cifra
impegnata all'origine della causa dall'amministrazione
comunale. Tale somma, rispetto al preventivo di massima
rilasciato dall'avvocato in sede di attribuzione
dell'incarico e sulla cui base era stato fatto l'impegno di
spesa, era stata adeguata in corso di causa agli importi
come successivamente comunicati dal difensore del Comune.
[1]
Atteso un tanto, l'Ente chiede se vada riconosciuto l'intero
importo richiesto dal legale; se la parcella dell'avvocato
debba o meno essere vistata dal Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati e se la maggiore somma da liquidare, rispetto a
quella già impegnata, costituisca passività pregressa.
Sentito il Servizio finanza locale, per la parte di relativa
competenza, si esprimono le seguenti considerazioni.
In via preliminare, si osserva che, ai sensi dell'articolo
91, comma 1, c.p.c., il giudice, con la sentenza che chiude
il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al
rimborso delle spese a favore dell'altra parte, liquidandone
l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.
In linea generale si rileva, altresì, che la parcella del
legale è svincolata dalla liquidazione compiuta dal giudice.
Il difensore della parte vittoriosa potrebbe richiedere un
compenso diverso da quello liquidato giudizialmente. A
sostegno di un tanto depone l'articolo 2 del D.M. 08.04.2004, n. 127 (Regolamento recante determinazione degli
onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli
avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile,
amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali', il
quale recita: 'Gli onorari e i diritti sono sempre dovuti
all'avvocato dal cliente indipendentemente dalle statuizioni
del giudice sulle spese giudiziali' nonché l'articolo 61,
secondo comma, del r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, il
quale prevede espressamente la possibilità che venga
richiesto al cliente un onorario maggiore di quello
liquidato a carico della parte soccombente.
[2]
Quanto alla maggior somma richiesta dal legale al proprio
cliente si tratta di verificare se tali importi
costituiscano somme conseguenti alla sentenza o di maggiore
parcella legata ad attività ulteriori non conosciute né
conoscibili dal giudice.
Nel primo caso, si tratta di somme che non possono essere
liquidate dal giudice al momento della pronuncia essendo
esse consequenziali alla stessa. Tra queste spese rientrano,
ad esempio, quelle per la carta bollata adoperata e per i
diritti relativi alla pubblicazione della sentenza nonché
quelle relative al rilascio di copie o alla eventuale
apposizione della formula esecutiva. Vi rientrano, altresì,
quelle che la parte affronta per la registrazione della
sentenza le quali, sebbene successive alla pronuncia, ne
dipendono direttamente e non possono non seguire le sorti
delle spese del giudizio. Come affermato dalla
giurisprudenza, tali spese 'rientrano automaticamente tra
quelle conseguenti alla decisione, senza che sia necessaria
al riguardo un'espressa statuizione del giudice'.
[3]
Tali
somme vanno ricomprese tra le spese di lite e sono dovute al
legale che le ha sostenute. Dette somme, oltretutto, vanno
poste a carico della parte soccombente proprio in quanto
spese conseguenti alla sentenza.
[4]
Nel caso in cui, invece, l'importo richiesto dall'avvocato
costituisca una maggiore parcella, rispetto a quanto
liquidato dal giudice, al fine di valutare se lo stesso sia
o meno dovuto dal cliente, bisogna, in primis, valutare se,
all'inizio dell'incarico, l'amministrazione abbia stipulato
un contratto sul compenso con l'avvocato, e quale tenore
abbia lo stesso. Qualora, manchi tale accordo sopperiscono i
criteri di legge.
[5]
A tale ultimo riguardo, si ricorda che
la legge 31.12.2012, n. 247 (Nuova disciplina
dell'ordinamento della professione forense) stabilisce,
all'articolo 13, che la pattuizione dei compensi è libera e
indica una serie di tipologie di accordi utilizzabili dalle
parti.
Il comma 6 dell'indicato articolo prevede, poi, che,
'quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso
non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di
mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione
giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione
professionale è resa nell'interesse di terzi o per
prestazioni officiose previste dalla legge' si fa
riferimento ai parametri indicati nel decreto emanato dal
Ministero della Giustizia, su proposta del Consiglio
Nazionale Forense, ogni due anni.
[6]
Per quanto riguarda l'acquisizione del visto del Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati competente sulla parcella del
legale, si osserva che la Corte dei Conti, sezione regionale
di controllo per la Lombardia, intervenuta di recente con
proprio parere posto su analogo quesito,
[7]
ha affermato
che: «L'ente locale prima di procedere al pagamento della
parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di
esaminare la documentazione relativa all'attività svolta dal
difensore per valutarne la congruità. Detta valutazione di
congruità (a prescindere che venga svolta dall'Avvocatura
dello Stato come nella particolare fattispecie prevista
dall'art. 18, comma 1, del D.L. 25/03/1997, n. 67,
convertito, con modificazioni, nella Legge 23/05/1997, n.
135) risponde all'esigenza di garantire una "attenta e
prudente gestione della spesa pubblica", pertanto deve
tenere conto, "da un lato dell'incertezza dell'esatta
individuazione delle voci che potrebbero concorrere alla
determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità
dovute agli avvocati per l'esercizio della loro attività
professionale e dei relativi parametri legali, dall'altro
della necessità di scongiurare il rischio di annoverare
nella parcella spese oggettivamente superflue o non
proporzionali all'opera prestata" (C. Conti, sez. reg.
Piemonte del. n. 35/2011). Inoltre, anche quando non è
richiesto dalla legge il parere dell'Avvocatura dello Stato,
la valutazione di congruità deve "riguardare, non solo la
conformità della parcella alla tariffa forense, ma anche il
rapporto fra l'importanza e delicatezza della causa e le
somme spese per la difesa (C. Conti, sez. reg. Piemonte del.
n. 35/2011 che richiama Corte di Cassazione, Sezione Lavoro,
sent. 23.01.2007, n. 1418)».
[8]
Per completezza espositiva si fa presente che la legge
247/2012, all'articolo 13, comma 9, relativo alla disciplina
dei compensi spettanti agli avvocati, prevede che: 'In
mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi
può rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca
un tentativo di conciliazione. In mancanza di accordo il
consiglio, su richiesta dell'iscritto, può rilasciare un
parere sulla congruità della pretesa dell'avvocato in
relazione all'opera prestata'.
Passando a trattare dell'ultima questione posta, ovvero
quale sia la corretta procedura per l'imputazione in
bilancio dei maggiori oneri relativi ad una parcella
professionale presentata, a conclusione di un giudizio,
dall'avvocato incaricato della difesa del Comune, si rileva
come tale questione sia stata esaminata dalla giurisprudenza
contabile e dalla dottrina nel precedente sistema di
contabilità basato sul principio della competenza
finanziaria 'semplice', prima dell'entrata in vigore del
decreto legislativo 23.06.2011, n. 118 e, con
riferimento alla Regione Friuli Venezia Giulia, della legge
regionale 17.07.2015, n. 18. I principi in quella sede
elaborati sono stati esplicitati in un parere rilasciato
dallo scrivente Ufficio (prot. n. 15066 del 26.09.2007) al quale si rinvia.
[9]
In questa sede preme riportare
succintamente i due diversi orientamenti formatisi
sull'argomento alla luce dei pronunciamenti avutisi più di
recente da parte della giurisprudenza nonché in
considerazione delle evoluzioni normative che condizionano
la soluzione della questione posta.
In particolare, si contrapponevano la teoria la quale
affermava che la maggiore spesa tra quanto originariamente
impegnato dall'Ente e l'importo finale della parcella
presentata dal professionista costituisce debito fuori
bilancio e quella che, invece, riteneva sufficiente, per
sanare la maggiore spesa, effettuare un impegno residuale
nell'esercizio in cui viene richiesto il pagamento (teoria
delle passività pregresse)
[10].
Premessa l'attuale permanenza della duplicità di
ricostruzione della fattispecie, si ritiene interessante
riportare l'orientamento espresso, sull'argomento, dalla
Corte dei Conti, sezione di controllo della regione Friuli
Venezia Giulia.
[11]
In particolare, essa dopo aver
ripercorso entrambe le ricostruzioni, ha espressamente
ritenuto di non volersi discostare dall'orientamento,
ampiamente seguito in seno alla Corte dei Conti, che
riconduce la fattispecie all'istituto del debito fuori
bilancio.
Al contempo, tuttavia, la Corte compie una serie
di considerazioni sull'onere di diligenza che l'Ente
pubblico deve osservare, non solo al momento del
conferimento dell'incarico al professionista ma anche
durante tutto il periodo di svolgimento dell'incarico
professionale, che si ritengono interessanti, specie in
relazione al comportamento tenuto dal Comune nella
fattispecie in esame.
In particolare, la Sezione friulana
afferma che: 'La difficoltà di determinazione ex ante della
parcella, infatti, giustificata dall'imprevedibilità
dell'evoluzione del procedimento contenzioso, non significa
impossibilità assoluta di pervenire ad un preventivo
ancorato a parametri certi, in considerazione delle
caratteristiche di difficoltà e di impegno professionali
richiesti'.
La Magistratura contabile afferma, ancora, che:
«È infatti [...] necessario che l'Ente verifichi
periodicamente l'andamento della causa e adotti i
conseguenti provvedimenti di revisione dei relativi impegni.
In sostanza, l'Ente deve amministrare il proprio
contenzioso, informando -anche in questo ambito- il suo
operato a canoni di prudenza, accortezza, veridicità,
attendibilità, proporzionalità ed equilibrio, nel preminente
interesse di evitare 'sopravvenienze passive'».
Sulla scia di tali ultime considerazioni si pone anche un
recente parere della Corte dei Conti, sezione regionale di
controllo per la Campania,
[12]
nel quale si afferma che:
«L'obbligo di procurarsi un congruo preventivo del
corrispettivo, oltre a gravare sulla p.a. e discendere da
principi di sana gestione contabile, è oggi un espresso
obbligo gravante sullo stesso professionista per effetto
dell'art. 9, D.L. n. 1 del 2012: tale norma ha abrogato le
tariffe professionali e ha stabilito che "Il compenso per le
prestazioni professionali è pattuito al momento del
conferimento dell'incarico professionale. Il professionista
deve rendere noto al cliente il grado di complessità
dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa
gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla
conclusione dell'incarico [...]".
In altri termini: l'ente,
da un lato, è tenuto in sede d'incarico a concordare nel
titolo il corrispettivo affinché il suo ammontare risulti
definito o, quantomeno, sufficientemente determinabile, di
modo che, a scadenza, la liquidazione dell'onorario e della
spesa trovi preventiva e sufficiente provvista nella
contabilità dell'ente, evitando la formazione di debiti
fuori bilancio. Per contro, in caso d'impegni "irrisori",
sarebbero state violate le norme contabili che presidiano la
corretta imputazione in bilancio della spesa; il titolo e la
fattispecie generativa dell'obbligazione, inoltre,
riguarderebbero integralmente un esercizio precedente nel
quale l'ammontare della spesa non è stato correttamente
rilevato.
Per tale ragione, in tali circostanze, l'unica
procedura contabile adottabile è una formale delibera di
riconoscimento del debito fuori bilancio, che consente la
verifica sull'utilità del patrocinio, e d'attivare il
controllo in relazione a possibili profili di responsabilità
erariale, stante l'obbligo di trasmissione delle delibere di
riconoscimento dei debiti fuori bilancio alla Corte dei
conti. Il procedimento di riconoscimento dei debiti fuori
bilancio è lo strumento giuridico per riportare
un'obbligazione giuridicamente perfezionata all'interno
della sfera patrimoniale dell'ente, ricongiungendo il debito
insorto con la volontà amministrativa; il procedimento mira
a consentire al Consiglio di vagliare la legittimità del
titolo e a reperire modalità di copertura finanziaria.
La
possibilità di procedere alla contabilizzazione del maggior
debito per maggiori costi sopravvenuti tramite un mero
adeguamento dello stanziamento in bilancio, dev'essere
collegabile, anche nel contesto dei nuovi principi
contabili, a cause oggettive e imprevedibili e non a
pregresse, soggettive, sottovalutazioni della spesa.
Da ultimo, si riportano le recenti considerazioni espresse
dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la
Lombardia, nel parere del 20.05.2015, n. 200, ove si
afferma che: «L'impegno di spesa per prestazioni
professionali a tutela dell'ente può dirsi assunto
correttamente quando in presenza di un eventuale maggior
onere (emergente dall'imprevedibile lunga durata della
causa), al fine di garantire la copertura finanziaria,
l'ente adegua lo stanziamento iniziale integrando
l'originario impegno di spesa. Ne consegue che se l'importo
legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la
differenza non realizza automaticamente un debito fuori
bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL. Detta
indicazione è confermata nella nuova disciplina
sull'armonizzazione dei sistemi contabili, ove all'Allegato
4/2, D.Lgs. n. 118 del 2011, si afferma che "gli impegni
derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la
cui esigibilità non è determinabile, sono imputati
all'esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al
principio della competenza potenziata, al fine di garantire
la copertura della spesa"; poi si aggiunge "al fine di
evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l'ente
chiede ogni anno al legale di confermare o meno il
preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto
l'impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli
eventuali ulteriori impegni"».
Volendo fare una sintesi di quanto sopra espresso, specie in
considerazione del fatto che il Comune, come riferito, si è
fatto rilasciare, in sede di attribuzione dell'incarico, un
preventivo di massima da parte dell'avvocato e ha,
successivamente, adeguato tale importo agli incrementi
comunicatigli dal legale in corso di causa e motivati da
lungaggini processuali o complessità della causa
successivamente intervenute, e del fatto che l'eccedenza di
spesa rispetto a quanto già impegnato, secondo quanto
riferito, risulta essere di non eccessiva entità, parrebbero
potersi ritenere integrati i presupposti per considerare
tale maggiore spesa quale 'passività pregressa' con
conseguente possibilità per l'Ente di procedere ad adottare
un ulteriore impegno di spesa a copertura della minima
eccedenza rispetto all'impegno contabile precedente.
---------------
[1] Il legale aveva, infatti, comunicato all'Ente che
l'importo di massima pattuito poteva essere oggetto di
variazione in relazione alla durata prolungata del processo
nonché in connessione alla complessità e impegno della causa
da instaurare.
[2] In questo senso si veda, altresì, Cassazione civile,
sez. I, sentenza del 22.04.2010, n. 9633.
[3] TAR Sicilia, Catania, sez. II, sentenza del 27.07.2015,
n. 2052. Nello stesso senso, tra le altre, TAR Sicilia,
Catania, sez. II, sentenza del 27.02.2015, n. 618 e sez. III,
del 25.03.2015, n. 854; Tribunale Salerno, sez. III,
sentenza dell'11.05.2015.
[4] In questo senso si vedano Cassazione civile, ordinanza
del 29.07.2010, n. 17698; Tribunale de L'Aquila, sentenza
dell'08.06.2013.
[5] Nel caso in esame si rientra in questa seconda ipotesi,
attesa l'assenza di un contratto ad hoc tra le parti sulla
determinazione del compenso. Secondo quanto riferito dal
Comune, al momento del conferimento dell'incarico, è stato
predisposto dal legale un 'preventivo di massima' cui hanno
fatto seguito, nel corso del giudizio, degli adeguamenti
degli importi legati, tra l'altro, alla complessità e durata
della causa.
[6] Attualmente il riferimento è al D.M. 10.03.2014, n. 55.
[7] Corte dei Conti, sez. reg. contr. Lombardia, parere del
20.05.2015, n. 200.
[8] Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 29, comma 1,
della legge 247/2012 il consiglio, tra l'altro, 'dà pareri
sulla liquidazione dei compensi spettanti agli iscritti' [lett.
l)]. L'articolo 14, primo comma, del R.D.L. 1578/1933 nel
declinare le competenze dei Consigli degli ordini, alla
lett. d), prevede che essi 'danno il parere sulla
liquidazione degli onorari di avvocato nel caso preveduto
dall'art. 59 e negli altri casi in cui è richiesto a termini
delle disposizioni vigenti'.
[9] Si segnala, altresì, un parere dell'ANCI dell'01.05.2013
che distingue, sulla falsariga di quanto contenuto nel
parere reso dallo scrivente Ufficio 15066/2007, i casi in
cui la somma da liquidare ad un professionista per maggiori
spese integri un debito fuori bilancio dai casi in cui è
possibile procedere all'integrazione ed alla liquidazione a
saldo della somma ulteriore non precedentemente impegnata.
[10] Con l'espressione di 'passività pregresse' o arretrate
si suole fare riferimento a quelle spese che riguardano
debiti per cui si è proceduto a regolare impegno
(amministrativo, ai sensi dell'articolo 183 TUEL) ma che,
per fatti non prevedibili, di norma collegati alla natura
della prestazione, hanno dato luogo ad un debito in assenza
di copertura (mancanza o insufficienza dell'impegno
contabile ai sensi dell'articolo 191 TUEL). Così Corte dei
Conti, sezione di controllo per la Lombardia, deliberazione
del 22.07.2013, n. 339.
[11] Corte dei Conti, sez. regionale controllo Friuli
Venezia Giulia, deliberazione del 17.01.2012, n. 25.
[12] Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la
Campania, parere del 25.03.2015 (17.03.2016 -
link a
www.regione.fvg.it). |
febbraio 2016 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Compensi solo a causa chiusa. Per la liquidazione
serve la sentenza di fine giudizio.
AVVOCATI/ Cassazione sui calcoli per le prestazioni
antecedenti ai nuovi parametri.
Per la liquidazione delle spese all'avvocato, occorre
attendere che l'attività sia conclusa e quindi è necessaria
una sentenza che chiuda il giudizio.
Lo hanno affermato i giudici della VI Sez. civile della Corte
di Cassazione con la
sentenza
11.02.2016 n. 2748.
Nella medesima sentenza in commento gli Ermellini hanno,
altresì, evidenziato come in tema di spese processuali, ai
sensi di legge, i nuovi parametri, cui devono essere
commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle
abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual
volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento
successivo alla data di entrata in vigore del dm 140/2012 e
si riferisca al compenso spettante a un avvocato che, a
quella data, non abbia ancora completato la propria
prestazione professionale, benché tale prestazione abbia
avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in
vigore le tariffe abrogate, anche perché secondo l'accezione
onnicomprensiva di «compenso» si tratterebbe di un
corrispettivo unitario per l'opera complessivamente
prestata.
I giudici di piazza Cavour hanno, però,
evidenziato che tale principio non potrà assolutamente
essere esteso all'attività professionale relativa ad un
grado del giudizio che si è concluso con sentenza e in
relazione al quale, il Giudice dell'appello, tenuto conto
dell'esito complessivo del giudizio, rideterminerà il
regolamento delle spese, anche per il primo grado del
giudizio, perché l'attività professionale deve ritenersi
conclusa, con la sentenza che chiude il giudizio, sia pure
relativamente ad una fase dello stesso.
Anche le sezioni unite hanno sottolineato che i nuovi
parametri professionali vanno applicati ogni qual volta la
liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo
alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si
riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a
quella data, non abbia ancora completato la propria
prestazione professionale, e, secondo la Cassazione,
l'attività professionale si deve ritenere conclusa ed
espletata tutte le volte in cui sia intervenuta una sentenza
che chiude una fase del giudizio anche con la liquidazione
delle spese
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.02.2016). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Dalle spese di lite non si sfugge.
C'è la condanna. Anche se la domanda è stata ridotta. CASSAZIONE/ La mancata statuizione è omissione censurabile
in sede di legittimità.
Ci sarà comunque la condanna alle spese di lite, anche nel
caso in cui l'autorità giudicante avrà ridotto la domanda.
A sostenerlo sono stati i giudici della VI Sez.
civile della Corte di Cassazione con la
sentenza
11.02.2016 n. 2709.
I giudici della Cassazione hanno evidenziato come in materia
di spese processuali la parte, già soccombente nei
precedenti gradi di giudizio di merito, ma poi vittoriosa
all'esito del giudizio di rinvio conseguente a quello di
cassazione, avrà certamente diritto a ottenere la
liquidazione non solo delle spese processuali relative al
giudizio di rinvio e a quello di cassazione, ma anche di
quelle sostenute nei precedenti gradi di merito. Pertanto
nel caso in cui la parte ne abbia fatto richiesta, la
mancata statuizione, sul punto, del giudice del rinvio
integra un'omissione censurabile in sede di legittimità.
Inoltre se il giudice di appello, procede con la riforma, in
tutto o in parte, la sentenza impugnata, dovrà procedere
d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito
adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, e
l'onere andrà attribuito e ripartito tenendo presente
l'esito complessivo della lite, poiché la valutazione della
soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese,
in base ad un criterio unitario e globale,
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici di piazza
Cavour, il ricorrente era risultato vincitore all'esito
della precedente sentenza pronunciata dalla Cassazione
stessa e, di conseguenza, avrebbe avuto diritto alla
liquidazione delle spese di giudizio anche in relazione ai
precedenti gradi di merito. La Corte d'appello, invece, dopo
aver accolto la domanda nel giudizio di rinvio, aveva
liquidato le spese soltanto a quanto quel giudizio e a
quello di cassazione; il che configurava, secondo gli
Ermellini, una sicura omissione in considerazione
dell'esistenza di una forma richiesta in tal senso.
Inoltre, per quanto riguarda i giudizi di equa riparazione
per violazione della durata ragionevole del processo,
proposti ai sensi della legge 24.03.2001, n. 89, questi non
si sottraggono all'applicazione delle regole poste, in tema
di spese processuali, dagli artt. 91 e ss. cod. proc. civ.,
trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al
giudice secondo le disposizioni processuali dettate dal
codice di rito.
Ne consegue, che la compensazione delle spese, anche nel
giudizio di equa riparazione, postula che il giudice motivi
adeguatamente la propria decisione in tal senso (articolo ItaliaOggi
Sette del 29.02.2016). |
gennaio 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
La procura alle liti sopperisce al contratto.
Effetti del conferimento da parte di un ente
pubblico.
Se a un avvocato viene conferita una procura alle liti da un
ente pubblico, questa sarà idonea a sopperire alla formale
sottoscrizione del contratto di patrocinio e pertanto
all'avvocato spetterà il compenso.
A stabilirlo sono stati i giudici della VI Sez. civile della
Corte di Cassazione con l'ordinanza
29.01.2016 n. 1795.
In sede di commento sembra opportuno premettere che sulla
questione dell'idoneità del rilascio della procura ad
lites, quando seguita dall'atto difensivo sottoscritto
dall'avvocato, a sopperire alla formale sottoscrizione del
contratto di patrocinio, sono intervenute numerose pronunce
della stessa corte di Cassazione, tra l'altro in giudizi tra
le stesse parti (si vedano, tra le tante, sez. VI-3,
16.04.2015, n. 7796; sez. VI-3, 22.05.2015, n. 10674; sez.
VI-3, 25.05.2015, n. 10753; sez. VI-3, 22.07.2015, n. 15454;
sez. VI-3, 28.07.2015, n. 15925).
A parere dei giudici di piazza Cavour, per quanto riguarda i
contratti della pubblica amministrazione, che devono essere
stipulati ad substantiam per iscritto, il requisito
della forma del contratto di patrocinio sarà soddisfatto con
il rilascio al difensore, a mezzo di atto pubblico, di
procura generale alle liti ai sensi dell'art. 83 cod. proc.
civ., qualora sia puntualmente fissato l'ambito delle
controversie per le quali opera la procura stessa (nel caso
sottoposto all'attenzione degli Ermellini: tutte le cause
attive e passive promosso e da promuoversi, innanzi a
qualsiasi Autorità giudiziaria, esclusa la Suprema corte di
cassazione, aventi ad oggetto il solo recupero dei crediti
della stessa Camera di commercio mandante, con espressa
autorizzazione, a tal fine, di intraprendere azioni
esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e dare
loro impulso).
Pertanto, secondo tale principio, il giudice del merito sarà
chiamato ad esaminare il fatto decisivo costituito
dall'idoneità della predetta procura, quale negozio
unilaterale di conferimento della rappresentanza
processuale, e dell'atto difensivo in concreto redatto e
sottoscritto dal difensore, a integrare la proposta e la
correlativa accettazione di un contratto di patrocinio tra
l'avvocato e l'ente pubblico, valido anche sotto il profilo
formale (articolo ItaliaOggi Sette del 22.02.2016).
---------------
MASSIMA
- Ritenuto che il consigliere designato ha depositato,
in data 15.04.2015, la seguente proposta di definizione, ai
sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Il Giudice di pace di Cassino, nel decidere
sull'opposizione proposta dalla Camera di commercio di
Frosinone avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi
confronti, su istanza dell'Avv. Gi.Sa., ha dichiarato il
diritto di quest'ultimo ad ottenere il pagamento dei
compensi professionali in dipendenza di prestazioni
concretizzatesi in atti di intervento in procedure esecutive
a carico di debitori dell'Ente.
La pronuncia, gravata di appello dalla Camera di commercio,
è stata riformata dal Tribunale di Cassino che in
accoglimento della proposta impugnazione, con sentenza n.
812 del 14.10.2013, ha dichiarato non dovuta la somma
oggetto del decreto monitorio.
Il giudice di merito ha ritenuto la procura generale
conferita all'Avv. Sa. dall'allora segretario generale della
Camera di commercio di Frosinone inidonea a soddisfare le
prescrizioni di legge. Ha segnatamente osservato che la
procura de qua, conferita al professionista affinché
rappresentasse e difendesse la Camera di commercio, non
individuava con esattezza l'oggetto del contratto, essendo
genericamente riferita a tutte le cause di recupero crediti,
di talché difettava il necessario collegamento tra la stessa
e l'atto di difesa sottoscritto dal difensore.
Per la cassazione di tale sentenza l'Avv. Sa. ha proposto
ricorso, con atto notificato il 01.12.2014, formulando due
motivi.
La Camera di commercio ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione
degli artt. 16 e 17 del regio decreto 18.11.1923, n. 2440,
1325, 1326 e ss. e 1346 ss cod. civ., nonché 83 cod. proc.
civ..
Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe fatto malgoverno
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è ben
possibile il perfezionamento di contratto di patrocinio, in
forma scritta, attraverso, da un lato, il rilascio di
procura alle liti, generale o speciale, e, dall'altro, la
redazione del singolo atto di difesa sottoscritto dal
difensore, e cioè, nello specifico, degli atti con i quali
l'Avv. Sa. aveva espletato il mandato professionale ricevuto
per il recupero dei crediti della Camera di commercio.
Con il secondo mezzo l'impugnante lamenta nullità
della sentenza e del procedimento, violazione degli artt.
116 e 132 cod. proc. civ., 1325 e 1346 cod. civ. e 83 cod.
proc. civ., ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente critica l'affermazione del giudice di merito
secondo cui la procura non individuava con esattezza
l'oggetto del contratto, essendo stata genericamente
riferita a tutte le cause di recupero crediti.
I due motivi, che si prestano ad essere esaminati
congiuntamente per la loro connessione, appaiono fondati,
alla luce del precedente specifico di questa Corte
rappresentato da Sez. VI-3, 24.02.2015, n. 3721.
Ad avviso del relatore, la doglianza relativa alla omessa
considerazione che lo ius postulandi era stato espressamente
conferito anche per "intraprendere azioni esecutive,
intervenire in quelle da altri iniziate e dare loro impulso"
e che il Sa. aveva utilizzato la procura proprio per
costituirsi in un processo esecutivo, coglie un deficit
motivazionale che è ragionevolmente frutto di un
corrispondente deficit nell'iter cognitivo del decidente, il
quale ha ritenuto generica la procura senza valutarne un
profilo essenziale sia in astratto, sia, quel che più conta,
in concreto, in relazione, cioè, all'attività difensiva
svolta e posta a base della domanda di pagamento.
Il ricorso appare pertanto destinato all'accoglimento, alla
luce del principio di diritto enunciato -in controversia tra
le stesse parti- dalla citata Cass., Sez. VI-3, 24.02.2015,
n. 3721.
Infatti,
in tema di contratti della P.A., che devono essere
stipulati ad substantlam per iscritto, il requisito della
forma del contratto di patrocinio è soddisfatto con il
rilascio al difensore, a mezzo di atto pubblico, di procura
generale alle liti ai sensi dell'art. 83 cod. proc. civ.,
qualora sia puntualmente fissato l'ambito delle controversie
per e quali opera la procura stessa (nella specie:
"tutte le cause attive e passive promosso e da promuoversi,
innanzi a qualsiasi Autorità Giudiziaria, esclusa la Suprema
Corte di cassazione, aventi ad oggetto il solo recupero dei
crediti della stessa Camera di commercio mandante", con
espressa autorizzazione, a tal fine, di "intraprendere
azioni esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e
dare loro impulso").
In relazione a tale principio, il giudice del merito sarà
chiamato ad esaminare il fatto decisivo costituito
dall'idoneità della predetta procura, quale negozio
unilaterale di conferimento della rappresentanza
processuale, e dell'atto difensivo in concreto redatto e
sottoscritto dal difensore, a integrare la proposta e la
correlativa accettazione di un contratto di patrocinio tra
l'ente pubblico e il professionista, valido anche sotto il
profilo formale.
Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di
consiglio, per esservi accolto».
- Letta la memoria di parte controricorrente.
- Considerato che il Collegio condivide la proposta di
definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod.
proc. civ.;
- che non ricorrono le ragioni previste dall'art. 374 cod.
proc. civ. per la rimessione della causa alle Sezioni Unite,
giacché va registrato che, sulla questione dell'idoneità del
rilascio della procura ad lites, quando seguita
dall'atto difensivo sottoscritto dall'avvocato, a sopperire
alla formale sottoscrizione del contratto di patrocinio,
sono già intervenute numerose pronunce di questa Corte, tra
l'altro in giudizi tra le stesse parti, che hanno ribadito
il principio richiamato nella relazione ex art. 380-bis cod.
proc. civ. (si vedano, tra le tante, Sez. VI-3, 16.04.2015,
n. 7796; Sez. VI-3, 22.05.2015, n. 10674; Sez. VI-3,
25.05.2015, n. 10753; Sez. VI-3, 22.07.2015, n. 15454; Sez.
V-3, 28.07.2015, n. 15925);
- che la memoria non offre argomenti nuovi che giustifichino
il discostamento dall'indirizzo consolidato;
- che, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la
sentenza impugnata cassata;
- che la causa deve essere rinviata al Tribunale di Cassino,
che la deciderà in persona di diverso magistrato;
- che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di
Cassino, in persona di diverso magistrato. |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sulla non conformità del regolamento comunale ai parametri
normativi individuati da questa Sezione, relativamente alla
mancata previsione che il conferimento dell’incarico
legale debba essere comunque preceduto da procedure
comparative ed adeguatamente pubblicizzato, senza
distinzione tra soglie d’importo dell’affidamento.
---------------
La Sezione ha stabilito alcuni
criteri omogenei per l’esame dei regolamenti e delle
delibere a carattere generale trasmesse dai Comuni in
materia di affidamento di incarichi di collaborazione e di
consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti pareri
in relazione ai quali individua i
seguenti principi:
1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 55 a 57, della legge
244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare
dei limiti, criteri modalità di affidamento degli incarichi
di collaborazione, studio e ricerca nonché di
consulenza a
soggetti estranei all’amministrazione.
2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella legge n.
133/2008 unifica gli incarichi di collaborazione ad alto
contenuto professionale e gli incarichi di studio e
consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con
contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado
di specifica professionalità richiesta. Questo tipo di
collaborazione è diverso dalle collaborazioni “normali”
il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni
ordinarie dell’ente.
3) Quanto alla locuzione “particolare e comprovata
specializzazione universitaria”
questa Sezione, ha già chiarito che con essa si
intende il possesso di conoscenze specialistiche
equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso
formativo di tipo universitario basato, peraltro, su
conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. Inoltre la
specializzazione richiesta, per essere “comprovata”
deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto
sull’esame di documentati curricula. Il mero possesso
formale di titoli non sempre è necessario o sufficiente a
comprovare l’acquisizione delle richieste capacità
professionali.
4) Il nuovo testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001, introdotto con
l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella l. n.
133/2008, qualifica poi come presupposti di legittimità
tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza
contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di
studio.
In particolare, il requisito
della corrispondenza della prestazione alla competenza
attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.Lgs. 267/2000.
5) Quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome
si richiamano le considerazioni contenute nel punto
6 del
parere
11.03.2008 n. 37
di questa Sezione
sull’inapplicabilità della nuova disciplina a materia già
autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico
professionale ed appalto di servizi.
6) Il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure
selettive di natura comparativa ed adeguatamente
pubblicizzata. Si è posto il problema del se ed in quali
limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico
senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi
facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli
appalti pubblici.
Come già detto la materia è del tutto estranea a quella
degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può
farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve
invece affermarsi che il ricorso a procedure comparative
deve essere generalizzato e che da esse può prescindersi
solo in circostanze del tutto particolari, e cioè: procedura
concorsuale andata deserta; unicità della prestazione sotto
il profilo soggettivo; assoluta urgenza determinata dalla
imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un
termine prefissato o ad un evento eccezionale.
Così, anche recentemente, la Corte dei Conti in sede di
controllo ha ribadito che anche gli incarichi di
consulenza
legale “devono comunque essere affidati nel pieno
rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e
motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a
tutti i possibili interessati”.
7) L’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi
ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica
Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione,
durata dell’incarico, modalità di determinazione del
corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso,
verifiche del raggiungimento del risultato.
Quest’ultima
verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o
rinnovo dell’incarico.
8) In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla
collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle
delibere di incarico.
9) Infine, l’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013 (c.d. “decreto
trasparenza”) nel disciplinare gli “obblighi di
pubblicazione concernenti i titolari di incarichi
dirigenziali e di collaborazione o consulenza”,
ha
dettato nuove disposizioni per le pubbliche amministrazioni,
tenute a pubblicare e aggiornare le informazioni relative ai
titolari di incarichi amministrativi di vertice e di
incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché
di collaborazione o consulenza (la precedente disciplina, di
cui all’art. 3, comma 54, della l. 24.12.2007, n. 244 -che
aveva modificato l’art. 1, comma 127, della legge
23.12.1996, n. 662-, è stata abrogata dal citato d.lgs. n.
33/2013, art. 53, comma 1, lett. b).
In particolare, è stato previsto, dal comma 1, l’obbligo di
pubblicare le seguenti informazioni: estremi dell’atto;
curriculum vitae; dati relativi allo svolgimento di
incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto
privato regolati o finanziati dalla pubblica
amministrazione, o lo svolgimento di attività professionali;
i compensi percepiti, comunque denominati.
Il comma 2
dell’art. 15 stabilisce inoltre, che gli obblighi di
pubblicazione e comunicazione costituiscono condizioni per
l’acquisizione di efficacia dell’atto e per la liquidazione
dei relativi compensi. In caso di omessa pubblicazione, il
pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del
dirigente che l’ha disposto (art. 15 cit., comma 3).
Nel caso in esame, il regolamento trasmesso dal Comune non si pone in linea con i criteri stabiliti
dal
parere
11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224 di questa Sezione
e
parere
11.02.2009 n. 37 quanto all’inclusione nei casi di
affidamento diretto dell’incarico di collaborazione autonoma
dell’ipotesi in cui l’incarico per il rilascio di pareri
legati per casistiche di particolare complessità, in assenza
di una struttura legale interna, preveda un compenso entro
una determinata soglia, con conseguente possibilità di
pretermissione della necessaria procedura comparativa.
Ebbene, è utile ricordare che detti incarichi devono
comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di
imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una
procedura comparativa aperta a tutti i possibili
interessati.
---------------
Questa Sezione in sede di esame del Regolamento per il
conferimento di incarichi di studio, ricerca e
consulenza a soggetti esterni all’Amministrazione,
adottato dal Comune di Ripalta Arpina (CR), ai sensi
dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n.
244, approvato con deliberazione di Giunta comunale n. 49
del 07.08.2015 ha accertato la non conformità di alcune
parti dello stesso Regolamento ai parametri normativi
prefissati.
In particolare la previsione regolamentare risulta non
rispondente al dettato legislativo di cui all’art. 46 del
D.L. n. 112/2008 riguardo alla possibilità di prescindere
dal ricorso a procedure comparative per procedere
all’affidamento di incarichi esterni aventi ad oggetto il
rilascio di pareri legali qualora il compenso annuo
complessivo netto per questi incarichi non superi l’importo
di Euro 10.000,00 (art. 8, comma 1, lett. h).
Alla luce della predetta difformità del regolamento dai
criteri enunciati dalla Sezione con il
parere
11.03.2008 n. 37,
parere
06.11.2008 n. 224
e
parere
11.02.2009 n. 37, il magistrato istruttore ritiene
che sussistano i presupposti per deferire la questione
all’esame collegiale della Sezione.
DIRITTO
La legge finanziaria per il 2008 (l. 24.12.2007, n. 244) nel
dettare regole alle quali gli enti locali debbono
conformarsi per il conferimento di incarichi di
collaborazione, di studio e di ricerca
nonché di consulenze a soggetti estranei
all’amministrazione, ha previsto la necessaria emanazione da
parte di ciascun ente locale di norme regolamentari in
materia, il cui testo deve essere trasmesso alla competente
Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni
dall’adozione, anche nell’ipotesi di modifiche future a
testi già approvati.
Questa Sezione ha già individuato con il proprio
parere
11.03.2008 n. 37 e
parere
06.11.2008 n. 224 i criteri interpretativi
della nuova normativa al fine di stabilire nell’esame dei
regolamenti pervenuti uniformi parametri di verifica, nonché
l’alveo giuridico in cui si sostanzia la funzione di
controllo della Corte dei conti.
I. Natura del controllo sui regolamenti ex comma 57
dell’art. 3 della l. n. 244/2007.
Il comma 57 dell’art. 3, della legge n. 244/2007, obbliga
gli enti locali a trasmettere alla Corte dei conti in un
breve termine prefissato le disposizioni regolamentari di
cui si tratta. La norma in discorso non contiene alcuna
previsione sulle ricadute dell’obbligo; conseguentemente, va
chiarita la natura di questa forma di controllo facendo
applicazione dei principi generali.
Secondo orientamento consolidato di questa Sezione, il dato
testuale dell’art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007
esclude che l’efficacia delle disposizioni regolamentari sia
subordinata al loro esame da parte della Corte dei conti.
Deve escludersi quindi l’effetto tipico del controllo
preventivo di legittimità che, per sua natura, è integrativo
dell’efficacia dell’atto. Nella logica di sistema
l’obbligatoria trasmissione in termini temporali ravvicinati
ad un organo di controllo esterno come la Corte dei conti va
finalizzata all’esercizio di competenze desumibili dalle
norme che regolano l’attività della istituzione.
Fatta questa premessa, si evidenzia che la funzione tipica
delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli
enti locali è quella di esercitare un controllo di tipo “collaborativo”.
In particolare, la Corte costituzionale ha affermato che il
legislatore è libero di assegnare alla Corte dei conti
qualsiasi forma di controllo, purché questo abbia un suo
fondamento costituzionale, rinvenendo, peraltro, detto
fondamento in una lettura adeguatrice al nuovo assetto della
Repubblica di norme originariamente dettate per lo Stato,
quali gli artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della
Costituzione (cfr. sentenza Corte Cost. n. 179/2007).
In quest’ottica, la Sezione delle autonomie della Corte dei
conti, con
deliberazione
24.04.2008 n. 6/2008, ha dettato le
linee di indirizzo e i criteri interpretativi dell’articolo
3, commi 54-57, della legge 24.12.2007, n. 244 in materia di
regolamenti degli enti locali per l’affidamento di incarichi
di collaborazione, studio, ricerca e consulenza, chiarendo
che la trasmissione del regolamento deve ritenersi
strumentale all’esame da parte della Sezione, in un’ottica
di controllo collaborativo.
In questo quadro di rapporti istituzionali l’obbligo di
trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti da
parte degli enti locali non può essere fine a se stesso ma
deve essere finalizzato allo svolgimento di funzioni (cfr.
in proposito la deliberazione di questa Sezione n. 11 del
26.10.2006).
La trasmissione di regolamenti deve, pertanto, ritenersi
strumentale al loro esame e ad una pronuncia della Corte dei
conti. Stante la natura dell’atto regolamentare, in questo
caso il controllo della Corte dei conti è ascrivibile alla
categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi
assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo
statuto dell’ente, i criteri deliberati dal Consiglio, i
limiti normativi di settore ed in particolare l’art. 7 del
D.Lgv. n. 165/2001 e l’art. 110 del D.Lgv. n. 267/2000.
Va ricordato che le norme da ultimo richiamate hanno un
particolare valore perché hanno positivizzato principi
affermati da una giurisprudenza ormai univoca quali
presupposti essenziali per il ricorso agli incarichi
esterni; essi costituiscono regole di organizzazione non
derogabili da disposizioni regolamentari ed in gran parte
neppure da norme di rango superiore in quanto trovino
fondamento in principi costituzionali.
II. Effetti del controllo sul regolamento per
l’affidamento di incarichi esterni.
Fissati i parametri di raffronto per le verifiche demandate
alla Corte dei conti, si debbono stabilire gli effetti del
controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale,
ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di
controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti
locali, ha ritenuto che anche il riesame di legalità e
regolarità –a cui si ascrivono le verifiche previste
dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005
per accertare il raggiungimento degli obiettivi del Patto di
stabilità e degli equilibri finanziari, così come il
controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007- va
effettuato in una prospettiva non più statica (come era il
tradizionale controllo di legalità regolarità), ma dinamica
per consentire all’ente destinatario del controllo di
adottare misure correttive conformi ai parametri normativi
individuati in sede di riesame.
Strumento per raggiungere siffatto risultato in una
tipologia di controllo di natura collaborativa può essere
individuato nell’applicazione dei principi e dell’iter
procedurale dettati dall’art. 1, comma 168, della legge n.
266/2005, norma che prevede specifiche pronunce da
indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso
l’adozione delle necessarie misure correttive nonché la
vigilanza sulla effettiva adozione delle misure stesse.
Si aggiunga che l’esame della Corte sulle norme
regolamentari riguarda solo detta materia e non va perciò
estesa ad altre norme, anche nella ipotesi nella quale
l’ente trasmetta l’intero regolamento sull’ordinamento degli
uffici e dei servizi.
III. Parametri normativi che conformano il controllo sui
regolamenti de quibus.
Con
parere
11.02.2009 n. 37
la Sezione ha stabilito alcuni
criteri omogenei per l’esame dei regolamenti e delle
delibere a carattere generale trasmesse dai Comuni in
materia di affidamento di incarichi di collaborazione e di
consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti
parere
11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224, in relazione ai quali individua i
seguenti principi:
1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 55 a 57, della legge
244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare
dei limiti, criteri modalità di affidamento degli incarichi
di collaborazione, studio e ricerca nonché di
consulenza a
soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad
adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene
alla Giunta nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal
Consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma,
lett. A del T.U.E.L.).
2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella legge n.
133/2008 unifica gli incarichi di collaborazione ad alto
contenuto professionale e gli incarichi di studio e
consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con
contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado
di specifica professionalità richiesta. Questo tipo di
collaborazione è diverso dalle collaborazioni “normali”
il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni
ordinarie dell’ente.
3) Quanto alla locuzione “particolare e comprovata
specializzazione universitaria”
questa Sezione, ha già chiarito con il
parere
12.05.2008 n. 28
e
parere
12.05.2008 n. 29, che
con essa si
intende il possesso di conoscenze specialistiche
equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso
formativo di tipo universitario basato, peraltro, su
conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. Inoltre la
specializzazione richiesta, per essere “comprovata”
deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto
sull’esame di documentati curricula. Il mero possesso
formale di titoli non sempre è necessario o sufficiente a
comprovare l’acquisizione delle richieste capacità
professionali.
4) Il nuovo testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001, introdotto con
l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella l. n.
133/2008, qualifica poi come presupposti di legittimità
tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza
contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di
studio.
In particolare, il requisito
della corrispondenza della prestazione alla competenza
attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.Lgs. 267/2000.
5) Quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome
si richiamano le considerazioni contenute nel punto
6 del
parere
11.03.2008 n. 37
di questa Sezione
sull’inapplicabilità della nuova disciplina a materia già
autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico
professionale ed appalto di servizi.
6) Il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure
selettive di natura comparativa ed adeguatamente
pubblicizzata. Si è posto il problema del se ed in quali
limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico
senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi
facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli
appalti pubblici.
Come già detto la materia è del tutto estranea a quella
degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può
farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve
invece affermarsi che il ricorso a procedure comparative
deve essere generalizzato e che da esse può prescindersi
solo in circostanze del tutto particolari, e cioè: procedura
concorsuale andata deserta; unicità della prestazione sotto
il profilo soggettivo; assoluta urgenza determinata dalla
imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un
termine prefissato o ad un evento eccezionale.
Così, anche recentemente, la Corte dei Conti in sede di
controllo ha ribadito che anche gli incarichi di
consulenza
legale “devono comunque essere affidati nel pieno
rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e
motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a
tutti i possibili interessati” (C. Conti, sez. contr.
Emilia Romagna,
deliberazione
18.11.2015 n. 145).
7) L’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi
ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica
Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione,
durata dell’incarico, modalità di determinazione del
corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso,
verifiche del raggiungimento del risultato.
Quest’ultima
verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o
rinnovo dell’incarico.
8) In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla
collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle
delibere di incarico.
9) Infine, l’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013 (c.d. “decreto
trasparenza”) nel disciplinare gli “obblighi di
pubblicazione concernenti i titolari di incarichi
dirigenziali e di collaborazione o consulenza”,
ha
dettato nuove disposizioni per le pubbliche amministrazioni,
tenute a pubblicare e aggiornare le informazioni relative ai
titolari di incarichi amministrativi di vertice e di
incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché
di collaborazione o consulenza (la precedente disciplina, di
cui all’art. 3, comma 54, della l. 24.12.2007, n. 244 -che
aveva modificato l’art. 1, comma 127, della legge
23.12.1996, n. 662-, è stata abrogata dal citato d.lgs. n.
33/2013, art. 53, comma 1, lett. b).
In particolare, è stato previsto, dal comma 1, l’obbligo di
pubblicare le seguenti informazioni: estremi dell’atto;
curriculum vitae; dati relativi allo svolgimento di
incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto
privato regolati o finanziati dalla pubblica
amministrazione, o lo svolgimento di attività professionali;
i compensi percepiti, comunque denominati.
Il comma 2
dell’art. 15 stabilisce inoltre, che gli obblighi di
pubblicazione e comunicazione costituiscono condizioni per
l’acquisizione di efficacia dell’atto e per la liquidazione
dei relativi compensi. In caso di omessa pubblicazione, il
pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del
dirigente che l’ha disposto (art. 15 cit., comma 3).
Nel caso in esame, il regolamento trasmesso dal Comune di Ripalta Arpina non si pone in linea con i criteri stabiliti
dal
parere
11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224 di questa Sezione
e
parere
11.02.2009 n. 37 quanto all’inclusione nei casi di
affidamento diretto dell’incarico di collaborazione autonoma
dell’ipotesi in cui l’incarico per il rilascio di pareri
legati per casistiche di particolare complessità, in assenza
di una struttura legale interna, preveda un compenso entro
una determinata soglia, con conseguente possibilità di
pretermissione della necessaria procedura comparativa.
Ebbene, è utile ricordare che detti incarichi devono
comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di
imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una
procedura comparativa aperta a tutti i possibili
interessati.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la
Regione Lombardia:
1) Accerta la non conformità del
regolamento inviato ai parametri normativi individuati da
questa Sezione nelle delibere richiamate in premessa,
relativamente alla mancata previsione che il conferimento
dell’incarico debba essere comunque preceduto da procedure
comparative ed adeguatamente pubblicizzato, senza
distinzione tra soglie d’importo dell’affidamento;
2) Invita l’amministrazione comunale a modificare il
predetto regolamento nelle parti indicate;
3) Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al
Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di
Ripalta Arpina al fine di procedere alle necessarie
modifiche del regolamento.
4) Dispone che l’amministrazione comunale trasmetta entro il
termine di legge di 30 giorni dalla delibera di modifica, il
nuovo regolamento aggiornato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
deliberazione 21.01.2016 n. 16). |
novembre 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Ricorso bocciato, sì al taglio dell’onorario del legale
d’ufficio.
Difesa in giudizio. Il carattere pubblico dell’importo
lascia ampia discrezionalità al magistrato.
Il compenso
del difensore d’ufficio, nominato al fine di fornire
assistenza tecnica a un contribuente ammesso ai benefici del
patrocinio gratuito, può essere legittimamente ridotto dal
giudice tributario. La liquidazione degli onorari
costituisce, infatti, espressione di un potere
discrezionale.
È quanto emerge dalla
sentenza 23.09.2015 n. 7543/1/15
della Ctp di Milano (giudice Paolo Roggero), con la quale è
stato rigettato il ricorso presentato dal difensore
d’ufficio del contribuente contro il provvedimento con il
quale altro collegio giudicante, con precedente sentenza,
aveva liquidato compensi inferiori a quelli da lui
richiesti.
Il legale rappresentante di una Srl aveva ottenuto dalla
commissione per l’assistenza tecnica a spese dello Stato
l’ammissione ai benefici del patrocinio gratuito in quanto,
seppur priva di mezzi, aveva la necessità di difendersi in
giudizio dagli avvisi di accertamento emessi dall’ufficio
per anni dal 2005 al 2008.
Il patrocinio veniva assunto da un avvocato che redigeva il
ricorso, dichiarato poi inammissibile dai giudici di primo
grado in quanto tardivo.
Il difensore d’ufficio della ricorrente presentava, così, la
nota spese con la quale chiedeva, a titolo di compenso per
la prestazione svolta, la liquidazione dell’importo
complessivo di 5.124,6 euro, oltre agli oneri accessori. Il
collegio adito, con provvedimento del 06.02.2015,
liquidava al difensore 1.800 euro.
Il difensore presentava ricorso contro il decreto di
pagamento (in base agli articoli 84 e 170, legge 115/2002),
eccependo che la sua nota spesa rispettava i parametri
ministeriali, già abbattuti del 50% ai sensi dell’articolo
130 del Testo unico sulle spese di giustizia. Lamentava
altresì il fatto che il collegio avesse provveduto a
ridimensionare fortemente il proprio compenso, senza
tuttavia motivare al riguardo e violando, in ogni caso, la
tariffa regolamentata dalla vigente normativa.
Il ministero dell’Economia e delle finanze si costituiva in
giudizio, resistendo al ricorso. In conclusione, la Ctp di
Milano respingeva l’atto impugnato dal difensore d’ufficio.
Pur rilevando come lo stesso legale avesse depositato una
nota spese rispettosa dei parametri ministeriali (abbattuti
del 50%), la liquidazione poteva dar luogo a un importo
inferiore, tenuto conto del caso concreto e non dovendosi
comunque fare esclusivo riferimento alla media delle
tariffe. Infatti, il carattere pubblico del compenso e il
fatto che l’importo gravasse, di fatto, sull’intera
collettività, consentivano un’ampia discrezionalità al
giudice. L’obiettivo è assicurare che l’onorario sia
effettivamente commisurato all’importanza e alla qualità
della prestazione professionale svolta, nonché ai risultati
ottenuti.
Sulla base di tali principi, la Ctp ha ritenuto corretta la
liquidazione effettuata dal collegio giudicante di primo
grado, in quanto basata su ragioni valide quali l’operato
del difensore e sul fatto che il ricorso fosse stato
dichiarato inammissibile (articolo Il Sole 24 Ore del 02.11.2015). |
luglio 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Spese legali a parere vincolato.
Pa e giudici devono liquidare la somma stabilita
dall’avvocatura dello Stato.
Pubblico impiego. Le Sezioni Unite fissano i criteri di
rimborso delle parcelle professionali dei difensori.
Nel liquidare
le spese legali a favore del dipendente finito a processo,
la Pa deve attenersi alla valutazione di congruità espressa
dall’avvocatura dello Stato, valutazione che guiderà anche
il giudice dell’eventuale ricorso. Nessun ruolo in questa
partita può giocare il parere dell’Ordine forense
competente, poiché qui non si controverte sul compenso
professionale, bensì su un rimborso di spese legali già
anticipate.
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la
sentenza 06.07.2015 n. 13861
depositata ieri, fanno chiarezza sui criteri per tenere
indenni i dipendenti pubblici sottoposti a procedimento
penale - e dal quale siano ovviamente usciti con
archiviazione o assoluzione nel merito.
La questione era
stata sollevata da un sottufficiale di Marina siciliano,
sottoposto negli anni ’90 a un processo per fatti inerenti
la funzione costatogli -quantomeno dal solo punto di vista
patrimoniale- circa 20 mila euro attuali. Il rimborso era
stato però decurtato esattamente di due terzi
dall’avvocatura erariale, cui si era rivolta
l’amministrazione della Marina prima della liquidazione,
“taglio” che aveva poi superato anche due gradi di giudizio
di merito davanti al giudice ordinario.
Tuttavia la stessa
avvocatura dello Stato aveva eccepito la competenza del
tribunale ordinario, eccezione portata al grado di
legittimità come controricorso incidentale -subordinato-
rispetto all’impugnazione del militare. La Terza civile
aveva infine rimesso il fascicolo alle Sezioni Unite che
ieri hanno sciolto il solo quesito principale respingendo
tutte le richieste del militare. A cominciare da un sospetto
(generico) di incostituzionalità sollevato dal ricorrente
circa la mancanza di un corrispondente parere -obbligatorio- di congruità dei Consigli dell’ordine nelle parcelle verso
i privati.
Per le Sezioni unite l’equiparazione è arbitraria
(rimborso da una parte, parcella dall’altra), e anche la
lamentazione circa una presunta diminutio dell’esercizio di
difesa (articolo 24 della Costituzione) è fuori luogo,
considerato tra l’altro che qui i parametri della Carta che
vengono in gioco sono semmai quelli legati alla «buona
amministrazione» (art. 81). In sostanza, argomenta la Corte,
le esigenze di finanza pubblica «impongono di non far carico
all’erario di oneri eccedenti quanto è necessario, e al
contempo sufficiente, per soddisfare gli interessi generali
e i doveri giuridici che presidiano l’istituto del rimborso
spese».
Pertanto, se il vaglio del rimborso cadesse a carico
dei (soli) consigli forensi ciò «toglierebbe qualsiasi
rilevanza pubblicistica alla spesa e ai relativi doveri di
governo di essa», equiparando di fatto «il debito del
cliente verso il professionista e quello di protezione del
dipendente, che è a carico dello Stato». Equiparazione
improponibile, perché tra l’altro renderebbe il cliente
“arbitro” della spesa pubblica attraverso scelte di difesa
personali talvolta anche ultronee.
Proprio per questo
«prudentemente il legislatore ha previsto che (tali oneri,
ndr) siano vagliati, sotto il profilo della congruità,
dall’avvocatura dello Stato». Congruità, appunto, che
significa bilanciare il diritto di difesa del dipendente
della Pa con il ragionevole contenimento della spesa
pubblica per avvocati difensori privati.
In questo senso il criterio dello «strettamente necessario»
riferito alle spese di difesa deve essere inteso come
«contemperamento» e bilanciamento tra principi
costituzionali in parte confliggenti (articolo Il Sole 24 Ore del
07.07.2015 - tratto da www.centrostudicni.it). |
giugno 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Per il compenso serve l'incarico.
L'avvocato deve dimostrare il titolo.
Il compenso può essere richiesto dall'avvocato, solo se
quest'ultimo dimostra l'avvenuto conferimento dell'incarico.
È quanto hanno affermato i giudici della II Sez. civile
della Corte di Cassazione con la
sentenza 24.06.2015 n. 13106.
Il thema decidendum
Un avvocato conveniva in giudizio i propri clienti, padre e
figlio, per i quali aveva svolto un incarico stragiudiziale,
denunciando il disinteresse dei clienti medesimi e chiedeva,
quindi, la liquidazione dei compensi spettanti.
Il Tribunale adito rigettava le richieste di condanna.
La Corte d'appello confermava quanto pronunciato dal
Tribunale, poiché da quanto portato in giudizio non si
evinceva alcun conferimento di incarichi professionali
all'avvocato.
Il ricorso in Cassazione: il conferimento dell'incarico.
L'avvocato ricorreva in Cassazione, che evidenziava come la
decisione della Corte territoriale fosse logica e congruente
nell'osservare come l'espletamento dell'attività
professionale di cui il ricorrente chiedeva la remunerazione
non trovava alcun fondamento, in termini di conferimento di
incarico.
Appello e nuove prove
Nella medesima sentenza in commento, i giudici di piazza
Cavour hanno ribadito che esiste il divieto di nuove prove
in appello. L'avvocato affermava che il divieto di prove
nuove in appello si applicherebbe solo alle prove
costituende e non a quelle precostituite come nel caso di
specie.
Si osserva che l'articolo 345 cpc, comma 3, nel subordinare
l'ammissione di nuovi mezzi di prova in grado di appello
alla condizione che il collegio li ritenga indispensabili ai
fini della decisione ovvero, in via alternativa, che la
parte dimostri di non averli potuti proporre in primo grado
per causa ad essa non imputabile, stabilisce il principio
dell'inammissibilità di mezzi di prova nuovi, cioè di mezzi
di prova la cui ammissione non sia stata richiesta in
precedenza.
Gli Ermellini hanno, altresì escluso, ogni differenza tra
prove precostituite e prove costituende ai fini del divieto
di cui all'art. 345 c.p.c. e, inoltre, nel caso di specie,
l'eventuale lesione del diritto di difesa, lamentata
dall'avvocato, non ha formato oggetto di appello
(articolo ItaliaOggi Sette del 20.07.2015). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Spese legali nel caso di soccombenza: rimborso forfettario e
riconoscimento del debito fuori bilancio.
È riconoscibile come debito fuori
bilancio, in caso di sentenza esecutiva, il rimborso
forfetario delle spese riconosciuto all'avvocato (nella
misura massima del 15% del compenso) sulla base di quanto
stabilito dalla legge 27/2012 e dal successivo Dm attuativo
n. 140/2012.
Tali somme, in particolare, mirano a ristorare l'avvocato di
quelle voci di spesa (ad esempio, quelle relative alla
gestione dello studio, costo segreteria, fitto studio,
abbonamenti riviste, acquisto libri), che sono effettive, ma
che non possono essere riferite ed imputate ad una singola
pratica.
Secondo il citato decreto «nei compensi non sono comprese le
spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa
quella concordata in modo forfettario» e, di conseguenza,
sulla base dell'art. 13, comma 10, della legge 247/2012
«oltre al compenso per la prestazione professionale,
all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di
determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione
giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente
sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente
anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il
rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima è
determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai
criteri di determinazione e documentazione delle spese
vive».
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Il Dm
55/2014 ha previsto che il rimborso spese forfettarie "di
regola" avviene nella misura (massima) del 15% del compenso.
Tale rimborso deve essere contabilizzato, ove dovuto,
secondo le ordinarie regole giuscontabili dell'impegno,
della liquidazione, dell'ordinazione e del pagamento ovvero
del riconoscimento di debito.
Nelle ipotesi in cui nell'anno
di competenza finanziaria non sia stata attivata la
procedura di spesa ordinaria, l'unico modo di ricondurre il
debito nella contabilità dell'ente (con effetto vincolante
per l'amministrazione) è avviare, nei casi eccezionali ivi
tipicamente indicati, la procedura del riconoscimento di
debito, ex articolo 194 del Tuel.
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Il Sindaco del Comune di
Anagni, con nota acquisita al prot. n. 5700 del
10.12.2014, ha chiesto a questa Sezione la seguente
richiesta di parere in materia di rimborso forfettario
spettante agli avvocati per sentenze pronunciate dopo il
03.04.2014.
Premessa una breve ricostruzione del quadro ordinamentale,
ha, in particolare, chiesto:
“1. Se in caso di soccombenza, con condanna dell’Ente
a pagare le spese di giudizio, ove il Giudice si limiti a
liquidare le stesse con la formula «condanna parte
soccombente alle spese di giudizio, liquidate in … oltre IVA
e CPA», se sia dovuto anche il rimborso spese delle spese
forfettarie ex art 13, comma 10, della legge n. 247/2012 e
in quale misura”;
“2. Se detto rimborso forfettario, debba formare
oggetto di formale riconoscimento di debito, ex art. 194,
comma 1, lett. a) del D.Lgs 267/2000, da parte del
Competente Consiglio Comunale unitamente alla sentenza di
condanna esecutiva, o se possa procedersi al pagamento di
tale rimborso, mediante determinazione di impegno e
successiva liquidazione, ex art. 183 e 184 TUELL”.
...
Quanto all’ammissibilità sotto il profilo oggettivo,
l’inerenza dei quesiti a materia di contabilità pubblica,
nel contesto sistematico nel quale l’art. 7, comma 8, è
inserito, va correttamente intesa -alla stregua dei principi
enunciati dalla Sezione delle Autonomie con deliberazione n.
3/SEZAUT/2014/QMIG e dalle Sezioni Riunite con deliberazione
17.11.2010, n. 54- secondo una nozione unitaria della
materia della contabilità pubblica, oggetto della funzione
di consulenza attribuita alle Sezioni regionali di
controllo.
In base a tale orientamento la richiesta di
parere, riguardante il primo quesito -se in caso di
soccombenza sia dovuto anche il rimborso spese delle spese
forfettarie- è da ritenere inammissibile, in quanto non
attiene a profili di contabilità pubblica.
Nel caso all’esame appare evidente che l’intervento di
questa Sezione risulta essere finalizzato non ad acquisire
un parere tecnico sull’interpretazione di specifiche
disposizioni normative, quanto piuttosto alla definizione
dell’an debeatur.
La richiesta di parere, riguardante il primo quesito,
è da ritenere, quindi, inammissibile sotto il profilo
oggettivo.
Al fine di fornire, comunque, un ausilio all’Ente, è bene
evidenziare che le spese forfettarie mirano
a ristorare l'avvocato di quelle voci di spesa (ad esempio,
quelle relative alla gestione dello studio, costo
segreteria, fitto studio, abbonamenti riviste, acquisto
libri), che sono effettive, ma che non possono essere
riferite ed imputate ad una singola pratica (invece le spese
effettuate specificamente per un singolo atto processuale o
atto in genere -es. raccomandata- non ricadono nelle spese
forfettarie, essendo il singolo atto posto in essere
riferito ad una specifica pratica).
Nell'ambito del previgente sistema tariffario di cui
all'art. 14, D.M. n. 127/2004, il rimborso spettava
automaticamente all'avvocato, anche in assenza di
allegazione specifica e di espressa richiesta, dovendosi
quest'ultima ritenersi implicita nella domanda di condanna
al pagamento del compenso giudiziale (in termini, con
riferimento alla previgente disciplina; Cass. 03.04.2007, n.
8238; Cass. 10.01.2006, n. 146; Cass. 20.10.2005, n. 20321).
Al rimborso si riconosceva la natura di credito che
conseguiva per legge (e la cui misura era determinata nel
12,5 per cento), sicché spettava automaticamente al
professionista, anche in assenza di allegazione specifica e
di domanda, dovendosi quest'ultima ritenere implicita nella
domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali
(Cass. 22.05.2013, n. 12579; Cass. 19.08.2009, n. 18424).
L'omessa liquidazione in favore dell'avvocato della parte
vittoriosa delle somme dovute per spese forfettarie, si
diceva costituisse un errore materiale della sentenza, che
può essere corretto con il procedimento di cui agli artt.
287 e seguenti cpc (Cass. 02.08.2013, n. 18518).
L'art. 9, commi 1 e 2, del decreto legge 24.01.2012, n. 1,
convertito con legge n. 27/2012, ha disposto l'abrogazione
delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema
ordinistico. "Ferma restando l'abrogazione di cui al
comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale, il compenso del professionista è
determinato con riferimento a parametri stabiliti con
decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di
centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto. Entro lo
stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono
anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle
casse professionali e agli archivi precedentemente basati
sulle tariffe".
L'art. 1, comma 2, del d.m. 20.07.2012, n. 140, adottato in
esecuzione del predetto art. 9 della legge n. 27/2012, ha
stabilito che "Nei compensi non sono comprese le spese da
rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella
concordata in modo forfettario".
L'art. 13, comma 10, del legge n. 247/2012 ha, poi, previsto
che "Oltre al compenso per la prestazione professionale,
all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di
determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione
giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente
sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente
anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il
rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima è
determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai
criteri di determinazione e documentazione delle spese vive".
L'art. 2, comma 2, del D.M. 10.03.2014, n. 55, adottato in
esecuzione dell'art. 13, comma 16, della predetta legge n.
247/2012, ha stabilito che all'avvocato é
dovuta -in ogni caso ed anche in caso di determinazione
contrattuale- una somma per rimborso spese forfettarie "di
regola" nella misura del 15 per cento del compenso.
Nella relazione illustrativa al D.M. 55/2014 si legge che
l'individuazione nella misura del 15 per
cento del rimborso forfettario è frutto del recepimento del
parere espresso dalla Commissione giustizia della camera e
che essa "dà attuazione all'art. 13, comma 10, della
legge 247/2012 che rimette proprio al d.m. la determinazione
della misura massima del rimborso forfettario".
Ne consegue che l'entità del rimborso deve
essere compresa tra l'1 per cento e il 15 per cento del
compenso da liquidare, e che il tetto massimo (15 per cento)
può essere liquidato solo a fronte di una istanza
dell'avvocato adeguatamente motivata.
La precisazione da parte dell'art. 2, comma
2, del d.m. 55/2014 che il riconoscimento della percentuale
del 15 per cento deve avvenire "di regola" non vale
ad individuare un importo massimo vincolante per il giudice,
atteso che la legge non prevede un simile vincolo.
Si tratta, infatti, in ogni caso, di valutazioni rimesse al
libero apprezzamento del giudice sulla base delle istanze e
delle motivazioni addotte dalla parte.
Per quanto riguarda, invece, il secondo quesito,
relativo alle modalità di contabilizzazione del rimborso,
ove dovuto, la Sezione fa presente che il
procedimento segue le ordinarie regole giuscontabili
dell’impegno, della liquidazione, dell’ordinazione e del
pagamento ovvero del riconoscimento di debito.
All’assunzione dell’impegno di spesa segue, ai sensi degli
artt. 183 e 184 TUEL, la liquidazione a valere sul fondo
rischi e oneri, laddove istituito, o su capitolo di spesa
nei limiti degli stanziamenti autorizzati (art. 191 TUEL).
In corso di esercizio, tale procedura può essere
accompagnata da una variazione di bilancio volta a reperire
le risorse ove queste siano insufficienti (art. 193 TUEL).
Nelle ipotesi in cui nell’anno di
competenza finanziaria non sia stata attivata la procedura
di spesa ordinaria, l’unico modo di ricondurre il debito
nella contabilità dell’ente
(con effetto vincolante per l’amministrazione)
è avviare nei casi eccezionali ivi tipicamente
indicati la procedura del riconoscimento di debito, ex art.
194 TUEL.
L’assunzione del debito fuori bilancio, ex
art. 194, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 267/2000, esula
dalla regolare procedura di spesa, per il pagamento di somme
accertate con sentenza di condanna esecutiva.
La procedura per il riconoscimento di debiti fuori bilancio
è lo strumento giuridico per riportare un’obbligazione
giuridicamente perfezionata ed esistente, all’interno della
sfera patrimoniale dell’ente, ricongiungendo debito e
volontà amministrativa sul piano dell’adempimento.
Il procedimento mira, da un lato, a
consentire al Consiglio di vagliare la legittimità del
titolo medesimo
(in termini di “pertinenza”, cioè inerenza alle
competenze di legge attribuite all’ente, e di “continenza”,
vale a dire, di esercizio delle stesse in modo conforme
all’ordinamento) e di reperimento dei mezzi
di copertura finanziaria (procedura ex art. 194 T.U.E.L.).
La funzione di tale procedura è quella di consentire a
debiti sorti al di fuori della legittima procedura di spesa
e di stanziamento di rientrare nella contabilità dell’ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio,
parere 22.06.2015 n. 110). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
COMPENSI AVVOCATI/ Onorario: è credito di valuta,
non valore. Lo dice un'ordinanza.
Nel caso in cui si crei una controversia tra l'avvocato ed
il cliente per il compenso dovuto al primo, il cliente sarà
ritenuto in mora dopo la liquidazione del debito in seguito
all'ordinanza di conclusione del procedimento ex art. 28,
legge 13.06.1942 n. 794.
Gli interessi decorreranno, nei limiti della somma liquidata
dal giudice, da quella data.
Lo hanno affermato i giudici della VI Sez. civile
della Corte di Cassazione con l'ordinanza
04.06.2015 n. 11587.
In caso di onorari professionali, quello dell'avvocato è un
credito di valuta e non di valore, poiché ha ad oggetto una
somma di denaro.
Pertanto, è stato osservato dagli Ermellini, la sopravvenuta
svalutazione monetaria non consente una rivalutazione
d'ufficio di esso, occorrendo una domanda del creditore di
riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti
dall'art. 1224, secondo comma, cod. civ. e il
soddisfacimento del relativo onere probatorio, ed essendo
applicabile l'art. 429 cod. proc. civ., come modificato
dalla legge n. 533/1973, solo quando l'opera dell'avvocato
si configuri come attività continuativa e coordinata tipica
dei cosiddetti rapporti di «parasubordinazione».
I giudici di piazza Cavour hanno osservato, inoltre, come
secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale in
tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e
procuratore a carico del cliente, la disposizione comune
alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale
contenuta nel dm 14.02.1992, n. 238) prevede che gli
interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo
all'invio della parcella, tuttavia quando insorge
controversia tra l'avvocato ed il cliente circa il compenso
per prestazioni professionali, il debitore non può essere
ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che
avviene con l'ordinanza che conclude il procedimento della
L. 13.06.1942, n. 794, ex art. 28, sicché è da quella data -
e nei limiti di quanto liquidato dal giudice, e non da
prima, che va riportata la decorrenza degli interessi (si
vedano: Cass. n. 2431 del 2011; I1777del 2005, 5240 del
1999, 13586/1991, 5004 del 1993 3995 del 1988)
(articolo ItaliaOggi Sette del
22.06.2015
- tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
COMPENSI AVVOCATI/ Corte di cassazione. Gli
importi liquidati a misura di decreto.
Per la liquidazione dell'onorario dell'avvocato, il valore
della controversia che ha per oggetto l'opposizione a
decreto ingiuntivo, deve essere determinato con riferimento
all'importo del decreto opposto.
Lo hanno affermato i giudici della II Sez. civile
della Corte di Cassazione con la
sentenza
03.06.2015 n. 11454.
È stato, poi, evidenziato che la somma risultante dal
decreto non dovrà sommarsi a quella chiesta dagli opponenti
in restituzione di quanto versato per la provvisoria
esecutività del decreto ingiuntivo, né, tantomeno, a quella
precedentemente versata sempre in esecuzione del medesimo
decreto.
I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati ad
esprimersi su un caso che vedeva una controversia relativa
al pagamento degli onorari richiesti da un avvocato per
l'attività svolta. Il cliente si opponeva avverso il decreto
ingiuntivo emesso nei suoi confronti, munito di provvisoria
esecuzione, ed otteneva l'accoglimento della domanda e la
restituzione delle somme versate.
I giudici di merito hanno infatti ritenuto che, in base al
tenore letterale della quietanza emessa dall'avvocato,
risultava che egli avesse già ricevuto il pagamento della
prestazione eseguita solo parzialmente. L'avvocato impugnava
la pronuncia con ricorso in Cassazione, denunciando, oltre
ad infondati vizi procedurali, l'omessa o contraddittoria
motivazione in ordine all'estensione della quietanza di
pagamento a tutte le prestazioni effettuate e la violazione
dei criteri ermeneutici a tal fine applicati dai giudici di
merito.
Secondo gli Ermellini il primo profilo di doglianza
risultava inammissibile per la mancata formulazione del
momento di sintesi con indicazione del fatto controverso e
del quesito di diritto, mentre in merito all'interpretazione
delle convenzioni intervenute tra le parti, la Corte di
legittimità affermava che la sentenza impugnata aveva
opportunamente considerato le espressioni letterali usate,
traendone l'univocità della dichiarazione del creditore ed
escludendo qualsiasi dubbio in ordine al fatto che la somma
indicata fosse stata corrisposta e riscossa a titolo di
saldo finale delle prestazioni effettivamente realizzate
(articolo ItaliaOggi Sette del
22.06.2015
- tratto da www.centrostudicni.it). |
maggio 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Sulla liquidazione delle parcelle legali.
Quando la difesa legale non
riguarda la particolare fattispecie di giudizio per
l’accertamento della eventuale responsabilità dei
propri dipendenti, l’ente locale prima di
procedere al pagamento della parcella presentata dal
proprio difensore ha il dovere di esaminare la
documentazione relativa all’attività svolta dal
difensore per valutarne la congruità.
Detta valutazione di congruità
risponde all’esigenza di garantire una “attenta e
prudente gestione della spesa pubblica”, pertanto
deve tenere conto, “da un lato dell’incertezza
dell’esatta individuazione delle voci che potrebbero
concorrere alla determinazione degli onorari, dei
diritti e delle indennità dovute agli avvocati per
l’esercizio della loro attività professionale e dei
relativi parametri legali, dall’altro della
necessità di scongiurare il rischio di annoverare
nella parcella spese oggettivamente superflue o non
proporzionali all’opera prestata”.
Inoltre, anche quando non è
richiesto dalla legge il parere dell’Avvocatura
dello Stato, la valutazione di congruità deve
“riguardare, non solo la conformità della parcella
alla tariffa forense, ma anche il rapporto fra
l'importanza e delicatezza della causa e le somme
spese per la difesa”.
---------------
Nell'ipotesi di soccombenza laddove "nel
dispositivo della sentenza si legge sempre
l'ammontare della parcella dovuta al legale della
controparte, mentre nulla è stabilito dal giudice
per quella dovuta al legale che ha assistito
l'Amministrazione” detta liquidazione può
rappresentare un parametro di congruità (per pagare
il proprio legale) in relazione al valore della
causa, al numero di udienze alle quali hanno
partecipato i difensori delle parti in giudizio,
nonché al numero di atti processuali redatti e
depositati in corso di causa.
---------------
Circa la necessità -o meno- di avviare “la procedura
di riconoscimento del debito fuori bilancio per
quella parte della parcella eccedente il preventivo
impegno di spesa” si osserva quanto segue.
Il riconoscimento degli
oneri spettanti ad un legale per l’attività svolta a
favore dell’ente rientra nel novero delle
acquisizioni di servizi per i quali in astratto può
essere attivata legittimamente la procedura prevista
dalla lettera e) dell’art. 194 D.lgs. 267/2000”.
Tuttavia, vengono in rilievo anche i principi
contabili in tema di contratti di prestazione
d'opera intellettuale laddove affermano che “l'ente
deve determinare compiutamente, anche in fasi
successive temporalmente, l'ammontare del compenso
(esempio gli incarichi per assistenza legale) al
fine di evitare la maturazione di oneri a carico del
bilancio non coperti dall'impegno di spesa
inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità
dell'ente potrà disciplinare l'assunzione di
ulteriore impegno, per spese eccedenti l'impegno
originario, dovute a cause sopravvenute ed
imprevedibili”.
La Magistratura contabile ha affrontato il caso in
cui l’impegno di spesa per un incarico legale non
fosse risultato adeguato rispetto alla parcella
presentata dal professionista e si è chiesta se in
questi casi l’ente locale debba ricorrere alla
procedura del debito fuori bilancio per liquidare la
differenza rispetto al preventivo.
La fattispecie è stata risolta richiamando il
principio secondo cui “pur in
presenza di difficoltà nella individuazione della
somma esatta relativa alla parcelle del
professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei
canoni di buona amministrazione (fra gli altri a
quello del prudente apprezzamento), delle regole
giuscontabili in materia di spesa e dei principi che
caratterizzano la corretta gestione dei pubblici
bilanci”.
Così, con riferimento alla
determinazione dell’impegno di spesa per attività
professionale legale, va acquisito “dall’avvocato,
al quale è stata affidata la rappresentanza in
giudizio del Comune, un preventivo di massima
relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese
che presuntivamente deriveranno dall’espletamento
dell’incarico stesso ai fini di predisporre un
adeguata copertura finanziaria".
D’altra parte, se si
verificano casi in cui è difficile quantificare
l’impegno finanziario al momento dell’ordinazione
della prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL, in
ragione dell’imprevedibile andamento della causa,
“la difficoltà di determinazione dell’esatto
ammontare di una spesa non esime l’ente dall’obbligo
di effettuarne una stima quanto più possibile
veritiera e prudenziale, al fine di una corretta
imputazione a bilancio del costo complessivo
presunto della prestazione. L’importo così
determinato dovrà essere impegnato in bilancio nella
sua interezza anche se verrà corrisposto, quanto
meno in parte, in epoca successiva all’esercizio di
competenza".
Dunque, nell’ordinamento contabile
degli enti locali (art. 162 TUEL) vigente prima
dell’entrata a regime dell’armonizzazione dei
sistemi contabili, è corretta l’assunzione
dell’impegno di spesa quando il sottostante
contratto (nella specie, mandato d’opera) viene
stipulato con il professionista incaricato della
tutela legale secondo una prudente e oculata
previsione della durata e dell’importo complessivo
dell’incarico, al fine di predisporre un’adeguata
copertura finanziaria.
In questo caso, l’impegno di spesa per prestazioni
professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto
correttamente quando in presenza di un eventuale
maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga
durata della causa), l’ente al fine di garantire la
copertura finanziaria procede ad adeguare lo
stanziamento iniziale integrando l’originario
impegno di spesa.
In altri termini, “fatti
successivi, non prevedibili al momento
dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi
della durata del processo, costituiscono una
legittima causa giuridica per la spesa da sostenere
e consentono, quindi, di assumere il relativo
impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il
ricorso all’istituto del riconoscimento del debito
fuori bilancio contrasterebbe con i principi di
contabilità pubblica”.
Ne consegue che “qualora
l’importo legittimamente impegnato si riveli
insufficiente, la differenza non realizza
automaticamente una fattispecie di debito fuori
bilancio, da legittimare ai sensi dell’art. 194, co.
1, lett. e TUEL”.
Con l’attuazione
dell’armonizzazione dei sistemi contabili
e, in particolare, l’applicazione
del principio della competenza finanziaria
potenziata, i richiamati principi elaborati dalla
giurisprudenza contabile trovano ulteriore conferma.
Infatti, “gli impegni
derivanti dal conferimento di incarico a legali
esterni, la cui esigibilità non è determinabile,
sono imputati all'esercizio in cui il contratto è
firmato, in deroga al principio della competenza
potenziata, al fine di garantire la copertura della
spesa. In sede di predisposizione del rendiconto, in
occasione della verifica dei residui prevista
dall'articolo 3, comma 4 del presente decreto, se
l'obbligazione non è esigibile, si provvede alla
cancellazione dell'impegno ed alla sua immediata
re-imputazione all'esercizio in cui si prevede che
sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni
presenti nel contratto di incarico al legale.
Al fine di evitare la formazione di debiti fuori
bilancio, l'ente chiede ogni anno al legale di
confermare o meno il preventivo di spesa sulla base
della quale è stato assunto l'impegno e, di
conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali
ulteriori impegni. Nell'esercizio in cui l'impegno è
cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo
pluriennale vincolato al fine di consentire la
copertura dell'impegno nell'esercizio in cui
l'obbligazione è imputata.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 3, comma 4,
del presente decreto prevede che le variazioni agli
stanziamenti del fondo pluriennale vincolato e
dell'esercizio in corso e dell'esercizio precedente
necessarie alla reimputazione delle entrate e delle
spese reimputate sono effettuate con provvedimento
amministrativo della giunta entro i termini previsti
per l'approvazione del rendiconto”.
---------------
Il Sindaco del
Comune di Erbusco chiede alla Sezione un “parere:
- circa la necessità, prima di procedere al
pagamento: di sottoporre, o meno, la parcella del
legale al parere di congruità della spesa della
competente Avvocatura distrettuale dello Stato o, in
alternativa, del Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati;
- di avviare, o meno, la procedura di
riconoscimento del debito fuori bilancio per quella
parte della parcella eccedente il preventivo impegno
di spesa”.
...
Venendo al merito della richiesta, il Sindaco del
Comune di Erbusco chiede alla Sezione un “parere
circa la necessità, prima di procedere al pagamento:
di sottoporre, o meno, la parcella del legale al
parere di congruità della spesa della competente
Avvocatura distrettuale dello Stato o, in
alternativa, del Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati; di avviare ,o meno, la procedura di
riconoscimento del debito fuori bilancio per quella
parte della parcella eccedente il preventivo impegno
di spesa”.
Primo quesito: è necessario
sottoporre “la parcella del legale al parere di
congruità della spesa della competente Avvocatura
distrettuale dello Stato o, in alternativa, del
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati”?
Alla stregua del tenore letterale della richiesta di
parere occorre, preliminarmente, chiarire che la
Sezione, nell’ambito dell’attività consultiva, non
può interferire sulla valutazione
dell’amministrazione circa la congruità della
parcella presentata dal difensore in relazione
all’attività svolta per conto e nell’interesse del
Comune, trattandosi di valutazione che deve svolgere
in concreto l’ente locale nell’esercizio della piena
ed esclusiva discrezionalità che per legge gli
spetta.
Tenendo a mente questa premessa, in merito al primo
quesito, la Sezione richiama i principi generali ai
quali potrà orientarsi l’ente locale nel compiere la
valutazione di congruità della parcella presentata
dal difensore.
Nella richiesta l’ente cita il
precedente parere deliberato dalla Sezione regionale
di controllo per il Piemonte
(delibera n. 35/2011) che,
tuttavia, si occupa della particolare fattispecie di
spese di patrocinio legale relative a giudizi per
l’accertamento delle responsabilità civili, penali
ed amministrative promossi nei confronti di
dipendenti ed amministratori dell’ente locale
(ipotesi tra l’altro di cui si è occupata, non solo
la richiamata delibera della Sezione regionale per
il Piemonte, ma anche la Sezione regionale di
controllo per il Molise, con la delibera n. 6/2007,
e la Sezione regionale di controllo per la
Basilicata, con la delibera n. 4/2007).
Questa Sezione ritiene che, quando
la difesa legale non riguarda questa particolare
fattispecie di giudizio per l’accertamento della
eventuale responsabilità dei propri dipendenti
-se così fosse si rinvia integralmente a quanto
affermato nella delibera n. 35/2011 della Sezione
regionale di controllo per il Piemonte di cui l’ente
locale istante ha già contezza-,
l’ente locale prima di procedere al pagamento
della parcella presentata dal proprio difensore ha
il dovere di esaminare la documentazione relativa
all’attività svolta dal difensore per valutarne la
congruità.
Detta valutazione di congruità
(a prescindere che venga svolta dall’Avvocatura
dello Stato come nella particolare fattispecie
prevista dall’art. 18, comma 1, del D.L. 25/03/1997,
n. 67, convertito, con modificazioni, nella Legge
23/05/1997, n. 135) risponde
all’esigenza di garantire una “attenta e prudente
gestione della spesa pubblica”, pertanto deve
tenere conto, “da un lato dell’incertezza
dell’esatta individuazione delle voci che potrebbero
concorrere alla determinazione degli onorari, dei
diritti e delle indennità dovute agli avvocati per
l’esercizio della loro attività professionale e dei
relativi parametri legali, dall’altro della
necessità di scongiurare il rischio di annoverare
nella parcella spese oggettivamente superflue o non
proporzionali all’opera prestata”
(C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011).
Inoltre, anche quando non è
richiesto dalla legge il parere dell’Avvocatura
dello Stato, la valutazione di congruità deve “riguardare,
non solo la conformità della parcella alla tariffa
forense, ma anche il rapporto fra l'importanza e
delicatezza della causa e le somme spese per la
difesa”
(C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011 che
richiama Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sent.
23.01.2007, n. 1418).
L’ente locale istante nella
richiesta di parere, nell’esporre le difficoltà che
incontra l’Amministrazione nel valutare la congruità
della parcella, aggiunge quando l’Amministrazione
medesima è “parte soccombente, nel dispositivo
della sentenza si legge sempre l'ammontare della
parcella dovuta al legale della controparte, mentre
nulla è stabilito dal giudice per quella dovuta al
legale che ha assistito l'Amministrazione”.
In proposito, questa Sezione osserva che,
nell’ipotesi rappresentata dall’ente, anche
se la sentenza che definisce il contenzioso
quantifica le spese legali sostenute da controparte
(e non dall’Amministrazione soccombente) detta
liquidazione può rappresentare un parametro di
congruità in relazione al valore della causa, al
numero di udienze alle quali hanno partecipato i
difensori delle parti in giudizio, nonché al numero
di atti processuali redatti e depositati in corso di
causa.
* * *
Secondo quesito: è
necessario avviare “la procedura di
riconoscimento del debito fuori bilancio per quella
parte della parcella eccedente il preventivo impegno
di spesa”?
Con riferimento al procedimento che l’ente locale
istante deve seguire per contabilizzare in bilancio
la spesa che l’Amministrazione comunale è chiamata a
sostenere a titolo di corrispettivo per la
prestazione professionale svolta dall’avvocato nel
suo interesse, si richiamano i principi generali più
volte affermati da questa Sezione con riferimento
alla disciplina antecedente all’attuazione
dell’armonizzazione dei sistemi contabili (ex del
d.lgs. n. 118/2011 e succ. mod.).
Questa Sezione, sia in sede di esercizio delle
funzioni di controllo sulla sana gestione
finanziaria degli enti locali (Lombardia/322/2012/PRSE
dell’11.07.2012) sia in sede consultiva
(Lombardia/441/2012/PAR del 23.10.2012), ha già
avuto modo di affermare che “il
riconoscimento degli oneri spettanti ad un legale
per l’attività svolta a favore dell’ente rientra nel
novero delle acquisizioni di servizi per i quali in
astratto può essere attivata legittimamente la
procedura prevista dalla lettera e) dell’art. 194
D.lgs. 267/2000”.
Tuttavia, vengono in rilievo anche i principi
contabili in tema di contratti di prestazione
d'opera intellettuale laddove affermano che “l'ente
deve determinare compiutamente, anche in fasi
successive temporalmente, l'ammontare del compenso
(esempio gli incarichi per assistenza legale) al
fine di evitare la maturazione di oneri a carico del
bilancio non coperti dall'impegno di spesa
inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità
dell'ente potrà disciplinare l'assunzione di
ulteriore impegno, per spese eccedenti l'impegno
originario, dovute a cause sopravvenute ed
imprevedibili”
(Testo approvato dall'Osservatorio il 18.11.2008,
princ. Cont. n. 2 cpv. 108).
La Magistratura contabile ha affrontato il caso in
cui l’impegno di spesa per un incarico legale non
fosse risultato adeguato rispetto alla parcella
presentata dal professionista e si è chiesta se in
questi casi l’ente locale debba ricorrere alla
procedura del debito fuori bilancio per liquidare la
differenza rispetto al preventivo.
La fattispecie è stata risolta richiamando il
principio secondo cui “pur in
presenza di difficoltà nella individuazione della
somma esatta relativa alla parcelle del
professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei
canoni di buona amministrazione (fra gli altri a
quello del prudente apprezzamento), delle regole
giuscontabili in materia di spesa e dei principi che
caratterizzano la corretta gestione dei pubblici
bilanci”.
Così, con riferimento alla
determinazione dell’impegno di spesa per attività
professionale legale, va acquisito “dall’avvocato,
al quale è stata affidata la rappresentanza in
giudizio del Comune, un preventivo di massima
relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese
che presuntivamente deriveranno dall’espletamento
dell’incarico stesso ai fini di predisporre un
adeguata copertura finanziaria”
(cfr. C. Conti, sez. contr. Campania, par. n. 8 del
04.02.2009; la delibera della Sezione Campana
richiama il principio già espresso dalle Sezioni
Riunite, in sede di Controllo, per la Regione
Sicilia n. 2 del 27.01.2007).
D’altra parte, se si verificano
casi in cui è difficile quantificare l’impegno
finanziario al momento dell’ordinazione della
prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL, in ragione
dell’imprevedibile andamento della causa, “la
difficoltà di determinazione dell’esatto ammontare
di una spesa non esime l’ente dall’obbligo di
effettuarne una stima quanto più possibile veritiera
e prudenziale, al fine di una corretta imputazione a
bilancio del costo complessivo presunto della
prestazione. L’importo così determinato dovrà essere
impegnato in bilancio nella sua interezza anche se
verrà corrisposto, quanto meno in parte, in epoca
successiva all’esercizio di competenza”
(sul punto Corte dei conti, Sez. contr. reg.
Sardegna, parere n. 2/2007).
Dunque, nell’ordinamento contabile
degli enti locali (art. 162 TUEL) vigente prima
dell’entrata a regime dell’armonizzazione dei
sistemi contabili, è corretta l’assunzione
dell’impegno di spesa quando il sottostante
contratto (nella specie, mandato d’opera) viene
stipulato con il professionista incaricato della
tutela legale secondo una prudente e oculata
previsione della durata e dell’importo complessivo
dell’incarico, al fine di predisporre un’adeguata
copertura finanziaria.
In questo caso, l’impegno di spesa per prestazioni
professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto
correttamente quando in presenza di un eventuale
maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga
durata della causa), l’ente al fine di garantire la
copertura finanziaria procede ad adeguare lo
stanziamento iniziale integrando l’originario
impegno di spesa
(in senso conforme, Sez. Contr. reg. Campania,
parere n. 9/2007, che richiama il principio
contabile n. 2 punto 52 dei “principi contabili
per gli enti locali”, emanati dall’Osservatorio
per la finanza e la contabilità degli enti locali
del Ministero Interno, gennaio 2004).
In altri termini, “fatti
successivi, non prevedibili al momento
dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi
della durata del processo, costituiscono una
legittima causa giuridica per la spesa da sostenere
e consentono, quindi, di assumere il relativo
impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il
ricorso all’istituto del riconoscimento del debito
fuori bilancio contrasterebbe con i principi di
contabilità pubblica”
(LOMBARDIA/19/2009/PAR del 05.02.2009).
Ne consegue che “qualora l’importo
legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la
differenza non realizza automaticamente una
fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare
ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL”
(LOMBARDIA/19/2009/PAR del 05.02.2009).
Con l’attuazione
dell’armonizzazione dei sistemi contabili
(ex del d.lgs. n. 118/2011 e succ. mod.)
e, in particolare, l’applicazione del
principio della competenza finanziaria potenziata, i
richiamati principi elaborati dalla giurisprudenza
contabile trovano ulteriore conferma.
Infatti, nell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118/11
relativo al principio generale di competenza
finanziaria, si afferma che “gli
impegni derivanti dal conferimento di incarico a
legali esterni, la cui esigibilità non è
determinabile, sono imputati all'esercizio in cui il
contratto è firmato, in deroga al principio della
competenza potenziata, al fine di garantire la
copertura della spesa. In sede di predisposizione
del rendiconto, in occasione della verifica dei
residui prevista dall'articolo 3, comma 4 del
presente decreto, se l'obbligazione non è esigibile,
si provvede alla cancellazione dell'impegno ed alla
sua immediata re-imputazione all'esercizio in cui si
prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle
indicazioni presenti nel contratto di incarico al
legale.
Al fine di evitare la formazione di debiti fuori
bilancio, l'ente chiede ogni anno al legale di
confermare o meno il preventivo di spesa sulla base
della quale è stato assunto l'impegno e, di
conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali
ulteriori impegni. Nell'esercizio in cui l'impegno è
cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo
pluriennale vincolato al fine di consentire la
copertura dell'impegno nell'esercizio in cui
l'obbligazione è imputata.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 3, comma 4,
del presente decreto prevede che le variazioni agli
stanziamenti del fondo pluriennale vincolato e
dell'esercizio in corso e dell'esercizio precedente
necessarie alla reimputazione delle entrate e delle
spese reimputate sono effettuate con provvedimento
amministrativo della giunta entro i termini previsti
per l'approvazione del rendiconto”
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 20.05.2015 n. 200). |
aprile 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
La regola secondo cui i debiti per incarichi a legali
esterni, ove maggiori rispetto a quelli contabilizzati senza
una causa di oggettiva imprevedibilità, con una non
ingiustificata “irrisorietà” o “non congruità” dell’importo
contabilizzato, devono essere riconosciuti attraverso la
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio deve
essere confermata anche nel mutato quadro normativo, per
effetto dell’entrata in vigore, dal 01.01.2015, della
nuova contabilità pubblica (Dlgs. n. 118/2011).
Nel caso di impegni per incarichi a legali esterni risalenti
ad annualità anteriori al 2015, per cui la prestazione per
il corrispettivo non sia ancora esigibile, il residuo va
riaccertato ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.lgs.
n. 118/2011 per addivenire alla ricollocazione temporale
dello stesso secondo il principio della competenza
finanziaria rafforzata: infatti, «se l’obbligazione non è
esigibile, si provvede alla cancellazione dell’impegno ed
alla sua immediata re-imputazione all’esercizio in cui si
prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle
indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale».
---------------
In pratica, a partire dal 2015, ove l’impegno sia stato in
origine sottostimato, per cause oggettive, in sede di
bilancio preventivo, annualmente, deve essere adeguato
l’’importo stanziato, di modo che vi siano risorse
sufficienti per l’impegno ed il pagamento del corrispettivo,
consentendo al Consiglio di controllare costantemente
l’evolversi della spesa a fronte di fatti nuovi e
imprevedibili.
Ove peraltro emergesse una non congruità dell’impegno
originario imputabile a circostanze soggettive, imputabili
al professionista o al funzionario che ha consentito alla
spesa, la maggior somma dovrà invece essere oggetto della
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ai
sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), nei limiti del
valutato “arricchimento” per l’ente.
Altrimenti opinando, infatti, il funzionario che ha operato
in modo incauto o non diligente potrebbe facilmente
sottrarsi alla responsabilità diretta (art. 191, comma 4,
TUEL) e al filtro valutativo che la legge prevede che il
Consiglio eserciti in sede di riconoscimento del debito per
prestazioni per beni e servizi, a garanzia della propria
competenza autorizzativa delle spesa.
---------------
Con la nota richiamata in epigrafe il Sindaco di Santa Maria La
Carità (NA) ha chiesto alla Sezione un parere in ordine alla
corretta procedura per l’imputazione in bilancio dei
maggiori oneri per parcelle professionali presentate a
conclusione di un giudizio da parte degli avvocati
incaricati della difesa tecnica del Comune.
L’Ente fa l’ipotesi di un impegno a suo tempo assunto in
bilancio all’atto del conferimento dell’incarico in una
misura “irrisoria”, «senza pattuire condizioni e modalità di
espletamento dell'incarico e senza indicare i criteri di
determinazione della parcella da presentare a saldo, a
conclusione del giudizio».
Chiede pertanto di sapere, nel caso in cui «la parcella
presentata dal professionista incaricato, a conclusione del
giudizio, si [discostasse] significativamente dall'impegno
iniziale assunto» quale sia la procedura corretta da seguire
tra:
«a) attivazione del procedimento per il riconoscimento del
debito fuori bilancio ai sensi dell'art. 194, comma 1, lett.
e), del T.U.E.L 18.08.2000, n. 267, per provvedere al
pagamento della quota della spesa eccedente l'impegno
assunto al momento del conferimento dell'incarico, "nei
limiti degli accertati e dimostrali utilità e arricchimento
per l'ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza";
b) la semplice integrazione dell'impegno assunto per la
quota di spesa eccedente».
Il Comune soggiunge un ulteriore quesito, subordinato al
primo sopra esposto. Segnatamente, nel caso in cui si
ritenesse corretto procedere nel senso del riconoscimento
del debito fuori bilancio (ipotesi sub. a), «chiede di
conoscere come debba essere determinato il requisito
dell'arricchimento. In particolare, si chiede di conoscere
se l'arricchimento deve essere stabilito secondo i valori
minimi dei nuovi parametri professionali approvati con D.M.
n. 55/2014 e se, dunque, qualora la parcella presentata dal
professionista (tenuto conto dell'esito positivo del
giudizio, del numero delle udienze, del valore della causa
prossimo al limite massimo dello scaglione) superi tali
valori minimi, il Comune sia legittimato a rideterminarla
d'ufficio secondo i minimi tariffari senza correre il
rischio di essere citato in giudizio dal professionista ed
essere condannato al pagamento della parcella così come
dallo stesso redatta con l'ulteriore aggravio della
rifusione delle spese legali».
...
1. Il thema quaestionandi riguarda la corretta procedura
contabile da seguire nel caso in cui emerga un debito per
parcelle professionali emesse da legali a conclusione di un
giudizio, in misura superiore al quantum a suo tempo
impegnato al momento del conferimento dell’incarico, impegno
poi confluito tra i residui del bilancio dell’ente locale.
In particolare si chiede di sapere se, in tal caso, la
maggiore prestazione, debba ritenersi un debito
contabilmente nuovo, da impegnarsi, per competenza,
nell’esercizio finanziario di presentazione della parcella
sul pertinente capitolo di bilancio, nei limiti dello
stanziamento (con la procedura ordinaria di cui all’art. 191
TUEL), ovvero debba ritenersi lo stesso un debito per
competenza riferibile all’esercizio in cui è stato conferito
l’incarico che, pertanto, non può che essere riconosciuto
con l’eccezionale procedura dei debiti fuori bilancio (ex
art. 194 TUEL, sub specie di debito per prestazioni e
servizi ai sensi della lett. e).
Il tema è stato abbondantemente esaminato dalla
giurisprudenza contabile (cfr., ex plurimis, SCRC Emilia
Romagna
parere 25.07.2013 n.
256 e 311/2012/PAR nonché SRC Campania
nn. 261/2014/PAR, 241/2014/PRSP e 35/2014/PRSP) nel
precedente sistema di contabilità basato sul principio della
competenza finanziaria “semplice”, prima dell’entrata in
vigore, per tutti gli enti locali, del D.lgs. n. 118/2011,
a partire dal 01.01.2015. Tale giurisprudenza,
peraltro, per i principi che esprime rimane per gran parte
attuale, salvo le precisazioni che seguono.
2. Secondo tale pregressa giurisprudenza, i debiti per
prestazioni professionali devono essere imputati
nell’esercizio in cui è stato conferito l’incarico legale,
nel rispetto del principio di prudenza e di sana gestione
finanziaria, in una misura pari ad una stima, la più precisa
possibile, del costo finale della prestazione. Ciò in
aderenza al principio contabile n. 2, cpv. 108, del Testo
approvato dall’Osservatorio del Ministero dell’Interno il 12.03.2008, ai sensi del quale «l’ente deve determinare
compiutamente, anche in fasi successive temporalmente,
l’ammontare del compenso (esempio gli incarichi per
assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di
oneri a carico del bilancio non coperti dall’impegno di
spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità
dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di ulteriore
impegno, per spese eccedenti l’impegno originario, dovute a
cause sopravvenute ed imprevedibili».
L’obbligo di procurarsi un congruo preventivo del
corrispettivo, oltre a gravare sulla pubblica
amministrazione e discendere da principi di sana gestione
contabile, è oggi un espresso obbligo gravante sullo stesso
professionista per effetto delle innovative disposizioni di
cui all’art. 9 del D.L. n. 1/2012 conv. L. n. 27/2012. Tale
norma ha abrogato le tariffe professionali e ha stabilito
che «Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito
al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il
professionista deve rendere noto al cliente il grado di
complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni
utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del
conferimento alla conclusione dell'incarico […]».
Detto in altri termini, l’ente, da un lato, è tenuto in sede
di incarico a concordare nel titolo il corrispettivo
affinché il suo ammontare risulti definito o, quantomeno,
sufficientemente determinabile, di modo che, a scadenza, la
liquidazione dell’onorario e della spesa trovi preventiva e
sufficiente provvista nella contabilità dell’ente, evitando
la formazione di debiti fuori bilancio.
Nel vecchio sistema contabile, in base al principio della
competenza finanziaria “semplice”, tale stima preventiva si
traduceva, di norma, nell’impegno nell’anno d’incarico e
nella traslazione di tale impegno in conto residui negli
anni successivi.
Diversamente la sottostima del compenso, la mancanza
assoluta di stima o la sua contabilizzazione per importi
irrisori non poteva che comportare e comporta la formazione
di un debito extra-bilancio.
Infatti, in caso di stima mancante in assoluto o
oggettivamente inadeguata in relazione alle caratteristiche
della causa (mediante l’impegno di una somma “irrisoria” o
comunque ingiustificatamente incongrua), l’unica via
perseguibile per la riconduzione del debito al bilancio
dell’ente è quella del ricorso alla procedura del
riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art.
194, comma 1, lett. e) (sussistendo il debito, in
alternativa, direttamente in capo al funzionario che ha
consentito la prestazione, ex art. 191, comma 4, TUEL).
In tale ipotesi, infatti, sarebbero state violate le norme
contabili che presidiano la corretta imputazione in bilancio
della spesa; il titolo e la fattispecie generativa
dell’obbligazione, inoltre, riguarderebbero integralmente un
esercizio precedente nel quale l’ammontare della spesa non è
stato correttamente rilevato.
In definitiva, l'adozione di una formale deliberazione di
riconoscimento consente la verifica sull'utilità del
patrocinio, nonché di attivare il controllo in relazione a
possibili profili di responsabilità erariale, stante
l'obbligo di trasmissione delle deliberazioni di
riconoscimento dei debiti fuori bilancio alla competente
Procura presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei
conti (art. 23 della Legge n. 289/2002).
Infatti, come è noto, il procedimento di riconoscimento dei
debiti fuori bilancio è lo strumento giuridico per riportare
un’obbligazione giuridicamente perfezionata all’interno
della sfera patrimoniale dell’ente, ricongiungendo il debito
insorto con la volontà amministrativa (SRC Lombardia
parere 22.07.2013 n. 339 e n. 482/2013/PAR).
Il procedimento mira, da un
lato, a consentire al Consiglio di vagliare la legittimità
del titolo (verificando, in primo luogo, la sussunzione in
una delle fattispecie tipizzate dall’art. 194 TUEL) e,
dall’altro, a reperire modalità di copertura finanziaria
(indicate sempre nell’art. 194 TUEL).
Si ricorda poi come la giurisprudenza contabile (SRC
Lombardia n. 65/2013 e n. 436/2013, SCR Liguria n. 122/2010
e n. 56/2011) abbia costantemente ritenuto eccezionale la
disciplina dell’art. 194 TUEL, salva l’interpretazione
estensiva delle ipotesi ivi considerate quando funzionale al
non aggravamento della situazione debitoria dell’ente (ad
esempio in tema di provvedimenti giurisdizionali
legittimanti il riconoscimento, cfr. SRC Campania n.
42/2014/PRSP).
Per altro verso, eccezionalmente, la giurisprudenza ha
talvolta ammesso che eventuali maggiori oneri
successivamente liquidati, esclusivamente per fatti
sopravvenuti ed imprevedibili, quali lo sviluppo del
processo in termini di maggiore tempo e complessità
procedimentale causata dalla peculiarità della causa,
avrebbero potuto essere impegnati per competenza
nell’esercizio di manifestazione degli stessi, secondo
l’ordinaria procedura di spesa (art. 191 TUEL), integrando
l’originario impegno a residuo, con un nuovo impegno nel
pertinente capitolo di spesa (cfr. Sez. Lombardia,
deliberazioni nn. 19/2009/PAR e 441/2012/PAR; SRC Campania
n. 9/2007/PAR; SRC Sardegna deliberazione n. 2/2007/PAR).
La ratio di tale orientamento, da un lato, è che l’ente,
ricorrendo tali eccezionali presupposti (fatti sopravvenuti
ed imprevedibili) non avrebbe violato le norme che
presidiano la procedura di spesa e, per altro verso, il
titolo giuridico alla base del residuo originario rimarrebbe
immutato e non coinciderebbe con la “causa” del nuovo
debito; detto in altri termini, si sarebbe in presenza di
una nuova obbligazione giuridica, sorta in un esercizio
successivo a fronte di fatti nuovi, imputabili secondo il
principio della competenza finanziaria in un esercizio
finanziario diverso da quello in cui l’incarico è stato
assunto.
In relazione a queste tipologie di debiti sopravvenuti,
scaturenti da un titolo a suo tempo regolarmente registrato
e imputato ma che, per fatti oggettivamente non
preventivabili, si fossero manifestati in sede di
liquidazione in un importo superiore a quello a suo tempo
impegnato, la giurisprudenza contabile ha parlato di
“passività pregresse” (cfr. SRC Lombardia
parere 22.07.2013 n. 339 e
n. 482/2013/PAR).
3. La regola secondo cui i debiti per incarichi a legali
esterni, ove maggiori rispetto a quelli contabilizzati senza
una causa di oggettiva imprevedibilità, con una non
ingiustificata “irrisorietà” o “non congruità” dell’importo
contabilizzato, devono essere riconosciuti attraverso la
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio deve
essere confermata anche nel mutato quadro normativo, per
effetto dell’entrata in vigore, dal 01.01.2015, della
nuova contabilità pubblica (Dlgs. n. 118/2011).
Peraltro, i sopra richiamati principi elaborati in sede
ermeneutica vanno arricchiti dal sistema di regole oggi
espressamente previsto per gli incarichi a legali eterni, in
adattamento al nuovo principio della competenza finanziaria
“potenziata” o “rafforzata”, articolatamente disciplinato
negli allegati di cui al richiamato decreto, sia in sede di
principi generali (Allegato 1, punto 16) che in sede di
principi “applicati” (Allegato 4.2, §2).
Secondo tali principi, come è noto, le obbligazioni devono
essere registrate in bilancio tenendo conto non solo del
perfezionamento del titolo, ma anche della scadenza
(esigibilità) della prestazione che, nel caso di spesa per
l’acquisto di beni e servizi, di norma, coincide con
l’adempimento della prestazione da parte del fornitore
(Allegato 4.2, al § 5.2., lett. b).
Nel caso di impegni per incarichi a legali esterni risalenti
ad annualità anteriori al 2015, per cui la prestazione per
il corrispettivo non sia ancora esigibile, il residuo va
riaccertato ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.lgs.
n. 118/2011 per addivenire alla ricollocazione temporale
dello stesso secondo il principio della competenza
finanziaria rafforzata: infatti, «se l’obbligazione non è
esigibile, si provvede alla cancellazione dell’impegno ed
alla sua immediata re-imputazione all’esercizio in cui si
prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle
indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale».
Inoltre, in deroga al principio secondo cui nel fondo
pluriennale vincolato confluiscono solo entrate correnti
vincolate ed entrate destinate al finanziamento di
investimenti (Allegato 4.2., § 5.4) «Nell’esercizio in cui
l’impegno è cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo
pluriennale vincolato al fine di consentire la copertura
dell’impegno nell’esercizio in cui l’obbligazione è
imputata».
Cionondimeno, il richiamato principio subisce una deroga (in
sostanza continuando ad applicare il pregresso criterio
della competenza finanziaria “semplice”) nel caso di
incarichi a legali esterni dal cui contesto non sia
possibile desumere la scadenza: ai sensi del principio
contabile applicato di cui all’Allegato 4.2, al § 5.2.,
lett. g), infatti, «gli impegni derivanti dal conferimento
di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è
determinabile, sono imputati all’esercizio in cui il
contratto è firmato, in deroga al principio della competenza
potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa».
Tale imputazione, peraltro, presuppone la necessità che la
spesa sia stata congruamente stimata «al fine di evitare la
formazione di debiti fuori bilancio». Tale necessità viene
resa costante, imponendo un obbligo di verifica annuale; il
§ 5.2, lett. c), infatti, prevede che l’ente chieda «ogni
anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa
sulla base della quale è stato assunto l’impegno e, di
conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori
impegni».
In pratica, a partire dal 2015, ove l’impegno sia stato in
origine sottostimato, per cause oggettive, in sede di
bilancio preventivo, annualmente, deve essere adeguato
l’’importo stanziato, di modo che vi siano risorse
sufficienti per l’impegno ed il pagamento del corrispettivo,
consentendo al Consiglio di controllare costantemente
l’evolversi della spesa a fronte di fatti nuovi e
imprevedibili.
Ove peraltro emergesse una non congruità dell’impegno
originario imputabile a circostanze soggettive, imputabili
al professionista o al funzionario che ha consentito alla
spesa, la maggior somma dovrà invece essere oggetto della
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ai
sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), nei limiti del
valutato “arricchimento” per l’ente.
Altrimenti opinando, infatti, il funzionario che ha operato
in modo incauto o non diligente potrebbe facilmente
sottrarsi alla responsabilità diretta (art. 191, comma 4,
TUEL) e al filtro valutativo che la legge prevede che il
Consiglio eserciti in sede di riconoscimento del debito per
prestazioni per beni e servizi, a garanzia della propria
competenza autorizzativa delle spesa (Corte dei Conti, Sez.
controllo Campania,
parere 01.04.2015 n. 110). |
gennaio 2015 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI:
Negli enti locali, vigente la L.
08/06/1990 n. 142, il potere di rilasciare
l’autorizzazione a stare in giudizio era di
competenza della Giunta Comunale e il potere di
conferire la procura del Sindaco.
Dopo l'entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali
(D.Lgs. 18/08/2000 n. 267), la giurisprudenza ha
affermato che la rappresentanza in giudizio
dell'ente locale spetta al Sindaco o al Presidente
della Provincia, senza necessità di preventiva
autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo
diversa previsione dello Statuto, il quale può sia
prevedere la necessità della persistenza
dell'autorizzazione, attribuendone il relativo
potere, sia affidare la rappresentanza dell'ente ad
un dirigente, o anche al dirigente dell'ufficio
legale, con riferimento all'intero contenzioso.
In via
pregiudiziale va esaminata l’eccezione con cui, in
pubblica udienza, il ricorrente ha dedotto che la
resistenza in giudizio dell’intimato comune deve
ritenersi sfornita di idonea autorizzazione, atteso
che la delibera di Giunta con la quale la stessa è
stata data, non individua correttamente il
procedimento giudiziale al quale la medesima si
riferisce.
L’eccezione è infondata.
Negli enti locali, vigente la L. 08/06/1990 n. 142,
il potere di rilasciare l’autorizzazione a stare in
giudizio era di competenza della Giunta Comunale e
il potere di conferire la procura del Sindaco (Cass.
Civ., Sez. I, 21/12/2002 n. 18224 e 10/09/2003 n.
13218).
Dopo l'entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali
(D.Lgs. 18/08/2000 n. 267), la giurisprudenza ha
affermato che la rappresentanza in giudizio
dell'ente locale spetta al Sindaco o al Presidente
della Provincia, senza necessità di preventiva
autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo
diversa previsione dello Statuto, il quale può sia
prevedere la necessità della persistenza
dell'autorizzazione, attribuendone il relativo
potere, sia affidare la rappresentanza dell'ente ad
un dirigente, o anche al dirigente dell'ufficio
legale, con riferimento all'intero contenzioso
(Cons. Stato, Sez. IV, 10/02/2012 n. 701; Sez. V,
07/09/2007 n. 4721; Cass. Civ., Sez. I, 13/01/2010
n. 387; Sez. III, 05/08/2010 n. 18158; SS.UU.,
27/06/2005 n. 13710; TAR Campania-Salerno
24/09/2012 n. 1674).
Ne consegue che, in difetto di prova in ordine alla
persistenza, nell'ambito dell'ordinamento proprio
del Comune di Arbus, dell'autorizzazione a stare in
giudizio, l'eccezione non può essere accolta
(TAR Sardegna, Sez.
II,
sentenza
28.01.2015 n. 244 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Servizi
legali.
Domanda
Per l'affidamento di un servizio legale in un ente locale è
necessario avviare una selezione pubblica o è possibile un
affidamento in via fiduciaria?
Risposta
L'affidamento dei servizi legali deve avvenire nel rispetto
di una procedura di selezione pubblica, ai sensi dell'art.
7, comma 6, del dlgs 165/2001 – Testo Unico sul Pubblico
Impiego.
L'oggetto del servizio legale non si esaurisce nel
patrocinio legale a favore dell'Ente, ma rientra nella
nozione più ampia di consulenza legale che presuppone una
procedura comparativa idonea a consentire, a tutti gli
aventi diritto, di partecipare alla selezione per la scelta
del miglior contraente.
Il Tar Campania, sez. II, con sentenza del 16/07/2014 n. 1383
ha ribadito la distinzione tra patrocinio e servizio legale:
il primo è un contratto volto a soddisfare il bisogno di
difesa giudiziale dell'ente, inquadrabile nell'ambito della
prestazione d'opera intellettuale, il servizio legale,
invece, costituisce, per organizzazione e complessità,
un'attività più articolata che giustifica la previsione di
una selezione pubblica
(articolo ItaliaOggi Sette
dell'01.12.2014). |
ottobre 2014 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La
rappresentanza legale e la legittimazione
processuale delle Regioni a statuto ordinario
compete unicamente al Presidente della Giunta
regionale e non certo ai dirigenti.
Invero, anche la Suprema Corte, in materia di
rappresentanza processuale degli enti locali, si è
posta sul medesimo indirizzo, avendo precisato che
“Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale
degli enti locali, lo statuto della Provincia -ed
anche il regolamento della Provincia, ma soltanto se
lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia,
alla normativa regolamentare- può legittimamente
affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai
dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di
competenza, quale espressione del potere gestionale
loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della
struttura burocratico-amministrativa dell'ente
locale, fermo restando che, ove una specifica
previsione statutaria (o, alle condizioni di cui
sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco
(ovvero una figura omologa nella Provincia e nella
Regione) conserva l'esclusiva titolarità del potere
di rappresentanza processuale dell'Amministrazione”.
- considerato che il ricorso non è stato notificato
alla Regione Campania –non per nulla non costituita–
in persona del Presidente, legale rappresentante
pro–tempore bensì al dirigente pro tempore del’A.C.G.
18 settore 01 Assistenza sociale, unico soggetto
evocato in giudizio;
- ritenuto che la rappresentanza legale e la
legittimazione processuale delle Regioni a statuto
ordinario compete unicamente al Presidente della
Giunta regionale e non certo ai dirigenti;
- rammentato che anche la Suprema Corte, in materia
di rappresentanza processuale degli enti locali, si
è posta sul medesimo indirizzo, avendo precisato che
“Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale
degli enti locali, lo statuto della Provincia -ed
anche il regolamento della Provincia, ma soltanto se
lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia,
alla normativa regolamentare- può legittimamente
affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai
dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di
competenza, quale espressione del potere gestionale
loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della
struttura burocratico-amministrativa dell'ente
locale, fermo restando che, ove una specifica
previsione statutaria (o, alle condizioni di cui
sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco
(ovvero una figura omologa nella Provincia e nella
Regione) conserva l'esclusiva titolarità del potere
di rappresentanza processuale dell'Amministrazione”
(Cassazione civile sez. VI 08.10.2014 n. 21270) e
tenuto conto che una siffatta derogatoria
disposizione, che conferisca la rappresentanza
processuale ai dirigenti, non è stata allegata né
invocata;
- ritenuto, conseguentemente, che il ricorso
all’esame va dichiarato inammissibile per non essere
stata correttamente evocata in giudizio l’Autorità
emanante il provvedimento gravato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 10.12.2014 n. 6473 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Per difendere il Comune basta la procura.
Tar Lecce. Il compenso deve essere proporzionato
all'importanza dell'incarico.
Per difendere un Comune
non occorre un contratto: all'avvocato basta la procura
rilasciata dal sindaco.
Lo afferma il TAR Puglia-Lecce, Sez. II, con la
sentenza 14.10.2014 n. 2500.
Un legale chiedeva
compensi per oltre un decennio di liti gestite per
l'amministrazione: il Comune ha riconosciuto l'esistenza dei
crediti, inserendo le somme tra i debiti fuori bilancio, ma
ha quantificato il dovuto utilizzando i minimi tariffari
(all'epoca in vigore). L'ente affermava infatti che la
mancanza di un contratto di patrocinio o di altro atto
scritto non potesse generare un debito superiore ai minimi.
Il Tribunale arriva a diversa conclusione esaminando i
principi sui contratti tra professionisti ed enti pubblici:
primo punto fermo è che il contratto deve avere forma
scritta (Cassazione 7297/2009), perché è inapplicabile la
norma sui contratti conclusi a distanza con imprese
commerciali. Occorre poi distinguere l'affidamento dei
servizi legali (che esige una gara: Tar di Salerno,
1383/2014) dal conferimento di incarichi individuali.
Nel secondo caso basta la procura alla lite, cioè la firma
del sindaco a margine della procura sull'atto giudiziario.
La procura è infatti un negozio unilaterale: quando è
conferita per iscritto dal cliente, ex articolo 83 del
Codice di procedura civile, è accettata dal professionista
con il concreto esercizio della rappresentanza in giudizio
mediante atti difensivi e soddisfa il requisito della forma
scritta ad substantiam, perché sono presenti tutti i
requisiti necessari: a) incontro di volontà tra ente
pubblico e difensore; b) funzione economico-sociale (causa)
del negozio; c) oggetto e, d) forma scritta, consentendo di
identificare il contenuto negoziale e di rendere possibili i
controlli dell'autorità tutoria.
Il contratto di patrocinio,
invece, è un negozio bilaterale con il quale il Comune dà
incarico al professionista per un'attività extragiudiziaria
svolta, con la logica del mandato, sulla base di un rapporto
interno di natura extraprocessuale (Cassazione 18450/2014).
Una volta superato lo scoglio della forma scritta, il Tar di
Lecce ha poi annullato la delibera comunale nella parte in
cui riconosceva solo i minimi tariffari: tutti gli incarichi
conferiti per un decennio, infatti, avevano uno specifico
spessore e corrispondevano a specifiche utilità conseguite
dal Comune, senza che vi fossero ragioni per reputare gli
importi richiesti come incongrui, trattandosi oltretutto di
controversie non seriali e ultradecennali.
Con questo ragionamento si supera l'indirizzo espresso dalla
Corte dei conti, sezione Basilicata, nella sentenza
180/2011, secondo la quale vi è responsabilità contabile
dell'ente che paghi una parcella legale sovrastimata
rispetto alla reale utilità della prestazione resa: se –come nel caso deciso a Lecce– l'incarico giudiziale è
conferito con la semplice procura, senza prevedere specifici
limiti minimi, il professionista può far valere il diritto a
un compenso adeguato all'importanza dell'opera (articolo
2233 Cc) sulla base della tariffa professionale (Cassazione
10190/2014) e avendo riguardo al valore della causa
(articoli 9 Dl 1/2012 e 13 legge 247/2012, Dm 10.03.2014, n.
55) (articolo Il Sole 24 Ore del
29.10.2014).
---------------
Il formale
conferimento della procura alla lite ed il concreto
esercizio della rappresentanza processuale della parte
configurano anche il perfezionamento in forma scritta del
sottostante contratto di patrocinio nell’ipotesi in cui
parte conferente sia l’organo rappresentativo di un ente
pubblico -il sindaco-, determinatosi in merito secondo
conforme Deliberazione dell’organo collegiale -giunta
municipale- preposto allo scopo.
La procura alla lite, infatti, quale negozio unilaterale di
conferimento della rappresentanza in giudizio, si distingue
sì dal contratto di patrocinio, negozio bilaterale, con il
quale viene conferito l’incarico al professionista, ma,
quando la stessa, conferita per iscritto dal cliente, ai
sensi dell’art. 83 c.p.c., è accettata dal professionista
con il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale
tramite atto difensivo sottoscritto, può configurare il
contratto di patrocinio tra ente pubblico e professionista,
soddisfacendone anche il requisito della forma scritta ad
substantiam, perché del contratto di patrocinio con la
pubblica Amministrazione sono presenti tutti i requisiti
necessari: dall’incontro di volontà tra ente pubblico e
difensore alla funzione economico-sociale (causa) del
negozio, all’oggetto e alla forma scritta, requisito proprio
di tutti i contratti stipulati dalla P.A., che risponde
all’esigenza di identificarne il contenuto negoziale e di
rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria.
Esigenza che, nella specie, è soddisfatta dal collegamento
necessario, funzionale e di contenuto tra la procura alla
lite, sottoscritta dal rappresentante dell’Ente, e l’atto di
difesa (citazione, ricorso o comparsa) sottoscritto dal
difensore.
Può, quindi, essere affermato il seguente principio: In tema
di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad
substantiam per iscritto, il requisito della forma del
contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al
difensore della procura ex art. 83 cod. proc. civ., atteso
che, il relativo esercizio della rappresentanza giudiziale,
tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo
perfeziona -con l’incontro di volontà fra le parti l’accordo
contrattuale in forma scritta, che, rendendo possibile
l’identificazione del contenuto negoziale e i controlli
dell’Autorità tutoria, risponde ai requisiti previsti per i
contratti della P.A..
Con riguardo, poi, al tema concernente l’assenza, ritenuta
dal Comune, della ‘forma scritta’, il Collegio
osserva che la questione deve reputarsi anch’essa ‘superata’
in ragione dei principi più volte espressi, sul punto, dalla
S.C., secondo la quale <<il formale conferimento della
procura alla lite ed il concreto esercizio della
rappresentanza processuale della parte configurano anche il
perfezionamento in forma scritta del sottostante contratto
di patrocinio nell’ipotesi in cui parte conferente sia
l’organo rappresentativo di un ente pubblico -il sindaco-,
determinatosi in merito secondo conforme Deliberazione
dell’organo collegiale -giunta municipale- preposto allo
scopo (Cass. 16.06.2006 n. 13963; cass. 05.05.2004 n. 8500).
La procura alla lite, infatti, quale negozio unilaterale di
conferimento della rappresentanza in giudizio, si distingue
sì dal contratto di patrocinio, negozio bilaterale, con il
quale viene conferito l’incarico al professionista, ma,
quando la stessa, conferita per iscritto dal cliente, ai
sensi dell’art. 83 c.p.c., è accettata dal professionista
con il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale
tramite atto difensivo sottoscritto, può configurare il
contratto di patrocinio tra ente pubblico e professionista,
soddisfacendone anche il requisito della forma scritta ad
substantiam, perché del contratto di patrocinio con la
pubblica Amministrazione sono presenti tutti i requisiti
necessari: dall’incontro di volontà tra ente pubblico e
difensore alla funzione economico-sociale (causa) del
negozio, all’oggetto e alla forma scritta, requisito proprio
di tutti i contratti stipulati dalla P.A., che risponde
all’esigenza di identificarne il contenuto negoziale e di
rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria.
Esigenza che, nella specie, è soddisfatta dal collegamento
necessario, funzionale e di contenuto tra la procura alla
lite, sottoscritta dal rappresentante dell’Ente, e l’atto di
difesa (citazione, ricorso o comparsa) sottoscritto dal
difensore.
Può, quindi, essere affermato il seguente principio: In tema
di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad
substantiam per iscritto, il requisito della forma del
contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al
difensore della procura ex art. 83 cod. proc. civ., atteso
che, il relativo esercizio della rappresentanza giudiziale,
tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo
perfeziona -con l’incontro di volontà fra le parti l’accordo
contrattuale in forma scritta, che, rendendo possibile
l’identificazione del contenuto negoziale e i controlli
dell’Autorità tutoria, risponde ai requisiti previsti per i
contratti della P.A. (v. anche Cass. 05.05.2004 n. 8500;
Cass. 18.07.2002 n. 10454)>> (Cassazione civile, VI,
16.02.2012, n. 2266). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Divieto quota lite circoscritto.
L'argine si applica solo alle attività di tipo difensivo.
La Corte di cassazione ammette l'accordo del cliente con un
semplice consulente.
Il divieto del patto di quota lite si applica solo ai
difensori e non anche ai consulenti del lavoro che prestino
attività amministrativo-contabile volta all'accertamento del
diritto del cliente a godere di agevolazioni fiscali e al
recupero di eventuali somme indebitamente versate
all'erario.
Lo ha stabilito la II Sez. civile della Corte di
Cassazione con la
sentenza
02.10.2014 n. 20839.
La vicenda controversa trae origine da un contratto
stipulato tra un consulente del lavoro e una società del
Mezzogiorno. In base all'accordo, il professionista si è
impegnato a verificare la presenza di eventuali indebiti
versati dalla società all'erario in rapporto
all'introduzione, per via normativa, di alcune agevolazioni
fiscali; la provvigione per l'attività in questione è stata
indicata nel 25% delle somme che il consulente avrebbe
recuperato in favore del cliente.
Ebbene, il professionista, nell'adempiere il suo incarico, è
riuscito a spuntare in favore della società una somma pari a
quasi un miliardo del vecchio conio. E tuttavia, quando è
stato il momento di dividere il «tesoretto», il cliente ha
eccepito un secco diniego. Di più, questi si è rivolto al
tribunale per ottenere l'annullamento del contratto di
consulenza a cagione del patto di quota lite in esso
previsto. Il giudice di primo grado, e tanto ha ritenuto
anche la Corte d'appello, ha accolto, non prima di averla
riqualificata, la domanda della società dichiarando la
nullità parziale dell'accordo, e riconoscendo al consulente
una somma di gran lunga inferiore all'originario 25% del
«recuperato». Secondo i giudici di merito, infatti, il
contratto intervenuto tra i litiganti si poneva in contrasto
col «divieto di patto di quota lite», di cui all'art. 2233,
terzo comma, del codice civile.
Il professionista si è dunque rivolto in ultima istanza alla
Corte di cassazione, ivi censurando l'apprezzamento svolto
dai giudici della Corte territoriale nella parte in cui
ebbero a ritenere applicabile al caso di specie il divieto
di strutturare il compenso in percentuale ai risultati
ottenuti.
La Corte, nell'accogliere il ricorso, ha fatto chiarezza sul
perimetro della norma, relegandone l'applicazione ai soli
difensori (avvocati, procuratori o patrocinatori legali) e,
comunque, ai soli soggetti che assumano le vesti di
difensore.
Spiegano i giudici come l'art. 2233, terzo comma, codice
civile, già prima dell'intervento di riforma a opera
dell'art. 2, comma 2-bis, del dl n. 223/2006, convertito in
legge n. 248/2006, disponeva che «gli avvocati, i
procuratori e i patrocinanti non possono, neppure per
interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto
relativo ai beni che formano oggetto delle controversie
affidate al loro patrocinio sotto pena di nullità e dei
danni». Secondo la Corte, la norma in questione riguardava e
riguarda tuttora «l'attività difensiva prestata nell'ambito
di una controversia, e cioè, non ogni attività
professionale, ma esclusivamente l'esercizio dell'attività
di patrocinio affidata a un difensore in una controversia o
in vista di una controversia».
La nullità (parziale) del contratto è stata concepita solo
per il «negozio bilaterale stipulato dal professionista
investito del patrocinio legale con il cliente relativamente
ai beni oggetto della controversia a lui affidata»; e
integra un'«eccezione al principio generale della libertà
negoziale», fondata sull'esigenza di assoggettare a
disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare
rapporto di opera intellettuale, al dichiarato intento di
tutelare l'interesse del cliente e la dignità e la moralità
della professione forense, la quale risulterebbe lesa tutte
le volte in cui nella convenzione concernente il compenso
possano ravvisarsi forme di partecipazione del
professionista agli interessi economici finali ed esterni
alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Da ultimo, la Corte non manca di fornire una precisazione
importante: è vero, come ha osservato la difesa della
società, che la norma in passato è stata ritenuta
applicabile anche a ragionieri e commercialisti; tuttavia,
in quelle ipotesi detti professionisti avevano pur sempre
svolto attività di patrocinio dinnanzi alle commissioni
tributarie.
Sulla base di quanto premesso, gli ermellini hanno ritenuto
legittima la clausola contrattuale inserita dal consulente
del lavoro proprio alla luce dell'attività prestata, di tipo
amministrativo-contabile e non già difensiva. Per l'effetto
hanno annullato la sentenza della Corte d'appello e
riconosciuto il pieno diritto del professionista a ricevere
il compenso nella sua interezza
(articolo ItaliaOggi Sette del
27.10.2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Divieto di quota lite solo per i difensori.
Professionisti. La modalità di determinazione del compenso.
Il divieto del patto di
quota lite, già previsto dal Codice civile e poi
reintrodotto dalla riforma dell'ordinamento forense, si
riferisce a chi svolge un'attività difensiva. Ne è pertanto
escluso il consulente del lavoro che punta a ottenere un
risparmio per la società sua cliente e che non svolge certo
un'attività di assistenza e rappresentanza in giudizio.
Lo
chiarisce la Corte di Cassazione con la
sentenza
02.10.2014 n. 20839
della II Sez. civile.
Il patto di
quota lite prevede che l'avvocato o il professionista
percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del
bene oggetto della prestazione professionale. Il divieto era
prima previsto dal Codice civile (momento cui si riferisce
la pronuncia della Cassazione), poi rivisto nel l'ambito
delle "lenzuolate" del l'allora ministro Pier Luigi Bersani
e infine reintrodotto dal nuovo ordinamento forense.
Il consulente era stato ingaggiato da una società per
l'individuazione di soluzioni giuridiche che permettessero
alla stessa di godere del beneficio delle agevolazioni
(sgravio degli oneri sociali sui contributi Inps) previste
per le aziende industriali del Mezzogiorno. A titolo di
compenso veniva previsto il 25% dei contributi già pagati e
recuperati. Ottenuta l'agevolazione, però, la società aveva
citato il consulente per vedere annullato il contratto di
prestazione d'opera professionale sostenendo il divieto del
patto di quota lite. Sia in primo grado sia in appello il
professionista aveva visto sconfitta la propria tesi e
negato il compenso.
Ora la Cassazione ribalta i verdetti e precisa che il
divieto, anche nella vecchia versione del Codice civile, si
riferiva solo al professionista che svolge attività
difensiva. Non solo l'avvocato, ma anche il dottore
commercialista, il ragioniere e il consulente quando
svolgono attività di patrocinio davanti alle commissioni
tributarie.
La prestazione svolta dal consulente del lavoro,
nel caso esaminato dalla Cassazione, non rientrava certo
nell'attività di assistenza e di rappresentanza in giudizio
della società, quanto piuttosto in un impegno a ottenere
dall'Inps il riconoscimento in via amministrativo contabile
del diritto della società a ottenere lo sgravio
(articolo Il Sole 24 Ore
del 03.10.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
Il divieto del cosiddetto patto di quota
lite tra l’avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di
cui all’art. 2233 cod. civ., trova il suo fondamento
nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto
patrimoniale di un peculiare rapporto di opera
intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e
la dignità e la moralità della professione forense, che
risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella
convenzione concernente il compenso, sia, comunque,
ravvisabile la partecipazione del professionista agli
interessi economici finali ed esterni alla prestazione,
giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Ne consegue che detto patto (legittimamente ravvisabile
anche sotto forma di promessa unilaterale, costituendo
questa una fattispecie negoziale ove l’astrazione della
causa risulta limitata all’ambito processuale) va rinvenuto
non soltanto nella ipotesi in cui il compenso del legale
consista in parte dei beni o crediti litigiosi, secondo
l’espressa previsione della norma (che costituisce, in
relazione alla ratio della tutela, soltanto la tipizzazione
dell’ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e che,
pertanto, non esaurisce il divieto), ma anche qualora tale
compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al
risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, cosi,
quella (non consentita) partecipazione del professionista
agli interessi pratici esterni della prestazione.
Ne consegue che la nullità di quel patto, sancita dall’art.
2233 terzo comma cod. civ., prescinde dalla circostanza del
verificarsi di un indebito lucro per il professionista, e
può essere fatta valere da ciascuno dei contraenti, senza
che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno
specifico interesse a rimuoverne gli effetti
(tratta da http://renatodisa.com). |
settembre 2014 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI: Avvocati, onorari ingabbiati.
Conta il valore della lite, non quello della domanda.
CASSAZIONE/ I giudici sottolineano l'orientamento
consolidato in giurisprudenza.
Circa le modalità di determinazione dell'onorario
dell'avvocato, il giudice deve rapportarsi al valore
effettivo della controversia e non a quello della domanda
azionata in giudizio.
Lo hanno sottolineato i giudici della I Sez. della Corte di
Cassazione, con
sentenza 25.09.2014 n. 20302.
I giudici di piazza Cavour hanno sottolineato come
l'applicazione del predetto criterio trova conforto
nell'orientamento consolidato della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui, a differenza di quanto accade
nella liquidazione delle spese a carico della parte
soccombente (ai fini della quale il comma primo dell'art. 6
della tariffa forense allegata al dm n. 585/1994, impone di
avere riguardo al valore della causa determinato a norma del
codice di procedura civile, ferma restando, nei giudizi
aventi a oggetto il pagamento di somme o la liquidazione di
danni, la necessità di fare riferimento alla somma
attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella
domandata), nei rapporti tra l'avvocato e il cliente
sussiste sempre la possibilità di un concreto adeguamento
degli onorari al valore effettivo e sostanziale della
controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione
rispetto a quello determinato in base alle norme del codice
di rito.
Tale orientamento, a parere della Suprema corte «trova
giustificazione in un'interpretazione sistematica dei commi
secondo e quarto dell'art. 6, conforme al principio generale
di proporzionalità e adeguatezza degli onorari di avvocato
alla opera professionale effettivamente prestata, in virtù
della quale il richiamo della prima disposizione al valore
presunto a norma del codice di procedura civile, da
intendersi riferito a tutte le regole da quest'ultimo
dettate per la determinazione del valore della controversia,
non esclude l'attribuzione al giudice di una generale
facoltà discrezionale di adeguare la misura dell'onorario
all'effettiva importanza della prestazione (...).
L'esercizio della predetta facoltà non incontra un limite
nella diversità della funzione esercitata dal giudice
delegato al fallimento rispetto a quella svolta dal giudice
chiamato a decidere una controversia tra avvocato e cliente,
trattandosi in entrambi i casi di procedere alla
liquidazione del corrispettivo dovuto per l'attività svolta
in esecuzione del contratto di prestazione d'opera
professionale, per la quale la tariffa non prevede criteri
differenziati a seconda del soggetto in favore del quale sia
stata prestata la predetta attività»
(articolo ItaliaOggi Sette del
27.10.2014). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Per il compenso del legale pesa l'interesse del
cliente.
Quando si valuta il compenso professionale spettante al
legale, per l'incarico svolto, non si deve tener conto solo
del valore complessivo dell'affare convenzionalmente
stabilito nel contratto, ma è opportuno considerare anche
l'interesse della parte, che ha accordato l'incarico,
rispetto al risultato da raggiungere.
Lo hanno affermato i giudici della II Sez. civile della
Corte di Cassazione, con
sentenza 15.09.2014 n. 19406.
I giudici di piazza Cavour si sono espressi circa il caso in
cui una società si opponeva al decreto ingiuntivo chiesto e
ottenuto da un avvocato per il pagamento degli onorari, a
seguito dell'attività stragiudiziale regolarmente svolta. La
società deduceva che il legale non aveva effettuato tutte le
prestazioni indicate. In primo grado il tribunale accoglieva
l'opposizione. In secondo grado i giudici accoglievano, poi,
il gravame proposto dal legale, stabilendo che il compenso
doveva essere commisurato al valore complessivo delle opere
quale poteva ricavarsi dalla lettera di conferimento.
La società, lamentando l'errore della Corte d'appello che
non aveva condiviso l'individuazione dell'oggetto, proponeva
ricorso per cassazione, considerando sufficiente e
necessaria la sola prospettazione della lettera di incarico,
indicante il valore convenzionale dell'affare. Secondo la
Suprema corte, la Corte d'appello «non ha mai in alcun
modo affrontato la questione posta circa la determinazione
del valore dell'oggetto dell'incarico, essendosi limitata a
considerare che la sola indicazione dell'importo di 3
miliardi contenuta nell'oggetto della lettera d'incarico
riguardasse il valore convenzionale attribuito all'oggetto
del contratto, prescindendo da ogni ulteriore valutazione in
ordine alla situazione nella quale si trovava la
lottizzazione e al relativo iter, così da poter meglio
definire quale fosse l'effettivo e specifico interesse della
parte che conferiva l'incarico rispetto al risultato dello
stesso».
Pertanto al fine del calcolo dell'onorario del
professionista si deve valutare non soltanto l'importanza
della prestazione svolta ma anche i risultati e i vantaggi
che il cliente ha ottenuto (articolo ItaliaOggi Sette del
13.10.2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sulle parcelle la parola va al Tar.
Spetta al giudice amministrativo la giurisdizione circa le
controversie aventi ad oggetto i pareri di congruità sulle
parcelle professionali degli avvocati.
Lo hanno sostenuto i giudici della III Sez. del TAR Lombardia-Milano, con
sentenza 11.09.2014 n. 2345.
Appare opportuno precisare che in relazione alle
controversie aventi ad oggetto i pareri di congruità sulle
parcelle professionali si sono registrati orientamenti
contrastanti: un parte della giurisprudenza (si vedano Tar
Venezia sez. I n. 183/2014 e n. 1110/2014; Cons. stato sez. VI n. 4942/2013; Tar Milano sez. III n. 1047/2012; Tar Roma
sez. III-quater n. 196/2012; Cons. Stato sez. IV n.
9352/2010) –che, sottolineano i giudici amministrativi
lombardi, appare maggioritaria– ritiene la sussistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine
alla controversia instaurata da un privato nei confronti del
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in relazione al parere
dal medesimo rilasciato sulla liquidazione degli onorari di
un proprio iscritto, stante la natura di ente pubblico non
economico del medesimo Consiglio e il carattere di tale
parere, da ritenere un atto soggettivamente ed
oggettivamente amministrativo, emesso nell'esercizio di
poteri autoritativi, che non si esaurisce in una mera
certificazione della rispondenza del credito alla tariffa
professionale ma implica la valutazione di congruità del
quantum (si vedano Cass. ss.uu. n. 6534/2008; n. 1874/2009;
n. 14812/2009).
Altra parte della giurisprudenza invece (si vedano Tar
Venezia sez. I n. 113/2013; idem n. 1801/2011; Tar Napoli
sez. VIII n. 3496/2009) risulta essere incline a ritenere la
sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Il Tar ha aderito al primo orientamento.
Appare opportuno in questa sede sottolineare che, ai sensi
di legge, le prestazioni professionali forensi sono distinte
in attività stragiudiziale e attività giudiziale: le
attività giudiziali sono distinte in attività penale e
attività civile, amministrativa e tributaria. L'attività
giudiziale civile, amministrativa e tributaria è distinta
nelle seguenti fasi: fase di studio della controversia; fase
di introduzione del procedimento; fase istruttoria; fase
decisoria; fase esecutiva.
L'attività stragiudiziale,
invece, viene liquidata tenendo conto del valore e della
natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle
questioni trattate, del pregio dell'opera prestata, dei
risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti
dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014). |
agosto 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Avvocati. Parcelle solo con la procura.
Circa le prestazioni svolte in giudizio dall'avvocato, al
fine del riconoscimento dell'eventuale compenso spettante, è
necessario accertare, anche d'ufficio, la validità della
procura conferita.
Ad affermarlo sono stati i giudici della
II Sez. civile della Corte di Cassazione, con
sentenza
29.08.2014 n. 18450.
Ne consegue che
non può una eventuale invalidità della procura alle liti, da
conferirsi nelle forme di legge, essere superata, ai fini
del riconoscimento di detto compenso professionale, dal
contratto di patrocinio che può riferirsi solo a un'attività
extragiudiziaria, svolta dal professionista legale in favore
del proprio cliente, sulla base di un rapporto interno, di
natura extraprocessuale, con il cliente stesso, rapporto ben
distinto, quindi, dal mandato «ad litem».
Inoltre sembra
opportuno rammentare che, mentre la procura «ad litem»
costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore
viene investito del potere di rappresentare la parte in
giudizio con le forme previste dall'art. 83 c.p.c., il
mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale
(contratto di patrocinio) con cui il professionista viene
incaricato di svolgere la sua opera professionale in favore
della parte, secondo la schema proprio del mandato (Cass. n.
13963/2006; n. 10454/2002).
Va, innanzitutto, rammentato in
via del tutto preliminare e in ossequio anche con la
giurisprudenza della Cassazione stessa, che la procura alle
liti costituisce il presupposto della valida instaurazione
del rapporto processuale e può essere conferita, con effetti
retroattivi, solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c.
il quale prevede che la procura al difensore può essere
rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto,
purché anteriormente alla costituzione della parte
rappresentata (Cass. s.u. n. 10706/2006; Cass. n.
9464/2012).
Infine, in difetto di un conferimento di una procura alle
liti per la rappresentanza e difesa in giudizio, non
insorgendo un rapporto professionale tra patrono e cliente,
non è neppure consentito determinare il contento economico
del compenso professionale, secondo le norme inderogabili di
cui alla legge n. 794/1942 in materia di prestazioni
giudiziali degli avvocati in sede civile (Cass. n.
28718/2008)
(articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014. |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI:
In via ordinaria -ai sensi degli art. 35
e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi
negli artt. 48 e 50 del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267- la decisione di agire e
resistere in giudizio e il conferimento al difensore
del mandato alle liti spettano al rappresentante
legale dell'ente (cioè al Sindaco), senza bisogno di
autorizzazione della Giunta o del dirigente
competente ratione materiae.
All’autonomia statutaria (legittimata a stabilire i
modi di esercizio della rappresentanza legale
dell'ente, anche in giudizio) è però conservata la
possibilità di prevedere l'autorizzazione della
Giunta ovvero di richiedere una preventiva
determinazione del dirigente ovvero ancora di
postulare l'uno e l'altro intervento.
La società appellata contesta l’ammissibilità
dell’appello, perché non preceduta da una conforme
deliberazione della Giunta comunale.
L’eccezione non ha pregio.
In via ordinaria -ai sensi degli art. 35 e 36 della
legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi negli artt.
48 e 50 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267-
la decisione di agire e resistere in giudizio e il
conferimento al difensore del mandato alle liti
spettano al rappresentante legale dell'ente (cioè al
Sindaco), senza bisogno di autorizzazione della
Giunta o del dirigente competente ratione
materiae. All’autonomia statutaria (legittimata
a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza
legale dell'ente, anche in giudizio) è però
conservata la possibilità di prevedere
l'autorizzazione della Giunta ovvero di richiedere
una preventiva determinazione del dirigente ovvero
ancora di postulare l'uno e l'altro intervento (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 07.02.2012, n. 650).
Tale è appunto il caso di specie, perché il Comune
ha potuto dimostrare che -secondo la propria
normativa (in particolare: l’art. 42, comma 5, dello
statuto), non contestata e tanto meno impugnata-
ferma restando la legale rappresentanza in giudizio
dell’ente in capo al Sindaco, sono di competenza dei
dirigenti le decisioni in materia di “promozione
e resistenza alle liti di qualsiasi tipo”.
Nessuna delibera di Giunta avrebbe dunque dovuto
precedere la proposizione dell’appello.
Dal canto suo, l’Amministrazione rinnova
un’eccezione già formulata in primo grado e
disattesa dal TAR: nella misura in cui avrebbe a
oggetto situazioni bensì analoghe, ma
sostanzialmente del tutto distinte, il ricorso
introduttivo, proposto uno actu contro i due
provvedimenti comunali di autorizzazione in
precario, ricordati in narrativa, sarebbe
inammissibile
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.08.2014 n. 4277 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame,
l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella
complessiva attività di assistenza e consulenza legale da
espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di
tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione,
comprensivo, come specificato nello schema di convenzione,
di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione
di pareri.
In sostanza, non si trattava, nello specifico,
dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico
o di una singola attività afferente ad una specifica
vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una
complessiva attività di assistenza in favore dell’ente
locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione
ampia di consulenza legale.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe
dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di
selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio
contraente.
A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto
previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli
incarichi esterni, approvato dal Comune con
delibera n. 102/2010 che, allo scopo di garantire la
trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa,
unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette,
all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento
diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle
sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in
giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale
reputi che la scelta di un determinato professionista
risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli
altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta
del professionista esterno.
Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale,
dall’art. 7, comma 6, del D. Lgs n. 165/2001, come modificato
dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, a
mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e
rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere
al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare
esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, ed alle condizioni e con i presupposti
specificamente individuati dal legislatore.
Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla
giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo
Basilicata, parere n. 8/2009) e dall’autorevole orientamento
della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale
occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella
di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il
servizio
legale per un quid pluris, sotto il profilo
dell’organizzazione, della continuità e della complessità,
rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.
Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il
contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno
di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato
nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il
servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o
modalità organizzativa, che giustifica il suo
assoggettamento alla disciplina concorsuale.
L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua,
configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si
esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si
configura quale modalità organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più complesso e
articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale
ma in essa non si esaurisce.
Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure
concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo
contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico
legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale,
qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del
giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti
temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla
conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle
quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza
della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici.
L’avv.to B.L.A., titolare di uno
studio legale in Calabritto ed avvocato iscritto all’Albo
del Foro di S. Angelo dei Lombardi (AV), ha impugnato la
delibera n. 1 del 11.06.2013 con la quale il Comune di Caposele ha conferito agli avv.ti P.M. e T.R. l’incarico di collaborazione esterna ad alto
contenuto di professionalità da svolgersi per la consulenza
legale, giudiziale e stragiudiziale, a tutti gli organi
comunali, per la durata di un anno.
Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità di tale delibera
per violazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, dell’art.
100 del T.U. n. 267/2000, del Regolamento sugli incarichi
esterni del Comune di Caposele, approvato con delibera n.
102/2010, e dell’art. 33 del R.O. del Comune.
Ha, inoltre, censurato la delibera per illegittimità
derivata dalla violazione degli artt. 21 e 23 della Carta
Europea dei diritti dell’Uomo, dell’art. 51 della
Costituzione, dell’art. 6 del T.U. n. 267/2000 e degli artt.
9 e 40 dello Statuto Comunale.
Da ultimo, ha censurato la violazione degli artt. 78 e 49 del
T.U. n. 267/2000.
In sostanza, a detta del ricorrente, il Comune, vista la
natura dell’incarico in questione, non avrebbe potuto
procedere al suo diretto conferimento agli avv.ti M.
e R. ma avrebbe dovuto porre in essere una procedura
concorsuale di tipo selettivo, aperta alla partecipazione di
tutti coloro che, in possesso dei titoli e requisiti
richiesti, aspiravano al conseguimento dell’incarico.
Nella formazione della seduta consiliare del 10.06.2013,
poi, non erano state rispettate le c.d. quote rosa, ed il
Sindaco non si era astenuto, proponendo e affidando
l’incarico al coniuge di un parente entro il quarto grado,
sottoscrivendo, altresì, il parere tecnico sulla proposta di
delibera impugnata.
Per tali ragioni la delibera andava annullata.
...
Passando, ora, al merito delle censure proposte, il Collegio
ritiene che il ricorso sia fondato.
Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame,
l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella
complessiva attività di assistenza e consulenza legale da
espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di
tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione,
comprensivo, come specificato nello schema di convenzione,
di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione
di pareri. In sostanza, non si trattava, nello specifico,
dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico
o di una singola attività afferente ad una specifica
vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una
complessiva attività di assistenza in favore dell’ente
locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione
ampia di consulenza legale.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe
dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di
selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio
contraente.
A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto
previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli
incarichi esterni, approvato dal Comune di Caposele con
delibera n. 102/2010 che, allo scopo di garantire la
trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa,
unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette,
all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento
diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle
sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in
giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale
reputi che la scelta di un determinato professionista
risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli
altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta
del professionista esterno.
Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale,
dall’art. 7, comma 6, del D. Lgs n. 165/2001, come modificato
dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, a
mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e
rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere
al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare
esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, ed alle condizioni e con i presupposti
specificamente individuati dal legislatore.
Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla
giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo
Basilicata, parere n. 8/2009) e dall’autorevole orientamento
della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale
occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella
di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il
servizio
legale per un quid pluris, sotto il profilo
dell’organizzazione, della continuità e della complessità,
rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.
Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il
contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno
di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato
nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il
servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o
modalità organizzativa, che giustifica il suo
assoggettamento alla disciplina concorsuale.
L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua,
configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si
esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si
configura quale modalità organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più complesso e
articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale
ma in essa non si esaurisce (Autorità per la Vigilanza sui
Contratti, determina n. 4 del 07.07.2011).
Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure
concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo
contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico
legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale,
qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del
giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti
temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla
conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle
quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza
della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici (Cons. Stato, sez. V. 11.05.2012 n. 2730).
Alla luce di tali argomentazioni, deve concludersi che,
vista la natura e complessità dell’incarico conferito dal
Comune di Caposele, la mancata attivazione di una procedura
comparativa di tipo concorsuale, da parte dell’Ente locale,
per la scelta del miglior contraente, abbia determinato
l’illegittimità della delibera gravata, che, per tale
ragione, deve essere annullata
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.07.2014 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Pec, costa caro non controllare. L'avvocato è il
responsabile della gestione dell'utenza.
Per la Cassazione il legale non può farsi schermo della
mancata apertura della posta.
Non verificare il contenuto della propria casella di posta
elettronica certificata può costare caro. Infatti, dal
momento in cui il legale riceve l'abilitazione all'utilizzo
del sistema di posta elettronica certificata, diventa
responsabile della gestione della propria utenza, nel senso
che ha l'onere di procedere alla verifica delle
comunicazioni regolarmente inviategli dagli uffici
giudiziari e non può far valere la circostanza della mancata
apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi
termini per compiere attività processuali.
È quanto ha statuito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nel testo della
sentenza
02.07.2014 n. 15070, con cui ha respinto la doglianza di
un legale il quale lamentava che nel giudizio di secondo
grado non aveva potuto conoscere l'emissione di un decreto
di fissazione udienza in quanto trasmesso esclusivamente al
proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato
nel ricorso.
Casella di posta inaccessibile allo stesso avvocato che non
aveva potuto accedervi in quanto sprovvisto, al momento,
della password di accesso. A detta del professionista,
infatti, in questi casi la comunicazione avrebbe dovuto
essere accompagnata da un successivo inoltro a mezzo fax o
per il tramite di un ufficiale giudiziario.
Per la Corte, la motivazione di cui sopra non regge e deve
essere disattesa. Con le novità introdotte in materia di
notificazioni via Pec (valga su tutti il decreto del
ministro della Giustizia 21/02/2011), si stabilisce che i
cancellieri sono tenuti a trasmettere le comunicazioni alle
parti costituite in giudizio a mezzo dello strumento della
posta certificata, all'indirizzo che il professionista deve
obbligatoriamente indicare nel ricorso. In pratica, una
volta ottenuta da parte dell'ufficio giudiziario interessato
l'abilitazione alla Pec, ogni avvocato diventa responsabile
della gestione della propria casella di posta certificata.
Questo comporta che l'eventuale negligenza che consiste
nella mancata apertura della casella e la successiva lettura
delle comunicazioni ivi contenute, non può costituire mezzo
per richiedere una declaratoria di nullità dei documenti
correttamente trasmessi da parte degli uffici giudiziari. Né
può invocarsi il mancato inoltro delle comunicazioni a mezzo
fax o ufficiale giudiziario, in quanto tali modalità di
notifica, in base all'articolo 136, terzo comma del codice
di procedura civile, sono efficaci soltanto quando non è
possibile procedere a mezzo Pec e non quando dipendono da
problemi di gestione della Pec da parte del relativo
titolare
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014). |
gennaio 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Parcelle sotto il minimo.
Se la causa risulta di facile trattazione.
CASSAZIONE/ Il giudice deve adeguatamente motivare la scelta
Liquidazione delle spese di lite: quando la causa risulta di
facile trattazione (non presenta, cioè, elementi di
difficoltà tale né esplicita né implicita) il giudice può
deliberare importi inferiori al minimo tariffario per il
legale, sempre che la riduzione non sia inferiore alla metà
(ex art. 4, legge n. 794/1942) e la decisione venga
adeguatamente motivata.
Lo ha stabilito la Corte di
Cassazione, Sez. III civile, nella
sentenza
29.01.2014 n. 1972.
Secondo i giudici
della III Sezione civile quando, come nel caso di specie, la
controversia ha «ad oggetto una fattispecie tipicamente
seriale, che non presenta alcuna difficoltà né teorica, né
pratica», il giudice di merito in sede di liquidazione delle
spese di lite deve attenersi ad «alcuni generali principi e
regole operative», quali quelle contenute nell'art. 75 disp.
att. c.p.c., integrato con l'art. 60 rdl 27/11/1933, n. 1578
(convertito, con modificazioni, nella legge 22.01.1934,
n. 36), recante l'ordinamento della professione di avvocato,
applicabile ratione temporis ai sensi dell'art. 1, comma 1,
dlgs 01/12/2009, n. 179.
La controversia sulla quale era stato chiamato ad
intervenire il collegio giudicante aveva ad oggetto il
risarcimento del danno da circolazione stradale, materia
sulla quale esistono orientamenti giurisprudenziali
sostanzialmente concordanti: più precisamente, una donna era
rimasta coinvolta in un sinistro stradale causato dal
«difettoso funzionamento di un semaforo, il quale proiettava
contemporaneamente luce verde in due direzioni tra loro
ortogonali, creando così una insidia per gli automobilisti».
In primo grado, la domanda di parte attrice veniva accolta;
in appello, viceversa, riformata, in quanto il tribunale
aveva ridotto sia il risarcimento accordato che le spese di
soccombenza.
Anche in Cassazione i giudici di legittimità,
decidendo nel merito, hanno ridotto le spese di liquidazione
rammentando come «lo iato tra petitum e decisum può
costituire un valido motivo per la compensazione delle
spese, in base alla massima d'esperienza secondo cui meno
esose pretese del creditore favoriscono di norma
l'adempimento spontaneo del debitore, e di conseguenza
evitano la necessità della lite» (articolo ItaliaOggi Sette
del 17.02.2014). |
dicembre 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Secondo
un recente arresto della giurisprudenza amministrativa, che
questa Sezione condivide, gli enti
locali non hanno l’obbligo di esperire una “gara” per
affidare un singolo incarico di patrocinio legale,
poiché sussistono profonde differenze tra i generici servizi
legali e l’incarico di patrocinio/difesa legale, cioè tra
l’attività continuativa o comunque non episodica di
assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla
complessità dell’oggetto, da una specifica organizzazione
rapportata alla predeterminazione della durata, dalla
predeterminazione del compenso, e l’espletamento del singolo
incarico di patrocinio legale.
Con la decisione sopra indicata, il giudice amministrativo
di appello, ribaltando la decisione del tribunale di prime
cure, ha infatti ritenuto che il
conferimento del singolo incarico episodico non costituisce
un appalto di servizi, ma integra un contratto d’opera
intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in
materia di procedure di evidenza pubblica, precisando in
particolare: “...il servizio legale, per essere
oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per
prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera
prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi
legali è, a questa stregua, configurabile allorquando
oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale
a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità
organizzativa di un servizio, affidato a professionisti
esterni, più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si
esaurisce....”.
Al contrario, il contratto di conferimento
del singolo e puntuale incarico legale, presidiato
dalle specifiche disposizioni comunitarie volte a tutelare
la libertà di stabilimento del prestatore in quanto
lavoratore, non può soggiacere, neanche nei sensi di cui
all’articolo 27 del codice dei contratti pubblici, ad una
procedura concorsuale di stampo selettivo che si appalesa
incompatibile con la struttura della fattispecie
contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà
dell’iter del giudizio, della non predeterminabilità degli
aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni
e della conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta
delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in
forza della disciplina recata dal codice dei contratti
pubblici.
Su posizioni analoghe si era già attestata la Sezione
Autonomie della Corte di conti, osservando, tra l’altro,
come “appare possibile ricondurre la
rappresentanza/patrocinio legale nell'ambito
dell'appalto di servizi, dovendosi fare in generale
riferimento alla tipologia dei "servizi legali" di cui
all'allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai
sensi dell'art. 20 del decreto, uno dei contratti d'appalto
di servizi cosiddetti "esclusi", assoggettato alle sole
norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal
predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo
art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione)”.
Nella medesima linea interpretativa si colloca l’indirizzo
consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale “il conferimento dell'incarico di
patrocinio legale comprende normalmente anche quello
di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte,
in relazione alle medesime vicende cui si riferisce
l'incarico di patrocinio; che anche nell'ambito di una
procedura giudiziale civile il professionista può prestare,
in relazione alla stessa pratica, sia attività giudiziale
sia attività stragiudiziale, comprendendosi in quest'ultima
quelle prestazioni che non risultino strettamente connesse e
strumentali all'attività propriamente processuale”,
nonché la giurisprudenza amministrativa, la quale ha
ritenuto che “Il conferimento
all'avvocato di incarico di patrocinio giudiziale
comprende normalmente anche quello di prestare assistenza
stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle
medesime vicende cui si riferisce l'incarico di patrocinio”.
---------------
Il ricorso alle
collaborazioni esterne (nella specie, ad un avvocato del
libero foro, già avvocato capo del Comune) per la difesa
e la rappresentanza in giudizio dell’ente locale, anche
presso le magistrature superiori, per la gestione di un
contenzioso vasto e non limitato nel tempo, è sottoposto
dalla legge (D.Lgs. 165/2001 e altre leggi sopra indicate) a
precisi limiti e condizioni.
A tale riguardo le SS..RR. della Corte dei
conti in sede di controllo
hanno elaborato i seguenti criteri per valutare la
legittimità degli incarichi e delle consulenze
esterni:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della
figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico,
da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo
svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e
l’utilità conseguita dall’amministrazione.
In conclusione, il conferimento ad un
avvocato del libero foro dell’intero contenzioso dell’ente
già curato dal medesimo professionista in qualità di capo
dell’avvocatura comunale, trattandosi di attività non
riconducibile ad un incarico di studio, ricerca
o consulenza, non soggiace alla normativa
vincolistica contenuta nell’art. 5, comma 9, del D.L. 95 del
2011, ma è subordinata alla sussistenza dei succitati
presupposti di legittimità nonché alla disciplina dettata
dal D.Lgs. 163/2006, Allegato II B, per gli appalti dei
servizi compresi nei cosiddetti settori esclusi.
---------------
Con la nota indicata in premessa il Sindaco del Comune di
Terni, dopo aver premesso che:
- oggetto della richiesta di parere concerne l'affidamento
di un incarico per la rappresentanza e difesa in giudizio
degli interessi dell'Ente e, in particolare, l'esatta natura
giuridica di tale incarico al fine di escludere o meno
l'applicazione dell'art. 5, comma 9, del D.L. 95/2011;
- l'incarico di cui trattasi avrà ad oggetto il contenzioso
presso le magistrature superiori e il contenzioso già
pendente e attualmente gestito dall'avvocato capo, per il
periodo successivo al suo pensionamento;
- la corretta interpretazione della norma richiamata
implicherà importanti riflessi sulla gestione finanziaria
dell'Ente, in ragione di esigenze di contenimento della
spesa del personale e di mantenimento dei livelli di
efficacia, efficienza e, soprattutto, economicità
dell'avvocatura comunale,
chiede di conoscere se il divieto sancito dall’art. 5,
comma 9, del D.L. 95/2012, "di attribuire incarichi di
studio e di, consulenza a soggetti già appartenenti ai ruoli
delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto,
nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività
corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di
studio e di consulenza”, riguardi anche gli incarichi
per il patrocinio legale dell'Ente e quindi gli ex
dipendenti che hanno ricoperto il ruolo di avvocati comunali.
...
Quanto al merito, il Comune di Terni intende conoscere
l’avviso di questa Corte in merito alla possibilità di
conferire l’incarico di patrocinio legale di detto
ente all’ex capo dell’avvocatura comunale, per il periodo
successivo al suo pensionamento, per la gestione del
contenzioso presso le magistrature superiori e il
contenzioso già pendente e attualmente gestito dal medesimo
avvocato, in deroga al divieto contenuto nell’art. 5, comma
9, del D.L. 95/2012, "di attribuire incarichi di
studio e di consulenza a soggetti già
appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in
quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno
di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle
oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza”.
La risposta al quesito induce il Collegio ad approfondire
natura e contenuto dell’incarico di patrocinio legale
e la sua riconducibilità o meno allo schema normativo
dell’incarico di studio o di consulenza, come
disciplinato dall’art. 5, comma 9, del citato D.L. 95/2012,
il quale recita “È fatto divieto alle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001 nonché alle pubbliche
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
dell'articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009, n. 196
nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione
nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire
incarichi di studio e di consulenza a
soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati
in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo
anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a
quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di
consulenza”.
Detto decreto legge chiude un percorso
legislativo,
avviato con l’art. 110, comma 6, del TUEL (D.Lgs.
18.08.2000, n. 267) e proseguito con il D.Lgs. 165 del 2001,
con svariate leggi finanziarie, a partire dalla legge
finanziaria per il 2005 (legge 311 del 2004) passando per la
legge finanziaria per il 2008 e successive,
volto a porre vincoli sempre più stringenti alle
pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali, per
ovvie esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel
fare ricorso a collaborazioni esterne per l’assolvimento
delle funzioni istituzionali.
L’art. 110, co. 6, del Tuel stabilisce, infatti, che le
province e i comuni possono inserire, nei propri regolamenti
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, disposizioni
che prevedano “per obiettivi determinati e con
convenzioni a termine” il ricorso a collaborazioni
esterne “ad alto contenuto di professionalità”. Gli
enti locali perciò, oltre al conferimento degli incarichi
esterni ai sensi dell’articolo 7, comma 6, d.lgs. n.
165/2001, possono ricorrere a collaborazioni esterne, nei
casi in cu sia necessario avvalersi di un contributo d’alta
professionalità, a condizione che la facoltà sia stata
prevista nei loro regolamenti.
La legge finanziaria per il 2005 (legge 311 del 2004, art.
1, commi 11 e 42) consente alle amministrazioni pubbliche,
comprese le regioni, le province e i comuni, di conferire,
ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, corrispondente all’articolo 7 d.lgs. n.
29/1993 e successive modificazioni, incarichi individuali ad
esperti di “provata competenza” per “esigenze cui
non possono far fronte con personale in servizio”.
La legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007,
art. 3, comma 55) prevede che l'affidamento da parte degli
enti locali di incarichi di studio o di ricerca,
ovvero di consulenze a soggetti estranei
all'amministrazione può avvenire solo nell'ambito di un
programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'art. 42,
comma 2, lett. b), T.U.E.L.
Con particolare riferimento all’incarico di patrocinio
legale da conferire ad un avvocato libero
professionista, esterno all'Amministrazione, il Collegio non
può che condividere l’orientamento espresso dalla Sezione
delle Autonomie di questa Corte dei conti con la
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, nella quale
viene nettamente distinta l'ipotesi della richiesta di una
consulenza, studio o ricerca, destinata
sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto
alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
Secondo l’autorevole avviso di detta Sezione, la prima
ipotesi rientra sicuramente nell'ambito di previsione
dell'art. 3, commi da 54 a 57, della legge 244/2007 (legge
finanziaria per il 2008), che disciplina gli incarichi di
studio, ricerca e consulenza. La seconda, invece,
esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e
quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della
sopra indicata legge finanziaria.
Nella richiesta di parere oggetto di esame si evince
chiaramente che l’Amministrazione comunale di Terni intende
conferire all’attuale capo dell’Avvocatura comunale, per il
periodo successivo al suo pensionamento, l’intero
contenzioso presso le magistrature superiori e il
contenzioso già pendente e attualmente gestito dal medesimo.
Sicché non si tratta all’evidenza di un incarico episodico
od occasionale, bensì di un vero e proprio rapporto di
collaborazione professionale destinato a durare,
presumibilmente, fino alla conclusione, processuale ed
extraprocessuale, di tutto il contenzioso attualmente
gestito dall’avvocato capo del comune.
Ritiene la Sezione che un incarico di
siffatta portata, sebbene non riconducibile, per quanto
sopra detto, alla tipologia della consulenza, essendo
in esso del tutto preminente l’attività di rappresentanza e
difesa in giudizio, non possa comunque prescindere
dall’osservanza delle norme e delle procedure previste dal
codice dei contratti pubblici
(D.Lgs. 163/2006, Allegato II B) per
l’affidamento dell’appalto di servizi nei ccdd. settori
esclusi, nei quali sono compresi i servizi legali.
Secondo un recente arresto della giurisprudenza
amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730), che questa Sezione
condivide, gli enti locali non hanno
l’obbligo di esperire una “gara” per affidare un
singolo incarico di patrocinio legale, poiché
sussistono profonde differenze tra i generici servizi legali
e l’incarico di patrocinio/difesa legale, cioè tra
l’attività continuativa o comunque non episodica di
assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla
complessità dell’oggetto, da una specifica organizzazione
rapportata alla predeterminazione della durata, dalla
predeterminazione del compenso, e l’espletamento del singolo
incarico di patrocinio legale.
Con la decisione sopra indicata, il giudice amministrativo
di appello, ribaltando la decisione del tribunale di prime
cure, ha infatti ritenuto che il
conferimento del singolo incarico episodico non costituisce
un appalto di servizi, ma integra un contratto d’opera
intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in
materia di procedure di evidenza pubblica, precisando in
particolare: “...il servizio legale, per essere
oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per
prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera
prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi
legali è, a questa stregua, configurabile allorquando
oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale
a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità
organizzativa di un servizio, affidato a professionisti
esterni, più complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si
esaurisce....”.
Al contrario, il contratto di conferimento
del singolo e puntuale incarico legale, presidiato
dalle specifiche disposizioni comunitarie volte a tutelare
la libertà di stabilimento del prestatore in quanto
lavoratore, non può soggiacere, neanche nei sensi di cui
all’articolo 27 del codice dei contratti pubblici, ad una
procedura concorsuale di stampo selettivo che si appalesa
incompatibile con la struttura della fattispecie
contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà
dell’iter del giudizio, della non predeterminabilità degli
aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni
e della conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta
delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in
forza della disciplina recata dal codice dei contratti
pubblici.
Su posizioni analoghe si era già attestata la Sezione
Autonomie della Corte di conti con la richiamata
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, osservando,
tra l’altro, come “appare possibile
ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale
nell'ambito dell'appalto di servizi, dovendosi fare in
generale riferimento alla tipologia dei "servizi legali" di
cui all'allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce,
ai sensi dell'art. 20 del decreto, uno dei contratti
d'appalto di servizi cosiddetti "esclusi", assoggettato alle
sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal
predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo
art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione)”.
Nella medesima linea interpretativa si colloca l’indirizzo
consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass.,
Sez. II, sent. 16016/2003; Cass., sent. 4411/1979) secondo
il quale “il conferimento dell'incarico
di patrocinio legale comprende normalmente anche
quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima
parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce
l'incarico di patrocinio; che anche nell'ambito di una
procedura giudiziale civile il professionista può prestare,
in relazione alla stessa pratica, sia attività giudiziale
sia attività stragiudiziale, comprendendosi in quest'ultima
quelle prestazioni che non risultino strettamente connesse e
strumentali all'attività propriamente processuale”,
nonché la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., Sez.
IV, sent. 825/2007), la quale ha ritenuto che “Il
conferimento all'avvocato di incarico di patrocinio
giudiziale comprende normalmente anche quello di
prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in
relazione alle medesime vicende cui si riferisce l'incarico
di patrocinio”.
Va, inoltre, evidenziato che il ricorso alle collaborazioni
esterne (nella specie, ad un avvocato del libero foro, già
avvocato capo del Comune) per la difesa e la
rappresentanza in giudizio dell’ente locale, anche
presso le magistrature superiori, per la gestione di un
contenzioso vasto e non limitato nel tempo, è sottoposto
dalla legge (D.Lgs. 165/2001 e altre leggi sopra indicate) a
precisi limiti e condizioni.
A tale riguardo le SS..RR. della Corte dei
conti in sede di controllo,
con la
delibera 15.02.2005 n. 6/2005,
hanno elaborato i seguenti criteri per valutare la
legittimità degli incarichi e delle consulenze
esterni:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della
figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico,
da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo
svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e
l’utilità conseguita dall’amministrazione.
In conclusione, il conferimento ad un
avvocato del libero foro dell’intero contenzioso dell’ente
già curato dal medesimo professionista in qualità di capo
dell’avvocatura comunale, trattandosi di attività non
riconducibile ad un incarico di studio, ricerca
o consulenza, non soggiace alla normativa
vincolistica contenuta nell’art. 5, comma 9, del D.L. 95 del
2011, ma è subordinata alla sussistenza dei succitati
presupposti di legittimità nonché alla disciplina dettata
dal D.Lgs. 163/2006, Allegato II B, per gli appalti dei
servizi compresi nei cosiddetti settori esclusi
(Corte dei Conti, Sez. controllo Umbria,
parere
19.12.2013 n. 137). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
AVVOCATI/ Un parere del Cnf dopo due sentenze emanate dal
Tribunale di Verona.
Parcelle vidimate dall'Ordine.
Strada obbligata per l'emissione di decreti ingiuntivi.
Il recupero del compenso dell'avvocato passa ancora
dall'ordine forense di appartenenza.
Il Consiglio nazionale
forense fa chiarezza in merito all'iter procedurale volto a
recuperare onorari e spese impagati dei legali, ribadendo la
sussistenza del potere di «opinamento» delle parcelle in
capo agli Ordini forensi (parere del 23.10.2013 in
risposta al quesito n. 330, Unione Triveneta, Rel. Cons.
Perfetti).
La pronuncia del Cnf nasce da due recenti sentenze del
Tribunale di Verona, secondo le quali l'art. 9 del cd.
decreto legge n. 1/2012 (cd. «Cresci-Italia»), che ha mandato
in soffitta le tariffe forensi, avrebbe tacitamente abrogato
anche gli articoli 633, comma 1 n. 2 e 3, e 636 del Codice
procedura civile, facendo così venire meno la necessità di
rivolgersi al competente ordine professionale per il
prescritto parere sul quantum richiesto.
Le conseguenze pratiche delle pronunce sono evidenti: per
ottenere un decreto ingiuntivo i professionisti avrebbero
dovuto allegare al ricorso il contratto sottoscritto dal
cliente, con l'indicazione analitica del compenso pattuiti.
Secondo questo orientamento, insomma, i legali, per
avvalersi dello strumento più veloce e snello del
procedimento monitorio, avrebbero dovuto fornire la prova
scritta dell'accordo con il cliente, come previsto dal primo
comma n. 1 dell'art. 633 cpc.
La mancanza del contratto sarebbe stata supplita dalla
liquidazione del giudice, operata sulla scorta dei parametri
stabiliti con decreto dal ministero della giustizia.
Divenuta superflua la vidimazione della parcella, per
effetto delle pronunce in questione, il Coa scaligero ha
invitato i propri iscritti ad astenersi dal richiedere
pareri di congruità delle parcelle. Da qui il quesito che la
presidenza dell'Unione Triveneta ha posto al Consiglio
nazionale forense e il conseguente parere reso dagli esperti
romani lo scorso 23 ottobre. Per il vertice istituzionale
delle toghe, l'interpretazione che i giudici di merito
veneti hanno dato alla norma non può essere condivisa. «La
portata abrogativa della norma», chiarisce il Cnf, «riguarda
le tariffe come criterio di determinazione del compenso, e
dunque incide sui criteri attraverso cui è esercitato il
potere di opinamento, e non investe la sua persistenza in
capo al Consiglio dell'Ordine forense». Dunque, gli avvocati
che intendono chiedere l'emissione di un decreto ingiuntivo
devono continuare a munire le proprie parcelle
dell'obbligatorio parere di conformità dei consigli
dell'ordine.
Qualche problema in più sorge nel caso in cui il credito
fatto valere del professionista sia contestato. In caso di
opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale,
questi dovrà provare in giudizio, non solo il conferimento
dell'incarico, ma anche l'attività effettivamente svolta. È
quanto ha affermato la Suprema corte (Corte di cassazione,
sentenza n. 2456831 del 31.10.2013), in merito al credito di
un professionista la cui attività, limitatasi alla fase
stragiudiziale, non era stata adeguatamente documentata e
provata in giudizio (articolo
ItaliaOggi Sette del 02.12.2013 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
novembre 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Avvocato non può divulgare fatti appresi nell’esercizio
della professione.
L’art. 51 codice deontologico forense
(assunzione di incarichi contro ex clienti) oltre a tutelare
l’esigenza di non far conoscere all'esterno fatti personali,
che l'avvocato difensore apprenda per ragioni legate
all'esercizio della sua professione, impedisce all'avvocato
di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta
informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o meno
note all'opinione pubblica, comunque non possono essere
rivelate da un soggetto tenuto al segreto professionale.
In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite civili, della
Corte di Cassazione, nella
sentenza 18.11.2013 n. 25795.
Nel caso all’esame della Suprema Corte, un avvocato aveva
assistito un lavoratore, imputato, a distanza di anni, in un
procedimento penale, in cui il professionista stesso
difendeva ora il querelante. Durante il dibattimento,
l’avvocato in questione aveva rivolto all’ex cliente una
domanda sui fatti riferibili alla causa nella quale aveva
prestato assistenza.
L’ex cliente, allora, aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine
degli avvocati se tale condotta integrasse o meno l’illecito
disciplinare, di cui all’art. 51 ut supra citato.
Il Consiglio dell’Ordine di appartenenza censurava
l’avvocato per aver violato gli obblighi di segretezza,
riservatezza, correttezza e fedeltà propri dell’attività
forense, in quanto la domanda rivolta all’ex cliente durante
il processo penale aveva il precipuo scopo di denigrarlo,
utilizzando fatti conosciuti a causa della difesa
precedentemente svolta (seppur già divulgati dagli organi di
stampa).
Il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione,
sostituendo la sanzione della censura con quella meno grave
dell'avvertimento, sulla base del rilievo che la diffusione
della notizia del licenziamento a mezzo stampa aveva
determinato una riduzione dell’offensività della condotta.
A questo punto, l’avvocato proponeva ricorso per cassazione,
lamentando, in particolare, la genericità del capo d’incolpazione,
con conseguente lesione del diritto di difesa, “perché in
esso si faceva riferimento ai fatti del 2002, mentre in
quell'anno egli aveva prestato la propria attività
defensionale … in due cause”.
Osservano le Sezioni Unite, però, che, come la Corte stessa
ha avuto modo di chiarire in altre pronunce in materia, “nel
procedimento disciplinare a carico degli esercenti la
professione forense, la contestazione degli addebiti non
esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione
dei fatti che integrano l'illecito, essendo, invece,
sufficiente che l'incolpato, con la lettura
dell'imputazione, sia posto in grado di approntare la
propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere
condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli”.
Inoltre, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, già
espresso dal CNF nel provvedimento impugnato, che fa divieto
all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera
scorretta informazioni apprese nell’esercizio della
professione, ancorché già divulgate dagli organi di stampa
(link a www.altalex.com). |
ottobre 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Per
l'avvocato niente rimborso a «spese forfetarie».
Nuovi principi in tema di liquidazione degli onorari
spettanti agli avvocati, all'indomani dei parametri (Dm 20
140/2012) e della legge professionale n. 247 dello stesso
anno.
Con
sentenza 22.10.2013 n. 43143 la Corte di Cassazione,
Sez. II penale, applica i parametri (invece delle tariffe,
che vigevano prima) ogni qualvolta la liquidazione da parte
del giudice intervenga in un momento successivo alla data di
entrata in vigore del decreto 140. In altri termini,
ricadono nella disciplina dei "parametri" le
prestazioni professionali che alla data del 23.08.2012 non
risultino ancora completate.
È quindi irrilevante che una prestazione abbia avuto inizio
e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le
tariffe abrogate, in quanto il termine generico di "compenso"
(che si legge nella legge professionale, articolo 13, comma
10) richiama la nozione di un corrispettivo unitario per
l'opera complessivamente prestata. Un secondo principio
affermato nella sentenza 43143 riguarda il "rimborso
delle spese forfetarie" (previsto sempre dall'articolo
13). Nella vicenda decisa dalla Cassazione, il difensore non
ha ottenuto la liquidazione di tale voce, a causa
dell'assenza (ancor oggi perdurante) di un Dm sulla misura
massima del rimborso spese forfetarie.
È la legge professionale (articolo 13, comma 6) che esige
tale decreto, sicché non basta la generica previsione di una
voce denominata "spese forfetarie": manca infatti
l'unità di misura in base alla quale quantificare gli
importi relativi. La situazione attuale vede quindi non
liquidabili dal giudice le "spese forfetarie",
sottraendo alla liquidazione del compenso degli avvocati
quelle che, prima della legge 247/2012, erano denominate "spese
generali" (12,5%).
Meno frequente, ma rilevante ai fini della professione, è il
caso deciso dalla Cassazione con la sentenza 2389 sempre
depositata ieri, relativa a un avvocato il quale aveva
ricevuto l'incarico di iniziare una lite con specifica
procura dalla parte, ma aveva iniziato il contenzioso dopo
la morte del suo cliente. Per legge (articolo 1387 del
Codice civile) la procura viene meno con la persona che
affida l'incarico, e le liti non dovrebbero essere iniziate
(se non ancora attive) o vanno continuate dagli eredi (se
già pendenti). La Cassazione chiede alle Sezioni unite di
rivedere un orientamento del 2006 (sentenza 10706), che
poneva le spese per la gestione della lite a carico,
comunque, degli eredi inconsapevoli.
Si trattava in particolare delle spese che il giudice
liquida a favore della parte vittoriosa, cioè, in caso di
mancanza di procura, a favore di chi è stato coinvolto in
una lite iniziata da un avvocato privo di adeguata procura.
Nel 2013 la Cassazione ha il dubbio che il professionista
possa essere in proprio responsabile anche delle spese
legali da pagare all'avversario, tutte le volte che agisca
senza procura (articolo Il Sole 24 Ore del 23.10.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: I
nuovi «parametri» premiano gli avvocati.
Compensi medi più alti - Torna il rimborso spese forfettario.
DOPO LE TARIFFE/
I valori sono utilizzabili come riferimento quando non c'è
accordo tra le parti sulla somma dovuta.
Compensi più elevati per (quasi) tutti i gradi e le fasi di
giudizio. Un taglio meno deciso per il gratuito patrocinio.
E il ritorno del rimborso delle spese forfettarie, che si
aggiunge al "prezzo" della prestazione e alla restituzione
dei costi sostenuti.
È con questi interventi che lo schema di regolamento sui
nuovi parametri –messo a punto dal ministero della
Giustizia per dare attuazione alla riforma dell'avvocatura e
ora inviato al Consiglio di Stato e al Consiglio nazionale
forense per i pareri– supera i valori previsti dal Dm
140/2012 e premia le parcelle dei legali.
Attenzione, però: si tratta di importi che possono essere
utilizzati come guida per definire i compensi –in primo
luogo dal giudice, se manca l'accordo delle parti– ma che
non sono vincolanti. Resta ferma, infatti, l'abrogazione
delle tariffe, cancellate dal decreto legge 1 del 2012.
Importi rivisti
Alla prova di alcuni casi concreti (si vedano gli schemi
pubblicati a fianco), i nuovi parametri si rivelano quasi
sempre più generosi rispetto ai vecchi importi: ad esempio,
cresce di oltre il doppio (da 495 a 1.197 euro) il compenso
minimo che può spettare al legale che difende un imputato
ammesso al gratuito patrocinio di fronte al tribunale
monocratico; mentre aumenta di più del 20% (da 6.336 a 7.767
euro) la parcella massima che può essere liquidata per un
giudizio tributario in secondo grado, se include anche il
rimborso delle spese di trasferta.
Si tratta di risultati a cui contribuiscono più fattori.
Intanto, il nuovo schema di regolamento eleva, rispetto al
Dm 140, quasi tutti i compensi medi per le singole fasi.
Peraltro, gli importi individuati dal ministero –come
chiarisce la relazione illustrativa dello schema di
provvedimento– sono inferiori rispetto a quelli che erano
stati proposti dal Cnf.
Inoltre, il nuovo regolamento rimodula la forbice delle
riduzioni e delle maggiorazioni sul compenso medio del
giudizio: per ogni fase, si prevedono aumenti fino all'80% e
sconti fino al 50%, tranne che per la fase istruttoria dei
riti civili, tributari e amministrativi, per cui sono
fissati incrementi fino al doppio e riduzioni fino al 70 per
cento.
I nuovi parametri riducono poi la sforbiciata ai compensi
per gli avvocati che difendono i clienti ammessi al
patrocinio a spese dello Stato: mentre il Dm 140 prevedeva
un taglio del 50%, lo schema di regolamento mantiene la
riduzione per esigenze di bilancio, ma la ferma al 30 per
cento.
Ma i nuovi parametri non portano in dote solo aumenti. Ad
esempio, nei giudizi di fronte al giudice di pace i compensi
medi vengono ridotti in modo significativo rispetto a quelli
previsti dal Dm 140. Così, il compenso medio per il legale
che difende un cittadino che impugna una multa può scendere
di oltre il 70% (da 850 a 265 euro).
Le spese forfettarie
La bozza di regolamento i reintroduce una voce di rimborso
autonoma rispetto ai compensi per l'attività svolta e alle
spese documentate. Si tratta delle «spese generali» già
previste dalle tariffe, vale a dire un rimborso spese
forfettario, che mira a coprire i costi effettivi ma non
documentabili (come quelli per la gestione dello studio).
Il rimborso forfettario, cancellato dal Dm 140, viene ora
reintrodotto «di regola nella misura tra il 10 e il 20% del
compenso per la prestazione». Così, lo schema di regolamento
dà attuazione alla norma della riforma forense per cui le
spese forfettarie sono dovute al legale «oltre al compenso
per la prestazione professionale» e «al rimborso delle spese
effettivamente sostenute».
I giudizi tributari
Il nuovo schema di regolamento introduce parametri ad hoc
per i giudizi tributari, con tabelle autonome (per i
procedimenti in commissione tributaria provinciale e
regionale) rispetto a quelle previste per la difesa civile
in tribunale.
Ma i compensi più alti sono stati stabiliti per la fase
istruttoria e/o di trattazione, che nel rito tributario è
pressoché inesistente, dato che non è prevista la
possibilità di sentire testimoni o di espletare
l'interrogatorio formale. Piuttosto, sarebbe opportuno che i
valori indicati nella fase istruttoria fossero riconosciuti
nella fase decisionale, sicuramente più delicata nel
processo tributario (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Sugli onorari non si discute.
L'importo è nel range? Il giudice non deve motivare.
È quanto emerge da una sentenza della Corte di cassazione
sui compensi dei legali.
Onorari dell'avvocato: il giudice non è tenuto a dare alcuna
motivazione se l'importo è contenuto tra il minimo e il
massimo della tariffa.
È quanto emerge nella
sentenza
09.10.2013 n.
22982. Secondo i giudici della II Sez. civile della
Corte di Cassazione infatti: «La determinazione degli onorari di
avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale
del giudice, che, se contenuto tra il minimo e il massimo
della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può
formare oggetto di sindacato in sede di legittimità a meno
che l'interessato specifichi le singole voci della tariffa
che assume essere state violate».
Così argomentando, hanno quindi respinto il ricorso di un
avvocato, il quale, in primo grado, aveva chiesto (e solo in
parte ottenuto, vedendosi negare il riconoscimento dei
maggiori importi dovuti dagli interessi moratori)
ingiunzione di pagamento a titolo di compenso per le
prestazioni professionali rese al Comune: in particolare,
tra i motivi di censura il legale lamentava la violazione
dell'art. 115 c.p.c. per avere il tribunale riconosciuto
come «non dovuti i diritti indicati nel provvedimento
impugnato, voci peraltro disconosciute senza articolare una
puntuale motivazione».
Anche in sede di legittimità, tuttavia, il motivo è stato
ritenuto «privo di pregio» e dunque respinto: è sul
ricorrente –spiegano all'uopo gli ermellini– che ricade
«l'onere dell'analitica specificazione delle voci della
tariffa professionale che ritiene violate e degli importi
considerati, al fine di consentire il controllo [_] senza
bisogno di procedere alla diretta consultazione degli atti»
e questo anche perché l'eventuale violazione delle tariffe
professionali integrerebbe un'ipotesi di error in iudicando
e non in procedendo.
Il tribunale avrebbe, dunque, correttamente motivato le
proprie determinazioni «sia indicando le voci della parcella
da escludere sia provvedendo alla liquidazione del
compenso».
Quanto, poi, al problema degli interessi, il collegio
giudicante ha avuto modo di precisare che il debitore può
essere ritenuto in mora solo a seguito di liquidazione, la
quale «avviene con l'ordinanza che conclude il
procedimento» (ex art. 28, legge 794/1942)
(articolo ItaliaOggi Sette del
04.11.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocati.
Parcella contestata, sospesi gli interessi.
Non scattano gli interessi moratori sulla parcella che
l'avvocato invia al cliente, se quest'ultimo la contesta.
Lo
afferma la Corte di Cassazione (sentenza
09.10.2013 n.
22982) decidendo su una lite tra
professionista e un Comune sulla congruità del compenso la
cui contestazione è iniziata nel 2005.
La Suprema Corte afferma che quando il compenso
professionale viene contestato dal cliente, proponendo
opposizione al decreto ingiuntivo, non decorrono gli
interessi moratori di cui all'articolo 1224 del Codice
civile. Ciò in quanto in queste ipotesi è il giudice a
liquidare con ordinanza l'onorario per la prestazione
professionale (legge 794/1942). Liquidazione che avviene in
base alla natura e al valore della controversia, alla
complessità delle questione trattate, all'attività prestata
e all'esito del giudizio.
Ne consegue che prima della
quantificazione giudiziale del compenso per il
professionista non scattano gli interessi moratori poiché il
credito non è «certo nel suo ammontare». Ciò è coerente
all'allegato 2 del decreto ministeriale 22.06.1982 che
fa decorrere gli interessi di mora e la svalutazione
monetaria sugli onorari dell'avvocato dopo tre mesi
dall'invio della parcella al cliente, sempre se l'importo
non venga contestato. Ciò va coordinato con l'articolo 4 del Dlgs 231/2002, modificato dal Dlgs 192/2012, che fa scattare
gli interessi di mora dal giorno successivo alla scadenza
del termine per il pagamento del debito in tutte le
transazioni commerciali in cui una parte non è un privato.
Se il cliente è un imprenditore o altro professionista, per
l'avvocato gli interessi moratori lievitano in modo
automatico dopo la scadenza del termine per provvedere,
senza che sia necessaria la "costituzione in mora" (cioè la
raccomandata). Se invece il cliente è un privato, il
professionista deve attendere che il giudice liquidi il suo
onorario e solo da quel momento e nei limiti di
quell'importo può chiedere anche gli interessi al cliente
moroso (oggi l'8,75%).
Per le controversie sorte dal febbraio 2012 occorre
considerare le disposizioni della legge 247/2012 sul
compenso e sui meccanismi di conciliazione per avvocati.
L'articolo 13 prevede che il compenso dell'avvocato va
pattuito per iscritto al conferimento dell'incarico. In
mancanza di accordo sia il professionista che il cliente
possono rivolgersi al Consiglio dell'ordine al fine di
raggiungere un'intesa.
Se il contrasto non si compone il
professionista può comunque chiedere all'Ordine di
appartenenza di rilasciare un parere di congruità della
parcella richiesta e contestata dal cliente. Le novità
legislative prevedono anche un rito accelerato (articolo 702-bis del Codice di procedura civile) per la liquidazione
giudiziale del compenso (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2013). |
settembre 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
G. Manfredi,
Appunti sull’affidamento degli incarichi legali
delle pubbliche amministrazioni: competenza, procedimento,
forma (Urbanistica e appalti n. 8-9/2013 - tratto da
www.ipsoa.it). |
agosto 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocati, gli onorari passano dal giudice.
La determinazione degli onorari di avvocato e dei diritti di
procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale
del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo e il
massimo della tariffa, non richiede una specifica
motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede
di legittimità.
È di questo avviso la Sez. III civile
della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 18906/2013
torna sul nodo tariffe, anche se il riferimento è relativo
al tariffario del 2004 (nel frattempo abrogato).
Tuttavia la
sentenza ritorna di attualità in quanto rimette al giudice
il potere di definire il compenso, che poi è il nuovo
sistema che il legislatore ha scelto qualora professionista
e cliente non trovino un accordo. Con unico motivo la
ricorrente aveva fatto presente la violazione degli articoli
91, 92 del Cpc, e delle tariffe professionali del 05.01.1991, dell'01.04.1995 e del
02.06.2004, in relazione
all'articolo 360, 1° comma, n. 5, del Cpc.
La ricorrente contestava che la Corte di merito aveva
liquidato le spese del doppio grado di giudizio riducendo «senza
alcuna giustificazione e motivazione gli importi esposti
nelle due notule con analitica specificazione delle singole
partite con riferimento alle prestazioni effettuate nel
corso di entrambi i giudizi», violando i minimi
tariffari e riducendo «molte voci dalle due notule senza
indicarle», a tale stregua non consentendole di «esaminarle
e di riscontrare se gli importi liquidati fossero stati
congrui»
(tratto da ItaliaOggi del
14.08.2013). |
luglio 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Il maggior onere finanziario che l’ente locale deve
sostenere per il pagamento, a saldo, di parcelle di avvocati
esterni che hanno assunto il patrocinio dell’ente in un
giudizio non costituisce una fattispecie di debito fuori
bilancio, ex art. 191, lett. e), TUEL, tutte le volte in
cui, essendoci la capienza del capitolo di bilancio relativo
al pagamento delle spese legali, possa essere disposta una
integrazione dell’originario atto di impegno registrato nel
momento di conferimento dell’incarico professionale.
---------------
Il Sindaco del
Comune di Parma ha formulato alla Sezione una richiesta di
parere con la quale intende conoscere quale sia il
corretto procedimento di natura contabile da seguire per
poter assumere il maggior onere finanziario relativo al
pagamento, a saldo, delle parcelle di avvocati esterni
incaricati della difesa giudiziale dell’Ente originato,
rispetto alle previsioni iniziali, da imprevedibili
complessità e peculiarità del giudizio penale.
In particolare, vengono posti i seguenti quesiti:
1) “se, in ipotesi di inadeguata previsione di spesa
da parte di un professionista incaricato della difesa
dell’Ente –motivata dalla difficoltà di apprezzamento “a
priori” delle prestazioni richieste, in ragione della
peculiarità, complessità ed imprevedibilità del giudizio
penale– la richiesta di pagamento della somma residua “non
impegnata” costituisca -una volta intervenuta la sentenza
che definisce il giudizio– un debito fuori bilancio”;
2) "se, diversamente, in caso di capienza del capitolo
destinato al pagamento delle spese legali, sia possibile
procedere all’impegno della somma residua richiesta dal
professionista a titolo di saldo parcella -quest’ultima
regolarmente opinata dall’ordine forense-, facendola
gravare, con determinazione dirigenziale di liquidazione, su
esercizio finanziario successivo rispetto a quello in cui
l’incarico si sia concluso”.
...
Ai fini della soluzione del quesito posto occorre
preliminarmente richiamare la deliberazione n. 311/2012/PAR
nella quale questa Sezione si è ampiamente occupata del
rapporto tra la procedura contabile “ordinaria” per
l’assunzione di spese che gravano sui bilanci degli enti
locali e la procedura per il riconoscimento dei cd. debiti
fuori bilancio.
In tale pronuncia la Sezione ha rilevato, che gli enti
locali, al pari di tutte le altre pubbliche amministrazioni,
per poter legittimamente assumere a carico del proprio
bilancio obbligazione giuridiche nei confronti dei terzi,
devono seguire una procedura, articolata in più fasi,
prevista e disciplinata negli articoli 182-185 e 191 TUEL.
Tale ultima disposizione, al comma 1, stabilisce che gli
enti locali possono effettuare spese solo a seguito
dell’assunzione, da parte del responsabile del servizio
finanziario, dell’atto di impegno da registrarsi sul
pertinente intervento o capitolo di bilancio, munito
dell’attestazione della relativa copertura finanziaria.
Il rispetto di tale procedura, oltre a garantire l’obbligo
della copertura finanziaria degli atti da cui derivano
impegni di spesa e la salvaguardia degli equilibri di
bilancio, consente di evitare la formazione di debiti
originati in via extracontabile.
Pur tuttavia, qualora vengano in essere obbligazioni
giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria,
l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la
possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria
dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rientranti nelle
fattispecie tassativamente elencate nell’articolo 191 TUEL e
purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito
da parte dell’organo consiliare.
Ciò premesso, la Sezione rileva che, in
ossequio ai principi di prudenza e di sana gestione
finanziaria, nel momento in cui l’ente locale assume
obbligazioni giuridiche nei confronti dei terzi deve,
contestualmente, procedere a determinare, secondo la stima
più precisa possibile, le somme da corrispondere al fine di
poter adottare i relativi atti della procedura contabile,
evitando la formazione di debiti che si originano con una
procedura extracontabile.
Per le ipotesi di assunzione di atti di
impegno derivanti da contratti di prestazione d’opera
intellettuale si richiama il principio contabile n. 2, cpv.
108, del Testo approvato dall’Osservatorio del Ministero
dell’Interno il 12.03.2008, ai sensi del quale <l’ente
deve determinare compiutamente, anche in fasi successive
temporalmente, l’ammontare del compenso (esempio gli
incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la
maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti
dall’impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento
di contabilità dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di
ulteriore impegno, per spese eccedenti l’impegno originario,
dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili>.
Ne deriva, pertanto, che è onere dell’ente
trovare, nel momento del conferimento dell’incarico
professionale, la copertura finanziaria della spesa per gli
onorari da pagare quale compenso per la prestazione resa che
tenga conto non solo degli acconti, ma anche del saldo in
modo da coprire la spesa complessiva e nella sua interezza.
Ciò nonostante nell’ipotesi in cui vi sia
uno scostamento tra la previsione di spesa iniziale
(ricompresa nel formale atto di impegno) e quella finale, il
cui superiore ammontare sia derivato,
nella specie, da fatti sopravvenuti ed
imprevedibili, quali la peculiarità, complessità e
imprevedibilità del giudizio penale, questa Sezione,
in conformità all’orientamento già formatosi presso altre
Sezioni regionali di controllo (cfr. Sez. Lombardia,
deliberazioni nn. 19/2009/PAR e 441/2012/PAR; Sez. Campania,
deliberazione n. 9/2007; Sez. Sardegna deliberazione n.
2/2007), ritiene che il maggior onere di
imprevedibile quantificazione debba essere coperto
integrando l’originario atto di impegno di spesa, poiché è
necessario solo aumentare l’importo delle somme da
corrispondere al professionista, restando invariati il
titolo giuridico e gli altri elementi dell’obbligazione
assunta dall’Ente (atto di conferimento dell’incarico
professionale, soggetto creditore).
Si rileva, infine, che, pur potendo il
conferimento di incarichi di natura professionale
astrattamente rientrare nell’ipotesi di cui alla lettera e)
all’articolo 191 TUEL, in quanto trattasi di acquisizione di
un servizio, ritiene la Sezione che non sia necessario
utilizzare la procedura di riconoscimento di debito fuori
bilancio nell’ipotesi,
quale quella in esame, nei limiti
dell’ipotesi di maggiori oneri di imprevedibile
quantificazione, poiché l’incarico era stato regolarmente
conferito ed il relativo impegno era stato assunto secondo
la ordinaria procedura di spesa di cui all’art. 183 TUEL,
seppur con un importo inferiore rispetto a quello necessario
a soddisfare interamente la pretesa creditoria del
professionista esterno.
Il presente parere ed i principi in esso espressi vengono
resi dalla Sezione prescindendo dalla verifica, rimessa
all’amministrazione istante, del rispetto della procedura di
conferimento dell’incarico professionale, della valutazione
circa la convenienza e congruità del compenso pattuito,
nonché delle ragioni che non hanno consentito
l’utilizzazione di risorse interne all’amministrazione
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 25.07.2013 n.
256). |
giugno 2013 |
|
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI:
Affidamento di incarichi di difesa legale.
Alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U.
18.08.2000, n. 267), in quanto organo di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo, non spettano funzioni di
gestione quale è da annoverare quella di attribuzione di un
incarico professionale.
Invero, la scelta del contraente per l’affidamento di un
incarico per lo svolgimento di una prestazione d’opera
intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara
formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto
di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per
gli uffici, risolvendosi nella individuazione del soggetto o
dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole
obbiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della
P.A..
... per
l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della
nota prot. 371/2013 recante la comunicazione della delibera
n. 58/2013 avente ad oggetto la scelta del vincitore della
selezione per l’affidamento di incarico di difesa dell’ente
dinanzi alle giurisdizioni superiori e non.
...
- Considerato che alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U.
18.08.2000, n. 267), al pari della Commissione Straordinaria
con i poteri della Giunta Comunale, in quanto organo di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo, non
spettano funzioni di gestione quale è da annoverare quella
di attribuzione di un incarico professionale;
- Ritenuto, infatti, che, come ha affermato la
giurisprudenza condivisa dal Collegio, la scelta del
contraente per l’affidamento di un incarico per lo
svolgimento di una prestazione d’opera intellettuale (art.
2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale,
o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di
qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici,
risolvendosi nella individuazione del soggetto o dei
soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obbiettive
e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A. (CdS
V 4654/2005, che conferma TAR Lazio–Sez. staccata di Latina
n. 00604/2011, cfr. per una analoga procedura TAR Napoli
Campania sez. II, 26.05.2011, n. 2854);
- Considerato che nel caso di specie l’individuazione del
professionista al quale affidare l’incarico e la sua nomina
è avvenuta ad opera della Commissione Straordinaria con i
poteri della Giunta comunale, come si legge nella delibera
impugnata, e non ad opera dei dirigenti, ai quali spetta per
esplicito disposto dell’art. 107 dlgs 267/2001;
- Ritenuto che l’art. 22 dello Statuto, ove conferisce alla
Giunta il potere di autorizzare l’introduzione o la
resistenza in giudizio non abbia riguardo alla ben diversa
ipotesi di conferimento di incarico di attività di difesa
dell’ente in una serie indeterminata di controversie e per
un determinato periodo di tempo (cfr. CdS V 2730/2012);
- Considerato altresì che il profilo di illegittimità
evidenziato supera le eccezioni di inammissibilità del
ricorso, in quanto comporta la rinnovazione della procedura
in conformità al bando ad opera del dirigente, come peraltro
previsto dall’art. 3 del bando medesimo ove si legge che
“la valutazione dei candidati sarà effettuata dal
Responsabile del Settore A.A.”
(TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 24.06.2013 n. 1405 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Debiti fuori bilancio - Fattispecie
-
L’integrazione dell’impegno originario in alcuni casi è
possibile.
Relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio
dell’ente, qualora fatti successivi all’originario impegno
di spesa determinino un aumento della spesa prevista
inizialmente in termini non rilevanti ma ‘‘fisiologici’’,
l’ente locale può non ricorrere alla procedura di
riconoscimento del debito fuori bilancio ma potrà procedere
ad adeguare lo stanziamento
iniziale integrando l’originario impegno
di spesa per garantire la copertura finanziaria della
parcella professionale qualora, verificata la congruità
dell’impegno originario, siano già disponibili
le risorse finanziarie a tal fine necessarie,
e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel
rispetto delle procedure contabili. (1)
------------------
(1) Si tratta di questione controversa che ha trovato
soluzioni opposte nella giurisprudenza
contabile.
Hanno stabilito che è sempre necessaria la procedura di
riconoscimento del debito
fuori bilancio: sez. reg. contr. Veneto, n. 7 del 2008; sez.
reg. contr. Sardegna,
n. 2 del 2007.
Hanno ritenuto, invece, che sia possibile integrare
l’originario impegno, qualora
circostanze sopravvenute, quali ad es. la durata del
contenzioso rendano insufficiente
l’impegno originario: Sez. reg. contr. Campania, n. 9 del
2007; Sez.
reg. contr. Lombardia 05.02.2009, n. 19; 12.10.2011, n. 511; 11.07.2012, n. 322; 23.10.2012, n. 441).
Per una ricostruzione della questione in relazione alla
complessiva disciplina dei
debiti fuori bilancio: G. Astegiano, I debiti fuori
bilancio, in G. Astegiano (a cura
di), Ordinamento e gestione contabile-finanziaria degli
Enti locali, Ipsoa, 2012,
810 e segg. (Corte
dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 17.06.2013 n. 55 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 8-9/2013).
---------------
Il Sindaco del Comune di Ronco Scrivia chiede alla Sezione
di controllo un parere in merito alla corretta liquidazione
di compensi a favore di professionisti in conseguenza del
conferimento di incarichi legali, formulando due distinti
quesiti.
In riferimento al primo il Sindaco chiede di
sapere se le parcelle di liquidazione dell’attività
professionale del legale incaricato dall’Ente (attività
stragiudiziale e giudiziale) commissionata negli anni 2002,
2003 e 2005 possano essere liquidate secondo le previgenti
tariffe professionali anche se le relative parcelle di
liquidazione sono state emesse nell’anno 2012 a seguito
della conclusione dei contenziosi.
Con il secondo quesito il Sindaco chiede di sapere
se per la liquidazione di compensi relativi a prestazioni
professionali legali, connesse alla difesa in giudizio
dell’Ente eccedenti gli impegni contabili assunti, si debba
ricorrere alla procedura di cui all’art.194 del TUEL ossia
al previo riconoscimento di legittimità del debito fuori
bilancio ai sensi del comma 1, lettera e) o se invece sia
sufficiente, disponendo dell’intera somma richiesta,
adottare una determina dirigenziale di integrazione della
spesa e successivamente di liquidazione anche considerando
l’imprevedibile lunga durata dei contenziosi in oggetto.
Ciò anche alla luce dei diversi orientamenti osservati dalle
Sezioni regionali della Corte dei conti.
...
La fattispecie all’esame di questo Collegio concerne la
liquidazione di compensi relativi a prestazioni
professionali di natura legale eccedenti gli impegni
contabili assunti e più precisamente quale sia la corretta
procedura di liquidazione della spesa in esame. Sul punto si
sono creati due contrapposti indirizzi giurisprudenziali.
Secondo il primo orientamento, sostenuto
principalmente dalla Sezione di controllo lombarda, in
situazioni come quella all’esame di questo Collegio non
necessariamente occorre ricorrere alla procedura di
riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194,
comma 1, lett. e) del TUEL, in quanto “si
ritiene che l’impegno di spesa per prestazioni professionali
a tutela dell’ente può dirsi assunto correttamente quando in
presenza di un eventuale maggior onere (emergente
dall’imprevedibile lunga durata della causa), l’ente al fine
di garantire la copertura finanziaria procede ad adeguare lo
stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di
spesa. In altri termini, fatti successivi, non prevedibili
al momento dell’originario impegno di spesa quali il
protrarsi della durata del processo, costituiscono una
legittima causa giuridica per la spesa da sostenere e
consentono, quindi, di assumere il relativo impegno in
bilancio. In questa ipotesi, anzi, il ricorso all’istituto
del riconoscimento del debito fuori bilancio contrasterebbe
con i principi di contabilità pubblica. Ne consegue che
qualora l’importo legittimamente impegnato si riveli
insufficiente, la differenza non realizza automaticamente
una fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare ai
sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL"
(Sez. reg. contr. Lombardia delibere n. 19/2009, n.
322/2012, n. 441/2012).
Secondo un diverso orientamento, sostenuto, tra le
altre, dalle Sezioni Veneto, Puglia, Sardegna,
anche in situazioni come quella in esame è
necessario ricorrere alla procedura di cui all’art. 194 del
TUEL. La liquidazione di una spesa può, infatti, avvenire ai
sensi dell’art. 184, primo comma del T.U.E.L. nei limiti
dell’impegno definitivo assunto: “ogni qualvolta si
verifichi questo scostamento tra impegno contabile assunto a
tempo debito e somma definitiva da pagare ad operazione
conclusa, si incorre in un’ipotesi di debito fuori bilancio
che introduce un elemento di imprevedibilità potenzialmente
idoneo a creare uno squilibrio nelle previsioni di spesa del
bilancio”
(Sez. reg. contr. Veneto, delibera n. 7/2008).
Pertanto “nel caso che l’importo
impegnato si riveli insufficiente, la differenza tra quanto
impegnato e quanto richiesto dalla controparte contrattuale
–a parte ogni considerazione sulla valutazione della
congruità della parcella, sulla effettiva realizzazione
delle attività fatturate e sulla corretta applicazione degli
scaglioni tariffari– costituisce debito fuori bilancio e
come tale deve essere riconosciuto dal Consiglio comunale,
ai sensi dell’art. 194 TUEL. Precisamente si tratta di
riconoscimento ai sensi della lettera e) del comma 1:
acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi
di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli
accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente,
nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e
servizi di competenza”
(Sez. reg. contr. Sardegna delibera n. 2/2007).
Entrambi gli orientamenti evidenziati hanno però una
base comune: ferma restando la necessità del rispetto delle
regole per il conferimento dell’incarico (determina a
contrarre, stipula del contratto, ecc.), in osservanza del
principi di prudenza, buona amministrazione, sana gestione
finanziaria l’Ente, nel caso di
conferimento di incarico legale, ha il dovere di acquisire
dall’avvocato un preventivo di massima che si avvicini il
più possibile alla spesa che sarà definitivamente sostenuta,
ciò al fine di quantificare correttamente l’impegno di spesa
necessario e predisporre adeguata copertura finanziaria. Ciò
pur in presenza di variabili, connaturali al tipo di
incarico in esame, che possono determinare incertezza sulla
quantificazione dell’impegno finanziario al momento
dell’ordinazione della prestazione ai sensi dell’art. 191
TUEL (lunghezza del giudizio, esito dello stesso, ecc.). In
tal modo si realizza una corretta imputazione di bilancio,
se pur non precisa nel suo ammontare definitivo, e si
salvaguarda la sana e prudente gestione finanziaria. Inoltre
si consente all’Ente, ad all’organo Consiliare, di valutare
correttamente l’utilità ed il vantaggio della prestazione
professionale.
Diversamente qualora la previsione iniziale
ed il relativo impegno siano non veritieri in quanto la
spesa preventivata si discosta in modo sensibile dalla spesa
effettivamente sostenuta (senza che ricorrano magari
situazioni eccezionali ed imprevedibili), si crea un
vulnus alla sana e prudente gestione finanziaria in
quanto, di fatto, la spesa per l’incarico legale si sottrae
alle ordinarie procedure di spesa determinando (o potendo
determinare) squilibri finanziari. In tale circostanza è
doveroso, rectius, obbligatorio ricorrere alla
procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio al fine
di ricondurre la spesa in esame all’interno della gestione
di bilancio individuando le risorse necessarie alla
copertura finanziaria, valutando l’utilità della prestazione
(lo scostamento significativo tra impegno iniziale e spesa
definitiva può anche essere sintomatico di un non corretto
ricorso all’incarico legale).
In tal senso sembrano concordare, implicitamente, entrambi
gli orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati.
Diverso appare il caso in cui l’impegno iniziale non si
discosti significativamente dalla spesa definitiva. Come
detto la tipologia di incarico si presta ad una
determinazione della spesa non puntuale. Ciò non toglie che
una quantificazione dell’esborso finanziario impegnato il
più vicino possibile al compenso realmente fatturato dal
professionista consenta di rispettare la sana e prudente
gestione finanziaria, ricorrendo ad adeguata copertura
finanziaria della spesa senza che la fattispecie in esame si
sottragga, di fatto, alla gestione di bilancio.
Nel caso di specie viene meno l’utilità della procedura di
cui all’art. 194 del TUEL in quanto non si è in presenza di
un’acquisizione di servizio in assenza di impegno contabile
(cosa di cui si potrebbe dubitare, come già detto, qualora
vi fosse uno scostamento significativo tra impegno iniziale
e compenso definitivo), l’utilità della prestazione è stata
già valutata al momento del conferimento dell’incarico se
affidato nel rispetto delle procedure di legge (determina a
contrarre, stipula del contratto, ecc.) ed, infine, ricorre
la copertura finanziaria in quanto sono già disponibili le
risorse destinate al pagamento del compenso professionale.
Pertanto ritiene questo Collegio che,
relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio
dell’Ente, qualora fatti successivi all’originario impegno
di spesa determinino un aumento della spesa prevista
inizialmente in termini non rilevanti ma “fisiologici”,
l’Ente potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale
integrando l’originario impegno di spesa per garantire la
copertura finanziaria della parcella professionale qualora,
verificata la congruità dell’impegno originario, siano già
disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e
l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel
rispetto delle procedure contabili. |
INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI:
INDAGINE CAMPIONARIA INCARICHI ESTERNI AFFIDATI
DAGLI ENTI LOCALI VENETI NEL TRIENNIO 2009–2011.
---------------
L'indagine della
Corte dei Conti del Veneto la possiamo definire un
utilissimo vademecum sul come, quando e perché affidare
legittimamente incarichi professionali/progettuali
all'esterno dell'Ente senza incappare nel possibile
risarcimento del danno circa il modus operandi non conforme
alla legge.
Buona lettura e, soprattutto, memorizzate ogni singola
parola ...
02.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
INDICE
SEZIONE I
PREMESSA E QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO |
§1. Quadro normativo di riferimento
§2. Affidamento di incarico, sana gestione e comportamenti
elusivi
§3. La distinzione con la fattispecie del contratto di
lavoro subordinato
§4. La distinzione con l’ appalto di servizi
§5. Presupposti e disciplina dell’affidamento di incarichi
esterni
5.1 Presupposti di legittimità di carattere sostanziale
5.1.1 Il preliminare accertamento dell'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo
interno
5.1.1.1 Le caratteristiche dell’accertamento
5.1.1.2 Il problema delle competenze specifiche e delle
funzioni ordinarie
5.1.1.3 La necessaria caratteristica oggettiva
dell’impossibilità
5.1.2 La corrispondenza della prestazione alle
competenze attribuite dall'ordinamento all’ente
5.1.3 La corrispondenza dell’oggetto della prestazione
ad obiettivi e progetti specifici e determinati
5.1.4 L’alta qualificazione della prestazione
5.1.5 La preventiva determinazione della durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione
5.1.5.1 Durata
5.1.5.2 Oggetto
5.1.5.3 Luogo
5.1.5.4 Compenso
5.1.5.5 Forma
5.2 Presupposti di legittimità di carattere procedimentale
5.2.1 L’obbligo di motivazione della determinazione (o
in generale del provvedimento) con cui viene affidato
l’incarico esterno
5.2.2 L’obbligo di effettuare una procedura comparativa
per la selezione dell’affidatario
5.2.3 La previa approvazione di un apposito regolamento
(art. 3, c. 56, L. 24-12-2007 n. 244, art. 89 del T.U.E.L)
5.2.4 Il vincolo quantitativo di spesa
5.2.5 I limiti di spesa stabiliti dalla legge
5.2.6 Il possibile superamento del limite di spesa
5.2.7 L’obbligo di pubblicazione sul sito web
5.2.8 Le novità introdotte dalla Legge 190/2012 e dal
D.Lgs. 33/2013
5.2.9 La valutazione dell’organo di revisione
5.2.10 Gli obblighi di comunicazione degli atti di
spesa susseguenti al conferimento di incarichi esterni
5.3 Conclusioni
§6. L’orientamento interpretativo
assunto dalla Sezione
§7. Tipologie di incarico
7.1 Contratti di studio, ricerca e consulenza
7.2 Collaborazione coordinata e continuativa
§8. Particolare tipologie di rapporti
8.1 Portavoce e Ufficio stampa
8.2 Direttore generale e dirigenti a contratto
8.3 Personale con incarichi all’interno dello staff di organi di
governo
8.4 Incarichi esterni a personale in quiescenza
8.5 L’incarico all’assistente sociale
8.6 L’incarico di responsabile del servizio prevenzione e
protezione ex D.Lgs. 09.04.2008, n. 81
8.7 L’affidamento al broker
8.8 L’affidamento degli incarichi legali
8.9 Servizi di formazione professionale |
SEZIONE II
ANALISI GENERALE DEI DATI RICEVUTI |
§9. Premessa metodologica
§10. Analisi generale dei dati pervenuti |
SEZIONE III
LE RISULTANZE DELL’INDAGINE: ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE |
§11. Le criticità rilevate. Premessa
§12. Criticità derivanti dalla distinzione del concetto di
lavoro subordinato con quello di affidamento di incarico
§13. Criticità generate da carenze o violazioni dei
presupposti dei contratti d’opera
§14. Criticità generate dalla distinzione tra la fattispecie
del contratto d’opera e quello di appalto di servizi
§15. Altre criticità |
SEZIONE IV
CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI OPERATIVI |
§16. Gli esiti collaborativi dell’indagine
§17. L’applicazione necessaria del principio di
concorsualità
§18. L’indispensabile utilizzo del controllo interno
successivo di regolarità amministrativa (art. 147-bis del
Tuel) (Corte
dei Conti, Sez. controllo Veneto,
deliberazione 11.06.2013 n. 146). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROFESSIONALI:
Sindaco in tribunale solo con l'ok della giunta.
La Cassazione interviene sulla
legittimazione a stare in giudizio.
Il sindaco di un comune può legittimamente stare in un
giudizio (civile, amministrativo e anche tributario) solo in
presenza di una delibera della giunta comunale che ne
autorizzi la rappresentanza processuale, laddove tale
delibera sia prevista nel regolamento o nello statuto del
comune.
Il sindaco del comune (o il presidente della provincia), ove
non sia prevista dal regolamento o dallo statuto alcuna
autorizzazione della giunta dell'ente locale, può comunque
stare in giudizio personalmente in quanto ha piena
legittimità processuale attiva.
La riflessione su tale
argomento ci viene suggerita dalla recentissima sentenza
07.06.2013 n. 14389 della Corte di Cassazione, emessa
ai fini di un contenzioso relativo ad un rimborso Ici
promosso da un contribuente, che aveva eccepito che la norma
dell'art. 50 Tuel, non consentisse al dirigente o al sindaco
di impugnare la sentenza di una commissione tributaria
provinciale in assenza di una delibera della giunta, in
quanto nel caso in esame, lo statuto comunale attribuiva
invece in via esclusiva alla giunta comunale la competenza
ad autorizzare il sindaco a stare in giudizio anche dinanzi
agli organi tributari.
In via generale, i giudici della
Cassazione hanno ritenuto che nel nuovo quadro delle
autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio
del comune, l'autorizzazione a essere parte della
controversia da parte della giunta comunale non costituisce
più, in linea generale, atto necessario ai fini della
proposizione o della resistenza all'azione. Occorre, però,
ad avviso della Cassazione, verificare se lo statuto
comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della
rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio («ex»
art. 6, comma 2, del Testo unico delle leggi
sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il dlgs 18.08.2000, n. 267) - preveda l'autorizzazione
della giunta, ovvero una preventiva determinazione del
competente dirigente. Se così fosse, per costituire
validamente la legittimazione a stare in giudizio in capo al
sindaco o al dirigente amministrativo, occorre una delibera
della giunta in tal senso.
Invece, in mancanza di una disposizione statutaria che la
preveda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte
della giunta municipale, non costituisce atto necessario ai
fini della promozione di azioni o della resistenza in
giudizio da parte del sindaco. Nel silenzio quindi del
regolamento o dello statuto dell'ente a tale riguardo, il
sindaco, infatti, sempre secondo la sentenza in commento,
trae la propria investitura direttamente dal corpo
elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di
legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel
quadro di un sistema costituzionale e normativo di
riferimento profondamente influenzato dalle modifiche
apportate al Titolo V della Costituzione dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001, nonché di quelle introdotte
dalla legge n. 131 del 2003 con ripercussioni anche
sull'impianto del Testo unico sugli enti locali.
Quest'ultimo, all'art. 50, infatti indica il sindaco quale
organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli
attribuisce la rappresentanza, in via generale, dell'ente
locale. Nel caso in esame, invece lo statuto del comune
indicava chiaramente che la giunta «autorizza il sindaco a
stare in giudizio come attore o come convenuto, dinanzi alla
magistratura ordinaria, amministrativa, agli organi
amministrativi o tributari, approva transazioni o rinuncia
alle liti».
Tale organo, quindi, effettua un processo di
valutazione sull'opportunità di costituirsi in giudizio
sulla base della tutela degli interessi pubblici alla
proposizione dell'azione (o alla resistenza alla lite) e la
sua delibera costituisce un atto necessario, secondo
l'espressa previsione statutaria, ai fini della
legittimazione processuale dell'organo investito della
rappresentanza. Al di fuori di tale autorizzazione, la parte
(ente locale) non può costituirsi in giudizio, né può
proseguire il contenzioso, in quanto appare priva del potere
di rappresentanza dello stesso ente locale, con tutte gli
effetti processuali che conseguono a questa carenza.
Per completezza si consideri che dal punto di vista
tributario, l'art. 11 del dlgs 546/1992, è relativo alla
capacità di stare in giudizio (legitimatio ad processum).
La disposizione, infatti, prevede al comma 3 dello stesso
art. 11, che «l'ente locale nei cui confronti è proposto il
ricorso sta in giudizio mediante l'organo di rappresentanza
previsto dal proprio ordinamento», con ciò rinviando alle
leggi speciali in materia di enti locali, appena rammentate.
Conseguentemente i giudici, in questo, come negli altri casi
citati nella giurisprudenza della Suprema corte, precedenti
che ormai rappresentano un andamento consolidato, hanno
accolto le ragioni del contribuente, condannando alle spese
di lite il comune resistente (articolo ItaliaOggi del
05.07.2013). |
maggio 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: La parcella vistata non è intangibile.
Avvocati. Il giudice può diminuirla.
Il visto di conformità dell'Ordine non è vincolante nel
procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo
sull'ammontare della parcella del legale.
Lo ha stabilito la
II Sez. civile della Corte di Cassazione con la
sentenza
31.05.2013 n. 13858.
La controversia riguardava la liquidazione delle spettanze
di un professionista che aveva patrocinato un comune laziale
davanti al Consiglio di Stato, compenso ridotto della metà
(circa 45mila euro), rispetto a quanto "vistato" dal
consiglio dell'ordine, in sede di opposizione al decreto
ingiuntivo da lui stesso richiesto, decisione poi confermata
dalla Corte d'appello di Roma.
Proprio questa Corte, nel
disattendere le conclusioni del professionista, aveva
stabilito che il parere dell'associazione professionale sul
quantum è vincolante soltanto per la pronuncia del decreto
ingiuntivo e non anche del giudizio di opposizione, e che in
questo contesto non è rilevante il fatto che il comune
avesse chiesto il parere per avviare la procedura di
liquidazione della parcella. A giudizio della Cassazione,
che ha avallato questa tesi, la richiesta di preventivo al
consiglio dell'ordine non perfeziona in alcun caso un
accordo contrattuale fuori e prima del giudizio, e meno
ancora rappresenta l'individuazione di un terzo super partes
cui rimettere la valutazione dell'ammontare della parcella.
Un ulteriore motivo di ricorso era relativo
all'individuazione del momento di cessazione dell'incarico
professionale, considerato che anche dopo la rinuncia al
mandato il legale aveva svolto altre attività di difesa,
compresa la partecipazione a un'udienza in regime di
prorogatio. In sostanza, secondo il professionista,
la rinuncia al mandato sarebbe una fattispecie a formazione
progressiva che si completerebbe solo con l'atto di nomina
di un nuovo difensore, «persistendo il dovere del
rinunciante a compiere atti nell'interesse della parte»
fino a quel momento.
Ma secondo la Cassazione la rinuncia al mandato è un atto a
effetto immediato anche se il difensore conserva, fino alla
sua sostituzione, la legittimazione a ricevere gli atti
indirizzati dalla controparte al suo assistito, e nulla più.
Quindi nel calcolo della parcella si potrò semmai tener
conto, secondo tariffe, della sola attività di ricezione
degli atti
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.06.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: AVVOCATI/
A breve al ministero della giustizia i nuovi parametri
elaborati dal Cnf.
Tutti i compensi in 40 tabelle.
Fino a 25 mila euro per l'intero giudizio in tribunale.
Tra i mille e i 25 mila euro. È il parametro per la
determinazione, da parte del giudice, del compenso di un
avvocato che segue il cliente dall'inizio alla fine in un
giudizio ordinario innanzi al tribunale, che varia a seconda
del valore della controversia: per una causa di un valore
medio tra i 5.200 e i 26 mila euro il cliente, in mancanza
di accordo, dovrà pagare l'avvocato che l'ha seguito in
tutte le fasi di giudizio circa 7.500 euro.
Sono i nuovi
parametri degli avvocati approvati dal Consiglio nazionale
forense (si veda ItaliaOggi del 7 maggio scorso). In tutto
40 tabelle che, allegate alla parte normativa, saranno
inviate a breve al ministro della giustizia, Anna Maria
Cancellieri, per il via libera definitivo. Dal giudice di
pace, alla Corte d'appello, all'arbitrato, si tratta di
valori tabellari ad hoc per ogni tipo di procedimento, di
cui dovrà tenere conto il giudice nel momento in cui liquida
il compenso dell'avvocato, in mancanza di accordo tra il
legale e il cliente. Da questi valori, si potrà discostare
in aumento fino al 70% e in diminuzione fino al 30%, tenendo
conto «delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio
dell'attività prestata».
Entriamo nel dettaglio delle
tabelle, considerando che riguardano il settore civile e
corrispondono ciascuna al tipo di procedimento (comprese la
materia stragiudiziale, la mediazione, le procedure
concorsuali, quelle arbitrali, i processi amministrativi e
tributari, i processi davanti alle giurisdizioni superiori).
Mentre una tabella riguarda il settore penale.
Giudice di pace.
Le tabelle elaborate dal Cnf sono suddivise in fasi e per
valore della controversia. Per quanto riguarda i giudici di
pace, le fasi sono cinque: studio della controversia, fase
introduttiva del giudizio, istruttoria o trattazione, fase
decisionale e compenso per prestazioni post decisione. Per
una causa del valore fino ai 1.100 euro, il compenso
dell'avvocato, considerando tutte le fasi di giudizio, sarà
di 550 euro. Mentre per una controversia di valore tra i
5.200 e i 26 mila euro sarà di 3.250 euro.
Tribunale.
I valori tabellari dei giudizi ordinari e sommari di
cognizione innanzi al tribunale, invece, sono suddivisi
sempre in cinque fasi ma in sei classi di valore. Si va di
circa mille euro previsti per una controversia fino ai 1.100
euro ai 25 mila per una causa seguita dalla A alla Z
dall'avvocato di valore tra i 260 mila e i 520 mila euro.
Giudizi di lavoro. Anche per i giudizi di lavoro le fasi
processuali sono cinque, mentre gli scaglioni sono sei. Per
un giudizio di valore medio, tra i 5.200 e i 26 mila euro,
il parametro del compenso dell'avvocato di cui dovrà tenere
conto il giudice, considerando tutte le fasi, è di otto mila
euro.
Giudizi di previdenza. Stessa suddivisione di fasi e valore
per i giudizi di previdenza, dove si va dai mille euro che
il giudice dovrà considerare come riferimento per il
compenso dell'avvocato che ha seguito tutte le fasi di una
causa fino ai 1.100 euro, ai 27.500 per una controversia che
invece va dai 260 mila ai 520 mila euro.
Corte d'appello. Per i giudizi innanzi alla Corte d'appello
i parametri per la definizione del compenso dell'avvocato
che dovrà pagare il cliente in caso di mancato accordo,
oscilla tra i mille euro per lo scaglione base considerando
tutte le fasi di giudizio, ai 29.500 euro per l'ultima
classe di valore. Per una controversia che invece va dai
5.200 ai 26 mila euro il valore derivante dalla somma di
tutte le fasi è pari a 8.700 euro.
Tar e Consiglio di stato. Per quanto riguarda il Tribunale
amministrativo regionale, invece, le fasi previste sono sei,
con in più la fase cautelare. Considerando anche in questo
caso lo scaglione base, il valore tabellare che dovrà tenere
in considerazione il giudice, sommando tutte le fasi, è pari
a 1.400 euro. Una causa di valore medio può costare invece
al cliente 8.900 euro. Stesso discorso per i giudizi innanzi
al Consiglio di stato, dove il compenso dell'avvocato che
segue la controversia in tutte le sue fasi di giudizio va
dai 1.200 euro per una causa rientrante nel primo scaglione
ai 24.600 euro per l'ultimo scaglione.
Arbitrato.
Per il collegio arbitrale, invece, il compenso è unico ed è
suddiviso in quattro scaglioni. Si va dai 6.400 euro per una
causa di valore fino ai 26 mila euro, ai 54 mila previsti
per l'ultimo scaglione che va dai 260 ai 520 mila euro
(articolo ItaliaOggi del 09.05.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Il Cnf ha approvato i parametri per la liquidazione delle
spese legali. La parola al mingiustizia.
Nuovi compensi per gli avvocati.
Sarà il valore della causa a determinare minimi e massimi.
Elaborati i nuovi parametri per i compensi degli avvocati.
Per il giudice, in mancanza di accordo tra legale e cliente,
saranno determinanti le caratteristiche, l'urgenza e il
pregio dell'attività prestata. Con tabelle dettagliate per
ogni tipo di giudizio, valore della controversia e fasi
dell'attività processuale.
È la bozza di decreto
ministeriale approvata dal Consiglio nazionale forense, in
base alla delega conferita dalla riforma forense (legge n.
247/2012), e che sarà inviata a giorni al ministero della
giustizia per il via libera definitivo, così da superare i
vecchi parametri stabiliti dal dm n. 140/2012.
Il meccanismo
per la determinazione del compenso si rifà a quello dei
minimi e massimi tariffari: per un giudizio ordinario
innanzi al tribunale si va, infatti, dai 190 euro previsti
per la fase di studio di una causa (del valore massimo di
1100 euro) ai 5000 euro (per la stessa attività prestata
però per una causa dal valore compreso fra i 260 e i 520
mila euro). Ma il giudice potrà discostarsi dai valori
tabellari. Vediamo nel dettaglio la proposta del Cnf,
presentata alla categoria nell'assemblea unitaria di sabato
scorso, 4 maggio.
La determinazione del compenso. L'articolo 5 riporta i
«criteri generali per la determinazione dei compensi». In
pratica, in caso di liquidazione del compenso dell'avvocato
da parte del giudice, in mancanza di accordo tra avvocato e
cliente, il giudice dovrà tenere conto «delle
caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività
prestata». Come l'importanza dell'opera, la natura e il
valore della pratica, la quantità delle attività compiute in
relazione alla posizione processuale e all'impulso
dell'azione, le condizioni soggettive del cliente, i
risultati conseguiti, il numero delle questioni trattate, i
contrasti giurisprudenziali, la quantità e il contenuto
della corrispondenza intrattenuta dall'avvocato con il
cliente e con gli altri soggetti nel corso della pratica. Il
giudice dovrà obbligatoriamente tenere conto dei parametri
di cui alle tabelle e, ove ricorressero i presupposti,
«nella liquidazione potrà motivatamente discostarsi in
aumento fino al 70% ovvero in diminuzione fino al 30%».
Le tabelle dei parametri riguardano il settore civile e
corrispondono ciascuna al tipo di procedimento (compresi la
materia stragiudiziale, la mediazione, le procedure
concorsuali, quelle arbitrali, i processi amministrativi e
tributari, i processi davanti alle giurisdizioni superiori).
Una tabella riguarda invece il penale.
La proposta del
Consiglio nazionale forense «supera il decreto Parametri
140/2012», si legge in una nota diffusa dal Cnf, «in
relazione non solo agli ingiustificati abbattimenti dei
compensi che giungono fino alla metà per le attività di
difesa previste dalla legge a carico dei legali, ma anche in
relazione a gravi lacune, peraltro puntualmente segnalate in
note inviate sin dalla predisposizione del decreto 140 al
ministero della giustizia»
(articolo ItaliaOggi del 07.05.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI Avvocati. Contro le Sezioni unite.
Il compenso segue sempre i parametri.
I compensi degli avvocati, dopo l'abrogazione delle vecchie
tariffe, devono essere sempre quantificati secondo i nuovi
parametri.
Lo ha stabilito il Tribunale per i minori di
Catania (ordinanza 10.04.2013) decidendo sull'opposizione
proposta dal difensore di un imputato ammesso al gratuito
patrocinio che chiedeva invece l'applicazione delle tariffe
perché aveva esaurito la sua attività nel 2010, prima della
loro abrogazione. Si levano dunque le prime voci di dissenso
dei giudici di merito dopo la decisione delle Sezioni unite
della Cassazione che, invece, lasciava spiragli
all'applicazione delle vecchie norme.
Le tariffe sono state cancellate dal decreto legge 1/2012
ma, nei casi di liquidazione del compenso da parte del
giudice, sono rimaste operanti fino a che il decreto
140/2012, emanato dal ministro della Giustizia, non ha
stabilito i nuovi parametri. In particolare, l'articolo 41
del decreto dispone che dal 23.08.2012 tutte le
liquidazioni dei compensi ai legali devono seguire le nuove
regole; ma le Sezioni unite, con la sentenza 17406/2012,
hanno escluso dagli effetti di questa norma i compensi per
le prestazioni concluse entro quella data, anche se
liquidate in seguito.
I giudici catanesi disattendono
consapevolmente l'orientamento della Cassazione sostenendo
che il decreto 140 ha ancorato l'operatività dei nuovi
parametri al momento della «liquidazione», ossia alla
decisione sulla determinazione del compenso, e non a quello
dell'effettuazione della «prestazione». Inoltre, la
conclusione del rapporto di prestazione d'opera avverrebbe
solo con la precisazione del corrispettivo; fino alla
liquidazione dell'onorario, il rapporto non esaurito
subirebbe gli effetti dei mutamenti normativi.
Ma i nodi da sciogliere nel passaggio dalle tariffe ai
parametri non si fermano qui. Come si deve comportare il
giudice d'appello che riforma una sentenza pronunciata
quando erano in vigore le tariffe professionali e che deve
regolamentare di nuovo le spese di primo grado? Sulla
risposta grava una non uniforme presa di posizione della
Cassazione: con la sentenza 5426/2005 ha affermato che «la
liquidazione degli onorari va riferita all'intera fase di
merito», mentre con la sentenza 17059/2007 ha invece
ritenuto che per la liquidazione degli onorari si deve avere
riguardo «ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e
quindi al momento della pronunzia che chiude ciascun grado».
Aderendo alla prima impostazione si dovrebbe tener conto,
per entrambi i gradi del giudizio, delle sole disposizioni
del decreto 140, mentre la sentenza del 2007 porterebbe a
concludere che le spese processuali vanno determinate in
base alla norme in vigore al momento della chiusura di ogni
grado. A favore di quest'ultima impostazione sembra essere
l'articolo 83, comma 2, del Dpr 115/2002, per il quale la
liquidazione dell'onorario dell'ausiliario del magistrato è
fatta al termine di ciascun grado del processo.
Appare ragionevole che il giudice proceda analogamente nel
liquidare le spese di lite. E dunque: ricorso alle tariffe
del 2004 per il primo grado, applicazione dei parametri del
2012 per l'appello (articolo Il Sole 24
Ore del 06.05.2013). |
aprile 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Ritiene questo Collegio che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero
professionista, avvocato esterno all’Amministrazione,
destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale,
questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione
dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il
2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del
d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20
del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del
codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art.
20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione).
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Con la richiamata nota
il Sindaco del Comune di Nocciano (PE) sottopone al parere
della scrivente Sezione diversi quesiti:
1. se al servizio di consulenza legale, consistente nella
redazione di pareri, in valutazioni, in espressione di
giudizi utili per orientare le scelte dell'amministrazione
su problematiche in materia amministrativa, civile o penale,
debba applicarsi la normativa di cui all'art. 7, comma 6 e
ss., del D.lgs 165/2001 o se invece debba applicarsi la
normativa di cui al D.lgs 263/2006, allegato 118 ed in
particolare quella sul cottimo fiduciario (art. 125, comma
11) mediante affidamento diretto;
2. se qualora la normativa applicabile risulti essere
quella sugli incarichi esterni, l'ente sia tenuto alla
liquidazione delle spettanze in favore del professionista e
debba successivamente, -posto che la norma statuisce che in
caso di omessa pubblicazione la liquidazione del
corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o
consulenza di cui al presente comma costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale del
dirigente preposto- attivare procedura di rivalsa nei
confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato
seguito ad un contratto inefficace, o se invece
l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18,
legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente
a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del
professionista che ha reso la propria prestazione
professionale sulla base di un contratto valido ma
inefficace.
In particolare, il Sindaco fa presente che,
• con delibera G.C. n. 29/2009 veniva affidato ad avvocato
il servizio di assistenza legale in merito a problematiche,
di diritto amministrativo, civile e penale, che non abbiano
assunto la forma di contenzioso, per 1 anno, al fine di
fornire un supporto sia agli amministratori che ai
funzionari, con la stessa delibera veniva approvato apposito
disciplinare di incarico;
• con successiva determina il responsabile competente
provvedeva ad assumere impegno di spesa per € 5.000 oltre
iva e cap;
• allo scadere del primo anno con delibera di G.C. n.
35/2010 veniva affidato, per un ulteriore anno, il servizio
di assistenza legale al medesimo professionista;
In ottemperanza a detto incarico il professionista forniva
la propria prestazione professionale rilasciando pareri sia
scritti che verbali sia su richiesta degli organi politici
che dei responsabili di servizio, per i periodi stabiliti e
richiedeva il pagamento del corrispettivo pattuito.
L'attuale responsabile, nell'eseguire l'istruttoria per la
liquidazione delle spettanze del prefato professionista, e
ritenendo applicabile alla fattispecie la normativa sugli
incarichi ad esterni, rileva quanto segue:
1. il conferimento dell'incarico in oggetto sembrerebbe
avvenuto in assenza di procedura comparativa in ossequio dei
principi di pubblicità, trasparenza e obiettività e comunque
senza confronto fra più curricula.
2. L'attività di cui è stato incaricato il professionista,
oggetto dell'incarico, non ha un contenuto dettagliato.
3. Non risulta adottata dall'ente una disciplina
regolamentare della materia ai sensi dei commi 55 e ss.
dell'art. 3 della Legge finanziaria 2008.
4. risulta una inosservanza dell'obbligo di pubblicazione
sul sito web del provvedimento di incarico, secondo quanto
stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007, in forza
del quale: "I contratti relativi a rapporti di consulenza
con le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, sono
efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del
nominativo del consulente, dell'oggetto dell'incarico e del
relativo compenso sul sito istituzionale
dell'amministrazione stipulante."
La norma in esame non specifica quando deve essere
pubblicato l'incarico sul sito internet, ma di fatto rende
inefficace un contratto che (pur giuridicamente valido) non
è stato ancora reso pubblico, tuttavia nel caso di specie
non è stato provveduto ad inserire sul proprio sito web
nominativo, oggetto e compenso previsto per l'incarico né
prima della stipula del disciplinare né dopo.
...
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n. 244
ha fissato regole di carattere procedimentale e sostanziale
alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il
conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di
ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei
all’amministrazione.
Il dato di maggiore rilievo della disciplina dettata dalla
legge finanziaria 2008 è, da una parte, l’obbligo di
normazione regolamentare dei limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di cui sopra nonché del tetto di
spesa annua, dall’altro la subordinazione del conferimento
dell’incarico e delle consulenze ad un documento
programmatico approvato dal Consiglio.
Le disposizioni operano su piani diversi.
Le norme regolamentari dettano una disciplina generale ed
astratta per l’affidamento dell’incarico, disciplina alla
quale deve uniformarsi ciascun provvedimento in concreto
adottato dall’amministrazione.
Il primo contenuto precettivo del comma 56 dell’art. 3 della
legge finanziaria per il 2008 è l’obbligo, posto in capo
all’ente locale, di dettare norme regolamentari compiute in
materia (debbono essere infatti fissati limiti, modalità e
criteri per l’affidamento dell’incarico o della consulenza).
Prima della emanazione del citato comma 56, art. 3, legge
244/2007 non
necessariamente l’ente locale era munito di una disciplina
regolamentare degli incarichi. E’ sufficiente ricordare in
proposito il quarto comma dell’art. 89 del T.U.E.L.
L’adozione delle norme regolamentari deve avvenire nel
rispetto delle competenze e delle procedure previste dal
T.U.E.L.
Va allora posta in evidenza l’autonomia statutaria degli
enti locali, con la conseguenza che lo statuto è il punto di
riferimento primario nell’adozione dei regolamenti, sia per
quanto riguarda la dislocazione delle competenze per la loro
emanazione, sia per quanto riguarda i principi ai quali deve
conformarsi il testo normativo.
In mancanza di norme statutarie derogatorie la competenza ad
adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene
alla Giunta, nel rispetto però dei criteri generali
stabiliti dal consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42,
secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.)
Altro punto di riferimento relativamente al contenuto delle
norme regolamentari sono i criteri generali fissati dal
Consiglio. Il testo del comma 56 citato sembra in ogni caso
presupporre la necessità di comunque rivalutare in sede
regolamentare la materia degli incarichi e delle consulenze
per stabilire più stringenti criteri ed in ogni caso il
limite massimo della spesa (complessiva).
Può, pertanto, affermarsi che, sia nella ipotesi in cui non
siano state precedentemente inserite nel regolamento di
organizzazione disposizioni sul conferimento di incarichi e
consulenze, sia nella ipotesi in cui sia necessario
modificare “in parte qua” detto regolamento, il
Consiglio comunale deve previamente fissare i criteri ai
quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme
regolamentari.
Le attività da regolamentare secondo le disposizioni
contenute nell’art. 3, commi 54-57, della legge finanziaria
per il 2008 riguardano una pluralità di ipotesi non
omogenee, in quanto la disciplina ivi prevista si applica
sia agli incarichi di collaborazione sia a quelli di studio
e ricerca, sia alle consulenze.
In particolare gli incarichi di collaborazione attengono a
due finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff
del sindaco o degli assessori ovvero supportare l’attività
degli ordinari uffici dell’ente. Le differenze non sono
irrilevanti.
Nella prima ipotesi gli incarichi di collaborazione possono
essere conferiti dal Sindaco o dagli assessori competenti “intuitu
personae” a soggetti che rispondono a determinati
requisiti di professionalità entro i limiti, anche di spesa,
secondo i criteri e con le modalità previste nel regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e fermo restando
il limite massimo di durata dell’incarico da conformarsi
alla permanenza in carica del soggetto competente.
Nella seconda ipotesi il discorso è più complesso.
Va innanzitutto ricordato che le norme regolamentari intese
a disciplinare detti incarichi debbono adeguarsi, in forza
dell’art. 34, comma 6-ter, della legge n. 248/2006 di
conversione del D.l. n. 223/2006, ai principi contenuti
nell’art. 32 della medesima legge, dettati a fini di
contenimento della spesa e del coordinamento della finanza
pubblica. La vicenda, peraltro, si inserisce nel più
complesso discorso della provvista di personale a tempo
determinato per lo svolgimento dell’attività dell’ente. Le
disposizioni regolamentari vanno, pertanto, coordinate con
le norme di cui all’art. 3, commi da 90 a 96, dell’art. 3
della legge finanziaria 2008.
In ogni caso qualsiasi contratto di lavoro a tempo
determinato o di collaborazione coordinata e continuativa
deve essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale in forza dei noti principi costituzionali, oltre
che delle specifiche disposizioni da ultimo richiamate
(cfr., sulla esigenza di rispettare i principi
costituzionali di organizzazione, la sentenza della Corte
Cost. n. 27 del 21.02.2008), senza far riferimento alle
soglie di ricorso alle procedure selettive previste in
materia di lavori pubblici, del tutto estranee alla materia.
L’organo competente a conferire l’incarico è il dirigente
preposto al settore, secondo il normale ordine delle
attribuzioni.
Più ampi sono gli adempimenti previsti per l’affidamento di
incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a
soggetti estranei all’amministrazione.
Infatti ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge
finanziaria per il 2008 “l’affidamento da parte degli
enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di
consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può
avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.”
La norma da ultimo citata comprende un’ampia tipologia di
documenti programmatici di competenza del Consiglio; di
conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono essere
previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che
scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità
di ricorrere all’incarico. La spesa prevista dovrà poi
essere inserita, concorrendo al limite massimo fissato nel
regolamento, nell’apposito stanziamento del bilancio
annuale. Va, peraltro, precisato che il limite massimo di
spesa indicato nel regolamento deve essere fissato
discrezionalmente dall’ente secondo criteri di razionalità e
rapportato alle dimensioni dell’ente con particolare
riguardo alla spesa per il personale.
Infatti, secondo giurisprudenza amministrativa consolidata
(cfr. Cons. di St., sez. IV, sentenza n. 263/2008)
l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca)
in linea generale si configura come contratto di prestazione
d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello
della locatio operis, rispetto al quale assume
rilevanza la personalità della prestazione resa
dall’esecutore. Concettualmente distinto rimane, pertanto,
l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione
imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con
organizzazione strutturata e prodotta senza
caratterizzazione personale. Ciò fatto salvo quanto disposto
dall’art. 91 D.Lgs. n. 163/2006 per gli incarichi di
progettazione.
Esemplificativamente
con riferimento all’incarico conferito
ad un libero professionista avvocato esterno
all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta
di una consulenza, studio o ricerca, destinata
sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto
alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di
previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge
finanziaria per il 2008.
La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione
di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la
disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra
indicata.
Peraltro, appare possibile ricondurre la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B
del D.Lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art.
20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme
del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto
art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione ecc.).
Va affermato che
il legislatore, positivizzando principi di
origine pretoria,
segnatamente della giurisprudenza contabile, all’art. 7 del
D.Lgs. n. 165/2001
ha indicato i presupposti essenziali per
il ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della
prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite
dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di
natura temporanea e altamente qualificata;
- devono essere
preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione.
Inoltre è previsto che le amministrazioni pubbliche
disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli
incarichi e che i regolamenti di cui all’art. 110, co. 6, del
D.Lgs. n. 267/2000 si adeguino ai principi suindicati.
Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di
spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il regime
di trasparenza degli stessi, attraverso l’obbligo della
pubblicità e dell’adeguata motivazione, ed il controllo sui
medesimi in capo agli organi interni e alla Corte dei conti
(L. n. 662/1996, D.l n. 168/2004, L. n. 311/2004, L. n.
266/2005).
Com’è noto
il D.L. n. 168/2004 ha distinto tre tipologie di
incarichi esterni: di studio, di ricerca, di consulenza.
La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib. n. 6
del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione:
per gli incarichi di studio il riferimento è all’art. 5 D.P.R. n.
338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione
scritta; gli incarichi di ricerca presuppongono
la preventiva definizione del programma da parte
dell’amministrazione; le consulenze si sostanziano nella
richiesta di un parere ad un esperto esterno.
Il tratto che accomuna le differenti tipologie è, secondo le
SS.RR., la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie
alla categoria del contratto di lavoro autonomo, più
precisamente il contratto di prestazione d’opera
intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.
Restano esclusi, quindi, da questo ambito i “rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa”, che, com’è noto,
rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro
autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro
subordinato (art. 409, n. 3 c.p.c.). Gli incarichi di
collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la
loro stessa natura, che prevede la continuità della
prestazione ed un potere di direzione dell’amministrazione,
in via concettuale apparirebbero incompatibili con gli
incarichi esterni, caratterizzati (di norma) dalla
temporaneità e dall’autonomia della prestazione.
Resta fermo peraltro, secondo le SS.RR., che, qualora un
atto rechi il nome di collaborazione coordinata e
continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella
categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di
consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa,
alla motivazione, ai controlli ed alle altre prescrizioni
imposte dalla normativa generale sugli incarichi esterni.
In particolare gli incarichi di studio possono essere
conferiti a soggetti particolarmente qualificati nella
materia. Essi debbono avere ad oggetto materie di interesse
del soggetto che li conferisce, avere durata certa e
concludersi con la presentazione di elaborati espositivi dei
risultati dello studio o della ricerca. Tutti questi
elementi debbono risultare dall’atto di
conferimento dell’incarico di studio, che regola il rapporto
tra soggetto conferente ed incaricato.
Il comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008
sottopone alla dettagliata disciplina regolamentare, oltre
che gli incarichi di “studio o di ricerca ovvero di
consulenze”, anche quelli di “collaborazione”.
Del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione del comma
56 risultano essere gli incarichi conferiti ex art. 90 del
TUEL (Uffici di supporto agli organi di direzione politica),
ossia le cosiddette “collaborazioni di staff”. Infatti
l’art. 90 TUEL fa espresso riferimento a dipendenti
dell’ente ovvero a “collaboratori assunti con contratto a
tempo determinato” (collocati, se dipendenti da una pubblica
amministrazione, in aspettativa senza assegni), cui si
applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del
personale degli enti locali e, quindi, a figure
professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di
lavoro subordinato.
Più complesso è il discorso relativo all’esatta
delimitazione delle cosiddette “collaborazioni coordinate e
continuative” (ex art. 409 n. 3 c.p.c.) e alla loro
distinzione rispetto agli incarichi di consulenza.
Costituisce ormai un principio condiviso (cfr. Corte dei
conti delib. SS.RR. n. 6/2005 nonché circolare Dip. Funz.
Pubbl. 15.03.2005) quello secondo cui dalla lettura
sistematica delle disposizioni delle leggi finanziarie più
recenti (cfr. legge n. 311/2004 finanziaria per il 2005 e
legge n. 266/2005 finanziaria per il 2006 le quali fissano
tetti di spesa separati per incarichi di consulenza e co.co.co., in particolare conglobando contratti a termine e
co.co.co. in un unico tetto di spesa) emerge l’intenzione
del legislatore di stabilire una linea di demarcazione tra
le collaborazioni ad alto contenuto professionale e le altre
“semplici”
collaborazioni coordinate e continuative. Le prime hanno ad
oggetto prestazioni implicanti un’alta specializzazione (non
rinvenibile nelle normali competenze del personale della
P.A.) e una correlativa attività lavorativa sostanzialmente
autonoma. Le altre co.co.co. sono state spesso utilizzate
negli ultimi anni (analogamente ai contratti di lavoro a
tempo determinato e a fronte dei tagli o blocchi delle
assunzioni di lavoratori subordinati nella P.A.) per
l’espletamento di prestazioni ordinarie non richiedenti un
elevato grado di autonomia organizzativa.
Pertanto, il criterio per distinguere le collaborazioni ad
alto contenuto professionale dalle semplici co.co.co. va
ravvisato in un canone di sostanzialità, in base al
contenuto della prestazione ed alle modalità di svolgimento
della stessa (cfr. anche Corte conti sez. giur. reg. Umbria
n. 447/2005).
Questa logica distintiva appare ancora attuale nell’impianto
della legge finanziaria per il 2008, ed anzi è portata
all’estreme conseguenze.
Da un lato l’utilizzo delle “ordinarie” co.co.co. appare
attualmente fortemente ristretto: la logica della legge
finanziaria per il 2008 è, infatti, quella di evitare il
formarsi di precariato nella P.A., anche attraverso un
rigido contenimento del lavoro flessibile (cfr. art. 3, comma
79), con la conseguenza che per l’espletamento delle
ordinarie attività amministrative varrà il principio
generale “dell’autosufficienza”.
Dall’altro lato, vengono ulteriormente fissati i limiti alle
collaborazioni esterne ad elevata professionalità
prevedendo, per queste ultime, gli adempimenti di cui ai
commi 53-57 dell’art. 3.
L’individuazione dell’alta professionalità risulta peraltro
subordinata al requisito della “particolare e comprovata
specializzazione universitaria” di cui al comma 76 dell’art.
3 della legge finanziaria per il 2008.
Le collaborazioni ad elevata professionalità, pertanto,
rientrano nell’ambito di applicazione del comma 56 dell’art.
3 legge finanziaria per il 2008 e quindi necessitano della
disciplina ad opera del regolamento dell’ente locale. Le
altre “semplici” co.co.co., al contrario, ne sono escluse;
peraltro l’utilizzo di quest’ultime non risulta conforme
alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è
quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro
parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività
amministrative ordinarie.
Conseguentemente,
ritiene questo Collegio, così come
previsto nelle “Linee di Indirizzo e criteri interpretativi
dell’art. 3, commi 54-57 della l. 244/2007 in materia di
regolamento degli enti locali per l’affidamento di incarichi
di collaborazione, studio, ricerca e consulenza” emanate
dalla Sezione Autonomie nell’Adunanza del 14.03.2008,
che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero
professionista, avvocato esterno all’Amministrazione,
destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale,
questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione
dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il
2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del
d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20
del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del
codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art.
20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione).
Per ciò che concerne la richiesta relativa al comportamento
del Comune ed in particolare se “l'ente sia tenuto alla
liquidazione delle spettanze in favore del professionista e
debba successivamente, attivare procedura di rivalsa nei
confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato
seguito ad un contratto inefficace, o se invece
l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18,
legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente
a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del
professionista che ha reso la propria prestazione
professionale sulla base di un contratto valido ma
inefficace” si ricorda che l’attività consultiva di cui
all’art. 7, comma 8, della Legge 131/2003, intestata alle
Sezioni regionali di controllo della Corte, non può
riferirsi a scelte o a comportamenti amministrativi
specifici, riconducibili all’ambito di esercizio della
discrezionalità amministrativa del singolo ente.
Nei documenti d’indirizzo sopra richiamati, viene infatti
precisato che possono rientrare nella funzione consultiva
della Corte dei Conti le sole “questioni volte ad ottenere
un esame da un punto di vista astratto e su temi di
carattere generale”, dovendo quindi ritenersi inammissibili
le richieste concernenti valutazioni su casi o atti
gestionali specifici.
Per questo motivo, il Collegio ritiene di
non poter effettuare una valutazione sulla correttezza del
comportamento dell’Ente per non incorrere nel coinvolgimento
diretto di questa Sezione nell’amministrazione attiva di
competenza dell’Ente interessato, non rientrante nei canoni
dalla funzione consultiva demandata alla Corte dei conti
(Corte dei Conti, Sez. controllo Abruzzo,
parere 30.04.2013
n. 25). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: Responsabilità degli amministratori locali per scelte
illegittime di agire in giudizio.
Il limite della insindacabilità non sussiste, e dunque non
può essere invocato dal presunto responsabile del danno,
allorché le scelte discrezionali, da cui sia derivato il
nocumento patrimoniale, siano contrarie alla legge o si
rivelino gravemente illogiche, arbitrarie, irrazionali o
contraddittorie, atteso che la predetta insindacabilità
concerne la valutazione delle scelte tra più comportamenti
legittimi attuati per il soddisfacimento dell’interesse
pubblico perseguito e non ricomprende, al contrario, le
scelte funzionalmente deviate rispetto al superiore e
basilare postulato del buon andamento dell’azione
amministrativa.
---------------
Il caso
La vicenda rimessa al vaglio dei giudici contabili trova
origine in una lite insorta tra un Comune piemontese e
un cittadino che ha contestato -con ricorso al Capo dello
Stato- la nomina a revisore contabile in favore di un terzo
professionista, sotto i profili del mancato ricorso alla
gara pubblica e del comportamento, a suo dire, ambiguo
di alcuni amministratori dell’Ente. In particolare, il
ricorrente
ha censurato -con gravi affermazioni- la procedura
di nomina, e ciò fino al punto da provocare un
certo risentimento del Sindaco.
Quest’ultimo, ritenutosi
offeso dalla espressioni utilizzate nell’atto introduttivo
del ‘‘contestatore’’, ha deciso -in accordo con la Giunta
dell’epoca- di depositare all’Autorità giudiziaria una
denuncia
per i reati di diffamazione e calunnia; parallelamente,
ha avviato un processo civile volto ad ottenere
una declaratoria di condanna al risarcimento dei danni
patiti per lesione di immagine dell’amministrazione.
Entrambi
i procedimenti, tuttavia, sono culminanti in un
nulla di fatto, le richieste del primo cittadino essendosi
imbattute nel rigetto del giudice penale (che ha disposto
l’archiviazione del caso), e di quello civile, che ha
ritenuto
prive di pregio tutte le pretese attrici.
Di contro, il dispendio di risorse pubbliche -l’Ente ha
conferito tre distinti mandati ad un legale esterno, per
una parcella complessiva di più di 8.000 euro- finalizzato
a dar fiato ad azioni giudiziarie risultate del tutto
infondate,
non è passato inosservato alla Procura Regionale
della Corte dei conti, la quale ha prontamente avviato
un procedimento per far valere la responsabilità
amministrativa
degli autori dello spreco. L’addebito mosso nei
confronti del Sindaco e degli altri componenti della
Giunta è stato quello di aver insistito arbitrariamente e
pretestuosamente alla coltivazione di azioni giudiziarie
che, già in principio, si sapevano poste in essere in
mancanza
di idonei presupposti, con l’evidente conseguenza
di aver generato un ingiustificabile danno erariale.
I convenuti, tra vari argomenti, hanno eccepito in loro
difesa la connaturata aleatorietà del giudizio in uno all’insindacabilità
piena della scelta discrezionale di intraprendere
o proseguire un’azione giudiziaria, in quanto
afferente alla sfera del merito amministrativo. E' sorta,
di conseguenza, la necessità, per i giudici contabili
investiti
della vicenda, di appurare l’ammissibilità e il perimetro
di un siffatto sindacato.
La soluzione
La Corte dei Conti, Sez. giurs. per la Regione Piemonte,
pronunciatasi con
sentenza 18.04.2013 n. 52, ha
rigettato la tesi della totale insindacabilità della scelta
degli amministratori pubblici di intraprendere un’azione
giudiziaria, per l’effetto condannando in parte qua i
convenuti al pagamento in favore del Comune della
somma sostenuta per i processi avviati pretestuosamente,
in virtù della provata sussistenza, nel caso di specie,
di tutti i profili di responsabilità
amministrativo-contabile.
Il raffronto tra costi e benefici con riferimento alla
molteplicità
dei processi, avviati dai convenuti in apparente
difesa dell’immagine dell’Ente, non lasciava alcun dubbio
-secondo i giudici- sulla diseconomicità della gestione,
complessivamente considerata, in violazione
del principio di buon andamento che, in virtù del dettato
dell’art. 97 Cost., deve ispirare ogni componente dell’agere
pubblico.
Nel merito della vicenda, peraltro, è stato escluso -in
linea
con quanto ritenuto dagli altri giudici chiamati a statuire
sul punto- il carattere offensivo delle dichiarazioni
contestate dai convenuti, e quindi la capacità stessa di
ledere l’immagine dell’amministrazione, anche tenuto
presente della (conclamata) fondatezza delle ragioni
che l’allora ricorrente faceva valere con i motivi di legittimità
contenuti nel ricorso. Ed anche a voler ritenere offensive
le affermazioni del ricorrente -hanno concluso i
giudici- le stesse avrebbero, in ogni caso, intaccato la
sfera personale del Sindaco e dei componenti della
Giunta (non essendo state rivolte direttamente all’Ente
civico) dal che l’assenza dei presupposti per agire in
giudizio
permaneva anche sotto il profilo soggettivo.
Problemi e prospettive
La pronuncia affronta il tema controverso soffermandosi, in
particolare, sui concetti di merito e discrezionalità,
valutati
in rapporto alla legittimità dell’azione amministrativa.
L’analisi muove, anzitutto, dalla dizione dell’art. 1, c. 1,
della legge n. 20/1994, secondo cui ‘‘la responsabilità
dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte
dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale
e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo
e colpa grave’’, con la precisazione che è fatta salva
‘‘l’insindacabilità nel merito’’ delle scelte discrezionali
operate dall’organo amministrativo.
La norma -secondo i giudici della Corte dei conti- non
estromette del tutto la possibilità che le scelte, pur
discrezionali,
siano sottoposte al sindacato giurisdizionale.
Invero, essa non eliderebbe il controllo sul rispetto dei
limiti interni ed esterni alla scelta.
Sotto il primo profilo, si osserva come l’azione
amministrativa
debba sempre collegarsi al perseguimento del fine
pubblico, rendendola, in questi termini, teleologicamente
orientata ai motivi per i quali è attribuito lo stesso
esercizio del potere.
Quanto ai limiti esterni, invece, il riferimento è alla legittimità
della azione, il che implica una digressione
sui parametri da rispettare affinché la scelta possa
ritenersi,
per l’appunto, legittima: ebbene, in virtù,
dell’evoluzione
normativa stratificatasi negli anni -la più alta
rappresentazione della procedimentalizzazione dell’agire
dell’amministrazione è rappresentata dalla legge. n.
241/1990- il legislatore ha aggiunto taluni essenziali
riferimenti
che attuano -non già in un’ottica meramente
programmatica, bensì precettiva- il canone costituzionale
del buon andamento di cui all’art. 97 Cost.; più
precisamente,
la legge sul procedimento amministrativo
prevede che le scelte dell’amministrazione, oltre che
imparziali
e trasparenti, siano improntate ai principi di economicità,
efficienza ed efficacia, in modo da garantire
un equilibrio tra i costi sostenuti e i benefici ottenuti.
Il precipitato di tale rafforzamento è quello per cui le
scelte che implichino un’apprezzabile sacrificio di risorse
pubbliche senza una contropartita violano non solo i
parametri di opportunità e convenienza, ma anche -e
soprattutto- parametri marcatamente legali.
Occorre altresì evidenziare come la verifica del rispetto
dei limiti esterni debba espletarsi ancor prima di quella
concernete i limiti interni. Di conseguenza, il giudice
chiamato a sindacare la scelta discrezionale
dell’amministrazione
nei limiti di quanto sopra detto dovrà, in primo
luogo, soffermarsi sull’economicità e, quindi, sulla
proporzionalità della misura adottata; laddove il primo
riscontro abbia esito positivo, è possibile appurare la
compatibilità della scelta operata al fine pubblico
indicato
dalla norma attributiva. Superato positivamente quest’ultimo
stadio di verifica, il sindacato del giudice deve
ritenersi esaurito, ed ogni ulteriore indagine intaccherebbe
inevitabilmente il merito della scelta, notoriamente
svincolato da parametri giuridici ed espressamente riservato
alla sola amministrazione.
Le coordinate sopra esposte implicano, dunque,
l’affermazione
di principio in forza del quale il limite della
insindacabilità
di cui al citato art. 1, c. 1, legge n. 20/1994
non può dirsi sussistente ove le scelte discrezionali da
cui è scaturito il nocumento patrimoniale siano in loro
contrarie
alla legge, o comunque ‘‘si rivelino gravemente illogiche,
arbitrarie, irrazionali o contraddittorie’’. L’insindacabilità
cui si riferisce la norma, infatti, attiene alla valutazione
di scelte tra più comportamenti legittimi ed attuati
per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito
(il sopra citato ‘‘merito’’); per cui ‘‘le scelte
funzionalmente
deviate rispetto al superiore e basilare postulato
del buon andamento dell’azione amministrativa’’ non
possono (e non devono) sfuggire al sindacato del giudice
contabile posto che in questi casi, si tratta pur sempre di
garantire la legittimità dell’azione amministrativa.
La ricostruzione svolta dalla Corte piemontese non
rappresenta,
peraltro, un caso isolato. Già in precedenza era
stato perimetrato il confine del sindacato giurisdizionale
del giudice contabile a fronte di scelte discrezionali
dell’amministrazione
poste in essere in spregio ai limiti interni
ed esterni previsti dall’ordinamento (tra le decisioni
degli organi di massima assise, si vedano, da ultimo,
Cass., Sez. Un., n. 4283/2013 nonché, nella giurisprudenza
contabile, Sez. Giur. Centr., n. 346/2008) (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Piemonte,
sentenza 18.04.2013 n. 52 -
commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 8-9/2013). |
marzo 2013 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI:
In caso di appello
proveniente da un organo di ente pubblico la leggibilità
della firma è del tutto irrilevante ai fini
dell’ammissibilità del gravame in quanto, fatti salvi i casi
di falso materiale, la certezza dell’attribuibilità del
gravame è specificamente garantita dall’apposizione dei
relativi timbri e dall’intestazione dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza
sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per
l’imputazione degli effetti giuridici del gravame.
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità
della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune
al difensore, non determina affatto l’invalidità della
procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro
tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio,
accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
---------------
A partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142,
recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete
esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al
difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna
necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza
processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla
legge all'organo monocratico.
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai
sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è
dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il
potere di conferire la procura al difensore senza che
occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da
parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la
richieda espressamente.
Contrariamente a quanto sostengono gli
appellati, in caso di appello proveniente da un organo di
ente pubblico la leggibilità della firma è del tutto
irrilevante ai fini dell’ammissibilità del gravame in
quanto, fatti salvi i casi di falso materiale, la certezza
dell’attribuibilità del gravame è specificamente garantita
dall’apposizione dei relativi timbri e dall’intestazione
dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza
sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per
l’imputazione degli effetti giuridici del gravame (cfr.
Consiglio Stato sez. V 21.04.2009 n. 2402).
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità
della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune
al difensore, non determina affatto l’invalidità della
procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro
tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio,
accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
--------------
Deve essere
rigettata anche l’eccezione concernente l’inammissibilità
dell’appello per mancata produzione dell’autorizzazione
della Giunta Municipale, prevista per evitare possibili
“abusi”.
A parte che, in materia di tutela dei propri interessi, è
comunque difficilmente comprensibile il riferimento agli
“abusi” di cui parlano gli appellati, si deve osservare che,
a partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142,
recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete
esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al
difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna
necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza
processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla
legge all'organo monocratico (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
V 11.05.2012 n. 2730).
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai
sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è
dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il
potere di conferire la procura al difensore senza che
occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da
parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la
richieda espressamente.
Di qui l’ammissibilità dell’appello sotto tale profilo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocato
e preventivo.
Domanda
Chiediamo conferma in seguito a dibattito nato tra colleghi
in studio: sussiste l'obbligo per l'avvocato di proporre
preventivo scritto al cliente?
Risposta
No, non esiste un obbligo generalizzato, ma solo laddove il
cliente ne faccia esplicita richiesta.
Come chiarito all'art. 13, comma 5 della legge 247/2012,
infatti, «il professionista è tenuto, nel rispetto del
principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il
livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le
informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento
del conferimento alla conclusione dell'incarico; a richiesta
è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che
conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura
del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese,
anche forfetarie, e compenso professionale» (articolo ItaliaOggi Sette
del 25.03.2013). |
febbraio 2013 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
A. Camarda,
Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi?
(Diritto e
pratica amministrativa n. 2/2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Se l'avvocato sbaglia niente compenso.
L'attività conta e deve garantire una chance di vittoria al
cliente. Lo ha stabilito la suprema
corte.
Avvocato pagato se garantisce almeno una chance di vittoria;
non ha diritto al compenso se ha svolto attività che si
rivelano a posteriori inutili per il cliente.
Con una sentenza rivoluzionaria e preoccupante per le toghe,
la cassazione stravolge l'impostazione tradizionale per cui
l'obbligazione professionale dell'avvocato non è
un'obbligazione di risultato: in altre parole l'avvocato ha
diritto ai suoi onorari anche se non può garantire un esito
favorevole all'attività svolta in favore del cliente. Ma la
Corte di Cassazione (sentenza 26.02.2013 n. 4781 della
III Sez. civile) comincia a ribaltare il filone
tradizionale e in un caso specifico non ha computato a
favore del legale il valore dell'attività compiuta,
considerato che la stessa si è dimostrata inutile agli
interessi del cliente.
La conseguenza che si profila è che il criterio dell'utilità
del cliente o almeno la chance di utilità per il cliente
possa diventare un criterio discriminante il diritto al
compenso, trasformando l'obbligazione dell'avvocato in una
obbligazione di risultato.
Ma vediamo di analizzare la pronuncia, che può destare un
certo allarme per i professionisti.
Nel caso specifico, i parenti di un uomo che ha perso la
vita in un sinistro stradale hanno deciso di far causa al
responsabile dell'incidente e alla sua assicurazione. Per
questo motivo, si sono rivolti ad un avvocato il quale, dopo
aver instaurato il processo, ha lasciato che questo venisse
dichiarato estinto, per non aver notificato l'atto di
citazione anche alla compagnia assicurativa, come pure
avrebbe dovuto fare. Ma non solo. L'avvocato si è pure
dimenticato di proporre appello contro la decisione che ha
dichiarato l'estinzione.
Ne è derivata una lite, questa volta iniziata dai clienti
contro gli eredi dell'ormai defunto avvocato per ottenere il
risarcimento dei danni patiti a seguito degli errori
commessi dal professionista.
Il tribunale civile ha dato ragione ai primi, condannando
gli eredi dell'avvocato a risarcire i danni per negligenza
professionale. Secondo il giudice, peraltro, gli errori
commessi dal legale erano stati tali da escludere in radice
ogni diritto al compenso per l'attività effettiva prestata,
posto che questa non aveva prodotto nessun effetto utile per
i clienti.
Nel giudizio di appello, pur essendo confermata la
responsabilità professionale del legale, la decisione è
stata riformata.
Secondo i giudici di secondo grado, infatti, l'unica colpa
dell'avvocato sarebbe stata quella di non aver impugnato la
decisione con la quale era stato dichiarato estinto il
processo. Al contrario, doveva essere salvata tutta
l'attività eseguita fino a quel momento: di conseguenza, si
è detto che al legale (o meglio, a suoi eredi) spettava
comunque il compenso per il mandato eseguito fino alla
pronuncia di estinzione del processo, da portare in
detrazione rispetto all'ammontare del risarcimento dovuto
per la mancata impugnazione.
L'ultima parola sulla vicenda è quella della corte di
cassazione, cui si sono rivolti i clienti del locale per
ottenere il ribaltamento della decisione della Corte
d'appello e la conferma di quella del tribunale.
Ai giudici romani è stata evidenziata l'erroneità della
sentenza contestata nella parte in cui in essa non si teneva
conto del fatto che i clienti del legale non avevano
ricevuto nessun vantaggio dall'attività prestata dal
secondo. L'aver dimenticato di notificare l'atto
introduttivo del processo alla compagnia assicuratrice,
infatti, aveva comportato la radicale inutilità del
processo, tanto che questo si era concluso con un nulla di
fatto. Da qui la richiesta di escludere l'obbligo di
corrispondere agli eredi del defunto avvocato qualsiasi
somma a titolo di compenso.
La Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulla questione, ha
accolto il ricorso presentato dai clienti escludendo il
diritto al compenso.
Nel dettaglio, gli ermellini hanno affermato che la mancata
impugnazione della decisione con la quale era stata
dichiarata l'estinzione della causa assunta in
rappresentanza dei clienti, aveva reso, di fatto, inutile
l'intero mandato conferito al professionista. Peraltro, si è
precisato, l'errore del legale risultava tale sia se
l'obbligazione professionale fosse intesa come obbligazioni
di risultato -quello di ottenere il risarcimento del danno
per la perdita del familiare a seguito del sinistro stradale- sia come obbligazioni di mezzi, dovendosi rimproverare al
professionista anche l'assenza della dovuta diligenza
nell'adempiere il suo incarico (articolo ItaliaOggi Sette del
22.04.201). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Le spese legali.
DOMANDA:
Lo scrivente ente
ha conferito incarico di patrocino legale ad un avvocato,
determinando preventivamente, con apposito disciplinare
sottoscritto tra le parti, modalità di svolgimento
dell’incarico ed entità del compenso da riconoscersi a
conclusione del procedimento giudiziario.
Con sentenza favorevole il giudice ha accolto l’appello
incidentale del Comune condannando la controparte al
pagamento delle spese processuali a favore dell’ente, e
quantificandole in un importo superiore a quello
inizialmente pattuito tra ente e legale.
Poiché l’avvocato ha chiesto il ristoro a proprio favore
dell’intero importo liquidato dal giudice, si chiede se tale
richiesta possa essere legittimamente accolta, ovvero se al
legale debbano essere liquidate le sole spettanze pattuite
al momento del conferimento dell’incarico.
RISPOSTA:
La Sezione delle
Autonomie della Corte dei Conti, con
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008,
ha effettuato una chiara distinzione tra l’ipotesi della
richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata
sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto a
quella della rappresentanza e del patrocinio giudiziale,
applicandosi alla prima ipotesi, ma non alla seconda, la
normativa in materia di incarichi di cui al D.Lgs. n.
165/2001 (a norma della quale il compenso è quello pattuito
nella lettera di incarico).
Come rileva la stessa Sezione delle Autonomie con la citata
delibera, concettualmente distinto rimane il patrocinio
giudiziale, disciplinato dalle norme del codice di rito e da
quelle che disciplinano la professione forense. E' utile
ricordare che il D.M. 140/2012 ha abolito le tariffe forensi
e regolato la disciplina del contratto tra cliente e
avvocato. Il compenso va determinato per iscritto in una
apposita scrittura privata, che segue il preventivo di
massima.
Il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei
rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del
compenso da parte del giudice, e può rappresentare un punto
di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale,
delle spese di soccombenza. A quest’ultimo proposito va
ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da
produrre al giudice, è opportuno produrre copia del
contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il
giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto
del livello del compenso pattuito documentato con il
contratto stesso.
Il modello di contratto ricavabile dal decreto ministeriale
stabilisce -nel caso in cui, all’esito della causa, il
giudice riconosca alla parte vittoriosa il recupero delle
spese legali in misura inferiore a quella pattuita dal
cliente con il proprio legale- la prevalenza dell’accordo
rispetto alla liquidazione del giudice: in questo caso, la
parte eccedente rimane a carico del cliente.
Al contrario, e per quanto interessa nel caso di specie, se
il giudice dovesse liquidare a carico della controparte una
soccombenza più alta rispetto a quanto pattuito nel
contratto di patrocinio, il modello di contratto attribuisce
all’avvocato il maggiore importo stabilito dal Giudice (27.02.2013
- tratto da www.ancirisponde.ancitel.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Dall’esame del Regolamento comunale di organizzazione
degli uffici e dei servizi, relativo al conferimento di
incarichi a soggetti esterni, adottato dal Comune di
Arconate (Mi), la Corte dei conti
Sezione regionale di controllo per la Lombardia accerta la
parziale difformità del citato atto dai criteri enunciati
dalla Sezione con le delibere 37/2008, 224/2008 e 37/2009/INPR.
La criticità rilevata dalla Sezione si pone
in contrasto con la necessità di garantire adeguata
pubblicità alla procedura comparativa, così come previsto
dalla legge (art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001): nel
dettaglio, l’art. 6 permette il conferimento di incarichi,
del valore non superiore a 10mila euro, mediante mera
valutazione dei requisiti in possesso dei professionisti
iscritti in predeterminate liste di accreditamento,
formate ai sensi del successivo art. 9. Come invece
evidenziato dalla giurisprudenza della Sezione,
il conferimento dell’incarico deve essere sempre
preceduto da procedure comparative adeguatamente
pubblicizzate (né è possibile richiamare, per analogia, la
disciplina in tema di affidamento diretto, posta dal D.Lgs.
n. 163/2006, per gli appalti di lavori, servizi e
forniture).
Può prescindersi dalla previa effettuazione
di adeguate forme di pubblicità, solo in circostanze
particolari, esemplificate nelle sopra richiamate delibere.
Di conseguenza, ove per la limitatezza dell’importo,
l’Amministrazione ritenga di procedere mediante la
valutazione dei requisiti e dei curriculum di professionisti
preventivamente iscritti in liste di accreditamento, la
formazione di queste ultime deve necessariamente essere
rispettosa dei principi di adeguata pubblicità, con
conseguente formazione e aggiornamento almeno annuale.
Non pare inoltre possibile prescindere,
anche nell’ipotesi di incarichi inferiori ai 10mila euro,
dall’invito di un numero congruo di concorrenti.
La Sezione dispone pertanto che la presente deliberazione
sia trasmessa al Sindaco e al Presidente del Consiglio
comunale del Comune di Arconate, al fine di procedere alle
necessarie integrazioni e modifiche del predetto
Regolamento.
---------------
La legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n.
244), nel dettare le regole alle quali gli enti locali
debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di
collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di
consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha
previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente
locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla
competente Sezione regionale della Corte dei conti entro
trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di
modifiche future ai testi già approvati).
Questa Sezione ha individuato, con il
parere 11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224,
i criteri interpretativi della normativa al fine di
stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti,
parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in
cui si sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli
enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni
regolamentari inerenti gli incarichi di collaborazione
esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato
testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è
subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è
chiamata ad effettuare un controllo preventivo di
legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è
da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze
tipiche della magistratura contabile.
Al riguardo, necessario punto di partenza è la
considerazione che la funzione principale delle Sezioni
regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è
l’esercizio di un controllo di natura “collaborativa”
nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto
la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi
competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale
rinvenibile, in base ad una lettura adeguatrice, rispetto al
nuovo assetto della Repubblica, delle norme originariamente
dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo
comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte cost. n.
179/2007).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei
conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non
può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo
svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla
Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11
del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto
strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della
Sezione regionale. Questa forma di controllo è ascrivibile
alla categoria del riesame di legalità e regolarità,
dovendosi assumere a parametro delle disposizioni
regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di
settore (in particolare l’art. 7 del d.lgs n. 165/2001 e
l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000), oltre ad ogni altra
disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di
natura finanziaria, riferite a questa materia.
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali
siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale,
ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di
controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti
locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e
regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste
dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005)
anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n.
244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non
più statica (come era il tradizionale controllo di legalità)
ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e
parametro normativo all’adozione di misure correttive.
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato, in una
tipologia di controllo di natura collaborativa, può essere
individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato
dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005 (ora
abrogato dall’art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 174/2012,
convertito con legge n. 213/2013 e sostituito dal nuovo art.
148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del citato d.l. n.
174/2012), norma che prevede specifiche pronunce da
indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso
l’adozione delle necessarie misure correttive, nonché la
vigilanza sull’effettiva adozione delle misure stesse.
Con il
parere
11.02.2009 n.
37 la Sezione ha
stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei
regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento
di incarichi di collaborazione e consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato le proprie precedenti deliberazioni
nn. 37/2008 e 224/2008 ed individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57,
della legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione
regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento
degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché
di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La
competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei
servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri
generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e
art. 42, secondo comma, lett. A del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n.
133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad
alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e
consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati
dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi
presupposti li distinguono dalle collaborazioni “normali”,
il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni
ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione “particolare e comprovata
specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già
chiarito, con il
parere
12.05.2008 n. 28 ed
il
parere
12.05.2008 n. 29,
che con essa si intende il possesso di conoscenze
specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con
un percorso formativo di tipo universitario, basato su
conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione
richiesta, per essere “comprovata”, deve essere
oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di
documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli
non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle
richieste capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001
richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti
già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il
ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In
particolare, quello della corrispondenza della prestazione
alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente comporta che si possa
ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento
alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che
previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’art. 42 del d.lgs n. 267/2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del d.l. 112/2008 ha eliminato
l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo
di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del
limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto
necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza
di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo
limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si
richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della
deliberazione di questa Sezione n. 37/2008 dell'11.03.2008
sull’inapplicabilità della disciplina a materia già
autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico
professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da
procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente
pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se,
ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto
dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno
riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti
pubblici, d.lgs. n. 163/2006.
Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di
lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso
a detti criteri. Deve invece affermarsi che il ricorso a
procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può
prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come
per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi
costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della
Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della
prestazione, durata, modalità di determinazione del
corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del
raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di
proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il
ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata
motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10) nel regolamento deve essere espressamente precisato che
le società partecipate debbono osservare i principi e gli
obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono,
nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla
relativa osservanza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 19.02.2013 n. 59). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Transazioni, parcelle variabili.
L'indeterminatezza dovuta a due posizioni contrastanti.
La Cassazione spinge verso il basso gli onorari; il dm
parametri invece li eleva.
Pendolo dei compensi degli avvocati a seguito di accordo
bonario. Si abbassa il valore dello scaglione che serve per
determinare il compenso, anche se l'esito conciliativo può
portare a un aumento.
L'altalena degli onorari è sospinta verso il basso da una
sentenza della Corte di Cassazione (sentenza 14.02.2013 n. 3660) e contemporaneamente verso l'alto dal decreto
sui parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi
(dm 140/2012).
Secondo la sentenza della Cassazione, in una lite conclusasi
con transazione, non c'è un vincitore e non c'è un perdente:
ci sono due parti sullo stesso piano che si sono fatte
reciproche concessioni. Conseguentemente nella
determinazione degli onorari dell'avvocato la determinazione
del valore della causa va compiuta conteggiando alla somma
effettivamente corrisposta, e non a quella originariamente
richiesta.
Le somme indicate nelle citazioni e nei ricorsi sono
superate dalle successive transazioni e non possono
costituire il parametro di riferimento circa la
determinazione del valore del giudizio. Per la cassazione si
deve ritenere più razionale e congruo tenere conto della
diversa somma accettata in sede di transazione.
Stessa regola è stata dettata dalla Cassazione in un caso
analogo: in tema di liquidazione degli onorari professionali
a favore dell'avvocato, il principio generale secondo cui il
valore della causa si determina in base alle norme del
codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto della
domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un
limite alla sua applicabilità nei casi in cui, ai momento
dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare
la quantificazione; ad esempio nelle controversie per
risarcimento danni, per le quali, il più delle volte, la
domanda di condanna è formulata con riserva di
quantificazione in corso di giudizio.
Se si deve prendere a riferimento il valore della
transazione finale, e non quello più alto della domanda
iniziale, è evidente che la liquidazione giudiziale dei
compensi subisce una decurtazione.
Quindi il livello degli onorari va verso il basso.
Quasi a compensare, va, però, sottolineato che, ai sensi del
decreto ministeriale 140/2012, «quando l'affare si conclude
con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40%
rispetto a quello altrimenti liquidabile». Quindi seppure
nel scaglione relativo a un valore ridotto, il compenso può
essere liquidato dal giudice computando l'incremento fino al
40%.
Il valore percentuale è un valore massimo e quindi potrebbe
anche essere contenuto nei minimi termini.
Naturalmente le regole che si stanno illustrando riguardano
i casi in cui l'onorario non sia stato predeterminato nel
contratto tra avvocato e cliente.
La regola, nei rapporti reciproci, infatti è quella del
libero mercato. A questo proposito è meglio che il legale e
il proprio assistito prevedano nel contratto di incarico
professionale una apposita clausola.
Seguendo le indicazioni del Consiglio nazionale forense, si
può pensare a una clausola come la seguente: «In caso di
accordo transattivo, oltre al compenso per l'attività
effettivamente svolta, si concorda una somma pari a euro
...».
Anche per questo aspetto, l'abbandono del sistema tariffario
affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare il
compenso.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il
professionista a stendere il contratto vincolante per il
cliente: il contratto stipulato e accettato e, quindi, la
clausola sui compensi in caso di transazione è vincolante
anche per il magistrato.
L'articolo 1 del decreto 140/2012 prevede, infatti, che
l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei
professionisti applica i parametri, ma solo in difetto di
accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso. Questo
significa che il giudice deve valutare innanzitutto se sia
stato stipulato un contratto valido tra le parti; in questo
caso deve applicare il contratto e non può passare alla
applicazione dei parametri.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità
giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto
140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il
giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo
luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia
tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Le cose non cambiano con la legge di riforma della
professione forense (legge 247/2012) che stabilisce la
regola per cui il compenso spettante al professionista è
pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento
dell'incarico professionale e che la pattuizione dei
compensi è libera.
Solo nel caso in cui il compenso non sia stato determinato
dalle parti in forma scritta si applicheranno i parametri
che dovranno essere fissati nel decreto emanato dal ministro
della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale
forense, ogni due anni. Si ricorda, infine, un'altra regola
prevista dalla legge di riforma forense in caso di accordo
tra i litiganti: quando una controversia oggetto di
procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante
accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente
tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese
a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro
attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino
ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della
solidarietà (articolo ItaliaOggi Sette
del 22.04.2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Onorari
avvocato in base al valore reale della causa.
Ai fini della liquidazione degli onorari di un avvocato, la
determinazione del valore della causa va compiuta avendo
riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a
quella originariamente richiesta: per i giudici della III
Sez. civile della Corte di Cassazione nell'ipotesi in cui la lite si sia conclusa
con una transazione, a nulla rileva che il pagamento sia a
carico del cliente o dell'avversario «poiché per la
sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non
è né vincitrice né perdente».
È vero –si legge nella
sentenza
14.02.2013 n. 3660– che secondo
quanto stabilito dalla legge 794/1942 esiste «una netta
distinzione tra la posizione della “parte soccombente» e
quella “del cliente”» rafforzata dal richiamo contenuto
nell'art. 5; ma tale principio troverebbe un ulteriore
condizionamento nella posizione processuale che le parti
assumono all'esito dell'emanazione di un provvedimento
decisorio (es.: una sentenza). Nel caso di specie, invece,
vi era stata una transazione per cui non era dato
individuare né un vincitore né un soccombente.
Nel rigettare il ricorso presentato dal legale, secondo il
quale il parametro di riferimento per la liquidazione delle
spettanze professionali andava calcolato sulla base di
quanto richiesto al momento della domanda e non di quello,
successivo, dell'intervenuta transazione, gli ermellini
hanno, dunque, chiarito che «il principio generale secondo
cui il valore della causa si determina in base alle norme
del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto
della domanda considerato al momento iniziale della lite
trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al
momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile
indicare il quantum –ciò verificandosi, in genere, nelle
controversie per risarcimento danni, ove, il più delle
volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di
quantificazione in corso di giudizio–, rendendosi in tale
ipotesi, ai fini de quibus, il riferimento al valore
definito e, quindi, al quantum stabilito dalle parti in
altro modo –eventualmente come nella specie con transazione–
sicché in definitiva il valore della causa viene ad essere
determinato sulla base del predetto importo»
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013). |
gennaio 2013 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI: Avvocati,
le spese generali tornano in parcella.
Ok del cds alle correzioni dei parametri giudiziali.
Torna il rimborso delle spese generali nelle parcelle degli
avvocati, che hanno diritto a un compenso specifico per la
attività investigativa.
Lo prevede lo schema di decreto
correttivo del decreto 140/2012 sui parametri giudiziali sui
compensi professionali, su cui il Consiglio di Stato ha dato
il suo parere 18.01.2013 n. 161, con alcuni rilievi
critici: secondo Palazzo Spada rischia di essere intaccato
il principio di omnicomprensività del compenso. Ma vediamo
le modifiche più significative.
Spese forfettarie. Con la prima modifica si prevede che al
compenso sia aggiunto un importo per spese forfettarie di
studio, calcolato in misura compresa tra il 10 e il 20%. Per
gli avvocati la vecchia tariffa prevedeva un rimborso spese
forfetario del 12,5%.
Stragiudiziale. Per l'attività stragiudiziale degli avvocati
viene previsto un compenso forfettizzato quantificato in una
percentuale calcolata tra il 5 e il 20% del valore
dell'affare. Viene, inoltre, aggiunta una disposizione, che
prevede l'aumento del compenso fino ad un terzo in favore
dell'avvocato che assiste una parte nel procedimento di
mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010.
Difesa di più persone. Il decreto correttivo stabilisce che
l'aumento fino al doppio del compenso spettante
all'avvocato, che difende più persone con la medesima
posizione processuale, è sostituito dalla introduzione di un
incremento fino al triplo di tale compenso.
Riduzione patrocinio stato. Viene stabilita la soppressione
della possibile riduzione a metà del compenso spettante
all'avvocato che presta la sua assistenza a soggetti ammessi
al patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale.
Manifesta ragione. Con una nuova disposizione si introduce
la «soccombenza qualificata»: la norma prevede un aumento
del compenso liquidato a carico della parte soccombente
quando le difese della parte vittoriosa siano risultate
manifestamente fondate.
Due nuovi scaglioni. Una ulteriore modifica introduce due
ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5 milioni,
l'altro oltre euro 5 milioni. Inoltre è disposto un
incremento, tra il 30% e il 50%, dei parametri per il
procedimento di ingiunzione e per il precetto.
Investigazione. Per l'attività giudiziale penale lo schema
introduce una nuova fase che si aggiunge alle altre: quella
della investigazione.
Voci. Nel settore civile si introduce la voce «studio» per
la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare: la voce,
inserita con riferimento a ogni scaglione, contiene valori
corrispondenti al 35-50% degli importi previsti per la voce
«procedimento».
Minorenne.
Viene soppressa la possibilità della riduzione alla metà del
compenso dell'avvocato che assiste d'ufficio un minorenne
(articolo ItaliaOggi del 19.01.2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: La
Cassazione sulle prestazioni legali. La nota spese è
rettificabile
La nota spese inviata dall'avvocato non è vincolante per il
professionista che ne può spedire una di importo molto
superiore se il cliente non l'ha accettata.
Lo ha stabilito
la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza
18.01.2013 n. 1284.
La seconda sezione civile ha dato ragione a un
professionista che, dopo aver seguito una causa ereditaria,
aveva inviato una prima parcella. E in un secondo momento ne
aveva spedita un'altra di importo quasi raddoppiato. La
cliente non aveva pagato tanto che il legale aveva ottenuto
un decreto ingiuntivo per la liquidazione del compenso. La
signora si era opposta ma senza successo.
Ora la Cassazione
ha reso definitivo il verdetto pro-professionista. La Corte
territoriale ha disatteso la tesi della difesa che
rivendicava la vincolatività, per il professionista, della
prima richiesta di parcella sulla base del rilievo che
questa, che equivaleva ad una proposta, ex art. 1344 cod.
civ., non essendo mai stata accettata dalla cliente, poteva
essere validamente revocata dal legale.
Non solo. I giudici
di secondo grado hanno aggiunto che il professionista aveva
validamente giustificato l'invio della seconda richiesta per
essere stata la prima erroneamente calcolata al di sotto dei
parametri tabellari, avendo applicato lo scaglione della
tariffa professionale corrispondente al valore della quota
della cliente invece che a quello dell'asse ereditario,
errore che la Corte ha considerato effettivamente esistente,
dal momento che il legale si era occupato direttamente della
stessa individuazione della massa ereditaria. Ecco perché
per la Cassazione la motivazione della decisione impugnata
appare esauriente e logicamente coerente tra le sue premesse
e conclusioni, esponendo in modo adeguato e congruo le
ragioni per cui il giudice ha ritenuto che la prima parcella
non vincolasse il professionista.
Insomma ora la signora non ha più chance e dovrà pagare al
professionista gli 80 mila euro che questo le ha chiesto con
la seconda nota spese invece dei 42mila sollecitati con la
prima parcella. Anche la Procura generale di Piazza Cavour
ha sollecitato in aula il rigetto del ricorso della cliente
(articolo ItaliaOggi del 22.01.2013
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Fuori giurisdizione il consiglio dell'Ordine degli avvocati.
La sezione del Friuli sulla
responsabilità erariale per una questione di parcelle. Corte conti se ne lava le mani.
Esula dalla giurisdizione della Corte dei conti il giudizio
di responsabilità erariale promosso nei confronti dei membri
di un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, per un parere di
congruità espresso su parcelle professionali relative al
rimborso di spese legali nei confronti degli amministratori
degli Enti locali.
Lo ha precisato la stessa Corte dei Conti, Sez. Giur.
Regione Friuli-Venezia Giulia con la
sentenza 17.01.2013 n. 2.
Nel caso in esame l'ipotesi di danno erariale sottoposta al
giudizio della Corte si fondava sul parere favorevole
rilasciato dai componenti del Consiglio dell'Ordine degli
avvocati di Gorizia, alla liquidazione delle parcelle dei
difensori del Sindaco e dell'Assessore di Cormons (Go),
nella parte in cui prevedevano l'aumento del triplo degli
onorari in considerazione della particolare complessità e
gravità della causa e dell'esito ottenuto.
La Procura Regionale aveva ritenuto sussistente la
giurisdizione della Corte dei conti ipotizzando
«l'interposizione di un ente pubblico non economico nel
processo di attuazione dell'attività amministrativa».
Da tutti i convenuti era stata sollevata l'eccezione di
difetto di giurisdizione.
L'eccezione è fondata. Secondo il Collegio non sussiste
alcun rapporto funzionale tra l'ente locale e il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Gorizia cui sono stati
sottoposti i preavvisi di parcella: al momento della
richiesta di parere dell'Ordine, infatti, (ovvero nel 2006)
non esisteva ancora l'obbligatorietà del visto dell'Ordine
degli Avvocati sulla richiesta di rimborso delle spese
legali da parte degli amministratori degli enti locali, poi
introdotta con la lr n. 9/2008.
Solo l'art. 12, comma 30, lett. b), L. reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 9/2008, novellando l'art. 151 della L. reg. n.
53/1981, ha di fatto equiparato gli amministratori locali ai
regionali, introducendo il visto di congruità dell'Ordine
professionale quale garanzia di equo rimborso per chi è
stato coinvolto in un «_ giudizio civile, penale o
amministrativo di qualsiasi tipo_» per tutelare la
continuità e la serenità dell'amministrazione attiva; quindi
solamente con la L. reg. n. 9/2008, che ne ha imposto
l'obbligatorietà, può ritenersi instaurato un rapporto
diretto e funzionale tra l'ente locale e il Consiglio
dell'Ordine che presenta il parere di congruità, rendendo
effettivo il rapporto di servizio necessario per ipotizzare
l'eventuale responsabilità amministrativa dei componenti
dell'organo di vertice del Consiglio professionale
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
dicembre 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
R. Patumi,
L’attribuzione degli incarichi professionali
esterni da parte degli enti locali (Istituzioni
del Federalismo n. 4/2012 - tratto da
www.regione.emilia-romagna.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Riforma
forense. Compensi senza limiti massimi.
Il preventivo dell'avvocato solo su richiesta del cliente.
ACCORDI/
Il patto di quota lite resta possibile ma il professionista
non può ricevere parte del bene oggetto della causa.
La legge professionale degli avvocati tende ad eliminare le
asimmetrie informative, cioè le incertezze, le difficoltà di
orientamento del cliente. La scelta del professionista deve
poter avvenire anche sulla base di una comparazione tra
compensi, cioè circa i costi della prestazione, che in ogni
caso è “obbligazione di mezzo”. L'avvocato cioè mette a
disposizione i mezzi per raggiungere un risultato, non
garantisce il risultato stesso. Solo in modo indiretto, e
appunto in tema di compensi, vi può essere un impegno del
legale a raggiungere il risultato, ancorando la retribuzione
al vantaggio concreto del cliente (patto di quota lite).
Procedendo con ordine, nell'ottica dell'utente, si possono
prevede situazioni di prestazione gratuita (articolo 13), ad
esempio per condivisione di interessi, partecipazione a
comuni ideali o per valutazione della notorietà che può
derivare al professionista dalla controversia. L'avvocato
infatti può esercitare l'attività anche a proprio favore,
traendo un vantaggio anche indiretto, ad esempio nel caso di
partecipazione all'affare (difendendo propri interessi in
una lite condominiale, tra soci, tra parenti), a differenza
di altre professioni, in cui è presente anche una funzione
di garanzia per i terzi (ad esempio, nella revisione
contabile). La prestazione gratuita, che il cliente avrà
cura di pattuire espressamente, non è in contrasto con il
principio della «retribuzione proporzionata e sufficiente»
posto dall'articolo 36 della Costituzione (Cassazione
1223/2003).
Anche la prestazione pattuita come gratuita potrebbe,
tuttavia, diventare onerosa se si altera l'equilibrio
iniziale (ad esempio, la comunanza di interessi, di ideali,
la potenziale parentela): di qui l'opportunità che patti su
prestazioni gratuite siano redatti in forma scritta, con una
clausola di invariabilità.
Le pattuizioni sul compenso possono avere varie basi di
calcolo (si veda la scheda in alto), tenendo presente che
non sono previsti limiti massimi. È tuttavia possibile che
una pretesa eccessiva del professionista sia stata ottenuta
sulla base di un errore del cliente (che pensava
particolarmente difficile il risultato), o di una situazione
di debolezza (infondato timore di un danno che avrebbe
potuto verificarsi): in questi casi l'avvocato che risulti
aver approfittato del cliente rischia anche sanzioni
disciplinari. Un problema simile a quello dei limiti
massimi, è posto dal patto di quota lite.
Tale patto prevede
che il compenso del professionista sia collegato ad un certo
risultato, coinvolgendo il professionista stesso nella
tensione verso un risultato favorevole. In caso di vittoria,
il compenso è ancorato al valore del bene ottenuto, anche
superando quanto risulterebbe applicando un compenso medio,
elevato o elevatissimo. Il patto di quota lite ha l'effetto
di coinvolgere il professionista nel risultato da ottenere,
e rimedia sia alla mancata anticipazione del compenso (in
genere, una percentuale di quanto pattuito per l'intera
vicenda) sia alla mancata anticipazione delle spese vive
(consulenze, approfondimenti, studi).
La riforma forense
appena approvata consente tale patto, ma pone uno specifico
limite: l'articolo 13, comma 4 impedisce che l'avvocato
percepisca, come compenso, una quota del beni oggetto della
prestazione. Ciò significa che il professionista non può,
attraverso la vittoria di una lite o la positiva gestione di
una trattativa, diventare socio, quotista o comproprietario
di un bene insieme al suo cliente. L'avvocato può esigere il
pagamento della quota lite, ma solo in danaro, senza poter
obbligare il cliente a condividere il bene. In tal modo, si
applica alla professione il divieto di “patto commissorio”
(articolo 2744 del Codice civile).
La legge professionale non prevede l'obbligo di forma
scritta per i patti sul compenso, nemmeno nei casi di
prestazione gratuita o di quota lite. È tuttavia intuitivo
che, sia per le ipotesi di compensi squilibrati (gratuiti o
in quota lite), sia per la generalità degli affari legali,
le parti coinvolte si scambieranno corrispondenza. Se il
cliente lo chiede, il professionista è tenuto a comunicare
in forma scritta la prevedibile misura del costo della
prestazione, con voci suddivise in spese, oneri (fiscali,
previdenziali) e compenso professionale. Il cliente, in tal
modo, potrà comparare i servizi offerti.
---------------
I compensi
01 | PATTUIZIONE A TEMPO
La «Pattuizione a tempo» si applica alle prestazioni per lo
più telefoniche, all'assistenza a singoli atti. Viene
definita «a tempo» perché ha come unità di misura l'ora o
una sua frazione di effettivo impegno
02 | PATTUIZIONE FORFETARIA
La «Pattuizione forfetaria» opera indipendentemente dal
tempo e dalla difficoltà del caso. Normalmente si collega ad
una specifica vicenda o ad una fase predefinita
03 | SU UNO O PIÙ AFFARI
L'indicazione «Su uno o più affari» presuppone la
delimitazione di un oggetto di consulenza o di una specifica
lite. Può esser collegato ad un'esclusiva o ad un numero
minimo di affari da gestire
04 | IN BASE AI TEMPI DI EROGAZIONE
L'indicazione «In base ai tempi di erogazione» riguarda i
tempi di risposta, immediata, dodici ore, ventiquattro ore o
altra tempistica con o senza presenza fisica
05 | IN BASE ALL'ASSOLVIMENTO
L'indicazione «In base all'assolvimento» riguarda i dettagli
dell'incarico: ad esempio, la possibilità di farsi
sostituire da ausiliari o collaboratori
06 | PER SINGOLE FASI O PRESTAZIONI
L'indicazione «per singole fasi o prestazioni» riguarda le
vicende che possono evolversi, ad esempio in primo grado, in
appello, in Cassazione, urgente (cautelare) o di merito (che
si conclude con sentenza)
07 | A PERCENTUALE
L'indicazione «A percentuale» sottointende sul valore
economico dell'affare o sul vantaggio, anche non
strettamente patrimoniale, del cliente
(articolo Il
Sole 24 Ore del 27.12.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: CASSAZIONE/
Legali negligenti. Avvocati, limata la responsabilità.
Per l'avvocato negligente scatta la responsabilità
professionale soltanto se il cliente che si ritiene
danneggiato riesce a dimostrare che il ricorso dichiarato
improcedibile per l'imperizia del professionista, ove fosse
stato esaminato nel merito, sarebbe stato accolto anche solo
in parte. La perdita di chance risulta risarcibile
unicamente quando risulta verificabile in termini di
ragionevole probabilità.
È quanto emerge dalla
sentenza 10.12.2012 n. 22376 della III Sez.
civile della Corte di Cassazione.
Errore processuale.
Bocciato il ricorso del politico condannato per
responsabilità contabile: il danno all'erario consiste
nell'avere concesso a prezzi inferiori a quelli di mercato
gli appartamenti di un prestigioso immobile pubblico, con
gli inquilini scelti con criteri discrezionali. L'errore
degli avvocati, invece, consiste nella declaratoria di
improcedibilità dell'appello emessa dalla sezioni riunite
della Corte dei conti laddove non è stata richiesta la
fissazione dell'udienza entro un anno dalla notifica delle
conclusioni del procuratore generale.
Risulta tuttavia confermata la valutazione della Corte
d'appello: in caso di errore processuale da parte del
difensore l'obbligo risarcitorio a carico del legale
soltanto se c'è una ragionevole possibilità di un esito
favorevole all'impugnazione, anche soltanto in parte,
laddove il ricorso fosse stato ammissibile. E nel caso
specifico il politico non offre alcun elemento che possa
indurre il giudice a ritenere che, qualora il ricorso fosse
stato esaminato nel merito, vi sarebbero state fondate
probabilità di ottenere una riduzione dell'importo liquidato
a titolo di danno erariale.
Presunzione ed eziologia.
La perdita di chance , ragionano infatti gli «ermellini»,
può risolversi in una mera entità astratta e non è di per sé
risarcibile: lo diventa soltanto quando risulta altamente
probabile che la perdita sia riconducibile in termini di
nesso causale alla condotta del terzo.
La lesione di un diritto deve tradursi in un pregiudizio
concreto: per far scattare l'obbligazione risarcitoria a
carico dell'avvocato, insomma, serve la prova anche
presuntiva dell'esistenza di un pregiudizio economicamente
valutabile. Spese di giudizio compensate
(articolo ItaliaOggi del
20.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
novembre 2012 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI:
L. Carbone,
“PASSAGGIO” DALLA TARIFFA FORENSE AI PARAMETRI:
LE PROBLEMATICHE DELLA DISCIPLINA TRANSITORIA (Il
corriere giuridico n. 11/2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: C.
Mucio,
Legittimità dell’affidamento del patrocinio legale senza
gara (Urbanistica e appalti n. 11/2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: CASSAZIONE/
Specificata l'applicazione per i legali. I parametri? Subito.
Conta il momento della parcella.
I nuovi parametri per la liquidazione degli onorari
dell'avvocato sono applicabili anche per le attività
difensive svolte nel precedente regime tariffario. Quello
che conta, in sostanza, ai fini dell'uso della nuova o
vecchia disciplina, è il momento in cui sono liquidati i
compensi.
Lo ha chiarito la Sez. lavoro della Corte di Cassazione
che, con la sentenza 21.11.2012 n. 20421, che
ha quantificato secondo il nuovo metodo l'onorario di un
avvocato per l'intero giudizio di Cassazione anche se quasi
tutte le attività difensive erano state svolte nella vigenza
delle tariffe forensi.
Secondo il collegio di legittimità il
riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto
nell'articolo 41 del dm 140/2012 «depone per la soluzione
interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova
disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si
siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza
dell'abrogato sistema tariffario forense». Dunque la
Cassazione, nel determinare il compenso del professionista,
ha in primo luogo ritenuto che non ci fossero elementi per
giustificare un discostamento dal valore medio di
riferimento indicato per ciascuna delle tre fasi previste
per il giudizio di Cassazione e, quindi, liquidato per le
fasi di studio, introduttiva e decisoria, un importo in
misura onnicomprensiva.
La vicenda riguarda un dipendente di un consorzio di
bonifica che aveva chiesto senza successo all'azienda
l'indennità di trasferta o chilometrica.
Ma i giudici di merito avevano respinto l'istanza sostenendo
che l'uomo era stato assegnato presso la nuova sede già da
tre anni e che quindi si trattava di un trasferimento a
tutti gli effetti. Contro questa decisione lui ha fatto
ricorso in Cassazione ma senza successo. La sezione lavoro
ha confermato il verdetto di merito fornendo queste
ulteriori indicazioni circa l'applicabilità dei nuovi
parametri forensi. Questa volta ha ancora il discrimine
dell'uso fra le vecchie tariffe e i nuovi standard al
momento della liquidazione e non a quello di svolgimento
dell'attività difensiva in senso stretto.
Poco più di un mese fa le Sezioni unite della Cassazione
avevano decretato genericamente la retroattività dei
parametri senza altre indicazioni. In particolare in quella
decisione (sentenza n. 17405) è stato stabilito che
parametri di cui al dm 140/2012 per i compensi dei
professionisti e in particolare degli avvocati devono essere
applicati ogni volta che la liquidazione sia operata da un
organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in
vigore del regolamento
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012). |
COMPETENZE
GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI:
Ai fini della
rappresentanza in giudizio del Ente, l’autorizzazione alla
lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in
linea generale, un atto necessario ai fini dell’agire o del
resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un
sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria
investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso
la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la
Giunta, l’autorizzazione da parte di quest’ultima non ha più
ragion d’essere
Si conviene con la difesa del Comune, laddove si rammenta che ai
fini della rappresentanza in giudizio del Ente,
l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale
non costituisce più, in linea generale, un atto necessario
ai fini dell’agire o del resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un
sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria
investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso
la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la
Giunta (più diffusamente sul punto Tar Salerno, I, 24.09.2012 n. 1674), l’autorizzazione da parte di
quest’ultima non ha più ragion d’essere (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I,
sentenza 16.11.2012 n. 671 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Compensi ai professionisti a geometrie variabili.
Laddove l'attività giudiziale del
difensore della parte vittoriosa è terminata prima del
23/08/2012 la liquidazione delle spese va effettuata in base
alla vecchie tariffe forensi. Diversamente, quando l'opera
difensiva si conclude dopo l'entrata in vigore del decreto
del ministero della Giustizia 140/12, scatta l'applicazione
dei nuovi parametri. E nella fissazione dell'importo non si
può non tenere conto che la controversia ha natura seriale.
È quanto emerge dalla
sentenza 05.11.2012 n. 18920 della Sez. lavoro della
Corte di Cassazione, con cui i giudici di legittimità
tornano sul tema dei compensi agli avvocati.
Nel caso concreto la Suprema corte si pronuncia su di una
controversia che vede contrapposti i ragionieri contro la
cassa previdenziale di categoria: si tratta di una lite
piuttosto frequente negli ultimi tempi e dall'esito analogo
ed è impossibile non considerarlo ai fini della «concreta
fissazione» del compenso (da tempo i professionisti
contabili risultano garantiti dal principio del «pro rata»
nel calcolo della quota retributiva della pensione).
Quanto alla dicotomia fra vecchie tariffe e nuovi parametri,
va sempre applicato il criterio secondo cui i compensi degli
avvocati vanno liquidati secondo il sistema in vigore al
momento in cui si esaurisce la prestazione professionale (o
cessa l'incarico), «secondo una unitarietà da rapportarsi
ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio e dunque
all'epoca della pronuncia che li definisce»: è quindi
esclusa l'applicazione del decreto ministeriale 140/12 a
prestazioni già rese nei momenti precedenti, così come
indicati dagli «ermellini».
La conseguenze sono tutt'altro che trascurabili per le
tasche dei professionisti. Le tariffe forensi si applicano
soltanto quando l'attività giudiziale dell'avvocato della
parte vittoriosa è terminata prima del 23/08/2012 con
riferimento ai singoli gradi di giudizio; se invece la
conclusione dell'attività difensiva, con il compimento
dell'opera professionale da parte dell'avvocato, avviene
dopo l'entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali,
la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza
avviene in base al dm 140/12, anche se alcune attività sono
state svolte nel vigore delle vecchie tariffe. Esattamente
come accade nel caso specifico risolto dai giudici di
legittimità
(articolo ItaliaOggi del 20.12.2012). |
ottobre 2012 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI:
G. Berretta,
Consulenze legali ammissibili solo in casi eccezionali -
I giudici contabili hanno confermato l’applicabilità della
c.d. “compensatio lucri cum damno”
(Diritto e Pratica Amministrativa n. 10/2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
M. Nesi,
Gli incarichi Legali, incarichi fiduciari o incarichi
clientelari? (link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Comune commissariato se non paga l'avvocato.
Comune commissariato se non paga all'avvocato le spese di
lite del decreto ingiuntivo che il legale, in qualità di
procuratore antistatario, ha ottenuto per conto del cliente
e che nel frattempo è divenuto esecutivo. L'ente è obbligato
a conformarsi al giudicato e non può trincerarsi dietro il
mero atto di liquidazione emesso, che di per sé non prova
affatto l'avvenuto pagamento delle spettanze al
professionista.
È quanto emerge dalla
sentenza
26.10.2012 n. 4274, pubblicata dal TAR Campania-Napoli, Sez.
IV.
Accolto il ricorso del legale per l'ottemperanza. Sono
passati ormai quasi tre anni da quando il titolo in forma
esecutiva è stato rinotificato all'amministrazione dopo che
il provvedimento monitorio risulta divenuto definitivo per
non essere stata proposta opposizione.
Il Comune ha riconosciuto il relativo debito fuori bilancio
ed emesso l'atto di liquidazione, ma questo non dimostra che
ha pagato. Ora dovrà farlo entro 60 giorni e, se non
provvede, lo farà a spese dell'ente locale il commissario
ad acta nominato dal giudice: il direttore della
Ragioneria territoriale dello Stato, con facoltà di delega a
un funzionario dell'ufficio. Unico neo per l'avvocato: i
conteggi sono sbagliati, la somma proposta va depurata di
quanto indicato come spese dell'atto di precetto.
Nel giudizio di ottemperanza, infatti, le ulteriori somme
richieste in relazione a spese diritti e onorari successivi
al decreto ingiuntivo sono dovute soltanto in relazione alla
pubblicazione, all'esame ed alla notifica del medesimo, alle
spese relative ad atti accessori, quali le spese di
registrazione (se versate), di esame, copia e notificazione,
in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento
giudiziale. Le spese, diritti e onorari accessorie
successive al decreto ingiuntivo azionato sono quindi
dovute, nei limiti delle voci indicate, ma in quanto
funzionali all'introduzione del giudizio di ottemperanza
sono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell'ambito delle
spese di lite del giudizio di esecuzione del giudicato.
Al Comune, dunque, non resta che pagare anche le spese di
giudizio. Le spese per l'eventuale funzione commissariale
andranno poste a carico del Comune intimato e sono liquidate
fin da subito nella misura complessiva di euro 300,00. Il
commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma
all'esito dello svolgimento della funzione commissariale,
sulla base di adeguata documentazione fornita all'ente
debitore
(articolo ItaliaOggi del 13.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una
disposizione statutaria che la richieda espressamente,
l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale
non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di
azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco:
quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura
direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso
stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta
municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e
normativo di riferimento profondamente influenzato dalle
modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla
l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla
l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto
del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro,
indica il sindaco quale organo responsabile
dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la
rappresentanza.
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la
rappresentanza processuale del comune spetta
istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva,
il potere di conferire al difensore la procura alle liti,
senza necessità di autorizzazione della giunta municipale,
salvo che una disposizione statutaria la richieda
espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata
provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea
documentazione.
Quanto poi alla asserita illegittimità del mandato conferito
dal Sindaco all’avv. Cerceo il 12.03.2009, in assenza della
esplicita autorizzazione della Giunta, che sarebbe tuttora
richiesta dallo Statuto, in primo luogo è da ritenere che, a
seguito della modifica statutaria mediante l’inserimento
della disposizione secondo la quale “i dirigenti sono
competenti alla promozione delle liti e alla resistenza alle
stesse” sia venuta meno, per incompatibilità tra la
nuova disposizione (il citato art. 44, comma 6-bis) e la
precedente, vale a dire l’art. 38/s) dello statuto, proprio
quest’ultima disposizione la quale, in base a quanto afferma
la difesa dell’appellato, richiedeva che la Giunta
autorizzasse il Sindaco a promuovere o a resistere alle
liti. Si tratta, del resto, di atto gestionale e tecnico che
non richiede più l’autorizzazione giuntale.
A questo proposito la Corte suprema di Cassazione (sent. n.
21330 del 2006) ha avuto occasione di statuire che “nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una
disposizione statutaria che la richieda espressamente,
l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale
non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di
azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco:
quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura
direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso
stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta
municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e
normativo di riferimento profondamente influenzato dalle
modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla
l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla
l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto
del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro,
indica il sindaco quale organo responsabile
dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la
rappresentanza”.
Inoltre, “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali,
la rappresentanza processuale del comune spetta
istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva,
il potere di conferire al difensore la procura alle liti,
senza necessità di autorizzazione della giunta municipale,
salvo che una disposizione statutaria la richieda
espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata
provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea
documentazione” (Cass. civ. n. 13968/2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.10.2012 n. 5277 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: LEGGE DI
STABILITÀ/ Un freno alle parcelle dei
legali.
Il giudice non può liquidare per valori superiori alla causa.
Chi vince non potrà ribaltare su chi
perde somme maggiori della controversia.
Parcelle degli avvocati calmierate in giudizio. La legge di
stabilità stabilisce che il giudice non può liquidare
compensi giudiziali in misura maggiore del valore della
causa. Se il giudizio riguarda una controversia del valore
di 2 mila euro, chi vince non potrà ribaltare su chi perde
una somma maggiore.
E se il compenso pattuito con il proprio avvocato fosse più
alto, la parte eccedente rimarrà a carico del cliente, anche
se ha vinto la causa.
Vediamo i dettagli della questione.
La legge di stabilità propone di sostituire il quarto comma
dell'articolo 91 del codice di procedura civile. La nuova
versione, come scritta nel disegno di legge, prevede che i
compensi liquidati dal giudice e posti carico del
soccombente non possono superare il valore effettivo della
causa.
L'attuale quarto comma dell'articolo 91 del codice di
procedura civile formula la stessa regola, ma limitatamente
alle cause previste dall'articolo 82 del medesimo codice: si
tratta delle cause il cui valore non eccede i 1.100 euro, di
competenza del giudice di pace.
Peraltro nella versione vigente il tetto riguarda non solo i
compensi per l'avvocato, ma ogni possibile voce: «spese,
competenze e onorari».
Nella modifica proposta dalla legge di stabilità il tetto
riguarda qualunque causa, anche se si precisa che i compensi
non comprendono le spese. Quindi il giudice potrà liquidare
i compensi con il tetto dell'importo del valore della causa,
mentre le spese si aggiungono. Si tratta di un criterio di
liquidazione delle spese di giudizio che si aggiunge a
quelli previsti dal decreto 140/2012 sui cosiddetti
parametri, sostitutivi delle tariffe forensi.
L'effetto di questa disposizione è un possibile vantaggio
per chi perde la causa e uno svantaggio per chi vince la
causa. Questo si verifica soprattutto quando il valore della
causa è basso e il compenso stabilito dal giudice (che deve
rispettare il tetto) è più probabile che sia minore della
cifra che l'interessato e l'avvocato hanno inserito nel
contratto stipulato tra di loro.
Inoltre la quantità e la qualità della prestazione
professionale può essere rilevante, anche per cause di
importo piccolo. Altro possibile effetto è quello di
disincentivare il ricorso alla giustizia, considerata la
prospettiva di non poter recuperare i soldi che si
spenderanno. Si deve aggiungere che l'avvocato dovrà
informare il cliente di questa regola, consentendo al
cliente di agire con consapevolezza dei costi.
Il disegno di legge di stabilità interviene anche sulle
entrate dei tribunali e in particolare sul contributo
unificato e cioè il balzello da pagare ogni volta che ci si
rivolge al sistema giustizia. Si tratta di aumenti del
contributo, soprattutto nel settore della giustizia
amministrativa.
Gli incrementi riguardano tutti i tipi di procedimento,
anche se rispetto a una prima versione del disegno di legge
c'è qualche differenza. Nella versione originaria aumentava
da 300 a 350 euro il contributo per ricorsi in materia di
accesso ai documenti amministrativi e quelli avverso il
silenzio dell'amministrazione: l'ultimo testo disponibile
non contempla più queste ipotesi.
Una ritocco (confrontando testo originario e ultimo testo
disponibile) riguarda anche gli appalti.
Nel disegno di legge sulla stabilità, per queste
controversie di competenza del Tar e del Consiglio di stato,
si individua una scaletta in base al valore della causa: il
contributo dovuto è di euro 2 mila (contro i 3 mila della
prima versione) quando il valore della controversia è pari o
inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso
tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro
4.000, mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000
euro è pari ad euro 6 mila (era 5 mila nella versione
originaria). Aumenta il contributo unificato anche per tutti
i processi amministrativi in materie diverse da quelle sopra
elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi
in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a
metà (materie previste dal libro IV, titolo V, del codice
del processo amministrativo e altre disposizioni speciali):
il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro.
Inoltre si pagherà un contributo doppio per i giudizi di
impugnazione avanti al consiglio di stato e si paga un
secondo contributo nel caso in cui le impugnazioni anche
civili siano respinte o dichiarate improcedibili o
inammissibili
(articolo ItaliaOggi del 13.10.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Professioni.
Alla Camera Governo battuto sulle modalità di determinazione
dei compensi: passa la linea della Commissione.
Avvocati, preventivi solo su richiesta. Mazzamuto: «escluso
il ritorno alle tariffe» - Buongiorno: «indipendenza
salvata».
Preventivo solo su richiesta,
possibilità per il Consiglio nazionale forense di esprimere
pareri sulla congruità del compenso, niente socio di
capitale e riserva di consulenza stragiudiziale.
La riforma dell'ordinamento forense fa un passo avanti alla
Camera, con l'esame dei primi 16 articoli e regge senza
perdere pezzi sui punti fondamentali e controversi. A
cominciare dall'articolo 13 sul conferimento dell'incarico e
le tariffe professionali. Sul tema più caldo della riforma
l'avvocatura vince il braccio di ferro con il Governo,
battuto con una votazione che ha bocciato l'emendamento
presentato dall'Esecutivo per chiedere l'abolizione
dell'intero articolo 13.
Un parere contrario che ha indotto il sottosegretario alla
Giustizia Salvatore Mazzamuto a un compromesso per salvare
il salvabile. La scelta, dopo il no all'emendamento del
ministero è stata quella di rimettersi all'Aula, aderendo di
fatto al lavoro fatto dalla Commissione che, se da una parte
esclude il ritorno delle tariffe facendo salvo il principio
della libera determinazione del compenso, dall'altra concede
molto ai desiderata dei legali.
«Dopo la bocciatura del nostro emendamento -spiega il
sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto- abbiamo
scelto il male minore e deciso di rimetterci all'Aula per
far passare almeno le modifiche fatte dalla Commissione.
Diversamente c'era il rischio che l'articolo 13 restasse
com'era e che venissero ripristinate la tariffe. Il Governo
aveva chiesto la soppressione dell'articolo 13 perché si
tratta di una norma che non si armonizza né con il Dl
professioni né con il decreto parametri. Oggi -conclude il
sottosegretario- è passato "lo statuto speciale" degli
avvocati. Alla categoria sono riconosciute possibilità non
previste per altre professioni».
Dopo il voto della Camera, che molto difficilmente verrà
ribaltato dal Senato, gli avvocati faranno il preventivo
solo su richiesta e potranno usare i parametri come criterio
orientativo nei rapporti con il cliente. Inoltre al
Consiglio nazionale forense sarà consentito esprimere pareri
sulla congruità dei compensi mentre il consiglio dell'ordine
potrà tentare una conciliazione in caso di controversia .
Via libera anche alla riserva di consulenza legale
stragiudiziale, purché vengano rispettate due condizioni:
che si tratti di materie connesse all'attività
giurisdizionale e che venga esercitata in maniera
sistematica, organizzata e continuativa.
Pollice verso dell'aula anche per il socio di puro capitale.
«Il Governo aveva preso atto che la governance non poteva
essere in mano al socio capitalista, ma sono state respinte
anche le altre soluzioni -sottolinea Salvatore Mazzamuto-
per questo ci siamo rimessi all'Aula. Ora i tempi della
delega sono stati ridotti da un anno a sei mesi per restare
dentro la legislatura».
Tempi a cui pensa anche il presidente della commissione
giustizia della Camera Giulia Bongiorno, che respinge al
mittente le accuse di sostenere una legge che tutela
interessi di parte. «La riforma degli avvocati ha un solo
obiettivo: quello di assicurare l'indipendenza della
categoria. L'iter è ancora lungo -spiega Giulia Bongiorno-
ma lavoriamo per portare a casa lo statuto entro la
legislatura».
Soddisfatto ma scaramantico il presidente dell'Oua Maurizio
de Tilla. «Ora c'è il sole speriamo che non piova domani».
Ma sul domani non c'è certezza. Almeno per quanto riguarda
la data per completare l'esame del testo e passare al voto
degli altri emendamenti, fermi per ora all'articolo 16
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 10.10.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Range di onorario adeguato per la difesa in giudizio in un
ricorso al TAR.
Domanda
Si chiede di conoscere quale sia il range di onorario
adeguato, come da tariffario vigente, per l'affidamento di
un incarico legale per la difesa in giudizio in un ricorso
al TAR presentato da una ditta per il risarcimento danni
subiti per sospensione, in via di autotutela, del
procedimento amministrativo di rilascio del permesso a
costruire.
Risposta
L'art. 9, D.L.
24.01.2012, n. 1 stabilisce che: "1. Sono abrogate le
tariffe delle professioni regolamentate nel sistema
ordinistico.
2. Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso
di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il
compenso del professionista è determinato con riferimento a
parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da
adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sono anche stabiliti i
parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali
e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il
decreto deve salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche
di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del
presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente
alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di
entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2
e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto.
4. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito,
nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del
conferimento dell'incarico professionale. Il professionista
deve rendere noto al cliente il grado di complessità
dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa
gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino
alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i
dati della polizza assicurativa per i danni provocati
nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la
misura del compenso è previamente resa nota al cliente con
un preventivo di massima, deve essere adeguata
all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le
singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di
spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto un
rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei
mesi di tirocinio.
5. Sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la
determinazione del compenso del professionista, rinviano
alle tariffe di cui al comma 1".
Con il D.L. 24.01.2012, n. 1 sono state pertanto abrogate le
tariffe professionali.
Con D.M. 20.07.2012, n. 140 sono state introdotte nuove
tabelle che prevedono, in particolare, sei diversi scaglioni
di valore e cinque fasi processuali, le cui attività vengono
forfettariamente considerate: fase di studio, introduttiva,
istruttoria, decisoria ed esecutiva. La Tabella A del D.M.
20.07.2012, n. 140 stabilisce dei parametri di liquidazione
degli onorari professionali ad opera del Giudice che possono
essere tenuti presenti dall'Amministrazione anche in sede di
valutazione della congruità dell'onorario.
In ogni caso la Giunta Comunale -al pari di qualunque altro
cliente- può revocare la propria delibera relativa alla
nomina dell'avvocato se ritiene non congruo il preventivo
presentato (08.10.2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
settembre 2012 |
|
COMPETENZE
GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Ai
fini della rappresentanza in giudizio del Comune,
l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale
non costituisce più, in linea generale, requisito necessario
per la proposizione della domanda o la resistenza in
giudizio.
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite
le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo
degli organi di governo che non siano riservate dalla legge
al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione
degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme
dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i
compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso
l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo
Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50
e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle
autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la
legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un
ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto
titolare di funzioni di direzione e di coordinamento
dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del
Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in
un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la
Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha
più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae
direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e
costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli
Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n.
267/2000 affida il compito di collaborare con il capo
dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente,
la possibilità per lo Statuto comunale -competente a
stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale
dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma,
d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della
Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione
del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno
o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto
della controversia).
Vale, con argomento assorbente, osservare come, alla luce
del più recente orientamento giurisprudenziale (cfr. da
ultimo TAR Sicilia, Catania, 28.05.2012, n. 1348), ai fini
della rappresentanza in giudizio del Comune,
l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale
non costituisce più, in linea generale, requisito necessario
per la proposizione della domanda o la resistenza in
giudizio.
La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto,
si fondava sull’art. 35, secondo comma, legge n. 142/1990,
secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni
residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o
dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune,
già delineato dalla menzionata legge n. 142/1990 e
completato dalle disposizioni successive fino
all’approvazione del d.lgs. n. 267 del 2000, ha indotto,
però, le Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. n.
17550/2002 e n. 12868/2005) a rivedere il precedente
orientamento, anche in considerazione del fatto che la
modifica del titolo V della Costituzione, nonché la
successiva legge n. 131/2003 di adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno
accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di
essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti
(ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con
caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della
rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla
lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in
linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o
della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite
le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo
degli organi di governo che non siano riservate dalla legge
al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione
degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme
dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i
compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso
l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo
Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50
e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle
autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la
legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un
ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto
titolare di funzioni di direzione e di coordinamento
dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del
Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in
un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la
Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha
più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae
direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e
costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli
Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n.
267/2000 affida il compito di collaborare con il capo
dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente,
la possibilità per lo Statuto comunale -competente a
stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale
dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma,
d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della
Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione
del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno
o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto
della controversia) (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.09.2012 n. 1675 e
sentenza 24.09.2012 n. 1674 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i
facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere
tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il
nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga.
Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini
in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di
preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare
istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e
quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul
conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un
contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità
dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso
e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della
polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma
comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto
per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un
lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con
tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero
della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte
del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai
professionisti per quantificare la propria prestazione
professionale. E metterla al riparo da eventuali
contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma
vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti
alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle
professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio
nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di
contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20
settembre). Le clausole più importanti riguardano la
privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà
dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del
compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di
lettera di incarico professionale. Dove non devono mai
mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di
complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili,
recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale
indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento
dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso
decreto sui parametri prevede che il professionista debba
dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai
parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo
dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere
assunto dal professionista come base di riferimento la
considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente,
non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i
consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di
conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave
sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il
compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e
del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è
sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento
di incarico professionale», afferma il presidente, Marina
Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è
diventato un elemento basilare del rapporto tra il
professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli
ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un
documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie
di contratto: dall'incarico professionale con committenti
privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori
pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è
individuare il compenso senza potersi riferire alle
tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano,
«si tratta di una contraddizione perché l'utente ha
un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo
al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice
alla fine del procedimento diventano il compenso del
professionista, mentre non possono essere utilizzate dal
professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio
nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi
giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto
complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché
abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a
disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di
incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è
l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il
professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed
esplicito perché le attività professionali tecniche, come
quella di progettazione, hanno la particolarità di poter
subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che
il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci
si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per
quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è
chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico
anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la
capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato
dal professionista per determinare quella cifra, se si fa
riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un
eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo
comportamento. In altre parole: come si fa a definire una
prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri,
in modo tale che il contratto sia salvo in caso di
contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo
a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di
incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo
chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali
contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la
determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono
molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire,
comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle
tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento
i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle
tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare
il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito
una materia che prima era regolata da decreti ministeriali.
In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di
riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il
decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna
cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non
sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i
rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per
il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto
compenso per il professionista, in una controversia con il
cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione
giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia
obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e
cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia
cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto
alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il
professionista a stendere il contratto vincolante per il
cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente,
infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1
del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale
che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i
parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in
ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto
se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in
questo caso deve applicare il contratto e non può passare
alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del
contratto e sostenerne la nullità totale o parziale;
tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non
c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla
discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità
giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto
140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il
giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo
luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia
tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile,
considerata la forbice minimo-massimo per singole
prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti
economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a
costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e
assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari
a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune
specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla
privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle
tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti
contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra
professionisti, singoli e associati, e tra società
professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della
pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n.
137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati
dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011
in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure
informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo
tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la
possibilità di scelta del professionista anche sulla base
del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n.
137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate,
che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e
alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità
informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente
l'attività delle professioni regolamentate, le
specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla
professione, la struttura dello studio professionale e anche
i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale
all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare
l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere
equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la
violazione della disposizione sui principi della pubblicità
informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a
integrare una violazione delle disposizioni previste dal
codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità
ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio
la qualifica del professionista e spostarla sul versante
imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli
ordini. A parte queste considerazioni generali, va
sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le
tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità
comparativa è ulteriore elemento che spinge alla
individuazione di un tariffario di studio e di una
contrattualistica standard a uso del singolo professionista,
dello studio associato e della società tra professionisti (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/
Gli avvocati potranno
esporre i prezzi. Via la distinzione tra diritti e onorari
in nota spese. Tariffario pubblico per i legali.
Gli avvocati potranno costruirsi il tariffario di studio e
pubblicizzarlo. I parametri stabiliti con il decreto
140/2012 sono certo un punto di riferimento, ma il
professionista potrà discostarsene nel contratto con il
cliente. La struttura della nota spese presentata al cliente
non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, come
nel vecchio tariffario. Sussiste, quindi, libertà sia nella
modulazione delle voci di spesa sia nella quantificazione
degli importi.
Le voci di spesa potranno essere individuate
per fasi di attività con un importo onnicomprensivo per
singola fase; oppure si potrà ricorrere al compenso orario.
Altre possibilità sono quelle del patto di quota lite o del palmario. Con il palmario il cliente attribuisce
all'avvocato un compenso aggiuntivo per la favorevole
conclusione della pratica. Con il patto di quota lite
l'avvocato viene pagato solo in caso di esito favorevole con
una quota su quanto percepito dal cliente.
Lo schema di contratto elaborato dal Consiglio nazionale
forense prevede il sistema del compenso per fasi in
alternativa al compenso su base oraria. Il modello contiene,
poi, una limitata forma di palmario in caso di conciliazione
della controversia. Il modello del consiglio nazionale
forense non disciplina, invece, una forma di quota lite. La
liquidazione del compenso per fasi rispecchia l'impostazione
del decreto sui parametri per la liquidazione giudiziale,
anche se le fasi individuate nel modello di contratto
proposto dal Consiglio nazionale forense sono diverse da
quelle inserite nel decreto ministeriale sui parametri. Il
modello di contratto prevede queste fasi: mediazione,
studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria
ed esecutiva.
Peraltro è possibile articolare le fasi in
maniera differente, senza essere vincolati a uno schema
predefinito. Una questione particolare riguarda il rapporto
tra il compenso stabilito nel contratto e le spese liquidate
dal giudice al termine della causa. Ad esempio Tizio accetta
di pagare all'avvocato Caio la somma di 100 per la
rappresentanza in un determinato giudizio; la causa va bene,
ma il giudice riconosce a Tizio la somma di 50 da chiedere
all'avversario che ha perso; nel modello del Cnf in questo
caso Tizio rimane obbligato a pagare all'avvocato a somma di
100 e recupererà 50 da controparte (rimane, quindi, a carico
di Tizio la differenza di 50).
Altra ipotesi è quella in cui il giudice liquidi spese
legali per un importo superiore a quello contrattuale: la
somma eccedente viene assegnata nello schema di contratto
all'avvocato, che la recupererà dalla controparte
soccombente. Si tratta di una clausola per la quale si
prevede una doppia sottoscrizione (articolo ItaliaOggi
Sette del 24.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Dal
Consiglio nazionale forense il modello di contratto dopo lo
stop definitivo alle tariffe. Patti chiari tra avvocato e
cliente.
Per iscritto il compenso fissato a ore o per fasi di
attività.
Compenso orario o compenso per fasi di attività. La
struttura a due vie del compenso da pattuire nel
conferimento di incarico all'avvocato è prevista dal
modello
di contratto, elaborato dal Consiglio nazionale forense. Il
contratto tra cliente e avvocato, a seguito dell'abolizione
delle tariffe, è necessario per stabilire l'onorario del
professionista. Il compenso va determinato per iscritto in
una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di
massima.
Tra l'altro il contratto scritto produce effetti vincolanti
(nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del
compenso da parte del giudice (decreto ministeriale n.
140/2012), e può rappresentare un punto di riferimento per
la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di
soccombenza. A quest'ultimo proposito va ricordato che non
potendosi più elaborare una nota spese da produrre al
giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa
prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella
liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del
compenso pattuito documentato con il contratto.
Vediamo le clausole più rilevanti.
Privacy. Il contratto di incarico professionale è la sede in
cui il cliente dichiara di avere ricevuto l'informativa
prevista dall'articolo 13 del codice della privacy e di
avere prestato il consenso di cui all'articolo 23 dello
stesso codice. Peraltro va ricordato che il modello di
contratto presuppone una separata informativa, che può
essere consegnata su foglio a parte o inserita come allegato
del contratto stesso.
Conciliazione. Nel modello di contratto si trova anche
l'informativa sulla media-conciliazione, con espresso
riferimento ai benefici fiscali conseguibili dal ricorso a
questo sistema stragiudiziale di soluzione delle
controversie. Peraltro va segnalato che l'informativa va
allegata al primo atto difensivo (articolo 4 dlgs 28/2010),
e questo significa che il contratto va depositato in
tribunale.
Antiriciclaggio. Il modello di contratto del Cnf contiene
l'informativa relativa agli obblighi di segnalazione delle
operazioni sospette previsto dal decreto legislativo
56/2004.
Difficoltà dell'incarico. Una clausola specifica del
contratto riguarda l'informazione da dare al cliente, anche
per obblighi deontologici, sul grado di difficoltà
dell'incarico. Viene stabilita la seguente scaletta:
questione ordinaria; questione difficile; questione
complessa.
Imprevisti. L'iter del giudizio potrebbe presentare sviluppi
non prevedibili. Il modello di contratto, da un lato,
obbliga l'avvocato a fare una prognosi delle attività e dei
connessi costi prevedibili; dall'altro consente all'avvocato
di far presente le circostanze non prevedibili al momento
della stipulazione del contratto, che determinano un aumento
dei costi. Si tratta di una valvola aperta alla possibile
integrazione del contratto.
Importi. Il modello di contratto offre alcune strade
alternative per la quantificazione del compenso.
In primo luogo si sceglie una strada simile a quella
adottata dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale
dei compensi e cioè una quantificazione per fasi
(mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva,
istruttoria, decisoria ed esecutiva). In alternativa si
propone un modello di calcolo in base alle ore di attività.
Questa modalità era riservata, dalle «vecchie» tariffe, solo
all'attività stragiudiziale, ma ora può essere esteso anche
all'attività giudiziale.
Spese. Le spese, secondo il modello, possono essere
determinate in modo forfettario oppure in base alla
documentazione che verrà prodotta successivamente: in questo
caso il modello indica di inserire al momento della
conclusione del contratto di conferimento di incarico
professionale, un tetto massimo oppure dei riferimenti al
tipo di mezzo di trasporto che sarà utilizzato (treno,
aereo, autovettura), classe del treno o dell'aereo,
categoria alberghiera per il pernottamento.
Transazione. Analogamente a quanto previsto dal decreto
140/2012 sulla liquidazione giudiziale, il contratto premia
l'avvocato che favorisce una soluzione bonaria con un
surplus di compenso. Il modello non offre una clausola tipo,
invece, sul patto di quota lite (compenso legato al
risultato, come quota di quanto incassato).
Acconti e saldo. Il modello di contratto contiene la
specifica indicazione dei tempi di pagamento di acconti e
saldo. Se il cliente non paga nei termini, il contratto
viene dichiarato risolto.
Liquidazione del giudice. All'esito della causa il giudice
potrà riconoscere alla parte vittoriosa il recupero delle
spese legali, ma eventualmente in misura inferiore a quella
pattuita dal cliente con il proprio legale. Per questi casi
il contratto stabilisce la prevalenza dell'accordo rispetto
alla liquidazione del giudice. La parte eccedente rimane a
carico del cliente. Se il giudice riconoscesse di più, il
modello di contratto riserva all'avvocato questa somma
ulteriore.
Clausole vessatorie. Il modello di contratto prevede la
doppia firma del cliente sulle clausole vessatorie
(integrazione del contratto per cause imprevedibili,
clausola risolutiva espressa in caso di mancato pagamento,
riconoscimento al legale della cifra maggiore tra quella
prevista dal contratto e quella liquidata dal giudice ecc.).
Il modello precisa che non si è ritenuto opportuno prevedere
il riferimento alla disciplina del contratto con il
consumatore e, quindi, alla trattativa individuale delle
clausole vessatorie: questo per evitare che la
qualificazione di contratto con il consumatore sia lo
strumento per l'applicazione al professionista dello
«statuto» dell'imprenditore
(articolo ItaliaOggi del
20.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Causa
facile? Dimezzato il compenso dell'avvocato.
Sì alla riduzione del 50% del compenso dovuto all'avvocato
se la prestazione professionale è di «minima complessità».
Lo ha previsto il TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, con
l'ordinanza 10.09.2012 n. 1528 riducendo a metà
il compenso professionale di un legale che difendeva un
cittadino extracomunitario ammesso al gratuito patrocinio.
Secondo i giudici del Tar Lombardia, infatti, il giudizio
aveva a oggetto una questione sulla quale, all'epoca della
proposizione del ricorso, esisteva una giurisprudenza
favorevole del tutto costante e in equivoca. E cioè la
possibilità di ottenere la cosiddetta «legalizzazione del
cittadino straniero» irregolarmente presente sul territorio
nazionale pur in presenza di una condanna per l'abolito
reato di cosiddetta clandestinità, tanto che proseguono i
giudici amministrativi esso è stato definito con sentenza di
cessata materia del contendere per essersi la pubblica
amministrazione rideterminata in via di autotutela.
In concreto, i giudici sostengono che l'avvocato abbia
lavorato poco nel difendere il cittadino extracomunitario e
questo è determinante ai fini della liquidazione.
Quest'ultima, infatti si compie avendo riguardo alla
complessità della questione come previsto dall'art. 4, comma
2, del dm giustizia 20.07.2012 n. 140, e nel caso di
sentenze di rito, ai sensi dell'art. 10 dello stesso
decreto, comporta un compenso ulteriormente ridotto del 50%.
I giudici amministrativi nelle motivazioni dell'ordinanza
rammentano che ai sensi dell'articolo 1, comma 7 , del dm n.
140/2012 «il compenso è indicativo, e può essere
diminuito al di sotto dei minimi in casi in cui, come il
presente, la causa sia di minima complessità». I giudici
amministrativi nella riduzione del compenso spettante
all'avvocato, partono dal presupposto che l'intera materia è
stata recentemente disciplinata dal dm Giustizia 20 luglio
2012 n. 140 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
22.08.2012), che «ai sensi dell'articolo 42 entra in
vigore dal giorno successivo alla pubblicazione e ai sensi
del precedente articolo 41 si applica a tutte le
liquidazioni eseguite dopo la propria entrata in vigore».
Non solo, «ai sensi degli artt. 1 ,comma 3 e 7, del dm n.
140/2012 lo stesso è comunque applicabile in via analogica a
tutti i casi di liquidazione del compenso di professionisti,
nella specie dell'avvocato, e impone una liquidazione
onnicomprensiva, facendo quindi venir meno la pregressa
distinzione fra diritti e onorari»
(articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Professioni.
Il Tar Brescia sul compenso di un avvocato chiamato a
svolgere una difesa d'ufficio.
Cause ripetitive, parcella al 50%.
Parametri derogabili per fascicoli che richiedono poco
impegno.
L'INDICAZIONE/
L'onorario può essere tagliato dal giudice in caso di
contenzioso non in presenza di un patto preventivo tra
legale e cliente.
I compensi minimi per gli avvocati possono essere rivisti al
ribasso, anche al di sotto dei parametri ministeriali,
qualora l'opera professionale risulti di minima complessità.
Lo precisa il TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I (ordinanza 10.09.2012 n. 1528), dimezzando
il compenso ad un legale che difendeva d'ufficio un
cittadino extracomunitario ammesso al gratuito patrocinio.
La pronuncia è applicabile anche all'indomani dell'entrata
in vigore della legge sulla professione forense, che dedica
l'articolo 13 ai compensi.
Nella legge professionale non vi sono limiti né minimi né
massimi alle pattuizioni tra cliente e legale, ma per gli
incarichi che non hanno un accordo iniziale o sono affidati
d'ufficio (per esempio, il gratuito patrocinio per i non
abbienti o gli incarichi conferiti dal giudice) è prevista
una tabella di riferimento.
Si tratta di parametri che ogni biennio saranno indicati dal
ministero della Giustizia: quelli attuali sono contenuti nel
Dm 20.07.2012 n. 140, e sono appunto stati derogati al
ribasso dai giudici bresciani. Per altro, il ministero della
Giustizia ha promesso una rivisitazione dei parametri, ma il
provvedimento non è ancora stato pubblicato sulla «Gazzetta
Ufficiale».
Il principio dell'inderogabilità dei minimi, secondo il Tar,
vale per le prestazioni di normale difficoltà, mentre per le
attività che sono riservate al legale, ma sono semplici e di
minimo impegno, vi può essere una specifica riduzione.
Esistono infatti prestazioni professionali esclusive degli
avvocati, delle quali non si può fare a meno per difendere
diritti: si tratta dello ius postulandi, cioè della
intermediazione tra cittadino e magistratura, non essendo
prevista l'autodifesa. In conseguenza i parametri del Dm
2012, che si applicano sia alle contestazioni tra cliente e
legale non risolvibili sulla base di un contratto, sia nel
caso del gratuito patrocinio, possono essere ulteriormente
ridotti se la lite è agevole, ripetitiva, poco impegnativa e
si giova di precedenti costanti.
Osserva infatti il giudice amministrativo, con un principio
valido anche per la magistratura civile e penale, che
l'esistenza di una giurisprudenza favorevole, costante e
inequivoca, è rilevante ai fini della liquidazione del
compenso.
Nel caso specifico, si discuteva della posizione di un
cittadino extracomunitario cui era stata negata la procedura
di legalizzazione (sanatoria) a causa della presenza di una
condanna per il reato di clandestinità.
Tuttavia, poiché il reato di clandestinità era stato già
abolito all'epoca della lite, la procedura giudiziaria sulla
sanatoria aveva avuto un percorso snello e agevole, di
minimo impegno per l'avvocato.
Di conseguenza, la liquidazione del compenso al
professionista che aveva assistito la parte ha risentito
della ridotta complessità della questione, con una riduzione
del compenso al 50 per cento.
L'Erario ha quindi sborsato mille euro (oltre le spese vive)
al legale, invece di circa 2.500 euro, minimi dovuti secondo
i parametri per una intera fase di giudizio.
Il principio posto dalla magistratura bresciana si presta a
diverse applicazioni, in tutti i casi in cui tra le parti
non vi sia un compenso predeterminato in forma scritta
(articolo 13, comma 6, dell'ordinamento professionale
legale), e non solo nei casi di liti di lieve entità.
Esistono infatti procedure che si giovano di prassi
consolidate, di cause seriali, che impegnano in modo modesto
i professionisti.
Ad esempio, ciò accade quando il giudice procede in forma
semplificata, cioè con riferimento a precedenti conformi
(secondo le istruzioni del presidente della Cassazione 22.03.2011 prt.
27), o in attuazione dell'articolo 74 del decreto
legislativo 104/2010 (per la giustizia amministrativa),
quando al stessa questione è già stata decisa in modo
conforme. In questi casi il compenso del professionista
rischia di essere ridotto in caso di contenzioso, ma solo se
il compenso non è stato determinato (in forma scritta o
orale) (articolo Il
Sole 24 Ore dell'08.01.2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: AVVOCATI/
Ordinanza del Tar Lombardia-Brescia sul nuovo regolamento
sulle tariffe. Il compenso è onnicomprensivo.
Nessuna distinzione tra diritti e onorari per il difensore
La determinazione del compenso professionale dovuto ai
difensori a seguito dell'entrata in vigore del decreto del
ministero della giustizia 20 luglio 2012 n.140 è
onnicomprensiva: è venuta meno, cioè, la distinzione fra
diritti e onorari.
Questo è quanto ha chiarito il Tar Lombardia-Brescia, con l'ordinanza 10.09.2012 n. 1528 la quale fornisce
una prima linea interpretativa dei criteri per liquidare gli
onorari di giudizio previsti dal decreto del ministero della
giustizia 20.07.2012, n. 140 (in Gazzetta Ufficiale n.
195 del 22.08.2012; in vigore dal 23.08.2012)
«Regolamento recante la determinazione dei parametri per la
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei
compensi per le professioni regolarmente vigilate dal
Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del
decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27».
Nel caso
in esame un avvocato difensore di uno straniero, ammesso al
gratuito patrocinio, aveva presentato istanza per la
liquidazione del compenso a lui spettante davanti al giudice
amministrativo.
In merito alla domanda i giudici amministrativi lombardi
precisano, innanzitutto, che la materia è disciplinata dal
sopra citato decreto ministeriale che ai sensi dell'art. 42
è entrato in vigore dal giorno successivo alla propria
pubblicazione e deve essere applicato a tutte le
liquidazioni eseguite dopo la sua entrata in vigore.
Inoltre, con questa ordinanza, si sancisce l'applicabilità
del decreto per analogia a tutti i casi di liquidazione del
compenso di professionisti, compresa la fattispecie di
gratuito patrocinio.
In secondo luogo il Tribunale amministrativo regionale
afferma il criterio generale del compenso unico ovvero fa
venir meno la pregressa distinzione fra diritti e onorari:
mentre precedentemente il tariffario forense comprendeva
diritti (fissi) relativi all'attività meramente esecutiva e
onorari (compresi tra un minimo ed un massimo) relativi
all'attività squisitamente professionale ed intellettuale,
tale differenziazione viene sostituita da una liquidazione
onnicomprensiva.
Altro aspetto peculiare dell'interpretazione del Tar
concerne la possibilità di diminuire il compenso sotto il
minimo tariffario nei casi in cui la causa sia di minima
complessità dal momento che i criteri contenuti dal decreto
ministeriale devono essere ritenuti solamente indicativi.
Viene ad assumere così particolare rilevanza, ai fini della
liquidazione del compenso professionale in favore degli
avvocati, la difficoltà o meno delle questioni giuridiche
trattate.
E tale complessità deve essere valutata, come nel caso
oggetto dell'ordinanza, anche con riferimento all'esistenza
di un orientamento giurisprudenziale costante ed univoco.
Tale liquidazione, ai sensi dell'art. 10 del medesimo
decreto, nel caso di sentenze di rito comporta un compenso
ulteriormente ridotto del 50%
(articolo ItaliaOggi del 14.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI/PROGETTUALI:
Mandato professionale, mai
più senza l'accordo sul compenso.
Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri
applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato
professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero
della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso
di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora
il professionista sia in grado di dimostrare che tra le
parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice
non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla
base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento,
viene precisato come nel compenso determinato con
l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese
da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella
concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono
ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per
lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del
professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi
collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo
dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività
accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane
sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità
del compenso nel caso di incarico conferito a una società
tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da
più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli
che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati
ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente
svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce
elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la
liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi
che come massimi, sono elementi vincolanti per la
liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero
riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche
disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale,
quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare
che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce
delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in
alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi
minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli
incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure
concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro
effettivamente svolto e dalle singole circostanze che
possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico
stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia
trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre
più uno strumento indispensabile per il professionista e per
l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012,
nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva
come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del
compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale
riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la
modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto
al cliente come verrà determinato il compenso per la
prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo
relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie
o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per
l'adempimento dell'incarico conferito (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalti, stop ai
ribassi selvaggi.
Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse
pubblico. In arrivo un dm
giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in
materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al
tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano
alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a
prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al
prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista.
Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri
precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere
composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere
congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la
qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di
contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre
lo scenario complessivo di riforma delle professioni che,
tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe
professionali e un nuovo sistema per la definizione dei
compensi: si tratta del decreto interministeriale
giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di
quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare
per la determinazione dell'importo da porre a base di gara
nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria
e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto
legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto
cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni
appaltanti di regole per calcolare gli importi e per
determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle
professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di
alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni
appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a
disposizione un riferimento sulla base del quale impostare
le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi
di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per
il settore già colpito in questo senso da modifiche
significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe
minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il
ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate
come parametri di riferimento) non contemplava comunque più
l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe
fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle
offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore
iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a
correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe
per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da
compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo,
salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità
delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del
compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità. All'interno della stessa categoria
d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali
delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a
quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base
alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e
alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri
accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
in una percentuale del compenso pari al 25% per importo
delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per
importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli
importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali
si applicano per interpolazione lineare»
(articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012). |
agosto 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
G.U. 22.08.2012 n. 195 "Regolamento recante la
determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di
un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai
sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27"
(Ministero della Giustizia,
decreto 20.07.2012 n. 140).
---------------
PROFESSIONI/ Un compenso per fasi di
giudizio. Per gli avvocati non si fa più riferimento a
singole attività. In Gazzetta il regolamento sui compensi.
Che è operativo fin da oggi.
Compenso agli avvocati per fasi del giudizio e non più per
singole attività. Il prontuario per i giudici per la
liquidazione dei compensi ai professionisti (regolamento n.
140 del 20.07.2012) approda in G.U. (n. 195 del 22.08.2012)
e si applica fin da oggi ogni volta che il magistrato deve
quantificare quanto è dovuto al professionista (non solo
avvocato, ma anche dottore commercialista ed esperto
contabile, notaio o professionista tecnico o altro
professionista).
Il regolamento (si veda ItaliaOggi del 18 agosto) si
caratterizza per il fatto di costituire un indirizzo di
massima, non vincolante né per il giudice né tanto meno nel
rapporto tra cliente e professionista.
La liquidazione da parte del giudice, per gli avvocati,
avviene all'esito della causa o al momento in cui si
rilascia un decreto ingiuntivo o in altro provvedimento che
per legge preveda la liquidazione delle spese. Per l'ambito
forense va sottolineato che vengono riportati parametri
anche per il caso in cui l'avvocato si autoliquida i
compensi nell'atto di precetto, che da l'avvio
all'esecuzione forzata.
Il prontuario si caratterizza per il fatto di costituire una
griglia, non obbligatoria per il magistrato e tanto meno nel
rapporto tra cliente e proprio avvocato.
Il prontuario non è vincolante per il magistrato, in quanto
costituisce una linea di indirizzo per la determinazione del
corrispettivo sia in sentenza sia negli altri provvedimenti
nei quali la legge attribuisce al giudice di liquidare le
spese.
Il giudice è svincolato dall'applicazione cogente delle
cifre, ma è soggetto ai principi generali relativi alla
determinazione del compenso in relazione alla quantità e
alla qualità della prestazione effettuata.
È vero che per le singole voci del prontuario si indicano
livelli minimi e livelli massimi, ma non si tratta di
importi cogenti e vincolanti. D'altra parte l'abbandono del
sistema delle tariffe, stabilite con decreto ministeriale,
non poteva essere frustrato dalla individuazione di
parametri minimi e massimi altrettanto obbligatori.
Il prontuario non è, poi, vincolante nei rapporti tra
cliente e professionista singolo, associato o società
professionale.
Nei rapporti interni sarà il contratto di prestazione di
opera intellettuale a determinare i compensi spettanti al
professionista, senza alcun obbligo di riferimento ai
parametri ministeriali.
Peraltro questo non significa che non vi sia alcuna regola
per la determinazione dei compensi in sede contrattuale. Si
pensi per la categoria degli avvocati, per i quali rimane
vigente la regola del codice deontologico forense, che
impone di non stabilire compensi eccessivi o sproporzionati.
La nuova situazione (abolizione delle tariffe obbligatorie e
individuazione di parametri per la liquidazione giudiziale),
unita al valore del preventivo e del contratto di
conferimento di incarico, potrà spingere i professionisti
singoli o associati e le società professionali a costruire
un proprio prezziario, da riversare nelle scritture
contrattuali, e da utilizzare anche nella pubblicità
informativa consentita dalle norme deontologiche. Il
prontuario si caratterizza per tutte le categorie
professionali per una spiccata semplificazione e
onnicomprensività. Per gli avvocati si abbandona un sistema
articolato in diritti e onorari rapportati alle autorità
giudiziarie procedenti e al valore della causa, in cui sia i
diritti che gli onorari elencavano ogni singola prestazione:
dalla formazione del fascicolo alla corrispondenza con parti
e controparti, dalla stesura degli atti di causa alla
notificazione della sentenza, e così via.
I parametri individuano alcune fasi: di studio della
controversia; di introduzione del procedimento; istruttoria;
decisoria; esecutiva. In relazione a ciascuna fase il
parametro è onnicomprensivo, anche se suscettibile di
aumenti e diminuzioni. La semplificazione riguarda anche il
procedimento di ingiunzione e il precetto. In quest'ultimo
caso è l'avvocato che redige l'atto, che avvia l'esecuzione
forzata: i parametri ministeriali individuano quattro
scaglioni con relativo compenso onnicomprensivo. I parametri
per gli avvocati mandano, dunque, in soffitta sia i diritti
che gli onorari e individuano una unica voce di compenso.
L'importo conteggiato dal giudice sarà comunque
onnicomprensivo per la prestazione professionale, incluse le
attività accessorie alla stessa.
Nei compensi, determinati dal regolamento, non sono comprese
le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità: le parti
possono anche mettersi d'accordo per il rimborso in modo
forfettario. Non sono compresi oneri e contributi dovuti a
qualsiasi titolo. Mentre sono compresi i costi degli
ausiliari incaricati dal professionista.
Quando l'incarico professionale è conferito a una società
tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno
solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più
soci.
Una importante novità, che vale per tutti i professionisti,
riguarda il preventivo. L'assenza di prova del preventivo di
massima (articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto
legge 1/2012) costituisce elemento di valutazione negativa
da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del
compenso (articolo ItaliaOggi del
23.08.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Abolizione
dei tariffari senza riflessi per lo stato.
Parere del Consiglio di stato sul dpr con i
nuovi parametri.
L'abolizione delle tariffe non deve
danneggiare le casse professionali e gli
archivi notarili.
È quanto prevede il
parere 13.08.2012 n. 3576 del Consiglio
di Stato, che ha licenziato favorevolmente
lo schema di Regolamento sulla
determinazione dei parametri per oneri e
contribuzioni dovuti alle Casse
professionali e agli Archivi, in attuazione
dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo
periodo, del decreto-legge 1/2012.
Si tratta di un derivato della abolizione
delle tariffe professionali e il principio
generale da perseguire è salvaguardare
l'equilibrio finanziario, anche di lungo
periodo, delle casse previdenziali
professionali; inoltre si deve evitare una
riduzione delle principali entrate
dell'amministrazione degli archivi notarili
(tassa archivio, tassa iscrizione al
Registro generale dei testamenti e diritti
per i servizi resi all'utenza), basate sulla
tariffa notarile.
Lo schema di regolamento mantiene un importo
base di calcolo unico sia per le tasse che
per i contributi; tale importo rimane
graduale per gli atti di valore determinato
o determinabile, mentre è stabilito in
misura fissa per gli altri atti, a seconda
della tipologia dell'atto.
Inoltre gli importi da indicare al
repertorio per il calcolo di tasse e
contributi sono stati adeguati all'andamento
dell'inflazione nel periodo 2001-2011 (23%).
Il Consiglio di stato rileva che
l'adeguamento non deve necessariamente
essere pienamente corrispondente
all'incremento Istat per le professioni
liberali, soprattutto in un momento di crisi
economica e finanziaria.
Anche se la misura, più bassa del tasso
d'inflazione, deve essere rimessa
all'amministrazione, tenuto conto anche
della finalità di salvaguardare l'equilibrio
finanziario, anche di lungo periodo, delle
casse previdenziali professionali.
Lo schema di decreto prevede una sola
tabella per i parametri determinati in
misura graduale, da applicare sia per gli
atti pubblici, sia per le scritture private
autenticate, con allineamento agli importi
previsti per gli atti pubblici.
Il Consiglio di stato suggerisce, tuttavia,
di conservare una riduzione per le scritture
private autenticate o, comunque, di
mantenere una unica tabella con importi
determinati in misura inferiore e non
allineati verso l'alto.
Altro punto da rivedere è l'importo dovuto
per il rilascio delle copie di atto
cartaceo, raddoppiato in caso di copia
esecutiva: palazzo Spada chiede di valutare
la congruità degli importi, tenuto conto che
si tratta di un semplice rilascio di copie
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: SANZIONI AMMINISTRATIVE - GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE AI SENSI
DELLA LEGGE N. 689 DEL 1981 AVVERSO ORDINANZA INGIUNZIONE
EMESSA DA UN COMUNE
- RAPPRESENTANZA PROCESSUALE DELL'ENTE LOCALE - NECESSITA',
O MENO, DELLA AUTORIZZAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE -
QUESTIONE RIMESSA ALLE SEZIONI UNITE.
La Sezione Seconda civile ha rimesso gli atti al Primo
Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite
della risoluzione della questione, ritenuta di massima di
particolare importanza, concernente la necessità, o meno,
anche per i giudizi di cui all’art. 23 della legge n. 689
del 1981 dell’autorizzazione della giunta comunale al
Sindaco, ove previsto dallo Statuto dell’ente
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
ordinanza
interlocutoria 07.08.2012 n. 14219 - tratto da
www.cortedicassazione.it). |
luglio 2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
G. Naimo,
I “SERVIZI LEGALI”: NOZIONE E CENNI SULLA
DISCIPLINA DI AFFIDAMENTO (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
giugno 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I. Di Toro,
CONFERIMENTO DEL PATROCINIO LEGALE PER LA DIFESA
DEGLI ENTI LOCALI: IL CONSIGLIO DI STATO AMMETTE
L’AFFIDAMENTO DIRETTO (Gazzetta Amministrativa n. 2/2012). |
INCARICHI PROGETTUALI: Parcelle
più leggere per i tecnici. Spese e oneri
dell'attività fuori dalla liquidazione dei
compensi. Il decreto con i parametri di
riferimento riduce gli onorari dei
professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere
fino al 30% per le prestazioni professionali
di area tecnica. Per lo meno nel calcolo
degli onorari giudiziari. Anche se, a detta
di molti, i nuovi parametri per la
liquidazione dei compensi diventeranno
implicitamente i nuovi riferimenti tariffari
nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i
criteri per la liquidazione degli onorari
per le professioni regolamentate (si veda
ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo
dovuto per esempio a un'opera di
progettazione o direzione lavori, di
verifica o collaudo di un impianto elettrico
scompare qualsiasi rimborso delle spese e
degli oneri sostenuti per svolgere
l'attività. Il che significa una media di
circa il 20-30% in meno dei compensi
professionali dovuti fino ad ora, quando
queste spese venivano calcolate a piè di
lista o su base forfettaria fino a un
massimo del 60% degli onorari. In sostanza
se, per esempio, per una ristrutturazione
edilizia del valore di 100 mila euro il
professionista fino ad ora avrebbe incassato
circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto
tutti i rimborsi e spese sostenute per
l'attività, ora queste voci saranno
ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le
furie le diverse rappresentanze delle
professioni tecniche. Basti pensare, spiega
Pasquale Caprio, presidente del dipartimento
competenze e compensi professionale del
Consiglio nazionale degli architetti, «che
secondo le nostre simulazioni effettuate
sulla base di questi parametri il compenso,
per esempio, su una progettazione di un
edificio scolastico, sarà decurtato ancora
di più rispetto al criterio tariffario
risalente a una vecchia legge del 1949 il
cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30
anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché
il regolamento messo a punto dal ministro
della giustizia, Paola Severino, lascia
anche un margine di discrezionalità nella
mani del giudice che, si legge nell'articolo
36 del testo, «in considerazione della
natura dell'opera, del pregio della
prestazione, dei risultati e dei vantaggi
anche economici, può aumentare o diminuire
il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a
ritenere addirittura frutto di un svista: «mi
sembra un passaggio incongruo», spiega
il numero degli ingegneri Armando Zambrano,
«perché se c'è una complessità specifica
che nel testo è stata ricompresa in una
determinata forbice di valore, allora non si
capisce questo abbattimento o questa
maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si
tratta di considerare l'eventuale urgenza
della prestazione allora la diminuzione non
ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di
qualsiasi riferimento di un parametro legato
alla prestazione a ora, quella che nei
vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il
mio tempo, in sostanza non vale nulla»,
tuona ancora Capria, «perché qualora non
si possa far riferimento ai parametri ma si
debba considerare il fattore tempo, il
professionista non potrà essere pagato».
In tutto questo i professionisti di area
tecnica, dunque, salvano solo un principio:
il regolamento in questione una volta
entrato in vigore diventerà il nuovo punto
di riferimento per le stazioni appaltanti da
utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il
numero uno dei periti industriali Giuseppe
Jogna, «che finalmente porrà fino
all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche
nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza
di riferimenti per la cancellazione delle
tariffe e soprattutto alla tentazione di
sottostimarne gli importi. D'ora in poi,
quindi, chi determinerà il bando farà
importi compatibili con tali parametri e
soprattutto con la logica del lavoro»
(articolo ItaliaOggi del
23.06.2012). |
INCARICHI PROGETTUALI: Dal
13 agosto obbligo di polizza assicurativa
per tutti i professionisti. Ecco i termini
da conoscere prima di stipulare il contratto.
Dal 13.08.2012 architetti, ingegneri,
geometri, notai, avvocati, commercialisti,
ossia tutti i liberi professionisti dovranno
avere una polizza assicurativa a tutela di
errori professionali.
Lo stabilisce la Legge 148/2011 (di
conversione del Decreto 138/2011) che
prevede:
Þ
l’obbligo di stipulare un’assicurazione
privata per la responsabilità civile, a
partire dal 13.08.2012;
Þ
l’obbligo di indicare al cliente i dati
della polizza assicurativa al momento del
conferimento dell’incarico.
Ma cosa vuol dire franchigia, premio,
massimale, claims made?
In allegato a questo articolo, oltre al
testo coordinato del Decreto 138/2011, la
redazione di BibLus-net propone ai propri
lettori un documento contenente le
definizioni principali legate ad una
polizza, da conoscere assolutamente prima
della stipula
(21.06.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Conferimento dell’incarico di patrocinio
legale.
Con la presentazione
della domanda di partecipazione alla gara e
con la predisposizione e l’inoltro
dell'offerta, i soggetti concorrenti
assumono una posizione differenziata e
qualificata e, di conseguenza,
l’Amministrazione che ha bandito la gara,
ove intenda annullarla in autotutela, deve
provvedere, ai sensi degli art. 7 e 8 l. n.
241/1990, a comunicare loro l'avviso di
avvio del relativo procedimento al fine di
consentire la difesa del bene della vita
dato dalla chance di aggiudicazione.
---------------
La domanda di risarcimento del danno
quantificata dal ricorrente in € 24.000,00
non può trovare accoglimento per mancato
raggiungimento, sia sotto il profilo del
danno emergente che del lucro cessante,
della prova del danno lamentato, non avendo
il ricorrente dimostrato, sotto il primo
profilo, la perdita patrimoniale riveniente
dall’illegittimo annullamento della
procedura comparativa, e non avendo addotto,
sotto il secondo profilo, elementi puntuali
(ad esempio, titoli professionali di
particolare valore o maggior convenienza
della offerta economica presentata) dai
quali si possa legittimamente inferire,
secondo un giudizio prognostico di tipo
probabilistico, che il ricorrente medesimo
sarebbe stato preferito, ai fini del
conferimento dell’incarico de quo, rispetto
agli altri aspiranti.
Ritiene, invece, il collegio che possa
essere riconosciuto al ricorrente il danno
da perdita di chance, che costituisce una
forma di lucro cessante che si concreta
nella mera perdita della effettiva occasione
favorevole di conseguire un determinato
bene; tale forma di danno non costituisce,
infatti, un’aspettativa di fatto, ma
un’entità giuridicamente ed economicamente
suscettibile di autonoma valutazione.
Ai fini della determinazione del quantum, il
collegio ritiene di poter quantificare, in
via equitativa, il danno da perdita di
chance (sulla base del criterio già previsto
dall’art. 345 della legge 20.03.1865 n. 2248
allegato F per l’ipotesi di esercizio della
facoltà di recesso da parte
dell’amministrazione committente),
rapportandolo in termini percentuali
all’utile in astratto conseguibile e
determinandolo nella misura del 10% del
compenso che sarebbe spettato al ricorrente
in caso di affidamento dell’incarico de quo.
... per l'annullamento della Determinazione
n. 29 (Reg. Gen. n. 148) del 17.02.2011, con al quale il Segretario generale
del Comune di Carovigno ha annullato la
determinazione n. 1056 del 30.12.2010
(con la quale veniva indetto un avviso
pubblico per il conferimento dell’incarico
di patrocinio legale dell’Ente), della
Deliberazione n. 44 del 25.02.2011,
con la quale la Giunta comunale di Carovigno
ha autorizzato il Sindaco al conferimento di
incarico di patrocinio legale dell’Ente ad
un avvocato di propria fiducia nonché del
decreto del 1° marzo 2011, con il quale il
Sindaco del Comune di Carovigno ha nominato
l'avv.to Alberto Magli quale difensore e
patrocinante del Comune di Carovigno dall'01.03 al 31.08.2011;
...
Anzitutto, non può essere condivisa la tesi
sostenuta dalla Amministrazione resistente
secondo la quale, nel caso di specie, ai
fini dell’esercizio dei poteri di ritiro,
non era necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento, di cui all’art. 7 della l.
n. 241/1990. L’Amministrazione resistente
richiama alcune pronunce giurisprudenziali
che escludono, nell’ambito delle procedure
di evidenza pubblica per l’aggiudicazione
degli appalti, la doverosità della predetta
comunicazione con riguardo all’annullamento
e alla revoca dell’aggiudicazione
provvisoria, che è notoriamente un atto endoprocedimentale ad effetti instabili ed
interinali. Nel caso di specie,
l’Amministrazione comunale ha invece
annullato, in autotutela, la determinazione
con la quale veniva indetta una selezione,
mediante procedura comparativa, per il
conferimento di un incarico professionale,
ossia un atto di natura provvedimentale.
Orbene, il collegio fa rilevare che con la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara e con la
predisposizione e l’inoltro dell'offerta, i
soggetti concorrenti assumono una posizione
differenziata e qualificata e, di
conseguenza, l’Amministrazione che ha
bandito la gara, ove intenda annullarla in
autotutela, deve provvedere, ai sensi degli
art. 7 e 8 l. n. 241/1990, a comunicare loro
l'avviso di avvio del relativo procedimento
al fine di consentire la difesa del bene
della vita dato dalla chance di
aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
07.01.2009 n. 17).
---------------
Ad avviso
del collegio, la domanda di risarcimento del
danno quantificata dal ricorrente in €
24.000,00 non può trovare accoglimento per
mancato raggiungimento, sia sotto il profilo
del danno emergente che del lucro cessante,
della prova del danno lamentato, non avendo
il ricorrente dimostrato, sotto il primo
profilo, la perdita patrimoniale riveniente
dall’illegittimo annullamento della
procedura comparativa, e non avendo addotto,
sotto il secondo profilo, elementi puntuali
(ad esempio, titoli professionali di
particolare valore o maggior convenienza
della offerta economica presentata) dai
quali si possa legittimamente inferire,
secondo un giudizio prognostico di tipo
probabilistico, che il ricorrente medesimo
sarebbe stato preferito, ai fini del
conferimento dell’incarico de quo, rispetto
agli altri aspiranti.
Ritiene, invece, il collegio che possa
essere riconosciuto al ricorrente il danno
da perdita di chance, che costituisce una
forma di lucro cessante che si concreta
nella mera perdita della effettiva occasione
favorevole di conseguire un determinato
bene; tale forma di danno non costituisce,
infatti, un’aspettativa di fatto, ma
un’entità giuridicamente ed economicamente
suscettibile di autonoma valutazione.
Ai fini della determinazione del quantum, il
collegio, conformemente ad un orientamento
giurisprudenziale consolidato (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI 16.09.2011 n.
5168; Sez. V 08.07.2002 n. 3796), ritiene di
poter quantificare, in via equitativa, il
danno da perdita di chance (sulla base del
criterio già previsto dall’art. 345 della
legge 20.03.1865 n. 2248 allegato F per
l’ipotesi di esercizio della facoltà di
recesso da parte dell’amministrazione
committente), rapportandolo in termini
percentuali all’utile in astratto
conseguibile e determinandolo nella misura
del 10% del compenso che sarebbe spettato al
ricorrente in caso di affidamento
dell’incarico de quo e, quindi, nella
misura onnicomprensiva di € 2.400,00 (euro
duemilaquattrocento/00)
(TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 01.06.2012 n. 995 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2012 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Al
sindaco non serve il placet per la
costituzione in giudizio.
Mani libere al sindaco. L'azione giudiziaria
o l'impugnazione per conto del comune
possono essere ben promosse direttamente dal
primo cittadino senza una delibera ad hoc
della giunta che lo autorizza a procedere.
Con l'elezione diretta, infatti, il capo
dell'amministrazione locale risulta
portatore di un'investitura che proviene
senza mediazione dagli stessi cittadini,
mentre sono gli assessori a trovare nel
sindaco la loro fonte di legittimazione.
Insomma: non c'è bisogno di alcun placet
della giunta affinché l'ente locale stia in
giudizio.
Lo chiarisce il
TAR
Sicilia-Catania, Sez. II, con la
sentenza 28.05.2012 n. 1348
L'autorizzazione alle liti aveva un senso
quando il sindaco era eletto dal Consiglio
comunale e la giunta era comunque
espressione del «parlamentino» locale. Ma da
quasi vent'anni è il primo cittadino, eletto
direttamente dal popolo, che si sceglie la
sua squadra per governare l'amministrazione.
Né bisogna dimenticare le modifiche al
titolo V, parte seconda, della Costituzione
che hanno accentuato il grado di
indipendenza degli enti locali, che ormai
rientrano nella categoria delle «autonomie
territoriali».
Alla giunta sono conferite le
funzioni di indirizzo e controllo
politico-amministrativo degli organi di
governo che non sono riservate dalla legge
al Consiglio; ai dirigenti comunali spetta
la guida degli uffici e dei servizi secondo
i criteri e le norme dettati dagli statuti e
dai regolamenti, oltre che tutti i compiti
non compresi espressamente tra le funzioni
di indirizzo.
Niente da fare, nel caso di specie, per il
candidato escluso da un concorso bandito da
un comune del Messinese per la nomina del
responsabile del settore affari generali e
vicesegretario dell'ente locale. L'aspirante
dirigente sostiene che l'atto di opposizione
al ricorso straordinario sarebbe irrituale
perché sottoscritto dal sindaco senza previa
deliberazione della giunta. Ma
quell'opposizione non ha natura processuale
(nonostante un isolato precedente
giurisdizionale di segno contrario).
L'eventuale passaggio dal ricorso
straordinario alla sede giurisdizionale,
infatti, segna anche la modifica del regime
degli atti, che devono qualificarsi come
processuali solo nel momento in cui si è
realizzata definitivamente la trasposizione
dal piano del ricorso straordinario a quello
del ricorso giurisdizionale
(articolo ItaliaOggi del
22.06.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Ai
fini della rappresentanza in giudizio del
Comune, l’autorizzazione alla lite da parte
della Giunta Comunale non costituisce più,
in linea generale, atto necessario ai fini
della proposizione o della resistenza
all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono
state conferite le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli
organi di governo che non siano riservate
dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai
dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo i criteri e le norme dettati
dagli Statuti e dai regolamenti, nonché
tutti i compiti, compresa l’adozione degli
atti e provvedimenti amministrativi che
impegnano l’Amministrazione verso l’esterno,
non ricompresi espressamente dalla legge o
dallo Statuto tra le menzionate funzioni di
indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n.
267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo
ordinamento delle autonomie locali il
Sindaco ha assunto, ancor più con la legge
n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione
diretta, un ruolo politico ed amministrativo
centrale, in quanto titolare di funzioni di
direzione e di coordinamento dell’esecutivo
comunale; onde l’autorizzazione (del
Consiglio prima e poi) della Giunta, se
trovava ragione in un assetto in cui il
Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta
costituiva espressione del Consiglio stesso,
non ha più ragion d’essere in un sistema in
cui il Sindaco trae direttamente la propria
investitura dal corpo elettorale e
costituisce egli stesso la fonte di
legittimazione degli Assessori che
compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r.
n. 267/2000 affida il compito di collaborare
con il capo dell’Amministrazione Municipale
(salva restando, ovviamente, la possibilità
per lo Statuto comunale -competente a
stabilire i modi di esercizio della
rappresentanza legale dell’ente, anche in
giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n.
267/2000- di prevedere l’autorizzazione
della Giunta, ovvero di richiedere una
preventiva determinazione del competente
dirigente, ovvero, ancora, di postulare
l’uno o l’altro intervento in relazione alla
natura o all’oggetto della controversia).
Come, infatti, affermato dalla
giurisprudenza (cfr. Cass. Civ, I, n.
13412/2006, Cass. Civ., Sez. Un., n.
17550/2002 e n. 12868/2005; TAR Sicilia,
Palermo, Sez. I n. 880 del 04.07.2008,
Cons. Stato, sez. VI n. 33 del 07.01.2008), la vigente disciplina regionale non
include più fra le competenze della Giunta
Comunale le delibere aventi ad oggetto le
autorizzazioni alla proposizione delle liti
attive e passive.
La competenza in materia della Giunta
Comunale, come è noto, si fondava, in ambito
nazionale, sull’art. 35, secondo comma,
legge n. 142/1990, secondo cui a tale organo
spettavano le attribuzioni residuali su
tutti gli atti non riservati dalla legge o
dallo Statuto alla competenza del Sindaco o
del Consiglio.
La norma ha trovato applicazione anche nella
Regione siciliana, avente competenza
legislativa esclusiva sull’ordinamento degli
enti locali ai sensi dell’art. 14, lett. p),
dello Statuto Regionale, atteso che, con
legge regionale n. 48/1991, la legge n.
142/1990 è stata recepita nell’ordinamento
regionale senza alcuna modifica.
Il nuovo quadro delle competenze degli
organi del comune, già delineato dalla
menzionata legge n. 142/1990 e completato
dalle disposizioni successive fino
all’approvazione del d.p.r. n. 267 del 2000,
ha indotto, però, le Sezioni Unite della
Corte (Cass., Sez. Un. n. 17550/2002 e n.
12868/2005) a rivedere il precedente
orientamento, anche in considerazione del
fatto che la modifica del titolo V della
Costituzione, nonché la successiva legge n.
131/2003 di adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica al nuovo assetto
costituzionale, hanno accentuato l’autonomia
degli enti locali e nell’ambito di essa le
potestà degli Statuti nella gerarchia delle
fonti (ormai da considerarsi quali atti
normativi atipici con caratteristiche di
rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che,
ai fini della rappresentanza in giudizio del
Comune, l’autorizzazione alla lite da parte
della Giunta Comunale non costituisce più,
in linea generale, atto necessario ai fini
della proposizione o della resistenza
all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono
state conferite le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli
organi di governo che non siano riservate
dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai
dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo i criteri e le norme dettati
dagli Statuti e dai regolamenti, nonché
tutti i compiti, compresa l’adozione degli
atti e provvedimenti amministrativi che
impegnano l’Amministrazione verso l’esterno,
non ricompresi espressamente dalla legge o
dallo Statuto tra le menzionate funzioni di
indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n.
267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo
ordinamento delle autonomie locali il
Sindaco ha assunto, ancor più con la legge
n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione
diretta, un ruolo politico ed amministrativo
centrale, in quanto titolare di funzioni di
direzione e di coordinamento dell’esecutivo
comunale; onde l’autorizzazione (del
Consiglio prima e poi) della Giunta, se
trovava ragione in un assetto in cui il
Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta
costituiva espressione del Consiglio stesso,
non ha più ragion d’essere in un sistema in
cui il Sindaco trae direttamente la propria
investitura dal corpo elettorale e
costituisce egli stesso la fonte di
legittimazione degli Assessori che
compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r.
n. 267/2000 affida il compito di collaborare
con il capo dell’Amministrazione Municipale
(salva restando, ovviamente, la possibilità
per lo Statuto comunale -competente a
stabilire i modi di esercizio della
rappresentanza legale dell’ente, anche in
giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n.
267/2000- di prevedere l’autorizzazione
della Giunta, ovvero di richiedere una
preventiva determinazione del competente
dirigente, ovvero, ancora, di postulare
l’uno o l’altro intervento in relazione alla
natura o all’oggetto della controversia)
(TAR Sicilia-catania, Sez. II,
sentenza 28.05.2012 n. 1348 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: La
legittimazione a ricorrere e l'interesse a
ricorrere si radicano in capo ad un
soggetto, nel caso di procedura negoziata,
solo perché imprenditore operante nel
settore interessato, senza che occorra che
abbia presentato apposita domanda di
partecipazione alla gara.
---------------
L’avvenuta esecuzione integrale della
prestazione esclude qualsiasi interesse del
ricorrente all’annullamento degli atti di
gara.
---------------
La scelta del contraente per l'affidamento
di un incarico per lo svolgimento di una
prestazione d'opera intellettuale (art. 2230
cod. civ.), a seguito di una gara formale o
informale, o anche per trattativa privata, è
atto di gestione, privo di qualsiasi
contenuto di indirizzo per gli uffici. Si
risolve, infatti, nella individuazione del
soggetto o dei soggetti che appaiano più
quotati, secondo regole obiettive e
prefissate, per il conseguimento dei fini
della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli
organi elettivi o politici del Comune, si
risolve, invece, nella fissazione delle
linee generali da seguire e degli scopi da
perseguire con l'attività di gestione. Non
rientra, perciò, in questa attribuzione, la
scelta di un contraente qualsiasi dell'ente.
In questo caso, la scelta spetta ai
dirigenti, secondo l'esplicito disposto
dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o
ad una commissione composta da soggetti
aventi adeguata esperienza professionale per
condurre una selezione ispirata al
soddisfacimento di siffatte esigenze
tecniche.
---------------
La scelta dei soggetti da invitare alla
gara, effettuata dall’amministrazione
attraverso l’utilizzo dell’albo degli
avvocati di Milano, risponde a criteri di
trasparenza e di proporzionalità rispetto
all’oggetto della gara in quanto la
professionalità richiesta in via principale
era quella di avvocato. Non sussistendo
infatti sul mercato, per i noti limiti
all’esercizio della professione legale in
forma societaria, solo da poco in fase di
superamento, figure professionali complesse
in grado di soddisfare contemporaneamente
requisiti legali e tecnici,
l’amministrazione ha correttamente fatto una
scelta nell’ambito dei professionisti ai
quali era richiesta la prestazione
principale, rimanendo a loro carico il
compito di trovare le modalità organizzative
volte ad associare altri tipi di
professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che la scelta
dell’amministrazione di assoggettare gli
appalti dei servizi legali in questione alla
disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice
degli appalti, in quanto rientranti
nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006,
esclude la possibilità di assoggettarli alla
disciplina degli altri contratti di lavoro
autonomo di alta professionalità prevista
dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs.
165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una
disciplina esaustiva della materia.
---------------
E' legittima la scelta della P.A. di non
prendere in considerazione l’offerta di una
ditta del settore, non invitata ad una
procedura semplificata ed accelerata di
cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11,
del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha
presentato comunque l’offerta, ove sia stata
motivata con riferimento al fatto che
-nonostante la partecipazione di un solo
concorrente dei cinque formalmente invitati-
la ditta interessata sia stata più volte
invitata in passato a procedure di cottimo
fiduciario, e, in un caso, sia risultata
aggiudicataria.
Analoghe considerazioni valgono per il caso
in questione, avendo il ricorrente già
fruito di plurimi incarichi senza gara, ed
in mancanza di prova del fatto che il
ricorrente fosse l’unico in grado di fornire
il servizio richiesto. L’amministrazione ha
quindi correttamente applicato principi di
parità di trattamento e di concorrenza che
hanno permesso ad altri legali, aventi gli
stessi titoli del ricorrente, di instaurare
una collaborazione con il Comune in una
materia particolarmente complessa come la
redazione di atti di gara e di costituzione
di società.
---------------
L'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005,
che ha introdotto il contributo a favore
dell'Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1,
del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive
deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in
data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un
interesse erariale a contenuto
economico-finanziario, connesso alle
esigenze di copertura delle spese (generali
e di funzionamento) dell’Autorità di
vigilanza, e traduce tale interesse in una
nuova imposizione di carattere fiscale a
carico delle imprese interessate, mediante
la pretesa sostanziale all’ottenimento del
pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma,
viceversa, non si traduce né può tradursi,
nella previsione di filtri formali
insuscettibili di regolarizzazione formale e
quindi capaci di causare l’esclusione di
imprese che comunque adempiono al previsto
onere contributivo e che sono inoltre in
possesso dei prescritti requisiti economici
e professionali, e che consentirebbero
dunque di estendere la competizione per la
scelta della migliore offerta.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, in qualità di affidatario
(senza gara) di due precedenti incarichi di
consulenza relativi alla costituzione della
società mista concessionaria della linea 4
della metropolitana milanese, impugna gli
atti della procedura di affidamento del
servizio di consulenza legale relativo alla
linea 4 della metropolitana indetta dal
Comune per i seguenti motivi:
A) incompetenza per violazione dell’art. 48 TUEL, art. 43 dello
Statuto comunale, art. 13 del Regolamento
comunale sull’ordinamento degli uffici e dei
servizi, in relazione ai contenuti del piano
esecutivo di gestione 2009. A suo dire
l’approvazione del bando avrebbe dovuto
essere preceduta dalla previa approvazione
da parte della Giunta comunale, in quanto il
valore dell’appalto era costituito
dall’intero ammontare della spesa e non
dalla sola parte a carico del Comune;
B) violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, dell’art. 3, comma
56, della L. 244/2007 e dell’art. 31 del
Regolamento comunale, posto che non sarebbe
stata adeguatamente vagliata la mancanza di
adeguate professionalità interne, sia sotto
il profilo legale che sotto quello
ingegneristico;
C) violazione dell’art. 27, comma 10 del Codice dei contratti e
dell’art. 51, comma 5, del regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi
ed eccesso di potere nella selezione dei
professionisti invitati alla procedura
negoziata in quanto non sarebbero stati
invitati soggetti in potenziale possesso dei
requisiti per partecipare alla selezione;
D) illegittimità della preselezione degli invitati alla procedura
negoziata, atteso che non sarebbe stato
invitato il ricorrente, che pur si era già
occupato della costituzione della società in
questione. Il mancato invito del ricorrente,
in particolare, avrebbe violato i principi
di economicità, imparzialità, trasparenza,
buona fede e concorrenzialità;
E) violazione del principio di trasparenza non avendo avuto il
ricorrente alcuna notizia dell’avvio della
procedura;
F) violazione di legge ed eccesso di potere per incoerenza tra
l’oggetto della prestazione e le esigenze
dell’amministrazione, nonché tra il criterio
di preselezione e quello di valutazione
comparativa delle offerte;
G) violazione dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 in quanto
la gara avrebbe per oggetto un contratto
aperto nell’oggetto; indeterminatezza della
durata dell’incarico; violazione
dell’obbligo di predeterminazione del
compenso; contraddizione con precedenti atti
nella previsione della clausola secondo la
quale la durata dell’incarico è “di 12
mesi o comunque fino all’aggiudicazione”;
H) eccesso di potere per travisamento dei fatti nella
determinazione dell’oggetto della gara;
I) violazione dell’art. 1, comma 67, della L. 23/12/2005, n. 266 e
della deliberazione dell’A.V.CC.PP., avendo
il Comune permesso all’aggiudicatario di
regolarizzare il pagamento della tassa
dovuta all’Autorità di vigilanza, benché il
mancato pagamento fosse previsto come causa
di esclusione dalla gara.
Lo stesso ha, infine, chiesto il
risarcimento dei danni per perdita di chance
nella misura del 50% del compenso
contrattuale.
...
E' indirizzo prevalente nella giurisprudenza
amministrativa che la legittimazione a
ricorrere e l'interesse a ricorrere si
radicano in capo ad un soggetto, nel caso di
procedura negoziata, solo perché
imprenditore operante nel settore
interessato (Cons. Stato, sez. V,
18.12.2002, n. 7055; Ad. plen. 07.04.2011,
n. 4), senza che occorra che abbia
presentato apposita domanda di
partecipazione alla gara (cfr. in termini
Cons. Stato V 10.09.2009, n. 5426;
31.12.2007, n. 6797; 27.10.2005, n. 5996;
04.05.2004, n. 2696; Cons. Stato, III,
19.04.2011, n. 2404).
4.
Venendo all’esame delle domande proposte
occorre limitare l’oggetto del giudizio
all’accertamento dell'illegittimità
dell'atto ai soli fini risarcitori in quanto
l’avvenuta esecuzione integrale della
prestazione esclude qualsiasi interesse del
ricorrente all’annullamento degli atti di
gara.
5.
Nel merito va respinto il primo motivo,
in quanto la mancanza dell’atto di indirizzo
della Giunta, previsto dall’art. 43 dello
Statuto comunale per i contratti di valore
superiore alla soglia comunitaria, non ha
inciso sulla legittimazione del dirigente ad
adottare i suddetti atti.
In materia la giurisprudenza ha affermato
che “la scelta del contraente per
l'affidamento di un incarico per lo
svolgimento di una prestazione d'opera
intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a
seguito di una gara formale o informale, o
anche per trattativa privata, è atto di
gestione, privo di qualsiasi contenuto di
indirizzo per gli uffici. Si risolve,
infatti, nella individuazione del soggetto o
dei soggetti che appaiano più quotati,
secondo regole obiettive e prefissate, per
il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli
organi elettivi o politici del Comune, si
risolve, invece, nella fissazione delle
linee generali da seguire e degli scopi da
perseguire con l'attività di gestione. Non
rientra, perciò, in questa attribuzione, la
scelta di un contraente qualsiasi dell'ente.
In questo caso, la scelta spetta ai
dirigenti, secondo l'esplicito disposto
dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o
ad una commissione composta da soggetti
aventi adeguata esperienza professionale per
condurre una selezione ispirata al
soddisfacimento di siffatte esigenze
tecniche” (Cons. Stato, sez. V,
09.09.2005, n. 4654).
Nel caso in questione la mancata
sottoposizione dell’atto di indizione della
gara all’esame della Giunta si giustifica
correttamente con la previsione di una spesa
a carico del Comune inferiore alla soglia
comunitaria, indipendentemente dal fatto che
una parte del corrispettivo fosse a carico
del socio privato della costituenda società
mista.
Infatti se è vero, come affermato dal
ricorrente, che il Comune in questo modo ha
promesso l’obbligazione o il fatto del
terzo, è anche vero che in caso di
inadempimento del terzo la prestazione non
resta a carico del promittente, ma sorge a
suo carico esclusivamente un’obbligazione
indennitaria (art. 1381 c.c.). Ne consegue
che non esisteva un’obbligazione
giuridicamente perfezionata a carico del
Comune per l’intero ammontare del valore
dell’incarico e, di conseguenza, non
sussistevano i presupposti per l’assunzione
di un impegno di spesa ai sensi dell’art.
183 del D.Lgs. 267/2000 per l’intera somma
e neppure quelli per la sottoposizione
dell’atto all’indirizzo della Giunta.
A ciò si aggiunge che l’atto di indirizzo,
quale atto integrativo della competenza
dirigenziale, è ampiamente discrezionale, se
rettamente inteso come atto volto a fissare
le linee generali da seguire e gli scopi da
perseguire, con la conseguenza che, da un
lato, non dà titolo al risarcimento del
danno in quanto non è possibile stabilire,
neppure in forma probabilistica, quale
sarebbero state le possibilità di un esito
diverso; dall’altro la sua mancanza si
risolve in un vizio meramente formale, che
può essere sanato mediante ratifica.
6.
Il secondo motivo di ricorso è
inammissibile, essendo evidente che colui
che contesta di non essere stato invitato
alla gara non ha interesse a mettere in
dubbio la necessità dell’affidamento
all’esterno del servizio. Infatti nessun
vantaggio può derivargli dall’accertamento
che l’amministrazione avrebbe potuto trovare
le competenze tecniche necessarie allo
svolgimento dell’incarico al proprio
interno.
7.
Il terzo motivo è egualmente
infondato, non essendo possibile desumere
dal semplice fatto che abbia presentata
domanda uno solo degli invitati, che gli
inviti spediti dal Comune fossero
finalizzati a favorire solo
l’aggiudicatario.
Infatti la scelta dei soggetti da invitare
alla gara, effettuata dall’amministrazione
attraverso l’utilizzo dell’albo degli
avvocati di Milano, risponde a criteri di
trasparenza e di proporzionalità rispetto
all’oggetto della gara in quanto la
professionalità richiesta in via principale
era quella di avvocato. Non sussistendo
infatti sul mercato, per i noti limiti
all’esercizio della professione legale in
forma societaria, solo da poco in fase di
superamento, figure professionali complesse
in grado di soddisfare contemporaneamente
requisiti legali e tecnici,
l’amministrazione ha correttamente fatto una
scelta nell’ambito dei professionisti ai
quali era richiesta la prestazione
principale, rimanendo a loro carico il
compito di trovare le modalità organizzative
volte ad associare altri tipi di
professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che, a differenza di
quanto affermato dal ricorrente, la scelta
dell’amministrazione, non contestata dal
ricorrente, di assoggettare gli appalti dei
servizi legali in questione alla disciplina
degli artt. 20 e 27 del Codice degli
appalti, in quanto rientranti nell'allegato
2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la
possibilità di assoggettarli alla disciplina
degli altri contratti di lavoro autonomo di
alta professionalità prevista dall’art. 7,
comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una
disciplina esaustiva della materia (vedi
parere della Corte dei Conti, Sezione delle
Autonomie, del 14.03.2008 "Linee di
indirizzo e criteri interpretativi dell'art.
3, commi 54-57 della L. 244/2007, in materia
di Regolamenti degli Enti Locali per
l'affidamento di incarichi di
collaborazione, studio, ricerca e consulenza").
8.
Il quarto motivo va respinto, essendo
l’amministrazione tenuta, ai sensi dell’art.
27 del Codice, ad osservare il principio di
rotazione nell’assegnazione degli incarichi
di cui all’allegato IIB al Codice.
In materia la giurisprudenza ha affermato
che è legittima la scelta della P.A. di non
prendere in considerazione l’offerta di una
ditta del settore, non invitata ad una
procedura semplificata ed accelerata di
cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11,
del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha
presentato comunque l’offerta, ove sia stata
motivata con riferimento al fatto che
-nonostante la partecipazione di un solo
concorrente dei cinque formalmente invitati-
la ditta interessata sia stata più volte
invitata in passato a procedure di cottimo
fiduciario, e, in un caso, sia risultata
aggiudicataria (Tar Lombardia, Brescia, II,
21.01.2011 n. 137).
Analoghe considerazioni valgono per il caso
in questione, avendo il ricorrente già
fruito di plurimi incarichi senza gara, ed
in mancanza di prova del fatto che il
ricorrente fosse l’unico in grado di fornire
il servizio richiesto. L’amministrazione ha
quindi correttamente applicato principi di
parità di trattamento e di concorrenza che
hanno permesso ad altri legali, aventi gli
stessi titoli del ricorrente, di instaurare
una collaborazione con il Comune in una
materia particolarmente complessa come la
redazione di atti di gara e di costituzione
di società.
...
13.
Il nono motivo di ricorso va respinto
in quanto la giurisprudenza (TAR LAZIO,
Roma, Sez. II-bis - 07/05/2009, n. 4893) ha
chiarito che l'art. 1, comma 67, della Legge
n. 266/2005, che ha introdotto il contributo
a favore dell'Autorità di Vigilanza sui
contratti pubblici (poi ribadito dall’art.
6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle
successive deliberazioni dell’Autorità di
vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008),
tutela un interesse erariale a contenuto
economico-finanziario, connesso alle
esigenze di copertura delle spese (generali
e di funzionamento) dell’Autorità di
vigilanza, e traduce tale interesse in una
nuova imposizione di carattere fiscale a
carico delle imprese interessate, mediante
la pretesa sostanziale all’ottenimento del
pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma,
viceversa, non si traduce né può tradursi,
nella previsione di filtri formali
insuscettibili di regolarizzazione formale e
quindi capaci di causare l’esclusione di
imprese che comunque adempiono al previsto
onere contributivo e che sono inoltre in
possesso dei prescritti requisiti economici
e professionali, e che consentirebbero
dunque di estendere la competizione per la
scelta della migliore offerta
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.05.2012 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: L.
Bellagamba,
Antiquata pronuncia del Consiglio di Stato:
il singolo affidamento al legale è incarico
fiduciario e non appalto pubblico di
servizio (commento a Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730 (link a
www.giustizia-amministrativa.it e link a www.linobellagamba.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI: Compete
al Sindaco o al Presidente della Provincia,
ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale
organo di rappresentanza dell’ente, il
conferimento della procura alle liti del
difensore senza la necessità di alcuna
preventiva autorizzazione.
E’ infondato anche il motivo d’appello
diretto contestare il capo della sentenza
appellata con cui i Primi Giudici hanno
sancito la violazione del principio che
attribuisce al dirigente ratione materiae
competente il compito di scegliere il legale
e, comunque, di autorizzare il conferimento
del patrocinio legale.
La Sezione non ravvisa ragione di
discostarsi dall’orientamento interpretativo
secondo cui compete al Sindaco o al
Presidente della Provincia, ai sensi del
D.lgs. n. 267/2000, quale organo di
rappresentanza dell’ente, il conferimento
della procura alle liti del difensore senza
la necessità di alcuna preventiva
autorizzazione (Cons. St., Sez. VI,
01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI,
09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli,
Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ.,
Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Cosa
cambia per i legali con il dl
liberalizzazioni. Il cliente deve poter
confrontare i prezzi. Ora il tariffario è
personalizzato.
Onorari forfettari o
compenso orario; palmario o patto di quota
lite: sono alcune delle possibili tecniche
di definizione del compenso dell'avvocato,
che, abrogate le tariffe di categoria, è
chiamato a stabilire un tariffario di studio
da proporre ai clienti. Con la clientela i
legali sono chiamati a stipulare contratti
scritti, dopo avere fornito una esaustiva
informazione sul costo presumibile del
processo ed eventualmente dopo avere fornito
un preventivo di massima (scritto se
richiesto dal cliente). E dal 13.08.2012
obbligo per gli avvocati di dotarsi di una
polizza assicurativa contro i rischi
professionali.
Sono queste in sintesi le novità portate da
ultimo dall'articolo 9 del decreto 1/2012, a
seguito delle modifiche apportate dalla
legge di conversione n. 27 del 24.03.2012,
in vigore dal 25.03.2012. L'obiettivo
dichiarato è di favorire la concorrenza nel
mercato delle professioni legali, anche se
il provvedimento potrà avere l'effetto di
calmierare i compensi per le toghe.
Vediamo di illustrare le ricadute pratiche
delle ultime novità.
Le tariffe.
Per quanto concerne le tariffe il decreto ha
disposto l'abrogazione delle tariffe delle
professioni regolamentate nel sistema
ordinistico.
Risolvendo un problema sorto a causa della
formulazione originaria del decreto legge la
legge di conversione ha dettato la
disciplina per la liquidazione giudiziale
degli onorari degli avvocati al termine di
una causa. In questo caso il compenso del
professionista sarà determinato con
riferimento a parametri stabiliti con
decreto del ministro della giustizia, da
adottare nel termine di 120 giorni
successivi alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto. Fino
ad allora (23.07.2012), in virtù di una
disposizione transitoria, continuano ad
applicarsi le tariffe forensi, anche se
limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali.
Preventivo e contratto col
cliente.
Cosa diversa dalla liquidazione giudiziale è
il contratto tra avvocato e cliente. A
questo proposito l'articolo 9 in commento
disciplina due fattispecie: il preventivo e
il contratto con il cliente.
Per il preventivo la legge dispone che in
ogni caso la misura del compenso è
previamente resa nota al cliente con un
preventivo di massima, che deve essere
adeguata all'importanza dell'opera e che va
pattuita indicando per le singole
prestazioni tutte le voci di costo,
comprensive di spese, oneri e contributi.
Inoltre il professionista deve rendere noto
al cliente il grado di complessità
dell'incarico, fornendo tutte le
informazioni utili circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
fino alla conclusione dell'incarico e deve
altresì indicare i dati della polizza
assicurativa per i danni provocati
nell'esercizio dell'attività professionale.
Il preventivo non deve essere
necessariamente fornito per iscritto e può
essere «di massima»: la legge sembra
chiedere al singolo avvocato di costruirsi
il personale tariffario, così da fornire ai
clienti la possibilità di confrontare i
prezzi praticati.
Il preventivo deve essere articolato per
voci di costo e quindi si potranno
articolare le attività di consulenza,
difensive e quelle accessorie di segreteria
e di accesso agli uffici giudiziari.
Diverso dal preventivo è il contratto con il
cliente, nel quale si pattuisce il compenso.
Mentre il preventivo potrebbe essere
pattuito anche oralmente, ai sensi
dell'articolo 2233 del codice civile, sono
nulli, se non redatti in forma scritta, i
patti conclusi tra gli avvocati e i
praticanti abilitati con i loro clienti che
stabiliscono i compensi professionali.
Quindi il contratto con il cliente deve
essere redatto in forma scritta.
A questo proposito l'articolo 9 prevede che
il compenso per le prestazioni professionali
deve essere pattuito, nelle forme previste
dall'ordinamento, al momento del
conferimento dell'incarico professionale.
Per il compenso è possibile usare anche una
delle seguenti tecniche:
-forfait
-palmario
-patto di quota lite
-compenso orario (anche per le attività
giudiziali).
Il compenso forfettario è quello che vincola
l'avvocato a un compenso fisso, ma potrebbe
dare adito a diversi problemi: se
sottostimato potrebbe non essere
remunerativo per l'avvocato e, quindi,
essere contrario al principio di
corrispondenza del compenso al decoro della
professione; se troppo alto potrebbe essere
disincentivante per il cliente a conferire
l'incarico; d'altra parte l'avvocato
potrebbe essere portato a stimare tutta la
possibile attività con una lievitazione
dell'importo.
Le altre fattispecie.
Il palmario è il premio pattuito in aggiunta
all'onorario per il caso di vittoria o di
risultato positivamente valutabile per il
cliente.
Il patto di quota lite è l'accordo con cui
si stabilisce un compenso dell'avvocato
esclusivamente in caso di vittoria (totale o
parziale) ed è quantificato in una quota del
risultato utile conseguito dal cliente.
Il compenso orario era già previsto dal
Tariffario forense, ma solo per l'attività
stragiudiziale (assistenza e pareri). Con le
nuove disposizioni si può pattuire un
compenso orario anche per l'attività
giudiziale. Anche se questo obbliga ad una
analitica registrazione del tempo impiegato.
Peraltro è opportuno osservare una
registrazione dettagliata delle attività
svolte, qualunque sia la tecnica seguita di
pattuizione del compenso.
Le tecniche di determinazione del compenso
potrebbero anche essere combinate insieme:
ad esempio un compenso fisso forfettario
combinato con un compenso orario, oppure un
compenso fisso forfettario combinato con un
onorario aggiuntivo in caso di risultato
favorevole o, ancora, un compenso orario
ridotto con l'aggiunta di un onorario di
risultato favorevole.
Quanto alle condizioni contrattuali, in
relazione all'esigenza di poter tenere conto
di eventi non prevedibili soprattutto dei
processi, si possono inserire clausole di
rinegoziazione del compenso o clausole
pattizie alternative
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.05.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI: P.a., incarico al legale senza gara.
L'affidamento per la difesa in giudizio è
contratto d'opera. Il Consiglio di stato
esclude che il singolo conferimento
costituisca un appalto di servizi.
L'affidamento, da parte di una
amministrazione pubblica, di un incarico a
un avvocato per la difesa in giudizio non
richiede l'esperimento di una procedura
selettiva; il singolo conferimento non
costituisce un appalto di servizi legali, di
assistenza e consulenza giuridica di durata
determinata, soggetto al Codice dei
contratti pubblici, bensì un contratto
d'opera professionale affidabile in via
diretta.
È quanto ha affermato il
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730
(estensore
Francesco Caringella) rispetto ad una
vicenda che prende le mosse dal conferimento
senza gara –da parte di una amministrazione
provinciale– di un incarico a favore di due
avvocati per l'impugnativa di un lodo
arbitrale che, come spesso accade, aveva
visto l'amministrazione soccombente.
In primo grado il Tar Lazio, Latina, sezione
prima, con sentenza 604 del 2011, nel
presupposto che l'atto di conferimento
dell'incarico legale dovesse rientrare
nell'ambito dei «servizi legali» di cui
all'allegato II B del codice dei contratti
pubblici (dlgs 163/2006), aveva affermato la
violazione dei principi di evidenza pubblica
e conseguentemente aveva accolto il ricorso.
In appello i giudici di Palazzo Spada
ribaltano il giudizio di primo grado
contestando in toto l'assunto per cui sia
l'attività di assistenza e consulenza
giuridica di carattere continuativo, sia il
singolo conferimento di un incarico di
patrocinio legale, possano essere ricondotti
all'interno della nozione di «servizi
legali» di cui al punto 21 dell'allegato II
B del Codice degli appalti. La sentenza di
appello afferma che l'equiparazione delle
due fattispecie di affidamento non
corrisponde ad un dato fondamentale che,
invece, differenzia le due ipotesi: nel
singolo incarico di patrocinio legale vi
sono puntuali esigenze di difesa dell'ente
locale da difendere, viceversa l'assistenza
e la consulenza giuridica si caratterizzano
per la presenza di una specifica
organizzazione, dalla complessità
dell'oggetto e per la predeterminazione
della durata.
Per i giudici di Palazzo
Spada, se nel primo caso si è in presenza di
un contratto d'opera intellettuale, nel
secondo caso, invece, si può aderire alla
qualificazione del contratto come appalto di
servizi in cui le attività professionali si
inseriscono all'interno di una
organizzazione rispondente ai bisogni
dell'amministrazione appaltante. Il
Consiglio di stato ricorda anche che fin dal
decreto legislativo n. 157/1995 i servizi
legali non erano comunque soggetti
all'applicazione di tutte le norme del
decreto, ma soltanto di quelle in materia di
pubblicità successiva e specifiche tecniche.
La sentenza di appello afferma quindi che
nella nozione di servizi legali rientrano i
«soli affidamenti di servizi legali
conferiti mediante un appalto - ossia un
contratto caratterizzato da un quid pluris,
sotto il profilo dell'organizzazione, della
continuità e della complessità»; a tale
riguardo il Consiglio di stato cita come
esempio la disciplina speciale prevista per
i servizi di ingegneria e architettura. Ben
altra cosa è quindi il contratto di
conferimento dell'incarico difensivo
specifico, «integrante mero contratto d'opera intellettuale, come tale esulante
dalla nozione di contratto di appalto
abbracciata dal legislatore comunitario». In
sostanza è la complessità e articolazione
della prestazione, unita ad una specifica
organizzazione, a differenziare l'appalto di
servizi legali rispetto al contratto d'opere
professionale.
Da ciò i giudici fanno
discendere che al conferimento del singolo e
puntuale incarico legale non si applica
neanche l'articolo 27 del codice dei
contratti pubblici, che delinea una
procedura concorsuale (con invito a cinque)
«incompatibile con la struttura della
fattispecie contrattuale, qualificata, alla
luce dell'aleatorietà dell'iter del
giudizio, dalla non predeterminabilità degli
aspetti temporali, economici e sostanziali
della prestazioni e dalla conseguente
assenza di basi oggettive sulla scorta delle
quali fissare i criteri di valutazione
necessari in forza della disciplina recata
dal codice dei contratti pubblici»
(articolo ItaliaOggi
del 17.05.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Consiglio di Stato: il conferimento del
patrocinio legale non è soggetto a gara.
Con
sentenza 11.05.2012 n. 2730 la Sez. IV
del Consiglio di Stato -ribaltando la
decisione di primo grado del TAR Lazio, sez.
staccata di Latina, sez. I n. 604/2011- ha
ritenuto che l’affidamento
diretto di un incarico legale finalizzato
all’impugnazione di lodo arbitrale non
rientri tra i servizi giuridici di cui
all'allegato B, n. 21, del Codice degli
Appalti.
Al tempo stesso, sottolinea il Consiglio di
Stato, l’attività di
selezione del difensore dell’ente pubblico,
pur non soggiacendo all’obbligo di
espletamento di una procedura comparativa di
stampo concorsuale, è comunque soggetta "ai
principi generali dell’azione amministrativa
in materia di imparzialità, trasparenza e
adeguata motivazione onde rendere possibile
la decifrazione della congruità della scelta
fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno
di difesa da appagare".
In definitiva, le norme in
tema di appalti di servizi vengono in
rilievo "quando il professionista sia
chiamato a organizzare e strutturare una
prestazione, altrimenti atteggiantesi a mera
prestazione di lavoro autonomo in un
servizio (nella fattispecie, legale), da
adeguare alle utilità indicate dall’ente,
per un determinato arco temporale e per un
corrispettivo determinato", ma non nel
caso di conferimento di "singolo incarico
episodico, legato alla necessità
contingente, non costituisca appalto di
servizi legali ma integri un contatto
d’opera intellettuale che esula dalla
disciplina codicistica in materia di
procedure di evidenza pubblica".
La decisione del Consiglio di Stato sembra
distinguere tra incarichi giudiziali e non:
di questo, tuttavia, non vi è certezza
assoluta, in quanto l'elemento
discriminatore non è individuato nella
natura del patrocinio ma "tra singole
prestazioni d’opera e servizi intesi come
complesso organizzato di utilità erogate con
prestazioni ripetute ed organizzate"
(commento tratto da http://studiospallino.blogspot.it).
---------------
2. L’appello è fondato.
2.1 I primi giudici hanno posto a
fondamento del decisum di accoglimento
l’assunto della riconduzione dell’atto di
conferimento del singolo incarico legale
nella categoria dei “servizi legali”
di cui all’allegato II B, n. 21, al codice
dei contratti pubblici, traendo da tale
premessa i precipitato dell’applicazione a
tale fattispecie, ai sensi dell’articolo 20,
delle norme di cui agli articoli 65, 68 e
225 del medesimo codice e dei principi
valevoli per i contratti esclusi ai sensi
dell’articolo 27.
Il Tribunale ha mostrato, in tal guisa, di
aderire all’orientamento ermeneutico secondo
cui tanto l’attività di assistenza e
consulenza giuridica di carattere
continuativo quanto il conferimento del
singolo incarico di patrocinio legale
sarebbero annoverabili nell’unica ed
omnicomprensiva nozione di “servizi
legali” di cui al punto 21 dell’allegato
II B del Codice degli appalti.
A sostegno della tesi il Tribunale ha
valorizzato l’ampiezza della nozione di
appalto di servizi abbracciata dal codice,
comprensiva anche di affidamenti a beneficio
di liberi professionisti oltre che di
imprenditori, in una con la considerazione
che il riferimento letterale ai “servizi”,
sarebbe sintomatico, con l’uso del plurale,
della volontà di comprendere sia il caso del
conferimento del singolo incarico che
l’ipotesi dell’attribuzione, in termini
generali, di un incarico di
consulenza-difesa dell’ente per un
determinato periodo di tempo.
Il Tribunale ha soggiunto che alla
differenziazione delle due fattispecie non è
dato pervenire per il tramite della
valorizzazione del carattere fiduciario del
singolo incarico, posto che l’intuitus
personae è tratto che permea in modo
identico e indefettibile qualsiasi incarico
professionale, ivi compreso quello
sostanziantesi nell’affidamento del
complesso delle attività di consulenza e di
patrocinio per un certo periodo di tempo.
2.2. La Sezione,
in adesione ai rilievi svolti
dall’appellante, reputa che l’assimilazione sostenuta dal Tribunale non
tenga nel debito conto la differenza
ontologica che, ai fini della qualificazione
giuridica delle fattispecie e delle ricadute
ad essa conseguenti in materia di soggezione
alla disciplina recata dal codice dei
contratti pubblici, connota l’espletamento
del singolo incarico di patrocinio legale,
occasionato da puntuali esigenze di difesa
dell’ente locale, rispetto all’attività di
assistenza e consulenza giuridica,
caratterizzata dalla sussistenza di una
specifica organizzazione, dalla complessità
dell’oggetto e dalla predeterminazione della
durata.
Tali elementi di differenziazione
consentono, infatti, di concludere che,
diversamente dall’incarico di consulenza e
di assistenza a contenuto complesso,
inserito in un quadro articolato di attività
professionali organizzate sulla base dei
bisogni dell’ente, il conferimento del
singolo incarico episodico, legato alla
necessità contingente, non costituisca
appalto di servizi legali ma integri un
contatto d’opera intellettuale che esula
dalla disciplina codicistica in materia di
procedure di evidenza pubblica.
2.2.1. A sostegno dell’assunto depone, in
prima battuta, il rilievo che le
disposizioni che riguardano i “servizi
legali” non rappresentano affatto una
novità introdotta nell’ordinamento interno a
seguito della direttiva 2004/18/CE, in
quanto già il D.Lgs 17.03.1995, n. 157 (“Attuazione
della direttiva 92/50/CEE in materia di
appalti pubblici di servizi”), indicava,
nell’allegato 2, una serie di servizi, tra
cui i “servizi legali”, relativamente
ai quali non si applicava la disciplina
generale nella sua integralità ma solo
alcune disposizioni del citato decreto
legislativo e, segnatamente: l’eventuale
pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione
(art. 8, co. 3); l’obbligo per
l’amministrazione aggiudicatrice di definire
le “specifiche tecniche” del servizio
nei capitolati d’oneri o nei documenti
contrattuali relativi a ciascun appalto
(art. 20), obbligo quest’ultimo, soggetto
peraltro a deroghe (art. 21).
Tutta una serie di servizi erano poi
esclusi, in via integrale,
dall’assoggettamento alle norme del decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando”
delle premesse alla direttiva 1992/50/CE,
trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995, che
“la prestazione di servizi è disciplinata
dalla presente direttiva soltanto quando si
fondi su contratti d'appalto; nel caso in
cui la prestazione del servizio si fondi su
altra base, quali leggi o regolamenti ovvero
contratti di lavoro, detta prestazione esula
dal campo d'applicazione della presente
direttiva”.
2.2.2. Detto dato storico consente di
lumeggiare la riproposizione della nozione
di servizi legali nella legislazione,
comunitaria e nazionale, successiva, nel
senso di limitare l’ambito di operatività
della categoria al soli affidamenti di
servizi legali conferiti mediante un appalto
-ossia un contratto caratterizzato da un
quid pluris, sotto il profilo
dell’organizzazione, della continuità e
della complessità- rispetto al contratto di
conferimento dell’incarico difensivo
specifico, integrante mero contratto d’
opera intellettuale, species del genus
contratto di lavoro autonomo, come tale
esulante dalla nozione di contratto di
appalto ratione materiae abbracciata
dal legislatore comunitario.
In altre parole, il servizio legale, per
essere oggetto di appalto, richiede un
elemento di specialità, per prestazione e
per modalità organizzativa, rispetto alla
mera prestazione di patrocinio legale.
L’affidamento di servizi legali è, a questa
stregua, configurabile allorquando l’oggetto
del servizio non si esaurisca nel patrocinio
legale a favore dell’Ente, ma si configuri
quale modalità organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più
complesso e articolato, che può anche
comprendere la difesa giudiziale ma in essa
non si esaurisce (cfr. determinazione n. 4
del 07.07.2011, dell’Autorità di Vigilanza
sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture).
2.2.3. In tal senso depone, sul piano
normativo, anche la prescrizione che, per
l’affidamento di tali servizi, pretende
l’indicazione delle specifiche tecniche
fissate dal committente (art. 68 del
codice), così configurando la condizione,
non compatibile con un mero contratto di
patrocinio legale isolato, per permettere
l’apertura dell’appalto alla concorrenza
(cfr. il ventinovesimo “considerando”
alla direttiva n. 18 del 2004).
Ed ancora, una conferma in tal senso può
desumersi dal quarantasettesimo “considerando”
della medesima direttiva n. 18/2004 alla
stregua dei condivisibili rilevi svolti da
Corte dei Conti, Sezione Regionale di
Controllo per la Basilicata deliberazione n.
19/2009. “Posto che negli appalti
pubblici di servizi, i criteri di
aggiudicazione non devono influire
sull'applicazione delle disposizioni
nazionali relative alla rimunerazione di
taluni servizi, quali ad esempio le
prestazioni degli architetti, degli
ingegneri o degli avvocati, il prezzo di
tali servizi, così determinato, di per sé
solo, non sarebbe idoneo a garantire quella
valutazione delle offerte in condizioni di
effettiva concorrenza, che ammette soltanto
l'applicazione di uno dei due criteri di
aggiudicazione, quello del prezzo più basso
e quello della offerta economicamente più
vantaggiosa. Da quanto precede non sembra,
dunque, che il legislatore comunitario si
sia preoccupato di regolare le modalità di
affidamento dei contratti del tutto esclusi
dall’ambito della disciplina degli appalti
pubblici. Tra questi, il contratto di lavoro
autonomo avente a oggetto il patrocinio
legale, stipulato con un’amministrazione
aggiudicatrice”.
2.2.4. Le norme di tema di appalti di
servizi vengono, in definitiva, in rilievo
quando il professionista sia chiamato a
organizzare e strutturare una prestazione,
altrimenti atteggiantesi a mera prestazione
di lavoro autonomo in un servizio (nella
fattispecie, legale), da adeguare alle
utilità indicate dall’ente, per un
determinato arco temporale e per un
corrispettivo determinato.
Si può così affermare, in adesione alla
parabola argomentativa a tracciata dalla
richiamata deliberazione n. 19/2009 della
Corte dei conti, sez. reg. Basilicata, che,
solo con riguardo ad un appalto così
strutturato, l’obbligo del committente di
indicare, adeguandole alla natura del
servizio, le specifiche tecniche che
consentono di definire l’oggetto
dell’appalto e le modalità della
prestazione, assume concreta valenza
selettiva delle offerte presentate proprio
nell’ambito di un servizio organizzato e
strutturato.
Per converso, il contratto di conferimento
del singolo e puntuale incarico legale,
presidiato dalle specifiche disposizioni
comunitarie volte a tutelare la libertà di
stabilimento del prestatore in quanto
lavoratore, non può soggiacere, neanche nei
sensi di cui all’articolo 27 del codice dei
contratti pubblici, ad una procedura
concorsuale di stampo selettivo che si
appalesa incompatibile con la struttura
della fattispecie contrattuale, qualificata,
alla luce dell’aleatorietà dell’iter del
giudizio, dalla non predeterminabilità degli
aspetti temporali, economici e sostanziali
della prestazioni e dalla conseguente
assenza di basi oggettive sulla scorta delle
quali fissare i criteri di valutazione
necessari in forza della disciplina recata
dal codice dei contratti pubblici.
Lo stesso codice dei contratti pubblici, nel
dettare una specifica disciplina, di natura
speciale, dei servizi di ingegneria e di
architettura volta a enucleare un sistema di
qualificazione e di selezione per
determinate tipologie di prestazioni
d’opera, conferma l’inesistenza di un
principio generale di equiparazione tra
singole prestazioni d’opera e servizi intesi
come complesso organizzato di utilità
erogate con prestazioni ripetute ed
organizzate.
Si deve aggiungere che, come osservato da
attenta dottrina, l’attività del
professionista nella difesa e nella
rappresentanza dell’ente è prestazione
d’opera professionale che non può essere
qualificata in modo avulso dal contesto in
cui si colloca, id est l’ambito
dell’amministrazione della giustizia,
settore statale distinto e speciale rispetto
ai campi dell’attività amministrativa
regolati del codice dei contratti pubblici.
Resta inteso che l’attività di selezione del
difensore dell’ente pubblico, pur non
soggiacendo all’obbligo di espletamento di
una procedura comparativa di stampo
concorsuale, è soggetta ai principi generali
dell’azione amministrativa in materia di
imparzialità, trasparenza e adeguata
motivazione onde rendere possibile la
decifrazione della congruità della scelta
fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno
di difesa da appagare.
2.2.5. Alla stregua dei rilievi che
precedono deve essere accolto il motivo di
appello volto a censurare il capo della
sentenza che ha accolto il motivo di ricorso
diretto a censurare l’omesso espletamento
della procedura di evidenza pubblica (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI: Compete
al Sindaco o al Presidente della Provincia,
ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale
organo di rappresentanza dell’ente, il
conferimento della procura alle liti del
difensore senza la necessità di alcuna
preventiva autorizzazione.
E’ infondato anche il motivo d’appello
diretto contestare il capo della sentenza
appellata con cui i Primi Giudici hanno
sancito la violazione del principio che
attribuisce al dirigente ratione materiae
competente il compito di scegliere il legale
e, comunque, di autorizzare il conferimento
del patrocinio legale.
La Sezione non ravvisa ragione di
discostarsi dall’orientamento interpretativo
secondo cui compete al Sindaco o al
Presidente della Provincia, ai sensi del
D.lgs. n. 267/2000, quale organo di
rappresentanza dell’ente, il conferimento
della procura alle liti del difensore senza
la necessità di alcuna preventiva
autorizzazione (Cons. St., Sez. VI,
01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI,
09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli,
Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ.,
Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
M. Gargano,
Incarichi legali esterni solo in assenza di
una struttura interna competente - Tutta la
disciplina per il conferimento di incarichi
esterni da parte delle PA
(tratto da Diritto e Pratica
Amministrativa n. 3/2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
In attesa dell’adozione del
decreto ministeriale di cui al comma 2
dell’art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012,
si deve comunque farsi luogo alla
liquidazione giudiziale delle spese di lite,
comprensive degli onorari di difesa, qualora
l’organo giudicante non ritenga di procedere
alla loro compensazione ai sensi dell’art.
26 c.p.a., che a sua volta rinvia agli artt.
91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c..
In particolare, ritiene il Collegio che
–fintanto che non saranno stabiliti i
parametri in forza dei quali determinare il
compenso professionale– possano continuare
ad applicarsi, all’attività processuale
svolta, le tariffe professionali
precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del
2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare
le spese di lite e, in particolare, gli
onorari di difesa, deve procedere, in
mancanza di qualsivoglia parametro
normativo, in via equitativa: detta equità
può ben essere esercitata tramite il
riferimento alle precedenti tariffe
professionali.
Ne consegue che la liquidazione degli
onorari di difesa e dei diritti e il
rimborso delle spese sarà effettuato
impiegando, quale mero parametro, il D.M. n.
127 del 2004, contenente le tariffe
precedentemente in vigore, ancorché esso non
sia più obbligatorio perché abrogato dal
decreto legge n. 1 del 2012.
...
Le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come in dispositivo.
In proposito, il Collegio osserva quanto
segue.
Come noto, prima dell’entrata in vigore del
decreto-legge n. 1 del 2012, gli “onorari
di difesa” venivano liquidati
dall’organo giudicante facendo riferimento
alle tariffe adottate mediante deliberazione
del Consiglio nazionale forense, approvata
dal Ministro della Giustizia. L’art. 9,
comma 1, del suddetto decreto-legge ha
abrogato “le tariffe delle professioni
regolamentate nel sistema ordinistico”.
Tuttavia, il medesimo articolo, al comma 2,
ha previsto che “nel caso di liquidazione
da parte di un organo giurisdizionale, il
compenso del professionista è determinato
con riferimento a parametri stabiliti con
decreto del ministro vigilante". Il
suddetto decreto non è ancora stato
adottato.
Tanto premesso, ritiene questo Tribunale
che, in attesa dell’adozione del decreto
ministeriale di cui al comma 2 dell’art. 9
del decreto-legge n. 1 del 2012, debba
comunque farsi luogo alla liquidazione
giudiziale delle spese di lite, comprensive
degli onorari di difesa, qualora l’organo
giudicante non ritenga di procedere alla
loro compensazione ai sensi dell’art. 26
c.p.a., che a sua volta rinvia agli artt.
91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c..
In particolare, ritiene il Collegio che
–fintanto che non saranno stabiliti i
parametri in forza dei quali determinare il
compenso professionale– possano continuare
ad applicarsi, all’attività processuale
svolta, le tariffe professionali
precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del
2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare
le spese di lite e, in particolare, gli
onorari di difesa, deve procedere, in
mancanza di qualsivoglia parametro
normativo, in via equitativa: detta equità
può ben essere esercitata tramite il
riferimento alle precedenti tariffe
professionali.
Ne consegue che la liquidazione degli
onorari di difesa e dei diritti e il
rimborso delle spese sarà effettuato
impiegando, quale mero parametro, il D.M. n.
127 del 2004, contenente le tariffe
precedentemente in vigore, ancorché esso non
sia più obbligatorio perché abrogato dal
decreto legge n. 1 del 2012 (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 14.03.2012 n. 262 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2012 |
|
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI: Gli
incarichi di assistenza legale sono
competenza solo dei dirigenti. Consiglio di
Stato. Stop al sindaco nelle amministrazioni
che hanno l'avvocatura.
Gli incarichi di
assistenza legale negli enti locali che
hanno l'avvocatura devono essere conferiti
esclusivamente dal dirigente della stessa e
non dal sindaco.
È l'importante e, per molti aspetti
innovativa, indicazione contenuta nella
sentenza 14.02.2012 n. 730
del Consiglio di Stato
(Sez. V).
Sulla base di questo principio viene messa
in discussione la legittimità di molti degli
incarichi di nomina dei legali delle Pa.
Nella pronuncia è inoltre chiarito che i
regolamenti di organizzazione di Comuni e
Province non possono limitare l'autonomia
dell'avvocatura.
Si chiarisce espressamente che «il
rappresentante legale dell'ente manifesta la
volontà di costituirsi in un eventuale
giudizio, ma non può anche provvedere (né
lui né la Giunta) alla nomina del difensore,
né interno, cosa che compete sicuramente al
capo dell'ufficio legale, né esterno,
vicenda che si articola, innanzitutto, in
una dichiarazione che sussistono elementi
per poter affidare la difesa tecnica
all'esterno ad opera dell'ufficio legale e
successiva nomina del difensore del libero
foro, che compete necessariamente al capo
dell'ufficio legale, trattandosi di un vero
e proprio contratto di prestazione
intellettuale, ricadente come tale nelle
attività gestionali di competenza dei
dirigenti dell'amministrazione».
Come si vede, la sentenza innova la
giurisprudenza precedente, secondo cui il
rappresentante legale dell'ente, cioè il
sindaco o il presidente della provincia, può
scegliere il legale o quanto meno concorrere
alla sua scelta. Il che obbliga la
stragrande maggioranza delle amministrazioni
a modificare regolamenti e abitudini.
La sentenza stabilisce i termini della «sottoposizione
dell'ufficio legale alle direttive e agli
ordini del direttore generale, il quale, se
certamente può intervenire a coordinare gli
uffici (tutti gli uffici, anche quello
legale), non può indubbiamente interferire
sull'organizzazione interna e sulle modalità
di organizzazione del lavoro, innanzitutto
perché si tratta di un'attività tecnica (in
senso giuridico) e, poi, perché gli uffici
legali degli enti pubblici devono godere di
quella particolare autonomia di pensiero e
di organizzazione che sola può consentire
l'esplicazione corretta e proficua della
loro attività». Viene così riaffermata
con nettezza l'autonomia di cui devono
godere gli uffici legali delle Pa locali.
Ciò significa che gli enti hanno un'ampia
discrezionalità che non può essere messa in
discussione, ma va esercitata «nel
rispetto delle statuizioni esistenti e, in
particolare, delle guarentigie attribuite a
determinate categorie di soggetti operanti
nell'ambito della pubblica amministrazione».
Tra esse occorre fare riferimento, alla
necessità che l'avvocatura delle Pa non sia
«sottoposta né a condizionamenti, né a
valutazioni che possano in qualche modo
svilirne il modo di essere»
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Il Sindaco e il Presidente della
Provincia hanno la rappresentanza in
giudizio dell'Ente Locale senza necessità di
preventiva autorizzazione salvo diversa
previsione statutaria.
Negli enti locali, nella vigenza della legge
n. 142/1990, il potere di autorizzazione a
stare in giudizio era di competenza della
Giunta Comunale e il potere di conferire la
procura del Sindaco (Cass. civ., sez. I,
21.12.2002 n. 18224 e 10.09.2003 n.13218).
Dopo l’entrata in vigore del Testo Unico
Enti Locali (d.lgs. n. 267/2000), la
giurisprudenza ha affermato che la
rappresentanza in giudizio dell’ente locale
spetta al Sindaco o al Presidente della
Provincia, senza necessità di preventiva
autorizzazione a stare in giudizio, e ciò
salvo diversa previsione dello Statuto, il
quale può sia prevedere la necessità della
persistenza dell’autorizzazione,
attribuendone il relativo potere, sia
affidare la rappresentanza dell’ente ad un
dirigente, o anche al dirigente dell’ufficio
legale, con riferimento all’intero
contenzioso (Cass. Sez. Un., 27.06.2005 n.
13710; Cons. St., sez. V, 07.09.2007 n.
4721; Cass. civ., sez. I, 13.01.2010 n. 387;
sez. III, 05.08.2010 n. 18158) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 10.02.2012 n. 701 -
massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Non compete né alla Giunta né
al Dirigente conferire il mandato
all'avvocato per la difesa dell'Ente Locale,
bensì al Sindaco salvo diversa disposizione
statutaria.
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato
è chiamato, tra l'altro, ad esaminare
l'eccezione formulata dall'appellante di
asserita incompetenza dell’organo giuntale a
decidere di proporre appello avverso la
sentenza di primo grado, trattandosi,
secondo la tesi dell’appellante, di atto
rientrante nella competenza propria dei
dirigenti.
Sul punto il Collegio osserva che, secondo
un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, dall’esame degli articoli
35 e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi
trasfusi negli articoli 48, comma 2, e 50,
commi 2 e 3, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267,
si ricava il principio secondo cui
competente a conferire al difensore del
Comune la procura alle lite è il sindaco,
non essendo più necessaria l’autorizzazione
della Giunta Municipale, atteso che al
Sindaco è attribuita la rappresentanza
dell’ente (Cass. SS.UU. 10.05.2001, n. 186;
10.12.2002, n. 17550), con la conseguenza
che la decisione di agire e resistere in
giudizio ed il conferimento del mandato alle
liti competono in via ordinaria e salva
deroga statutaria, al rappresentante legale
dell’ente, senza bisogno di autorizzazione
della giunta o dei dirigente competente
ratione materiae (C.d.S., sez. V,
18.03.2010, n. 1588; 07.09.2007, n. 4721,
16.02.2009, n. 848; sez. VI, 01.10.2008, n.
4744; 09.06.2006, n. 3452; Cass. civ. sez.
I, 17.05.2007, n. 11516), ferma restando
tuttavia la possibilità dello statuto
(competente a stabilire i modi di esercizio
della rappresentanza legale dell’ente, anche
in giudizio) di prevedere l’autorizzazione
della giunta (ovvero di richiedere una
preventiva determinazione del dirigente
ovvero ancora di postulare l’uno e l’altro
intervento) (Cass. SS.UU., 16.06.2005, n.
12868) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.02.2012 n. 650 -
massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
L'illegittimità della delibera di
conferimento dell'incarico difensivo
all'avvocato non incide sulla regolarità e
validità della costituzione in giudizio
dell’amministrazione comunale, essendo
tutt’al più causa di responsabilità
amministrativa o penale dell’organo che l’ha
adottata.
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato
rileva l'inammissibilità per difetto di
interesse della censura relativa
all'inammissibilità della delibera di
conferimento dell’incarico difensivo per non
essere stato scelto il difensore con
un’apposita procedura ad evidenza pubblica.
Sul punto il Collegio osserva che
l’eventuale illegittimità della delibera di
conferimento dell’incarico defensionale,
come prospettato dall’appellante, non incide
affatto sulla regolarità e validità della
costituzione in giudizio
dell’amministrazione comunale, essendo
tutt’al più causa di responsabilità
(amministrativa o penale) dell’organo che
l’ha adottata, senza perciò spiegare nessun
effetto favorevole, diretto ed immediato,
sulla posizione giuridica dell’appellata;
legittimati a dolersi di tale pretesa
illegittimità sarebbero stati soltanto altri
avvocati, eventualmente interessati a
partecipare alla procedura di evidenza
pubblica, della cui necessità tuttavia può
ragionevolmente dubitarsi, sia perché
l’affidamento (in mancanza di ulteriori
elemento di giudizio) riguarda sola la
controversia in esame (e non già i servizi
legali da prestare in favore
dell’amministrazione comunale), sia in
ragione del modestissimo ammontare della
spesa impegnata (€. 2.000,00) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.02.2012 n. 650 -
massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: LIBERALIZZAZIONI/
Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che
elimina l'obbligo per i professionisti.
Compensi, il preventivo non serve.
Tutti gli oneri vanno comunicati. Non
necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito
per iscritto solo se è il cliente a
chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno
il mero obbligo di comunicare il compenso al
momento del conferimento dell'incarico
indicando il dettaglio delle voci di costo,
delle spese e dei contributi.
È quanto
emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto
legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri,
in tema di professioni regolamentate.
Tra la
prima versione del dl uscita dal Cdm e
quella (rivisitata) oggi disponibile la
differenza è sostanziale giacché il
preventivo, pena l'apertura di una procedura
disciplinare, si rendeva necessario a
prescindere che il cliente avesse conferito
l'incarico (ante), mentre ora si parla
chiaramente di determinazione degli onorari
nel momento in cui il cliente ha effettuato
la scelta (post), tenendo conto
ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla conclusione
dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato
professionale» (definizione più corretta),
peraltro sempre predisposto dall'iscritto
all'albo più oculato anche al fine di
evitare ripensamenti ingiustificati da parte
del cliente, oltre che all'indicazione
presuntiva dell'onorario, debba indicare le
singole prestazioni e tutte le ulteriori
voci di costo, come spese, oneri e
contributi. In ogni caso la misura del
compenso deve essere adeguata all'importanza
dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va
coperto da assicurazione per eventuali danni
causati nell'esercizio dell'attività
professionale e i dati della polizza vanno
comunicati ali cliente. L'inottemperanza di
quanto disposto costituisce illecito
disciplinare del professionista. Va ancora
evidenziata la discriminazione tra gli
obblighi posti a carico dei professionisti
iscritti agli ordini, rispetto a quelli non
iscritti che, guarda caso, non dovendo
tenere conto di queste disposizioni, creano
vere e proprie «alterazioni» del
mercato
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Preventivo
scritto su richiesta. Il cliente potrà
sollecitare il conteggio - Tirocinio anche
negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto
Giustizia-Economia con parametri per
calcolare oneri e contribuzioni per la
previdenza notarile.
Contrordine: il preventivo del
professionista va messo per iscritto solo se
a richiederlo è il cliente stesso. Si
attenua la formulazione dell'articolo 9 del
Dl liberalizzazioni (atteso per la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale»)
che individua l'obbligo deontologico di
fornire per iscritto la pattuizione del
compenso e una previsione di onorario. Il
testo conferma il vincolo, tra cliente e
professionista, di mettere nero su bianco il
compenso per le prestazioni richieste (e i
dati della copertura assicurativa) con il
conferimento dell'incarico, la misura è «previamente
resa nota al cliente anche in forma scritta
se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto
ministeriale che dovrà fornire i parametri
che servono al giudice nei casi di
contenzioso e di liquidazione delle spese
giudiziali, si profila un altro decreto
Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i
parametri per oneri e contribuzioni alla
Casse professionali e agli archivi
precedentemente basati sulle tariffe».
Un riferimento alla Cassa dei notai che basa
i versamenti sul valore degli atti iscritti
dai professionisti nel repertorio notarile.
«Dall'onorario di repertorio –ha spiegato
Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del
notariato– dipendeva non solo il calcolo dei
contributi, ma anche le spese di
funzionamento di Ordini e Consiglio
nazionale, oltre che la cosiddetta tassa
archivio di cui noi siamo solo esattori,
visto che la giriamo allo Stato. Speriamo
solo che il decreto con i nuovi parametri
arrivi presto, perché la Cassa rischia di
non poter avere versamenti per settimane. Se
dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi
parametri tariffari solo per calcolare gli
oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri
possano rientrare come tariffe "mascherate"
nella determinazione degli onorari, la norma
chiarisce che ogni pattuizione di compenso
fatta sulla loro base è nulla. Nessuna
retromarcia, almeno in questa fase,
sull'equo compenso per il praticante, già
approvato lo scorso agosto con la legge
148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una
possibilità in più. Confermata la
possibilità –previa convenzione tra Ordini e
ministero dell'Istruzione– di svolgere i
primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al
massimo) in concomitanza con i corsi
universitari, analoghe convenzioni possono
essere stipulate tra Consigli nazionali e
ministero della Pubblica amministrazione per
consentire, a laurea ottenuta, di poter
svolgere il tirocinio, in tutto o in parte,
presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle
sigle sindacali Sic e Andoc non si
scandalizzano tanto per le misure sulle
tariffe, quanto piuttosto per «i danni»
delle semplificazioni su collegio sindacali
e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la
riduzione da tre a uno dei "controllori"
nelle Srl «non comporterà un risparmio a
carico delle piccole imprese destinatarie ma
solo maggiori responsabilità a carico dei
professionisti incaricati, sempre nominati
dalla maggioranza societaria». Nel
secondo caso, si profila la «mortificazione»
del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati
dell'Aiga, che se la prendono contro
l'abolizione dell'equo compenso da erogare
al praticante, introdotto con la manovra
d'agosto: «È evidente –sottolinea il
presidente di Aiga, Dario Greco– che il
Governo è a favore dei giovani soltanto a
parole, ma nei fatti è capace di sfornare
esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di
pattuizione scritta dei compensi e, a
richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza)
prevedono parametri per la liquidazione
giurisdizionale dei compensi e per la
determinazione di oneri e contribuzioni a
fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi
all'università non sono subito applicabili
perché necessitano di un accordo quadro tra
Consigli nazionali degli Ordini e Miur.
Stessa cosa per la possibilità di svolgere
il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai
liberi professionisti il patrimonio dei
condifi. Si applicano le norme del Dl
201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in
Gazzetta è atteso il decreto con la
distribuzione per Comuni della nuova pianta
organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le
procedure del concorso per la nomina di 200
notai e per i concorsi da 200 e 150 posti
banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso
per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito
un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia
le norme relative al vincolo, per il notaio,
di trascorrere almeno tre giorni la
settimana nel suo studio e almeno uno ogni
15 per ciascun Comune o frazione aggregati,
sia quelle che riguardano l'avvio
dell'azione disciplinare da parte di
procuratore della Repubblica e presidente
del Consiglio notarile
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: LIBERALIZZAZIONI/ Approvato
in consiglio dei ministri il decreto legge
sulla concorrenza. Professioni, nuovi
adempimenti.
Scatta l'obbligo del preventivo scritto e
dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti.
Debutta l'obbligo del preventivo scritto da
rilasciare al cliente sulla prestazione
richiesta. E soprattutto scatta il vincolo
della polizza assicurativa sui danni
eventualmente causati dall'esercizio
dell'attività professionale. Vanno quindi in
soffitta i tariffari (non più vincolanti dal
2006 ma comunque indicativi) per definire
l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover
calcolare tale compenso. In questo caso sarà
possibile utilizzare i parametri stabiliti
con decreto del ministero vigilante (cioè
gli stessi tariffari vietati fra privati).
Sono queste alcune delle previsioni
contenute nel decreto legge sulle
liberalizzazioni approvato ieri in consiglio
dei ministri.
Tariffe. Il governo sceglie la linea soft
(rispetto alle ipotesi della prima ora). Se
in una prima versione la definizione del
compenso era rimessa alla completa
contrattazione fra le parti, nel decreto
approvato si rimane confermata l'abrogazione
delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di
liquidazione dei compensi, potrà fare
riferimento ai parametri stabiliti con
decreto del ministero vigilante.
Questa
parte, in un primo momento non c'era. Ma non
solo. Restando in tema di compensi, questi
devono essere calcoli in base all'importanza
dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per
iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che
vuol dire che il professionista avrà la
possibilità di quantificare la qualità e il
rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il
decreto conferma che il professionista deve
rilasciare un preventivo scritto con il
prezzo della prestazione richiesta dal
cliente. L'atto deve essere corredato del
grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico.
L'inottemperanza di quanto disposto
costituisce illecito disciplinare e in
quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità
del provvedimento. In una prima versione del
Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per
il professionista di indicare nel preventivo
se era titolare o meno di una polizza
assicurativa. Nella versione approvata ieri
invece scatta un vero e proprio vincolo.
Anticipando così una misura contenuta
all'articolo 3, comma 5, della legge nella
legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha
inteso anticipare, infatti, è quella sui
tirocini. Nel confermare che il periodo di
pratica in studio utile ai fini della
partecipazione all'esame di stato non potrà
essere superiore ai 18 mesi, si prevede che
sei mesi potranno essere svolti durante il
corso di laurea. Servirà però una
convenzione quadro ad hoc stipulata fra i
consigli nazionali degli ordini e il
ministro dell'istruzione, università e
ricerca.
Questa disposizione non si applica
alle professioni sanitarie per le quali
resta confermata la normativa vigente. In
materia di tirocinio però, il governo ha
fatto saltare (indirettamente) l'equo
compenso previsto per il giovane che nella
legge 148/2011 era previsto. Il decreto,
sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra
di Ferragosto alcune sue parti. Una di
queste (articolo 3, comma 5, lettera c -
secondo periodo) è proprio la previsione
della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai.
L'attuale pianta organica (che prevede sulla
carta 5.779 professionisti in servizio anche
se al momento ce ne sono poco meno di
4.700), come revisionata da ultimo con i
decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è
aumentata di 500 posti. Per arrivare a
questo risulto si procederà con una serie di
concorsi a raffica. Non prima, però, di aver
concluso quelli in corso.
Al momento infatti
ci sono tre bandi che aspettano di essere
conclusi per 550 posti. Il decreto prevede
che entro il 2012 siano espletate tutte le
procedure per la nomina dei professionisti
nei vari distretti che ne necessitano. In un
secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500
posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad
altri 470 notai. Così facendo, a giudizio
dell'esecutivo, ci saranno abbastanza
professionisti sul mercato da creare la
concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per
assicurare il funzionamento regolare e
continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere
nel comune o nella frazione assegnatagli
studio aperto con il deposito degli atti,
registri e repertori notarili, e deve
assistere personalmente allo studio stesso
almeno tre giorni a settimana e almeno uno
ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione
di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale
sociale dei consorzi fidi e delle società
cooperative che esercitano l'attività di
garanzia collettiva fidi spazio ai liberi
professionisti. È quanto emerge dal decreto
che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011
(cosiddetta «manovra Monti»), convertito
nella legge n. 214/2011. I consorzi di
garanzia collettiva dei fidi sono enti
costituiti nella veste giuridica di
cooperativa o società consortile, che
esercitano in forma mutualistica attività di
garanzia collettiva dei finanziamenti in
favore delle imprese socie o consorziate.
La
modifica introdotta estende la
partecipazione anche ai liberi
professionisti (soci) a prescindere
dall'attività esercitata che, insieme alle
piccole e medie imprese (Pmi), devono
detenere almeno la metà più uno dei voti
esercitabili in assemblea, con il diritto a
nominare gli organi con funzione di gestione
e controllo strategico, di cui al richiamato
art. 39, dl n. 201/2011
(articolo ItaliaOggi del 21.01.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Obbligo
di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione
delle professioni sarà l'obbligatorietà di
procedure di gara da parte delle pubbliche
amministrazioni per selezionare i
professionisti cui affidare servizi,
compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni
incide sulle professioni con due mosse. In
primo luogo, abroga tutte le tariffe
professionali, sia minime sia massime (resta
il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche
le tariffe notarili: il testo attualmente
circolante si rivolge anche ai notai). In
secondo luogo, elemento maggiormente
importante per i comportamenti che dovranno
assumere le pubbliche amministrazioni,
introduce l'obbligo per tutti i
professionisti di concordare in forma
scritta con il cliente il preventivo per la
prestazione richiesta. Il decreto stabilisce
che la redazione del preventivo è un obbligo
deontologico del professionista, la cui
inottemperanza costituisce illecito
disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il
professionista è obbligato nei confronti di
ciascun cliente privato a presentare un
preventivo scritto, ciò deve valere a
maggior ragione per la pubblica
amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per
gli enti pubblici debbono essere
regolamentati in forma scritta a pena di
nullità. Come il professionista ha l'obbligo
deontologico di fornire il preventivo,
simmetricamente l'amministrazione pubblica
deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di
imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe
e della necessità del preventivo rompe per
sempre il fronte della «fiduciarietà» di
alcuni tipi di incarichi professionali, tra
i quali soprattutto quelli ad avvocati.
Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per
effetto dell'allegato II B, punto 21, del
codice dei contratti, che gli incarichi ad
avvocati non sono «incarichi» di consulenza
o collaborazione, tuttavia è rimasta forte
in dottrina e anche giurisprudenza la teoria
secondo la quale non si debbano rispettare i
canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra
avvocato e committente e in presenza di un
tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre
le amministrazioni a considerare l'aspetto
economico come elemento o tra gli elementi
fondamentali per la scelta del
professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo
e impostare una procedura concorrenziale,
applicando le procedure comunque
semplificate previste per i contratti ai
quali non si applica interamente la
disciplina del codice dei contratti
dall'articolo 27 del codice stesso, oppure
il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo
125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu
personae è destinata al definitivo tramonto,
tranne per casi da motivare di specifica
urgenza e necessità, indotte, nel caso degli
incarichi ai legali, dai termini
procedimentali previsti dalle leggi
processuali
(articolo ItaliaOggi del 20.01.2012). |
anno 2011 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Pa,
contratti con i legali al ribasso. Parcelle
da contrattare, forfetarie e anche sotto i
minimi. La manovra di ferragosto spinge gli
enti locali a risparmiare dovunque, pure
sulle spese.
Tariffari calmierati per
i legali delle amministrazioni locali. Ai
professionisti si chiede di tenere basse le
parcelle. La manovra-bis (decreto legge
138/2011) spinge gli enti pubblici, sempre
alla ricerca di un difficile equilibrio tra
bisogno di consulenza e assistenza legale e
vincoli di finanza pubblica, a preferire
risparmi di spesa.
L'articolo 5, comma 5, lettera d), del
decreto legge 138/2011, infatti, assoggetta
al tariffario forense le prestazioni legali
a favore di un ente pubblico, ma solo se
l'ente non abbia pattuito con il
professionista deroghe al tariffario stesso,
anche nei minimi. Quindi all'ente conviene
stipulare un contratto con tariffe derogate.
Al comune e all'ente locale rimane sempre
un'altra possibilità e cioè la gestione
associata di un ufficio avvocatura: è la
strada preferita dai piccoli enti.
Peraltro, anche prima del decreto 138/2011,
si è, ormai, affermata la procedura della
selezione tra professionisti per
l'affidamento di incarichi legali. E proprio
nei bandi di selezione saltavano fuori
alcune sorprese per gli avvocati.
Soprattutto quanto al riconoscimento
economico.
Estrapolando dai bandi per l'affidamento di
incarichi (ad hoc oppure per la
formazione di un elenco di professionisti,
cui affidare di volta in volta gli
incarichi), pubblicati e reperibili su
internet, di regola, si chiede all'avvocato
di impegnarsi ad applicare e a percepire i
minimi tariffari per diritti, onorari e
spese.
Talvolta questa richiesta è accompagnata
anche alla riduzione percentuale del livello
minino. Con ciò l'avvocato si impegna
contrattualmente ad andare sotto i minimi di
tariffa.
Tra l'altro il compenso assume sempre più la
natura forfetaria.
Molto spesso i bandi impegnano l'avvocato,
al momento dell'affidamento del singolo
incarico, a fare pervenire
all'amministrazione il preventivo di spesa
in forma forfetaria. In sostanza si chiede
al professionista di formulare un
preventivo, immaginando le possibili fasi
processuali future. Anche se il giudizio
potrà avere svolte difficilmente
prevedibili.
Ma se, come previsto nei bandi, nulla verrà
versato dall'ente per qualunque tipo di
attività suppletiva che il legale incaricato
non avesse prima comunicato e concordato con
l'amministrazione, allora si tenderà a
formulare un preventivo con tutte le
attività in astratto possibili, gonfiando
così il preventivo e rischiando di non
prendere l'incarico. A meno che il legale
non si accontenti, pur di prendere
l'incarico, di compensi sottostimati.
Del tutto penalizzanti per l'avvocato sono,
poi, alcune clausole che consentono all'ente
locale di non pagare o pagare parzialmente
il compenso stabilito contrattualmente.
Per esempio si può leggere in alcuni bandi
che, in caso di soccombenza della
controparte con contestuale e conseguente
condanna alle spese di lite, il legale
nominato deve procedere in primo luogo a
recuperare presso la parte soccombente le
sue spettanze e solo in caso di insolvenza
di quest'ultima avrà diritto a essere
soddisfatto dall'ente suo cliente.
Con regole di questo tipo, quindi, si
inserisce una clausola di preventiva
escussione del soccombente, prima di poter
chiedere il saldo all'ente. Peraltro, anche
nell'interesse dell'ente, sarebbe opportuno
che di volta in volta si valutasse la
possibilità effettiva di recupero. In caso
di soggetto inesigibile, ad esempio perché
irreperibile, sarebbe meglio, anche per
l'ente, evitare costose procedure esecutive.
Anche perché in questi casi all'ente
verranno alla fine comunque addebitate sia
le spese per il procedimento di cognizione
sia per quello esecutivo (necessario a
fronte dell'obbligo di preventiva escussione
del soccombente): insomma, l'ente pagherà le
spese legali del processo terminato e
pagherà gli onorari del processo di
esecuzione terminato senza recupero dal
soggetto inesigibile.
All'obbligo di preventiva escussione si
aggiunge, talvolta, la riduzione del
compenso pattuito a quello liquidato dal
giudice: per esempio si stabilisce che il
legale incaricato dall'ente potrà esigere
dall'ente stesso il compenso nella cifra
minore tra quella liquidata dal giudice e
quella definita in contratto e non potrà
pretendere ulteriori somme dall'ente a
qualsiasi titolo.
Una tale riduzione assume criteri di
illogica sottostima dell'attività del legale
nel caso in cui il giudice compensi
parzialmente le spese. Si prenda il caso in
cui il giudice valuti una soccombenza
parziale dell'ente a causa della
illegittimità degli atti o delle condotte
dei pubblici funzionari e quindi l'ipotesi
in cui il giudice stabilisca che l'ente
possa recuperare solo una percentuale delle
spese sostenute per la difesa, liquidando
conseguentemente le cifre dovute per
l'intervento del legale: sarebbe paradossale
che l'avvocato incassasse di meno a causa
delle negligenze dell'amministrazione o dei
propri funzionari, che hanno determinato la
soccombenza parziale.
Più in generale non corrisponde a un
corretto equilibrio contrattuale che il
valore del compenso dovuto all'avvocato sia
determinato dal giudice (nella liquidazione
delle spese ripetibili dal soccombente) e
che, quindi, l'accordo contrattuale diventi
carta straccia.
Non a caso in altri bandi più correttamente
si prevede che il compenso stabilito
contrattualmente rimane fermo e che lo
stesso può essere aumentato nella più alta
misura della liquidazione contenuta nel
provvedimento giurisdizionale definitivo e
non più impugnabile. Tra l'altro, in
quest'ultima ipotesi, l'ente non potrebbe
pretendere di tenere per sé la maggiore
cifra liquidata dal giudice, visto che la
stessa è determinata per remunerare
l'attività di rappresentanza in giudizio.
In altri bandi lo scopo di abbassare la
parcella dell'avvocato si ottiene chiedendo
al legale di rinunciare ad alcune poste
previste dal Tariffario forense, ad esempio
il rimborso forfetario delle spese generali
(calcolato al 12,5% di diritti e onorari).
Altre tecniche usate tendono ad agganciare
il compenso al risultato: un collegamento di
questo tipo risponde a un criterio di
applicazione del Tariffario (si deve tenere
conto dell'esito del giudizio).
Bisognerebbe, comunque, capire se tale
regola sia in grado di legittimare riduzioni
del compenso sotto i minimi tariffari in
relazione a esiti di parziale o totale
soccombenza dell'ente: a questo scopo
bisogna tenere conto della possibilità di
derogare ai livelli minimi di tariffa (dl n.
223/2006 , «Decreto Bersani»).
Una possibilità ampiamente confermata dal
decreto dall'articolo 3 del decreto
138/2011. Questa disposizione impone un
contratto scritto tra ente pubblico e
avvocato (e fin qui niente di nuovo) e
ammette pattuizione di compensi in deroga
alle tariffe. Se non c'è pattuizione
espressa si applica il tariffario forense
(con minimi e massimi). Peraltro proprio il
richiamo ai minimi tariffari, in caso di
mancata pattuizione, porterà le
amministrazioni a trattare al ribasso con il
professionista.
Anzi vi è da chiedersi se l'ente non sia
obbligata a trattare al ribasso, in quanto
altrimenti si troverebbe esposta al rischio
di responsabilità erariale per avere scelto
un professionista più caro di altri. Anche
se così facendo sarebbe completamente
azzerato il principio della fiduciarietà del
rapporto tra cliente (anche se ente
pubblico) e avvocato. Rapporto fiduciario
che ha, comunque, una chance: l'ente
pubblico può determinarsi, con apposita
motivazione, a scegliere il professionista
(non solo in base al fattore prezzo), ma
anche in base alla professionalità e alla
specializzazione, mediante valutazione del
curriculum e delle esperienze
(articolo ItaliaOggi
Sette del 05.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: MANOVRA BIS/ Difesa in
giudizio piena di lacci.
Moltiplicate le formalità burocratiche per
incaricare un legale. La manovra estiva chiede
all'avvocato e al cittadino di disciplinare
in dettaglio il loro rapporto.
Formalità moltiplicate per incaricare un
avvocato. Non basta firmare la procura alle
liti. Stando alla manovra di Ferragosto
(decreto 138/2011, articolo 3) si devono,
innanzitutto, stipulare per iscritto le
clausole relative agli onorari.
Per questo,
e non solo per questo, la burocrazia al
momento del conferimento dell'incarico si
sta facendo pesante: si ricordi che
l'avvocato deve farsi sottoscrivere il
modello su informativa e consenso per la
legge sulla privacy e il modello di
informativa sulla conciliazione delle liti e
deve farsi firmare dal cliente una
attestazione sui redditi ai fini del
contributo unificato nelle cause di lavoro
(ai fini dell'eventuale esenzione) e,
ancora, si aggiunga che l'avvocato, in base
al citato decreto 138/2011, deve dare anche
esplicite informative sulla stima della
spesa complessiva e sulla propria
assicurazione contro i rischi professionali.
Se, poi, il cliente è un ente pubblico si
devono aggiungere le dichiarazioni
introdotte dalle disposizioni sulla
tracciabilità e la presentazione del Durc
per farsi pagare la parcella.
Gli aspetti amministrativi connessi
all'affidamento dell'incarico al legale sono
stati, dunque, incrementati dalla manovra
economica-bis, che contiene, tuttavia, anche
disposizioni di liberalizzazione per
l'accesso alla professione (da specificare
entro 12 mesi con nuove norme ordinamentali)
e con un'apertura alla possibilità di
promuovere lo studio con pubblicità
informativa. Ma vediamo di illustrare le
novità principali.
CONTRATTO SCRITTO
L'articolo 3 del decreto 138/2011 elenca una
serie di principi per la riforma delle
professioni (da attuare entro 12 mesi). In
particolare si dovrà stabilire che il
compenso spettante al professionista deve
essere pattuito per iscritto all'atto del
conferimento dell'incarico professionale,
prendendo come riferimento le tariffe
professionali: si noti che le tariffe sono
solo un mero riferimento, visto che è
ammessa la pattuizione dei compensi anche in
deroga alle tariffe stesse.
Questa regola
implica la formazione di un contratto
scritto in cui l'avvocato e il cliente si
accordano sulla parcella. In questo atto si
deve precisare se le parti applicheranno la
tariffa forense oppure se derogheranno a
minimi e massimi stabiliti con decreto
ministeriale. Avvocato e cliente possono
anche individuare clausole particolari che
fanno innalzare o abbassare il compenso, ad
esempio con riferimento all'esito della
causa. La disposizione di principio non
chiarisce se si inciderà o meno sul
cosiddetto patto di «quota lite», e cioè in
sostanza una ripartizione dei vantaggi
economici che si spera di conseguire dalla
causa.
Il contratto professionale con il cliente
sarà anche la sede migliore per attuare un
altro adempimento posto a carico
dell'avvocato: informare il cliente sul
livello della complessità dell'incarico,
fornendo tutte le informazioni utili circa
gli oneri ipotizzabili dal momento del
conferimento alla conclusione dell'incarico.
Si tratta di una sorta di preventivo di
spesa, che il legale molto probabilmente
accompagnerà da clausole che facciano salva
l'applicazione di compensi per attività non
prevista o imprevedibile.
Su questa ipotesi si noti che vi è una norma
deontologica del codice etico forense che
tratta la materia: è l'articolo 40
(sull'obbligo di informazione), anche se
tale disposizione limita l'obbligo
dell'avvocato di informare la parte
assistita, sulle previsioni di massima
inerenti alla durata e ai costi presumibili
del processo, solo nei casi in cui «è
richiesto».
Quindi, la regola sui compensi è il
contratto scritto, con derogabilità delle
tariffe. L'articolo 3 citato ripristina,
invece, il tariffario per i seguenti casi:
mancata determinazione consensuale del
compenso, quando il committente è un ente
pubblico; liquidazione giudiziale dei
compensi, prestazione professionale resa
nell'interesse dei terzi.
Peraltro il caso
di rispetto della tariffa, in caso di
committenza pubblica, presumibilmente nella
prassi non avrà attuazione, in quanto gli
enti tenderanno a una determinazione
contrattuale, prevedibilmente con deroghe ai
minimi di tariffa.
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE
Un altro criterio per la riforma
dell'ordinamento professionale obbliga il
professionista ad assicurarsi contro i
rischi derivanti dall'esercizio
dell'attività professionale; in seconda
battuta obbliga il professionista ad
informare il cliente, al momento
dell'assunzione dell'incarico, degli estremi
della polizza stipulata per la
responsabilità professionale e del relativo
massimale.
Un obbligo deontologico (tutelare il proprio
cliente) diventa un obbligo normativo, con
ricadute sulle formalità da osservare al
momento in cui il cliente affida un incarico
al proprio legale.
Anche qui la cosa migliore è inserire una
clausola ad hoc nel contratto professionale
con il cliente.
Tra l'altro si sottolinea che l'attuale
codice deontologico forense prevede
l'indicazione della polizza assicurativa
quale facoltà dell'avvocato nel dare
informazioni sul proprio studio (articolo
17-bis). Da facoltà a scopo di informativa
di carattere promozionale, l'adempimento si
trasforma in obbligo a piena tutela della
posizione del cliente.
PUBBLICITÀ INFORMATIVA
Nell'articolo 3 del decreto 138/2011 si
prescrive un altro importante criterio per
la riforma delle professioni e cioè la
possibilità di pubblicità informativa.
Già oggi il codice deontologico forense
(articolo 17-bis) consente all'avvocato di
dare informazioni sulla propria attività
professionale. Ma l'articolo 3 sembra
superare alcuni limiti del codice nella
parte in cui dichiara che è libera la
pubblicità informativa, con ogni mezzo,
avente ad oggetto l'attività professionale,
le specializzazioni ed i titoli
professionali posseduti, la struttura dello
studio e i compensi delle prestazioni.
Le informazioni, tuttavia, come già prevede
il codice deontologico forense, devono
essere trasparenti, veritiere, corrette e
non devono essere equivoche, ingannevoli,
denigratorie
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI: Al
Sindaco e al Presidente della provincia,
quali legali rappresentanti dell’ente, può
riconoscersi solo il potere di conferire il
mandato al difensore, fermo restando che la
decisione in ordine all’opportunità o meno
di agire o resistere in giudizio spetta al
dirigente nella cui sfera di competenza
rientra il rapporto sostanziale che viene in
rilievo.
Il Collegio è consapevole che gran parte
della giurisprudenza ritiene che negli enti
locali –e nel sistema del d.lgs. 17.08.2000,
n. 267- il potere di agire e resistere in
giudizio (e il conseguente conferimento del
mandato alle liti al difensore) è funzione
spettante al Sindaco o al Presidente della
provincia, quali rappresentanti legali
dell’ente, senza che occorra, in difetto di
diverse disposizioni statutarie o
regolamentari che attribuiscano il potere in
questione alla giunta o al personale munito
di qualifica dirigenziale, un’autorizzazione
da parte di questi ultimi organi (Consiglio
di Stato, sez. IV, 01.10.2008, n. 4744,
Cassazione civile, sez. un., 10.12.2002, n.
17550); di conseguenza il Presidente della
provincia (e il Sindaco) legittimamente
conferiscono al difensore il mandato
professionale senza che occorra che siano
autorizzati da altri organi (ciò tra l’altro
significherebbe che il mandato conferito ai
controinteressati dal Presidente della
provincia resterebbe valido e efficace anche
in caso di annullamento della delibera della
giunta impugnata, che sarebbe un atto
sostanzialmente non necessario o “inutile”).
Tuttavia questa impostazione non è
condivisibile.
La decisione di agire e resistere in
giudizio e, se è per questo e a maggior
ragione, la scelta del professionista cui
affidare il patrocinio, non possono che
esser considerate una decisione di carattere
gestionale attinente ai rapporti di
carattere sostanziale che volta a volta
vengono in rilievo, che è pertanto
riservata, in base all’articolo 107 del
d.lgs. 17.08.2000, n. 267, al personale
burocratico e non agli organi di governo,
cui è riservato invece l’esercizio del
potere di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo.
Del resto, ad es., non potrebbe dubitarsi
che la decisione di transigere in ordine
alla controversia e la definizione dei
termini della transazione siano un compito
dei dirigenti (cui spetta, per espressa
disposizione di legge, la stipulazione dei
contratti); insomma –una volta affermato il
principio che spetta ai dirigenti la
gestione della sfera di attribuzioni
dell’ente rientrante nella competenza degli
organi cui sono preposti e l’adozione di
tutti i relativi atti che impegnano l’ente
nei rapporti con i terzi- non può non
ritenersi che questa competenza abbracci
ogni aspetto e decisione attinente alla
gestione dei rapporti giuridici facenti capo
all’organo, ivi comprese le decisioni
inerenti alla eventuale instaurazione (o
resistenza) a giudizi e alla definizione
(d’intesa con il difensore dell’ente) delle
relative strategie processuali.
Ciò, del resto, trova conferma nella
disposizione citata che espressamente
assegna ai dirigenti il compito di
presiedere le commissioni di gara e
stipulare i contratti; di conseguenza al
Sindaco e al Presidente della provincia,
quali legali rappresentanti dell’ente, può
riconoscersi solo il potere di conferire il
mandato al difensore, fermo restando che la
decisione in ordine all’opportunità o meno
di agire o resistere in giudizio spetta al
dirigente nella cui sfera di competenza
rientra il rapporto sostanziale che viene in
rilievo (Cassazione civile, sez. trib.,
17.12.2003, n. 19380, Consiglio di Stato,
sez. V, 25.01.2005, n. 155)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 20.07.2011 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Illegittimo e produttivo di danno erariale
l'incarico ad un avvocato per svolgere, in via continuativa,
l'incarico di consigliere giuridico del Sindaco.
Il ricorso a consulenze esterne non può essere finalizzato a
sopperire a presunte carenze di organico e, in ogni caso,
l'incarico deve essere conferito a persona di elevata
professionalità e per lo svolgimento di compiti specifici e
determinati (massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Calabria,
sentenza 21.04.2011 n. 282
- link a www.corteconti.it). |
anno 2010 |
|
COMPETENZE GESTIONALI: Il
sindaco non necessita dell’autorizzazione
della giunta o del consiglio per stare in
giudizio.
Quanto alla lamentata mancanza di
autorizzazione al sindaco a stare in
giudizio, è ampiamente noto che nel nuovo
ordinamento delle autonomie locali delineato
dalla legge n. 142/1990 e dal T.U. EE. LL.
n. 267/2000, il Sindaco e il Presidente
della Provincia hanno assunto (anche in
relazione alla legge 25.03.1993, n. 81, che
ne ha previsto l'elezione diretta) un ruolo
di vertice politico-amministrativo centrale,
in quanto titolari di funzioni di direzione
e di coordinamento dell'esecutivo comunale e
provinciale, onde l'autorizzazione del
Consiglio prima e della Giunta poi, se
trovava ragione in un assetto in cui essi
erano eletti dal Consiglio e la Giunta
costituiva espressione del Consiglio stesso,
non ha più ragione di esistere in un assetto
nel quale i medesimi traggono direttamente
la propria investitura dal corpo elettorale
e costituiscono loro stessi la fonte di
legittimazione degli assessori che
compongono la Giunta, cui il citato T.U.
affida il compito di collaborare (con il
Sindaco o con il Presidente della Provincia)
e di compiere tutti gli atti rientranti
nelle funzioni degli organi di governo che
non siano riservati dalla legge al Consiglio
e che non ricadono nelle competenze,
previste dalla legge o dallo statuto, del
Sindaco (o del Presidente della Provincia) o
degli organi di decentramento (cfr. in tal
senso: Cons. Stato, sez. VI, 07.01.2008, n.
33; sez. IV, 19.06.2006, n. 3622; Cass.
SS.UU. 16.06.2005 n. 12868) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.12.2010 n. 8730 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Affidamento incarico di consulenza legale.
Per l'affidamento di un
incarico di consulenza legale, si segnala la
necessità di indire una procedura
comparativa al fine di individuare il
soggetto cui affidare l'incarico de quo.
L'ente necessita di conoscere le modalità
per l'affidamento di un incarico di
consulenza legale.
Rinviando alla lettura di due pareri già
formulati dallo scrivente
[1],
si segnala la necessità di indire una
procedura comparativa al fine di individuare
il soggetto cui affidare l'incarico de
quo.
Si evidenzia, invero, che i servizi legali
rientrano in una delle categorie di servizi
menzionati nell'allegato II B al codice dei
contratti pubblici (decreto legislativo
12.04.2006, n. 163) e che, ai sensi
dell'articolo 27, comma 1, del medesimo
codice [2],
l'aggiudicazione degli appalti, aventi per
oggetto i servizi elencati nell'allegato II
B, è soggetta all'applicazione dei noti
principi -di derivazione comunitaria-
dell'evidenza pubblica, della trasparenza,
della par condicio, della parità di
trattamento.
È, pertanto, in tal modo, confermata la
necessità che l'individuazione del legale
-comunque operatore economico nella lata
accezione europeista [3]-
avvenga tramite una procedura competitiva e,
pertanto, comparativa. L'incarico
all'avvocato, nel contesto dei contratti
pubblici, non può reputarsi di natura
fiduciaria, venendo, in ogni caso, in gioco
una spesa pubblica capace di creare
opportunità e sollecitazioni per il mercato,
bene giuridico -quest'ultimo- massimamente
tutelato dalla normativa comunitaria.
La procedura di gara richiede, ex articolo
27, comma 1, del decreto legislativo
163/2006, di rivolgere invito ad almeno
cinque liberi professionisti. Questi saranno
scelti o tramite indagine di mercato ovvero
dall'elenco dei professionisti avvocati già
redatto dall'ente [4],
elenco al quale gli avvocati che possiedono
i requisiti chiedono di iscriversi.
In sede comparativa, sarà valutato l'aspetto
economico e la competenza professionale
dell'aspirante contraente con la pubblica
amministrazione: quali indici di valutazione
di quest'ultima potranno essere utilizzati,
ad esempio, il numero di pubblicazioni o
docenze o di seminari tenuti
[5].
Si segnala, inoltre, che, nell'ipotesi di
scelta del contraente attingendo all'elenco
degli operatori economici già redatto
dall'ente, la pubblica amministrazione
appaltante ha l'obbligo di individuare i
soggetti da invitare alla procedura di gara
con il criterio -imparziale e trasparente-
della rotazione fra gli iscritti al predetto
elenco dei liberi professionisti.
Si ricorda, in conclusione, che, anche al
fine dell'individuazione dei concorrenti
tramite rotazione, è, pur sempre, necessario
il previo sorteggio, per determinare da
quale soggetto, tra gli iscritti all'elenco,
inizierà la rotazione medesima. Tale
procedura deve essere, in ogni caso,
previamente, disciplinata dalla pubblica
amministrazione, ad esempio nel regolamento
dei contratti dell'ente.
Dopo di che, formulato l'invito e ricevute
le offerte, il Comune procederà alla
valutazione comparativa delle stesse.
---------------
[1] Pareri protocollo n. 6255 del
21.04.2009 e n. 3911 del 29.02.2008,
consultabili nella banca dati di cui
all'indirizzo internet http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[2] Il comma citato statuisce:
'L'affidamento dei contratti pubblici aventi
ad oggetto lavori, servizi forniture,
esclusi, in tutto o in parte,
dall'applicazione del presente codice,
avviene nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, parità
di trattamento, trasparenza,
proporzionalità. L'affidamento deve essere
preceduto da invito ad almeno cinque
concorrenti, se compatibile con l'oggetto
del contratto'.
[3] In tal senso, parere protocollo n. 3911
del 29.02.2008 cit.
[4] Si segnala che, nella giornata di
studio, tenutasi in Udine, nel mese di marzo
2010, intitolata 'La procedura negoziata e
le spese in economia negli appalti pubblici
di lavori, forniture e servizi', organizzata
dalla casa editrice Maggioli, il relatore,
avvocato Alberto Ponti, ha suggerito di
dividere, per categoria, l'elenco dei
professionisti redatto dall'ente (ad esempio
avvocati appaltisti, avvocati
espropriativisti, eccetera), elenco al quale
coloro che possiedono i requisiti chiedono
di iscriversi.
[5] In tal senso, 'La procedura negoziata e
le spese in economia negli appalti pubblici
di lavori, forniture e servizi', avvocato
Alberto Ponti, Maggioli, giornata di studio
in Udine, marzo 2010 (04.10.2010
- link a www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Limiti
agli incarichi legali esterni. La mappatura
delle cause pendenti deve essere svolta
all'interno. La Corte dei conti ha
condannato il presidente dell'Anas a
risarcire 700 mila per danno erariale.
Le pubbliche
amministrazioni hanno l'obbligo di far
fronte alle ordinarie competenze
istituzionali con il migliore e il più
produttivo impiego delle risorse umane e
professionali di cui esse dispongono. È
ammesso il ricorso a incarichi e consulenze
professionali esterne soltanto in presenza
di specifiche condizioni quali la
straordinarietà e l'eccezionalità delle
esigenze da soddisfare, la carenza di
strutture e di personale idoneo, il
carattere limitato nel tempo e l'oggetto
circoscritto dell'incarico o della
consulenza.
Questo importante principio è stato
confermato, ancora una volta, dalla Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. della regione
Lazio, con la
sentenza 03.08.2010 n. 1598.
Nel caso in esame il presidente dell'Anas
era stato convenuto in giudizio per
rispondere del danno erariale derivato
all'ente per effetto dell'illecito
conferimento di incarichi professionali.
Più precisamente la controversia concerne
due contratti stipulati e aventi entrambi
per oggetto «l'incarico di provvedere
alla ricognizione e mappatura, intesa come
analisi delle cause, valutazione e
determinazione e classificazione dei rischi
collegati, del contenzioso pendente presso
il medesimo ente (circa 11.800 controversie)».
I due contratti, sostanzialmente uguali per
le condizioni, gli importi e il numero di
controversie da monitorare, prevedevano
l'esame delle pratiche e i corrispettivi
previsti erano determinati con l'indicazione
di un importo forfettario per ciascuna
pratica di monitoraggio, variabile da euro
2.390,00 +Iva ed euro 4.185,00 +Iva in
relazione alle tipologie di contenzioso.
Il procuratore regionale aveva ritenuto
comprovato un grave danno patrimoniale per
l'erario consistente nel compenso pagato per
le prestazioni oggetto dei contratti che
potevano essere svolte da personale
assegnato all' ufficio legale dell'ente il
cui numero di dipendenti era comunque
sufficiente per affidare la gestione
dell'analisi del contenzioso.
Il presidente convenuto aveva, invece,
evidenziato che la stipula dei due contratti
era stata determinata dalla necessità di
sopperire temporaneamente alla grave carenza
di personale e all'esistenza di notevoli
difficoltà, in termini di gestione ed
organizzazione, dovute all'esigenza di una
ristrutturazione dell'ente.
La Corte dei conti ha condannato il
presidente dell'Anas a pagare a favore
dell'ente la somma di euro 700 mila.
Secondo i giudici contabili, infatti, è
indubbia la responsabilità amministrativa
del presidente dell'Anas per aver conferito
a soggetti esterni, secondo un criterio «avulso
da qualsiasi previa ricognizione della
effettiva insufficienza di risorse
professionali interne», l'incarico di
provvedere alla ricognizione e mappatura di
tutto il contenzioso pendente.
È imputabile, poi, un comportamento
improntato a «colpa grave» dal momento che
ha agito in mancanza di un'idonea e
preventiva valutazione circa la sussistenza
dei presupposti necessari per il legittimo
conferimento degli incarichi esterni, e per
il conseguente pagamento della prestazione
professionale. Questo comportamento non può
che ritenersi ingiustificabile,
approssimativo e in aperto contrasto con il
principio di economicità nella spesa e,
quindi, in aperto contrasto con il principio
di buon andamento della p.a., ex art. 97
Cost.
Con la decisione in oggetto il collegio ha
anche precisato che, in casi particolari e
contingenti, può essere ammessa la
legittimazione della p.a. ad affidare
determinate attività all'opera di estranei
dotati di provata capacita professionale e
specifica conoscenza tecnica della materia
di cui vengono chiamati ad occuparsi. È però
necessario che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità
delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati
preordinati al loro soddisfacimento, ovvero,
pur in presenza di detta organizzazione, la
carenza, in relazione all'eccezionalità
delle finalità, del personale addetto, sia
sotto l'aspetto qualitativo che
quantitativo.
Sebbene nell'ordinamento non sussista un
generale divieto per la p.a. di ricorrere a
esternalizzazioni per l'assolvimento di
determinati compiti , tuttavia, il ricorso a
incarichi esterni non può essere attuato
violando tali condizioni e limiti
(articolo ItaliaOggi
del 02.09.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Pa,
sì agli incarichi a legali esterni. Legittimo l'affidamento
diretto e senza svolgere la gara. Il principio è stato
affermato di recente da una decisione del Consiglio di Stato
sugli enti locali.
È illegittimo l'affidamento diretto e
senza gara, a favore di un avvocato, di un incarico
professionale di consulenza legale, a supporto dello
svolgimento delle ordinarie attività amministrative
dell'ente.
Nel caso in
esame un Consorzio di Bonifica toscano aveva deciso di
affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di
consulenza legale per la durata di un anno, in
considerazione della sua comprovata professionalità e della
specifica competenza amministrativa già sperimentata nel
corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno
precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet
del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta
del sopra citato incarico di consulenza di tipo normativo -
legale, aveva deciso di impugnare la determina di
affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare
il proprio interesse allo svolgimento di una procedura
selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in
quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel
settore degli appalti e dei contratti pubblici ... (articolo
ItaliaOggi del 02.08.2010 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
S. Bigolaro,
L'incarico conferito da un ente pubblico a un avvocato di
difenderlo in giudizio è una collaborazione autonoma o un
appalto di servizi? E' un affidamento in economia?
(link a
http://venetoius.myblog.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Enti
Locali - Responsabile del Servizio -
Rappresentanza a stare in giudizio -
Legittimità - Condizioni.
In riferimento alla procura rilasciata
dal Responsabile del Servizio anziché dal
Sindaco deve richiamarsi l'ormai consolidato
orientamento per cui nel nuovo sistema
istituzionale e costituzionale degli enti
locali, delineato dagli art. 6, 50 e 107
dell'ordinamento degli enti locali di cui al
d.lgs. n. 267 del 2000, interpretati alla
luce della successiva evoluzione normativa e
in particolare della riforma dell'art. 114,
comma 2, cost. e dell'art. 4 L. n. 131 del
2003 di attuazione di tale riforma, lo
statuto del Comune può legittimamente
affidare la rappresentanza a stare in
giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei
rispettivi settori di competenza, quale
espressione del potere gestionale loro
proprio, ovvero a esponenti apicali della
struttura burocratico-amministrativa del
Comune (per tutte: Cass., sez. I,
19.12.2008, n. 29837)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Consulenze legali nella p.a. a dieta.
MANOVRA CORRETTIVA/ Tutte le misure del decreto legge che
riguardano di riflesso gli avvocati. Dal 2011 ridotto al
minimo il ricorso a professionalità esterne.
Ridotte ai minimi termini le consulenze per le pubbliche
amministrazioni. Dal 2011 gli enti pubblici potranno
spendere per consulenze solo il 20% della cifra spesa nel
2009. Anche le spese per la consulenza legale rientrano nei
provvedimenti taglia-spese della manovra Tremonti (decreto
legge 31.05.2010 n. 78).
L'articolo 6 del decreto, che introduce misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
31.05.2010), prevede, infatti, che, al fine di valorizzare
le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere
dall'anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di
consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni incluse le autorità indipendenti,
escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e
gli organismi equiparati, non può essere superiore al 20 per
cento di quella sostenuta nell'anno 2009 ... (articolo
ItaliaOggi del 03.06.2010, pag. 35 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
No all'affidamento diretto della
consulenza legale.
È illegittimo l'affidamento diretto e
senza gara, in favore di un avvocato, di un incarico
professionale di consulenza legale, a supporto dello
svolgimento delle ordinarie attività amministrative
dell'ente.
Lo ha sancito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 28.05.2010 n. 3405.
Nel caso in esame un Consorzio di bonifica toscano aveva
deciso di affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di
consulenza legale per la durata di un anno, in
considerazione della sua comprovata professionalità e della
specifica competenza amministrativa già sperimentata nel
corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno
precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet
del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta
del sopra citato incarico di consulenza di tipo
normativo-legale, aveva deciso di impugnare la determina di
affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare
il proprio interesse allo svolgimento di una procedura
selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in
quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel
settore degli appalti e dei contratti pubblici.
Il Tar aveva dichiarato inammissibile il ricorso. Il
ricorrente, in appello, aveva perseverato nel segnalare
l'illegittimità della decisione assunta dal Consorzio
violando non solo le proprie norme regolamentari in materia
di affidamento di incarichi professionali, ma anche i
principi più volte affermati dai giudici amministrativi e
contabili secondo cui l'affidamento di incarichi di
consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti
esterni alla p.a. non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata.
Il Consiglio di stato accoglie il ricorso. Il collegio,
infatti, accertato che la comparazione pubblica è prevista
dalle stesse norme del Regolamento del Consorzio, in armonia
con le norme di legge vigenti in materia, ritiene che questa
debba essere considerata la regola da applicare in via
generale. E sebbene all'art. 6 del Regolamento consortile,
in materia di incarichi di particolare rilevanza, sia stata
prevista la possibilità dell'affidamento diretto di un
incarico fiduciario derogando al normale criterio fissato
dal Regolamento, nel caso in esame la norma risulta
palesemente violata.
Nella stessa delibera impugnata, infatti, viene precisato
testualmente che l'incarico in questione doveva essere
conferito 'non già per la cura di una speciale e
particolarmente rilevante esigenza dell'Ente, ma al solo
fine di supportare lo svolgimento delle ordinarie attività
amministrative dell'Ente stesso.
Dovendosi, dunque, far fronte alle «ordinarie»
attività amministrative del Consorzio, è evidente che
l'amministrazione non poteva, in questo caso, avvalersi
della predetta disposizione di carattere eccezionale ed
evitare di affidare lo stesso incarico a mezzo di una
pubblica selezione (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag.
44). |
COMPETENZE GESTIONALI: La
decisione di agire e resistere in giudizio
compete in via ordinaria e salva deroga
statutaria, al rappresentante legale
dell'ente senza bisogno di autorizzazione
della giunta o del dirigente ratione
materiae competente.
Non può condividersi il rilievo secondo cui
il Sindaco alla data della sottoscrizione
del ricorso (27 agosto 1999) non aveva alcun
potere di conferire il mandato al difensore,
essendo intervenuta la relativa
autorizzazione da parte della G.M. solo in
data 1° settembre 1999.
In realtà, dagli articoli 36 e 35 della
legge 142/1990, poi trasfusi negli artt. 48,
comma 2, e 50, commi 2 e 3, del t.u. sugli
ordinamenti degli enti locali, approvato con
d.lgs. 267/2000, si evince il principio
secondo cui competente a conferire al
difensore del Comune la procura alle liti è
il Sindaco, non essendo più necessaria
l'autorizzazione della Giunta municipale,
atteso che al Sindaco è attribuita la
rappresentanza dell'Ente (cfr. Cass. Civ.,
Sez. Un., 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n.
17550).
La decisione di agire e resistere in
giudizio e il conseguente conferimento del
mandato alle liti competono quindi, in via
ordinaria e salva deroga statutaria, al
rappresentante legale dell'ente senza
bisogno di autorizzazione della giunta o del
dirigente ratione materiae competente
(Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721 e
16.02.2009 n. 848) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 18.03.2010 n. 1588 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: La
rappresentanza in giudizio del Comune
compete esclusivamente al Sindaco, quale
rappresentante legale dell'ente e non al
Dirigente.
La rappresentanza in giudizio del Comune
compete esclusivamente al Sindaco, quale
rappresentante legale dell'ente, e non al
Dirigente per cui è nulla -per violazione
dell'art. 145 c.p.c. che disciplina le
notificazioni alle persone giuridiche- la
notifica del ricorso qualora lo stesso sia
stato notificato al Comune in persona del
Dirigente (cfr. Consiglio Stato , sez. V,
25.01.2005, n. 155; TAR Lazio-Roma, sez. II,
06.05.2009, n. 4743; TAR Basilicata,
21.05.2007, n. 413; TAR Sicilia-Palermo,
sez. II, 13.03.2007, n. 799; TAR
Sicilia-Palermo, sez. III, 06.06.2005, n.
954)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 26.02.2010 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L'avvocato incassa la parcella se
l'incarico della p.a. è scritto.
L'avvocato che vuole riscuotere la
parcella dalla pubblica amministrazione deve avere il
conferimento dell'incarico scritto. Non solo. In una
eventuale causa il giudice può rilevare d'ufficio «la
mancanza della delibera di conferimento dell'incarico».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, che,
con la
sentenza 27.01.2010 n. 1741, ha respinto il
ricorso di un legale che voleva riscuotere la parcella da
una comunità montana, contestando, fra l'altro, anche la
rinuncia ai minimi tariffari. Un punto, questo, sul quale la
seconda sezione civile non ha potuto pronunciarsi dato che
era mancata la prova dell'esistenza del conferimento
dell'intero incarico.
Nelle motivazioni i giudici hanno rispolverato vecchi
principi secondo cui «il contratto con il quale
l'amministrazione pubblica conferisce un incarico
professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in
forma scritta, onde è da escludersi che la sussistenza di un
siffatto requisito formale possa essere ricavata in altro
modo, ad esempio attraverso la produzione di altri documenti
che non costituiscono il contratto, ma lo presuppongono».
Pertanto, il legale che vuole riscuotere la parcella da una
amministrazione deve produrre in giudizio il contratto.
Non solo. Nel passaggio successivo si legge inoltre che «presupposto
essenziale e imprescindibile dell'esistenza di un rapporto
di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia
dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al
compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico,
in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed
inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua
attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto
per il pagamento di detto compenso. La prova dell'avvenuto
conferimento dell'incarico, quando diritto al compenso sia
dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata
instaurazione di un simile rapporto, grava sull'attore»
(articolo ItaliaOggi del 29.01.2010, pag. 29). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Pa, meno incarichi al legale esterno.
Ecco cosa prevedono i principali orientamenti
giurisprudenziali in materia di consulenze.
Gli avvocati interni all'amministrazione
restano i preferiti.
Avvocato interno
all'ente pubblico protetto o dimezzato. I legali delle
avvocature pubbliche oscillano da una situazione di tutela,
che implica un regime controllato di affidamenti di
incarichi all'esterno, all'opposta situazione di
sottovalutazione del ruolo e di confusione all'interno della
macchina amministrativa.
Peraltro le restrizioni agli enti pubblici al conferimento
di incarichi professionali esterni, che colpisce in
particolar modo gli avvocati, finiscono talvolta con il
provocare una diminuzione di tutela per l'ente stesso.
Migliore è la situazione degli enti che hanno una propria
avvocatura, mentre per quelli senza una unità organizzativa
interna dedicata alla consulenza e al contenzioso le
restrizioni costituiscono talvolta una barriera
invalicabile.
Vediamo, dunque, in base alla recente giurisprudenza quali
possono essere le opportunità per il giurista
d'amministrazione.
Cosa prevede la giurisprudenza.
Partiamo
innanzitutto dalle tutele per chi svolge l'attività
all'interno dell'ente, quale dipendente dello stesso, e che,
al di là delle rivendicazioni di carattere economico, si
trova anche a difendere spazio alla propria professionalità.
Una mano la dà il Tar Lazio, sez. II, 07.07.2009 n. 6257,
che ha bocciato un bando di gara di un ministero avente per
oggetto la «fornitura dei servizi legali comprensivi di
quelli di assistenza nelle procedure contenziose», in
quanto sostanzia violazione del r.d. 30.10.1933 n. 1611 che
prevede il cosiddetto patrocinio obbligatorio
dell'Avvocatura dello stato e non consente alle
amministrazioni dello stato, salvo eccezionali motivi
conducenti ad apposita autorizzazione in deroga al detto
patrocinio obbligatorio, di affidare le dette attività agli
avvocati del libero foro attraverso una pubblica gara di
appalto, anche per la consulenza stragiudiziale.
Si dirà che siamo in presenza di una legge che tutela
l'Avvocatura dello stato. Ma il principio si può estendere
anche alle altre avvocature pubbliche, per esempio quelle
comunali. In questi casi le delibere istitutive e gli
accordi di natura contrattuale riservano l'attività legale
appunto agli uffici interni e, d'altra parte, una barriera
significativa deriva dal fatto che un incarico all'esterno
può esserci solo se all'interno dell'ente non vi siano
professionalità adeguate: la stessa presenza di una
avvocatura interna argina a ipotesi eccezionali
l'affidamento all'esterno.
Vista dal lato del legale esterno che ha interesse a
conseguire l'incarico va però detto che un bando illegittimo
non può essere revocato dall'amministrazione senza
conseguenze a carico.
Nel caso che ha dato origine alla sentenza citata del Tar
Lazio il ministero è stato condannato a risarcire il danno
precontrattuale, quantificato in 30 mila euro.
L'affidamento diretto dell'incarico.
Sempre vista dal
lato del legale esterno va considerato l'orientamento che
accorda la possibilità di un incarico diretto e fiduciario.
Così è stato deciso che da un lato l'affidamento dei servizi
legali, come complesso di consulenze e patrocinio di un
comune dinanzi a tutti i tribunali, non può essere affidato
direttamente, ma deve rispondere ai principi espressi dal
dlgs n. 163 del 2006, art. 27, comma 1, (codice dei
contratti), con l'obbligo del confronto concorrenziale con
almeno cinque offerenti, e un'adeguata pubblicità preventiva
finalizzata alla possibilità di un'adeguata valutazione
comparativa dei candidati, potendosi ammettere un
affidamento diretto solo casi eccezionalmente previsti dalla
medesima legge; dall'altro resta invece escluso da tale
normativa ed è legittimo l'affidamento del solo patrocinio
legale che potrà pertanto essere affidato direttamente senza
l'espletamento di alcuna gara (Tar Calabria-Reggio Calabria,
04.05.2007, n. 330). Insomma quest'ultimo orientamento
lascia spazio a incarichi fiduciari tout court.
Nessuna alternativa, invece, e nessuno spazio per incarichi
fiduciari, invece, per l'ipotesi di attività di assistenza
tecnica, economica e legale per esempio per l'affidamento e
l'indizione di una nuova gara relativamente a un servizio
pubblico svolta da una società di capitali con presenza di
professionalità diversificate: un'attività di questo tipo
deve essere qualificata come servizio di consulenza
gestionale e non come consulenza professionale e quindi il
suo affidamento ricade nell'ambito di applicazione del
codice dei contratti (dlgs 12.04.2006 n. 163) con obbligo di
gara.
Dunque il legale esterno può intervenire ad assistere l'ente
pubblico, sempreché la stessa non abbia professionalità
adeguate al suo interno, e l'incarico su base continuativa
deve avvenire mediante un percorso selettivo.
Dovrebbe avere ancora spazio l'affidamento diretto di un
singolo incarico di rappresentanza in giudizio. Una
chiusura, invece, si ha nel campo della consulenza, che non
è facile assegnare su base diretta fiduciaria. Una serie di
regole queste che rappresentano un equilibrio tra delle
esigenze della tutela delle professionalità sia
dell'avvocato interno sia di quello esterno
all'amministrazione (articolo ItaliaOggiSette del
04.01.2010). |
anno 2009 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L. Oliveri,
Incarichi ad avvocati: sono servizi ex
allegato IIB al Codice dei contratti (15.06.2009
- link a www.gedit.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Affidamento di incarico di assistenza e
rappresentanza in giudizio.
1) Gli incarichi di
prestazioni di servizi legali, consistenti
in un complesso di prestazioni di natura
legale componibili da un insieme di difese
in giudizio, determinate o determinabili o
connesse a tutte le possibili vertenze
giudiziali nelle quali sia coinvolta
l'amministrazione, entro un dato arco di
tempo, devono essere attribuiti con una
procedura quanto meno negoziata.
2) L'atto di conferimento dei servizi
legali, inclusi la consulenza e il
patrocinio innanzi a tutti i Tribunali,
rientra nel novero di quegli atti e
provvedimenti che, non essendo in alcun modo
riconducibili alle funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministartivo, sono
riservati alla dirigenza.
Il Comune chiede di conoscere un parere in
merito ad uno schema di convenzione,
predisposto dall'Ente, avente ad oggetto
l'affidamento diretto di un incarico di
assistenza legale e rappresentanza in
giudizio ad un avvocato. In particolare, il
mandato sarebbe riferito 'ad ogni
contenzioso attualmente pendente e a quelli
che il Comune avesse da promuovere per i
propri interessi patrimoniali o morali
ovvero con riferimento a quei procedimenti
civili, penali o amministrativi che fossero
avviati nei confronti del Comune'.
L'Ente desidera, altresì, sapere quale sia
il soggetto competente a decidere lo
strumento e le modalità con cui procedere
all'affidamento dell'incarico in
riferimento.
Premesso che rientra nelle competenze dello
scrivente Ufficio fornire consulenza
giuridico-amministrativa in termini
generali, senza entrare nel merito del
singolo caso concreto, si forniscono, di
seguito, in via collaborativa, alcuni
elementi che possono risultare utili in
relazione alla fattispecie descritta.
Circa il primo quesito posto si osserva come
rientri nella discrezionalità dell'Ente
decidere di individuare un unico studio
legale cui rivolgersi per tutte le cause che
possano coinvolgere il Comune, suoi
amministratori o funzionari e con lo stesso
stipulare apposito contratto/convezione
diretto a regolare i reciproci diritti ed
obblighi.
Si esprimono, invece, delle perplessità
circa la possibilità di procedere ad un
affidamento diretto di un tale incarico, ciò
sia che si faccia rientrare la fattispecie
nell'alveo degli incarichi esterni di cui
all'articolo 7 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165 sia che, invece, la si
annoveri nella prestazione di servizi
soggetta alla normativa di cui al decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163.
[1]
Nel primo caso, si rammenta come il comma
6-bis dell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001
recita: 'Le amministrazioni pubbliche
disciplinano e rendono pubbliche, secondo i
propri ordinamenti, procedure comparative
per il conferimento degli incarichi di
collaborazione'.
Nel secondo caso, l'affidamento
dell'incarico legale rientrerebbe tra i 'servizi
legali' previsti nell'allegato IIB del
d.lgs. 163/2006 e soggiacerebbe, quindi, in
particolare, all'articolo 27, il quale
dispone che: 'L'affidamento dei contratti
pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi
forniture, esclusi, in tutto o in parte,
dall'applicazione del presente codice,
avviene nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, parità
di trattamento, trasparenza,
proporzionalità. L'affidamento deve essere
preceduto da invito ad almeno cinque
concorrenti, se compatibile con l'oggetto
del contratto' [2].
Come evidenziato da certa dottrina
[3],
gli incarichi di prestazioni di servizi
legali, consistenti in un 'complesso di
prestazioni di natura legale componibili da
un insieme di difese in giudizio,
determinate o determinabili o connesse a
tutte le possibili vertenze giudiziali nelle
quali sia coinvolta l'amministrazione, entro
un dato arco di tempo', come il caso in
esame, 'oppure dall'impegno continuativo a
svolgere funzioni di consulenza legale, o,
ancora, dall'impegno a rendere un numero
predeterminato di pareri legali', qualora
siano oggetto di affidamento, dovranno
essere attribuiti con una procedura quanto
meno negoziata. In questo caso,
inevitabilmente, il procedimento deve
obbedire ai principi di trasparenza, non
discriminazione e pubblicità ed occorre
predeterminare criteri oggettivi di
valutazione, seppur nell'esercizio della
discrezionalità della loro individuazione.
[4]
A favore della necessaria previa indizione
di una procedura selettiva depone anche la
giurisprudenza. Si consideri, al riguardo il
TAR Campania, sez. II, del 21.05.2008, n.
4855, il quale ha affermato la necessità
della previa adozione di procedure
comparative, rese adeguatamente note
attraverso idonea pubblicità, ed ha statuito
l'illegittimità del conferimento di un
incarico di collaborazione e di consulenza
legale non preceduto dalle predette
procedure selettive, in diretta applicazione
dell'art. 7, comma 6-bis, del d.lgs.
165/2001 (si trattava di un caso di
attribuzione di un incarico di patrocinio e
consulenza legale in sede amministrativa e
civile, di durata annuale, ad un
professionista esterno all'amministrazione,
con compenso mensile predeterminato).
[5]
Con riferimento alla seconda questione
posta, si osserva come la giurisprudenza
abbia sottolineato che 'l'atto di
conferimento dei servizi legali, inclusi la
consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i
Tribunali, rientri nel novero di quegli atti
e provvedimenti che, non essendo in alcun
modo riconducibili alle funzioni di
indirizzo e controllo
politico-amministartivo, sono riservati alla
dirigenza' [6].
Nulla vieta, tuttavia, che l'organo politico
manifesti, con un atto di indirizzo, la
propria volontà circa l'opportunità di
procedere all'affidamento dei servizi legali
ad unico studio legale, che si occupi delle
controversie che possano coinvolgere l'ente
in un determinato arco temporale, fermo
rimanendo che la susseguente procedura di
individuazione del professionista esterno
competerà agli organi burocratici
competenti.
---------------
[1] Sulla questione dell'inquadramento
giuridico degli incarichi professionali
legali si veda il parere reso da questo
Ufficio in data 29.02.2008, prot. n.
3911/1.3.16, consultabile sul seguente sito
internet: http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri.
[2] Si ricorda come gli appalti di servizi
elencati nell'allegato IIB rientrino tra i
'contratti esclusi'.
[3] L. Oliveri, 'La configurazione delle
consulenze e delle prestazioni d'opera ai
fini dell'applicazione del codice dei
contratti - le procedure comparative per gli
incarichi di collaborazione', consultabile
sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[4] Si discute, invece, circa la possibilità
di procedere mediante affidamento diretto
nella diversa ipotesi, che esula dalla
fattispecie in esame, del conferimento del
solo patrocinio giudiziale relativo ad una
specifica vertenza.
[5] La sentenza citata è stata richiamata,
condividendola, anche dal TAR Piemonte, sez.
I, sentenza del 29.09.2008, n. 2106. Nello
stesso senso si è espresso il TAR
Calabria-Reggio Calabria, sez. I, con
sentenza del 04.05.2007, n. 330.
[6] TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I,
sentenza sopra citata. Nello stesso senso
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del
09.09.2005, n. 4654 (21.04.2009 -
link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI SERVIZI: Parere
richiesto dal Sindaco del comune di Teana
circa il conferimento di incarichi di patrocinio legale ad
avvocati esterni all'ente
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata,
parere
03.04.2009 n. 8).
Dal tenore dei quesiti si desume che
il caso al quale si riferisce il Comune istante
riguarda l’incarico di patrocinio legale che un Ente,
sprovvisto di avvocatura interna, si trova a dover
necessariamente conferire al professionista esterno nel
momento in cui sorge la necessità di agire in giudizio
(quale parte attrice) ovvero di resistere ad esso (se parte
convenuta o resistente). Si desume, altresì, che il
patrocinio non si intende limitato alla rappresentanza in
giudizio dell’Ente ma, in generale, comprende anche
l’assistenza e la difesa del patrocinato.
Il primo interrogativo posto riguarda le modalità di
conferimento di detto incarico.
Il Sindaco del Comune di Teana sostiene trattarsi di
“servizio legale”, come tale riconducibile alla disciplina
dell’appalto di servizi, regolato dall’art. 20 del D.Lgs. n.
163/2006 (in appresso, per brevità, “Codice dei contratti
pubblici” o “Codice”).
Al riguardo si osserva che vi sono, invero, indici rilevanti
di un orientamento tendente a qualificare le prestazioni
professionali rese da avvocati, tanto in sede giudiziale che
stragiudiziale, quali “servizi”, sia pure in una accezione
talmente ampia da farvi rientrare non solo il compimento di
un servizio inteso quale risultato della prestazione, ma
anche la c.d. prestazione di diligenza professionale in sé
considerata (o di mezzi), di natura intellettuale, resa da
professionisti iscritti in appositi albi. In tal senso, già
la legge n. 31 del 09.02.1982, regolante la libera
prestazione “di servizi” da parte degli avvocati cittadini
comunitari, rubricava come “servizi professionali” quelli di
cui qui trattasi. Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 223/2006
(c.d. “decreto Bersani”) ricorre anch’esso all’espressione
“servizi professionali” con riferimento alle attività libero
professionali e intellettuali, secondo una linea di
continuità con la elencazione dei “servizi” contenuta
nell’art. 50 del Trattato C.E., che in tale categoria
espressamente include anche le “attività delle libere
professioni”, fornite normalmente dietro retribuzione, al
fine di vietare restrizioni alla loro libera prestazione
all’interno della Comunità.
Ritiene, tuttavia, la Sezione che gli
argomenti ai quali fare ricorso per dare soluzione al
complesso quesito sottoposto alla sua attenzione non possano
fondarsi sulla mera coincidenza nominalistica di un dato
letterale, sicché non sembra sufficiente l’aver qualificato
“servizio” la prestazione libero professionale resa
dall’avvocato per ritenerla senz’altro compresa nella
categoria dei “servizi legali”, di cui all’allegato II B
richiamato dall’art. 20 del Codice dei contratti pubblici.
D’altro canto,
occorre costatare che non sempre l’incarico di patrocinio
legale, di cui qui si discute, è conferito a un legale solo
nel momento in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale. Si
tratta, in tal caso di un incarico episodico, legato alla
necessità contingente. In altri casi –rilevabili dall’esame
della giurisprudenza di cui si dirà in seguito- la
prestazione in argomento è inserita in un più articolato
quadro di attività professionali, organizzate sulla base dei
bisogni rappresentati dall’Ente.
Orbene, l’indagine che segue dovrà verificare se la
soluzione ritenuta adeguata a dare risposta a un caso valga
anche per l’altro, ovvero se le due ipotesi sopra indicate
richiedano soluzioni diverse, in tutto o in parte.
Appare, allora, necessario sottoporre ad un più penetrante
scrutinio le norme in vigore, senza ignorare il livello e la
natura degli interessi protetti sui quali queste norme
finiscono per incidere. Non sembra irrilevante, infatti, la
considerazione che, a differenza di altre prestazioni
professionali, il patrocinio legale si lega a interessi
costituzionalmente protetti, che assurgono a veri e propri
diritti inviolabili, quale il diritto alla difesa e, pur
senza implicare l’esercizio di pubblici poteri (Corte Giust.,
21.06.1974, causa 2/74, Reyners c/ Stato belga), partecipa
dell’amministrazione della giustizia quale servizio pubblico
essenziale volto alla salvaguardia dei diritti della persona
costituzionalmente tutelati (C.Cost., 27.05.1996, n. 171).
Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza comunitaria,
l’esigenza di tutela del prestatore del servizio, in uno con
la tutela del destinatario della prestazione stessa e, più
in generale, con l’esigenza di una corretta ed efficiente
amministrazione della giustizia, rappresentano “obiettivi
che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi
imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare
una restrizione della libera prestazione dei servizi (v., in
tal senso, sentenze 12.12.1996, causa C 3/95, Reisebüro
Broede, Racc. pag. I 6511, punto 31 e giurisprudenza ivi
citata, nonché 21.09.1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc.
pag. I 6067, punto 33)” (così il punto 64 della decisione
nelle cause riunite C.giust. C‑94/04 e C‑202/04).
Si procederà, pertanto, previo inquadramento della
disciplina delle prestazioni professionali (rese da
avvocati) secondo l’ordinamento interno, all’esame delle
norme di derivazione comunitaria alle quali il Comune
istante ha inteso fare riferimento ed a quelle, non
indicate, che si ritengono rilevanti ai fini della corretta
impostazione dei quesiti.
Appare senz’altro preferibile,
pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete,
la tesi che riconduce il contratto di
patrocinio legale –tanto circoscritto alla rappresentanza in
giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale-
nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato
dall’art. 2230 c.c. e ss..
Depongono in tal senso: la necessarietà e la non
volontarietà (propria del mandato) di una rappresentanza
processuale affidata a tecnici dotati di competenze
particolari per il compimento di atti non negoziali, che la
parte non potrebbe comunque compiere da sé (tranne eccezioni
che non rilevano come regola); la circostanza che detti
tecnici (avvocati), iscritti in appositi albi, esercitano
professionalmente tale attività, alla quale si accompagna di
regola anche la difesa, scritta o orale, della parte
mediante una complessa attività intellettuale per mezzo
della quale l’avvocato assume la difesa e dà sostegno alle
ragioni di fatto e di diritto dell’assistito; il fine
pubblicistico dell’amministrazione della giustizia con cui
questa attività concorre; il richiamo espresso a
disposizioni dettate a proposito di tale tipo contrattuale
quando si tratta di sindacare la validità dell’accordo
stipulato con chi non sia iscritto all’apposito albo (art.
2229 c.c.) o l’inesigibilità della retribuzione (art. 2231
c.c.); la determinazione del compenso secondo tariffe
professionali (art. 2233 c.c.; Cass. Civ., II, 19.02.2007,
n. 3740), nonché la misura della colpa professionale
rilevante ai fini del giudizio di inadempimento (art. 2236
c.c.; Cass. Civ., II, 23.04.2002, n. 5928).
Tale sistematico inquadramento non sembra possa subire
modifiche a seconda la natura del committente, se esso cioè
sia un privato o un Ente pubblico. In disparte il dibattito,
tutt’altro che sopito, circa le differenze tra appalto e
contratto d’opera in generale, non potrebbe sostenersi che,
se il patrocinio è richiesto da (e reso a) un soggetto
privato, l’oggetto del contratto sia una prestazione d’opera
intellettuale, mentre se a richiederlo è un soggetto
pubblico essa diventi, per ciò stesso, oggetto di un
contratto di appalto (di servizi). Al riguardo, e in
generale per le prestazioni professionali, la giurisprudenza
amministrativa è costantemente orientata a escludere la
mutevolezza della natura giuridica del contratto d’opera
intellettuale nelle due ipotesi (così Cons. Stato, IV,
27.06.2001 n. 3483, a proposito del contratto concluso fra
una p.a. ed i componenti la commissione di collaudo di
un’opera pubblica; Cons. Stato, IV, 28.08.2001, n. 4573, a
proposito dell’attività professionale di redazione di
strumenti urbanistici; TAR Liguria, 22.06.2002, n. 705; TAR
Campania, II, 11.11.2003, n. 13477. Per Cass. Civ., II,
18.04.2003, n. 6326, la natura di contratto d’opera
intellettuale, “caratterizzato, in quanto tale,
dall’autonomia del prestatore”, è esclusa solo nel caso in
cui l’avvocato sia un dipendente dell’Ente, prevalendo in
tal caso il rapporto di subordinazione con il datore di
lavoro).
Ciò posto, ci si deve preliminarmente chiedere se il
contratto di patrocinio (qui inteso come quello volto a
soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa
giudiziale del cliente), in quanto prestazione di lavoro
autonomo, rientri o meno nella disciplina delle
collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate
dall’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito con
modificazioni con legge n. 133/2008. Si tratta di un tema
che, non essendo stato sollevato nella richiesta di parere,
non può essere trattato dalla Sezione se non nei ristretti
limiti in cui è funzionale a dare contezza del complesso
intreccio normativo che, per la soluzione del quesito
stesso, si presenta all’attenzione dell’interprete.
In tale disciplina rientra, da un lato, il conferimento di
incarichi individuali, con contratto di lavoro autonomo, di
natura occasionale o coordinata e continuativa, dal
contenuto professionale particolarmente specializzato, per
sopperire ad esigenze cui gli enti non possono far fronte
con personale in servizio. Per siffatta tipologia di
incarichi l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, commi 6 e 6-bis,
ha indicato i presupposti del conferimento e ha
procedimentalizzato la modalità di scelta del
professionista, sia imponendo la previa procedura
comparativa (art. 7, comma 6-bis), sia imponendo la
preventiva determinazione degli elementi del contratto. Si
tratta di disposizioni alle quali devono adeguarsi anche i
regolamenti degli EE.LL., ex art. 110, comma 6, del T.U.E.L.
Dall’altro lato, vi rientrano gli altri contratti di
collaborazione autonoma che, indipendentemente dall’oggetto
della prestazione, sono riferiti ad attività istituzionali
stabilite dalla legge o previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.. Per
tali contratti è il Regolamento previsto dall’art. 89 del
T.U.E.L. che fissa i limiti, i criteri e le modalità per
l’affidamento degli incarichi, il tutto in conformità a
quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, tra cui il
citato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.
Si richiama quanto argomentato, sul punto, dalle Sezioni
Riunite della Corte dei conti in sede di controllo, con la
delibera n. 6/2005. Sebbene l’occasione fosse rappresentata
dall’esame della disciplina legislativa allora vigente
regolante le modalità per il conferimento di incarichi di
studio, ricerca, ovvero di consulenza, le Sezioni Riunite
conclusero che, pur trattandosi di incarichi il cui
contenuto “coincide (…) con il contratto di prestazione
d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229–2238 del
codice civile”, dagli stessi restano esclusi (oltre ai
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, “che
rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro
autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro
subordinato”), gli incarichi di “rappresentanza in giudizio
ed il patrocinio dell’amministrazione”, in quanto incarichi
“conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge,
mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell’amministrazione”.
Tale conclusione è stata poi confermata anche dalla
successiva delibera della Corte dei conti, Sezione delle
Autonomie, n. 6/AUT/2008, che si è espressa con riguardo
alle evoluzioni normative di epoca più recente.
Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai
presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6,
del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio
legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa
essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali
attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto
per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire
obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto
dalla norma.
In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di
un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la
rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali),
attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata
dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati
dalla norma, che quel potere attribuisce.
Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile
ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito
delle attività di cooperazione (Cass. Civ., III, 26.07.2005,
n. 15607), non appare configurabile il mero patrocinio
legale alla stregua del contratto di collaborazione
autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma
2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle
attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito
programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi
dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L..
In tale ultimo caso, poi, non si vede come possa essere
programmabile, se non in via del tutto generica e ipotetica,
un’attività che circostanze non dipendenti dalla volontà del
soggetto programmatore rendono necessaria e non diversamente
esercitabile se non nella forma dell’incarico a
professionista esterno abilitato.
Altra cosa, invece, (con riguardo alla riferibilità alle
attività istituzionali dell’Ente e alla programmabilità) è
il conferimento di incarico per prestazioni che prevedano,
oltre al patrocinio legale delle vertenze che sorgeranno
entro un arco di tempo determinato, anche l’attività di
consulenza legale a favore dell’Ente (TAR Campania-Napoli,
II, 21.05.2008, n. 4855. In tale circostanza il Giudice
adìto ha ritenuto di annullare l’affidamento fiduciario,
senza la preventiva procedura selettiva e comparativa, di un
incarico di patrocinio e consulenza legale, di durata
annuale, per un compenso mensile fisso, per violazione del
comma 6bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, piuttosto che
per violazione delle regole sull’appalto di servizi legali,
diversamente da quanto ritenuto dal altri TT.AA.RR., come in
appresso si dirà).
Riassumendo quanto fin qui detto, se ne
ricava che l’incarico professionale di patrocinio, che viene
conferito a un legale nel momento stesso in cui sorge il
bisogno di difesa giudiziale dell’ente: a) è riconducibile
al contratto d’opera intellettuale; b) il suo inquadramento
sistematico lo colloca nell’ambito delle prestazioni di
lavoro autonomo; c) resta escluso dall’ambito delle
collaborazioni autonome, pur essendo queste prestazioni
d’opera intellettuale.
Si tratta ora di
verificare se le conclusioni fin qui raggiunte sono coerenti
con la normativa di fonte comunitaria, ovvero se
quest’ultima spinga verso soluzioni diverse quale il
ritenere, necessariamente o solo sussistendone le
condizioni, il patrocinio legale oggetto di appalto di
servizi legali. È all’interno di tale indagine che potranno
trovare collocazione sistematica le altre ipotesi, sopra
solo accennate, in cui cioè la prestazione di patrocinio
legale si lega a scelte organizzative più complesse e
articolate.
Contrariamente a quanto ritenuto dall’Ente, va osservato che
le disposizioni che riguardano i “servizi legali” non
rappresentano affatto una novità introdotta nell’ordinamento
interno a seguito della direttiva 2004/18/CE, in quanto già
il D.Lgs 17.03.1995, n. 157 (“Attuazione della direttiva
92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”),
indicava, nell’allegato 2, una serie di servizi, tra cui i
“servizi legali”, relativamente ai quali non si applicava la
disciplina generale nella sua integralità ma solo alcune
disposizioni del citato decreto legislativo e, segnatamente:
l’eventuale pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione (art.
8, co. 3); l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di
definire le “specifiche tecniche” del servizio nei
capitolati d’oneri o nei documenti contrattuali relativi a
ciascun appalto (art. 20), obbligo, quest’ultimo, soggetto
peraltro a deroghe (art. 21). Tutta una serie di servizi
erano poi esclusi tout court dall’assoggettamento alle norme
del decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando” delle
premesse alla direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato
D.Lgs. n. 157/1995, che “la prestazione di servizi è
disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si
fondi su contratti d'appalto; [nel caso in cui la
prestazione del servizio si fondi] su altra base, quali
leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, [detta
prestazione] esula dal campo d'applicazione della presente
direttiva”.
I servizi legali sono stati ora riproposti nell’allegato II
B al D.Lgs. n. 163/2006 tra quei servizi per il cui
affidamento (in virtù del richiamo operato dall’art. 20)
trovano applicazione, esclusivamente, gli artt. 68
(specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della
procedura), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).
Gli appalti di servizi in questione, giova ribadire, non
sono disciplinati, dunque, da tutte le disposizioni del
D.Lgs. n. 163/2006, ma soggiacciono solo a quel nucleo
minimo di specifiche regole sopra indicate (TAR Puglia-Lecce,
30.03.2007, n. 1333), oltre al rispetto dei principi
generali richiamati dall’art. 27 del Codice (economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità), previo invito ad almeno cinque
concorrenti, “se compatibile con l’oggetto del contratto”.
La direttiva 2004/18/CE, trasfusa nel Codice dei contratti
pubblici, non riproduce la limitazione contenuta nell’ottavo
“considerando” alle premesse della precedente direttiva,
sopra riportato, ma raccomanda che “Per quanto riguarda i
servizi di cui all'allegato II B [tra cui, appunto, i
servizi legali], le disposizioni della presente direttiva
dovrebbero far salva l'applicazione di norme comunitarie
specifiche per i servizi in questione” (diciottesimo
“considerando”).
A parere di questa Sezione il legislatore comunitario ha
voluto con ciò intendere che la disciplina introdotta con
l’ultima direttiva sugli appalti non va a sovrapporsi a
quella risultante dalle direttive specificamente regolanti i
singoli servizi le quali, senza ricondurre la prestazione
professionale da conferire allo schema dell’appalto, hanno
già posto le condizioni per garantire al prestatore di tali
servizi l’accesso libero al mercato dei paesi comunitari, in
ossequio ai diritti di libertà sanciti dal Trattato CE.
In proposito, deve osservarsi, infatti, che molto
incisivamente il legislatore comunitario è intervenuto
quando si è trattato di indicare, con espresso riferimento
alle prestazioni professionali, le modalità attraverso le
quali raggiungere il risultato di dare effettività e
concretezza all’obiettivo indicato dall’articolo 3,
paragrafo 1, lettera c) del Trattato CE, eliminando ogni
ostacolo alla libera circolazione di persone e servizi tra
Stati membri. Tale obiettivo si è inteso raggiungere,
innanzitutto, prevedendo l'approvazione di direttive miranti
al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri
titoli abilitativi che consentano l’esercizio della
professione in ogni paese comunitario.
È soprattutto con la direttiva 2005/36/CE del 07.09.2005,
relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali
-che ha superato la precedente direttiva 1998/5/CE, recepita
con D.Lgs. n. 96 del 02.02.2001– che sono state poste le
condizioni idonee a garantire la libera circolazione e il
libero accesso al mercato delle professioni.
Non è casuale, del resto, che la stessa giurisprudenza
comunitaria sia sempre stata investita, con riguardo alla
professione forense, di questioni riconducibili al diritto
di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi
all’interno degli Stati membri, censurando, perché di
ostacolo alla concorrenza, la inderogabilità dei minimi
tariffari, sulla quale è poi intervenuto il legislatore
interno col richiamato “decreto Bersani” (C.giust.,
21.06.1974, causa 74/2; Id., 03.12.1974, causa 33/74; Id.,
28.04.1997, causa 71/76; Id., 12.07.1984, causa C-107/83;
Id., 19.01.1988, causa 292/86; Id., 30.11.1995, causa C-
55/94; Id., 19.02.2002, causa C-303/99; Id., 05.12.2006,
cause C‑94/04 e C‑202/04).
Ora, non pare dubitabile che in siffatto contesto la
normativa comunitaria sopra riportata si preoccupi di
tutelare la libera circolazione dei servizi e la libertà di
stabilimento del prestatore di essi in quanto lavoratore,
autonomo o subordinato. “Per i cittadini degli Stati membri,
essa (libertà) comporta, tra l'altro, la facoltà di
esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una
professione in uno Stato membro diverso da quello in cui
hanno acquisito la relativa qualifica professionale” (così
il primo “considerando” della direttiva 36 del 2005). Ed
ancora: “la presente direttiva si applica a tutti i
cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come
lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi
professionisti, una professione regolamentata in uno Stato
membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro
qualifiche professionali” (così l’art. 2, comma 1, della
citata direttiva).
Sembra, allora, che se il prestatore di servizi
professionali è libero di poter esercitare la sua attività
quale lavoratore, autonomo o subordinato, all’interno degli
Stati membri, il relativo contratto debba ritenersi escluso
dall’applicazione del Codice ex art. 19, comma 1, let. e).
Di conseguenza, i “servizi legali” di cui all’allegato II B
sarebbero oggetto di appalto solo se e quando la prestazione
sia riconducibile a tale tipo di contratto. In altre parole,
il servizio legale per essere oggetto di appalto
richiederebbe un quid pluris, per prestazione o per modalità
organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio
legale. In tal senso depone la prescrizione che, per
l’affidamento di tali servizi, pretende l’indicazione delle
specifiche tecniche fissate dal committente (art. 68 del
Codice), che rappresentano la condizione per permettere
l’apertura dell’appalto alla concorrenza (cfr. il
ventinovesimo “considerando” alla direttiva n. 18 del 2004).
Ed ancora, una conferma in tal senso può desumersi anche dal
quarantasettesimo “considerando”: posto che “negli appalti
pubblici di servizi, i criteri di aggiudicazione non devono
influire sull'applicazione delle disposizioni nazionali
relative alla rimunerazione di taluni servizi, quali ad
esempio le prestazioni degli architetti, degli ingegneri o
degli avvocati”, il prezzo di tali servizi, così
determinato, di per sé solo, non sarebbe idoneo a garantire
quella valutazione delle offerte in condizioni di effettiva
concorrenza, che ammette soltanto l'applicazione di uno dei
due criteri di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e
quello della offerta economicamente più vantaggiosa.
Da quanto precede non sembra, dunque, che il legislatore
comunitario si sia preoccupato di regolare le modalità di
affidamento dei contratti del tutto esclusi dall’ambito
della disciplina degli appalti pubblici. Tra questi, il
contratto di lavoro autonomo avente a oggetto il patrocinio
legale, stipulato con un’amministrazione aggiudicatrice.
Si potrebbe, allora, ritenere che la fonte della disciplina
interna per l’affidamento di detti contratti sia da
rinvenire nelle disposizioni sulla contabilità generale
dello Stato, recate dal R.D. n. 2440/1923, in particolare
nell’art. 3, comma 2, in quanto compreso tra le
“disposizioni vigenti in materia di contratti delle
pubbliche amministrazioni” alle quali rinvia l’art. 192,
comma 1, let. c) del T.U.E.L. per individuare le modalità di
scelta del contraente ammesse per i contratti degli Enti
Locali.
D’altro canto, tale lacuna, lasciata dalla normativa
comunitaria, potrebbe, invece, essere colmata attingendo
alle “procedure previste dalla normativa della Unione
europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento
giuridico italiano” (art. 192, u.c., T.U.E.L.).
In effetti, l’estensione, in tal senso operata dal
legislatore nazionale di principi comunitari a fattispecie
che, a rigore, sarebbero escluse dall’ambito di applicazione
della disciplina sugli appalti pubblici (cfr. art. 121 ss.
del Codice a proposito degli appalti sotto soglia), risponde
anche a precisi orientamenti tanto della Corte di Giustizia
–secondo la quale “sebbene taluni contratti siano esclusi
dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel
settore degli appalti pubblici, le amministrazioni
aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a
rispettare i principi fondamentali del Trattato” (C.giust.,
03.12.2001, causa C-59/00, par. 20, Bent Mousten Vestergaard)–
quanto del Consiglio di Stato –secondo il quale “i principi
generali del Trattato [libertà di stabilimento (art. 43);
libera prestazione dei servizi (art. 49); parità di
trattamento e divieto di discriminazione in base alla
nazionalità (artt. 43 e 49); trasparenza e non
discriminazione (art. 86)], valgono comunque anche per i
contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente
contemplate; quali (oltre alla concessione di servizi) gli
appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali
da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei
professionisti” (Ad. Pl., 1/2008)– e trova positivo
riscontro nell’art. 27 del Codice dei contratti pubblici,
che ha esteso a tutti i contratti di servizi, sebbene
totalmente esclusi dall’ambito proprio della direttiva sugli
appalti, l’osservanza dei principi generali di derivazione
comunitaria, tra cui il principio di concorrenzialità che
impone la valutazione comparativa tra almeno cinque
concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.
Ciò consente, peraltro, di rendere applicabili anche ai
contratti di lavoro autonomo di patrocinio legale le
indicazioni elaborate dalla Commissione europea con la
“Comunicazione interpretativa” relativa al diritto
comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o
solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti
pubblici” (Comunicazione 2006/C 179/02, in G.U.C.E.,
01.08.2006 – comunicazioni e informazioni), sulla quale si
tornerà in seguito.
L’excursus che precede si è reso necessario per tracciare i
temi rilevanti ai fini del richiesto parere.
In primo luogo, la normativa interna
relativa al conferimento di “collaborazioni autonome” non si
applica alla prestazione professionale di patrocinio legale,
giuste le osservazioni delle Sezioni Riunite e della Sezione
delle Autonomie della Corte dei conti, sopra riportate.
In secondo luogo,
così come aveva già indicato la direttiva 1992/50/CE, già
citata, la disciplina comunitaria relativa
agli appalti di servizi legali
-con quanto ne consegue in ordine alle modalità di
conferimento della prestazione professionale che ne
costituisce oggetto, ex art. 20 del Codice-
si applica solo se il contratto di appalto
rappresenta lo schema negoziale concretamente adottato,
rimanendo esclusa quella (prestazione) che trovi fondamento
in leggi o regolamenti ovvero in altri rapporti, quali, a
titolo esemplificativo, quelli riconducibili ad attività
lavorativa, autonoma o subordinata.
In terzo luogo, si chiarisce
l’equivoco nel quale, sembra, essere incorso il Comune
istante: quello cioè di aver ritenuto sufficiente
considerare la prestazione di patrocinio legale un servizio
per assoggettarlo alla disciplina comunitaria dell’appalto
(di servizi). Vero è, invece, che il contratto di patrocinio
legale, quale fonte di un rapporto di lavoro autonomo, ove
non inserito in un contesto strutturato e organizzato più
ampio, soggiace ai principi del diritto comunitario
richiamati dall’art. 27 del Codice, che impone una procedura
selettiva “se compatibile con l’oggetto del contratto”, con
le ulteriori precisazioni e i suggerimenti operativi
indicati nella Comunicazione della Commissione europea.
Tanto premesso,
occorre ora indagare in quali casi ricorre l’appalto di
servizi, con conseguente applicazione anche delle
disposizioni indicate nell’art. 20 del codice stesso.
Non essendo questa la sede per affrontare il tema, ancora
dibattuto, sulla natura (necessariamente o meno)
imprenditoriale del prestatore di servizi negli appalti
pubblici regolati dal D.Lgs. n. 163/2006, ovvero sulla
natura della prestazione, se di risultato o anche solo di
mezzi (Cons. Stato, IV, n. 263/2008), può soccorrere allo
scopo l’esame dei casi nei quali la giurisprudenza
amministrativa ha riconosciuto la sussistenza della
fattispecie, potendosi ivi trarre motivi di riflessione.
Diversamente da quanto ritenuto nella richiesta di parere,
le decisioni segnalate attinenti all’argomento non
riguardano l’affidamento del patrocinio legale nei termini
di cui si è detto nell’esposizione che precede, ma piuttosto
l’affidamento, per un periodo di tempo determinato e dietro
un corrispettivo anch’esso determinato, di una più
articolata attività legale, che comprende anche l’assistenza
e la consulenza oltre l’eventualità del patrocinio legale a
favore dell’Ente.
Così nel caso deciso dal TAR Puglia, n. 5053/2006,
l’affidamento riguardava il servizio di consulenza legale e
patrocinio dell’ente, in ambito amministrativo e civile, per
un periodo di cinque anni e per un corrispettivo annuo
predeterminato.
Parimenti, nel caso deciso dal TAR Calabria, Sezione R.C.,
n. 330/2007, la fattispecie all’esame del Giudice riguardava
l’affidamento diretto, senza alcuna previa procedura
selettiva, dell’attività di consulenza professionale e di
difesa giudiziale dell’Ente per un compenso predeterminato,
attività espressamente qualificata come “servizio legale”.
Si è già detto, sopra, della fattispecie portata alla
decisione del TAR Campania-Napoli, (sentenza n. 4855/2008),
sebbene nella circostanza il G.A. abbia ritenuto di
applicare la disciplina degli incarichi di collaborazione
autonoma (secondo l’attuale terminologia) in luogo di quella
sull’appalto di servizi.
Sembra, dunque, assumere un sempre più marcato rilievo la
possibilità (solo di recente) concessa al professionista di
organizzare e strutturare quella che, tradizionalmente, era
una prestazione di lavoro autonomo, in un servizio (nella
fattispecie, legale), da adeguare alle utilità che spetta
solo all’ente conferente dover indicare, per un determinato
arco temporale e per un corrispettivo determinato,
avvalendosi degli spazi consentiti dall’art. 2 del citato
D.L. 04.07.2006, n. 223, (c.d. Decreto Bersani). In esso,
infatti, si afferma non solo la possibilità di convenire
compensi inferiori ai minimi tariffari oppure parametrati al
raggiungimento degli obiettivi prefissati (co. 1, let. a), o
ancora di indicare il prezzo e i costi complessivi delle
prestazioni (co. 1, let. b), ma soprattutto si afferma la
possibilità di “fornire all'utenza servizi professionali di
tipo interdisciplinare da parte di società di persone o
associazioni tra professionisti, fermo restando che
l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale
deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non
può partecipare a più di una società e che la specifica
prestazione deve essere resa da uno o più soci
professionisti previamente indicati, sotto la propria
personale responsabilità” (co 1, let. c).
Si può così affermare che l’obbligo del
committente di indicare, adeguandole alla natura del
servizio, le specifiche tecniche che consentono di definire
l’oggetto dell’appalto e le modalità della prestazione,
affinché il servizio sia reso in modo da corrispondere alle
esigenze del committente stesso –obbligo, non derogabile,
posto dall’art. 68 ed espressamente richiamato dall’art. 20
del Codice- assume concreta valenza selettiva delle offerte
presentate proprio nell’ambito di un servizio organizzato e
strutturato.
Sembra allora alla Sezione che l’appalto di servizi legali
sia configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si
esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si
configuri quale modalità organizzativa di un servizio,
affidato a professionisti esterni, più complesso e
articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale
ma in essa non si esaurisce. Ciò comporta che, in quanto
modalità organizzativa, essa sia strutturata e organizzata
dal professionista, con mezzi propri, per far fronte alle
utilità indicate dall’ente conferente in un determinato arco
temporale e per un corrispettivo determinato.
Così inteso, il servizio legale non può, evidentemente,
essere affidato se non con le più specifiche modalità
indicate dall’art. 20 del Codice, come interpretate dalla
più volte citata Comunicazione della Commissione europea,
alle quali si aggiungono quelle residuali dell’art. 27, che
espressamente prevedono l’invito ad almeno cinque
concorrenti (TAR Sardegna, I, 26.06.2007, n. 1355).
Seppure la procedura di affidamento non ricalchi, in questi
casi, i rigidi canoni previsti dal Codice dei contratti
pubblici -(l’art.
25, co.1, let. b, della legge di delega n. 62/2005,
espressamente prevedeva la “semplificazione delle procedure
di affidamento che non costituiscono diretta applicazione
delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il
contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli
strumenti giuridici”)- occorre comunque
considerare che l’invito deve essere adeguatamente
pubblicizzato (ove non ricorrano situazioni di estrema
urgenza, risultanti da eventi imprevedibili) e formulato in
modo da rendere espliciti gli elementi minimi affinché sia
salvaguardato il risultato utile voluto dal legislatore in
ordine al rispetto dei principi sopra indicati (economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza
e proporzionalità) (TAR Lazio, III-quater, 08.07.2008, n.
6443).
Va, altresì, detto che l’Ente non potrebbe,
espletata la procedura comparativa in esame, disattenderne
l’esito, conferendo l’incarico ad altro professionista,
ovvero a colui, tra quelli invitati, che, sulla base dei
criteri predeterminati dall’Ente stesso, non appaia il
concorrente più idoneo (Cons. Stato, IV, n. 263/2008).
Per ulteriori
elementi di conoscenza, utili al rispetto della procedura di
affidamento, si rinvia alla più volte citata “Comunicazione
interpretativa della Commissione” del l'01.08.2006.
Quanto all’organo deputato a esprimersi in
ordine all’opportunità di iniziare o resistere alla lite,
come anche al soggetto dotato di legittimazione, che
sottoscriverà la procura alla lite, in generale occorre fare
riferimento a quanto indicato nello Statuto (art. 6 T.U.E.L.),
dal momento che esso potrebbe attribuire la legittimazione
attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass. Civ., V,
04.02.2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a stipulare il
contratto di patrocinio o di appalto di servizio con il
professionista, questi non può che essere il Dirigente, ai
sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già la Giunta (Cons.
Stato, IV, n. 263/2008, cit.; TAR Calabria, R.C., n.
330/2007; TAR Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n.
3081/2004).
In ogni caso,
si segnala che per il contratto d’opera
professionale, quando ne sia parte committente una p.a., è
richiesta la forma scritta a pena di nullità, ai sensi degli
artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923 (Cass., 08.06.2007, n.
13508).
Relativamente al compenso spettante al professionista,
occorre distinguere. Se nell’invito per la selezione era
stato richiesta anche l’indicazione di detto compenso,
ovvero il modo di determinarlo in riferimento alla tariffa
vigente, l’affidamento al professionista porta già con sé la
determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la preventiva
determinazione della componente economica, occorre che sia
indicato l’importo del compenso o il criterio della sua
determinazione, dovendosi richiamare l’Ente all’osservanza,
comunque, di misure di natura prudenziale, quali ad esempio
quelle indicate dalla Sezione regione di controllo per
l’Abruzzo con la delibera n. 360/2008, del 14.07.2008.
Giova ribadire, sul punto, che proprio le
possibilità di determinazione del compenso professionale,
anche al di sotto dei minimi tariffari, impone all’Ente -al
fine della tutela del pubblico erario- di convenire sempre e
preventivamente gli onorari dovuti, vigilando e controllando
che le altre voci di spesa siano congrue rispetto
all’attività effettivamente svolta. |
COMPETENZE GESTIONALI: Per
rilasciare la procura alle liti -al
difensore- il sindaco non ha bisogno della
preventiva autorizzazione della giunta
comunale.
Dagli articoli 36 e 35 della legge 142/1990,
poi trasfusi negli artt. 48, comma 2, e 50,
commi 2 e 3, del t.u. sugli ordinamenti
degli enti locali, approvato con d.lgs.
267/2000, si evince il principio secondo cui
competente a conferire al difensore del
Comune la procura alle liti è il Sindaco,
non essendo più necessaria l'autorizzazione
della Giunta municipale, atteso che al
Sindaco è attribuita la rappresentanza
dell'Ente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un.,
10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550).
La decisione di agire e resistere in
giudizio e il conseguente conferimento del
mandato alle liti competono quindi, in via
ordinaria e salva deroga statutaria, al
rappresentante legale dell'ente senza
bisogno di autorizzazione della giunta o del
dirigente ratione materiae competente
(Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.02.2009 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
La spettanza del legale non è riconducibile ad una sentenza
esecutiva quale obbligo cogente nei confronti
dell’amministrazione, bensì al rapporto professionale
intercorso e alla successiva circostanza dell’insolvenza che
ha determinato l’insorgenza a carico dell’Ente locale di
adempiere il debito.
Essendo tale obbligo insorto al momento della nuova
richiesta può essere adempiuto mediante semplice
integrazione dello stanziamento di bilancio.
Tuttavia, qualora intervenga nell’esercizio
finanziario successivo ed il relativo capitolo non sia stato
impegnato, non sussistendo residui si dovrà procedere con il
riconoscimento di debito fuori bilancio.
---------------
Il Comune di Frontone ha formulato richiesta di parere
concernente la necessità o meno di procedere al
riconoscimento di debito fuori bilancio derivante da una
parcella professionale posta dall’Autorità Giudiziaria a
carico della controparte insolvente ed irreperibile.
...
La spettanza del legale non è riconducibile ad una sentenza
esecutiva quale obbligo cogente nei confronti
dell’amministrazione, bensì al rapporto professionale
intercorso e alla successiva circostanza dell’insolvenza che
ha determinato l’insorgenza a carico dell’Ente locale di
adempiere il debito.
Essendo tale obbligo insorto al momento della nuova
richiesta può essere adempiuto mediante semplice
integrazione dello stanziamento di bilancio.
Tuttavia, qualora intervenga nell’esercizio
finanziario successivo ed il relativo capitolo non sia stato
impegnato, non sussistendo residui si dovrà procedere con il
riconoscimento di debito fuori bilancio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Marche,
parere 02.02.2009 n. 4). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di Calitri (Av)
sulla possibilità di conoscere se -per la
liquidazione delle parcelle professionali relative agli
incarichi conferiti- occorra attivare il procedimento del
debito, ai sensi dell'art. 194, co. 1, del TUEL n. 267/2000
o se sia sufficiente procedere ad un impegno integrativo su
apposito capitolo di bilancio corrente con capienza
finanziaria, provvedendo, quindi, alla relativa
liquidazione.
Pur in presenza di
difficoltà nella individuazione della somma esatta relativa
alla parcelle del professionista, l’Ente è tenuto al
rispetto dei canoni di buona amministrazione (fra gli altri
a quello del prudente apprezzamento), delle regole
giuscontabili in materia di spesa e dei principi che
caratterizzano la corretta gestione dei pubblici bilanci.
Prima della determinazione dell’impegno di spesa va
acquisita dall’avvocato, al quale è stata affidata la
rappresentanza in giudizio del Comune, un preventivo di
massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese
che presuntivamente deriveranno dall’espletamento
dell’incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata
copertura finanziaria.
Nel caso in cui non venga seguita la descritta procedura, si
verifica una fattispecie tipica di debito fuori bilancio, in
quanto l’Ente ha impegnato e coperto finanziariamente solo
la spesa necessaria per corrispondere l’acconto al
professionista. Si determina, di conseguenza, la violazione
delle prescrizioni di cui all’art. 191 del d.lgs. 267/2000
che disciplinano le modalità attraverso le quali le spese
degli enti locali devono essere assunte prevedendo dei
procedimenti di natura tecnico-contabile per evitare il
formarsi dei debiti fuori bilancio e per garantire
l’equilibrio tra entrate e spese.
Nella fattispecie si da luogo a spese al di fuori
dell’impegno costituito ed in assenza di una specifica
previsione nel bilancio dell’esercizio in cui si
manifestano.
In conclusione per la differenza tra la somma destinata al
pagamento degli acconti e quella scaturente dalla
liquidazione della parcella definitiva si dovrà procedere al
loro riconoscimento ai sensi dell’art. 194 del T.U.E.L. n.
267/2000 e secondo le procedure ivi previste (cfr. in
termini l’indirizzo delle Sezioni Riunite per la Regione
Sicilia in sede consultiva, da ultimo deliberazione n.
2/2007)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania,
parere 04.02.2009 n. 8
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Comune
di Marcon (TV) - Parere
in tema di conferimento di incarichi
esterni da parte degli enti locali (in
particolare di rappresentanza e difesa in
giudizio), alla luce delle novità introdotte
dall'art. 46 del DL. 25.06.2008, n. 112,
convertito nella legge 06.08.2008, n. 133
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 21.01.2009 n. 7).
---------------
Regole doc per i legali dei comuni. Incarichi in
appalto. Un parere della Corte dei conti del Veneto sui
servizi.
Gli incarichi a legali per la difesa e la rappresentanza in
giudizio sono appalti di servizi. Non rientrano, dunque,
nella regolamentazione contenuta nell'articolo 7, comma 6,
del dlgs 165/2001, ma nella disciplina del dlgs 163/2006.
Questo è quanto ha precisato la Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per il Veneto con il parere n.
7/2009, chiarendo una volta per tutte un argomento discusso.
Nel caso in esame il sindaco del comune di Marcon aveva
posto il quesito se un comune, privo di avvocatura civica
interna e costretto a conferire la rappresentanza in
giudizio dell'ente a un avvocato esterno
all'amministrazione, dovesse classificare tale incarico tra
quelli di collaborazione autonoma, con la conseguenza del
suo assoggettamento alla disciplina relativa alle previsioni
circa i limiti di spesa, alla comunicazione alla Corte dei
conti dei relativi atti d'impegno, alla pubblicazione sul
sito web dell'ente ecc. O se piuttosto la fattispecie in
esame rientrasse nella categoria 21 «Servizi Legali» di cui
all'all. II B del dlgs 163/2006.
L'affidamento del servizio di difesa in giudizio, ad avviso
della Sezione Veneto, non può rientrare nella disciplina «lavoristica»
del dlgs 165/2001, perché non può configurarsi come incarico
di collaborazione professionale.
Infatti, sebbene la nuova disposizione dell'art. 7 del dlgs
30.03.2001, n. 165 che disciplina la «gestione delle risorse
umane», consenta di ricorrere a incarichi individuali di
natura occasionale e coordinata e continuativa per esigenze
cui non si possa far fronte con personale in servizio,
l'oggetto della prestazione deve comunque corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione,
ad obiettivi e progetti specifici e deve risultare coerente
con le esigenze di funzionalità della p.a. che conferisce
l'incarico.
Deve essere, poi, preventivamente determinata la durata e il
luogo della collaborazione.
Anche l'ulteriore condizione posta per gli enti locali, per
la quale le collaborazioni, se non riferite ad attività
istituzionali stabilite dalla legge, devono essere previste
nel programma approvato dal consiglio ai sensi dell'art. 42,
comma 2, del dlgs 18.08.2000, n. 267, non appare compatibile
con la natura essenzialmente imprevedibile e difficilmente
programmabile a priori di tale tipo di incarichi.
Ad avviso della Sezione, quindi, gli incarichi, inseriti nel
contesto della gestione delle risorse umane, intendono
riferirsi ad attività temporanee ed altamente qualificate da
svolgersi all'interno delle competenze istituzionali
dell'ente. In tale categoria non può farsi rientrare
l'incarico di rappresentare e difendere in giudizio
l'amministrazione trattandosi di affidamento di un'attività
non rientrante nei compiti istituzionali dell'ente, ma
riguardante il generale potere/dovere di opporsi (o far
valere) a eventuali pretese di terzi non prevedibili né
riconducibili ad obiettivi o progetti individuati
dall'amministrazione.
La fattispecie in questione è più correttamente inquadrabile
nella categoria 21 «Servizi Legali» contemplata nell'all. II
B del dlgs n. 163/2006 (articolo ItaliaOggi del 14.05.2009,
pag. 16). |
anno 2008 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Per gli incarichi esterni la gara
è la regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza
- Procedura comparativa per valutare i
curricula dei candidati - Obbligo di
prevedere una procedura comparativa per
l'attribuzione di incarichi esterni -
Necessità di argomentare chiaramente
l'accertamento della mancanza di
professionalità interne - Esclusione dei
servizi tecnici professionali di ingegneria
e architettura.
1.
L’incarico deve rispondere ai compiti
istituzionali dell’Ente o alla
programmazione approvata dal Consiglio ai
sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b),
del testo unico di cui al decreto
legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che ad
una reale ed indifferibile necessità
dell’amministrazione.
2.
All’interno della propria organizzazione,
l’amministrazione deve riscontrare in
concreto (cioè con riferimento a precisi
parametri quali il numero e la
qualificazione professionale dl personale
incardinato nel servizio istituzionalmente
deputato a quella attività) la carenza, sia
sotto l’aspetto qualitativo che
quantitativo, della figura professionale
idonea allo svolgimento dell’incarico.
3.
Criterio generale è che l’incarico a
soggetti esterni all’amministrazione deve
essere conferito ad “esperti di
particolare e comprovata specializzazione,
anche universitaria” (articolo 7, comma
6, del decreto legislativo 30.03.2001 n.
165, così come novellato da ultimo
dall’articolo 46, comma 1, del D.L.
25.06.2008 n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133).
Tale espressione va interpretata nel senso
che “…la specializzazione universitaria
deve costituire un imprescindibile elemento
di valutazione del livello di
professionalità e della particolare
specializzazione dell’incaricato…”
(Sezione di controllo della Corte dei conti
per il Piemonte - parere n. 27 del
14.10.2008), talché potrà prescindersi dalla
“comprovata specializzazione
universitaria” solo per ipotesi
tassative e, cioè, per attività che devono
essere svolte da “professionisti iscritti
in ordini o albi o con soggetti che operino
nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei
mestieri artigianali, ferma restando la
necessità di accertare la maturata
esperienza nel settore” (cfr. comma 1,
secondo periodo, del citato art. 46 del D.L.
25.06.2008 n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n.133).
4.
E’ necessario prevedere, come criterio
generale di assegnazione degli incarichi
esterni, una procedura comparativa per la
valutazione dei curricula con criteri
predeterminati, certi e trasparenti, in
applicazione dei principi di buon andamento
ed imparzialità dell’amministrazione sanciti
dall’articolo 97 della Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve
rappresentare una eccezione, da motivarsi di
volta in volta nella singola determinazione
di incarico con riferimento all’ ipotesi in
concreto realizzatasi, e può considerarsi
legittima solo ove ricorra il requisito
della “particolare urgenza” connessa
alla realizzazione dell’attività discendente
dall’incarico, ovvero quando
l’amministrazione dimostri di avere
necessità di prestazioni professionali tali
da non consentire forme di comparazione con
riguardo alla natura dell’incarico,
all’oggetto della prestazione ovvero alle
abilità/conoscenze/qualificazioni
dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della
procedura comparativa il riferimento a leggi
speciali regolanti settori diversi
dell’azione amministrativa, quali, ad
esempio, i servizi in economia o i lavori
pubblici.
A titolo esemplificativo deve
conseguentemente rilevarsi che presentano
aspetti di non conformità alla ratio legis
previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con
riferimento ad un compenso “non superiore
a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle
procedure di selezione facciano riferimento
a generiche “circostanze speciali ed
eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso
in cui la “procedura comparativa sia
andata deserta o la selezione dei candidati
sia stata infruttuosa”, senza precisare
che in tali ipotesi le condizioni previste
dall’avviso di selezione non possono essere
sostanzialmente modificate
dall’amministrazione.
5.
La prestazione fornita all’amministrazione
deve essere “altamente qualificata”,
espressione da intendersi in senso oggettivo
quale contenuto della prestazione, che non
può essere generica o coincidere con la
normale competenza posseduta dai titolari
degli organi burocratici.
6.
Deve essere verificata la straordinarietà ed
eccezionalità delle esigenze da soddisfare,
dovendosi, al contrario, escludere la
legittimità degli incarichi per soddisfare
esigenze ordinarie.
7.
L’incarico non può essere generico o
indeterminato, ma deve contenere, invece,
l’individuazione specifica dei contenuti e
dei parametri utili per l’esecuzione
dell’incarico. A tal proposito opportuna
appare la previsione di una norma
regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo,
per il responsabile del servizio competente,
di formalizzare l’incarico conferito
mediante la stipulazione di un disciplinare,
inteso come atto contrattuale, in cui siano
specificati gli obblighi per il soggetto
incaricato ed in particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della
prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere
carattere temporaneo e predeterminato sin
dal provvedimento di conferimento, dovendosi
considerare la proroga come evento del tutto
eccezionale;
c- le modalità di determinazione del
corrispettivo, quantificato secondo criteri
di mercato o tariffe e comunque
proporzionato alla tipologia, alla qualità
ed alla quantità della prestazione
richiesta, in modo da perseguire, comunque,
il massimo risparmio e la maggiore utilità
per l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve
essere, comunque, condizionato all’effettiva
realizzazione dell’oggetto dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o
di risoluzione e/o di clausole ritenute
necessarie per il raggiungimento del
risultato atteso dall’Ente, con la
previsione regolamentare, per il
responsabile del servizio competente, di un
potere di verifica dell’esecuzione e del
buon esito dell’incarico. Conseguentemente,
ove i risultati della prestazione non
risultino conformi a quanto richiesto
dall’amministrazione nel disciplinare
d’incarico o siano del tutto
insoddisfacenti, appare congruo prevedere la
fissazione di un termine per l’integrazione
del risultato, o la possibilità per
l’amministrazione di risolvere il contratto
per inadempimento, ovvero di ridurre
proporzionalmente il corrispettivo, ove il
risultato parziale risulti di utilità per
l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di
adempimento della prestazione.
8.
Si precisa inoltre che, come più sopra
rilevato, l’art. 3, comma 54, della legge
24.12.2007, n. 244, modificando l’articolo
1, comma 127, della legge 662/1996, ha
previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito
web dell’Ente per i provvedimenti di
affidamento di incarico con indicazione dei
soggetti percettori, della ragione
dell’incarico e dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel
riportare in sede regolamentare il citato
disposto normativo, individuare sia il
funzionario responsabile del procedimento,
sia il tempo massimo per procedere alla
pubblicazione.
9.
Si ritiene, altresì, che i suindicati
principi regolamentari possano costituire
linee guida per la definizione dei criteri e
delle modalità per l’affidamento degli
incarichi da parte di società che gestiscono
servizi pubblici locali a totale
partecipazione pubblica e/o da parte di
società a totale partecipazione pubblica o
di controllo, ai sensi dell’articolo 18,
commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge
06.08.2008, n. 133.
10.
La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione
degli Enti sulla centralità ed importanza
della motivazione di ciascun provvedimento
di incarico a soggetti esterni
all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo
chiaro ed argomentato (e non con motivazioni
generiche e/o stereotipate) l’accertamento
compiuto dall’Ente circa la reale mancanza
di professionalità interne in grado di
adempiere all’incarico conferito, nonché
l’iter logico-procedimentale che ha portato
l’amministrazione all’individuazione del
soggetto incaricato ed ogni altro elemento
sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento,
riscontrato in alcuni regolamenti pervenuti,
di disposizioni volte a disciplinare il
conferimento di servizi tecnici
professionali di ingegneria ed architettura
in quanto, tale tipologia di incarichi,
rientrante nella materia dei lavori
pubblici, trova regolamentazione nella
normativa di cui al D.Lgs. 12.06.2006, n.
163 e successive modificazioni (Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
parere 18.12.2008 n. 105). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Risponde del danno erariale
l'amministratore comunale che affida una consulenza esterna
per mere ragioni di "opportunità.
Rispondono del danno erariale gli amministratori di un
Comune i quali conferiscono un incarico di consulenza
giuridico-fiscale ad un professionista esterno, senza che la
relativa decisione sia fornita di un'adeguata motivazione in
ordine alla necessità dell'incarico stesso (Corte dei Conti,
Sez. giurisd. Veneto,
sentenza 02.10.2008 n. 1046 -
link a
www.eius.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: La
procura alle liti può essere conferita al
difensore direttamente dal Sindaco, cui è
attribuita la rappresentanza dell’Ente,
senza previa autorizzazione della Giunta
Municipale, spettando a quest’ultima solo
una competenza residuale, per le materie non
riservate al Sindaco dalla legge o dallo
statuto del Comune interessato; quanto ai
poteri del dirigente, disciplinati dall’art.
107 del citato Testo Unico, sembra corretto
ritenere che tra essi non rientri in via
generale –salvo esplicita previsione
statutaria in tal senso– l’autorizzazione a
stare in giudizio.
Il Collegio non condivide la tesi della
difesa della ... s.p.a., secondo cui, a
norma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo
Unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali), non sarebbe “la Giunta
comunale, bensì…il Dirigente del competente
ufficio a dover autorizzare, con propria
determina, il Sindaco a promuovere o a
resistere ad una determinata lite, a pena
della inammissibilità della costituzione in
giudizio”.
A quest’ultimo riguardo, infatti, il
Collegio stesso non ritiene di doversi
discostare dal proprio precedente
orientamento (Cons. St., sez. VI,
09.06.2006, n. 3452) –conforme sul punto ad
autorevole indirizzo della Cassazione (Cass.
SS.UU. nn. 186/2001 e 17750/2002)– secondo
cui la procura alle liti può essere
conferita al difensore direttamente dal
Sindaco, cui è attribuita la rappresentanza
dell’Ente, senza previa autorizzazione della
Giunta Municipale, spettando a quest’ultima
solo una competenza residuale, per le
materie non riservate al Sindaco dalla legge
o dallo statuto del Comune interessato;
quanto ai poteri del dirigente, disciplinati
dall’art. 107 del citato Testo Unico, sembra
corretto ritenere che tra essi non rientri
in via generale –salvo esplicita previsione
statutaria in tal senso– l’autorizzazione a
stare in giudizio (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.10.2008 n. 4744 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Corte conti Calabria sulle spese per
patrocini e soccombenze. Comuni, in bilancio le parcelle
degli avvocati.
Su patrocini e soccombenze, l'ente locale deve attivare gli
scudi. Infatti, i comuni devono prevedere nel bilancio di
previsione appositi stanziamenti di spesa per la copertura
degli oneri derivanti da competenze da riconoscere ai liberi
professionisti per la rappresentanza o il patrocinio
dell'ente ovvero di spese scaturenti da risarcimento danni.
Ciò in quanto, in sede di formazione del bilancio di
previsione l'amministrazione deve presentare un quadro più
fedele possibile delle proprie condizioni finanziarie.
Lo ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo
della Corte dei Conti per la Calabria, nel testo del
parere 30.09.2008 n. 241 con la quale ha
fornito opportune precisazioni e chiarimenti in ordine alla
corretta esposizione in bilancio delle poste riguardanti le
spese inerenti la rappresentanza legale e il patrocinio
dell'ente in sede giudiziale.
Il quesito posto dal comune di Laino Borgo (Cs) verteva
proprio sulla possibilità di iscrivere, in sede di bilancio
di previsione, appositi stanziamenti cui attingere per poter
far fronte alle parcelle dei legali o dei professionisti
chiamati al patrocinio legale o alla rappresentanza
dell'ente ovvero per sopperire a possibili oneri correlati a
procedimenti giudiziari pendenti.
La Corte calabra ha quindi precisato che innanzitutto è lo
stesso Tuel (all'articolo 151) che sancisce l'obbligo di
integrità e veridicità del bilancio di previsione. Questo
significa che tutte le spese, anche quelle di minima entità,
devono essere attendibili e rispecchiare le reali condizioni
finanziarie in cui l'amministrazione locale verrà a trovarsi
nell'esercizio.
Ne consegue che l'amministrazione deve presentare un quadro
delle condizioni finanziarie che sia il più attendibile
possibile. Pertanto, le spese che sono imputabili a titolo
di oneri legali ovvero di risarcimento danni, devono trovare
allocazione nello stato di previsione del bilancio annuale
e, per gli enti che sono tenuti a redigerlo, anche nel
bilancio pluriennale.
La Corte comunque fornisce anche una diversa possibilità.
Se, infatti, al momento della formazione del bilancio gli
oneri di cui si tratta non possono essere previsti nella
misura necessaria, perché, per esempio, mancano precisi
elementi indicativi, l'amministrazione può sopperire
utilizzando il fondo di riserva ex articolo 166 del Tuel. A
tal fine, si potrà pertanto dimensionare lo stanziamento del
predetto fondo, con le possibili somme derivanti dalle
competenze per i patrocini e per le soccombenze. Ovviamente,
secondo quanto prescrive lo stesso testo unico, entro il
limite massimo del 2% del totale delle spese correnti.
A rafforzare la necessità di dotarsi di uno stanziamento di
spesa che possa coprire le eventuali soccombenze, la Corte
rileva come non di rado può succedere che il tesoriere
dell'ente provveda direttamente al pagamento forzato di una
somma prima che l'ente emetta il mandato, come nel caso di
provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima si
sostituisce all'amministrazione, la quale deve provvedere «tempestivamente»
alla regolazione contabile. Regolazione che necessiterà di
una variazione di bilancio se l'amministrazione «non ha
oculatamente provveduto allo stanziamento in sede di
formazione del bilancio di previsione».
In conclusione, si legge nel testo del parere, è demandata
alle valutazioni dell'ente l'opportunità di effettuare un
accertamento preventivo in previsione di una possibile
soccombenza dell'ente. Ma, al contempo, si suggerisce di non
sovradimensionare lo stanziamento dell'importo, in quanto
così operando si riducono le risorse destinate al
perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente stesso
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2008, pag. 39). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Limbiate (Mi) “sulla
legittimità della liquidazione di onorari a favore di un
collegio di difensori in misura superiore a quanto stabilito
in sentenza”
(Corte dei
Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
12.09.2008 n. 64
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Per scegliere il legale serve la gara. Illegittimo
affidare l’incarico senza una procedura selettiva. Il Tar
Campania ha accolto il ricorso di un avvocato. Il
conferimento spetta al dirigente.
È da considerarsi illegittima la deliberazione con la quale
la giunta comunale ha conferito l’incarico di patrocinio e
consulenza legale dell’ente a un avvocato, senza l’indizione
di una procedura selettiva.
È quanto ha precisato, con la
sentenza 21.05.2008 n. 4855,
il TAR Campania-Napoli Sez. II, accogliendo il ricorso di un
avvocato che aveva spontaneamente presentato il proprio
curriculum vitae, impegnandosi, peraltro, a svolgere
l’incarico per un importo inferiore ... (articolo
ItaliaOggi del 30.05.2008, pag. 20). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Il
Comune deve effettuare una selezione pubblica per il
conferimento di un incarico di patrocinio e consulenza
legale.
I principi costituzionali di buon andamento e trasparenza
della pubblica amministrazione ed i principi di derivazione
comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento,
pubblicità e proporzionalità risultano recepiti dall’art. 7,
commi 6 e ss., del dlgs. n. 165/2001 successivamente
modificato, il quale stabilisce che “Le amministrazioni
pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli
incarichi di collaborazione”.
Tra le “pubbliche
amministrazioni” rientrano anche i Comuni e tali principi
impongono la predisposizione di un bando o avviso pubblico e
la previa individuazione di criteri obiettivi per la
valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura
di valutazione comparativa dei curricula presentati nonché
l'obbligo di motivare congruamente la scelta, onde
consentire il controllo sull’imparzialità della procedura
(TAR Campania, Sezione II,
sentenza 21.05.2008 n. 4855
- link a www.litis.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: ENTI
LOCALI – INCARICHI DI COLLABORAZIONE – CONFERIMENTO –
DISCIPLINA – ART. 7 D.LGS. N. 165/2001 ss.mm. – INCARICO DI
PATROCINIO E CONSULENZA LEGALE DELL’ENTE A PROFESSIONISTA
ESTERNO – CONFERIMENTO IN VIA DIRETTA SENZA PROCEDURA
SELETTIVA – DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA – ILLEGITTIMITÀ.
È illegittima -per violazione del principio costituzionale
di buon andamento e trasparenza della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.) e dei principi di
derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di
trattamento, pubblicità e proporzionalità- la deliberazione
con la quale la Giunta comunale ha conferito l’incarico di
patrocinio e consulenza legale del Comune, in sede
amministrativa e civile, di durata annuale, a professionista
esterno, nel caso in cui l’ente abbia conferito in via
diretta l’incarico senza indire una procedura selettiva e
senza valutare in alcun modo le istanze, con allegato
curriculum, presentate.
I summenzionati principi di derivazione comunitaria e
l’esigenza di rendere più concorrenziali gli assetti di
mercato, oltre che di contenere i livelli di spesa pubblica,
che hanno ispirato la nuova normativa (cfr. Preambolo e art.
1 del D.L. n. 223 del 2006 - c.d. decreto Bersani),
impongono la predisposizione di un bando o avviso pubblico,
la previa individuazione di criteri obiettivi per la
valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura
di valutazione comparativa dei curricula presentati nonché
l’obbligo di motivare congruamente la scelta, onde
consentire il controllo sull’imparzialità della
procedura (TAR Campani-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.05.2008 n. 4855 - link a
www.mediagraphic.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Modalità conferimento incarico ad un
avvocato.
1) Pare sia preferibile
procedere all'individuazione del
professionista cui affidare la difesa legale
dell'ente in giudizio mediante apposita
procedura pubblica.
2) Il conferimento dell'incarico di
rappresentanza in giudizio non è soggetto
alle norme di cui all'art. 3, commi 55-57,
della finanziaria 2008.
Il Comune chiede di conoscere un parere in
merito a quali siano le modalità di
affidamento di un incarico ad un avvocato,
nel caso in cui l'ente debba intraprendere
un'azione ovvero resistere in giudizio.
Il quesito posto attiene alla più ampia
tematica dell'inquadramento giuridico degli
incarichi professionali da cui discende,
poi, l'individuazione della procedura da
adottare per l'affidamento dell'incarico
stesso.
Il tema, si è, di recente, riacceso, stante
le disposizioni legislative introdotte con
la legge 24.12.2007, n. 244 che,
all'articolo 3, commi 55-57, pone delle
specifiche incombenze agli enti locali in
materia di affidamenti di incarichi di
studio, di ricerca, ovvero di consulenze,
nonché di incarichi di collaborazione.
In generale si tratta di definire se gli
incarichi professionali si configurino come
contratti di prestazione d'opera ovvero come
appalto.
Entrambe le tesi sono sostenute sia dalla
dottrina che dalla giurisprudenza.
Infatti, un primo orientamento
[1]
afferma che la disciplina degli 'incarichi
professionali' sia soggetta alla
normativa di cui al decreto legislativo
12.04.2006, n. 163, essendo gli stessi
nient'altro che prestazioni di servizi e
considerato, altresì, che il D.Lgs. 163/2006
espressamente li menziona negli allegati IIA
e IIB.
In particolare si rileva come la
distinzione, esistente nell'ordinamento
italiano interno, tra imprenditore
[2]
e libero professionista [3]
sia stata profondamente modificata a seguito
della ricezione, nell'ordinamento italiano,
della nozione di imprenditore formulata
dall'ordinamento europeo. Quest'ultima mette
in discussione seriamente la configurazione
degli articoli 2222-2238 del Codice civile
come norme che regolano una fattispecie
lavorativa tipica, a metà strada tra
l'attività di impresa ed il lavoro
subordinato, quale la professione d'opera,
per attrarla definitivamente nell'ambito del
vero e proprio appalto di servizi.
Si osserva, infatti, come, l'art. 3, comma
19, del D.Lgs. n. 163/2006 specifica che ''I
termini «imprenditore», «fornitore» e
«prestatore di servizi» designano una
persona fisica, o una persona giuridica,
[...] che offra sul mercato,
rispettivamente, la realizzazione di lavori
o opere, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi.'.
Ciò che conta, allora, è la presenza del
soggetto nel mercato aperto: imprenditore è
chi offre prestazioni di servizi ad un parco
potenzialmente indefinito di committenti,
reperiti sul mercato aperto, offrendo le
proprie capacità, a prezzi convenienti.
Il codice dei contratti, nella sostanza, si
presenterebbe come ordinamento 'concorrente'
con il decreto legislativo 30.03.2001, n.
165 nella regolamentazione dei rapporti di
lavoro autonomo con le amministrazioni
pubbliche.
Diretta conseguenza di una tale impostazione
è che l'affidamento di tali incarichi non
potrebbe prescindere dal rispetto delle
procedure concorsuali o quanto meno
para-concorsuali.
Afferma al riguardo certa dottrina
[4]
che: 'Il fatto che prestazione d'opera e
appalto, civilisticamente, siano distinti
non rileva [5],
in quanto la prestazione d'opera è
assimilata all'appalto ai fini della
normativa pubblica in materia di
assegnazione dei contratti della p.a., con
scopi diversi, cioè di assicurare la
concorrenza (mediante l'evidenza pubblica)
anche in tale settore.........è ben presente
la possibilità (ricorrente nelle prestazioni
intellettuali) che le specifiche di queste
ultime non possano essere stabilite dalle
stazioni appaltanti con sufficiente
precisione perché possano essere aggiudicate
selezionando l'offerta migliore in base alle
norme delle procedure aperte o ristrette.
Ciò, pur tuttavia, non legittima
l'affidamento diretto, ma l'attivazione di
una procedura negoziata tra più concorrenti,
preceduta dalla pubblicazione di un bando'.
Con specifico riferimento alle modalità di
affidamento dell'incarico professionale,
pertanto, secondo tale impostazione, lo
stesso non potrebbe avvenire sulla base
della sola valutazione di idoneità di un
candidato, dando rilievo unicamente al
requisito fiduciario.
Il riferimento alla scelta 'eminentemente
fiduciaria', infatti, che
giustificherebbe l'affidamento non in base
alla disciplina degli appalti di servizi, si
fonda su una decisione della Cassazione
risalente, del 1998, quando la
giurisprudenza, in particolare proprio
quella amministrativa, non aveva ancora
sviluppato l'orientamento divenuto
consolidato e pacifico dopo il 2001, secondo
il quale tutte le prestazioni di servizi,
anche intellettuali, sono soggette a
procedure quanto meno para-concorsuali. Con
esclusione pressoché assoluta del criterio
solo fiduciario, contrario ai principi di
trasparenza e buon andamento dell'azione
amministrativa, i quali impongono la piena
sindacabilità delle scelte amministrative,
sulla base di una chiara motivazione delle
scelte compiute. [6]
Quanto alla giurisprudenza, in questo senso
il TAR Puglia [7]
afferma che: 'L'art. 32 della L.
248/2006, recante la conversione in legge
del D.L. 223/2006, dopo aver stabilito
precisi limiti al conferimento di incarichi
di collaborazione esterna da parte delle
P.A. di cui al D.Lgs 165/2001, impone che il
conferimento di incarichi di collaborazione
esterna da parte delle P.A. deve avvenire
previo esperimento di procedure
para-selettive e non già in base alla sola
valutazione di idoneità del prescelto
(quindi non si tratta di incarichi che
possono essere conferiti intuitu personae)'.
Passando, ora, al diverso orientamento
secondo il quale gli incarichi professionali
andrebbero ascritti tra i contratti di
prestazione d'opera e, come tali, non
rientranti nell'ambito applicativo della
disciplina degli appalti pubblici, si
afferma come 'il modello di produzione
del servizio nell'ambito dell'incarico
professionale (tradotto nel contratto di
prestazione d'opera) è caratterizzato dalla
personalità della prestazione e da
un'obbligazione di risultato. Ben diverso è
il caso in cui l'amministrazione intenda
acquisire prestazioni più articolate, rese
da soggetti con organizzazione strutturata,
prodotte senza caratterizzazione personale e
con obbligazione di mezzi. [...]
l'affidamento non è sottoposto alle regole
degli appalti, poiché questi si distinguono
dal contratto di prestazione d'opera in
quanto l'appaltatore deve essere una media o
grande impresa' [8].
A sostegno di questa linea interpretativa si
è espresso, di recente, il Consiglio di
Stato, il quale, nella sentenza del
29.01.2008, n. 263 [9],
ha affermato che: 'Il conferimento di un
incarico professionale di consulenza per gli
aspetti geologici nell'ambito della
redazione di un piano urbanistico e di un
regolamento edilizio non rientra né
nell'ambito della disciplina degli appalti
di lavori pubblici (trattandosi invero di
un'attività professionale -qualificata
locatio operis- riferibile ad una scelta
eminentemente fiduciaria del professionista,
né in quella degli appalti di servizi (non
rinvenendosi i caratteri propri dell'appalto
di servizio ex art. 1655 cod. civ. ed art. 3
del decreto legislativo 17.03.1995, n. 157,
giacché l'appalto si distingue dal contratto
d'opera in quanto l'appaltatore deve essere
una media o grande impresa); trattandosi
invece di incarico fiduciario, non occorre
per il suo conferimento una procedura ad
evidenza pubblica'.
Da ultimo si segnala un ulteriore
orientamento dottrinario
[10]
che distingue, all'interno dei servizi
legali, quelli che comportano il
conferimento di incarichi per 'prestazioni
di servizi legali' dall'incarico di
difesa in giudizio.
I primi consisterebbero in un complesso di
prestazioni di natura legale componibili da
un insieme di difese in giudizio,
determinate o determinabili o connesse a
tutte le possibili vertenze giudiziali nelle
quali sia coinvolta l'amministrazione, entro
un dato arco di tempo, oppure dall'impegno
continuativo a svolgere funzioni di
consulenza legale, o, ancora, dall'impegno a
rendere un numero predeterminato di pareri
legali. Tali servizi, qualora siano oggetto
di affidamento, dovranno essere attribuiti
con una procedura quanto meno negoziata.
Qualora, invece, l'oggetto dell'affidamento
sia unicamente il patrocinio giudiziale
nell'ambito di una specifica vertenza, si
sarebbe fuori dall'ambito di applicazione
del codice dei contratti.
Il patrocinio in giudizio vero e proprio,
non accompagnato da altri servizi legali,
resterebbe una prestazione professionale
specifica, non considerata dal codice dei
contratti, e rientrante esclusivamente nella
disciplina normativa regolante la
professione.
In questo caso l'ente potrebbe procedere ad
un affidamento anche diretto al singolo
professionista, sulla base di valutazioni
anche influenzate dall'intuitu personae,
tenendo sempre conto che la fiducia rimane,
prevalentemente, tecnica e, dunque, legata
alla competenza professionale dimostrata dal
legale che si incarica.
A conclusione di quanto sopra esposto, e con
specifico riferimento al quesito posto,
relativo all'affidamento di un incarico ad
un legale limitato alla solo patrocino
giudiziale, pare a chi scrive che
l'orientamento da ultimo esposto, benché, in
linea teorica, condivisibile, sia contestato
da alcune pronunce giurisprudenziali.
Al riguardo significativa, in quanto
relativa proprio all'affidamento di un
incarico di assistenza legale da parte di un
ente locale, è la sentenza emessa dal TAR
Calabria, in data 04.05.2007
[11],
la quale recita che l'affidamento di detto
incarico non può avvenire in assenza di un
bando o un invito, in quanto deve scaturire
da una valutazione comparativa dei
curricula presentati dai candidati e
deve essere necessariamente preceduto da una
adeguata pubblicità dell'avviso contenente i
criteri di valutazione, dai quali deve
emergere l'iter logico con la motivazione
che ha comportato la scelta.
In particolare, la sentenza, citando altra
giurisprudenza conforme
[12],
afferma che: 'La procedura finalizzata
all'aggiudicazione di un appalto di servizi,
anche per gli appalti di servizi sotto
soglia, è soggetta, in fase di
individuazione del contraente privato, a
regole comunitarie quali la trasparenza, la
non discriminazione e la pubblicità delle
procedure'.
Alla luce di un tanto sembrerebbe
preferibile procedere all'individuazione del
professionista mediante una procedura
pubblica.
In particolare, normativa di riferimento
sarebbe la legge regionale 30.04.2003, n.
12, la quale all'articolo 4, prevede che i
contratti di appalto di servizi di importo
inferiore alla soglia di rilievo comunitario
possono essere stipulati con contraenti
scelti mediante procedura negoziata qualora
trattasi di servizi il cui valore stimato
sia di importo non inferiore a 20.001 euro e
non superiore a 200.000 euro al netto
dell'IVA, previo esperimento di gara
ufficiosa tra un numero di imprese non
inferiori a cinque. Per i servizi il cui
valore stimato sia di importo inferiore a
20.000 euro al netto di IVA, si prescinde
dall'espletamento della gara ufficiosa
[13].
Per quanto riguarda l'assoggettabilità di un
incarico come quello in oggetto alla
disciplina introdotta con la legge 244/2007,
l'ANCI, in un recente parere
[14],
ha fornito risposta negativa.
A sostegno della tesi per cui gli incarichi
di rappresentanza in giudizio non sono da
ricomprendere tra gli incarichi di studio,
di ricerca, ovvero di consulenza, si era già
pronunciata la Corte dei conti, con la
delibera 15.02.2005, n. 6, la quale
nell'individuare quali atti di conferimento
rientrassero nella disciplina di cui alla
legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria
2005), aveva escluso espressamente 'la
rappresentanza in giudizio ed il patrocinio
dell'amministrazione'. La motivazione di
una tale esclusione risiede nel fatto che si
tratta di incarichi conferiti per gli
adempimenti obbligatori per legge, mancando,
in tali ipotesi, qualsiasi facoltà
discrezionale dell'amministrazione.
---------------
[1] L. Olivieri, Consulenze e
collaborazioni non sono prestazioni
personali, ma veri e propri appalti,
consultabile sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it.
[2] Inteso come soggetto che organizza a
scopo di lucro capitale, risorse umane e
strumentali.
[3] Inteso come colui che pone in essere la
locatio operis, cioè si impegna a conseguire
risultati operativi, in assenza, tuttavia,
di un'organizzazione tipicamente
imprenditoriale, avendo prevalenza la sua
capacità lavorativa, anche di tipo
intellettuale.
[4] M. Greco 'L'art. 24 della finanziaria
(289/2002) si applica anche agli incarichi
professionali...', in
www.appaltiecontratti.it: la presente
dottrina viene riportata, in quanto ritenuta
rilevante per il principio che essa enuncia
di 'assimilazione', a determinati fini, tra
appalto di servizi e prestazione d'opera,
prescindendo, quindi, dal riferimento
legislativo che essa reca.
[5] Per le differenze tra appalto e
contratto d'opera, riguardanti la maggiore
struttura e organizzazione del primo (li
accomuna, invece, l'assunzione di rischio
dell'esecutore e la mancanza di
subordinazione), si vedano C. Cass. sent.
7606/1999 e sent. 5451/1999.
[6] In questo senso L. Olivieri, Consulenze
e collaborazioni non sono prestazioni
personali, ma veri e propri appalti,
consultabile sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it
[7] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del
19.02.2007, n. 494.
[8] A. Barbiero, 'Consulenze e
collaborazioni sono prestazioni personali',
in il Sole 24 Ore, del 18.02.2008.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza
del 29.01.2008, n. 263, consultabile sul
seguente sito internet: www.lexitalia.it
[10] L. Oliveri, 'La configurazione delle
consulenze e delle prestazioni d'opera ai
fini dell'applicazione del codice dei
contratti - le procedure comparative per gli
incarichi di collaborazione', consultabile
sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[11] TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza
del 04.05.2007, n. 330.
[12] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del
25.10.2006, n. 5053.
[13] Sarebbe opportuno, ad ogni buon conto,
considerato il complesso quadro normativo di
riferimento e gli orientamenti emersi anche
a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs.
165/2001, che, anche nell'ipotesi di servizi
il cui valore stimato sia di importo
inferiore ai 20.000 euro, fossero previste e
garantite procedure comparative. In questo
senso, si veda nostro parere del 22.12.2006
(Prot. n. 21242/1.3.16) consultabile sul
seguente sito internet:
http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri
[14] ANCI, parere del 14.02.2008,
consultabile sul seguente sito internet:
www.ancitel.it (29.02.2008 - link
a www.regione.fvg.it). |
anno 2007 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La
giurisprudenza ha statuito che ai fini
dell'equiparazione di fronte ai terzi, ex art. 46
c.c., della sede effettiva della persona giuridica
alla sede legale, deve intendersi per sede effettiva
il luogo in cui hanno concreto svolgimento le
attività amministrative e di direzione dell'Ente e
dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi
dipendenti con poteri direttivi: si tratta in buona
sostanza del luogo deputato o stabilmente utilizzato
per lo svolgimento dei rapporti interni e con i
terzi, in vista del compimento degli affari e della
propulsione dell'attività dell'Ente stesso.
---------------
La rappresentanza in giudizio del Comune (o della
Provincia) spetta in via generale al Sindaco (o al
Presidente), e tuttavia lo Statuto dell’Ente può
attribuire la rappresentanza stessa ai dirigenti
nell’ambito dei rispettivi settori di competenza.
Anche la Corte di Cassazione ha affermato che lo
Statuto può legittimamente affidare ai dirigenti la
potestà di stare in giudizio per conto dell’Ente
nell'ambito delle rispettive aree di riferimento
–quale espressione del potere gestionale loro
proprio– mentre qualora una specifica previsione
statutaria non sussista il Sindaco ed il Presidente
della Provincia restano i soli soggetti titolari del
potere di rappresentanza processuale, ai sensi
dell'art. 50 del T.U.E.L..
L’eccezione è infondata.
1. E’ pur vero che una parte della giurisprudenza
ritiene che la notifica del ricorso fatta ad un
Comune presso una direzione centrale (o presso altra
articolazione organizzativa) nella persona del
dirigente pro tempore –anziché al Comune nella
persona del Sindaco, legale rappresentante
dell’Ente, presso la sua sede– violi la regola
stabilita dall’art. 145 c.p.c. in tema di
notificazione di atti giudiziari alle persone
giuridiche (Consiglio di stato, sez. V – 25/01/2005
n. 155).
Peraltro va rilevato in linea generale che l’art.
46, comma 2, del c.c. stabilisce testualmente, con
riferimento alle persone giuridiche, che nei casi in
cui la sede stabilita è “diversa da quella
effettiva, i terzi possono considerare come sede
della persona giuridica anche quest’ultima”.
Orbene, la giurisprudenza ha statuito che ai fini
dell'equiparazione di fronte ai terzi, ex art. 46
c.c., della sede effettiva della persona giuridica
alla sede legale, deve intendersi per sede effettiva
il luogo in cui hanno concreto svolgimento le
attività amministrative e di direzione dell'Ente e
dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi
dipendenti con poteri direttivi: si tratta in buona
sostanza del luogo deputato o stabilmente utilizzato
per lo svolgimento dei rapporti interni e con i
terzi, in vista del compimento degli affari e della
propulsione dell'attività dell'Ente stesso (Corte di
Cassazione, sez. I – 18/01/1997 n. 497; TAR Umbria –
02/10/2000 n. 769).
Nella specie va detto che il dirigente responsabile
della procedura d’appalto in esame è il titolare
dell’area organizzativa ubicata nella sede staccata
di Via Don Maraglio n. 4, e dagli uffici ivi
dislocati viene esercitata l’attività amministrativa
che contempla anche i rapporti con i soggetti terzi.
E’ noto il principio guida di netta separazione tra
le funzioni di indirizzo spettanti agli organi di
direzione politica e le attribuzioni gestionali
demandate ai dirigenti: i primi, infatti,
fissano “a monte” le linee generali
dell’azione amministrativa mediante l’adozione di
direttive e l’elaborazione di programmi ed al
contempo esercitano “a valle” il controllo
sull’attività svolta e sul raggiungimento degli
obiettivi prestabiliti; i secondi assumono
tutte le iniziative a rilevanza esterna esplicando
autonomi poteri di gestione finanziaria, tecnica ed
amministrativa (cfr. sentenza Sezione n. 1151 del
05/10/2004).
L’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 30/03/2001 n. 165,
recante “Norme generali sull’ordinamento del
lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche” recita testualmente: “Ai dirigenti
spetta l’adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi, compresi tutti gli atti che
impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché
la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa
mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Essi sono responsabili in via esclusiva
dell’attività amministrativa della gestione e dei
relativi risultati.” Analoga disposizione è
stata adottata dal legislatore all’art. 107 del
D.Lgs. 18/08/2000 n. 267 (Testo unico delle
autonomie locali) il cui comma 3, lett. a),
puntualizza che è attribuita ai dirigenti, tra
l’altro, “la presidenza delle commissioni di gara
e di concorso” e “la responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso”.
Presso l’amministrazione provinciale il dirigente
dell’area gestione del territorio e infrastrutture
compie l’attività amministrativa dell’unità
operativa di cui è titolare, e coordina tutte le
operazioni necessarie instaurando rapporti con i
terzi direttamente vincolanti per l’Ente di
appartenenza.
A riprova di ciò è stato correttamente rilevato
dalla ricorrente che la lettera di trasmissione
degli atti richiesti in copia reca l’intestazione
della Provincia di Mantova –Area gestione territorio
e infrastrutture servizio trasporti– Via Don
Maraglio n. 4 (cfr. doc. 7 ricorrente). Allo stesso
modo il disciplinare di gara (cfr. doc. 2
controinteressata) racchiude la medesima
informazione nella parte in cui riporta la
denominazione della stazione appaltante. Parimenti
il verbale delle operazioni di gara del 07/07/2006
contempla la medesima statuizione nel preambolo che
dà conto della riunione in seduta riservata della
commissione.
Se è pur vero che in altri documenti viene citata la
sede di Via Principe Amedeo, ciò non esclude che
anche la sede staccata di Via Don Maraglio n. 4 –ove
è dislocata ed opera l’unità organizzativa– possa
qualificarsi come sede effettiva.
2. L’impostazione delineata è avvalorata da un
elemento ulteriore, ossia dalla circostanza che
l’art. 42 dello Statuto provinciale –pubblicato sul
B.U.R.L. serie straordinaria inserzioni n. 51/1 del
16/12/2002– al comma 1 stabilisce che “Fermo il
generale potere di rappresentanza istituzionale
assegnato al Presidente della Provincia dalla legge,
secondo il modello di riparto delle competenze
previsto dall’ordinamento giuridico e dal presente
statuto, rientrano nell’ambito delle competenze
gestionali dirigenziali anche quelle concernenti il
contenzioso, la promozione e la resistenza alle
liti, nelle materie di rispettiva competenza, con il
potere di rappresentare l’amministrazione in
giudizio e di transigere le controversie”; il
successivo comma 2 precisa che “La rappresentanza
processuale, compresa la possibilità di conciliare,
transigere e rinunciare agli atti spetta al
Presidente in caso di contenziosi riguardanti atti
emanati dagli organi di governo di indirizzo
politico- amministrativo propri della giunta o dello
stesso Presidente, o in caso di azioni giudiziali a
tutela o difesa dell’immagine e del ruolo
istituzionale dell’ente e dei suoi apparati”.
E’ chiaro dunque che la Provincia ha affidato ai
dirigenti, nelle materie di competenza, anche il
potere di rappresentanza processuale, in linea con
il recente indirizzo giurisprudenziale secondo il
quale la rappresentanza in giudizio del Comune (o
della Provincia) spetta in via generale al Sindaco
(o al Presidente), e tuttavia lo Statuto dell’Ente
può attribuire la rappresentanza stessa ai dirigenti
nell’ambito dei rispettivi settori di competenza
(Consiglio di Stato, sez. V – 07/09/2007 n. 4721).
Anche la Corte di Cassazione ha affermato che lo
Statuto può legittimamente affidare ai dirigenti la
potestà di stare in giudizio per conto dell’Ente
nell'ambito delle rispettive aree di riferimento
–quale espressione del potere gestionale loro
proprio– mentre qualora una specifica previsione
statutaria non sussista il Sindaco ed il Presidente
della Provincia restano i soli soggetti titolari del
potere di rappresentanza processuale, ai sensi
dell'art. 50 del T.U.E.L. (cfr. Corte di Cassazione,
sez. unite civili – 16/06/2005 n. 12868).
In definitiva, poiché presso la Provincia di Mantova
i dirigenti hanno la rappresentanza processuale
generale nei settori di appartenenza, deve
qualificarsi come rituale la notifica del ricorso
presso la sede staccata dell’amministrazione ove il
dirigente agisce al vertice della propria unità
organizzativa
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 07.12.2007 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Parere
in ordine all’ammissibilità di sottoposizione al
Consiglio comunale di proposte di deliberazioni di
riconoscimento debiti fuori bilancio per la liquidazione di
parcelle di professionisti legali, risultando insufficiente
l’impegno di spesa assunto contestualmente al conferimento
dell’incarico (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Campania,
parere
18.07.2007 n. 9
- link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI:
La legittimazione processuale sia
passiva che attiva del Comune spetta al
Sindaco e non al Dirigente comunale, il
quale ai sensi dell’art. 107, comma 2,
D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la
rappresentanza legale sostanziale (e non
quella processuale) del Comune.
Il mandato al difensore va sempre rilasciato
dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune
va sempre notificato al Comune in persona
del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo
comunale al quale spetta la legittimazione
processuale attiva o passiva del Comune.
La legittimazione processuale sia passiva
che attiva del Comune spetta al Sindaco e
non al Dirigente comunale (che ha emanato
l’atto impugnato con il ricorso
giurisdizionale), il quale ai sensi
dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000
ha solo la rappresentanza legale sostanziale
(e non quella processuale) del Comune e con
apposita norma statutaria (cfr. art. 6,
comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, ai sensi del
quale spetta allo Statuto stabilire, tra
l’altro, “i modi di esercizio della
rappresentanza legale dell’Ente, anche in
giudizio”) può essere stabilito che la
decisione di promuovere o resistere ad una
lite giudiziaria può essere attribuita
(anziché alla Giunta Comunale) ai competenti
Dirigenti comunali, come già previsto per i
Dirigenti statali dall’art. 16, comma 1,
lett. f), D.Lg.vo n. 29/1993 (vedi ora
l’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n.
165/2001), ma il mandato al difensore va
sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso
contro il Comune va sempre notificato al
Comune in persona del Sindaco p.t., in
quanto l’unico organo comunale al quale
spetta la legittimazione processuale attiva
o passiva del Comune
(TAR Basilicata,
sentenza 12.06.2007 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI: RAPPRESENTANZA
IN GIUDIZIO DEL COMUNE ESCLUSIVAMENTE DEL SINDACO.
In base all'ordinamento degli Enti locali (v. gli artt. 6,
50 e 107 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267), la rappresentanza in
giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale
rappresentante dell'ente e non già al dirigente, al quale è
riservato unicamente il potere di promuovere le liti che
interessano l'ente, con compiti di rappresentanza
sostanziale.
In particolare il TAR salentino ha rilevato un vizio nella
deliberazione di conferimento dell'incarico difensivo al
difensore dell'Amministrazione comunale che, a dire del
G.A., sarebbe stata rilasciata da soggetto incompetente, sì
da determinare una pretesa irritualità della attività
difensiva svolta dal difensore.
A parere di chi scrive trattasi di assunto che si discosta
dai più recenti ed autorevolissimi arresti cui sono giunte
le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno
ripetutamente affermato, con riferimento alla rappresentanza
in giudizio dei comuni che "lo statuto del Comune (atto a
contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del
giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui
ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono
affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori
di competenza, od anche, con riguardo all'intero
contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono
altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del
competente dirigente), altrimenti non necessaria"
(Cassazione civile, Sez. Un., 27.06.2005, n. 13710).
Tale è stata appunto la scelta effettuata dall'A.C. con gli
artt. 58 e ss. dello Statuto comunale (che attribuiscono
alla sfera dirigenziale tale competenza) che la
determinazione 21/05/2001 n. 418 espressamente richiamava;
così come richiamava la deliberazione 03/05/2001 della
Giunta comunale, rispetto alla quale la già citata
determinazione dirigenziale si dichiarava conforme (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.01.2007 n. 161
- link a www.filodiritto.com). |
anno 2006 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L. Oliveri,
La configurazione delle consulenze e delle prestazioni
d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti -
le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione
(dicembre 2006 - link a www.lexitalia.it). |
anno 2005 |
|
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI: La
rappresentanza in giudizio del comune è
riservata, in via esclusiva, al Sindaco e
non può essere esercitata dal dirigente
titolare della direzione di un ufficio o di
un servizio neppure se così preveda lo
statuto comunale.
Il riconosciuto potere dei dirigenti di
promuovere o resistere alle liti riguarda la
loro legittimazione processuale e non già la
rappresentanza dell’ente, che è l’elemento
rilevante in materia di notifica degli atti.
---------------
La proposizione di appello giurisdizionale,
da parte del sindaco senza la previa
delibera del competente dirigente comunale,
necessita la previa determinazione del
dirigente in ordine alla opportunità di
promuovere una lite o resistere in giudizio.
Invero, nel vigore dell’ordinamento degli
enti locali approvato con il d.lgs.
18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto
comunale che attribuisce al dirigente la
funzione di gestione amministrativa deve
ritenersi comprensiva dell’attribuzione al
medesimo del potere di determinazione -in
luogo della delibera autorizzativa della
giunta municipale- in ordine alla
opportunità di promuovere o resistere ad una
lite, atteso che tale determinazione non
appartiene all’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo generale del Comune
(spettante al sindaco ed alla giunta), ma
alla gestione amministrativa del singolo
caso, ed assume il carattere di una proposta
e di una valutazione di natura tecnica, la
quale viene accolta discrezionalmente dal
sindaco, quale capo dell’amministrazione ed
esclusivo rappresentante dell’ente locale
dinanzi agli organi giudiziari.
Né ha alcun fondamento la tesi
dell’appellato, secondo la quale la notifica
sarebbe rituale, perché il vigente (anche
all’epoca in cui il ricorso è stato
proposto) statuto comunale attribuisce ai
dirigenti il potere di promuovere e
resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia
legittimità di una disposizione siffatta
-considerato che, secondo un fermo
orientamento della Corte di Cassazione, la
rappresentanza in giudizio del comune è
riservata, in via esclusiva, al Sindaco e
non può essere esercitata dal dirigente
titolare della direzione di un ufficio o di
un servizio neppure se così preveda lo
statuto comunale (cfr., tra le sentenze più
recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004
n. 10787)- il riconosciuto potere dei
dirigenti di promuovere o resistere alle
liti riguarda la loro legittimazione
processuale e non già la rappresentanza
dell’ente, che è l’elemento rilevante in
materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, per essere
stato proposto dal sindaco senza la previa
delibera del competente dirigente comunale,
si deve convenire che, al riguardo, non solo
da questo Consiglio, con il precedente
invocato a sostegno di detta argomentazione
(Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca
più recente, anche dalla Corte di Cassazione
(cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n.
19380) è stato affermato che occorre la
previa determinazione del dirigente in
ordine alla opportunità di promuovere una
lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha
chiarito che, nel vigore dell’ordinamento
degli enti locali approvato con il d.lgs.
18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto
comunale che attribuisce al dirigente la
funzione di gestione amministrativa deve
ritenersi comprensiva dell’attribuzione al
medesimo del potere di determinazione -in
luogo della delibera autorizzativa della
giunta municipale- in ordine alla
opportunità di promuovere o resistere ad una
lite, atteso che tale determinazione non
appartiene all’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo generale del Comune
(spettante al sindaco ed alla giunta), ma
alla gestione amministrativa del singolo
caso, ed assume il carattere di una proposta
e di una valutazione di natura tecnica, la
quale viene accolta discrezionalmente dal
sindaco, quale capo dell’amministrazione ed
esclusivo rappresentante dell’ente locale
dinanzi agli organi giudiziari
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.01.2005 n. 155 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
A prescindere dalla dubbia
legittimità di una disposizione statutaria
secondo cui si attribuisce ai dirigenti il
potere di promuovere e resistere alle liti
-considerato che, secondo un fermo
orientamento della Corte di Cassazione, la
rappresentanza in giudizio del comune è
riservata, in via esclusiva, al Sindaco e
non può essere esercitata dal dirigente
titolare della direzione di un ufficio o di
un servizio neppure se così preveda lo
statuto comunale- il riconosciuto potere dei
dirigenti di promuovere o resistere alle
liti riguarda la loro legittimazione
processuale e non già la rappresentanza
dell’ente, che è l’elemento rilevante in
materia di notifica degli atti.
---------------
Per quanto concerne l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, per essere
stato proposto dal sindaco senza la previa
delibera del competente dirigente comunale,
si deve convenire che, al riguardo, non solo
da questo Consiglio ma, in epoca più
recente, anche dalla Corte di Cassazione è
stato affermato che occorre la previa
determinazione del dirigente in ordine alla
opportunità di promuovere una lite o
resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha
chiarito che, nel vigore dell’ordinamento
degli enti locali approvato con il d.lgs.
18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto
comunale che attribuisce al dirigente la
funzione di gestione amministrativa deve
ritenersi comprensiva dell’attribuzione al
medesimo del potere di determinazione -in
luogo della delibera autorizzativa della
giunta municipale- in ordine alla
opportunità di promuovere o resistere ad una
lite, atteso che tale determinazione non
appartiene all’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo generale del Comune
(spettante al sindaco ed alla giunta), ma
alla gestione amministrativa del singolo
caso, ed assume il carattere di una proposta
e di una valutazione di natura tecnica, la
quale viene accolta discrezionalmente dal
sindaco, quale capo dell’amministrazione ed
esclusivo rappresentante dell’ente locale
dinanzi agli organi giudiziari.
La notifica del ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado è, infatti,
avvenuta, come si è appena visto, al Comune
di Roma presso il II Dipartimento Ufficio
Contravvenzioni, nella persona del dirigente
pro tempore, anziché al Comune di Roma
-nella persona del sindaco, legale
rappresentante dell’ente- presso la sua
sede, e, pertanto, in difformità da quanto
disposto dall’art. 145 c.p.c. per le
notifiche alle persone giuridiche.
Né ha alcun fondamento la tesi
dell’appellato, secondo la quale la notifica
sarebbe rituale, perché il vigente (anche
all’epoca in cui il ricorso è stato
proposto) statuto comunale attribuisce ai
dirigenti il potere di promuovere e
resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia
legittimità di una disposizione siffatta
-considerato che, secondo un fermo
orientamento della Corte di Cassazione, la
rappresentanza in giudizio del comune è
riservata, in via esclusiva, al Sindaco e
non può essere esercitata dal dirigente
titolare della direzione di un ufficio o di
un servizio neppure se così preveda lo
statuto comunale (cfr., tra le sentenze più
recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004
n. 10787)- il riconosciuto potere dei
dirigenti di promuovere o resistere alle
liti riguarda la loro legittimazione
processuale e non già la rappresentanza
dell’ente, che è l’elemento rilevante in
materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, per essere
stato proposto dal sindaco senza la previa
delibera del competente dirigente comunale,
si deve convenire che, al riguardo, non solo
da questo Consiglio, con il precedente
invocato a sostegno di detta argomentazione
(Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca
più recente, anche dalla Corte di Cassazione
(cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n.
19380) è stato affermato che occorre la
previa determinazione del dirigente in
ordine alla opportunità di promuovere una
lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha
chiarito che, nel vigore dell’ordinamento
degli enti locali approvato con il d.lgs.
18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto
comunale che attribuisce al dirigente la
funzione di gestione amministrativa deve
ritenersi comprensiva dell’attribuzione al
medesimo del potere di determinazione -in
luogo della delibera autorizzativa della
giunta municipale- in ordine alla
opportunità di promuovere o resistere ad una
lite, atteso che tale determinazione non
appartiene all’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo generale del Comune
(spettante al sindaco ed alla giunta), ma
alla gestione amministrativa del singolo
caso, ed assume il carattere di una proposta
e di una valutazione di natura tecnica, la
quale viene accolta discrezionalmente dal
sindaco, quale capo dell’amministrazione ed
esclusivo rappresentante dell’ente locale
dinanzi agli organi giudiziari (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 25.01.2005 n. 155 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
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COMPETENZE GESTIONALI:
Il ricorso per Cassazione deve
essere considerato ammissibile. Esso è stato
proposto dal Sindaco pro-tempore previa
delibera del dirigente degli affari legali,
organo tecnico preposto alla valutazione di
proponibilità del ricorso stesso.
E’ noto che, a seguito dell’emanazione del
d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001,
sono state apportate innovazioni in materia
di decentramento amministrativo e di poteri
degli organi amministrativi locali. Mentre
appartiene al Sindaco ed alla Giunta
l’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo dell’ente, il
dirigente è preposto all’attuazione
dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la
valutazione di opportunità e di
proponibilità della proposizione di un
ricorso per Cassazione contro una decisione
della Commissione tributaria regionale non
appartiene all’indirizzo amministrativo
generale del Comune, ma alla gestione del
singolo caso.
Nella fattispecie, la determinazione del
dirigente degli affari legali assume il
carattere di una proposta e di una
valutazione tecnica, la quale viene accolta
discrezionalmente dal Sindaco, quale capo
dell’Amministrazione e rappresentante
pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli
organi giudiziari. Appare evidente che il
regolamento generale delle entrate comunali,
emanato nel 1999, è superato quanto alla
necessità di delibera della Giunta per
proporre ogni singolo ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione considera tuttora il Sindaco come
legale rappresentante pro-tempore del Comune
per quanto attiene alla capacità di stare in
giudizio, previa delibera della Giunta,
mentre il dirigente amministrativo degli
affari legali è configurabile quale organo
tecnico deputato a proporre ogni iniziativa
giudiziaria, apparendo incongruo che detto
dirigente “autorizzi” il Sindaco a stare in
giudizio.
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DIRITTO
Deve essere preliminarmente presa in esame
l’eccezione di inammissibilità del ricorso,
proposta per la prima volta dalla difesa del
C.Z.A.I. di Verona con la discussione orale
e relative “note di udienza”. Il
Consorzio resistente deduce che la delibera
intesa alla proposizione del ricorso per
Cassazione doveva essere assunta dalla
Giunta Comunale e non per determinazione del
dirigente del settore affari legali del
Comune.
6.
L’eccezione è infondata e il ricorso per
Cassazione deve essere considerato
ammissibile. Esso è stato proposto dal
Sindaco pro-tempore previa delibera del
dirigente degli affari legali, organo
tecnico preposto alla valutazione di
proponibilità del ricorso stesso. E’ noto
che, a seguito dell’emanazione del d.lgs. n.
267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001, sono
state apportate innovazioni in materia di
decentramento amministrativo e di poteri
degli organi amministrativi locali. Mentre
appartiene al Sindaco ed alla Giunta
l’attuazione dell’indirizzo
politico-amministrativo dell’ente, il
dirigente è preposto all’attuazione
dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la
valutazione di opportunità e di
proponibilità della proposizione di un
ricorso per Cassazione contro una decisione
della Commissione tributaria regionale non
appartiene all’indirizzo amministrativo
generale del Comune, ma alla gestione del
singolo caso.
Orbene, in questo caso la determinazione del
dirigente degli affari legali assume il
carattere di una proposta e di una
valutazione tecnica, la quale viene accolta
discrezionalmente dal Sindaco, quale capo
dell’Amministrazione e rappresentante
pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli
organi giudiziari. Appare evidente che il
regolamento generale delle entrate comunali,
emanato nel 1999, è superato quanto alla
necessità di delibera della Giunta per
proporre ogni singolo ricorso.
7.
La giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione considera tuttora il Sindaco come
legale rappresentante pro-tempore del Comune
per quanto attiene alla capacità di stare in
giudizio, previa delibera della Giunta,
mentre il dirigente amministrativo degli
affari legali è configurabile quale organo
tecnico deputato a proporre ogni iniziativa
giudiziaria, apparendo incongruo che detto
dirigente “autorizzi” il Sindaco a
stare in giudizio.
8.
Per vero, Cass. 11.05.2001, n. 6546, cui la
difesa del C.Z.A.I. di Verona ha fatto
riferimento, mentre afferma il principio che
solo il Sindaco può stare in giudizio ed è
necessaria la delibera della Giunta, fa
carico al Comune di produrre lo Statuto, “alla
cui sola stregua si sarebbe potuta
ipotizzare la potestà autorizzatoria”,
lasciando intendere come sulla base dello
statuto comunale o dei relativi regolamenti
sia possibile conferire al dirigente il
potere di proporre se stare in giudizio
nelle liti passive.
Cassazione 05.04.2002, n. 4845 ritiene che
la rappresentanza del Comune spetta in via
primaria al Sindaco, ma i dirigenti di
Uffici generali possono essere incaricati di
promuovere le liti e resistervi, mediante
trasposizione nello statuto comunale o in un
regolamento della norma secondo la quale i
dirigenti stanno in giudizio per il Comune.
9.
Ed è quanto operato dal Comune di Verona, il
quale col proprio statuto -art. 80, comma 4-
ha attribuito alla dirigenza la funzione di
gestione amministrativa, nella quale deve
essere ricompresa anche la delibera-proposta
al Sindaco di resistere ad un ricorso in
materia tributaria.
Vale la pena di puntualizzare che, nel caso
di specie, sta in giudizio dinanzi alla
Corte di Cassazione il Sindaco e che la
questione si pone unicamente in ordine
all’atto presupposto, vale a dire alla
delibera preliminare alla proposizione del
ricorso per Cassazione, laddove nei casi
sopra ricordati si poneva (anche) la
questione se il Comune potesse essere
rappresentato in giudizio dal dirigente.
10.
Non risultano utilizzabili nel caso di
specie i precedenti di questa Corte
10.02.2003, n. 1949 e 26.02.2003, n. 2878,
nei quali la sez. III ha ritenuto che la
legittimazione a rappresentare il Comune in
giudizio spetti al Sindaco, al vice-sindaco
in caso di suo impedimento e al Segretario
generale in caso di delega del Sindaco o di
attribuzione per statuto o regolamento:
infatti non si discute della rappresentanza
in giudizio del Comune da parte del Sindaco
(che in questo caso è costituito in giudizio
quale legale rappresentante pro-tempore
dell’ente) ma della delibera preliminare.
Lo stesso è a dirsi per la sentenza n.
2878/2003, la quale si occupa della
legittimazione a stare in giudizio -per
negarla in capo al dirigente- ma non della
delibera preliminare. Può quindi passarsi
all’esame del merito. ... (Corte di
Cassazione, Sez. civile, sentenza
17.12.2003 n. 19380). |
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