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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
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71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
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78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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dossier INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
aprile 2020

INCARICHI PROFESSIONALIAffidamento di incarichi di patrocinio legale, in ogni momento le verifiche sul possesso dei requisiti.
Con la
delibera 01.04.2020 n. 303, Anac, in risposta alla richiesta di parere ricevuta da un Comune, fornisce ulteriori chiarimenti in ordine alle modalità di verifica del possesso dei requisiti generali di moralità, compreso quello di regolarità contributiva, nel caso di affidamento di incarichi di patrocinio legale, in quanto servizi esclusi dall'integrale applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Preliminarmente, per rispondere al quesito, Anac richiama le proprie linee guida n. 12 dedicate all'affidamento dei servizi legali, dove viene specificato che il possesso dei requisiti di moralità da parte degli operatori economici, che a qualunque titolo concorrono all'esecuzione di appalti pubblici, rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico, che trova applicazione anche negli affidamenti riguardanti contratti in tutto o in parte esclusi dall'applicazione del Codice dei contratti pubblici, andando così a rispondere all'esigenza di assicurare l'affidabilità del soggetto che contratta con la pubblica amministrazione.
Questo significa che seppur sulla base dell'articolo 17, comma 1, lettera d), punto n. 1) del Dlgs 50/2016, la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato è esclusa dall'integrale applicazione del codice dei contratti pubblici, rimane comunque soggetta al rispetto dei principi stabiliti nell'articolo 4.
Quindi, in caso di costituzione di un elenco di avvocati, da consultare ai fini del conferimento del singolo incarico professionale, i requisiti generali di moralità, tra cui quello di regolarità contributiva, devono essere posseduti dai professionisti al momento della richiesta di iscrizione nell'elenco e devono essere controllati al momento di ogni singolo affidamento.
Tuttavia, precisa Anac, la stazione appaltante, proprio perché si tratta di contratti esclusi dall'integrale applicazione del codice dei contratti pubblici, non può esigere il medesimo rigore formale di cui all'articolo 80 del Dlgs 50/2016 e gli stessi vincoli procedurali, ma al contempo, nell'esercizio della propria discrezionalità amministrativa, può effettuare in ogni momento le verifiche sul possesso dei requisiti generali autocertificati dall'operatore economico che intende iscriversi nell'elenco.
Chiarito il primo punto del quesito, in ordine al secondo quesito sulla disciplina applicabile agli incarichi dello stesso genere, ma affidati con il precedente codice (Dlgs 163/2006), a differenza di quanto sostenuto dal Comune istante, Anac ricorda come la stessa Autorità con le determinazioni n. 1/2010 e n. 1/2012, in ordine al possesso dei requisiti generali, aveva precisato come le cause di esclusione di cui all'articolo 38 del previgente codice riguardassero tutti i contratti pubblici, indipendentemente dalla tipologia, dall'oggetto, dal valore del contratto e dalla procedura di scelta del contraente adottata (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 16.04.2020).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento incarico di patrocinio legale – Requisiti di ordine generale - Verifica
Gli operatori economici che prendono parte all’esecuzione di appalti pubblici devono possedere i requisiti generali di moralità, tra cui quello di regolarità contributiva.
In caso di costituzione di un apposito elenco di avvocati, da consultare ai fini del conferimento del singolo incarico professionale, tali requisiti devono essere posseduti dai professionisti al momento della richiesta di iscrizione nel citato elenco e debbono essere controllati al momento di ogni singolo affidamento, fermo restando, da un lato, che non può esigersi il medesimo rigore formale di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 (prima art. 38 d.lgs. 163/2006) e, dall’altro, che la stazione appaltante nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa può valutare di svolgere in ogni momento le verifiche ritenute necessarie.
---------------

Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’adunanza del 01.04.2020,
   VISTA la richiesta di parere prot. 2344/2020, acquisita dall’ANAC al prot. 9386/2020, con cui il Comune di Ugento ha formulato due quesiti: l’uno relativo alle modalità di verifica del possesso del requisito di regolarità contributiva di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 nel caso di affidamento di incarichi legali di cui all’art. 17, comma 1, lett. d), d.lgs. 50/2016, l’altro concernente la disciplina da applicare agli incarichi di tal genere già affidati ed espletati in vigenza del d.lgs. 163/2006;
   VISTI gli articoli 4, 17 del decreto legislativo 18.04.2016 n. 50 e s.m nonché l’allegato IX al citato decreto;
   VISTI gli articoli 20, 21, 27 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163 e s.m. nonché l’allegato II B al citato decreto;
   VISTE le Linee Guida n. 12 “Affidamento dei servizi legali” approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018 e l’unita Relazione AIR;
   VISTE le determinazioni dell’Autorità n. 4 del 10.10.2012, n. 1 del 16.05.2012; n. 1 del 12.01.2010;
   RILEVATO che con riferimento alla prima questione secondo l’istante, alla luce della normativa vigente, sarebbero possibili tre diverse soluzioni: a) i requisiti di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016 dovrebbero essere posseduti all’atto della richiesta dell’iscrizione nell’apposito elenco di professionisti tenuto dall’Amministrazione; b) ai fini di aumentare la concorrenza, la regolarità contributiva andrebbe verificata al momento del conferimento del singolo incarico; c) la regolarità contributiva dovrebbe essere verificata solo al momento della liquidazione;
   RILEVATO altresì che con riferimento alla seconda questione il Comune evidenzia alcune criticità nella fase di liquidazione dei compensi delle prestazioni già eseguite dal legale affidatario, dovute, a suo dire, al fatto che il d.lgs. 163/2016 non avrebbe esteso all’affidamento dei servizi legali i principi che regolano gli affidamenti degli appalti pubblici;
   CONSIDERATO che in virtù di quanto previsto dall’art. 17, comma 1, lettera d), punto n. 1), d.lgs. 50/2016, la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ex art. 1, legge 09.02.1982, n. 31, rientra nell’ambito dei contratti esclusi dall’integrale applicazione del d.lgs. 50/2016, rimanendo soggetta, però, al rispetto dei principi di cui all’art. 4 d.lgs. 50/2016;
   CONSIDERATO altresì che nelle Linee guida n. 12, paragrafo 3.1.5 l’Autorità ha chiarito: ‹‹Il possesso di inderogabili requisiti di moralità da parte dei soggetti che a qualunque titolo concorrono all’esecuzione di appalti pubblici rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico, che trova applicazione anche negli affidamenti riguardanti contratti in tutto o in parte esclusi dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici. Esso risponde, infatti, all’esigenza di assicurare l’affidabilità del soggetto che contratta con la pubblica amministrazione››.
Conseguentemente, per i servizi legali di cui al citato articolo 17, sebbene la stazione appaltante non possa esigere il medesimo rigore formale previsto dall’articolo 80 d.lgs. 50/2016, la stessa, ha, comunque, l’obbligo di verificare in concreto il possesso da parte dei concorrenti dei requisiti generali di cui al citato articolo 80. Nel caso in cui l’amministrazione abbia provveduto alla costituzione di un elenco di professionisti, da cui attingere per il conferimento del singolo incarico, tale verifica ‹‹va effettuata in occasione delle specifiche procedure per cui i soggetti iscritti nell’elenco sono interpellati, ferma restando la facoltà della stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 80, autocertificati dall’interessato nell’istanza ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000 n. 445, anche ai fini dell’iscrizione nell’elenco››;
   CONSIDERATO che i servizi legali erano contemplati al punto 21 dell’allegato II B del d.lgs. n. 163/2006 e, pertanto, il loro affidamento era retto dalle norme del codice e segnatamente dagli artt. 20, 27, 65, 68, 225. In particolare, l’articolo 20 disponeva che l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B era disciplinata dagli articolo 68, 65, 225); l’articolo 27 imponeva il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità per l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del d.lgs. 163/2006, e richiedeva che tale affidamento fosse preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto;
   CONSIDERATO che nella Relazione AIR delle Linee guida n. 12 l’Autorità ha già chiarito l’ambito oggettivo di applicazione del d.lgs. 163/2006 come segue: ‹‹Nel previgente quadro normativo, la giurisprudenza amministrativa e contabile aveva affermato la distinzione tra il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale e l’attività di assistenza e consulenza giuridica. Il primo caso era sottratto alla disciplina del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, in quanto qualificato come “contratto d’opera intellettuale”, in ragione del fatto che il prestatore d’opera, pur avendo l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, esegue detto servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione.
Il secondo caso, invece, era qualificato come appalto di servizi, in quanto l’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia da quest’ultimo poiché la prestazione è eseguita con organizzazione di mezzi e personale che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale caratterizzata da una specifica organizzazione. Conseguentemente, si riteneva che la scelta fiduciaria del patrocinatore legale fosse esclusivamente soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11.05.2012, n. 2730), mentre l’attività di assistenza e consulenza giuridica dovesse essere affidata nel rispetto degli artt. 20 e 27 del d.lgs. n. 163/2006
››;
   DELIBERA
  
Con riferimento al primo quesito, per l’affidamento dei servizi legali di cui al citato articolo 17, comma 1, lett. d), punto 1, la stazione appaltante ha l’obbligo di verificare in concreto il possesso da parte dei concorrenti dei requisiti generali di cui al citato articolo 80, secondo le modalità indicate nelle predette Linee guida a cui si rinvia, sebbene la stessa non possa esigere il medesimo rigore formale previsto dall’articolo 80 d.lgs. 50/2016 (cfr. anche ANAC, delibera n. 1158 del 09.11.2016).
  
Con riferimento al secondo quesito, si osserva che non è condivisibile l’assunto dell’istante secondo il quale prima dell’adozione del d.lgs. 50/2016 l’affidamento dei servizi legali non sarebbe stato regolato dal legislatore. Diversamente da quanto asserito dal Comune, infatti, il d.lgs. 163/2006 dettava al riguardo un’apposita disciplina e, segnatamente, agli artt. 20, 27, ed allegato IX, come chiarito nella Relazione AIR alle Linee guida n. 12 a cui si rinvia.
Inoltre, anche in vigenza del precedente codice l’Autorità, con riferimento al possesso dei requisiti generali, aveva precisato che:
«Le cause di esclusione di cui all’art. 38 concernono tutti i contratti pubblici (art. 3, comma 3, del Codice), qualunque ne sia la tipologia e l’oggetto ed indipendentemente dal valore del contratto e dalla procedura di scelta del contraente adottata (si vedano, al riguardo, le determinazioni dell’Autorità n. 1 del 12.01.2010 e n. 1 del 16.05. 2012)» (delibera 01.04.2020 n. 303 - link a www.anticorruzione.it.

dicembre 2019

INCARICHI PROFESSIONALI: Il TAR Milano sospende un bando di un Comune per l’affidamento di servizi legali.
Il TAR Milano sospende un bando di un Comune lombardo per l’affidamento di servizi legali, sulla base del seguente percorso motivazionale:
   - «considerata la natura discriminatoria e irragionevole della clausola che preclude la partecipazione agli avvocati che non abbiano avuto in passato tra i lori clienti Pubbliche Amministrazioni, ben potendo questi ultimi aver maturato l’esperienza necessaria a divenire affidatari della procedura impugnata, anche difendendo soggetti privati nei giudizi amministrativi;
   - l’indeterminatezza e l’eterogeneità delle prestazioni richieste, ciò che preclude la possibilità di formulare un’offerta ponderata;
   - la contrarietà della lex specialis alla legge professionale, nella parte in cui prevede la corresponsione di un corrispettivo fisso indipendentemente dal numero dei contenziosi, ciò che pare violare il principio dell’equo compenso, e nella parte in cui prevede l’assegnazione di un punteggio preferenziale in favore degli avvocati che hanno patrocinato giudizi conclusi con un esito positivo per le amministrazioni, considerato che la loro attività non ha ad oggetto obbligazioni di risultato»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, ordinanza 20.12.2019 n. 1720 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, dell’avviso, del disciplinare, e del capitolato, relativi alla procedura indetta dal Comune di Pieve Emanuele (MI) per l’affidamento dei servizi legali CIG Z3D2A103AA, e di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, ivi espressamente inclusa la determinazione n. 1202 del 21.10.2019, di approvazione della documentazione concorsuale.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
...
Ritenuto che, ad un sommario esame, il ricorso sia assistito dal requisito del fumus boni iuris considerate, in particolare:
   - la natura discriminatoria e irragionevole della clausola che preclude la partecipazione agli avvocati che non abbiano avuto in passato tra i lori clienti Pubbliche Amministrazioni, ben potendo questi ultimi aver maturato l’esperienza necessaria a divenire affidatari della procedura impugnata, anche difendendo soggetti privati nei giudizi amministrativi;
   - l’indeterminatezza e l’eterogeneità delle prestazioni richieste, ciò che preclude la possibilità di formulare un’offerta ponderata;
   - la contrarietà della lex specialis alla legge professionale, nella parte in cui prevede la corresponsione di un corrispettivo fisso indipendentemente dal numero dei contenziosi, ciò che pare violare il principio dell’equo compenso, e nella parte in cui prevede l’assegnazione di un punteggio preferenziale in favore degli avvocati che hanno patrocinato giudizi conclusi con un esito positivo per le amministrazioni, considerato che la loro attività non ha ad oggetto obbligazioni di risultato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), accoglie la domanda cautelare, e per l'effetto sospende l’efficacia del provvedimento in epigrafe impugnato.
Fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 10.06.2020.

novembre 2019

INCARICHI PROFESSIONALI: Il CIG e i servizi legali esclusi dall’applicazione del codice.
Domanda
L’ente deve affidare dei servizi legali, è necessario acquisire il CIG?
Risposta
Dalla natura del quesito non è possibile capire a quale fattispecie sia da ricondurre l’affidamento dei servizi legali, ovvero, se trattasi di servizi legali esclusi dall’applicazione oggettiva del codice ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. d), quali ad esempio gli incarichi di patrocinio conferiti in relazione ad una specifica lite, oppure quei servizi soggetti alla disciplina alleggerita di cui all’allegato IX del d.lgs. 50/2016, ad esempio il contenzioso seriale affidato in gestione ad un operatore economico.
Sulla base di tali differenti prestazioni l’Anac, nelle linee guida n. 12, aderendo all’impostazione del Consiglio di Stato ha qualificato quest’ultima come appalto di servizi, e contratto d’opera professionale la trattazione della singola controversia. Sul punto si segnala che alcune posizioni dottrinarie e giurisprudenziali ritengono che, nel caso di affidamento di un incarico di patrocinio, anche se escluso dall’applicazione del codice, la prestazione debba comunque rientrare nella nozione di appalto.
Tuttavia, indipendentemente dalla qualificazione negoziale, alla luce del nuovo comunicato del Presidente dell’Anac del 16.10.2019, anche per i servizi legali esclusi dal codice, è necessario acquisire il CIG e versare il contributo Anac, qualora di valore pari o superiore a € 40.000.
L’Autorità ha ritenuto di dover acquisire dati e informazioni sulle procedure escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici e, nelle more dell’adozione del nuovo regolamento sul funzionamento dell’Osservatorio ai sensi dell’art. 213, co. 9, ha definito gli obblighi di acquisizione del CIG e pagamento del contributo in favore dell’Autorità per alcune tipologie di affidamento, in precedenza non previste, elencate in una tabella distinta per riferimento normativo, descrizione della prestazione, obbligo o meno di acquisizione del CIG, nonché di eventuale versamento della tassa Anac.
La procedura di richiesta dello smartCIG è infatti arricchita, nelle fattispecie contrattuali, da queste nuove tipologie che al momento non sembrano essere presenti nel caso di acquisizione del CIG tramite il sistema SIMOG.
Solo per citarne alcune e più strettamente connesse al quesito:
   - SERVIZI DI ARBITRATO E CONCILIAZIONE FINO A 40.000 EURO
   - SERVIZI LEGALI FINO A 40.000 EURO
L’autorità inoltre precisa che per quanto attiene alla trasmissione dei dati all’Osservatorio dei contratti pubblici, che gli obblighi di comunicazione attualmente in essere per i settori ordinari si intendono estesi a tutte le altre fattispecie, ivi comprese quelle elencate nella citata tabella, con decorrenza dal 01.01.2020 (06.11.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

settembre 2019

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALINel nuovo ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco, sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo di valenza esterna.
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  Rilevato che
   - il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
   - per un verso si tratterebbe, in tesi, di omessa pronuncia sull'eccezione, in senso lato, indicata come formulata, e non del dedotto omesso esame, il cui regime normativo fa diversamente riferimento a un fatto storico discusso in istruttoria;
   - per altro verso i ricorrenti indicano di aver proposto l'eccezione in una non meglio specificata memoria di replica, senza chiarire quindi se sia stato un atto meramente illustrativo facente parte della discussione scritta finale, ovvero di altro atto assertivo, con una violazione degli artt. 366, nn. 3 e 6, cod. proc. civ., che non permette di constatare se si tratti di questione nuova, e come tale in questa sede preclusa, essendo sotteso, al rilievo, possibile anche d'ufficio, un accertamento in fatto (la presenza o meno della delibera, in funzione della decisione sulla sussistenza di valida procura);
   - nel merito, infine, la questione sarebbe stata comunque infondata, poiché questa Corte ha chiarito che, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (d.lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 50, fonte primaria), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è solo il sindaco, sicché la delibera della giunta comunale, quand'anche prevista dalla normativa secondaria rappresentata dallo statuto, resta un atto meramente gestionale e tecnico, privo di valenza esterna (Cass., 23/03/2016, n. 5802, pag. 3, Cass., 21/06/2018, n. 16459, pagg. 4-5) (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 10.09.2019 n. 22526).

giugno 2019

INCARICHI PROFESSIONALI: «Rinvio pregiudiziale – Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi – Direttiva 2014/24/UE – Articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v) – Validità – Ambito di applicazione – Esclusione dei servizi di arbitrato e di conciliazione e di determinati servizi legali – Principi di parità di trattamento e sussidiarietà – Articoli 49 e 56 TFUE»
Per quanto riguarda i servizi forniti da avvocati, di cui all’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, dal considerando 25 di tale direttiva risulta che il legislatore dell’Unione ha tenuto conto del fatto che tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone designati o selezionati secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in determinati Stati membri, cosicché occorreva escludere tali servizi legali dall’ambito di applicazione della direttiva in parola.
A tale riguardo, occorre rilevare che
l’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24 non esclude dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale fornita nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto procedimento. Simili prestazioni di servizi fornite da un avvocato si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza.
Orbene, da un lato,
un siffatto rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare.
Dall’altro,
la riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato (v., in tal senso, sentenza del 18.05.1982, AM & S Europe/Commissione, 155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni.
Ne consegue che, alla luce delle loro caratteristiche oggettive,
i servizi di cui all’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, non sono comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva medesima. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è altresì senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere tali servizi dall’ambito di applicazione di detta direttiva.
Sotto un terzo profilo,
per quanto riguarda i servizi legali rientranti nelle attività che partecipano, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, di cui all’articolo 10, lettera d), v), della direttiva 2014/24, tali attività, e pertanto tali servizi, sono escluse, ai sensi dell’articolo 51 TFUE, dall’ambito di applicazione delle disposizioni di detto Trattato relative alla libertà di stabilimento e di quelle relative alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE.
Siffatti servizi si distinguono da quelli che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva poiché partecipano direttamente o indirettamente all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche.

Ne risulta che,
per loro stessa natura, i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è, ancora una volta, senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escluderli dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24.
Pertanto,
dall’esame delle disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 non è emerso alcun elemento che possa inficiare la loro validità alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE.

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Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, P.M., N.G.d.M. e P.V.d.S. e, dall’altro, il Ministerraad (Consiglio dei Ministri, Belgio) in merito all’esclusione, ad opera della normativa belga di trasposizione delle disposizioni della direttiva 2014/24, di determinati servizi legali dalle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.
Contesto normativo
   Diritto dell’Unione
3 I considerando 1, 4, 24 e 25 della direttiva 2014/24 stabiliscono quanto segue:
   «(1) L’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del trattato [FUE] e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore a una certa soglia è opportuno elaborare disposizioni per coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti in modo da garantire che a tali principi sia dato effetto pratico e che gli appalti pubblici siano aperti alla concorrenza.
(...)
   (4) La crescente diversità delle forme di intervento pubblico ha reso necessario definire più chiaramente il concetto stesso di appalto. Questo chiarimento in quanto tale non dovrebbe tuttavia ampliare l’ambito di applicazione della presente direttiva rispetto a quello della direttiva 2004/18/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114)]. La normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici non intende coprire tutte le forme di esborsi di fondi pubblici, ma solo quelle rivolte all’acquisizione di lavori, forniture o prestazioni di servizi a titolo oneroso per mezzo di un appalto pubblico. (...)
(...)
   (24) È opportuno ricordare che i servizi d’arbitrato e di conciliazione e altre forme analoghe di risoluzione alternativa delle controversie sono di norma prestati da organismi o persone approvati, o selezionati, secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti. Occorre precisare che la presente direttiva non si applica agli appalti di servizi per la fornitura di tali servizi indipendentemente dalla loro denominazione nel diritto interno.
   (25) Taluni servizi legali sono forniti da prestatori di servizi designati da un organo giurisdizionale di uno Stato membro, comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati, devono essere prestati da notai o sono connessi all’esercizio di pubblici poteri. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva
».
4 L’articolo 10 di detta direttiva, intitolato «Esclusioni specifiche per gli appalti di servizi», dispone, alle lettere c) e d), quanto segue:
«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi:
(...)
c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
   i) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio [, del 22.03.1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU 1977, L 78, pag. 17)]:
      – in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; oppure
      – in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
   ii) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui alla presente lettera, punto i), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva [77/249];
(...)
   v) altri servizi legali che, nello Stato membro interessato, sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri
».
   Diritto belga
5 Con la legge sugli agli appalti pubblici, del 17.06.2016 (Moniteur belge del 14.07.2016, pag. 44219), il legislatore belga ha rivisto le norme per l’aggiudicazione degli appalti e ha reso conforme la propria legislazione con la direttiva 2014/24. L’articolo 28 di tale legge prevede quanto segue:
«§ 1°. Fatto salvo il paragrafo 2, non sono soggetti all’applicazione della presente legge gli appalti pubblici di servizi:
(...)
3° concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
4° concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:
   a) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva [77/249]:
      i. in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; oppure
      ii. in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
   b) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al presente punto, lettera a), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della direttiva [77/249];
(...)
   e) altri servizi legali che, nel Regno, sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;
(...)
§ 2. Il Re può stabilire le norme di aggiudicazione cui sono assoggettati gli appalti di cui al paragrafo 1, 4, lettere a e b, nei casi da esso stabiliti
».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
6 Il 16.01.2017, P.M., N.G.d.M. e P.V.d.S., ricorrenti nel procedimento principale, avvocati e soggetti con una formazione giuridica, hanno adito il giudice del rinvio, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio), con un ricorso di annullamento delle disposizioni della legge sugli appalti pubblici, che escludono determinati servizi legali, nonché determinati servizi di arbitrato e di conciliazione, dall’ambito di applicazione di detta legge.
7 I ricorrenti nel procedimento principale fanno valere che tali disposizioni, poiché hanno l’effetto di sottrarre l’attribuzione dei servizi ivi previsti dalle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici previste da suddetta legge, creano una differenza di trattamento che non può essere giustificata.
8 Il giudice del rinvio ritiene quindi che si ponga la questione se l’esclusione di tali servizi dalle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici pregiudichi gli obiettivi, perseguiti dal legislatore dell’Unione al momento dell’adozione della direttiva 2014/24, relativi alla piena concorrenza, alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento, e se i principi di sussidiarietà e di parità di trattamento non avrebbero dovuto condurre a un’armonizzazione delle norme del diritto dell’Unione anche nei confronti di tali servizi.
9 Secondo tale giudice, per valutare la costituzionalità delle disposizioni legislative nazionali di cui è chiesto l’annullamento, è necessario esaminare se le disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), di tale direttiva siano compatibili con i principi di parità di trattamento e di sussidiarietà nonché con gli articoli 49 e 56 TFUE.
10 Ciò considerato,
il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«
Se l’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva [2014/24] sia conforme al principio di parità di trattamento, eventualmente in combinato disposto con il principio di sussidiarietà e con gli articoli 49 e 56 [TFUE], atteso che i servizi ivi menzionati sono esclusi dall’applicazione delle norme di aggiudicazione di cui alla citata direttiva, che garantiscono peraltro la piena concorrenza e la libera circolazione nell’acquisto di servizi ad opera della pubblica amministrazione».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
11 I governi ceco e cipriota contestano la ricevibilità della questione pregiudiziale e, pertanto, della domanda di pronuncia pregiudiziale.
12 Il governo ceco afferma che tale questione non ha alcun rapporto con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale, che riguarderebbe la questione se la Costituzione belga osti a che il diritto nazionale sottragga dall’ambito di applicazione delle norme nazionali in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici determinati servizi legali parimenti esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Orbene, il diritto dell’Unione non imporrebbe a uno Stato membro di includere i servizi in questione nell’ambito di applicazione delle norme nazionali di trasposizione. Tale questione dovrebbe quindi essere valutata unicamente alla luce della Costituzione belga.
13 Il governo cipriota sostiene, dal canto suo, che la questione posta verte sulla conformità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), di tale direttiva agli articoli 49 e 56 TFUE. Orbene, qualsiasi misura nazionale che avrebbe costituito oggetto di un’armonizzazione esauriente a livello dell’Unione dovrebbe essere valutata alla luce delle disposizioni di questa misura di armonizzazione, e non di quelle del diritto primario.
14 A tale proposito, occorre ricordare che, quando una questione concernente la validità di un atto adottato dalle istituzioni dell’Unione è sollevata dinanzi ad un giudice nazionale, spetta a quest’ultimo giudicare se una decisione su tale punto sia necessaria per pronunciare la sua sentenza e, pertanto, chiedere alla Corte di statuire su tale questione. Di conseguenza, qualora le questioni sollevate dal giudice nazionale riguardino la validità di una disposizione di diritto dell’Unione, in via di principio la Corte è tenuta a statuire [sentenze dell’11.11.1997, Eurotunnel e a., C‑408/95, EU:C:1997:532, punto 19, del 10.12.2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 34, e del 28.03.2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 49].
15 La Corte può rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sottoposta da un giudice nazionale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, soltanto qualora, segnatamente, non siano rispettati i requisiti relativi al contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale riportati all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte o appaia in modo manifesto che l’interpretazione di una norma dell’Unione o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non abbiano alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale o qualora il problema sia di natura ipotetica (sentenza del 28.03.2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 50).
16 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che le disposizioni nazionali di cui trattasi nel procedimento principale, delle quali si chiede l’annullamento dinanzi al giudice del rinvio, riguardano la legge di trasposizione, nel diritto belga, della direttiva 2014/24 e, in particolare, l’esclusione di determinati servizi legali dall’ambito di applicazione di quest’ultima.
17 In siffatte circostanze, contrariamente a quanto sostenuto dai governi ceco e cipriota, la questione della validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 non è priva di pertinenza ai fini dell’esito della controversia principale. Infatti, nell’ipotesi in cui l’esclusione prevista da dette disposizioni sia dichiarata invalida, le disposizioni di cui si chiede l’annullamento dinanzi al giudice del rinvio dovrebbero essere considerate contrarie al diritto dell’Unione.
18 Dalle considerazioni che precedono risulta che la questione posta, e pertanto la domanda di pronuncia pregiudiziale, è ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
19 Con la sua questione,
il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di pronunciarsi sulla validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24, alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE.
20 Per quanto concerne, in primo luogo, il principio di sussidiarietà e il rispetto degli articoli 49 e 56 TFUE, si deve ricordare, da un lato, che il principio di sussidiarietà, enunciato all’articolo 5, paragrafo 3, TUE, prevede che l’Unione, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, intervenga solo e nei limiti in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione prospettata, possano essere realizzati meglio a livello dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 04.05.2016, Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 215 e giurisprudenza citata).
21 Discende necessariamente dal fatto che
il legislatore dell’Unione ha escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24 i servizi di cui all’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), di quest’ultima che esso ha, in tal modo, ritenuto che spettava ai legislatori nazionali determinare se tali servizi dovessero essere soggetti alle norme in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.
22 Pertanto, non si può sostenere che tali disposizioni siano state adottate in violazione del principio di sussidiarietà.
23 Dall’altro lato, quanto al rispetto degli articoli 49 e 56 TFUE, il considerando 1 della direttiva 2014/24 enuncia che l’aggiudicazione di appalti pubblici da parte delle autorità degli Stati membri o in loro nome deve essere conforme ai principi del Trattato FUE, in particolare alle disposizioni relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi.
24 Secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, il coordinamento a livello dell’Unione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici è diretto a eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e delle merci che tali procedure possono instaurare e a proteggere, quindi, gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro i quali intendano offrire beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici stabilite in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 13.11.2007, Commissione/Irlanda, C‑507/03, EU:C:2007:676, punto 27 e giurisprudenza citata).
25 Non ne consegue tuttavia che ‑
escludendo i servizi di cui all’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 dall’ambito di applicazione di quest’ultima e, pertanto, non costringendo gli Stati membri a sottoporli alle norme in materia di aggiudicazione di appalti pubblici‑ questa stessa direttiva violerebbe le libertà garantite dai Trattati.
26 Per quanto concerne, in secondo luogo, il potere discrezionale del legislatore dell’Unione e il principio generale di parità di trattamento, secondo una giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze a esso demandate, un ampio margine di discrezionalità quando la sua azione implica scelte di natura politica, economica e sociale, e quando è chiamato a effettuare valutazioni complesse (sentenze del 16.12.2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 57, nonché del 30.01.2019, Planta Tabak, C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 44). Solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura (sentenza del 14.12.2004, Swedish Match, C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 48).
27 Tuttavia, anche in presenza di un tale potere, il legislatore dell’Unione è tenuto a basare la sua scelta su criteri oggettivi e adeguati rispetto allo scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (sentenza del 16.12.2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 58).
28 Inoltre, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, il principio generale della parità di trattamento, quale principio generale del diritto dell’Unione, impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza del 16.12.2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 23 e giurisprudenza citata).
29 La comparabilità di situazioni diverse è valutata tenendo conto di tutti gli elementi che le caratterizzano. Tali elementi devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Inoltre, devono essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce l’atto in parola (sentenze del 12.05.2011, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C‑176/09, EU:C:2011:290, punto 32, nonché del 30.01.2019, Planta Tabak, C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 37).
30
È alla luce di tali principi che occorre esaminare la validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii), e v), della direttiva 2014/24 con riferimento al principio della parità di trattamento.
31 Pertanto, per quanto riguarda, sotto un primo profilo, i servizi di arbitrato e di conciliazione di cui all’articolo 10, lettera c), della direttiva 2014/24, il considerando 24 di quest’ultima enuncia che gli organismi o persone che forniscono servizi di arbitrato e di conciliazione e altre forme analoghe di risoluzione alternativa delle controversie sono selezionati secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti.
32 Infatti, gli arbitri e conciliatori devono sempre essere accettati da tutte le parti della controversia e sono designati di comune accordo da queste ultime. Un ente pubblico che lanci una procedura di aggiudicazione di appalti pubblici per un servizio di arbitrato o di conciliazione non potrebbe, pertanto, imporre all’altra parte l’aggiudicatario di tale appalto in quanto arbitro o conciliatore comune.
33 Tenuto conto delle loro caratteristiche oggettive, i servizi di arbitrato e di conciliazione di cui all’articolo 10, lettera c), non sono pertanto comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Ne consegue che è senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere i servizi di cui all’articolo 10, lettera c), della direttiva 2014/24 dall’ambito di applicazione di quest’ultima.
34 Sotto un secondo profilo,
per quanto riguarda i servizi forniti da avvocati, di cui all’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, dal considerando 25 di tale direttiva risulta che il legislatore dell’Unione ha tenuto conto del fatto che tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone designati o selezionati secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in determinati Stati membri, cosicché occorreva escludere tali servizi legali dall’ambito di applicazione della direttiva in parola.
35 A tale riguardo, occorre rilevare che
l’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24 non esclude dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale fornita nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto procedimento. Simili prestazioni di servizi fornite da un avvocato si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza.
36 Orbene, da un lato,
un siffatto rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare.
37 Dall’altro,
la riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato (v., in tal senso, sentenza del 18.05.1982, AM & S Europe/Commissione, 155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni.
38 Ne consegue che, alla luce delle loro caratteristiche oggettive,
i servizi di cui all’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, non sono comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva medesima. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è altresì senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere tali servizi dall’ambito di applicazione di detta direttiva.
39 Sotto un terzo profilo,
per quanto riguarda i servizi legali rientranti nelle attività che partecipano, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, di cui all’articolo 10, lettera d), v), della direttiva 2014/24, tali attività, e pertanto tali servizi, sono escluse, ai sensi dell’articolo 51 TFUE, dall’ambito di applicazione delle disposizioni di detto Trattato relative alla libertà di stabilimento e di quelle relative alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE.
Siffatti servizi si distinguono da quelli che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva poiché partecipano direttamente o indirettamente all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche.

40 Ne risulta che,
per loro stessa natura, i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è, ancora una volta, senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escluderli dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24.
41 Pertanto,
dall’esame delle disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 non è emerso alcun elemento che possa inficiare la loro validità alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE.
42 In relazione a quanto sopra esposto, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che
dall’esame di quest’ultima non è emerso alcun elemento che possa inficiare la validità delle disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE.
Sulle spese
43 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
Dall’esame della questione non è emerso alcun elemento che possa inficiare la validità delle disposizioni dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE (Corte di Giustizia UE, Sez. V, sentenza 06.06.2019 - C-264/18).

marzo 2019

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Gli incarichi di patrocinio legale si pubblicano ancora nella sezione consulenti e collaboratori, come prevede l’art. 15 del d.lgs. 33/2013?
Risposta
L’articolo 15, del decreto Trasparenza (decreto legislativo 14.03.2013, n. 33), impone la pubblicazione degli incarichi di consulenza e di collaborazione nella relativa sottosezione del sito istituzionale. Le sanzioni per la mancata pubblicazione sono piuttosto pesanti, comportando una procedimentio disciplinare ed una sanzione pari all’importo pagato dal dirigente/responsabile di servizio che ha affidato l’incarico. L’Autorità Anticorruzione (ANAC) si è espressa in merito alle pubblicazione degli incarichi legali, con la Faq Trasparenza 6.6, emanata in vigenza del vecchio codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006).
In sintesi, ritiene che i singoli incarichi di patrocinio siano inquadrabili come consulenze e dunque da pubblicare nella relativa sottosezione, mentre l’affidamento della complessiva gestione del servizio di assistenza legale, ivi inclusa la difesa giudiziale sia qualificabile come appalto di servizi e, quindi, le relative informazioni siano da pubblicare nella sottosezione “bandi di gara e contratti”, secondo le disposizioni dell’art. 37, del d.lgs. 33/2013.
Detta posizione è coerente con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, espressa nella sentenza n. 2730/2012, nella quale si sostiene che la difesa in giudizio è prestazione d’opera professionale e che la selezione dell’avvocato, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare.
Nella Faq. 6.5, l’ANAC, considerata l’eterogeneità di detti incarichi, rimette a ciascuna amministrazione l’individuazione delle fattispecie non riconducibili alle categorie degli incarichi di collaborazione e consulenza, dandone adeguata motivazione.
Certo, qualificare un incarico di difesa in giudizio, quale consulenza non è indolore in quanto sarà poi soggetti ai limiti procedurali e di valore stabiliti per le stesse, come interpretati dalla magistratura contabile (art. 3, comma 56, legge 244/2007, art. 6, comma 7, d.l. 78/2010, art. 1, comma 173, della legge 266/2005).
Il nuovo codice dei contratti (d.lgs. 18.04.2016, n. 50), ha portato nell’alveo degli appalti la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato. L’articolo 17 è, infatti, esplicito nel definire anche detta rappresentanza “appalto”, pur escludendo l’applicazione del codice per le procedure di affidamento, fermo restando i principi generali indicati nell’articolo 4. Nella nozione europea, infatti, non vi è distinzione tra appalto di servizi e prestazione d’opera, come rinvenibile nella tradizione giuridica italiana normata nel Codice civile.
Le linee guida ANAC n. 12, approvate con delibera n. 907 del 24.10.2018, in materia di affidamento di incarichi legali, pur sottoponendo detti affidamenti ai principi di cui all’articolo 4 Codice dei Contratti (affidamento servizi esclusi), qualificano la rappresentanza legale come contratto d’opera, sul solco del parere reso dal Consiglio di Stato.
Di diverso avviso è, invece, la magistratura contabile, la quale qualifica come appalto di servizi il patrocino legale (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, delibere n. 74-153/2017, 4-35-82-105-144/2018).
Nella citata deliberazione n. 144, interessante è quanto affermato in ordine agli obblighi di trasparenza:
Questa sezione ritiene che il citato articolo, lì ove riferisce l’obbligo genericamente agli “incarichi di collaborazione o consulenza”, debba necessariamente considerarsi riferito anche agli incarichi di patrocinio legale affidati all’esterno; tale lettura trova un riscontro da parte dell’ANAC, sia pure limitatamente a quanto espresso in sede di FAQ in materia di trasparenza (FAQ 6.6). Ciò, ovviamente precedentemente rispetto alla riconduzione degli stessi, ad opera del codice dei contratti pubblici, agli appalti di servizi, in quanto ora devono conseguentemente essere pubblicati, ai sensi dell’art. 37 del codice d.lgs. n.33/2013, nella sottosezione (di “Amministrazione trasparente”) dedicata ai Bandi di gara e contratti.
Conclusivamente, si ritiene che, motivando adeguatamente, anche con riferimento alla Faq 6.5 e alla menzionata delibera n. 144, gli incarichi di patrocinio legale vadano correttamente pubblicati nella sottosezione “Bandi di gara e contratti”, a norma dell’articolo 29, del codice dei contratti ora vigente, acquisendo il relativo Codice Identificativo di Gara (CIG) (05.03.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

ottobre 2018

INCARICHI PROFESSIONALIAffidamento dei servizi legali senza deroghe ai parametri sui compensi degli avvocati.
La valutazione della componente economica non è il criterio fondamentale nelle procedure di affidamento di attività legali per la gestione del contenzioso, ma vanno rispettati dei parametri sui compensi degli avvocati.

L' Autorità nazionale anticorruzione analizza nelle linee guida n. 12 (delibera 24.10.2018 n. 907) (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 novembre) la particolare problematica relativa alla gestione dell'analisi del prezzo delle prestazioni professionali dei legali, assumendo a presupposto la necessaria applicazione del principio di economicità ai percorsi selettivi dei professionisti ai quali affidare la rappresentanza legale nel singolo contenzioso giudiziale e stragiudiziale.
Congruità ed equità
L'Anac evidenzia come il principio, esplicitato tra quelli che devono ispirare il processo selettivo nell' articolo 4 del codice dei contratti pubblici, imponga alle amministrazioni un uso ottimale delle risorse da impiegare nello svolgimento della selezione ovvero nell'esecuzione del contratto, in virtù del quale le stesse, prima dell' affidamento dell' incarico, sono tenute ad accertare la congruità e l'equità del compenso.
Le linee guida chiariscono che in considerazione della particolare natura dei servizi legali e dell'importanza della qualità delle prestazioni, il risparmio di spesa non è il criterio di guida nella scelta che deve compiere l'amministrazione, ma anche che il richiamo all'economicità implica la necessità di tener conto dell' entità della spesa e di accertarne la congruità.
La preferenza per la valutazione fondata su una pluralità di elementi oltre alla componente economica si evince nelle indicazioni dell'Anac che sollecitano le amministrazioni a porre particolare attenzione ai profili di competenza e di esperienza specifiche. In ordine alla definizione del compenso, viene peraltro a essere evidenziato il necessario rispetto del sistema di parametri stabilito per la professione forense dal Dm 55/2014, recentemente attualizzato e integrato dal Dm 37/2018.
Preventivi a confronto
Le linee guida n. 12 forniscono anche altre alcune soluzioni operative per la valutazione della congruità del compenso (e quindi delle proposte dei singoli professionisti ricondotti alla procedura comparativa), che può essere effettuata anche mediante un confronto con la spesa per precedenti affidamenti, o con gli oneri riconosciuti da altre amministrazioni per incarichi analoghi o con una valutazione comparativa di due o più preventivi.
In quest'ultimo caso, trattandosi di servizi esclusi dall' ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, l'amministrazione può stabilire discrezionalmente il numero di preventivi da confrontare, più confacente alle proprie esigenze, tenendo conto anche del valore economico dell' affidamento (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa dell'08.11.2018).

agosto 2018

INCARICHI PROFESSIONALI: Legali, niente incarichi fiduciari. Per la difesa in giudizio della pubblica amministrazione. Il Consiglio di stato concorda con l’Anac nell’escluderli dall’applicazione del Codice.
La pubblica amministrazione non può affidare ad avvocati esterni incarichi per la difesa in giudizio per via fiduciaria.
La Commissione speciale del Consiglio di stato, espressasi con parere 03.08.2018 n. 2017 sullo schema di Linee guida dell'Anac per l'affidamento dei servizi legali (si veda ItaliaOggi del 07/08/2018) elimina definitivamente ogni possibile dubbio sulla permanenza della legittima possibilità delle amministrazioni di scegliere l'avvocato fiduciariamente, anche quando il tipo di contratto che si stipula non è un vero e proprio appalto, ma una prestazione d'opera intellettuale.
Palazzo Spada concorda con quanto evidenzia l'Anac in merito alla circostanza che i servizi legali previsti dall'articolo 17, comma 1, lettera d), del dlgs 50/2016 siano da considerare come contratti esclusi dal campo di applicazione del codice, ma non estranei.
Dunque, tali affidamenti debbono rispettare i principi posti dall'articolo 4 del dlgs 50/2016. Il che, osserva la Commissione, impone «la procedimentalizzazione nella scelta del professionista al quale affidare l'incarico di rappresentanza in giudizio (o in vista di un giudizio) dell'amministrazione, evitando scelte fiduciarie oppure motivate dalla “chiara fama” (spesso non dimostrata) del professionista».
Dunque, occorre sempre e comunque una procedura selettiva, per quanto non soggetta alle regole stringenti del codice, per individuare il legale.
Secondo il Consiglio di stato è opportuno che le amministrazioni selezionino i professionisti preventivamente inseriti in uno specifico albo, utilizzando almeno tre parametri: esperienza e competenza tecnica, pregressa e proficua collaborazione con la stessa stazione appaltante per la stessa questione; e anche il costo del servizio, smentendo i molti che ritengono non corretto o impossibile considerare questo elemento.
Le amministrazioni non possono fare a meno di confrontare una short list di avvocati sulla base di parametri che consentano una scelta che deve comunque essere discrezionale, purché sorretta da una solida motivazione che appunto i parametri selettivi consentono di elaborare in modo compiuto.
Secondo Palazzo Spada non deve mai essere consentita la scelta per estrazione a sorte. Allo stesso modo, l'affidamento diretto per casi di urgenza dovrebbe essere un'ipotesi solo astratta. Infatti, l'urgenza potrebbe essere scongiurata se le amministrazioni dessero vita ad appalti di servizio veri e propri, per una durata pluriennale (almeno 3 anni) a studi professionali interdisciplinari: infatti, in questo caso l'appalto potrebbe considerarsi «al bisogno» e quindi lo studio potrebbe essere attivato immediatamente.
L'urgenza non può giustificare affidamenti diretti, senza quel minimo di procedura necessaria ai sensi dell'articolo 4 del codice, a meno che non si tratti di vertenze del tutto particolari, come per esempio quelle attinenti a questioni sulle quali ancora non vi siano pronunce giurisprudenziali.
Il parere appare, però, poco persuasivo quando distingue la difesa in giudizio in due tipologie contrattuali. Quella appunto della prestazione d'opera intellettuale, che coincide con la previsione dell'articolo 17, comma 1, lettera d); e quella dell'appalto vero e proprio, che comprende lo svolgimento di una serie indefinita di difese in giudizio, oltre che consulenze ed altri servizi indicati nell'allegato IX, per un tempo definito, assegnandoli a società o comunque studi organizzati.
Oggettivamente, Palazzo Spada pare ancora incorrere nell'errore di ritenere rilevanti nella disciplina degli appalti pubblici le differenze ricavabili dal codice civile tra prestazione resa personalmente senza prevalenza di mezzi e organizzazione (prestazione d'opera intellettuale) e appalto di servizi, con organizzazione di impresa ed assunzione del rischio. La difesa in giudizio, sia che venga resa personalmente, sia che sia organizzata da uno studio, non ha visibilmente alcuna predisposizione di mezzi ed assunzione dei rischi imprenditoriali propri dell'appalto come definito dal codice civile.
Ma, questo, ai fini del codice dei contratti e delle direttive europee, è totalmente irrilevante, visto che espressamente l'articolo 3, comma 1, lettera p), del codice considera come «operatore economico» anche una persona fisica alla sola condizione che, come qualsiasi avvocato, offra sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi
(articolo ItaliaOggi del 10.08.2018).

INCARICHI PROFESSIONALIServizi legali con appalto se la prestazione è seriale. Parere del Consiglio di stato sulle linee guida dell’Anac.
Servizi legali affidabili dalle amministrazioni con appalto di servizi quando relativi ad attività non quantificabili nella loro consistenza, ma riferibili a prestazioni continuative e «seriali». Ricorso ai contratti d'opera professionali, ma con scelta da elenchi aperti e pubblici, con criteri di selezione per l'iscrizione; limitato il ricorso all'affidamento diretto dell'incarico professionale.
Sono queste alcune delle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato nel parere 03.08.2018 n. 2017, positivo con osservazioni, sulle linee guida per l'affidamento dei servizi legali predisposte dall'Anac.
Le linee guida, non vincolanti, emesse a seguito di una consultazione afferiscono alla disciplina del codice dei contratti e in particolare agli articoli artt. 4 e 17 e all'Allegato IX del codice dei contratti pubblici . Esaminata questa disciplina il Consiglio di Stato distingue fra i servizi legali cui si riferisce l'Allegato IX, relativi ad attività (anche rese da avvocati iscritti all'albo ai sensi dell'art. 2, comma 6, l. 247 del 2012) che sono, però, connotate dallo svolgimento in forma organizzata, continuativa» peraltro «non esattamente quantificabili nella loro consistenza al momento dell'assunzione dell'incarico».
Per queste attività si ricorre all'appalto di servizi con procedure semplificate e criteri di selezione «non eccessivamente restrittivi per evitare di escludere gli studi associati di più recente formazione (e nei quali, dunque, siano presenti professionisti più giovani)». In sede di scelta si dovranno favorire gli «studi che trattano più materie, così da garantire all'amministrazione il ragionevole affidamento di trovare nei professionisti incaricati competenze idonee per qualsiasi tipo di contenzioso dovesse insorgere nel periodo di vigenza dell'affidamento». Si dovrà utilizzare il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo, anche in relazione ai contratti di valore inferiore ai 40.000 euro.
Per il Consiglio di stato le amministrazioni che decidono di ricorrere al contratto di appalto dei servizi legali devono procedere «all'affidamento dell'intero contenzioso di loro interesse per una durata predeterminata (che potrebbe essere, ad esempio, triennale) a professionisti che, nelle forme attualmente consentite dall'ordinamento, siano in grado di assicurare, per le plurime competenze di cui dispongono, una complessiva attività di consulenza legale».
Viceversa se si è in presenza di una prestazione di un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente espletata secondo un incarico non continuativo o periodico, ma puntuale ed episodico, destinato a soddisfare un singolo bisogno manifestatosi (la difesa e rappresentanza in una singola causa per esempio) si «rientra a pieno titolo nella qualificazione di cui all'art. 2222 c.c.».
In questi casi il rispetto dei principi generali impone però la procedimentalizzazione nella scelta del professionista «evitando scelte fiduciarie ovvero motivate dalla chiara fama (spesso non dimostrata) del professionista». Occorre quindi predisporre un elenco ristretto di professionisti o studi legali perché «sarebbe oneroso e complesso da gestire per l'amministrazione in contrasto con i principi di efficacia e economicità dell'azione amministrativa».
L'elenco, pubblicato sul sito istituzionale, deve essere sempre aperto e suscettibile di integrazione e modificazione, nonché accompagnato da brevi schede che riassumano la storia professionale dell'aspirante affidatario
(articolo ItaliaOggi del 07.08.2018).

giugno 2018

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - CONSIGLIERI COMUNALIPer il Comune, soggetto legittimato a stare in giudizio, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale, cosicché tale ultimo organo, anche laddove abbia, per statuto, il potere di autorizzare il Sindaco alla proposizione di azioni in giudizio, è privo del potere di nomina del difensore, il quale, seppure designato mediante delibera di giunta, deve nuovamente essere nominato, con conferimento di apposita procura alle liti, dal Sindaco.
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica.

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Costituisce orientamento consolidato di questo giudice di legittimità quello secondo il quale, alla luce dei principi generali in tema di procura alle liti (artt. 83 e 365 c.p.c.) e di mandato (art. 1716 c.c., disciplinante l'ipotesi di pluralità di mandatari), ove il mandato alle liti venga conferito a più difensori, si presume che esso sia conferito disgiuntamente a ciascuno di essi, salvo inequivoca manifestazione di volontà della parte in favore del carattere congiuntivo del mandato, con la conseguenza che ciascuno dei difensori, in difetto di un'espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza processuale (Cass. 1168/2004; Cass. 13252/2006).
Ne deriva che non integra gli estremi della fattispecie normativa di cui all'art. 301 cod. proc. civ. (interruzione del processo per morte del procuratore) il decesso di uno solo dei due difensori muniti di mandato dal quale non risulti, espressamente, l'obbligo di agire congiuntamente, tanto che è stata ritenuta (Cass. 8189/1997; Cass. 8931/2000; Cass. 15293/2002) irrilevante la mancanza, nell'atto predetto, della espressione "anche disgiuntamente", la cui assenza non consente di ritenere escluso il potere di rappresentanza disgiunta in capo a ciascuno dei procuratori della parte.
Nella specie, nella procura alle liti allegata a margine dell'atto di appello era pacificamente apposta la clausola "con poteri anche disgiunti".
Ora, a fronte di ciò, il ricorrente invoca una deliberazione della Giunta comunale, con la quale, sulla base di specifica disposizione statutaria, sarebbe stato autorizzato il Sindaco a resistere in giudizio ed a proporre appello, conferendo mandato congiunto ai difensori.
Tuttavia, questa Corte ha chiarito che, per il Comune, soggetto legittimato a stare in giudizio, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., è soltanto il Sindaco (art. 50 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267) e non la giunta comunale, cosicché tale ultimo organo, anche laddove abbia, per statuto, il potere di autorizzare il Sindaco alla proposizione di azioni in giudizio, è privo del potere di nomina del difensore, il quale, seppure designato mediante delibera di giunta, deve nuovamente essere nominato, con conferimento di apposita procura alle liti, dal Sindaco (Cass. 18062/2010).
La delibera della Giunta, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica (Cass. 11516/2007; Cass. 5802/2016).
Ne consegue che assume rilievo la sola procura alle liti conferita dal Sindaco, a margine dell'atto di appello, con poteri disgiunti ai due difensori, Avv.ti Ma. ed As., non anche la delibera della Giunta del 2001, con la quale, secondo quanto ritrascritto in ricorso, venivano incaricati "in maniera congiunta" i due avvocati ad "opporsi alla sentenza" di primo grado (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 21.06.2018 n. 16459).

maggio 2018

INCARICHI PROFESSIONALIIl rimborso spese è automatico. Stampe, fotocopie e cancelleria: difensore ristorato. AVVOCATI/ La Corte di cassazione si pronuncia sulle spettanze previste dalla legge.
Il rimborso forfettario delle spese generali (nella specie ai sensi dell'art. 1, comma 2, del dm n. 140 del 2012) compete automaticamente al difensore anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza. Quest'ultima deve ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che grava sulla parte soccombente.
È con l'ordinanza 30.05.2018, n. 13693 che la Corte di Cassazione, Sez. I civile, si pronuncia sulla spettanza automatica del rimborso forfettario delle spese generali di giustizia di competenza dei legali. Le spese generali sono riconosciute all'avvocato per legge.
I giudici di Cassazione ricordano che l'articolo 13, comma 10, della legge numero 147/2012, stabilisce che «oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfetarie».
La previsione legale del rimborso forfettario del 15% comporta, quindi, il diritto ad ottenere tale somma anche a prescindere da un'esplicita indicazione delle stesse in sentenza. Quando si parla di spese generali i giudici fanno riferimento ad esempio, alle numerose stampe e fotocopie effettuate dal legale per partecipare ai processi, alle spese di cancelleria, a quelle per reperire il materiale per studiare la questione giuridica e così via.
La mancata liquidazione in favore dell'avvocato della parte vittoriosa delle somme dovute per spese generali costituisce un errore materiale della sentenza, che può essere corretto con il procedimento di cui agli articoli 287 e seguenti cod. proc. civ., in quanto l'omissione riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi
(articolo ItaliaOggi del 30.08.2018).
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MASSIMA
8. Il quinto motivo, infine, che censura la condanna alle spese inflitta al Veronese dal Tribunale di Bolzano e la sua quantificazione, è infondato.
8.1. Il giudice di merito, nell'applicare il principio di soccombenza -certamente non incorrendo, per ciò solo, nel vizio di violazione di legge (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19613 del 2017; Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 14349 del 2012; Cass. nn. 17145 e 25270 del 2009)- ha liquidato le spese giudiziali «...secondo i criteri di cui al d.m. 20.07.2012, n. 140, preso come riferimento lo scaglione da € 100.000,01 a € 500.000,00 ed applicati i valori medi di liquidazione, con riduzione del 50% dei soli valori medi della fase decisoria, in considerazione della ridotta attività processuale espletata nella detta fase (partecipazione ad un'unica udienza di discussione senza redazione di memorie conclusionali)» (cfr. pag. 11 del decreto impugnato).
8.2. Il ricorrente assume che tale decisione violerebbe «platealmente» il complesso normativo desumibile dal d.m. n. 140 del 2012: «in primo luogo, perché la quantificazione dei compensi ... avrebbe dovuto essere, a norma di legge, inferiore, ed in secondo luogo perché non avrebbe potuto comunque pronunciarsi la condanna anche al rimborso forfettario pari al 12,5%» (cfr. 48 del ricorso).
8.2.1. Quest'ultima doglianza è infondata atteso che l'art. 1, comma 2, del d.m. predetto (oggi sostituito dal d.m. n. 55 del 2014, ma qui applicabile ratione temporis), prevede[va] che «nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario».
Posta, allora, la diversità tipologica e concettuale chiaramente esistente tra compenso spettante al difensore e spese dal medesimo sostenute nell'espletamento dell'attività professionale svolta per il cliente, giova solo ricordare, da un lato, che le spese cd. generali (o forfetarie) sono quelle di norma sostenute durante una causa, la cui dimostrazione è difficile oppure oltremodo gravosa, sicché il loro rimborso è dovuto anche senza la prova del relativo sostenimento; dall'altro, che costituisce principio consolidato quello secondo il quale il rimborso cd. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, che spetta automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, dovendosi quest'ultima ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (cfr. Cass. 15818 del 2013, in motivazione; Cass. n. 4209 del 2010).

gennaio 2018

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarico legale senza impegno di spesa.
La regola contabile generale, validata anche per gli enti locali, prevede che in mancanza del preventivo impegno di spesa, nonché della corrispondente copertura finanziaria, eventuali affidamenti di incarichi in violazione di questi principi sono da considerarsi nulli.
Tuttavia, il principio contabile non può essere esteso agli affidamenti degli incarichi legali, sia perché è incerta l'incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, e sia perché, nel bilancio dell'ente, è di norma presente una voce generale nella quale possono essere inserite le prevedibili spese di lite
, principi questi stabiliti dalla Corte di Cassazione, Sez. III civile, nella sentenza 25.01.2018 n. 1830.
Inoltre, applicando questi principi alla contabilità armonizzata, se ne deduce che la mancata copertura finanziaria, una volta affidata la difesa dell'ente ad un avvocato del libero foro, la spesa non potrà essere qualificata quale debito fuori bilancio ma, in mancanza di un prudente stanziamento in bilancio nel fondo rischi, in caso di soccombenza, emergerà una passività pregressa da coprire finanziariamente e contabilmente nell'esercizio in cui si sia verificata la soccombenza per l'ente (articolo Il Sole 24 Ore del 30.01.2018).
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MASSIMA
2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro collegati, sono fondati.
La Corte d'appello di Napoli ha revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore dell'Avv. St. reputando che la procura speciale ex art. 83 cod. proc. civ. rilasciata al predetto procuratore per patrocinare il Comune nel giudizio arbitrale non fosse sufficiente a costituire validamente il vincolo contrattuale in forma scritta difettando:
   - la formazione della volontà negoziale in un unico documento («lo scambio del mandato (proposta) e della sottoscrizione dell'atto difensivo (accettazione), non risulta rispettoso degli artt. 16 e 17 del r.d. del 1923 che impongono, non solo la forma scritta, ma anche la formazione della volontà negoziale nell'ambito di un unico documento. ... La formazione con atto separato, quindi, esclude che il professionista possa accettare separatamente l'incarico oggetto di delibera»);
   - il «contenuto minimo del contratto formale della pubblica amministrazione» («La ratio del divieto del contratto a distanza tra p.a. e privato ... non risiede nella impossibilità di scambiarsi proposta ed accettazione, ma nella necessità che le condizioni contrattuali siano espressamente regolate (oggetto dell'incarico, compenso, motivi di risoluzione, durata, ecc.). Il riferimento giurisprudenziale al "documento" non va inteso nella materialità cartacea del documento (che nella specie contiene sia la procura sia l'atto sottoscritto), ma con riferimento alla forma-contenuto dell'atto negoziale») e, in particolare, il corrispettivo stabilito per il professionista («non può neppure sostenersi che, relativamente alla statuizione delle spettanze dell'avvocato, per relationem si applicavano, tacitamente, le tariffe legali sussistenti all'epoca, perché tali tariffe erano, e sono, in vigore per tutte le professioni intellettuali e tale circostanza non ha mai portato la giurisprudenza della Corte di cassazione a sostenere che il disciplinare di incarico, per questa ragione, fosse superfluo»);
   - il preventivo impegno di spesa da parte dell'Ente («La obbligazione di pagamento pretesa con il decreto ingiuntivo del professionista risulta invalida perché non assistita dal correlativo impegno di spesa richiesto, non solo dalle norme generali in tema di contabilità di Stato, ma anche dalle norme sugli enti locali ... La circostanza che sia stato nella delibera di incarico previsto un impegno di spesa a titolo di acconto ... non soddisfa minimamente il requisito previsto dalle norme, che presuppongono, al contrario, l'intera prestazione contrattuale pretesa sia stata contemplata ed assistito dalla copertura finanziaria. ... è la previsione del costo del proprio legale che può e deve essere oggetto di una previsione iniziale che, come avviene per appalti servizi, potrà poi avere una successiva variazione di costo, se giustificata. Non sembra, peraltro, che le norme in materia di contabilità consentano eccezioni con riferimento alla figura specifica del legale e che si possa affidare un incarico a quest'ultimo in assenza di attestazione di copertura finanziaria»).
La Corte di merito si pone in consapevole contrasto con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale il Collegio intende dare continuità non sussistendo valide argomentazioni per discostarsene.
Infatti, questa Corte ha già più volte statuito che «
in tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell'art. 83 cod. proc. civ., atteso che l'esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l'identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell'Autorità tutoria» (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 2266 del 16/02/2012, Rv. 621776-01; nello stesso senso, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8500 del 05/05/2004, Rv. 572611-01, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13963 del 16/06/2006, Rv. 592970-01, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10707 del 15/05/2014, non nnassimata; sulla idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta della procura generale alle liti purché individui l'ambito delle controversie per cui opera, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 3721 del 24/02/2015, Rv. 634430-01, Cass., Sez. 6-3, Sentenza n. 15454 del 22/07/2015, Rv. 636092-01, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 4562 del 08/03/2016, non massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 4563 del 08/03/2016, non massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 5805 del 23/03/2016, non massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 15648 del 27/07/2016, non massimata, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 15649 del 27/07/2016, non massimata).
Contrariamente alle asserzioni della Corte territoriale,
l'unicità del documento negoziale (requisito preteso dalla giurisprudenza citata nella pronuncia impugnata) è costituita dalla procura e dall'atto difensivo, che individua in forma scritta il contenuto essenziale dell'accordo (volontà delle parti, oggetto dell'incarico), peraltro integrato ex art. 1374 cod. civ. dalle allora vigenti (e inderogabili) tariffe professionali del d.m. 05.10.1994, n. 585 (corretta è, peraltro, l'osservazione del ricorrente secondo cui gli altri professionisti intellettuali, pur vincolati da tariffe predeterminate da atto normativo, non ricevono un mandato ad litem con le caratteristiche formali e sostanziali degli avvocati).
Quanto ai richiamati principi di contabilità pubblica, «è evidente che la nullità prevista per la mancata previsione della spesa e della sua copertura non concerne anche le deliberazioni relative alla partecipazione degli Enti a controversie giudiziarie, sia perché è incerta l'incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, e sia perché, nel bilancio dell'Ente, è di norma presente una voce generale nella quale possono essere inserite le prevedibili spese di lite» (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13963 del 16/06/2006, in motivazione; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8646 del 12/02/1993, in motivazione); inoltre, «il riferimento alle vigenti tariffe professionali, la cui applicabilità, in assenza di uno specifico accordo tra le parti, è di per sé sufficiente ad escludere l'incertezza in ordine alla controprestazione dovuta dalla Amministrazione, quantificabile soltanto in via approssimativa al momento della stipulazione del contratto, in quanto correlata al compimento degli atti difensivi resi necessari dall'evoluzione del giudizio, e proprio per tale motivo idonea a giustificare la previsione della copertura finanziaria mediante generica imputazione al capitolo di bilancio riguardante le spese processuali» (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24859 del 09/12/2015, in motivazione).
3. In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, la quale esaminerà la fattispecie alla luce delle indicazioni fornite da questa Corte (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 25.01.2018 n. 1830).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento incarichi legali.
Domanda
Nell’ente (una pubblica amministrazione) ci si è posti il problema di come procedere con l’affidamento degli incarichi legali relativamente alla difesa in giudizio.
Alla luce delle varie posizioni –dell’ANAC e della giurisprudenza– circa la possibilità degli incarichi fiduciari, della configurazione in termini di appalti (che emerge dal codice dei contratti) o della possibilità di costituire degli elenchi, si chiede cortesemente quale possa essere il procedimento corretto che gli uffici devono seguire.
Risposta
Il quesito, effettivamente, presenta estrema attualità e delicatezza ed a tal proposito si preferisce fornire un duplice riscontro, in questa prima parte si affronta la tematica in generale nella seconda parte ci si soffermerà sulla costituzione dell’elenco/albo dei legali tenendo conto delle indicazioni fornite dall’ANAC, nelle linee guida ancora non definitive –ma utilissimi al RUP– e della giurisprudenza.
L’affidamento dell’incarico legale, secondo anche le indicazioni dell’ANAC e delle delibere di controllo della Corte dei Conti, può avvenire con la scelta dei soggetti direttamente da albi predisposti dalla stazione appaltante.
La pratica operativa di costituire ed attingere dall’albo di professionisti costituisce, anzi, una modalità virtuosa del RUP di gestire il procedimento di affidamento (e non solo per gli appalti del servizio legale ma per ogni procedimento di acquisto soprattutto nell’ambito sotto soglia comunitaria).
Pertanto deve ritenersi non solo facoltativa ma doverosa per assicurare imparzialità ed oggettività nell’assegnazione degli appalti.
A tal proposito si legge nello schema di linee guida dell’ANAC sui servizi legali (non ancora formalizzato) che “Anche per l’affidamento dei servizi legali di cui all’art. 17 del Codice (così come per i contratti sotto soglia di cui all’art. 36, comma 2), gli operatori economici a cui richiedere preventivi per una valutazione comparativa possono essere selezionati da elenchi previamente costituiti dall’amministrazione”.
È bene da subito evidenziare che l’albo/elenco non è una graduatoria ma, appunto, una sorta di “catalogo” da cui il RUP deve attingere per avviare una micro–competizione o, in specifiche ipotesi, avviare l’affidamento diretto.
La Corte dei Conti ha avuto modo di evidenziare (nella delibera della sezione regionale Emilia Romagna, n. 129/2017) che dall’albo i professionisti possono essere selezionati “su una base non discriminatoria”, a presentare offerte.
Quanto, deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell’importanza della causa e del compenso prevedibile.
In tema di deroga ai principi appena richiamati è interessante riportare proprio la riflessione della Corte dei Conti, nella delibera appena citata.
Nella deliberazione si legge che “l’affidamento diretto di incarichi professionali esterni si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria. La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza“.
La riflessione è comune alle varie sezioni che rammentano, oramai, che l’incarico dei servizi legali –con il nuovo codice degli appalti– è sicuramente un appalto che, per ciò stesso, impone il rispetto delle disposizioni classiche delle procedure (sia pur, in questo caso, con delle semplificazioni).
Le semplificazioni, in ogni caso, non possono giungere a violare palesemente la necessità di oggettività nell’affidamento (si rammenta che deve essere sicuramente abbandonata la prassi di affidare gli incarichi intuitu personae con delibera giuntale).
La sezione, in ogni caso, non esclude che insistano effettivamente delle ragioni di urgenza che non rendano praticabile una “competizione/confronto” tra i soggetti iscritti all’albo ed in questo caso ammette l’affidamento diretto.
Sul punto nella deliberazione citata –ma anche in questo caso si tratta di una affermazione consueta– qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate “e non derivanti da un’inerzia dell’Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all’affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente motivato, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi)”.
La giurisprudenza amministrativa
La recente sent. n. 334 del 06.02.2017, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l’affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente.
Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche che rappresenta l’obiettivo del pubblico dipendente.
Naturalmente occorre affrontare anche la questione del criterio di aggiudicazione ed il criterio del minor prezzo ha un ambito di utilizzo fortemente limitato (questo in generale anche da quanto emerge dalla disposizioni del codice dei contratti).
Nel documento dell’ANAC si legge che riguardo al criterio di aggiudicazione, i servizi legali non rientrano nelle fattispecie individuate dall’art. 95, comma 4, del Codice per le quali è consentito l’utilizzo del criterio del minor prezzo.
Però, trattandosi di servizi di natura intellettuale per essi è espressamente previsto dall’art. 95, comma 3, lett. b), del codice l’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo nel caso di servizi di importo pari o superiore a 40.000.
In definitiva, il criterio del minor prezzo può essere utilizzato solo per gli affidamenti di contratti di importo inferiore a 40.000 euro.
L’ANAC comunque suggerisce che proprio la natura dei servizi in questione e l’importanza degli interessi alla cui tutela è preposta l’attività difensiva l’utilizzo anche per gli affidamenti di minor valore, del multi criterio che consente di selezionare il professionista cui affidare l’espletamento dei servizi legali richiesti attraverso sub-criteri tali in grado di valorizzare la qualità del legale sulla base di credenziali di esperienza e di competenza.
I criteri di valutazione delle offerte
I criteri di valutazione delle offerte all’uopo utilizzabili –nella competizione avviata attingendo i nominativi dall’albo– possono riguardare:
   a) la professionalità e adeguatezza dell’offerta desunta dal numero di servizi svolti dal concorrente affini a quelli oggetto dell’affidamento;
   b) le caratteristiche metodologiche dell’offerta desunte dall’illustrazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico;
   c) il ribasso percentuale unico indicato nell’offerta economica. E’ molto importante rilevare –circa il valore (il punteggio) da attribuire al ribasso- che la giurisprudenza ha configurato come illegittimo il comportamento della stazione appaltante (invero del RUP) che individua criteri/sub-criteri che annullano la rilevanza del prezzo. I punti da assegnare all’offerta economica devono essere contingentati nell’ambito dei 30 punti come ora –per effetto del decreto legislativo correttivo– dispone l’articolo 95, comma 10 -bis (in questo senso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 21.08.2017 n. 4044);
   d) i titoli accademici o professionali attinenti alla materia oggetto del servizio legale oggetto di affidamento.
I sub-criteri
Con riferimento ai sub-criteri e sub-pesi sulla base dei quali la commissione giudicatrice dovrà valutare la migliore offerta, a titolo meramente esemplificativo, il RUP può considerare che:
   – per il criterio di valutazione relativo alla professionalità e adeguatezza dell’offerta può farsi riferimento al numero e al valore economico degli incarichi pregressi assunti dal concorrente;
   – per il criterio di valutazione relativo alle caratteristiche metodologiche dell’offerta può farsi riferimento a proposte di miglioramento e di innovazione dei servizi offerti rispetto a quelli descritti nella documentazione di gara.
A ciascun criterio di valutazione debbano essere attribuiti, nei documenti di gara, i fattori ponderali secondo un principio di proporzionalità e adeguatezza e nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 95, comma 8, del codice
Per assicurare la qualità della prestazione, i fattori ponderali, per ciascun criterio, devono mantenersi all’interno di parametri da determinarsi anche avendo riguardo al tipo di formula prescelta.
Altre indicazioni dell’Autorità anticorruzione
Resta fermo che, qualora le esigenze del mercato suggeriscano di assicurare un maggiore confronto concorrenziale, anche per gli appalti “esclusi” le stazioni appaltanti, nell’esercizio della propria discrezionalità, possono ricorrere alle procedure ordinarie previste per gli appalti sopra soglia o a quelle semplificate per gli appalti sotto soglia.
Il rispetto dei suddetti principi informatori aiuta a garantire un uso efficiente del denaro pubblico e a prevenire corruzione e favoritismi (17.01.2018 - link a www.publika.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il singolo incarico di patrocinio legale va inquadrato come appalto di servizi.
A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs..
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A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata, la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti, del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina dei principi summenzionati, conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale incardinato nell’ufficio legale, ove istituito, a svolgere l’incarico (così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione, che nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dal quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente motivato, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale” (C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca” (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 e seg., del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale.
A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Infine, si ricorda come il d.lgs. 14.03.2013, n. 33 recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, all’art. 15 (“Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza”), comma 4, abbia stabilito per i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza che i dati di cui al comma 1, i relativi atti di conferimento (questi ultimi completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato), nonché l’afferente comunicazione alla Presidenza del consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, debbano essere pubblicati entro tre mesi dall’attribuzione dell’incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dello stesso.
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite e dai dati relativi agli incarichi affidati all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di consulenza legale in un atto di programmazione
L’Ente non ha inserito in alcun atto di programmazione gli incarichi di patrocinio e di consulenza legale che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
La relativa inclusione sarebbe stata rispondente a un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche, anche per agevolare una stima appropriata delle consequenziali coperture finanziarie.

Ricorso all’affidamento diretto fino al 2015
L’attribuzione diretta, fino al 2015, di incarichi professionali esterni, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria, giurisprudenza oggi avvalorata dalle richiamate novità normative di cui al d.lgs. n. 50/2016.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.

Mancanza di uno specifico disciplinare che regola l’affidamento degli incarichi legali - omessa formalizzazione dell’accertamento sull’impossibilità di svolgere il patrocinio all’interno dell’Ente
L’Ausl ha predisposto, nel 2016, un elenco di avvocati esterni formato sulla base di avviso pubblico, avendo inoltre adottato, nel 2013, un atto che definisce i criteri per la determinazione delle tariffe da riconoscere per le prestazioni effettuate. Peraltro, non risulta uno specifico disciplinare che regolamenti l’attribuzione degli incarichi legali tra gli avvocati esterni selezionati ed, in particolare, che garantisca il doveroso rispetto del criterio di rotazione nell’affidamento dei patrocini.
A riprova dell’inefficacia del sistema predisposto che negli effetti non si discosta dal previo metodo di affidamento diretto, ad esito di interrogazione effettuata sul sito dell’Ente si rileva che nel 2017 sono stati affidati al medesimo legale 12 patrocini su 16 totali attribuiti ad avvocati esterni. Si tratta, peraltro, dello stesso professionista cui, nel 2015, venivano conferiti direttamente 9 patrocini legali su 10.
Al contrario,
se pur è ammissibile la predisposizione di un sistema di qualificazione, ovvero “la redazione di un elenco di operatori qualificati mediante una procedura trasparente e aperta oggetto di adeguata pubblicità (cfr. deliberato Anac richiamato), è altrettanto vero che l’applicazione di una rotazione, quanto meno minima, tra i richiamati operatori qualificati e pertanto del tutto idonei al compito da affidare, rappresenta un’imprescindibile esigenza di salvaguardia dei principi di non discriminazione, concorrenzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
L’anomalia segnalata è da correggere ed assume particolare rilievo alla luce del pregresso storico dell’Ente che nell’annualità oggetto di esame, ovvero il 2015, ha attribuito direttamente patrocini legali quasi sempre allo stesso professionista,
precostituendogli pertanto, di fatto, un indebito vantaggio competitivo visto che tra i requisiti di ammissione alla procedura per l’iscrizione all’elenco è richiesta l’assunzione di un certo numero incarichi difensivi per enti sanitari. Inoltre, per i due conferimenti esterni di patrocinio specificamente esaminati, non risulta formalizzato il previo accertamento dell’impossibilità di svolgere l’incarico all’interno dell’Ente.
In proposito si sottolinea che
una normativa finalizzata a disciplinare la materia dovrebbe, tra l’altro, prevedere che l’affidamento degli incarichi di patrocinio avvenga, in via preferenziale, in favore degli avvocati interni all’Ente. Essa dovrebbe, inoltre, procedimentalizzare l’accertamento, preliminare rispetto all’affidamento di ciascun incarico, dell’effettiva impossibilità, per i legali dipendenti dall’Ente, di assumere il patrocinio.
In mancanza di una disciplina specifica sarebbe stato comunque onere dell’Ausl dare riscontro formale del previo accertamento dell’impossibilità, da parte dei componenti dell’ufficio legale, a svolgere gli incarichi, allo scopo di evitare una possibile spesa inutile e, pertanto, un conseguente danno all’erario.
Un accertamento di tale tipo sarebbe da considerarsi presupposto necessario per l’affidamento legittimo anche qualora si considerasse la scelta del libero professionista come a carattere fiduciario, ed è indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi come appalti di servizi.

Tutela dei principi di imparzialità, parità di trattamento e trasparenza ex art. 4 del d.lgs. n. 50/2016
Anac declina i principi di cui all’art. 4 del Codice dei contratti pubblici precisando che “
l’effetto restrittivo della concorrenza derivante dalla limitazione temporale della presentazione delle istanze [di ammissione all’Elenco dei legali dell’Ente] dovrebbe essere contemperato dalla riduzione del termine di validità dell’iscrizione, che potrebbe essere portata a un anno, in modo da rendere più frequenti le finestre temporali entro le quali i soggetti qualificati possono manifestare l’interesse all’iscrizione nell’elenco (60 giorni ogni anno e non 60 giorni ogni tre anni)” (Anac, Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP). In conformità l’Ausl non si è avvalsa della facoltà di proroga per un massimo di due anni prevista nell’avviso pubblico di cui alla deliberazione n. 138 del 01.06.2016.
In proposito, peraltro, la Sezione rimarca la necessità di attenersi ai criteri operativi richiamati, espungendo dal nuovo avviso, in fase di approvazione, la facoltà dell’Azienda di prorogare, per un massimo di 24 mesi, la durata di validità dell’Elenco, altresì stabilendo un termine non inferiore a 60 giorni per la presentazione delle relative domande di ammissione.
Contraddittorietà della clausola del modello di contratto approvato nel 2013 dal Collegio Tecnico AVEC con il requisito della comprovata esperienza richiesta nella deliberazione n. 138/2016 recante “Avviso pubblico inerente la formazione di un elenco di avvocati per l’affidamento di incarichi difensivi in applicazione dell’istituto contrattuale del patrocinio legale
Nell’esaminare il modello di contratto per l’affidamento a legali esterni di prestazioni di assistenza legale, approvato nel 2013 dal Collegio Tecnico AVEC, si riscontra una criticità al relativo punto 4, laddove viene precisato che “Il Professionista può avvalersi, sotto la propria responsabilità, di sostituti e collaboratori per lo svolgimento della prestazione, nonché di domiciliatari, senza costi aggiuntivi”.
La clausola, laddove non circoscrive l’attività di eventuali sostituti e collaboratori ad aspetti marginali della prestazione, si pone in contraddizione con uno dei criteri fissati per l’iscrizione nell’elenco degli avvocati dell’Ente, ovvero il possesso di una particolare e comprovata esperienza specifica (punto 6 dei requisiti di ammissione). Una siffatta causa rende, altresì, possibile il mancato rispetto di principi rilevanti nell’affidamento dei patrocini ad esterni, in particolare la procedura di comparazione effettuata sulla base del curriculum vitae.
L’Ente ha, comunque, dichiarato che è in fase di approvazione un nuovo avviso pubblico per la formazione di un elenco di avvocati da utilizzarsi per l’affidamento di incarichi difensivi, lo schema di domanda (all.A) per la richiesta di iscrizione e l’atto relativo alle Condizioni Generali (all.B) che deve essere sottoscritto dal professionista e il cui rispetto costituisce “condizione necessaria per il mantenimento nell’Elenco e il successivo conferimento di eventuali incarichi”.
In proposito, l’art. 3 di questo ultimo atto, rubricato “Accettazione dell’incarico e modalità di espletamento” prevede che “Il professionista si impegna a svolgere il mandato personalmente e in piena autonomia tecnico-organizzativa, garantendo la propria personale reperibilità sia nello svolgimento di incarichi conferiti dall’ente, sia nello svolgimento di incarichi conferiti da personale aziendale”.
La Sezione ribadisce che la richiamata “autonomia tecnico-organizzativa” non può implicare la facoltà di avvalersi di eventuali sostituti e collaboratori se non per aspetti marginali della prestazione, richiedendo una puntualizzazione in tal senso.
Per quanto sopra esposto, la Sezione
INVITA L’ENTE
ad assicurare il rispetto della normativa e dei principi per l’affidamento di incarichi legali;
INVITA L’ORGANO DI REVISIONE
a vigilare sulla legittimità dell’azione dell’Ente nell’affidamento di incarichi legali;
DISPONE
   - che la deliberazione sia trasmessa - mediante posta elettronica certificata al Legale Rappresentante, nonché all’Organo di revisione;
   -
che copia della presente deliberazione sia trasmessa alla Procura della Corte dei Conti per la Regione Emilia-Romagna, in relazione agli eventuali profili di danno erariale conseguenti all’affidamento diretto di incarichi di patrocinio legale, deliberati senza che vi sia stata una previa valutazione formalizzata in merito alla possibilità, da parte degli avvocati interni, di svolgere detti patrocini (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 16.01.2018 n. 4).

INCARICHI PROFESSIONALILa difesa in giudizio è un appalto di servizi. Sì alle short list di avvocati.
La difesa in giudizio è un appalto di servizi rientrante tra quelli esclusi dal campo di completa applicazione del codice dei contratti, del quale si applicano solo i principi indicati nell'articolo 4. Dunque sono legittimi albi o «short list» di avvocati, come quella realizzata da Equitalia, per attingervi allo scopo di selezionare professionisti cui affidare le cause.

La sentenza 09.01.2018 n. 150 del TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis rappresenta un decisivo cambio di rotta della giurisprudenza amministrativa, per molti tratti ancora aggrappata ad una pronuncia del Consiglio di Stato del 2012, da considerare superata, secondo la quale gli incarichi non sarebbero appalti di servizi ma prestazioni professionali.
Il Tar Lazio, infatti, ha respinto su tutta la linea i motivi di ricorso contro la short list di Equitalia, presentati dal Consiglio dell'ordine degli avvocati, fierissimo avversario della qualificazione della difesa in giudizio come appalto di servizi.
La sentenza ha, in primo luogo, considerato legittimo formare una short list di avvocati, con la fissazione di un termine di 60 giorni dalla pubblicazione dell'avviso per chiedere l'inserimento in elenco e la possibilità di aggiornarla ogni anno.
Il termine per la presentazione delle candidature e la chiusura della lista per la durata di un anno non sono da considerare lesivi della concorrenza, ma al contrario sono considerati un sistema razionale per la gestione degli incarichi.
Né dalla legge sulla disciplina della professione forense, la legge 247/2012, secondo il Tar, si può desumere alcuna illegittimità del sistema di selezione degli avvocati mediante short list (sistema per altro consigliato dall'Anac).
In secondo luogo, il Consiglio dell'ordine, contraddicendo il proprio orientamento contrario all'applicabilità degli articoli 4 e 17 del dlgs 50/2017 alla difesa legale, avevano lamentato che Equitalia nel regolamentare la short list avrebbe violato delle norme, stabilendo compensi lesivi della decoro professionale, perché limitai al 60% della tariffa regolata dal dm 55/2014.
Il Tar Lazio ha respinto anche questo motivo di ricorso, rilevando che i compensi tariffari sono rimessi alla pattuizione delle parti e che la tariffa non risulta obbligatoria; per altro, secondo la sentenza, non necessariamente il regolamento di disciplina della short list imponeva la riduzione dei compensi al 60% della tariffa, limitandosi, invece, a prenderla come parametro per la loro determinazione con l'offerta.
Gli strali dei ricorrenti hanno riguardato anche un tetto massimo per i compensi degli avvocati di complessivi 35.000 euro indipendente dal numero di giudizi affidati.
La sentenza ha respinto la presunta illegittimità per violazione dell'articolo 36 della Costituzione.
Il limite complessivo dei compensi, infatti, non è forfetario e non corrisponde a un numero infinito di affari assegnati al singolo avvocato. Si riferisce, invece, in modo razionale, al limite di spesa per incarichi «seriali» superato il quale scatta l'obbligo di affidamento ad un altro legale.
Infine, i ricorrenti hanno censurato la presunta violazione dell'articolo 4 del codice dei contratti, sull'assunto che i criteri selettivi per l'accesso alla short list sarebbero stati eccessivamente restrittivi, tali da impedire l'accesso ai giovani avvocati, in violazione dell'articolo 1, comma 2, lettera D, della legge 247 del 2012 e del principio di concorrenza.
Da notare che il Consiglio ritiene, in propri scritti, che invece il principio di concorrenza non sarebbe mai applicabile e che gli incarichi agli avvocati da parte delle p.a. resterebbero ancora «fiduciari».
Il motivo di ricorso è un'evidente contraddizione in termini che indebolisce le argomentazioni del Consiglio forense contro le regole del codice dei contratti, poiché è un implicito riconoscimento della sua necessaria applicazione.
In ogni caso, per il Tar Lazio la disciplina di accesso alla short list è legittima: è stato nella sostanza richiesto un volume d'affari annuo di 33,000 euro di fatturato, soglia che «non appare sproporzionata rispetto ai compensi mediamente percepiti dagli avvocati di normale professionalità» (articolo ItaliaOggi del 12.01.2018).
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MASSIMA
Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce la violazione della legge numero 247 del 2012 e la violazione dell’articolo 4 del decreto legislativo numero 50 del 2016 per violazione dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, libera concorrenza e massima partecipazione:
Gli atti impugnati sarebbero illegittimi nella parte in cui prevedono che le richieste di iscrizione debbano essere presentate entro 60 giorni dalla pubblicazione dell’avviso e che l’elenco abbia una durata predeterminata in un anno; tali limitazioni si tradurrebbero in restrizioni della concorrenza, atteso che l’iscrizione agli elenchi dovrebbe essere aperta; un elenco chiuso, immotivatamente così previsto, non assicurerebbe la massima partecipazione dei professionisti interessati; eppure l’Autorità nazionale anticorruzione, nel parere reso ad Equitalia sullo schema dell’avviso impugnato, avrebbe precisato che l’iscrizione avrebbe dovuto essere consentita senza limitazioni temporali; le stesse Linee Guida numero 4 adottate dall’Autorità anticorruzione per le procedure di affidamento di contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria e per la formazione e gestione di elenchi di operatori economici avrebbero stabilito l’iscrizione degli operatori economici provvisti dei requisiti richiesti senza limitazioni temporali, al fine di assicurarne la più ampia partecipazione; solo in via subordinata l’Autorità nazionale anticorruzione avrebbe prospettato l’ipotesi alternativa di ridurre ad un solo anno la validità dell’elenco, al fine di mitigarne l’effetto restrittivo della concorrenza che comunque l’iscrizione a scadenza fissa inevitabilmente comporterebbe; Equitalia, quindi, non avrebbe ottemperato alle indicazioni contenute nel parere dell’Autorità anticorruzione, senza alcuna apprezzabile giustificazione.
Il motivo è infondato.
La L. 31/12/2012, n. 247, Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, all’art. 1 prevede che l'ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta, garantisce l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti.
Si tratta di norma da cui non discende alcuna illegittimità del regolamento impugnato che, nel prevedere un elenco chiuso, limitato a chi abbia presentato la domanda di iscrizione entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione dell’avviso, non reca alcuna lesione all’indipendenza e all’autonomia degli avvocati.
L’altra norma citata dai ricorrenti a fondamento del motivo di impugnazione è l’art. 4 del D.Lgs. 18/04/2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici, recante i principi relativi all'affidamento di contratti pubblici esclusi. Essa stabilisce che l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica.
Ad avviso dei ricorrenti la formazione di un elenco chiuso si risolverebbe in una illegittima restrizione della concorrenza, ma la deduzione non è confortata né dal parere dell’Autorità nazionale anticorruzione da essi richiamato, né dalle Linee guida della stessa Autorità allegate a sostegno della censura.
In realtà
il parere dell’Autorità anticorruzione risulta favorevole alla predisposizione di un elenco chiuso, a condizione che l’effetto restrittivo derivante dalla limitazione temporale della presentazione delle domande sia contemperato, come di fatto è avvenuto, dalla riduzione del termine di validità dell’iscrizione, da portare a un anno, in modo da rendere più frequenti le finestre temporali entro le quali i soggetti interessati possono iscriversi nell’elenco.
La soluzione suggerita dall’Autorità anticorruzione e adottata dall’amministrazione resistente è condivisibile in quanto da una parte, stabilendo un termine di 60 giorni dalla presentazione delle domande, consente a Equitalia di sapere in qualsiasi momento su quali professionisti potrà contare per la gestione del proprio contenzioso; ciò sarebbe meno agevole nel caso di previsione di un elenco aperto, sottoposto a continui aggiornamenti che determinerebbe inevitabili difficoltà nella concreta attività di affidamento degli incarichi; d’altra parte, la limitazione di durata dell’elenco a un solo anno consente il ricambio frequente degli avvocati interessati e pertanto risulta pienamente aderente ai principi di massima concorrenza, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità evocati dai ricorrenti e tutelati dall’ordinamento.
Con il 2º motivo, i ricorrenti deducono che, in violazione degli articoli 4 e 17 del codice dei contratti pubblici, sarebbero stati stabiliti compensi irrisori e lesivi del decoro della professione di avvocato, in quanto commisurati al 60% della tariffa di cui al decreto ministeriale numero 55 del 2014; inoltre il regolamento prevederebbe una sorta di gara tra i professionisti iscritti nell’elenco, un confronto competitivo mediante offerte al ribasso su una base di partenza già irrisoria, in quanto commisurata al 60% della tariffa e quindi irragionevolmente compressa; sarebbe perfino previsto un tetto massimo per il compenso pari ad euro 35.000, aumentato ad euro 45.000 solo per il caso di opzione per tutti i tribunali del circondario, a fronte di un numero indeterminato di giudizi affidati; la misura del compenso quindi, non sarebbe adeguata all’importanza dell’opera o al decoro della professione; inoltre la gara tra i professionisti non sarebbe richiesta dal codice, trattandosi di servizi contemplati dall’articolo 17, per cui l’affidamento dei servizi legali non dovrebbe avvenire tramite un confronto economico competitivo; per giunta, di volta in volta, la scelta del professionista dovrebbe avvenire mediante selezione dei preventivi forniti da tre professionisti selezionati per ogni singolo incarico, in base al criterio del minor prezzo; ciò sarebbe in violazione dell’articolo 95 del codice che consente il criterio del minor prezzo solo per i servizi con caratteristiche standardizzate ovvero caratterizzati da elevata ripetitività.
Anche il 2º motivo è infondato.
Come correttamente eccepito dalla amministrazione resistente,
per effetto del superamento del sistema tariffario, nel nostro ordinamento i compensi delle attività forensi sono demandati ad accordi fra le parti.
Ne deriva che le tabelle allegate al decreto ministeriale numero 55 del 2014 non possono più essere elevate a parametro di legittimità dei compensi contrattualmente stabiliti.
Gli importi indicati nel decreto ministeriale numero 55 del 2014 per la liquidazione dei compensi agli avvocati in sede giudiziaria sono stati presi in considerazione dal regolamento impugnato come parametro di riferimento, ma il regolamento non prevede necessariamente la decurtazione del 60% lamentata dai ricorrenti.
In realtà il regolamento prevede un sistema complesso per la determinazione dei compensi, distinguendo gli incarichi relativi al contenzioso sulla riscossione, per i quali è previsto un compenso fisso, oltre spese generali e il contenzioso relativo ad altre materie per cui si prevede una determinazione tenendo conto del valore della lite, del grado di complessità dell’incarico e dell’importanza dell’opera.
Le tabelle evocate dai ricorrenti sono prese in considerazione, con possibilità di riduzione non superiore al 60%, ma anche di incremento, non superiore al 20%. Tale sistema di predeterminazione, in linea generale, dei compensi, non risulta adottato in violazione di alcuna legge, né appare palesemente irragionevole, tenendosi conto di parametri oggettivi quali il valore della lite e il grado di complessità della controversia.
Il fatto che sia poi prevista una procedura selettiva per l’affidamento del singolo incarico non configura una violazione del codice dei contratti pubblici che, come dedotto dai ricorrenti, esclude i servizi legali dalle procedure di affidamento dei contratti pubblici e, soprattutto, esclude che tali servizi possano essere affidati con il criterio del prezzo più basso.
In realtà il regolamento impugnato non prevede alcuna procedura competitiva al ribasso, limitandosi a prestabilire un criterio della scelta del singolo professionista cui affidare uno specifico incarico.
Il sistema adottato consiste nel sorteggio di una lettera da applicare all’ordine alfabetico in cui sono iscritti gli avvocati, procedendo quindi, in base a criteri di rotazione, all’affidamento degli incarichi.
Solo per il caso di incarichi legali particolarmente complessi e rilevanti il regolamento prevede un interpello fra tre avvocati iscritti nell’elenco acquisendo i rispettivi preventivi.
Invece, per il contenzioso della riscossione davanti a giudici di merito, considerato più semplice, gli incarichi vengano affidati direttamente con il criterio della rotazione, in modo che, quando un avvocato ha raggiunto il tetto massimo predefinito per il compenso, il successivo incarico viene conferito ad altro professionista.
Non si tratta, quindi, dell’affidamento del servizio legale tramite una gara al massimo ribasso, ma di una procedura oggettiva per scegliere, in casi particolari, il professionista cui affidare l’incarico in base al preventivo meno oneroso per l’amministrazione.
Con il 3º motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 50 del 2016 per essere stati stabiliti criteri di ammissione sproporzionati, tali da impedire l’accesso ai giovani professionisti, in violazione dell’articolo 1, comma 2, lettera D, della legge 247 del 2012, ostacolando la possibilità di iscrizione di avvocati competenti potenzialmente interessati; in violazione del principio della concorrenza sarebbero stati introdotti criteri di selezione discriminatori, di ostacolo e restrittivi alla predisposizione delle offerte; il fatturato globale minimo, il fatturato specifico, il numero minimo di questioni trattate sarebbero illegittimi avendo stabilito l’Autorità anticorruzione che, per consentire la partecipazione anche ai giovani professionisti, in alternativa al fatturato può essere richiesta altra documentazione idonea; nella fattispecie oltre il 90% degli avvocati iscritti alla cassa di previdenza e assistenza forense del 2016 non avrebbe un reddito medio sufficiente per assolvere il requisito di iscrizione; in particolare le donne e i giovani sarebbero discriminati percependo redditi inferiori alla media; il requisito alternativo dei 50 incarichi analoghi espletati non sarebbe sufficiente al contemperamento e anche il requisito dell’iscrizione nella sezione sul contenzioso del lavoro sarebbe irragionevole facendo riferimento a incarichi conferiti da soggetti con più di 1000 dipendenti; il requisito organizzativo della collaborazione di due avvocati e di una segreteria sarebbe illegittimo e irragionevole perché il compenso non sarebbe remunerativo se si dovesse sostenere il costo del lavoro dei collaboratori.
Il motivo è infondato.
Seppure è condivisibile la considerazione dei ricorrenti per cui i principi della contrattualistica pubblica esigono che sia rispettata la parità di trattamento tra tutti gli operatori economici e che non siano introdotti criteri di selezione discriminatori,
nella fattispecie non si è in presenza di requisiti di iscrizione alla lista eccessivamente restrittivi oppure irragionevoli.
Il regolamento, nell’introdurre quale requisito di iscrizione alla lista un determinato volume d’affari, non ha stabilito un criterio di selezione irragionevole, essendo riconducibile il volume d’affari di un avvocato all’attività professionale esercitata e all’esperienza maturata.
Il requisito non è neppure eccessivamente restrittivo, posto che è stato richiesto un volume d’affari complessivo di EUR 100.000 nel triennio, corrispondente a un fatturato annuo di circa EUR 33.000.
Si tratta di una soglia discrezionalmente stabilita dall’amministrazione resistente che comunque non appare sproporzionata rispetto ai compensi mediamente percepiti dagli avvocati di normale professionalità.

Si deve considerare, al riguardo, che volume d’affari è nozione diversa dal reddito, corrispondente alla differenza tra i ricavi e le spese, per cui anche con riferimento ai professionisti operanti nelle regioni meridionali, ai giovani e alle donne che mediamente percepiscono redditi meno elevati, le soglie di fatturato prescritte per l’iscrizione nella lista non possono essere ritenute incongrue.
Neppure i requisiti speciali prescritti per l’iscrizione appaiono sproporzionati, laddove viene richiesto un fatturato triennale di almeno EUR 50.000 in attività analoghe a quelle della sezione di contenzioso di interesse oppure, in alternativa e per la sola iscrizione nella sezione contenzioso sulla riscossione, lo svolgimento di almeno 50 incarichi nel triennio, requisiti corrispondenti a circa EUR 16.600 di fatturato specifico per anno e a 16 incarichi specifici per anno, numeri, questi ultimi, non esorbitanti per il contenzioso sulla riscossione generalmente contraddistinto da una certa serialità; per la iscrizione nella sezione sul contenzioso sul lavoro, il regolamento richiede lo svolgimento nell’ultimo anno solare di almeno 3 incarichi conferiti da organizzazioni con più di 1000 dipendenti; requisito di esperienza che risulta corrispondente alle speciali caratteristiche del contenzioso del lavoro di interesse di Equitalia, organizzazione complessa comprendente migliaia di dipendenti, per cui è necessario che la difesa in giudizio sia prestata da avvocati esperti nelle problematiche di gestione del rapporto di lavoro proprie delle organizzazioni complesse.
Quanto al requisito organizzativo, rappresentato da una struttura comprendente almeno altri due avvocati con la dotazione di una segreteria, si deve ritenere anche esso ragionevole e adeguato alle esigenze dell’amministrazione che deve poter contare su un servizio legale costantemente disponibile e reperibile, pena l’impossibilità di gestire efficacemente il contenzioso di cui si tratta.
...
Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto, per l’infondatezza di tutti i motivi di impugnazione dedotti.

novembre 2017

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Limiti spesa formazione.
Domanda
Vorrei iscrivermi ad uno dei vostri corsi di formazione programmati in quest’ultima parte dell’anno, è vero –come mi ha riferito qualche collega– che per il 2017 non sussistono più i limiti alla spesa per la formazione del personale dettati dall’art. 6 del d.l. 78/2010?
Risposta
La conversione in legge del d.l. 50/2017 ha introdotto una serie di agevolazioni con il fine dichiarato di stimolare gli enti locali al rispetto delle scadenze di legge dettate per l’approvazione dei documenti fondamentali della propria programmazione finanziaria.
Nel dettaglio, l’art. 21-bis del citato decreto ha previsto che, per l’anno 2017, ai comuni (e alle loro forme associative) che hanno approvato il rendiconto nei termini e che hanno rispettato nell’anno precedente i vincoli di finanza pubblica imposti dalla l. 243/2012, non si applicano alcune limitazioni previste dall'art. 6 d.l. 78/2010 e, in particolare, quelle riferite a:
   –
studi e incarichi di consulenza (comma 7);
   –
relazioni pubbliche, convegni, pubblicità e spese di rappresentanza (comma 8); restano invece soggette a limite le mostre;
   –
sponsorizzazioni (comma 9);
   –
spese per attività di formazione (comma 13).
Quanto al quesito, pertanto,
per l’anno in corso l’ente non è sottoposto ai limiti di spesa per la formazione del personale imposti dal d.l. 78/2010 qualora abbia rispettato la normativa sul Pareggio di Bilancio per l’anno 2016 e approvato il relativo rendiconto entro il 30.04.2017 (06.11.2017 - link a www.publika.it).
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RIEPILOGO
L'art. 21-bis decreto-legge 24.04.2017, n. 50, coordinato con la legge di conversione 21.06.2017, n. 96, così dispone:
Art. 21-bis. Semplificazioni
   1. Per l’anno 2017, ai comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il rendiconto 2016 entro il 30.04.2017 e che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243,
non si applicano le limitazioni e i vincoli di cui:
      a)
all’articolo 6, commi 7, 8, fatta eccezione delle spese per mostre, 9 e 13, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122;
      b)
all’articolo 27, comma 1, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
   2.
A decorrere dall’esercizio 2018 le disposizioni del comma 1 si applicano esclusivamente ai comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il bilancio preventivo dell’esercizio di riferimento entro il 31 dicembre dell’anno precedente e che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243.


In buona sostanza le limitazioni (temporaneamente) non applicabili sono quelle:
  
di cui alla precedente lett. a):
   7. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni,
a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
   8.
A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità. Al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e di efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni, a decorrere dal 1° luglio 2010 l'organizzazione di convegni, di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché da parte degli enti e delle strutture da esse vigilati è subordinata alla preventiva autorizzazione del Ministro competente. L'autorizzazione è rilasciata nei soli casi in cui non sia possibile limitarsi alla pubblicazione, sul sito internet istituzionale, di messaggi e discorsi ovvero non sia possibile l'utilizzo, per le medesime finalità, di video/audio conferenze da remoto, anche attraverso il sito internet istituzionale; in ogni caso gli eventi autorizzati, che non devono comportare aumento delle spese destinate in bilancio alle predette finalità, si devono svolgere al di fuori dall'orario di ufficio. Il personale che vi partecipa non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario ovvero indennità a qualsiasi titolo. Per le magistrature e le autorità indipendenti, fermo il rispetto dei limiti anzidetti, l'autorizzazione è rilasciata, per le magistrature, dai rispettivi organi di autogoverno e, per le autorità indipendenti, dall'organo di vertice. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, nonché, per il 2012, alle mostre autorizzate, nel limite di spesa complessivo di euro 40 milioni, nel rispetto dei limiti derivanti dalla legislazione vigente nonché dal patto di stabilità interno, dal Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto, ai soli fini finanziari, con il Ministero dell'economia e delle finanze.
   9.
A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
   (omissis)
   13.
A decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009
. Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente l'attività di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. La disposizione di cui al presente comma non si applica all'attività di formazione effettuata dalle Forze armate, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dalle Forze di Polizia tramite i propri organismi di formazione, nonché dalle università.
  
● di cui alla precedente lett. b):
Art. 27. Taglia-carta
   1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta,
dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche riducono del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.

   (omissis)

CONSIDERAZIONI
Ciò che più interessa l'UTC sono:
   - le spese per la formazione professionale (convegni, ecc.) e, soprattutto
   - le spese per studi ed incarichi di consulenza (di norma al legale).
E' di tutta evidenza che, comunque, l'incarico al legale esterno (per affari complessi) potrà essere legittimamente affidato solo dopo aver preliminarmente interpellato per iscritto il legale del comune (è cioè il Segretario Comunale ... se non non si vuole incorrere nella scure della Corte dei Conti) il quale, nella fattispecie, dovrà motivatamente per iscritto "dare forfait" all'interrogativo formulato dal Dirigente/P.O. (comunque, sono fatti salvi ed impregiudicati i numerosi limiti, da verificare di volta in volta e di cui darne conto nella determinazione dirigenziale di affidamento dell'incarico, individuati -sempre- dalla Corte dei Conti: si consulti, in proposito, l'apposito dossier INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI).
Invero, ricordiamo che l'art. 97 del D.Lgs. n. 267/2000 così recita:
CAPO II - Segretari comunali e provinciali
Art. 97. Ruolo e funzioni

   1. Il comune e la provincia hanno un segretario titolare dipendente dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, di cui all'articolo 102 e iscritto all'albo di cui all'articolo 98.
  
2. Il segretario comunale e provinciale svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
   3. Il sindaco e il presidente della provincia, ove si avvalgano della facoltà prevista dal comma 1 dell'articolo 108, contestualmente al provvedimento di nomina del direttore generale disciplinano, secondo l'ordinamento dell'ente e nel rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli, i rapporti tra il segretario ed il direttore generale.
   4. Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale. Il segretario inoltre:
a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;
b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
c) roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;
e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 comma 4.
   5. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, può prevedere un vicesegretario per coadiuvare il segretario e sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
   6. Il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali è disciplinato dai contratti collettivi ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni.

ottobre 2017

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarico di patrocinio legale e appalto di servizi.
  
A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs..
  
E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza.
(Criticità rilevate nell'operato del comune: - mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione; - omesso accertamento dell’impossibilità di svolgere l’incarico all’interno dell’ente; - ricorso all’affidamento diretto; - affidamento diretto di domiciliazioni legali.
Invio in procura di un incarico poiché affidato direttamente, senza previa ricognizione in merito alle professionalità interne, né motivazione circa le ragioni della scelta dell’incaricato).

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A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti, del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina dei principi summenzionati, conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere l’incarico (così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come
per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dal quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente motivato, sulla base di un criterio di rotazione
(ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che
già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale (C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che
è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6, del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale. A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia- Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione.
L’Ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, risponde ad un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche, anche in funzione di una stima appropriata delle coperture finanziarie.

Omesso accertamento dell’impossibilità di svolgere l’incarico all’interno dell’ente.
È onere dell’ente accertare, volta per volta, prima di affidare gli incarichi di patrocinio all’esterno, l’impossibilità da parte dei componenti dell’ufficio legale a svolgere gli stessi, allo scopo di evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile danno all’erario.
Una verifica di tale tipo è da considerarsi presupposto necessario per l’affidamento legittimo all’esterno di un incarico di patrocinio, anche qualora si consideri la scelta del libero professionista esterna come a carattere fiduciario, ed è indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi come appalti di servizi.

Ricorso all’affidamento diretto.
Gli affidamenti diretti di incarichi di patrocinio legale, operati dall’ente in analisi, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria di tali incarichi. La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza. Peraltro, gli incarichi esaminati a campione non contengono la motivazione in merito alle ragioni di fatto sottostanti la scelta.
In proposito,
è utile ricordare come anche il filone giurisprudenziale il quale, prima dell’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, riteneva legittimo l’affidamento degli incarichi di patrocinio legale sulla base di una scelta fiduciaria, puntualizzava comunque che “resta inteso che l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare (C. di S., Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730).
Affidamento diretto di domiciliazioni legali.
Poiché la domiciliazione è un incarico in cui il requisito dell’intuitus personae non è di particolare rilevanza, la scelta dell’affidatario non può ragionevolmente fondarsi sull’aspetto prettamente fiduciario, ma deve orientarsi su un altro criterio di selezione, in particolare il costo più basso ottenibile tramite una procedura comparativa.
Non è poi da sottovalutare che, con la digitalizzazione e l’informatizzazione del sistema giudiziario, la funzione di interlocuzione diretta con i differenti plessi giudiziari da parte dei legali della circoscrizione risulta meno rilevante che in passato.

Pertanto, l’ente è invitato, per il futuro, a valutare con la massima attenzione la convenienza di ricorrere a domiciliazioni legali.
Conclusioni.
Pur avendo l’Ente disciplinato i presupposti per l’affidamento degli incarichi di patrocinio legale all’esterno,
i provvedimenti di nomina del legale non contengono la necessaria motivazione in merito all’accertamento dell’impossibilità di svolgerli all’interno. L’importanza che rivestirebbe una verifica di tale natura è ancora più chiara se solo si considera l’elevato ammontare delle somme spese dal Comune per gli incarichi di patrocinio; nell’anno in analisi, infatti, sono stati assegnati patrocini legali all’esterno per un importo di 218.010,30 euro e riconosciuti debiti fuori bilancio, conseguenti all’esecuzione di incarichi di patrocinio legale, per un importo totale di 1.647.275,21 euro.
In merito alle spese legali sostenute dai dipendenti o dagli amministratori, in futuro l’ente dovrà subordinarne il rimborso ad una stima di congruità della parcella (o, nel caso di scelta concordata del legale, ad un’accettazione, da parte del Comune, del preventivo).

L’Ente locale in analisi ha proceduto all’affidamento diretto all’esterno di un incarico di patrocinio legale in favore dell’avv. M.G.D.G., per un importo di euro 17.363,53, senza avere motivato espressamente l’impossibilità a svolgerlo da parte dell’ufficio interno. Non ci si può esimere dal rilevare, inoltre, come nell’anno 2015 il citato avvocato sia stato affidatario diretto di 7 incarichi di patrocinio legale, per un importo complessivo di euro 86.088,60.
Peraltro,
il Comune non ha motivato le ragioni che lo hanno indotto a scegliere l’avvocato in questione, né dal succinto curriculum vitae dello stesso, trasmesso a questa Sezione dal Comune a seguito di richiesta istruttoria, emergono gli elementi che hanno determinato la scelta.
Per completezza si evidenzia come il provvedimento di nomina del legale, a parere di questa Sezione, motivi dettagliatamente la valutazione in merito alla congruità e alla convenienza del preventivo in ragione della circostanza che, nel determinare lo stesso, è stato applicato lo scaglione relativo alle cause di valore indeterminabile e, all’interno di detto scaglione, sono stati utilizzati parametri inferiori a quelli medi.
Da ultimo, il Collegio rileva come tra i debiti fuori bilancio riconosciuti dal Comune di Forlì nell’anno in analisi un importo pari a 1.166.594,88 euro sia riconducibile a compensi in favore dell’avv. M.G.D.G.. Per quanto sopra esposto, la Sezione
INVITA L’ENTE
al rispetto della normativa e dei principi richiamati nell’affidamento di incarichi legali;

INVITA L’ORGANO DI REVISIONE
a vigilare sulla legittimità dell’azione dell’Ente nell’affidamento di incarichi legali;

DISPONE
   - che la deliberazione sia trasmessa -mediante posta elettronica certificata– al Consiglio comunale del Comune di Forlì e al rispettivo Sindaco, nonché all’Organo di revisione;
   -
che copia della presente deliberazione sia trasmessa alla Procura della Corte dei conti per la Regione Emilia-Romagna, in relazione agli eventuali profili di danno conseguenti all’affidamento diretto dell’incarico di patrocinio legale all’avv. M.G.D.G., deliberato senza che vi sia stata una previa valutazione formalizzata in merito alla possibilità, da parte degli avvocati interni, di svolgere detti patrocini e in mancanza di una motivazione in merito alle ragioni di fatto sottostanti la scelta dell’incaricato (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 12.10.2017 n. 153).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarico di patrocinio legale e appalto di servizi.
  
A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs..
  
E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza.
(Criticità rilevate nell'operato del comune: - mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di consulenza legale nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione; - mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a disciplinare l’affidamento dei patrocini legali; - ricorso ad affidamento diretto - mancata pubblicità in merito all’intenzione di affidare l’incarico; - mancanza di una previa valutazione di congruità del preventivo).

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DIRITTO
A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso, la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza
(in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina dei principi summenzionati, conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere l’incarico
(così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III, nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come
per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dal quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerte.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente motivato, sulla base di un criterio di rotazione
(ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che
già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale (C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che
è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6, del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale. A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al questionario sui servizi legali, dai dati relativi agli incarichi affidati e dalla risposta alla richiesta istruttoria.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di consulenza legale nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione.
L’Ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio e di consulenza legale che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, sarebbe stata rispondente a un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche, anche in funzione di una stima appropriata delle coperture finanziarie.

Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a disciplinare l’affidamento dei patrocini legali
Il Comune di Budrio non ha regolamentato l’affidamento di patrocini legali all’esterno: una normativa finalizzata a disciplinare la materia è funzionale a un corretto agere amministrativo da porsi anche a presidio di un attento impiego delle risorse pubbliche.
La regolamentazione dovrà prevedere che gli incarichi di patrocinio vengano affidati, in via prioritaria, ai legali interni all’ente, ove presenti.

Ricorso ad affidamento diretto - Mancata pubblicità in merito all’intenzione di affidare l’incarico
L’attribuzione diretta di incarichi di patrocinio legale si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria, giurisprudenza oggi avvalorata dalle richiamate novità normative di cui al d.lgs. n. 50/2016. La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
Si rileva che l’Ente non ha dato pubblicità circa la propria intenzione di affidare all’esterno gli incarichi di patrocinio legale analizzati.
In proposito, la Sezione ritiene necessario evidenziare che l’espletamento di una procedura comparativa per l’assegnazione di incarichi esterni implica che l’avviso per la partecipazione sia adeguatamente pubblicizzato per un congruo periodo di tempo sul sito web istituzionale dell’ente
(art. 54, codice dell’amministrazione digitale, di cui al d.lgs. 07.03.2005, n. 82 e art. 32 della l. 18.06.2009, n. 69); tale periodo, secondo i precedenti di questa Sezione relativi, in generale, all’affidamento di incarichi professionali esterni, non dovrebbe avere durata inferiore a 15 giorni (ex multis, deliberazione n. 81/2016/REG, di questa Sezione).
Nello specifico sono state esaminate le determine di affidamento n. 235 dell’08.06.2015, n. 404 del 24.09.2015 e n. 321 del 28.07.2015, nelle quali si richiamano le corrispondenti delibere di Giunta comunale che autorizzano il Sindaco a resistere in giudizio e individuano il patrocinatore in via diretta in ragione dell’esperienza in materia.
Mancanza di una previa valutazione di congruità del preventivo
L’Ente, prima di procedere all’affidamento dell’incarico deve accertare la congruità del preventivo che, a tal fine, dovrebbe essere adeguatamente dettagliato anche sulla base degli eventuali scostamenti dai valori medi tabellari di cui al D.M. n. 55/2014. In ragione del principio di buon andamento ed economicità dell’azione pubblica, sarebbe altresì opportuno che i preventivi accolti presentassero decurtazioni rispetto al richiamato valore medio.
Detta valutazione è necessaria per garantire un’attenta e prudente gestione della spesa pubblica e deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il preventivo e l’importanza, nonché la delicatezza della vertenza. Peraltro, il generale principio di economicità dell’azione amministrativa è ora esplicitamente richiamato dall’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016.
Il Comune di Budrio, a seguito di una specifica richiesta istruttoria ha dichiarato che la valutazione di congruità dei preventivi non è stata formalizzata in un atto, pur affermando che “sono stati ritenuti congrui avendo a riferimento i parametri forensi, in relazione alla complessità e specificità delle materie oggetto dei diversi ricorsi”.
Al contrario la Sezione ritiene che
il doveroso rispetto dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa e di un dovuto riscontro della spendita delle risorse pubbliche implichi un vaglio motivato dell’importo dei preventivi presentati di cui vi sia necessario riferimento nell’atto di affidamento dell’incarico, riferimento invece totalmente pretermesso ad esempio nel provvedimento n. 321/2015 che pur impegna, sulla base delle delibera di affidamento n. 67/2015, il rilevante importo di euro 9.002,77 e nel provvedimento n. 404/2015 che impegna, sulla base della delibera di affidamento n. 84/2015, l’importo di euro 8.200,00 (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 12.10.2017 n. 150).

giugno 2017

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALISussiste l'onere d’immediata impugnazione del bando di gara pubblica per contestare clausole di loro impeditive dell'ammissione dell'interessato alla gara, o anche solo impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero che rendano ingiustificatamente più difficoltosa per i concorrenti la partecipazione alla gara.
In siffatti casi già la pubblicazione del bando genera una lesione della situazione giuridica per chi intenderebbe partecipare alla competizione ma non può farlo a causa della barriera all’ingresso a quello specifico mercato provocata da clausole del bando per lui insuperabili perché immediatamente escludenti o che assume irragionevoli o sproporzionate per eccesso; il che comporta per lui un arresto procedimentale perché gli si rendono inconfigurabili successivi atti applicativi utili.

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Il motivo, ritiene qui il Collegio, è infondato.
Vanno condivise le giuste considerazioni della sentenza di prime cure sull’onere di immediata impugnazione del bando di gara, che opera allorché –come nel caso presente- le clausole della lex specialis prevedano requisiti di partecipazione ex se ostativi all'ammissione dell'interessato, vale a dire autonomamente ed immediatamente escludenti.
La giurisprudenza da tempo assume che sussiste l'onere d’immediata impugnazione del bando di gara pubblica per contestare clausole di loro impeditive dell'ammissione dell'interessato alla gara, o anche solo impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero che rendano ingiustificatamente più difficoltosa per i concorrenti la partecipazione alla gara. In siffatti casi già la pubblicazione del bando genera una lesione della situazione giuridica per chi intenderebbe partecipare alla competizione ma non può farlo a causa della barriera all’ingresso a quello specifico mercato provocata da clausole del bando per lui insuperabili perché immediatamente escludenti o che assume irragionevoli o sproporzionate per eccesso; il che comporta per lui un arresto procedimentale perché gli si rendono inconfigurabili successivi atti applicativi utili (da ultimo Cons. Stato, V, 16.01.2015, n. 92; V, 20.11.2015, n. 5296; V, 06.06.2016 n. 2359).
Nella specie, una tale preclusione all’accesso alla contesa è costituita, per un avvocato –vale a dire, per un esercente la professione cui è per legge riservato il tipo giuridico della prestazione in gara di consulenza legale e che dunque è per ciò solo legittimato ad ambire all’aggiudicazione- dalla richiesta del requisito di un fatturato globale di ingenti entità, corrispondenti a non meno di € 20.000.000, iva esclusa, per consulenze strategico-organizzative e un fatturato per servizi legali nel diritto amministrativo non inferiore a €. 2.000.000,00, iva esclusa, di cui almeno €. 1.000.000,00 conseguiti per prestazioni di assistenza e di consulenza stragiudiziale legale in materia di contratti pubblici all’interno di tre esercizi finanziari ed un oggetto di gara.
Sulla base di siffatti livelli economici –di dimensioni tali da superare una proporzione che sia indice di qualità professionale- la sommatoria delle pregresse prestazioni richieste restringe effettivamente la platea dei concorrenti a un numero limitatissimo: sicché l’effetto di sbarramento del mercato con conseguente onere di immediata impugnazione diviene palese; la presentazione della domanda di partecipazione avrebbe avuto solo un carattere formale e dunque non necessario a radicare il bisogno di giustizia (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.06.2017 n. 3110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2017

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla illegittimità di un appalto di servizi legali indetto da un Comune secondo il criterio del prezzo più basso e sulle modalità con cui l’amministrazione comunale ha determinato l’importo dell’appalto.
Il D.Lgs. n. 50/2016 e, prima ancora, la direttiva 2014/24/UE, ha segnato una netta preferenza per l’applicazione di criteri di aggiudicazione che si fondino su un complessivo apprezzamento del miglior rapporto qualità/prezzo, relegando il tradizionale criterio del prezzo più basso ad ipotesi tassativamente individuate.
Conseguentemente, il criterio di aggiudicazione fondato sul rapporto qualità/prezzo costituisce un principio immanente al sistema che consente l’applicazione del prezzo più basso solo nei casi espressamente previsti.

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In tale prospettiva,
il criterio qualità/prezzo è certamente più agevolmente coniugabile (rispetto al criterio del massimo ribasso) con il disposto dell’art. 2233, 2° comma, cod. civ., che –nel disciplinare il contratto d’opera intellettuale, cui è pur sempre riconducibile l’attività legale– dispone che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
Le considerazioni innanzi svolte dimostrano le ragioni dell’illegittimità della scelta dell’amministrazione comunale di procedere con il criterio del prezzo più basso, atteso che esso non è compatibile con le disposizioni dell’art. 95 del codice –come si è detto, per più motivi applicabile all’appalto per cui è causa– poiché il legislatore ne ha reso possibile l’applicazione solo in presenza di prestazioni ripetitive ovvero standardizzate, connotati questi che certo non possono ritenersi propri della attività legale che si caratterizza, invece, proprio per la peculiarità e specificità di ciascuna questione, sia essa contenziosa o stragiudiziale.

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I servizi esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice, quale quello in esame, sono comunque soggetti ai “principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” ex art. 4 Codice.
L’applicazione dei principi di trasparenza e di pubblicità richiedono che ogni potenziale offerente sia messo in condizione di essere a conoscenza di tutte le informazioni necessarie all’appalto in modo tale da consentire un’offerta completa ed adeguata.

Nel caso in esame, l’amministrazione comunale ha omesso del tutto l’applicazione di questi principi. Infatti,
nessuna motivazione è stata data in ordine alla congruità del compenso posto a base di gara, e non è stata effettuata alcuna istruttoria per determinare i parametri, quali la tipologia o quantità del contenzioso anche prendendo in considerazione gli anni precedenti, idonei per determinare il prezzo posto a base di gara e per permettere un’offerta consapevole.
Infatti, l’impossibilità di predeterminare il numero e gli importi dei procedimenti contenziosi, nonché la qualità e quantità dell’attività stragiudiziale, preclude qualsiasi serio apprezzamento della congruità dell’importo a base d’asta che, almeno teoricamente, l’amministrazione avrebbe potuto confortare ove avesse fornito dati statistici desunti dall’attività svolta negli anni precedenti.
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FATTO
I ricorrenti hanno impugnato gli atti con cui il comune di Racale ha indetto una gara, per l’affidamento della gestione del contenzioso e del supporto giuridico-legale ai vari uffici, e la successiva aggiudicazione provvisoria.
I ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi:
   1. Violazione art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001; eccesso di potere per falsa applicazione del d.lgs. 50/2016; eccesso di potere per carenza di istruttoria.
   2. Violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. 50/2016; eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifeste.
   3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 95 e 83 del d.lgs. 50/2016; eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza manifeste; carenza di istruttoria.
   4. Violazione di legge; violazione d.lgs. 50/2016 e, in particolare, degli artt. 3 e 95, comma 2; violazione del d.m. 55/2014; violazione dell’art. 2233, comma 2, c.c.; violazione dei principi i tema di appalto a corpo e di indeterminatezza dell’oggetto.
   5. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 17, 4, 60 e 95, del d.lgs. 50/2016; violazione dei principi generali in materia di organizzazione e struttura dei servizi comunali, anche di cui al d.lgs. 267/2000; violazione degli artt. 18, 19 e 23 della l. 247/2012; violazione dei principi generali in tema di obbligo di svolgimento del concorso pubblico; falsa ed erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 7, comma 6, 6-bis, 6-ter e 6-quater del d.lgs. 165/2001, dell’art. 110, comma 6, del d.lgs. 267/2000, dell’art. 2222 e ss. c.c. e dell’art., comma 56, della l. 244/2007, in considerazione anche del d.l. 112/2008; assoluta carenza motivazionale; violazione di legge; sviamento di potere.
Sostengono i ricorrenti:
   - che la prestazione professionale prevista dal bando non rientra nell’ambito di applicazione del d.lgs. 50/2016, ma deve ritenersi regolata dagli artt. 7 e 8 del d.lgs. 165/2001;
   - che la prestazione di rappresentanza legale non rientra nell’ambito dell’appalto;
che comunque, anche a voler ammettere l’appalto di servizi legali, non è possibile affidare questi servizi con il criterio del massimo ribasso e senza idonei criteri di selezione;
   - che, in ragione dell’importo a base d’asta, l’affidamento del servizio, essendo sottosoglia, risulta disciplinato dall’art. 95 del Codice che ammette il criterio del minor prezzo solo per i servizi con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato; che non sono stati indicati idonei criteri di selezione;
   - che sussiste una carenza di istruttoria in ordine alla determinazione dell’importo del prezzo base su cui operare il ribasso;
   - che si tratta di un contratto a misura e non a corpo;
   - che il prezzo previsto è violativo dell’art. 2233, comma 2, c.c.;
   - che, in ragione delle modalità di svolgimento del servizio richiesto, si è, in sostanza, acquisita senza concorso la disponibilità di prestazioni professionali assimilabili a quelle del lavoro dipendente;
   - che ciò integra una ulteriore illegittimità sotto il profilo dell’incompatibilità con il regime proprio dell’attività dell’avvocato esercente la libera professione.
I ricorrenti hanno poi chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla questione se la direttiva 2014/24/UE osti a una disciplina nazionale che preveda la possibilità di indire una procedura a evidenza pubblica per l’affidamento di un appalto di servizi legali.
Il Comune, con memoria del 16.01.2017, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso collettivo per la disomogeneità delle posizioni sostanziali vantate dai ricorrenti, nonché per difetto di legittimazione a ricorrere in capo alle varie categorie di ricorrenti, e l’irricevibilità del ricorso.
Nel merito ha rilevato:
   - che con l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti non si può più applicare l’art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001;
   - che il nuovo codice chiarisce che lo svolgimento di attività giuridico-legale in favore delle amministrazioni configura un appalto di servizi;
   - che le amministrazioni possono scegliere di avviare una vera e propria procedura di gara;
   - che nessuna norma preclude l’utilizzo del criterio del massimo ribasso;
   - che l’art. 95 del codice non può applicarsi al caso in esame posto che è uno dei servizi per i quali trovano applicazione solo gli artt. 140, 142, 143 e 144;
   - che nessuna disposizione impone alla stazione appaltante di prevedere speciali criteri di qualificazione;
   - che alla procedura hanno partecipato 17 professionisti con la conseguenza che il prezzo determinato non può ritenersi incongruo;
   - che le tariffe professionali sono state abrogate; che il Comune non ha assunto alcun nuovo dipendente.
Con ordinanza 19.01.2017 n. 21 è stata accolta la richiesta misura cautelare.
Le parti hanno depositato ulteriori memorie.
Alla pubblica udienza del 29.03.2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
...
2. Nel merito.
2.1. Infondato è il motivo di ricorso con cui si contesta l’applicazione alla tipologia di servizi in questione della disciplina del d.lgs. 50/2016.
Il nuovo codice dei contratti, che, per quanto qui interessa, ha fedelmente recepito le direttive comunitarie, ha mantenuto i servizi legali tra gli appalti elencati nell’allegato IX, cui si applica il regime “alleggerito” ex artt. 140 e ss., mentre all’art. 17 sono elencati tra gli appalti esclusi dall’applicazione del codice quelli di servizi concernenti cinque tipologie di servizi legali tra cui, per quanto qui interessa, quelli di “rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n. 31, e successive modificazioni”.
Nel caso di specie, è pacifico che il bando aveva ad oggetto sia l’affidamento relativo all’attività contenziosa, rientrante nel citato art. 17, sia l’affidamento di attività stragiudiziale rientrante negli appalti di servizi di cui al citato allegato IX.
Quest’ultima, soprattutto quando ha carattere generale, deve essere affidata nel rispetto delle previsioni del codice dei contratti.
Nel caso in esame non è possibile apprezzare se risulti prevalente
l’attività contenziosa (il cui affidamento è sottratto al codice dei contratti) o quella stragiudiziale (da affidare nel rispetto del codice dei contratti e delle altre norme dell’ordinamento applicabili) e, a ben vedere, non è neanche necessario tale accertamento poiché l’amministrazione ha inteso operare un unico affidamento sia per il contenzioso sia per l’attività stragiudiziale, di talché una siffatta scelta non poteva che comportare la necessità della procedura ad evidenza pubblica, quale che fosse l’estensione e il “peso” delle attività stragiudiziali, pena, altrimenti, la violazione delle norme che ne regolano l’affidamento. Peraltro, la ordinaria sottrazione dell’affidamento del contenzioso alle procedure del codice dei contratti non preclude certo all’amministrazione di far ricorso ad esse per propria scelta, non risultando rinvenibile un divieto in tal senso.
Va da sé che
la decisione di operare un unico affidamento –sia del contenzioso sia dell’attività stragiudiziale– impone, come innanzi già esposto, il rispetto delle norme del codice dei contratti pubblici e delle altre disposizioni dell’ordinamento.
Di qui l’insussistenza dei presupposti per una rimessione della questione alla Corte di Giustizia.
2.2. Ciò premesso,
al fine di individuare, per quanto in questa sede necessario, le disposizioni applicabili all’affidamento dei servizi legali, occorre rammentare che, oltre agli artt. 140, 142, 143 e 144, trova applicazione all’appalto de quo anche l’art. 95 d.lgs. 50/2016 –concernente i criteri di aggiudicazione- come rilevato da una condivisibile giurisprudenza, “in virtù dell'esplicito rinvio operato, per tutti gli appalti dei settori speciali, dall'art. 133, I comma, dello stesso Codice (applicabile anche ai servizi specifici di cui all'Allegato IX, per effetto della previsione dell'art. 114, I comma, il quale estende in via generale l'applicabilità della disciplina del Titolo VI - Capo I del Codice, ivi compreso l'art. 133 e le norme da quest'ultimo richiamate, anche ai servizi elencati nell'Allegato IX e menzionati nell'art. 140, I comma) (Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 30.11.2016, n. 1186).
L’art. 95 codice dei contratti pubblici, prevede che “
salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici, le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono all'aggiudicazione degli appalti e all'affidamento dei concorsi di progettazione e dei concorsi di idee, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all'articolo 96” (comma 2).
Per il comma 4 “
Può essere utilizzato il criterio del minor prezzo:
   a) per i lavori di importo pari o inferiore a 1.000.000 di euro, tenuto conto che la rispondenza ai requisiti di qualità è garantita dall'obbligo che la procedura di gara avvenga sulla base del progetto esecutivo;
   b) per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato;
   c) per i servizi e le forniture di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 35, caratterizzati da elevata ripetitività, fatta eccezione per quelli di notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo
”.
Il D.Lgs. n. 50/2016 e, prima ancora, la direttiva 2014/24/UE, ha segnato una netta preferenza per l’applicazione di criteri di aggiudicazione che si fondino su un complessivo apprezzamento del miglior rapporto qualità/prezzo, relegando il tradizionale criterio del prezzo più basso ad ipotesi tassativamente individuate. Conseguentemente, il criterio di aggiudicazione fondato sul rapporto qualità/prezzo costituisce un principio immanente al sistema che consente l’applicazione del prezzo più basso solo nei casi espressamente previsti.
In tale prospettiva,
il criterio qualità/prezzo è certamente più agevolmente coniugabile (rispetto al criterio del massimo ribasso) con il disposto dell’art. 2233, 2° comma, cod. civ., che –nel disciplinare il contratto d’opera intellettuale, cui è pur sempre riconducibile l’attività legale– dispone che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
Le considerazioni innanzi svolte dimostrano –conformemente alle deduzioni ricorsuali- le ragioni dell’illegittimità della scelta dell’amministrazione comunale di procedere con il criterio del prezzo più basso, atteso che esso non è compatibile con le disposizioni dell’art. 95 del codice –come si è detto, per più motivi applicabile all’appalto per cui è causa– poiché il legislatore ne ha reso possibile l’applicazione solo in presenza di prestazioni ripetitive ovvero standardizzate, connotati questi che certo non possono ritenersi propri della attività legale che si caratterizza, invece, proprio per la peculiarità e specificità di ciascuna questione, sia essa contenziosa o stragiudiziale.
2.3. È inoltre fondato il motivo con cui si contestano le modalità con cui l’amministrazione comunale ha determinato l’importo dell’appalto.
I servizi esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice, quale quello in esame, sono comunque soggetti ai “principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” ex art. 4 Codice.
L’applicazione dei principi di trasparenza e di pubblicità richiedono che ogni potenziale offerente sia messo in condizione di essere a conoscenza di tutte le informazioni necessarie all’appalto in modo tale da consentire un’offerta completa ed adeguata.

Nel caso in esame, l’amministrazione comunale ha omesso del tutto l’applicazione di questi principi.
Infatti,
nessuna motivazione è stata data in ordine alla congruità del compenso posto a base di gara, e non è stata effettuata alcuna istruttoria per determinare i parametri, quali la tipologia o quantità del contenzioso anche prendendo in considerazione gli anni precedenti, idonei per determinare il prezzo posto a base di gara e per permettere un’offerta consapevole.
Infatti, l’impossibilità di predeterminare il numero e gli importi dei procedimenti contenziosi, nonché la qualità e quantità dell’attività stragiudiziale, preclude qualsiasi serio apprezzamento della congruità dell’importo a base d’asta che, almeno teoricamente, l’amministrazione avrebbe potuto confortare ove avesse fornito dati statistici desunti dall’attività svolta negli anni precedenti.

3 In conclusione, il ricorso, previa dichiarazione di inammissibilità dello stesso per difetto di legittimazione attiva nei confronti dell’Ordine degli Avvocati, va accolto, nei termini innanzi indicati, con assorbimento delle censure non esaminate (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 31.05.2017 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2017

INCARICHI PROFESSIONALI: Illegittima la scelta fiduciaria del legale esterno.
Con la deliberazione 26.04.2017 n. 75 (Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 - Comune di Faenza (Ra). A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza. Criticità: mancato inserimento degli incarichi di patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere l'incarico all'interno dell'ente; conferimento di un elevato numero di patrocini in relazione al numero di legali in forza all'Ufficio legale interno; ricorso all'affidamento diretto; ricorso alla transazione senza previa acquisizione del parere da parte dell'Organo di revisione contabile) la Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, vaglia l'operato di un Comune sotto il profilo dell'organizzazione e del funzionamento dell'ufficio legale, ponendo in rilievo una serie di criticità sia nella gestione dei servizi legali e di patrocinio, sia nella scelta dei professionisti esterni incaricati (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 03.05.2017).
Le censure della Corte
Dopo un'accurata analisi delle procedure dell'ente locale, i giudici contabili formulano le seguenti censure:
   a) mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione;
   b) mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a disciplinare l'affidamento dei patrocini legali e omesso accertamento dell'impossibilità di svolgerli all'interno dell'ente;
   c) conferimento di un elevato numero di patrocini e di incarichi esterni, anche in relazione al numero dei legali in forza all'ufficio interno;
   d) ricorso ingiustificato all'affidamento diretto degli incarichi, in contrasto con la giurisprudenza consolidata della magistratura contabile.
Tali conclusioni presuppongono una chiave di lettura estremamente rigorosa, che si può rintracciare nel percorso logico seguito dal collegio nell'affrontare la questione.
La disciplina sugli incarichi
La Sezione osserva che la disciplina da applicarsi agli incarichi di patrocinio legale deve essere rivista alla luce del Dlgs 18.04.2016 n. 50 (codice dei contratti), per il fatto che quest'ultimo, in aderenza ai principi del diritto comunitario, accoglie una nozione molto ampia dell'appalto di servizi, entro cui non può che rientrare ogni incarico di patrocinio legale.
Di conseguenza, l'affidamento di tali incarichi deve perciò avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
Questo assunto non era stato finora espresso in termini così chiari dato che la giurisprudenza contabile, a partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19 della Sezione Basilicata, ha per anni considerato l'incarico di patrocinio legale come un contratto d'opera intellettuale regolato dall'articolo 2230 del codice civile, e nel contempo non disciplinato al pari di un incarico esterno ex articolo 7, comma 6 e seguenti, del Dlgs 165/2001, in quanto conferito per adempimenti obbligatori ex lege.
Il cambio di rotta
Questo orientamento ha talora favorito la prassi di scegliere legali esterni secondo ragioni di carattere fiduciario, prassi che oggi non può trovare giustificazione, se non in casi isolati.
La Sezione Emilia Romagna rileva sul punto che ove ricorrano «ragioni di urgenza, dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia dell'ente conferente, tali da non consentire l'espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un criterio di rotazione».
In vista di tale evenienza, la Pa deve comunque istituire elenchi di operatori qualificati, in modo che l'affidatario venga individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi.
Si tratta, in ogni caso, della classica eccezione che conferma la regola, da identificarsi nella necessità di avviare una procedura comparativa per la scelta del legale esterno.
A conferma di ciò, il collegio evoca la recente sentenza 06.02.2017 n. 334 con cui il Tar Sicilia-Palermo, Sezione III, nel trattare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti, ha rimarcato come per tale appalto «debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente».
Il collegio accoglie queste indicazioni, ritenendo che esse rappresentino un passaggio obbligato per assicurare il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, con l'effetto che deve ritenersi precluso agli enti locali qualsiasi margine di discrezionalità in materia (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 08.05.2017).

INCARICHI PROFESSIONALI: Anche il patrocinio legale «singolo» è un appalto di servizi.
Anche il singolo incarico di patrocinio legale deve essere inquadrato come appalto di servizi, soggetto ai principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza, ed è vietato procedere all'affidamento diretto sulla base del carattere fiduciario della scelta.

Con la deliberazione 26.04.2017 n. 73 (Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 - Comune di Ravenna (FC). A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza. Criticità: ricorso a domiciliazioni legali; violazione dei principi sul rimborso delle spese legali), deliberazione 26.04.2017 n. 74 (Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 - Comune di Cesena (FC). A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza.Criticità: mancato inserimento degli incarichi di patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere l'incarico all'interno dell'ente; ricorso all'affidamento diretto; mancata previa valutazione di congruità del preventivo; avventato ricorso a domiciliazioni legali) e deliberazione 26.04.2017 n. 75 (Relazione sui servizi legali attribuiti nel 2015 - Comune di Faenza (Ra). A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale dev'essere inquadrato come appalto di servizi, affidato nel rispetto dei principi di cui all'art. 4 del citato d.lgs. E' legittima la redazione di elenchi di operatori qualificati articolati in settori di competenza. Criticità: mancato inserimento degli incarichi di patrocinio in un atto di programmazione; mancata adozione di un regolamento a disciplinare l'affidamento dei patrocini e omesso accertamento dell'impossibilità di svolgere l'incarico all'interno dell'ente; conferimento di un elevato numero di patrocini in relazione al numero di legali in forza all'Ufficio legale interno; ricorso all'affidamento diretto; ricorso alla transazione senza previa acquisizione del parere da parte dell'Organo di revisione contabile) -relative alle relazioni sui servizi legali di alcuni capoluogo di provincia- la Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per l'Emilia Romagna chiarisce le corrette modalità per l'affidamento degli incarichi legali.
Tali indicazioni si aggiungono così a quelle proposte dall'Anac con lo schema di atto di regolamento sull'affidamento dei servizi legali, sottoposto a consultazione nei giorni scorsi. L'analisi dei magistrati parte dalla considerazione che con l'entrata in vigore del Dlgs 50/2016, anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi, soggetto all'applicazione del codice di contratti pubblici.
Ciò, sulla base del disposto di cui all'articolo 17, che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento. L'applicazione, anche al singolo patrocinio, della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma dunque l'impossibilità di considerare la scelta dell'avvocato esterno all'ente come connotata da carattere fiduciario.
L’elenco di operatori qualificati
Per la scelta del professionista, l'ente potrebbe avvalersi di un elenco di operatori qualificati, da individuare con procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta. Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto dell'importanza della causa e del compenso prevedibile.
È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti. In quest'ultimo punto i giudici contabili si discostano dall' Anac che sembra invece ammettere la previsione di un numero massimo di iscritti.
Quando l’affidamento diretto
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza, dettagliatamente giustificate e non derivanti da un'inerzia dell'ente conferente, tali da non consentire l'espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l'affidatario dev'essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Inserimento nel Dup
L'adozione di criteri di buon andamento e corretta gestione delle risorse pubbliche impone poi l'inserimento nel Dup, o in altro atto di programmazione, degli incarichi di patrocinio, la cui regolamentazione deve essere in ogni caso prevista dall'ente. Secondo i magistrati l'affidamento degli incarichi di patrocinio dovrebbe avvenire, in via preferenziale, in favore degli avvocati interni all'ente. Per questo, occorrerebbe procedimentalizzare l'accertamento, preliminare rispetto all'affidamento di ciascun incarico, dell'effettiva impossibilità per i legali dipendenti dall'ente di assumere l'incarico.
In mancanza di una disciplina specifica, è comunque onere dell'ente accertare, volta per volta, prima di affidare gli incarichi di patrocinio all'esterno, l'impossibilità da parte dei componenti dell'ufficio legale a svolgere tale incarico, allo scopo di evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile danno all'erario. Un accertamento di tale tipo è da considerarsi presupposto necessario per l'affidamento legittimo all'esterno di un patrocinio ed è indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi come appalti di servizi.
La mera indicazione, nella deliberazione di giunta «preso atto della impossibilità da parte dell'avvocatura comunale di assumere la difesa per effetto del pensionamento del Capo Servizio contenzioso» non è infatti sufficiente ad integrare detto accertamento. La presenza di un ufficio legale interno all'ente cui sia istituzionalmente demandata la competenza in materia di difesa in giudizio ed assistenza giuridica, implica che l'affidamento delle summenzionate attività a un soggetto esterno debba rappresentare un'eccezione rispetto ad un ordinario assetto delle attribuzioni.
Fra le criticità evidenziate, in tema di domiciliazione legale, i giudici contabili asseriscono che in questo caso l'intuitus personae non è di particolare rilevanza, pertanto la scelta dell'affidatario non può ragionevolmente fondarsi sull'aspetto prettamente fiduciario, ma deve orientarsi sul costo più basso ottenibile tramite una procedura comparativa. Risulta infatti meno rilevante, grazie all'utilizzo della pec, la funzione di interlocuzione diretta con le cancellerie da parte dei legali della circoscrizione.
Il parere dell'organo di revisione sulle delibere di giunta
Infine, la Corte affronta il tema del parere dell'organo di revisione sulle delibere di giunta aventi ad oggetto transazioni. Pur riconoscendo che la giurisprudenza prevalente esclude il parere dell'organo di revisione contabile sulle transazioni di competenza dell'organo esecutivo, i magistrati ritengono comunque utile segnalare l'opportunità, da parte dell'ente pubblico, di chiedere un parere all'organo di revisione anche in riferimento a transazioni non di competenza del consiglio, ove le stesse siano di particolare rilievo, o relative a controversie di notevole entità (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 03.05.2017).

ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROFESSIONALI: Criticità rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente, di incarichi legali.
L’affidamento diretto di incarichi di patrocinio legale, operati dall’ente, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
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L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.

L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche.
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Pur costituendo la transazione uno strumento che si presta ad abusi, la giurisprudenza della Corte dei conti è ormai consolidata nel ritenere pienamente ammissibile il ricorso a tale strumento, ove risulti conveniente per l’Amministrazione, anche in riferimento a fattispecie rispetto alle quali non sia legislativamente previsto il tentativo obbligatorio di mediazione.
Occorre tuttavia la massima prudenza da parte dell’ente, nonché una dettagliata motivazione che dia conto del percorso logico seguito per giungere alla definizione transattiva della controversia, anche sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso.

La deliberazione di Giunta di autorizzazione alla conclusione della transazione, nella fattispecie, non ha conseguito (richiesto) il parere dell’Organo di revisione.
La Sezione è a conoscenza dei precedenti giurisprudenziali che hanno ritenuto obbligatoria l’acquisizione di detto parere solo nel caso in cui costituisca atto di un procedimento che deve concludersi con una delibera del Consiglio.
Si ritiene comunque utile segnalare l’opportunità, da parte dell’ente pubblico, di chiedere un parere all’Organo di revisione anche in riferimento a transazioni non di competenza del Consiglio, ove le stesse siano di particolare rilievo, o relative a controversie di notevole entità.
Ovviamente
in detti casi, qualora non siano state previamente ampliate in via regolamentare le funzioni dei revisori, ai sensi dell’art. 239, comma 6, del tuel (ampliamento che è rimesso alla discrezionale potestà dell’ente locale, ma che sarebbe utile) non vi è l’obbligo da parte dell’Organo di controllo interno di rendere il parere.
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testo deliberazione
A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso,
la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità, e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto molto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere l’incarico
(così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III,
nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con il Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP, ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione, che
nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza, dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che
già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale (C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale.
Ad esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche.
Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a disciplinare l’affidamento dei patrocini legali e omesso accertamento dell’impossibilità di svolgerli all’interno dell’ente
L’ente in analisi ha considerato gli incarichi di patrocinio legale come esclusi dalla disciplina che ha dettato per l’affidamento degli incarichi professionali esterni. Tuttavia, non ha regolamentato in alcun modo l’affidamento di patrocini legali all’esterno: una normativa finalizzata a disciplinare la materia sarebbe in realtà opportuna e dovrebbe tra l’altro prevedere che l’affidamento degli incarichi di patrocinio avvenga, in via preferenziale, in favore degli avvocati interni all’ente.
Essa dovrebbe, inoltre, procedimentalizzare l’accertamento, preliminare rispetto all’affidamento di ciascun incarico, dell’effettiva impossibilità per i legali dipendenti dall’ente di assumere l’incarico. In mancanza di una disciplina specifica, è comunque onere dell’ente accertare, volta per volta, prima di affidare gli incarichi di patrocinio all’esterno, l’impossibilità da parte dei componenti dell’ufficio legale a svolgere gli stessi, allo scopo di evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile danno all’erario.
Un accertamento di tale tipo è da considerarsi presupposto necessario per l’affidamento legittimo all’esterno di un incarico di patrocinio ed è indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi come appalti di servizi. La mera indicazione, nella deliberazione di Giunta “preso atto della impossibilità da parte dell’avvocatura comunale di assumere la difesa per effetto del pensionamento del Capo Servizio contenzioso” non è sufficiente a integrare detto accertamento, soprattutto se si considera che solo 5 patrocini sono stati affidati nel corso dell’anno all’Ufficio legale.
Conferimento di un elevato numero di patrocini e di incarichi esterni, anche in relazione al numero dei legali in forza all’Ufficio interno
La presenza di un ufficio legale interno all’ente cui sia istituzionalmente demandata la competenza in materia di difesa in giudizio ed assistenza giuridica, implica che l’affidamento delle summenzionate attività a un soggetto esterno debba rappresentare un’eccezione rispetto ad un ordinario assetto delle attribuzioni e, anche in ragione del principio di buon andamento ed economicità dell’agere pubblico, debba rispondere ad un criterio di stretta necessità congruamente motivata.
Si ritiene che il Comune debba valutare l’opportunità di effettuare uno studio, allo scopo di verificare la possibilità di economicizzare la propria azione, utilizzando meglio i propri legali.
Ricorso all’affidamento diretto
L’affidamento diretto di incarichi di patrocinio legale, operati dall’ente in analisi, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.

Ricorso alla transazione
Pur costituendo la transazione uno strumento che si presta ad abusi, la giurisprudenza della Corte dei conti è ormai consolidata nel ritenere pienamente ammissibile il ricorso a tale strumento, ove risulti conveniente per l’Amministrazione, anche in riferimento a fattispecie rispetto alle quali non sia legislativamente previsto il tentativo obbligatorio di mediazione.
Occorre tuttavia la massima prudenza da parte dell’ente, nonché una dettagliata motivazione che dia conto del percorso logico seguito per giungere alla definizione transattiva della controversia, anche sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso.

La deliberazione di Giunta di autorizzazione alla conclusione della transazione descritta nella parte in fatto della presente deliberazione, reca il parere dell’avvocatura interna, che è integrato nel parere di regolarità tecnica. Tuttavia, non è stato richiesto il parere dell’Organo di revisione.
La Sezione è a conoscenza dei precedenti giurisprudenziali che hanno ritenuto obbligatoria l’acquisizione di detto parere solo nel caso in cui costituisca atto di un procedimento che deve concludersi con una delibera del Consiglio (Sez. regionale di controllo per il Piemonte, parere 26.09.2013 n. 345 e Sez. regionale di controllo per la Puglia, parere 28.11.2013 n. 181), pertanto tale mancata richiesta non sembra viziare l’atto.
Si ritiene comunque utile segnalare l’opportunità, da parte dell’ente pubblico, di chiedere un parere all’Organo di revisione anche in riferimento a transazioni non di competenza del Consiglio, ove le stesse siano di particolare rilievo, o relative a controversie di notevole entità.
Ovviamente
in detti casi, qualora non siano state previamente ampliate in via regolamentare le funzioni dei revisori, ai sensi dell’art. 239, comma 6, del tuel (ampliamento che è rimesso alla discrezionale potestà dell’ente locale, ma che sarebbe utile) non vi è l’obbligo da parte dell’Organo di controllo interno di rendere il parere (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 26.04.2017 n. 75).

INCARICHI PROFESSIONALI: Criticità rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente, di incarichi legali.
L’affidamento diretto di un incarico di patrocinio legale, operato dall’ente, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.
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L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP
, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche.
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L’ente, prima di procedere all’affidamento dell’incarico non ha accertato la congruità del preventivo, il quale, a tal fine, dovrebbe essere adeguatamente dettagliato anche sulla base degli eventuali scostamenti dai valori medi tabellari di cui al D.M. n. 55/2014.
A tal fine in ragione del principio di buon andamento ed economicità dell’azione pubblica, sarebbe altresì opportuno che i preventivi accolti presentassero decurtazioni rispetto al richiamato valore medio.
Detta valutazione è necessaria per garantire un’attenta e prudente gestione della spesa pubblica e deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il preventivo e l’importanza, nonché la delicatezza della causa. Il responsabile del procedimento, successivamente, ogni anno deve chiedere al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l’impegno originario, in modo da assicurare la copertura della spesa.
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testo deliberazione
A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso,
la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale sembra dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto molto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità .
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere l’incarico
(così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III,
nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP, ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione,
che nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza, e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza, dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).
Si precisa, altresì, che già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale
(C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale. A esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente all’esterno.
Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio nel documento unico di programmazione o in altro atto di programmazione
L’ente non ha inserito nel DUP o in altro atto di programmazione gli incarichi di patrocinio che prevedibilmente sarebbero stati conferiti nell’anno di riferimento, specificandone tipologie e costi.
L’inclusione delle summenzionate previsioni in un atto di programmazione, pur non rientrando nel contenuto necessario del DUP
, come puntualizzato dal d.lgs. n. 118/2011, allegato n. 4/1, risponderebbe ad un criterio di buon andamento e di corretta gestione delle risorse pubbliche.
Mancata adozione di norme regolamentari finalizzate a disciplinare l’affidamento dei patrocini legali ed omesso accertamento dell’impossibilità di svolgere l’incarico all’interno dell’ente
Il Comune di Cesena ha considerato gli incarichi di patrocinio legale come esclusi dalla disciplina che ha dettato per l’affidamento degli incarichi professionali esterni. Tuttavia, non ha regolamentato l’affidamento di patrocini legali all’esterno: una normativa finalizzata a disciplinare la materia sarebbe in realtà opportuna e dovrebbe tra l’altro prevedere che l’affidamento degli incarichi di patrocinio avvenga, in via preferenziale, in favore degli avvocati interni all’ente. Essa dovrebbe, inoltre, procedimentalizzare l’accertamento, preliminare rispetto all’affidamento di ciascun incarico, dell’effettiva impossibilità per i legali dipendenti dall’ente di assumere l’incarico .
In mancanza di una disciplina specifica, sarebbe stato comunque onere dell’ente accertare, volta per volta, prima di affidare gli incarichi di patrocinio all’esterno, l’impossibilità da parte dei componenti dell’ufficio legale a svolgere gli stessi, allo scopo di evitare una spesa inutile e, quindi, un possibile danno all’erario. Un accertamento di tale tipo sarebbe da considerarsi presupposto necessario per l’affidamento legittimo all’esterno di un incarico di patrocinio, anche qualora si considerasse la scelta del libero professionista esterna come a carattere fiduciario, ed è indispensabile anche alla luce della nuova configurazione di tali incarichi come appalti di servizi.
Ricorso all’affidamento diretto
L’affidamento diretto di un incarico di patrocinio legale, operato dall’ente in analisi, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude la possibilità di effettuare l’affidamento in via fiduciaria di tali incarichi.
La mancanza di una procedura comparativa, infatti, viola i principi di imparzialità, pubblicità e concorrenza.

Mancanza di una previa valutazione di congruità del preventivo
L’ente, prima di procedere all’affidamento dell’incarico non ha accertato la congruità del preventivo, il quale, a tal fine, dovrebbe essere adeguatamente dettagliato anche sulla base degli eventuali scostamenti dai valori medi tabellari di cui al D.M. n. 55/2014. A tal fine in ragione del principio di buon andamento ed economicità dell’azione pubblica, sarebbe altresì opportuno che i preventivi accolti presentassero decurtazioni rispetto al richiamato valore medio.
Detta valutazione è necessaria per garantire un’attenta e prudente gestione della spesa pubblica e deve avere ad oggetto anche il rapporto tra il preventivo e l’importanza, nonché la delicatezza della causa. Il responsabile del procedimento, successivamente, ogni anno deve chiedere al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l’impegno originario, in modo da assicurare la copertura della spesa.
Peraltro, il generale principio di economicità dell’azione amministrativa è ora esplicitamente richiamato dall’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016.
Ricorso a domiciliazioni legali
Pur avendo l’ente fatto ricorso ad una sola domiciliazione legale, peraltro per un importo ragionevole, è utile evidenziare che, poiché la domiciliazione è un incarico in cui il requisito dell’intuitus personae non è di particolare rilevanza, la scelta dell’affidatario non può ragionevolmente fondarsi sull’aspetto prettamente fiduciario, ma deve orientarsi su un altro criterio di selezione, in particolare il costo più basso ottenibile tramite una procedura comparativa.
Non è poi da sottovalutare che, in ragione del fatto che le comunicazioni da parte delle cancellerie dei tribunali a mezzo di posta elettronica certificata possono intervenire presso i difensori legali su tutto il territorio nazionale, la funzione di interlocuzione diretta con le cancellerie da parte dei legali della circoscrizione risulta meno rilevante. Pertanto, l’ente è invitato, per il futuro, a valutare con la massima attenzione la convenienza di ricorrere a domiciliazioni legali.
A seguito di istruttoria è pertanto emerso come il Comune di Cesena abbia proceduto all’affidamento diretto all’esterno degli incarichi di patrocinio legale, peraltro senza di volta in volta avere previamente accertato l’impossibilità, da parte dell’ufficio interno, a svolgere detti incarichi.
Non ci si può esimere dal rilevare, inoltre, come nell’anno 2015 un unico avvocato sia risultato affidatario diretto di due incarichi di patrocinio su cinque, dell’unico incarico di domiciliazione e sia stato selezionato a seguito di comparazione di curricula per uno dei due appalti di servizi legali; ciò, per un importo totale pari ad euro 45.948,14. Lo stesso avvocato, inoltre, nei due anni precedenti, quindi tra il 2013 e il 2014, è stato affidatario di ulteriori 5 incarichi di patrocinio legale e di 3 appalti di servizi legali, per un importo totale di euro 86.467,65 (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 26.04.2017 n. 74).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Criticità rilevate nell'affidamento, all'esterno dell'ente, di incarichi legali e sul rimborso delle spese legali ad amministratori e dipendenti.
Il rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti e degli amministratori pubblici, assolti per non avere commesso il fatto nell’ambito di un procedimento connesso con l’espletamento del servizio, deriva dal principio per il quale non solo nei rapporti privati, ma anche in quelli pubblici, chi agisce per un interesse altrui non deve sopportare nella sua sfera personale gli effetti svantaggiosi di questa attività, bensì deve essere tenuto indenne sia dalle spese sostenute, sia dai danni subiti per la fedele esecuzione del suo compito.
Il rimborso in favore dei dipendenti degli enti locali è attualmente disciplinato dall’art. 12 del CCNL del 12.12.2002 per l’area della dirigenza, e dall’art. 28 del CCNL del 14.09.2000, per il restante personale; dette norme lo subordinano alle circostanze che i fatti o gli atti siano direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, all’insussistenza del conflitto d’interessi e all’assenza di dolo o di colpa grave.
Solo recentemente il legislatore statale ha riconosciuto, con l’art. 7-bis del d.l. 19.06.2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 06.08.2015, n. 125,
detto diritto anche in favore degli amministratori locali; ciò, “nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave”.
L’assenza di conflitto d’interessi con l’ente, condicio sine qua non della risarcibilità delle spese in argomento, richiede in generale l’accertamento che i beneficiari del rimborso non abbiano tenuto comportamenti contrari ai doveri d’ufficio.
Solo le pronunce di assoluzione motivate per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo ha commesso, consentono di escludere in radice il conflitto d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai sensi del comma 2, dell’art. 530, del c.p.p., che ricorre qualora “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”, occorrerà altresì verificare l’assenza del conflitto d’interessi con l’ente pubblico; sarà pertanto onere dell’ente, prima di rimborsare le spese legali, effettuare un accertamento interno che, qualora venga aperto un fascicolo disciplinare, sarà coincidente con le risultanze di quest’ultimo.
Nello specifico, invece, il Comune ha deliberato il rimborso delle spese legali sulla mera base di un provvedimento di archiviazione che si è limitato ad escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto, nonché di un ulteriore provvedimento di archiviazione relativo a un procedimento penale connesso al primo, il quale ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta remissione di querela nei confronti di un dipendente e l’infondatezza della notizia di reato rispetto ad altro dipendente.
Tali circostanze, in assenza di un accertamento interno, non escludono che i comportamenti in argomento possano essere stati contrari a doveri d’ufficio.
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testo deliberazione
A partire dalla deliberazione 03.04.2009 n. 19, della Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
la giurisprudenza di questa Corte si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come non integrante un appalto di servizi, bensì un contratto d’opera intellettuale, regolato dall’art. 2230 del codice civile.
In ogni caso,
la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico, pur non riconducibile direttamente agli incarichi professionali esterni disciplinati dall’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001, poiché conferito per adempimenti obbligatori per legge (mancando, pertanto, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione), non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati. Ciò, allo scopo di consentire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza (in tal senso, da ultimo, questa Sezione, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2015, approvato con deliberazione n. 66/2016/PARI, del 15.07.2016).
La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19.04.2016, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
A decorrere da tale data anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’art. 17
(recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento.
Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto molto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina del codice dei contratti pubblici conferma l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.
Anche dopo l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, l’ente deve preliminarmente operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale, a svolgere l’incarico
(così, da ultima, questa Sezione con la citata deliberazione n. 66/2016).
Con la recente sentenza 06.02.2017 n. 334, il TAR Sicilia–Palermo, Sez. III,
nel giudicare l'affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. Tali indicazioni sono pienamente condivisibili, consentendo, inoltre, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Sulle richiamate novità normative l'Anac, con Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP, ha evidenziato, operando una specificazione condivisa da questa Sezione,
che nell'affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi di cui all’art. 4 del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dalla quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nell’individuazione della rosa dei soggetti selezionati, dell'importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza, e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti.
Qualora vi siano motivate ragioni di urgenza, dettagliatamente motivate e non derivanti da un'inerzia dell'Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all'affidamento diretto degli incarichi, sulla base di un criterio di rotazione (ove siano stati istituiti elenchi di operatori qualificati, l’affidatario dev’essere individuato tra gli avvocati iscritti in detti elenchi).

Si precisa, altresì, che
già prima che entrasse in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici si riteneva, nell’ambito dei rapporti di collaborazione che possono intercorrere tra enti pubblici e legali ad essi esterni, che oltre all’affidamento di un singolo incarico di patrocinio legale, fosse possibile l’affidamento di un appalto di servizi, che tuttavia richiedeva “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa rispetto al semplice patrocinio legale (C. conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19).
In tal senso anche la prevalente giurisprudenza amministrativa, per la quale era configurabile un appalto di servizi legali quando “l’affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale o episodico dell’amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca (ex multis, TAR Campania–Salerno, Sez. II, sentenza 16.05.2016 n. 1197).
Come già evidenziato,
la distinzione tra affidamento di un singolo patrocinio legale e di un appalto di servizi sembra essere stata superata dal disposto di cui all’art. 17, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Da ultimo, per completare il quadro delle forme di collaborazione che possono intercorrere tra una pubblica amministrazione e un legale a essa esterno, occorre tenere presente che è tuttora possibile affidare a un legale un incarico professionale esterno di cui all’art. 7, co. 6 del t.u. sul pubblico impiego, quindi avente ad oggetto uno studio, una ricerca o, più frequentemente, un parere legale. Ad esso si applicano tutti i presupposti di legittimità degli incarichi professionali esterni individuati da questa giurisprudenza (per un approfondimento dei vincoli posti al conferimento degli incarichi professionali esterni, si rimanda al capitolo 2.3 del “Monitoraggio degli atti di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, posti in essere negli esercizi finanziari 2011 e 2012 dagli enti pubblici aventi sede nell’Emilia-Romagna”, di questa Sezione, approvato con deliberazione 15.10.2015 n. 135).
Tanto premesso,
si segnalano i seguenti specifici profili di criticità che sono emersi dall’esame delle risposte fornite al questionario sui servizi legali e dai dati relativi agli incarichi affidati da codesto ente all’esterno.
Ricorso a domiciliazioni legali
Pur apparendo l’importo complessivamente corrisposto dal Comune di Ravenna per incarichi di domiciliazione legale giustificato, poiché sono stati affidati 23 incarichi di detta tipologia a fronte di una spesa complessiva lorda di 11.712,22 euro, è comunque utile ricordare che, in ragione della circostanza che le comunicazioni da parte delle cancellerie dei tribunali, a mezzo di posta elettronica certificata, possono intervenire presso i difensori legali su tutto il territorio nazionale, la funzione di interlocuzione diretta con le cancellerie da parte dei legali della circoscrizione risulta meno rilevante.
Pertanto, l’ente in analisi è invitato, per il futuro, a valutare con attenzione la convenienza di ricorrere a domiciliazioni legali.
Violazione dei principi sul rimborso delle spese legali
Il rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti e degli amministratori pubblici, assolti per non avere commesso il fatto nell’ambito di un procedimento connesso con l’espletamento del servizio, deriva dal principio per il quale non solo nei rapporti privati, ma anche in quelli pubblici, chi agisce per un interesse altrui non deve sopportare nella sua sfera personale gli effetti svantaggiosi di questa attività, bensì deve essere tenuto indenne sia dalle spese sostenute, sia dai danni subiti per la fedele esecuzione del suo compito (C. conti, S.r. n. 707/1991).
Il rimborso in favore dei dipendenti degli enti locali è attualmente disciplinato dall’art. 12 del CCNL del 12.12.2002 per l’area della dirigenza, e dall’art. 28 del CCNL del 14.09.2000, per il restante personale; dette norme lo subordinano alle circostanze che i fatti o gli atti siano direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, all’insussistenza del conflitto d’interessi e all’assenza di dolo o di colpa grave.
Solo recentemente il legislatore statale ha riconosciuto, con l’art. 7-bis del d.l. 19.06.2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 06.08.2015, n. 125, detto diritto anche in favore degli amministratori locali; ciò, “nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave”.
L’assenza di conflitto d’interessi con l’ente, condicio sine qua non della risarcibilità delle spese in argomento, richiede in generale l’accertamento che i beneficiari del rimborso non abbiano tenuto comportamenti contrari ai doveri d’ufficio.
Solo le pronunce di assoluzione motivate per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo ha commesso, consentono di escludere in radice il conflitto d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai sensi del comma 2, dell’art. 530, del c.p.p., che ricorre qualora “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”, occorrerà altresì verificare l’assenza del conflitto d’interessi con l’ente pubblico; sarà pertanto onere dell’ente, prima di rimborsare le spese legali, effettuare un accertamento interno che, qualora venga aperto un fascicolo disciplinare, sarà coincidente con le risultanze di quest’ultimo.
Nello specifico, invece, il Comune di Ravenna ha deliberato il rimborso delle spese legali sulla mera base di un provvedimento di archiviazione che si è limitato ad escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto, nonché di un ulteriore provvedimento di archiviazione relativo a un procedimento penale connesso al primo, il quale ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta remissione di querela nei confronti di un dipendente e l’infondatezza della notizia di reato rispetto ad altro dipendente.
Tali circostanze, in assenza di un accertamento interno, non escludono che i comportamenti in argomento possano essere stati contrari a doveri d’ufficio (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 26.04.2017 n. 73).

INCARICHI PROFESSIONALIAvvocati, ribassi banditi. Il legale non può chiedere compensi irrisori. Tar Lombardia sulle gare per affidare la difesa in giudizio dei comuni.
Nelle gare per affidare la difesa in giudizio di un comune, l'avvocato non può proporre un compenso irrisorio. Ad esempio chiedere solo le spese vive in caso di soccombenza, contando di vedersi riconoscere un compenso a carico di controparte in caso di vittoria, equivale proporre di lavorare gratis. E questa offerta è inammissibile per contrasto con il dm sui parametri dei compensi forensi, che impongono compensi proporzionati all'attività svolta.

È quanto ha deciso il TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, con la sentenza 19.04.2017 n. 902, che interviene in materia di affidamento con gara degli incarichi giudiziali agli avvocati. Tra l'altro, la questione in sé tutt'altro che pacifica, anche avendo riguardo al Codice dei contratti pubblici, in cui gli incarichi ai legali sono inseriti tra i contratti esclusi, e ritenendosi da alcuni che questo implichi l'applicazione delle regole generali, relativi a procedure selettive, con esclusione degli incarichi diretti su base fiduciaria.
Tornando al caso lombardo, un comune ha iniziato una procedura negoziata per l'affidamento del servizio di rappresentanza legale dell'ente in un procedimento giurisdizionale di recupero di un credito dell'ente nei confronti della società telefonica. La procedura di gara si è svolta per via telematica avvalendosi di una piattaforma regionale e il criterio di aggiudicazione è stato quello del prezzo più basso.
Al termine del procedura, il servizio è stato affidato a uno studio legale. Un altro avvocato, partecipante alla gara, ha presentato ricorso al Tar e ha avuto torto.
I fatti rilevanti sono stati i seguenti. Il criterio di aggiudicazione era quello del prezzo più basso. E l'avvocato arrivato secondo ha offerto il prezzo di euro 550,00, molto inferiore a quello degli altri partecipanti.
Il funzionario del comune responsabile del procedimento (Rup) ha chiesto chiarimenti, invitando a dettagliare l'offerta sulla base dei compensi da richiedersi a fronte di un ricorso per decreto ingiuntivo finalizzato al recupero del credito dell'amministrazione.
Alla richiesta di chiarimenti, l'avvocato arrivato secondo ha risposto con una nota, nella quale, quanto al compenso indicato nell'offerta (euro 550), l'avvocato specificava che la stessa corrispondeva soltanto alle spese «vive» dell'attività giurisdizionale, in quanto il vero e proprio compenso professionale sarebbe stato costituito dal compenso liquidato dal giudice a proprio favore e posto a carico della parte perdente, vista la «certezza della vittoria processuale pronosticata».
Per l'ipotesi di sconfitta l'avvocato non avrebbe chiesto nulla, se non di trattenere le 550 euro di spese vive.
Il Tar ha dato torto all'avvocato, per una serie di ragioni.
Innanzi tutto è contrario alla comune esperienza affermare che sicuramente si vincerà la causa, essendo noto ad ogni operatore del diritto (giudice o avvocato), che ogni azione giurisdizionale porta in sé inevitabilmente un margine più o meno ampio di incertezza.
Inoltre, anche se si vince, non sempre il giudice liquida le spese a favore dell'avvocato che difende la parte vittoriosa.
L'offerta è stata, quindi, ritenuta indeterminata e condizionata, notando che nel caso di eventuale soccombenza, l'offerta del ricorrente finirebbe per essere un'offerta pari a zero.
E un'offerta pari a zero appare non legittima in quanto, oltre che non essere seria e affidabile, non sono emersi ragioni particolari per le quali la prestazione del professionista intellettuale debba essere di fatto gratuita. D'altra parte il decreto ministeriale sui parametri del compenso dell'avvocato prescrive che il compenso sia «proporzionato all'importanza dell'opera» e, rileva il Tar, un'offerta a compenso zero appare in evidente contrasto con tale previsione normativa.
Il giudice ha quindi confermato l'incarico conferito allo studio legale che ha chiesto un compenso e ha condannato l'avvocato arrivato secondo a pagare le spese del giudizio al Tar.
Dunque questo legale proponeva di fare attività a compenso zero e si trova ora a dover pagare oltre 3 mila euro di spese di soccombenza, da dividere in parti uguali a favore del Comune e del collega che si è aggiudicato l'incarico (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.05.2017).

INCARICHI PROFESSIONALIPer l’Anac appalto di servizi per tutte le attività dei legali.
Tutte le attività professionali legali svolte per le pubbliche amministrazioni rientrano nel concetto generale di appalto di servizi legali e alcune tipologie di pareri possono essere richiesti anche ad altri professionisti.

L'Autorità nazionale anticorruzione ha sottoposto a consultazione (del 10.04.2017) (con osservazioni che possono essere presentate sino al 10 maggio) uno schema di atto di regolazione finalizzato a risolvere le problematiche applicative delle norme del codice sull'affidamento di tali particolari attività, con particolare riferimento a quelle di gestione del contenzioso.
Il concetto di appalto di servizio legale
L'Anac evidenzia anzitutto come debba ritenersi superata la posizione interpretativa formatasi in precedenza, in vigenza del Dlgs 163/2006, in base alla quale il patrocinio legale, cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, fosse inquadrabile nell'ambito della prestazione d'opera intellettuale, distinguendolo dai servizi legali, intesi come attività più complesse e con differente modulo organizzativo.
Il documento posto in consultazione evidenzia, invece, come tale distinzione non possa più ritenersi attuale, in quanto, a seguito del recepimento delle direttive comunitarie, la nozione di appalto è molto lata e ben più ampia della nozione italiana, come desunta dal codice civile, e in questo quadro il legislatore europeo ha ricondotto ogni attività professionale legale in favore delle pubbliche amministrazioni nel concetto generale di appalto di servizio legale, non operando alcuna distinzione tra incarico singolo e occasionale, eseguito dal professionista con lavoro prevalentemente proprio (senza una necessaria organizzazione) e incarico di assistenza e consulenza giuridica eseguita con organizzazione di mezzi e personale.
La gestione del contenzioso in sede giudiziale e stragiudiziale
L'Anac afferma pertanto che, indipendentemente dalla qualificazione civilistica del contratto di affidamento dell'incarico per la prestazione di servizi legali, l'affidamento deve essere ricondotto alla categoria degli appalti di servizi e, a seconda della tipologia lo stesso dovrà essere inquadrato nell'elenco di cui all'articolo 17 del Dlgs 50/2016 oppure nella categoria residuale di cui all'Allegato IX.
L'esclusione dall'applicazione del codice riguarda non solo la gestione del contenzioso in sede giudiziale e stragiudiziale, ma anche i servizi di consulenza legale prodromici ad un'attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, prestati da avvocati e necessari per valutare la possibilità di tutela di una propria posizione giuridica soggettiva attraverso la promozione di uno dei procedimenti in sede giurisdizionale o stragiudiziale o per valutare l'eventuale fondatezza di una pretesa da altri vantata nei propri confronti e le possibili strategie difensive (compresa l'opportunità di pervenire ad una conciliazione).
Alcune specificità
L'affidamento dei servizi legali esclusi dall'applicazione del codice deve avvenire comunque nel rispetto dei principi comunitari (secondo quanto indicati dall'articolo 4 del Dlgs 50/2016), potendo considerare anche alcune specificità (es. per l'affidamento di un servizio di rappresentanza in giudizio, la presenza di un pregresso contenzioso che si è concluso con esito positivo per la stessa amministrazione).
L'Anac precisa come per tali affidamenti le amministrazioni debbano richiedere preventivi per una valutazione comparativa, potendo selezionare gli avvocati da elenchi previamente costituiti mediante una procedura trasparente e aperta, potendo così restringere tra i soggetti iscritti il confronto concorrenziale al momento dell'affidamento. Gli elenchi devono essere costituiti in base a un avviso pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione e possono essere eventualmente suddiviso per settore di competenza.
Nell'ipotesi di costituzioni in giudizio impellenti e non conciliabili con i tempi sia pur stretti e semplificati richiesti dall'attuazione dei principi comunitari, l'autorità considera ammissibile un'estrazione a sorte dall'elenco o una scelta diretta, ma motivata.
Il documento di consultazione precisa anche gli elementi interpretativi per l'individuazione dei servizi legali compresi nell'allegato IX, sottoposti alle regole di affidamento previste dal codice dei contratti pubblici, con le possibilità di semplificazione previste dagli articoli 142 e 143. In tale novero secondo l'Anac rientrano soprattutto quei servizi che si realizzano prevalentemente mediante la produzione di pareri e di atti di assistenza legale non connessa alla difesa in giudizio.
Si tratta, quindi, di attività stragiudiziale non riservata agli avvocati, ma che può essere svolta anche da altre categorie professionali dotate di formazione equivalente (consulenti del lavoro, commercialisti, eccetera) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 12.04.2017).

INCARICHI PROFESSIONALI: No all'affidamento fiduciario ai legali. L'Anac sull'assegnazione dei servizi.
Gli incarichi agli avvocati non possono essere assegnati intuitu personae per via fiduciaria, né se si tratti della difesa in giudizio, né se si tratti di altri servizi legali, come le consulenze. Inoltre, la circostanza che un servizio possa essere configurato come prestazione d'opera individuale non può essere sufficiente per escludere l'applicazione dei principi del diritto comunitario, che ispirano le regole contenute nel codice dei contratti.
L'Anac, con il documento sui servizi legali posto in consultazione (del 10.04.2017) sul suo sito allo scopo di emanare uno specifico atto di regolazione, interviene in maniera chiara e definitiva sull'annosa questione dell'assegnazione dei servizi legali.
Secondo l'Autorità «non può più considerarsi attuale» la teoria, sostenuta anche dal Consiglio di stato con la sentenza della Sezione V, 11.05.2012, n. 2730 secondo cui si dovrebbe distinguere il conferimento di un singolo incarico di patrocinio legale dall'attività di assistenza e consulenza giuridica. Il primo caso era sottratto alla disciplina del dlgs. n. 163/2006 in quanto.
Secondo tale teoria, la difesa in giudizio sarebbe un «contratto d'opera intellettuale», nell'ambito del quale il legale opera in via principalmente personale e con lavoro proprio senza organizzazione imprenditoriale, sicché sfuggirebbe alla qualificazione di «appalto». Invece, l'attività di assistenza e consulenza giuridica, comprendente l'organizzazione di una serie di servizi legali tra cui plurime difese in giudizio, in quanto caratterizzata dalla complessità dell'oggetto e dalla predeterminazione della durata, sarebbe un appalto e, quindi soggetta alle regole codicistiche.
Il documento posto in consultazione dall'Anac è tranciante nel negare che col dlgs 50/2016 tale distinzione (molto dubbia anche nel precedente regime normativo) sia ulteriormente applicabile e che, quindi, si possano affidare gli incarichi di difesa in giudizio per via fiduciaria. L'Anac insiste sulla circostanza che il codice dei contratti recepisce le direttive comunitarie, a loro volta espressione di un ordinamento che offre dell'appalto un'accezione lata e molto più ampia di quella definibile dall'ordinamento civilistico interno e tale da ricomprendere, nella sostanza, ogni prestazione di servizi, anche se resa da persone fisiche con lavoro proprio. Dunque, le «prestazioni d'opera intellettuale» finiscono per restare attratte nella disciplina dei contratti.
In particolare, spiega l'Anac, la difesa in giudizio non può essere regolata dal codice civile, ma dall'articolo 17 del dlgs 165/2001. Pertanto, la difesa in giudizio è da considerare senza alcun dubbio come «appalto di servizi», anche se escluso dall'applicazione delle regole puntuali procedurali previste dal codice e, dunque, soggetto solo ai principi enunciati dall'articolo 4 del codice. L'attuazione dei quali impone comunque una scelta motivata, trasparente e competitiva.
Il documento in consultazione propone un'interessante definizione dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, il rispetto dei quali impedisce affidamenti intuitu personae. In particolare, il principio di imparzialità fa sì che «la stazione appaltante maturi la sua decisione finale da una posizione di terzietà rispetto a tutti i concorrenti, senza essere indebitamente influenzata nelle sue decisioni da interessi politici di parte»: il che esclude radicalmente gli affidamenti fiduciari.
L'Anac suggerisce di raccogliere manifestazioni di interesse degli avvocati ad essere iscritti in albi sempre aperti, ai quali attingere nel rispetto dei criteri di rotazione per attivare una competizione concorrenziale. La procedura selettiva dovrà rispettare criteri qualitativi, ma anche inevitabilmente economici: l'Anac considera inevitabile, nel rispetto del principio di economicità, chiedere anche un ribasso sulla base di gara, determinabile in base all'esame di incarichi analoghi conferiti dalle p.a. o dalle tariffe professionali vigenti.
Molte amministrazioni si mostrano restie a procedure selettive per i legali, soprattutto perché preoccupate da non infrequenti casi nei quali occorre procedere con urgenza. L'Anac evidenzia che ciò non crea alcun problema: l'urgenza può consentire un affidamento diretto tramite estrazione a sorte dall'albo eventualmente costituito dalla singola pubblica amministrazione o una scelta diretta ma motivata (del resto, è applicabile anche l'articolo 63 del codice).
Per questi affidamenti, l'Anac ritiene indispensabile verificare i requisiti generali dei legali, in applicazione dell'articolo 80 del codice, sia pure in forma attenuata. Gli «altri servizi legali», tra i quali i servizi di certificazione o di consulenza, sono indicati dall'allegato IX e, pertanto, sono ricompresi nella disciplina del codice, con una soglia comunitaria di 750.000 euro, in quanto si applicano gli articoli da 140 e 144 del codice, se sopra soglia. Si può applicare l'articolo 32, invece, se sotto soglia (articolo ItaliaOggi del 12.04.2017).

dicembre 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla natura del conferimento della difesa legale da parte della pubblica amministrazione a liberi professionisti.
Sussiste
un terzo orientamento, maggiormente condiviso in giurisprudenza secondo il quale occorre partire dalla differenza ontologica tra l’affidamento di un incarico di patrocinio legale “occasionato da puntuali esigenze di difesa dell’ente in giudizio” e l’attività di assistenza e consulenza giuridica “caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata”.
Solo quest’ultimo affidamento, caratterizzato da “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa” rispetto al patrocinio legale, e che richiede l’inserimento nell’apparato amministrativo dell’Ente, rientra nel novero del “servizio legale” di cui al punto 21 dell’allegato B del d.lgs. 163/2006 e, in quanto tale, è soggetto alla disciplina dell’appalto dei servizi.
Per converso,
il contratto di conferimento di incarico legale, finalizzato esclusivamente alla difesa tecnica dell’ente in giudizio, rientra nel contratto di prestazione d’opera intellettuale disciplinato dall’art. 2230 del c.c., e, in quanto tale, non soggiace alla normativa dell’evidenza pubblica.
Esplicativa, in proposito, è la deliberazione 03.04.2009 n. 19 resa dalla Sezione Regionale di controllo per la Basilicata, ove è affermato “
Appare senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato dall’art. 2230 c.c. e ss.".
Detta interpretazione è preferibile anche a parere di questo Collegio, ove si consideri che
il patrocinio legale è occasionato da esigenze contingenti di difesa in giudizio, che non è predeterminabile nei suoi aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazione, che è sempre un’obbligazione di mezzi. A ciò si aggiunga anche la natura strettamente fiduciaria della prestazione che non è compatibile con una procedura concorsuale e/o comparativa per la scelta del difensore.
Queste considerazioni trovano peraltro conforto nella direttiva 2014/24/UE relativa ai contratti di appalto ove al punto 25 del considerato viene evidenziato che “Taluni servizi legali….. comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati,……. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti (….). Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva”.
Così come l’art. 10, alla lettera i), esclude l’applicazione della disciplina degli appalti nei confronti della rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’art. 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:
— in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o conciliativa internazionale; oppure
— in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali.

Tutto ciò considerato
l’affidamento di incarichi legali per la difesa in giudizio non è soggetto alla normativa del codice degli appalti e, segnatamente, ai richiamati articoli 20 e 27 del d.lgs. 163/2006.

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La SS.RR. della Corte dei conti
, in sede di controllo, con la delibera 15.02.2005 n. 6/2005, relativa alle modalità per il conferimento degli incarichi di studio, ricerca ovvero di consulenza,
ha chiarito che dagli stessi restano esclusi “gli incarichi di rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione” in quanto “conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.
Ma anche in questo senso si è espressa la Sezione delle Autonomie con la deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008; peraltro, così come evidenziato dal
parere 03.04.2009 n. 8 della Sezione Basilicata “Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto dalla norma. In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che quel potere attribuisce. Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione, non appare configurabile il mero patrocinio legale alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.“.
Tutto ciò premesso,
questo Collegio ritenendo la natura fiduciaria e personale del rapporto che intercorre tra assistito e difensore e la non riconducibilità della difesa legale tra le funzioni istituzionali dell’Asp, esclude che tale tipo di incarico rientri nella categoria di cui all’art. 46 del d.l. 112/2008 e quindi alla procedura comparativa di cui all’art. 7, comma 6-bis, del d.lgs. 165/2001.
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Ebbene, rispetto ai conferimenti legali, la Procura contesta ai convenuti, in primo luogo, di non aver seguito alcuna procedura comparativa o di evidenza pubblica, in violazione degli art. 20 e 27 del d.lgs. 163/2006, ma di aver affidato gli incarichi con modalità strettamente fiduciaria.
Detto assunto non è condiviso dal Collegio.
Invero,
sulla natura del conferimento degli incarichi professionali, e, segnatamente, del conferimento della difesa legale da parte della pubblica amministrazione a liberi professionisti, vi sono difformi indirizzi giurisprudenziali.
- Secondo un primo orientamento, non definibile come prevalente, tutte le prestazioni rese dagli avvocati in favore delle amministrazioni sono da considerarsi come “servizi”, quindi riconducibili, tutti, nel settore indicato al punto 21 dell’allegato II B del d.lgs. 163/2006 (codice degli appalti).
Tale impostazione scaturisce dall’ampia definizione offerta dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 59 del 26.03.2010, secondo la quale il servizio è qualunque attività economica, imprenditoriale o professionale svolta senza vincolo di subordinazione, diretta alla fornitura anche di prestazione intellettuale.
E’ evidente che, in tale ottica, costituisce affidamento di un servizio anche l’affidamento di incarico ad avvocato per la difesa in giudizio dell’amministrazione. Conseguentemente, secondo questo orientamento, l’amministrazione è tenuta, anche per il patrocinio legale, alla necessaria osservanza delle disposizioni contenute negli art. 20, 65, 68, 225 e 27 del codice degli appalti (si veda TAR Lazio, Latina, sez. I, sentenza n. 606/2011, TAR Calabria, Reggio Calabria, sentenza n. 330/2008, TAR Puglia, Lecce, sentenza 25.10.2006).
- Ma in giurisprudenza si è affermato, invero occasionalmente, anche un opposto orientamento secondo il quale, tutte le prestazioni professionali degli avvocati in favore delle amministrazioni, e quindi sia la difesa legale che l’affidamento di rapporti più complessi che presuppongono l’inserimento del prestatore nella struttura amministrativa, sono da qualificarsi come opera intellettuale ex art. 2230 del c.c.; tale esegesi scaturisce dalla considerazione che l’appaltatore deve essere per forza un imprenditore e non un libero professionista iscritto negli appositi albi (si veda TAR Campania, sentenza n. 4855/2008).
- Vi è, infine, un
terzo orientamento, maggiormente condiviso in giurisprudenza, e anche da questo Collegio, secondo il quale, occorre partire dalla differenza ontologica tra l’affidamento di un incarico di patrocinio legaleoccasionato da puntuali esigenze di difesa dell’ente in giudizio” e l’attività di assistenza e consulenza giuridicacaratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata”.
Solo quest’ultimo affidamento, caratterizzato da “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa” rispetto al patrocinio legale, e che richiede l’inserimento nell’apparato amministrativo dell’Ente, rientra nel novero del “servizio legale” di cui al punto 21 dell’allegato B del d.lgs. 163/2006 e, in quanto tale, è soggetto alla disciplina dell’appalto dei servizi (determinazione n. 4 del 07.07.2011 dell’Autorità per a Vigilanza dei contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, al punto 4.3).
Per converso,
il contratto di conferimento di incarico legale, finalizzato esclusivamente alla difesa tecnica dell’ente in giudizio, rientra nel contratto di prestazione d’opera intellettuale disciplinato dall’art. 2230 del c.c., e, in quanto tale, non soggiace alla normativa dell’evidenza pubblica.
Esplicativa, in proposito, è la deliberazione 03.04.2009 n. 19 resa dalla Sezione Regionale di controllo per la Basilicata, ove è affermato “
Appare senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato dall’art. 2230 c.c. e ss.".
Detta interpretazione è preferibile anche a parere di questo Collegio, ove si consideri che
il patrocinio legale è occasionato da esigenze contingenti di difesa in giudizio, che non è predeterminabile nei suoi aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazione, che è sempre un’obbligazione di mezzi. A ciò si aggiunga anche la natura strettamente fiduciaria della prestazione che non è compatibile con una procedura concorsuale e/o comparativa per la scelta del difensore.
Queste considerazioni trovano peraltro conforto nella direttiva 2014/24/UE relativa ai contratti di appalto ove al punto 25 del considerato viene evidenziato che “Taluni servizi legali….. comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati,……. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti (….). Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva”.
Così come l’art. 10, alla lettera i), esclude l’applicazione della disciplina degli appalti nei confronti della rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’art. 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:
— in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro, un paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o conciliativa internazionale; oppure
— in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali.

Tutto ciò considerato
l’affidamento di incarichi legali per la difesa in giudizio non è soggetto alla normativa del codice degli appalti e, segnatamente, ai richiamati articoli 20 e 27 del d.lgs. 163/2006.
Né tale conclusione può essere revocata dal fatto che gli incarichi affidati all’avv. Ni. siano stati numerosi.
In proposito si evidenzia che al suddetto difensore, così come ad altri numerosi professionisti, sono stati affidati incarichi di patrocinio solo in occasione di esigenze contingenti di difese in giudizio, che, seppure numerosi, gli incarichi non erano predeterminabili sotto il profilo temporale ed economico.
Infine, il numero cospicuo non ne modifica la natura intellettuale e fiduciaria.
IV) La Procura contesta altresì ai convenuti di non aver osservato, nella scelta del difensore, le disposizioni contenute negli art.li 6-bis e 7 del d.lgs. 165/2001.
Anche detto assunto non è condiviso.
Invero, indubbiamente, il fatto di inquadrare il contratto di patrocinio (inteso appunto come quello volto solo a soddisfare il circoscritto bisogno di difesa giudiziale dell’ente) nell’ambito del contratto di prestazione d’opera intellettuale, pone un ulteriore problema e cioè se detto rapporto rientri o meno nella disciplina delle collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate dall’art. 46 del d.l. 112/2008; e conseguentemente se l’affidamento del patrocinio legale debba sottostare al conferimento procedimentalizzato e dalla previa procedura comparativa prevista dall’art. 7, comma 6, e 6-bis del d.lgs. 165/2001.
A tale legittimo quesito ha risposto
la SS.RR. della Corte dei conti, in sede di controllo, con la delibera 15.02.2005 n. 6/2005, relativa alle modalità per il conferimento degli incarichi di studio, ricerca ovvero di consulenza, ove ha chiarito che dagli stessi restano esclusi “gli incarichi di rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione” in quanto “conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.
Ma anche in questo senso si è espressa la Sezione delle Autonomie con la deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008; peraltro, così come evidenziato dal
parere 03.04.2009 n. 8 della Sezione Basilicata “Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto dalla norma. In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che quel potere attribuisce. Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione (Cass. Civ., III, 26.07.2005, n. 15607), non appare configurabile il mero patrocinio legale alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.“.
Tutto ciò premesso,
questo Collegio ritenendo la natura fiduciaria e personale del rapporto che intercorre tra assistito e difensore e la non riconducibilità della difesa legale tra le funzioni istituzionali dell’Asp, esclude che tale tipo di incarico rientri nella categoria di cui all’art. 46 del d.l. 112/2008 e quindi alla procedura comparativa di cui all’art. 7, comma 6-bis, del d.lgs. 165/2001.
V) Le considerazioni innanzi evidenziate inducono ad escludere anche l’assunta violazione dell’art. 16 della l. 9/2007 a cagione del quale “nelle aziende del servizio sanitario regionale l'indizione e l’espletamento di concorsi, le assunzioni, anche a tempo determinato, i trasferimenti, la mobilità, i comandi ed ogni altra forma di copertura di posti della dotazione organica anche mediante forme di lavoro flessibile, collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, sono soggette a preventiva autorizzazione regionale”.
E’ evidente, infatti, che
l’affidamento di incarichi legali non rientra nelle ipotesi disciplinate dalla disposizione in esame (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria, sentenza 27.12.2016 n. 344).

INCARICHI PROFESSIONALIGli incarichi legali costituiscono mere prestazioni di lavoro autonomo professionale essendo l’affidamento caratterizzato dall’elemento della fiduciarietà il quale preclude la riconduzione della fattispecie negoziale all’appalto di servizi (che potrebbe sussistere, con obbligo di gara pubblica, solo ove la prestazione richiesta al professionista non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’ente, configurandosi quale modalità organizzativa di un servizio più complesso ed articolato.
Tale interpretazione tesa all’esclusione dell’obbligo di gara pubblica è stata avallata dall’art. 17, comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, il quale ha escluso che si possano applicare le disposizioni del Codice gli appalti persino agli incarichi legali qualificabili come appalti di servizi.
Dunque gli incarichi legali non sono equiparabili alle mere consulenze esterne, con conseguenziale inapplicabilità dei limiti per esse previsti, tra cui i presupposti di legittimità per il ricorso nonché l’obbligo di procedura ad evidenza pubblica.

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3. Venendo al merito del ricorso l’azione è solo parzialmente fondata nei limiti di seguito indicati.
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3.2. Attribuzione di incarichi all’Avv. Cu. in relazione alle controversie relative alla stabilizzazione del personale stagionale
Si è contestato al Ma. e al Da., nella qualità di commissario straordinario e di direttore generale firmanti, l’attribuzione di incarichi di difesa legale all’Avv. Cu. in relazione a controversie aventi ad oggetto richieste di stabilizzazione di operai avventizi assunti a tempo determinato (pag. 5, 6, e 24 della citazione).
Come emerge dal corpo dell’atto di citazione la responsabilità potrebbe essere ascritta al funzionario esecutivo che non avrebbe fatto sottoscrivere i contratti di lavoro a tempo determinato per gli operai che avevano lavorato da maggio a novembre senza contratto.
In più la scelta di difendersi in giudizio non può essere, in ragione delle circostanze del caso concreto, imputata a colpa grave dei convenuti i quali hanno cercato di evitare gli effetti prodotti dalla decisione dell’A.G.O., anche alla luce dei gravi problemi finanziari in cui versava l’ente, mentre la responsabilità amministrativa non può sorgere secundum eventum litis, essendo la valutazione in ordine all’elemento soggettivo essere effettuata ex ante alla luce delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al tempo dell’azione.
A ciò si aggiunga che al tempo del conferimento dell’incarico non poteva effettuarsi un affidamento cumulativo trattandosi di ricorsi incardinati come cause isolate, solo successivamente riunite dal giudicante. Del resto i problemi evidenziati con l’Avv. De Ro., dal quale deriva la denuncia di danno erariale, che hanno condotto al licenziamento confermato dalla magistratura ordinaria, avevano fatto venir meno ogni relazione fiduciaria con il legale interno.
Né gli incarichi legali sono equiparabili alle c.d. consulenze esterne alle quali si applica il regime degli art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 e 110, comma 6, d.lgs. 267/2000.
Sia la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730) che gli indirizzi dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (determinazione 07.07.2011, n. 4) hanno affermato che
gli incarichi legali costituiscono mere prestazioni di lavoro autonomo professionale essendo l’affidamento caratterizzato dall’elemento della fiduciarietà il quale preclude la riconduzione della fattispecie negoziale all’appalto di servizi (che potrebbe sussistere, con obbligo di gara pubblica, solo ove la prestazione richiesta al professionista non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’ente, configurandosi quale modalità organizzativa di un servizio più complesso ed articolato – così C. conti, sez. contr. Basilicata, deliberazione 03.04.2009 n. 19; C. conti., sez. contr. Umbria, parere 19.12.2013 n. 137).
Tale interpretazione tesa all’esclusione dell’obbligo di gara pubblica è stata avallata dall’art. 17, comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, il quale ha escluso che si possano applicare le disposizioni del Codice gli appalti persino agli incarichi legali qualificabili come appalti di servizi.
Dunque gli incarichi legali non sono equiparabili alle mere consulenze esterne, con conseguenziale inapplicabilità dei limiti per esse previsti, tra cui i presupposti di legittimità per il ricorso nonché l’obbligo di procedura ad evidenza pubblica
(aspetto comunque non contestato dalla Procura regionale; del resto i vari incarichi in questione sono certamente sotto soglia).
La sentenza 11.05.2012 n. 2730 del Consiglio di Stato, Sez. V (in termini TAR Campania, Napoli, n. 1197/2015),
pur escludendo l’obbligo di gara, ha comunque precisato che l’affidamento dell’incarico legale è comunque soggetto ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare.
Nella specie le difese dei convenuti hanno fatto emergere le ragioni chiare dell’affidamento degli incarichi ad avvocati esterni alla luce delle criticità che connotavano i rapporti tra consorzio e Avv. De Ro. (le quali avrebbero condotto al licenziamento del legale interno) con pieno rispetto dei sovra menzionati principi.
Ciò premesso, tuttavia, il Collegio ritiene che
la liquidazione delle parcelle all’Avv. Cu. avrebbe dovuto tenere conto del carattere seriale delle controversie, con la conseguente applicazione dell’art. 5, comma 4, d.m. 127/2004 (aumento sull’onorario unico della controversia pilota).
Tale danno deve essere equitativamente (art. 1226 c.c.) liquidato in € 15.000,00, anche tenendo conto della compensatio lucri cum damno nonché esercitando ampiamente il potere riduttivo dell’addebito, e posto a carico del solo Ma. (non avendo il direttore generale alcuna competenza al riguardo) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania, sentenza 14.12.2016 n. 635).

INCARICHI PROFESSIONALICodice appalti, due strade per i servizi degli avvocati. Alcuni dicono che serve una mini gara, altri sostengono l'affidamento diretto dell'incarico.
La nuova disciplina dei contratti pubblici sulla rappresentanza e difesa in giudizio della p.a..

Pasticciaccio sugli incarichi agli avvocati da parte delle p.a. dopo il nuovo codice degli appalti. C'è chi dice che bisogna fare una mini gara perché sono contratti di appalto, anche se si escludono le procedure più pesanti (gara pubblica) e c'è chi dice che è un contratto d'opera, assolutamente estraneo al campo di applicazione del codice dei contratti pubblici (dlgs 50/2016).
Tutto sta nel fatto che proprio il nuovo codice dei contratti pubblici indica la rappresentanza e difesa in giudizio come «servizio escluso». Con questa classificazione, però, si apre la strada alla applicazione delle mini gare: se siamo di fronte a un contratto escluso dall'applicazione dei procedimenti ordinari, è pur vero che questo presupporrebbe che siamo nel campo della normativa sui contratto di appalto. Per stare al di fuori di questa logica, bisogna qualificare il contratto con l'avvocato incaricato della difesa in giudizio non come contratto di appalto di servizi, ma come contratto d'opera intellettuale.
Ma analizziamo le due impostazioni, mentre le p.a. vanno a tentoni e aspettano un chiarimento dalla giurisprudenza.
Appalto. Una tesi sostiene che gli incarichi ad avvocati sono appalto di servizio, per cui è escluso l'affidamento diretto su basi fiduciarie (in latino «intuitu personae»).
Questa tesi si appoggia sull'art. 17 del codice dei contratti, che inserisce, tra i contratti cosiddetti esclusi, i servizi legali, anche quelli concernenti la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato o conciliazione, nei procedimenti giudiziari.
Secondo questa impostazione l'esclusione non significa che le amministrazioni hanno mano libera. Anzi è nuova la classificazione di queste attività come servizi ed è quindi preclusa la strada dell'affidamento dell'incarico ai sensi del codice civile, che vale solo per i committenti privati. Il risultato di questa impostazione è che bisogna applicare i principi generali degli appalti, tra cui l'economicità, la trasparenza, la par condicio tra i concorrenti.
Ci vorrebbe un avviso pubblico, precisando le caratteristiche del servizio, magari richiedendo particolari esperienze o specializzazioni. Si può acquisire le manifestazioni di interesse e poi passare a un confronto concorrenziale. Non si esclude la possibilità di una scelta diretta, ma solo se motivata da urgenza delle procedure.
Opera intellettuale. La tesi diametralmente opposta fa leva sull'articolo 4 del codice degli appalti. Questo articolo definisce l'ambito di applicazione dei dlgs 50/2016 ai soli contratti di appalto, tra cui non può essere inserito il mandato difensivo. L'appalto, infatti, è un contratto con cui l'appaltatore si assume il rischio connesso al compimento dell'opera o del servizio; nel mandato difensivo manca questa caratteristica, anzi l'articolo 2230 del codice civile esprime una regola del tutto diversa (tanto che si parla di obbligazione di mezzi e non di risultato).
Peraltro sarebbe opinabile una norma che impedisse a un soggetto giuridico di scegliersi il difensore, prerogativa certamente connaturata al diritto di difesa costituzionalmente garantito.
E non si potrebbe dire che il codice dei contratti del 2016 abbia abrogato implicitamente le disposizioni del codice civile sull'attività professionale. Infine viene ricordata la giurisprudenza del consiglio di stato che si era pronunciata nel senso di escludere le gare per gli affidamenti ai legali in vigenza del vecchio codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006).
Secondo il Consiglio di stato, Sez. V, 11.05.2012 n. 2730 la scelta dell'avvocato per la difesa in giudizio dell'amministrazione costituisce prestazione intellettuale, estranea all'applicazione dell'obbligo di gara per i servizi legali.
Da ultimo ci si chiede come si possa fare a imbastire le procedure di mini gara quando scadono i termini processuali e si rischia di incaricare l'avvocato a ridosso delle scadenze. Ci si chiede altresì come possa sostenersi la necessità di rispettare il principio di economicità (prendere l'avvocato che offre il prezzo più basso) quando in giudizio vale la regola dell'accollo delle spese in base alla soccombenza in giudizio (articolo ItaliaOggi Sette del 05.12.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
novembre 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: In merito alla legittimità di liquidare parcelle emesse da un avvocato, relative a cause per le quali era stato incaricato dall’ente tramite delibera di Giunta, senza avere preventivamente acquisito il preventivo di spesa.
L'obbligo di preventivo per incarichi legali salva l'ente da debiti fuori bilancio. L'ente locale ha l'obbligo di richiedere un preventivo all'avvocato cui conferisce un incarico di patrocinio, al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo del Veneto, con il parere 29.11.2016 n. 375 ha evidenziato come la richiesta di esplicitazione dei valori economici da parte dei professionisti incaricati di difendere l'ente sia adempimento ineludibile.
La necessità di un preventivo di massima che indichi la misura del compenso, oltre a essere oggetto di specifica previsione da parte della normativa che ha abrogato le tariffe professionali (l'articolo 9 del Dl 1/2012 convertito dalla legge 27/2012) e che attualmente disciplina i compensi, tra l'altro, degli avvocati, viene espressamente contemplata dal principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (allegato n. 4/2 al Dlgs 118/2011).
Le regole contabili
La regola stabilita dal principio contabile, al paragrafo 5.2, lettera g), prevede due misure particolari, finalizzate proprio a evitare la formazione di debiti fuori bilancio.
Anzitutto essa stabilisce, in deroga al principio della competenza potenziata, l'imputabilità dell'impegno assunto con il conferimento dell'incarico all'esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in tal modo, la copertura della spesa.
Il principio impone all'ente anche di chiedere ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l'impegno originario.
Secondo la Corte dei conti, la richiesta confermativa anno per anno deve essere effettuata dovendo tener conto della probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel quale l'obbligazione viene effettivamente a scadenza, del residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo di imputazione previsto dal principio suddetto.
Questi elementi e l'obbligo specifico di comunicazione per ogni anno delle eventuali variazioni del preventivo devono essere tradotti nel disciplinare d'incarico.
La delibera
Il parere dei magistrati contabili fa rilevare peraltro come la carenza iniziale nella stima del costo della prestazione da un lato espone l'ente al rischio (o anche certezza) della formazione di oneri a carico del bilancio privi della necessaria copertura, ma da un altro non può influire sulla esistenza ed entità dell'obbligazione sorta per effetto dell'espletamento dell'incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle scritture dell'ente, allo scopo di consentirne il regolare adempimento.
Pertanto, qualora la stima non sia stata adeguata ed effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano l'impegno assunto, l'alternativa è il riconoscimento del debito, secondo la procedura disciplinata dall'articolo 194 del Tuel ovvero, nell'ipotesi di non riconoscibilità del rapporto obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi previsti, l'imputazione diretta del rapporto medesimo all'amministratore, funzionario o dipendente che abbiano consentito l'acquisizione della prestazione in assenza dell'impegno e della necessaria copertura (articolo 191, comma 4, del Tuel) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 21.12.2016).
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MASSIMA
Nella richiesta di parere, il Sindaco del Comune di Bussolengo (VR) chiede se sia legittimo “liquidare parcelle di un avvocato relative a cause per le quali lo stesso era stato incaricato con delibera di Giunta, senza aver preventivamente acquisito preventivo di spesa” ed, in caso di risposta affermativa, in che misura, tenuto conto di quanto affermato, da un canto, dalla Suprema Corte in merito alla sussistenza, in capo all’ente, dell’obbligazione, esclusivamente per la somma impegnata in bilancio e, dall’altro, dalla Corte dei conti (tra l’altro, nel parere 01.04.2015 n. 110 della Sezione regionale di controllo per la Campania) in merito al ricorso alla procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL.
...
Nel merito, esso ha ad oggetto la possibilità di liquidare, in favore di professionista formalmente incaricato dall’ente (nella specie, avvocato) e per la prestazione resa, un importo maggiore di quello impegnato, ove questo, determinato in assenza di apposito preventivo di spesa, risulti “significativamente inferiore rispetto all’attività svolta e documentata da parcella professionale per la quale sono stati applicati i tariffari previsti dai decreti ministeriali in materia di onorari e diritti professionali”.
In sostanza, l’ente chiede a questa Sezione se l’assunzione dell’impegno di spesa costituisca un limite rispetto all’obbligazione civilistica sorta per effetto del conferimento dell’incarico al professionista ed, in caso di risposta negativa, quale sia la procedura corretta da seguire sotto il profilo contabile ai fini della liquidazione dell’importo eccedente la previsione.
Il problema ovviamente si pone nei casi in cui la “stima” del valore della prestazione richiesta al professionista sia inadeguata e determini, quindi, l’insufficienza dell’impegno assunto al momento del conferimento.
Deve precisarsi, in merito, che
la necessità di un preventivo di massima che indichi la misura del compenso, oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte della normativa che ha abrogato le tariffe professionali (art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012) e che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011), il quale, al paragrafo 5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga al principio della competenza potenziata, l’imputabilità dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì, all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l’impegno originario (ciò in considerazione della probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel quale l’obbligazione viene effettivamente a scadenza, del residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo di imputazione previsto dal principio suddetto).
Analogamente, prima della entrata in vigore della normativa sull’armonizzazione dei sistemi contabili appena richiamata, era previsto che i compensi per prestazioni professionali dovessero trovare copertura in bilancio già dal momento del conferimento, in base ad una stima del relativo costo, in modo da evitare il più possibile la formazione di debiti fuori bilancio (Principio contabile n. 2 per gli enti locali formulato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti Locali).
Posto ciò,
la carenza iniziale nella stima del costo della prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza) della formazione di oneri a carico del bilancio privi della necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare adempimento.
Come correttamente rilevato dalla Sezione regionale di controllo per la Campania nel parere 01.04.2015 n. 110, richiamato nella richiesta di parere, infatti,
ove la stima non sia stata adeguata ed effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano l’impegno assunto, l’alternativa è il riconoscimento del debito, secondo la procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL ovvero, nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano consentito l’acquisizione della prestazione in assenza dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4° comma, TUEL).
In quest’ottica, deve essere risolto il dubbio manifestato dall’ente circa la possibilità di limitare il vincolo derivante dal detto rapporto obbligatorio all’importo dell’impegno di spesa originario.
In primo luogo, deve rilevarsi che la pronuncia della Suprema Corte da ultimo richiamata nella richiesta di parere (SS.UU., sentenza n. 10798/2015) non consente affatto di ipotizzare, sic et simpliciter, “che sia sorta un’obbligazione per l’ente solo ed esclusivamente per la somma impegnata in bilancio”.
Oltre a ribadire il carattere di sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento (art. 2042 c.c.), la sentenza si limita ad affermare il principio secondo cui
il riconoscimento, da parte della p.a., dell’utilità della prestazione o dell’opera non costituisce un requisito dell’azione di indebito arricchimento e rileva soltanto “in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico”, ma non esime la pubblica amministrazione dall’attivazione della procedura di riconoscimento del debito, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento”, atteso che la responsabilità diretta del o dei dipendenti che hanno consentito la fornitura sorge soltanto per la (e se vi sia una) ”parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, 1° comma, lett. e)” del TUEL (art. 191, 4° comma, cit.).
La sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento, che comporta la non esperibilità dell’azione medesima nell’ipotesi in cui il danneggiato disponga di un altro rimedio per farsi indennizzare il pregiudizio subito (art. 2042 c.c.), infatti, oltre ad attenere ad un ambito processuale e di tutela giurisdizionale –del tutto diverso da quello, di natura contabile, al quale è riconducibile la problematica della gestione della spesa pubblica, oggetto di esame– comunque non esclude l’imputabilità dell’obbligazione direttamente all’ente, qualora si sia verificato un arricchimento, percepibile come tale e suscettibile di riconoscimento.
Diversamente, si consentirebbe di riversare indebitamente sui dipendenti che agiscono in nome e per conto dell’ente anche il costo di prestazioni dalle quali quest’ultimo abbia tratto un obiettivo (e consapevole) beneficio e di arricchirsi, quindi, ingiustamente, a scapito di terzi (professionista ovvero dipendenti), in violazione del generale principio secondo cui nemo lucupletari potest cum aliena iactura (Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto, parere 29.11.2016 n. 375).

INCARICHI PROFESSIONALILa necessità di un preventivo di massima che indichi la misura del compenso, oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte della normativa che ha abrogato le tariffe professionali (art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012) e che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011), il quale, al paragrafo 5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga al principio della competenza potenziata, l’imputabilità dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì, all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l’impegno originario (ciò in considerazione della probabile reimputazione ad altro.
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La carenza iniziale nella stima del costo della prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza) della formazione di oneri a carico del bilancio privi della necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare adempimento.

Ove la stima non sia stata adeguata ed effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano l’impegno assunto, l’alternativa è il riconoscimento del debito, secondo la procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL ovvero, nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano consentito l’acquisizione della prestazione in assenza dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4° comma, TUEL).
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Nella richiesta di parere, il Sindaco del Comune di Bussolengo (VR) chiede se sia legittimo “liquidare parcelle di un avvocato relative a cause per le quali lo stesso era stato incaricato con delibera di Giunta, senza aver preventivamente acquisito preventivo di spesa” ed, in caso di risposta affermativa, in che misura, tenuto conto di quanto affermato, da un canto, dalla Suprema Corte in merito alla sussistenza, in capo all’ente, dell’obbligazione, esclusivamente per la somma impegnata in bilancio e, dall’altro, dalla Corte dei conti (tra l’altro, nella deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 110/2015/PAR) in merito al ricorso alla procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL.
...
Nel merito, esso ha ad oggetto la possibilità di liquidare, in favore di professionista formalmente incaricato dall’ente (nella specie, avvocato) e per la prestazione resa, un importo maggiore di quello impegnato, ove questo, determinato in assenza di apposito preventivo di spesa, risulti “significativamente inferiore rispetto all’attività svolta e documentata da parcella professionale per la quale sono stati applicati i tariffari previsti dai decreti ministeriali in materia di onorari e diritti professionali”.
In sostanza, l’ente chiede a questa Sezione se l’assunzione dell’impegno di spesa costituisca un limite rispetto all’obbligazione civilistica sorta per effetto del conferimento dell’incarico al professionista ed, in caso di risposta negativa, quale sia la procedura corretta da seguire sotto il profilo contabile ai fini della liquidazione dell’importo eccedente la previsione.
Il problema ovviamente si pone nei casi in cui la “stima” del valore della prestazione richiesta al professionista sia inadeguata e determini, quindi, l’insufficienza dell’impegno assunto al momento del conferimento.
Deve precisarsi, in merito, che
la necessità di un preventivo di massima che indichi la misura del compenso, oltre ad essere oggetto di specifica previsione da parte della normativa che ha abrogato le tariffe professionali (art. 9, D.L. n. 1/2012, convertito dalla L. n. 27/2012) e che attualmente disciplina i compensi, tra l’altro, degli avvocati, viene espressamente contemplata dal Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (All. n. 4/2 al D.lgs. n. 118/2011), il quale, al paragrafo 5.2, lett. g), proprio “al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio”, non solo prevede, in deroga al principio della competenza potenziata, l’imputabilità dell’impegno assunto con il conferimento dell’incarico all’esercizio in cui il contratto è firmato, garantendo, in tal modo, la copertura della spesa, ma impone, altresì, all’ente di chiedere ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla scorta del quale è stato assunto l’impegno originario (ciò in considerazione della probabile reimputazione ad altro esercizio, ossia quello nel quale l’obbligazione viene effettivamente a scadenza, del residuo passivo formatosi proprio per effetto del meccanismo di imputazione previsto dal principio suddetto).
Analogamente, prima della entrata in vigore della normativa sull’armonizzazione dei sistemi contabili appena richiamata, era previsto che i compensi per prestazioni professionali dovessero trovare copertura in bilancio già dal momento del conferimento, in base ad una stima del relativo costo, in modo da evitare il più possibile la formazione di debiti fuori bilancio (Principio contabile n. 2 per gli enti locali formulato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti Locali).
Posto ciò,
la carenza iniziale nella stima del costo della prestazione, che espone l’ente al rischio (o anche certezza) della formazione di oneri a carico del bilancio privi della necessaria copertura, in contrasto con i canoni della sana gestione finanziaria, non può influire sulla esistenza ed entità dell’obbligazione sorta per effetto dell’espletamento dell’incarico, che deve trovare, ovviamente nei limiti della effettiva spettanza e nel rispetto delle norme e dei principi che regolano il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, la dovuta rappresentazione contabile nelle scritture dell’ente, allo scopo di consentirne il regolare adempimento.
Come correttamente rilevato dalla Sezione regionale di controllo per la Campania nel parere 01.04.2015 n. 110), richiamata nella richiesta di parere, infatti,
ove la stima non sia stata adeguata ed effettivamente i compensi maturati dal legale eccedano l’impegno assunto, l’alternativa è il riconoscimento del debito, secondo la procedura disciplinata dall’art. 194 TUEL ovvero, nell’ipotesi di non riconoscibilità del rapporto obbligatorio per la accertata assenza dei presupposti ivi previsti, l’imputazione diretta del rapporto medesimo all’amministratore, funzionario o dipendente che abbiano consentito l’acquisizione della prestazione in assenza dell’impegno e della necessaria copertura (art. 191, 4° comma, TUEL).
In quest’ottica, deve essere risolto il dubbio manifestato dall’ente circa la possibilità di limitare il vincolo derivante dal detto rapporto obbligatorio all’importo dell’impegno di spesa originario.
In primo luogo, deve rilevarsi che la pronuncia della Suprema Corte da ultimo richiamata nella richiesta di parere (SS.UU., sentenza n. 10798/2015) non consente affatto di ipotizzare, sic et simpliciter, “che sia sorta un’obbligazione per l’ente solo ed esclusivamente per la somma impegnata in bilancio”.
Oltre a ribadire il carattere di sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento (art. 2042 c.c.), la sentenza si limita ad affermare il principio secondo cui il riconoscimento, da parte della p.a., dell’utilità della prestazione o dell’opera non costituisce un requisito dell’azione di indebito arricchimento e rileva soltanto “in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico”, ma non esime la pubblica amministrazione dall’attivazione della procedura di riconoscimento del debito, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento”, atteso che la responsabilità diretta del o dei dipendenti che hanno consentito la fornitura sorge soltanto per la (e se vi sia una) ”parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, 1° comma, lett. e)” del TUEL (art. 191, 4° comma, cit.).
La sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento, che comporta la non esperibilità dell’azione medesima nell’ipotesi in cui il danneggiato disponga di un altro rimedio per farsi indennizzare il pregiudizio subito (art. 2042 c.c.), infatti, oltre ad attenere ad un ambito processuale e di tutela giurisdizionale –del tutto diverso da quello, di natura contabile, al quale è riconducibile la problematica della gestione della spesa pubblica, oggetto di esame– comunque non esclude l’imputabilità dell’obbligazione direttamente all’ente, qualora si sia verificato un arricchimento, percepibile come tale e suscettibile di riconoscimento.
Diversamente, si consentirebbe di riversare indebitamente sui dipendenti che agiscono in nome e per conto dell’ente anche il costo di prestazioni dalle quali quest’ultimo abbia tratto un obiettivo (e consapevole) beneficio e di arricchirsi, quindi, ingiustamente, a scapito di terzi (professionista ovvero dipendenti), in violazione del generale principio secondo cui nemo lucupletari potest cum aliena iactura (Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto, parere 29.11.2016 n. 375).

INCARICHI PROFESSIONALI: Quali limiti alla parcella dell’avvocato?
Alla fine della causa l’avvocato mi ha presentato una parcella che raggiunge quasi la metà di quanto l’avversario mi dovrà dare: è legittimo oppure c’è un limite massimo per il suo compenso?
Così come non esistono limiti minimi alle tariffe degli avvocati, la legge non prevede neanche limiti massimi: la parcella dell’avvocato viene quantificata sulla base di quanto le parti hanno convenuto all’atto del conferimento del mandato. In pratica, anche in tema di compensi dovuti all’avvocato vale il principio generale del nostro ordinamento della libera trattativa tra le parti.
Come, del resto, un negoziante è libero di venderci un vestito a un prezzo dieci volte superiore al valore del bene, altrettanto può fare il professionista. Ecco perché è sempre bene concordare in anticipo la parcella. Peraltro, se richiesto dal cliente, il preventivo va messo per iscritto, salvi eventuali «correttivi» in aumento qualora il giudizio dovesse presentare difficoltà o costi sopravvenuti, comunque da giustificare. (...continua) (21.11.2016 - link a www.laleggepertutti.it).

INCARICHI PROFESSIONALILegali, parcella per ogni atto. Compenso dovuto anche per comunicazioni e trasferte. La Cassazione definisce il perimetro delle competenze economiche degli avvocati.
La Corte di Cassazione (VI Sez. civile) con ordinanza 10.11.2016 n. 22951, ha ribadito che all'avvocato è dovuto un compenso per l'esame del dispositivo di ogni sentenza e di ogni decreto o ordinanza, anche se emessi in udienza. Sono, altresì, dovuti i compensi chiesti a titolo di corrispondenza informativa ed anche quelli per indennità di trasferta.
La Corte di appello aveva parzialmente accolto il ricorso proposto da Caio, avvocato, e riliquidato le spese di primo grado in somma diversa da quella richiesta, avuto riguardo al minimo tariffario previsto dal dm 08/04/2004 n. 127 per lo scaglione di riferimento in considerazione della minima complessità della controversia, detraendo l'importo chiesto a titolo di onorari per la discussione orale e per i diritti di procuratore le voci relative all'esame della documentazione di controparte, l'esame di tre ordinanze non risultando altra ordinanza se non quella di nomina del Ctu già presente in udienza, quella relativa alla corrispondenza informativa con il cliente mancando documentazione al riguardo e le somme chieste a titolo di indennità di trasferta per tre udienze mancandone la prova necessaria.
Inoltre i giudici della Suprema corte hanno anche evidenziato come bisogna ritenere per ciò stesso assolto da parte del difensore il dovere di informare il cliente per invitarlo a parteciparvi, con la conseguenza che per la liquidazione della corrispondente voce non è richiesta la prova.
L'attribuzione di ulteriori competenze per tale titolo è subordinata, invece, in ossequio a un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, alla documentazione e, comunque, alla prova certa dell'effettività della prestazione professionale come specificamente indirizzata a tenere informato il cliente di eventi processuali rilevanti (si veda, tra le altre, Cass. 17/10/2007 n. 8152). Sembra quindi opportuno evidenziare come il tenore letterale della voce n. 15 dell'allegato B al dm n. 127 dell'08.04.2004, sia chiaro nel disporre che è dovuto un compenso «per l'esame del dispositivo di ogni sentenza e di ogni decreto o ordinanza, anche se emessi in udienza».
Quanto all'indennità di trasferta i giudici della Cassazione hanno rilevato che la voce n. 57 della citata tabella prevede che «Per il trasferimento fuori dal proprio domicilio sono dovute le spese e l'indennità così come previste nella tabella degli onorari stragiudiziali».
L'art. 8 della Tabella D prevede che «all'avvocato che, per l'esecuzione dell'incarico ricevuto, debba trasferirsi fuori dal proprio domicilio professionale, sono dovute le spese di viaggio e di soggiorno -pernottamento in albergo 4 stelle e vitto- rimborsate nel loro ammontare documentato, con una maggiorazione del 10% a titolo di rimborso delle spese accessorie; in caso di utilizzo di autoveicolo proprio è dovuta un'indennità chilometrica pari ad un quinto del costo del carburante a litro, oltre alle spese documentate per pedaggio autostradale e parcheggio. Sono in ogni caso dovuti gli onorari relativi alla prestazione effettuata e un'indennità di trasferta da un minimo di euro 10,00 a un massimo di euro 30,00 per ogni ora o frazione di ora, con un massimo di otto ore giornaliere» (articolo ItaliaOggi Sette del 21.11.2016).

INCARICHI PROFESSIONALIL'errore dell'avvocato non basta. Cassazione.
L'avvocato non è responsabile per il solo fatto di aver commesso un errore o un'omissione nello svolgimento del suo incarico. Per accertare la responsabilità professionale, infatti, è necessario che il cliente, dopo aver mosso specifiche censure, dimostri la ragionevole probabilità di un diverso e più favorevole esito in assenza della condotta asseritamente dannosa.

Così la Corte di Cassazione, Sez. III civile, con la sentenza 10.11.2016 n. 22882.
Il caso è quello di un'azione di responsabilità professionale promossa da una società operante nella sanità privata, nei confronti di due legali, fondata su presunti errori commessi nel fornire assistenza in relazione ad alcune fasi di una complessa procedura di licenziamento collettivo dei propri dipendenti, che, rivelatasi poi illegittima, si è tradotta in un danno consistente.
Gli Ermellini hanno ritenuto che l'impugnazione promossa dalla Casa di cura avverso le sentenze di primo e secondo grado, che avevano escluso la responsabilità dei legali, fosse essenzialmente priva di pregio, per diverse ragioni. Con specifico riferimento ai criteri di valutazione dell'operato dei professionisti, la Corte ha condiviso l'impianto motivazionale adottato dai Giudici di merito, fondato su due aspetti: la “marginalità” della condotta dei professionisti nella produzione del danno e l'esclusione della colpevolezza.
Quanto al primo, hanno escluso la rilevanza causale di detta condotta dei legali, atteso che l'incarico era stato loro conferito “in corso d'opera”, vale a dire in epoca successiva all'avvio delle procedure amministrative di licenziamento. Quanto al secondo, hanno valorizzato la circostanza per cui l'incarico atteneva a questione resa controversa da una giurisprudenza ambigua, peraltro complicata da sopraggiunti interventi normativi.
In ogni caso, il “cuore” della sentenza attiene ad un aspetto di carattere prettamente processuale, che si traduce, sostanzialmente, in una severa interpretazione dell'onere della prova a carico del cliente asseritamente danneggiato (articolo ItaliaOggi del 17.11.2016).

INCARICHI PROFESSIONALI: Per il nuovo codice il patrocinio legale è un appalto di servizi.
Le attività di rappresentanza legale in giudizio sono appalti di servizi, compresi tra quelli esclusi dall'applicazione del codice dei contratti ma assoggettati al rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario.

L'Autorità nazionale anticorruzione fornisce con il Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP una prima indicazione interpretativa sulla qualificazione del patrocinio legale alla luce delle previsioni contenute nel Dlgs 50/2016.
Tra vecchie e nuove regole
L'Anac ricostruisce il quadro formatosi nell'ordinamento previgente, che aveva condotto alla qualificazione del patrocinio come contratto di prestazione d'opera intellettuale, pertanto interamente sottratto alle regole del Dlgs 163/2006, quindi delinea l'impatto delle nuove disposizioni.
Rilevando come il nuovo codice dei contratti abbia mantenuto i servizi legali tra quelli (elencati nell'Allegato IX) cui si applica il regime alleggerito delineato dagli articoli 140 e seguenti, l'Autorità evidenzia come l'articolo 17 del Dlgs 50/2016, recependo l'articolo 10 della direttiva 2014/24/Ue, abbia annoverato tra gli appalti esclusi dall'applicazione del Codice gli appalti di servizi concernenti cinque tipologie di servizi legali.
In questa classificazione, definita dalla lettera d) dello stesso articolo 17, rientrano infatti la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato o in una conciliazione nonché in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche.
I princìpi applicabili
Secondo l'Anac, la disposizione del Dlgs 50/2016, pur volta a sottrarre dall'ambito oggettivo di applicazione del codice alcuni servizi legali, vale tuttavia a qualificare il patrocinio legale come un appalto di servizi.
La riconducibilità del patrocinio legale tra gli appalti di servizi (benché esclusi dall'ambito di applicazione del nuovo codice) comporta il necessario rispetto dei principi generali che informano l'affidamento degli appalti pubblici, esplicitati nell'articolo 4 del Dlgs 50/2016, e la conseguente impossibilità di procedere attraverso affidamenti fiduciari.
Per l'applicazione dei principi dell'ordinamento comunitario l'Anac richiama la Comunicazione interpretativa della Commissione Ue 2006/C-179/02, nella quale si stabilisce che la stazione appaltante deve garantire una procedura di aggiudicazione equa e imparziale, nonché con adeguata pubblicizzazione.
La comunicazione interpretativa richiede che siano garantiti l'uguaglianza di accesso per gli operatori economici di tutti gli Stati membri, termini adeguati per la presentazione della manifestazione d'interesse o dell'offerta e un approccio trasparente e oggettivo, in modo che tutti i concorrenti conoscano in anticipo le regole applicabili e abbiano la certezza che tali regole saranno applicate nello stesso modo a tutti gli operatori.
L'Anac, rilevando come la finalità perseguita con l'applicazione dei principi dell'ordinamento comunitario sia l'apertura del mercato alla concorrenza, evidenzia come la Commissione ammetta espressamente che le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere di applicare sistemi di qualificazione, come la redazione di un elenco di operatori qualificati mediante una procedura trasparente e aperta oggetto di adeguata pubblicità da cui selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta.
L'iscrizione all'elenco
Rispetto a questo quadro l'Autorità precisa (richiamando le proprie linee-guida sugli affidamenti sottosoglia) che l'iscrizione all'elenco dei soggetti interessati provvisti dei requisiti richiesti dovrebbe essere consentita senza limitazioni temporali e di numero (massimo) degli avvocati, in quanto incidenti sulla concorrenza.
In relazione ai requisiti per l'iscrizione al sistema di qualificazione, l'Anac evidenzia come in capo ai soggetti interessati non debbano sussistere i motivi di esclusione previsti dall'articolo 80 del codice, nonché distingue nettamente tra il potenziale conflitto di interessi regolato dall'articolo 42 del Dlgs 50/2016 (che deve essere verificato caso per caso e non impedisce l'iscrizione) e quello disciplinato dall'articolo 24 del Codice deontologico forense, in quanto si tratta di una causa di esclusione che recepisce il principio di prevenzione dei conflitti tra interessi contrapposti.
Tale disposizione, infatti, impone all'avvocato di astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale, risultando quindi ostativa, quando sussistente, all'iscrizione in un elenco dell'amministrazione (articolo Quotidiano Enti Locali & PA dell'08.12.2016).
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MASSIMA

Servizi legali – patrocinio legale – appalto di servizi – esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice – rispetto dei principi generali dell’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016 – elenco di professionisti per l’affidamento di incarichi di rappresentanza e difesa in giudizio.

Il patrocinio legale è un appalto di servizi escluso dall’ambito di applicazione del Codice e va affidato nel rispetto dei principi di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Non è conforme ai richiamati principi l’affidamento tramite elenco di professionisti per il quale è congiuntamente previsto un numero massimo di iscritti, un termine di 60 gg. per la presentazione delle richieste di iscrizione e la durata triennale dell’iscrizione.
Articoli 4 e 17 del d.lgs. 50/2016.
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Considerato in fatto
Con nota acquisita al prot. n. 108546 del 14.07.2016, Equitalia S.p.A. ha chiesto all’Autorità di esprimere il proprio avviso su alcuni profili dell’adottando sistema di affidamento di incarichi di rappresentanza e difesa in giudizio tramite costituzione di elenco di professionisti, al fine di verificarne il rispetto dei principi fondamentali della normativa europea in materia di appalti, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto servizi esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice.
Il “Regolamento per la costituzione dell’elenco dei professionisti per l’affidamento di incarichi di rappresentanza e difesa in giudizio da parte delle società del gruppo Equitalia", che l’istante è in procinto di emanare, disciplina la costituzione dell’elenco e ne stabilisce i requisiti e i criteri per l’iscrizione, le modalità di utilizzo e di eventuale aggiornamento.
In estrema sintesi, il sistema prevede la formazione di un elenco, di durata triennale -strutturato in sei sezioni, ciascuna con un numero massimo di iscritti- tramite l’iscrizione dei soggetti in possesso dei requisiti richiesti (paragrafo 6) «fino al raggiungimento del numero massimo dei soggetti iscrivibili per ciascuna sezione/area geografica dell’Elenco» ed, eventualmente, tramite sorteggio pubblico, nel caso in cui il numero delle domande ammesse sia superiore al numero massimo dei soggetti iscrivibili per ciascuna sezione/area geografica (paragrafi 4 e 5).
Il Regolamento dispone che l’affidamento degli incarichi agli iscritti nell’Elenco, cui si può ricorrere solo dopo «l’avvenuto accertamento preliminare dell’impossibilità oggettiva di utilizzare dipendenti interni» (paragrafo 3), avvenga sulla base del criterio di rotazione, derogabile solo in alcune ipotesi predefinite, di modo che «i professionisti potranno essere destinatari di un nuovo affidamento solo una volta che sia stato completato il giro di rotazione» (paragrafo 7).
Più in dettaglio, il paragrafo 5 dedicato alla struttura dell’Elenco, dopo avere chiarito che «l’inserimento nell’Elenco non comporta l’attribuzione di alcun diritto e/o interesse del professionista in ordine a eventuali conferimenti di incarichi né conseguentemente, l’assunzione di alcun obbligo da parte delle Società del Gruppo», precisa che, con esclusivo riferimento alla sezione V.a (contenzioso della riscossione che include tutte le Autorità Giudiziarie competenti in materia di contenzioso della riscossione con esclusione della Corte di Cassazione), «si stima che ad ogni professionista potranno essere affidati un numero annuo di incarichi pari a circa centocinquanta per un compenso stimato pari a circa 35.000 euro oltre accessori», con l’ulteriore precisazione che, «trattandosi di una stima, il numero degli incarichi e l’importo dei compensi potrà variare a seconda delle effettive esigenze del Gruppo Equitalia».
Il primo quesito verte sulla conformità ai principi di cui all’art. 4 del Codice, con particolare riferimento ai principi di proporzionalità, economicità, imparzialità e parità di trattamento, della previsione di un numero annuo medio di incarichi e di un compenso minimo.
Il paragrafo 4 del Regolamento prevede che sia pubblicato un avviso sul profilo del committente per 60 giorni, termine entro il quale gli interessati devono presentare le domande di iscrizione all’Elenco. Il paragrafo 5 individua le sezioni in cui è articolato l’Elenco, una delle quali è ulteriormente suddivisa in sottosezioni geografiche, e il numero massimo di iscritti per ogni sezione e sottosezione.
Con il secondo quesito, l’istante chiede se la previsione di un elenco aperto solo per un periodo predeterminato, unitamente alla previsione di un numero massimo di iscritti per ciascuna sezione (che l’istante valuta proporzionato all’entità del contenzioso e al numero di incarichi tale da assicurare la remuneratività dei servizi legali affidati), risponda ai principi di cui all’art. 4 del Codice.
Il paragrafo 6 elenca i requisiti di carattere generale e speciale che devono essere posseduti ai fini dell’iscrizione nell’Elenco. Tra questi,
   (a) inesistenza di cause di incompatibilità con lo svolgimento dell’incarico professionale affidato e di situazioni anche potenziale di conflitti di interesse (è vietato l’affidamento dell’incarico a familiari, entro il secondo grado, di dipendenti del Gruppo Equitalia assegnati alle strutture del contenzioso);
   (b) non avere in corso, in qualità di difensore di altre parti, il patrocinio per cause promosse contro le Società del Gruppo, Agenzia delle Entrate e INPS;
   (c) avere conseguito negli ultimi tre anni solari un volume di affari pari ad almeno 120.000 euro di cui la quota costituita da servizi resi al Gruppo Equitalia non potrà essere superiore al 30% del volume d’affari complessivo;
   (d) avere conseguito negli ultimi tre anni solari un fatturato specifico in attività analoghe a quelle oggetto della specifica sezione per la quale si chiede l’iscrizione pari ad almeno 50.000,00 euro, ovvero, ai soli fini dell’iscrizione nelle sezioni V.a (contenzioso della riscossione che include tutte le Autorità Giudiziarie competenti in materia di contenzioso della riscossione con esclusione della Corte di Cassazione) e V.b (contenzioso della riscossione davanti alla Corte di Cassazione), avere svolto almeno 50 incarichi in attività analoghe;
   (e) avere svolto nell’ultimo anno solare almeno tre incarichi in attività analoghe a quelle oggetto della specifica sezione per la quale si chiede l’iscrizione:
   (f) possesso di adeguata polizza assicurativa a copertura dei rischi derivanti dall’attività professionale con impegno del professionista ad adeguare il massimale ove richiesto, o, in alternativa, possesso di una polizza di “responsabilità professionale” con massimale non inferiore a 2 milioni di euro.
Il terzo quesito verte sulla conformità ai principi di cui all’art. 4 del Codice dei requisiti sopra indicati e,con particolare riferimento al requisito di cui alla lettera (a) –cause di incompatibilità e conflitti di interesse– è volto a verificare se esso non introduca una restrizione della libertà di iniziativa economica incompatibile con i principi di proporzionalità, efficacia, imparzialità e parità di trattamento. Viene inoltre chiesto se l’eventuale previsione di una polizza assicurativa con massimale non inferiore a 2 milioni di euro sia proporzionale al compenso minimo stimato di 35.000,00 euro.
Il paragrafo 7 prevede che non saranno conferiti incarichi ai professionisti iscritti nell’Elenco per i quali dovessero risultare cartelle di pagamento complessivamente di importo superiore a 1.000,00 euro per le quali risulti morosità.
Con il quarto quesito l’istante chiede l’avviso dell’Autorità in ordine al rispetto dei principi di cui all’art. 4 del Codice della richiamata previsione, tenuto conto che essa introduce una disciplina più stringente rispetto alla specifica causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 4, del Codice.
Ritenuto in diritto
L’analisi dei singoli quesiti presuppone la sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento inerente l’affidamento dei servizi legali e, in particolare, del patrocinio legale, che, con l’entrata in vigore del nuovo Codice, appare significativamente mutato.
Sotto la vigenza del d.lgs. n. 163/2006, i servizi legali, in quanto ricompresi nell’Allegato IIB, erano sottratti alla disciplina puntuale del Codice, se non per gli articoli 65, 68 e 225, ed erano soggetti al regime di affidamento semplificato risultante dal combinato disposto dell’art. 20 e dell’art. 27.
Tuttavia, parte della giurisprudenza distingueva dalla categoria generale dei servizi legali l’incarico di patrocinio legale conferito singolarmente, ritenendo sussistente una differenza ontologica tra l’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla presenza di una specifica organizzazione -riconducibile ad un servizio oggetto di appalto affidabile tramite procedura ad evidenza pubblica- e il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale, ritenuto integrante un contratto d’opera intellettuale e quindi non rientrante nell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina codicistica in materia di appalti.
Veniva conseguentemente ritenuto che la scelta fiduciaria del patrocinatore legale fosse esclusivamente soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730).
La stessa Autorità, nella determinazione 07.07.2011 n. 4, aveva ritenuto che il patrocinio legale, cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, fosse inquadrabile nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, in base alla considerazione per cui il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richieda qualcosa in più, “un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa” (cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione n. 19/2009/PAR).
Il nuovo Codice dei contratti ha mantenuto i “servizi legali” tra quelli - elencati nell’Allegato IX - cui si applica il regime alleggerito delineato dagli artt. 140 e ss.
L’art. 17 del d.lgs. n. 50/2016, tuttavia, recependo l’art. 10 della dir. 2014/24/UE, ha annoverato tra gli appalti esclusi dall’applicazione del Codice gli appalti di servizi concernenti cinque tipologie di servizi legali, tra cui, alla lettera d), n. 1), la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’art. 1 della legge 09.02.1982, n. 31, (1.1 in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; 1.2 in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali).
La richiamata disposizione, volta a sottrarre dall’ambito oggettivo di applicazione del Codice taluni servizi legali, vale tuttavia a qualificare il patrocinio legale (sicuramente identificabile nella richiamata lettera d), n. 1), dell’art. 17, comma 1), come un appalto di servizi. La riconducibilità del patrocinio legale tra gli appalti di servizi (benché esclusi dall’ambito di applicazione del Codice) comporta il necessario rispetto dei principi generali che informano l’affidamento degli appalti pubblici, esplicitati nell’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, e la conseguente impossibilità di procedere attraverso affidamenti fiduciari.
I principi generali che presiedono all’affidamento dei contratti pubblici sono richiamati nel considerando n. (1) della direttiva 2014/24/UE che sancisce la necessità che l’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri rispetti i principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.
L’assunto è recepito dal legislatore nazionale nel combinato disposto dell’art. 30, comma 1, e dell’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016 dove, con riferimento agli appalti e alle concessioni soggette al Codice (art. 30) e ai contratti esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del Codice (art. 4), sono fissati i principi discendenti dal TFUE che devono presiedere all’affidamento.
Fondamentali indicazioni, anche operative, circa l’applicazione dei richiamati principi nel caso di affidamento di contratti esclusi dall’applicazione delle direttive sono stati fornite dalla Commissione europea nella Comunicazione interpretativa 2006/C 179/02.
Con specifico riferimento alle procedure di aggiudicazione dell’appalto, cui si riferiscono i primi due quesiti, la Commissione ha chiarito che, a corollario dell’obbligo di garantire una pubblicità trasparente, la stazione appaltante deve garantire una procedura di aggiudicazione equa e imparziale. Nella specie, secondo le indicazioni della Commissione, occorre garantire, tra le altre, l’uguaglianza di accesso per gli operatori economici di tutti gli Stati membri, termini adeguati per la presentazione della manifestazione d’interesse o dell’offerta e un approccio trasparente e oggettivo, di modo che tutti i concorrenti conoscano in anticipo le regole applicabili e abbiano la certezza che tali regole saranno applicate nello stesso modo a tutti gli operatori. La finalità perseguita è l’apertura del mercato alla concorrenza.
Circa le modalità pratiche attraverso cui dare attuazione ai richiamati principi, la Commissione ammette espressamente che le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere di applicare sistemi di qualificazione, ovvero «la redazione di un elenco di operatori qualificati mediante una procedura trasparente e aperta oggetto di adeguata pubblicità» da cui selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerta.
Rientra nella descritta tipologia il sistema di selezione che l’istante ha deliberato di adottare.
La peculiarità dell’elenco in esame risiede nel fatto che Equitalia ha fissato per ciascuna sezione dell’elenco un numero massimo di iscritti. Tale numero massimo, nel caso della sezione V.a, risulta calcolato, sulla base dei dati storici, in modo da garantire tendenzialmente l’affidamento di un numero annuo di incarichi pari a circa centocinquanta per un compenso stimato pari a circa 35.000 euro oltre accessori. A corollario del sistema, il regolamento prevede che le richieste di iscrizione all’elenco possano essere presentate solo nell’arco dei 60 giorni durante i quali l’avviso è pubblicato sul profilo del committente e che l’elenco ha durata triennale.
Al riguardo, si osserva che la combinazione delle richiamate disposizioni (numero massimo degli iscritti, termine di 60 gg. per la presentazione dell’istanza e durata triennale dell’iscrizione) determina un indubbio effetto restrittivo della concorrenza finendo per comprimere l’effettiva contendibilità dell’affidamento del servizio di patrocinio legale da parte dei soggetti potenzialmente interessati.
L’iscrizione dei soggetti interessati provvisti dei requisiti richiesti dovrebbe essere consentita senza limitazioni temporali (cfr. proposta di Linee guida Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici). Qualora le difficoltà gestionali paventate dall’istante legate al rilevante numero di domande che verosimilmente potrebbero essere ricevute si rivelassero non superabili attraverso l’adozione di opportune misure organizzative, l’effetto restrittivo derivante dalla limitazione temporale della presentazione delle istanze dovrebbe essere contemperato dalla riduzione del termine di validità dell’iscrizione, che potrebbe essere portata a un anno, in modo da rendere più frequenti le finestre temporali entro le quali i soggetti qualificati possono manifestare l’interesse all’iscrizione nell’elenco (60 giorni ogni anno e non 60 giorni ogni tre anni).
Quanto alla limitazione del numero dei soggetti che possono iscriversi a ciascuna sezione dell’Elenco, si tratta di una misura tendenzialmente contraria all’interesse dell’amministrazione che dovrebbe, in linea di principio, tendere a poter disporre della platea più ampia possibile di soggetti qualificati tra cui selezionare, in questo caso sulla base del criterio di rotazione, gli affidatari del servizio.
L’imposizione di un numero massimo di iscritti, inoltre, è di fatto limitativa della concorrenza perché equivale a contingentare il numero dei soggetti che possono accedere ad un sistema di qualificazione prodromico all’affidamento di servizi. Non pare neppure sostenibile che la misura in esame possa essere legittimata dall’intento di “garantire” a ciascun professionista qualificato un certo numero di incarichi annuo, trattandosi di una logica estranea (e contraria) ai principi informatori –concorrenza e par condicio su tutti– dell’affidamento dei contratti pubblici.
Il terzo e il quarto quesito riguardano i requisiti generali e speciali richiesti ai fini dell’iscrizione nell’Elenco.
Al riguardo, si evidenzia che costituisce ius receptum il principio secondo cui tutti i soggetti che a qualunque titolo concorrono all’esecuzione di appalti pubblici devono essere in possesso dei requisiti di moralità previsti dal Codice dei contratti. Il possesso di inderogabili requisiti di moralità rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico economico che trova applicazione anche nelle gare riguardanti appalti in tutto o in parte esclusi dall’applicazione del Codice (Parere sulla Normativa 11.07.2012 - rif. AG 10/12, Parere sulla Normativa 03.07.2013 - rif. AG 8/13, Parere di Precontenzioso 17.07.2013 n. 128 - rif. PREC 119/13/F, Parere di Precontenzioso 29.07.2014 n. 14 - rif. PREC 56/14/S).
Vi è infatti l’imprescindibile esigenza che il soggetto che contratta con la pubblica amministrazione sia affidabile e quindi in possesso dei requisiti di carattere generale attualmente tipizzati dall’art. 80 del d.lgs n. 50/2016. Se dunque, nell’ambito delle richiamate procedure, la stazione appaltante può non esigere il medesimo rigore formale di cui all’art. 80 e gli stessi vincoli procedurali, essa ha comunque l’obbligo di verificare in concreto il possesso da parte dei concorrenti dei requisiti di moralità indicati nell’art. 80.
Si rileva, inoltre, che la giurisprudenza ha precisato, con riferimento al previgente Codice ma sulla base di principi applicabili anche alla vigente normativa, «che nessuna delle norme del codice dei contratti pubblici (…) sembra impedire alle Amministrazioni che, come nel caso in esame, intendono predisporre un elenco di operatori economici da interpellare per procedure negoziate per l’affidamento di lavori di subordinare l’inserimento dei candidati nell'elenco stesso al possesso dei requisiti soggettivi di cui all’art. 38, comma 1, del predetto codice( …); un anticipato accertamento (rispetto alle singole procedure) del possesso dei requisiti in questione non solo non è espressamente vietato, ma anzi può risultare utile a prevenire il rischio per le Amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti o comunque di entrare in contatto con soggetti nei cui confronti sussistono cause ostative alla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e alla stipulazione dei relativi contratti; ferma comunque la necessità di operare puntuali verifiche nei confronti dei soggetti inclusi nell’elenco in occasione delle specifiche procedure per cui siano interpellati» (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 498).
Se dunque appare corretta la richiesta dell’insussistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80, la richiesta di ulteriori requisiti va vagliata alla luce del principio generale di tassatività della cause di esclusione.
Con riferimento al requisito dell’insussistenza di cause di incompatibilità con lo svolgimento dell’incarico professionale affidato e di situazioni anche potenziali di conflitto di interesse (di cui alla lettera (a) del richiamato elenco), si rappresenta che il comma 5, lett. d), dell’art. 80 reca già la disciplina delle indicate fattispecie prevedendo il divieto di partecipazione alla gara dell’operatore economico qualora determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42, comma 2, non sia diversamente risolvibile.
L’art. 42, comma 2, definisce il conflitto di interesse come la situazione in cui il personale di una stazione appaltante che interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione.
In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’art. 7 del d.P.R. 16.04.2013, n. 62, ovvero i casi in cui l’adozione di decisioni o ad attività possono coinvolgere interessi del dipendente, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Qualora ciò si verifica, l’art. 42, comma 3, impone l’obbligo di astensione del personale dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione.
Pertanto l’operatività della causa di esclusione di cui al comma 5, lett. d), dell’art. 80 scatta unicamente quando la situazione di conflitto di interessi non sia risolvibile o non sia risolta tramite la misura prevista dall’art. 42 di astensione del personale della stazione appaltante coinvolto in tale situazione.
Ritenuto dunque che, alla luce della disciplina dell’art. 80, peraltro richiamata dal Regolamento in esame, il conflitto di interessi porta all’esclusione del concorrente solo come extrema ratio, si reputa che la clausola del Regolamento che sancisce il divieto di partecipazione nei casi di conflitto di interesse anche potenziale, oltre a contrastare con il comma 5, lett. d), dell’art. 80, violi i principi di proporzionalità e parità di trattamento di cui all’art. 4 del Codice.
Diverso è il caso del requisito di cui alla lettera (b) del richiamato elenco (non avere in corso, in qualità di difensore di altre parti, il patrocinio per cause promosse contro le Società del Gruppo, Agenzia delle Entrate e INPS), trattandosi di causa di esclusione che recepisce il principio di prevenzione dei conflitti tra interessi contrapposti sancito dal Codice deontologico forense -che impone all’avvocato di astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale (art. 24)- e che dunque è connaturato alla peculiare qualifica professionale degli operatori economici interessati alla procedura di selezione in esame.
Quanto al requisito dell’insussistenza di cartelle di pagamento complessivamente di importo superiore a 1.000,00 euro per le quali risulti morosità (dove per morosità si intende la sussistenza di cartella di pagamento o avviso di accertamento esecutivo o avviso di addebito scaduto ed impagato per debiti complessivi superiori a 1.000,00 euro), si rappresenta che il “livello di moralità” che il contraente con la pubblica amministrazione deve possedere è già stato stabilito dal legislatore, per ciò che concerne la regolarità contributiva, con i parametri di cui al comma 4 dell’art. 80. Richieste più stringenti, se non previste da altre disposizioni di legge vigenti, sono da ritenersi sproporzionate e lesive della par condicio.
Infine, per ciò che concerne i requisiti speciali, si evidenzia che le stazioni appaltanti, anche nel caso di appalti esclusi, hanno facoltà di richiedere, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, requisiti minimi di idoneità tecnica ed economica, anche diversi da quelli previsti dal Codice, al fine di garantire un determinato livello di affidabilità dell’aggiudicatario sul piano economico-finanziario e tecnico-organizzativo (Parere sulla Normativa 27.05.2015 - rif. AG 37/2015/AP).
Deve ovviamente trattarsi di requisiti individuati «tenendo conto della natura del contratto ed in modo proporzionato al valore dello stesso; in ogni caso, detti requisiti non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza» (determinazione 10.10.2012 n. 4). Alla stregua dei richiamati parametri, il requisito di cui alla lettera (c) del richiamato elenco (volume di affari negli ultimi tre anni di 120.000,00 euro) potrebbe apparire sproporzionato e potenzialmente discriminatorio nei confronti di soggetti che abbiano maturato una esperienza specifica nel settore del contenzioso della riscossione che, per stessa ammissione dell’istante, è caratterizzato da elevata numerosità degli incarichi con compensi non rilevanti.
Il Consiglio
ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
il patrocinio legale è un appalto di servizi escluso dall’ambito di applicazione del Codice e va affidato nel rispetto dei principi di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Non è conforme ai richiamati principi l’affidamento tramite elenco di professionisti per il quale è congiuntamente previsto un numero massimo di iscritti, un termine di 60 gg. per la presentazione delle richieste di iscrizione e la durata triennale dell’iscrizione
(Parere sulla Normativa 09.11.2016 n. 1158 - rif. AG 45/2016/AP - link a www.anticorruzione.it).

agosto 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 17. Affidamento di servizi legali.
Il decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, nell'innovare la disciplina dell'affidamento degli incarichi legali, li definisce come appalti di servizi ed opera una classificazione individuando sostanzialmente due categorie di servizi legali, differenziate in base alla loro natura:
1) i servizi elencati all'art. 17, comma 1, lett. d), (per lo più connessi alla gestione del contenzioso) che soggiacciono alla disciplina codicistica soltanto per il rispetto dei principi generali delineati all'art. 4;
2) le prestazioni legali diverse da quelle lì individuate, che rientrano invece nei servizi di cui all'allegato IX, per il cui affidamento è necessario applicare il Codice dei contratti (con alcune differenziazioni in tema di pubblicità).

Il Comune chiede un parere con riferimento alla procedura da seguire per l'affidamento dei servizi legali di cui all'art. 17 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, nell'ambito delle previsioni contenute nel nuovo Codice degli appalti, che ha apportato significative modifiche alla disciplina di tale settore.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Preliminarmente pare utile ricordare che in base alla normativa previgente, rinvenibile nel decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, i servizi legali (non meglio specificati) erano ricompresi nei servizi elencati all'allegato II B; di conseguenza a tali affidamenti, considerati parzialmente esclusi, si applicavano soltanto alcune norme del D.Lgs. 163/2006
[1].
Al riguardo, la giurisprudenza
[2] e l'AVCP [3] distinguevano il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale, che configurava un contratto d'opera intellettuale sottratto alla disciplina del codice, dalla attività di assistenza e consulenza giuridica a carattere complesso, che costituiva invece un appalto di servizi.
Con il nuovo Codice dei contratti il legislatore ha innanzitutto definito i servizi legali come appalti di servizi (art. 17, comma 1), ed ha quindi operato una sorta di classificazione di tali servizi legali, determinando il superamento della distinzione in base alla funzione degli affidamenti (prestazioni complesse e strutturate o incarichi di patrocinio/difesa legale, collegati a necessità contingenti).
L'art. 17, comma 1, lettera d), elenca una serie di servizi legali che non soggiacciono all'applicazione delle disposizioni del Codice (fatto salvo il rispetto, come si dirà nel prosieguo, dei principi di cui all'art. 4); tutti gli altri servizi legali lì non individuati rientrano invece nei servizi di cui all'allegato IX, per i quali trova applicazione il Codice, con alcune differenziazioni in tema di pubblicità.
Nel dettaglio, non sottostanno alla disciplina codicistica i servizi di:
'1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n. 31, e successive modificazioni:
   1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell'Unione europea, un Paese terzo o dinanzi a un'istanza arbitrale o conciliativa internazionale;
   1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell'Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;
2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1.1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell'articolo 1 della legge 09.02.1982, n. 31, e successive modificazioni;
3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;
4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;
5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri; (...)
'.
Tutti gli altri servizi legali non indicati all'articolo citato, e riferibili sostanzialmente alle prestazioni di un avvocato non connesse al contenzioso, vengono invece ricompresi, come anticipato, nei servizi di cui all'allegato IX, per i quali è previsto l'affidamento con l'applicazione quasi integrale del Codice.
Infatti l'art.35, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 50/2016 prevede l'applicazione ai servizi indicati all'allegato IX delle norme del nuovo Codice al superamento della soglia prevista di 750.000 euro e introduce un regime differenziato soltanto per quanto concerne la pubblicazione degli avvisi (art. 142).
[4]
Per quanto riguarda invece le procedure di affidamento dei contratti sotto soglia, compresi quelli relativi ai servizi specifici elencati all'allegato IX per i quali, come detto, la soglia prevista è di 750.000 euro, si rinvia alle Linee guida fornite dall'ANAC, approvate dal Consiglio dell'Autorità nell'adunanza del 28.06.2016.
Per contro, con riferimento ai servizi legali elencati all'art. 17, comma 1, lett. d), è opportuno tenere presente che l'affidamento dei contratti esclusi (in tutto o in parte) deve comunque avvenire nel rispetto dei principi di 'economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità pubblicità (...)' richiamati dall'art. 4.
Ne deriva che le amministrazioni sono tenute a definire le procedure di affidamento dei servizi legali di gestione del contenzioso garantendo adeguate forme di pubblicità e di tutela della concorrenza.
[5]
---------------
[1] L'art. 20, comma 1, del D.Lgs. 163/2006 così recitava: 'L'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dall'articolo 68 (specifiche tecniche), dall'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall'articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).' Parimenti, agli affidamenti di contratti aventi ad oggetto servizi esclusi, in tutto od in parte, dall'ambito di applicazione del Codice, si applicava anche l'art. 27, il cui comma 1 disponeva il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.
[2] Nella sentenza n. 2730 dell'11.05.2012, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato rimarcava l'esistenza di una 'differenza ontologica che, ai fini della qualificazione giuridica delle fattispecie e delle ricadute ad essa conseguenti in materia di soggezione alla disciplina recata dal codice dei contratti pubblici, connota l'espletamento del singolo incarico di patrocinio legale, occasionato da puntuali esigenze di difesa dell'ente locale, rispetto all'attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell'oggetto e dalla predeterminazione della durata. Tali elementi di differenziazione consentono, infatti, di concludere che, diversamente dall'incarico di consulenza e di assistenza a contenuto complesso, inserito in un quadro articolato di attività professionali organizzate sulla base dei bisogni dell'ente, il conferimento del singolo incarico episodico, legato alla necessità contingente, non costituisca appalto di servizi legali ma integri un contatto d'opera intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in materia di procedure di evidenza pubblica'.
[3] L'AVCP (ora ANAC), nella determinazione n. 4 del 07.07.2011, affermava che 'il patrocinio legale, cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, sia inquadrabile nell'ambito della prestazione d'opera intellettuale, in base alla considerazione per cui il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richieda qualcosa in più, 'un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa' (cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione n. 19/2009/PAR)'.
[4] Si veda ANAC, FAQ sul D.Lgs. 50/2016 nel periodo transitorio, allegate al Comunicato del Presidente dell'08.06.2016, con riferimento ai servizi sociali rientranti nell'allegato IX.
[5] Si vedano, in dottrina, A. BARBIERO, 'Appalti: per gli incarichi agli avvocati serve la «mini-gara» pubblica' su Il Sole 24 Ore di lunedì 16.05.2016; L. OLIVERI, 'Servizi legali, il nuovo codice dei contratti chiarisce che sono appalti - no intuitu personae' su luigioliveri.blogspot.it; G. PISANO, 'L'affidamento dei servizi legali. Prime considerazioni alla luce del nuovo codice degli appalti (d.lgs. 19.04.2016, n 50)' su www.gianlucapisano.it
(10.08.2016 -
link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla possibilità da parte del Comune, privo di un servizio interno di avvocatura, di affidare annualmente un appalto per l’affidamento dello svolgimento del servizio di assistenza legale “che si sostanzi in un servizio di consulenza legale oltre che di patrocinio dell’ente nelle possibili vertenze che possano coinvolgere l’Ente in sede civile, amministrativa, tributaria ed anche penale".
Questa Sezione
non può fornire indicazioni puntuali sul versante gestionale, esprimendosi sul quesito nei termini formulati dall’Ente, per dirimere il dubbio relativo alla conferibilità in concreto di appalti annuali per l’affidamento dei servizi di rappresentanza e consulenza legale al di fuori delle garanzie previste dal codice dei contratti pubblici per i servizi “non esclusi”, trattandosi di questione la cui soluzione si presenta prodromica all’adozione di concreti atti gestionali, la cui valutazione spetta alla specifica attribuzione dei competenti organi comunali (organi politici coadiuvati ex art. 97 del T.U.E.L. dagli organi gestionali dell’Ente).
----------------

PREMESSO
che con nota indicata in epigrafe, non inoltrata a questa Sezione tramite il C.A.L., il Sindaco del Comune di Bracciano (RM) formulava richiesta di parere in ordine alla possibilità da parte del Comune, privo di un servizio interno di avvocatura, di affidare annualmente un appalto per l’affidamento dello svolgimento del servizio di assistenza legale “che si sostanzi in un servizio di consulenza legale oltre che di patrocinio dell’ente nelle possibili vertenze che possano coinvolgere l’Ente in sede civile, amministrativa, tributaria ed anche penale là dove si configuri l’opportunità che il Comune di Bracciano si costituisca parte civile nell’ambito di procedimenti penali.
A tal fine precisava che l’art. 17 del D.Lgs. n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici) esclude gli appalti concernenti i servizi legali anche di consulenza dall’applicazione delle disposizioni del codice e, trattandosi di servizi “esclusi”, pare consentire il conferimento del patrocinio e della consulenza legale attraverso un appalto di servizio, da effettuarsi in applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016 e nel rispetto dei principi da esso elencati.
Concludeva, pertanto, chiedendo se fosse legittimo per l’Ente procedere all’affidamento di un appalto annuale di servizi di rappresentanza e consulenza legali in applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016, al fine di velocizzare e semplificare l’azione amministrativa, “senza incorrere nel rischio di successive censure e/o contenziosi.
CONSIDERATO
che le Sezioni Regionali di controllo della Corte dei Conti sono investite, ex art. 7, comma 8, della L. n. 131/2003, del potere di rendere pareri, ma che l’esercizio di siffatta funzione consultiva è subordinato alla previa verifica in concreto della coesistenza di due noti requisiti di ammissibilità: la legittimazione soggettiva dell’organo richiedente, che deve essere il legale rappresentante pro tempore di uno degli Enti previsti dalla L. n. 131 del 2003 e, sotto il profilo oggettivo, l’attinenza del quesito prospettato alle materie di contabilità pubblica.
Nel caso di specie, relativamente alla sussistenza del profilo soggettivo, la richiesta di parere è ammissibile, in quanto presentata a firma del Sindaco pro-tempore, soggetto munito di generali poteri di rappresentanza politico-istituzionale e dunque legittimato ad esprimere la volontà e ad impegnare l’Ente locale verso l’esterno (art. 50 TUEL).
Occorre comunque segnalare che la richiesta di parere è stata inoltrata a codesta Sezione direttamente dal Comune a mezzo PEC, senza seguire la vigente procedura, che ne prescrive l’invio di norma per il tramite del Consiglio delle Autonomie Locali (C.A.L.), previsto dall’art. 123, comma 4, Cost. ed istituito dall’art. 66 dello Statuto della Regione Lazio, nonché disciplinato -nei suoi profili attuativi- dalla legge regionale n. 1/2007, organo del quale -da tempo- la Sezione sollecita il concreto svolgimento della funzione di “filtro” attribuitagli a livello ordinamentale e ribadita dalla Sezione delle Autonomie (delib. n. 13/AUT/07), per agevolare la pronta ed omogenea risoluzione delle questioni interpretative di contabilità pubblica nell’ambito del territorio regionale di riferimento.
Sotto il profilo oggettivo, invece, la richiesta di parere verte su questione avente per oggetto l’interpretazione di due norme del codice dei contratti pubblici: gli articoli 4 e 17 del D.Lgs. n. 15 del 2016, di cui appare quanto meno dubbia la riconducibilità alla materia della “contabilità pubblica”, al fine di poter ritenere esercitabile la funzione consultiva, pur essendo foriera la loro applicazione in termini diversi da parte dell’Ente di probabili effetti finanziari riflessi.
Occorre preliminarmente ricordare che la nozione di contabilità pubblica che rileva nell’esercizio della funzione consultiva è, com’è noto, più ristretta di quella generale, anche considerato che la funzione consultiva di cui al comma 8 dell’art. 7 della legge n. 131/2003 deve essere in ogni caso ricollegata al precedente comma 7, che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, nonché la sana gestione finanziaria degli Enti locali. Sul punto, sono anzitutto di ausilio gli indirizzi ed i criteri generali elaborati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti ed esplicitati, in particolare, nell’atto di indirizzo del 27.04.2004, nonché nella deliberazione n. 5/AUT/2006 del 10.03.2006.
In quest’ultima, premesso che la funzione consultiva della Corte non può “investire qualsiasi attività degli enti che abbia comunque riflessi di natura finanziaria-patrimoniale…con l’ulteriore conseguenza che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie locali”, si è voluto restringere l’ambito oggettivo della nozione di contabilità pubblica, limitandolo alla normativa disciplinante, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, compresi, in particolare, la disciplina dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziario-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli.
Al riguardo, le Sezioni Riunite della Corte dei conti, intervenendo qualche anno dopo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, co. 31, del D.L. 01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102, hanno delineato un concetto unitario di contabilità pubblica, incentrato sulla tradizionale nozione di “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici”, da integrarsi in senso dinamico, ossia da intendersi “in continua evoluzione in relazione alle materie che incidono direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio”.
Tale accezione dinamica della “contabilità pubblica” pare consentire un ampliamento dell’angolo visuale rispetto al tradizionale contesto della gestione del bilancio, giungendo ad attrarre nell’orbita dell’attività consultiva della Corte ulteriori materie, che ne resterebbero altrimenti estranee, ma che vengono ad esservi ricomprese, in quanto afferenti ad aspetti che implicano problematiche interpretative inerenti a statuizioni recanti limiti e divieti “strumentali al raggiungimento degli specifici obiettivi di contenimento della spesa ed idonei a ripercuotersi sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui relativi equilibri di bilancio” (SS.RR. delibera n. 54, del 17.11.2010).
Ne discende che –allo stato– sono suscettibili di essere esaminate in sede consultiva, non soltanto le questioni tradizionalmente riconducibili al concetto di contabilità pubblica intesa come sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici, ma “anche quelle materie che risultano connesse alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica ed in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio” (come ribadito, anche successivamente, da SS.RR., delibera n. 14 dell’08.03.2011).
La Sezione Autonomie ha operato ulteriori precisazioni rilevando come, pur costituendo la materia della contabilità pubblica “una categoria concettuale estremamente ampia”, i criteri utilizzabili per valutare ammissibile, sotto il profilo oggettivo, una richiesta di parere possono essere, oltre al “riduttivo ed insufficiente…criterio dell’eventuale riflesso finanziario di un atto…sul bilancio dell’ente”, anche l’attinenza del quesito proposto “ad una competenza tipica della Corte dei conti in sede di controllo sulle autonomie territoriali” (deliberazione n. 3/2014/SEZAUT). Competenza tipica che -in relazione alla materia degli appalti pubblici disciplinata dall’apposito codice (D.Lgs. n. 15/2016)- non si rinviene, trattandosi di profili pertinenti e riconducibili ad altri organi e plessi giudiziari.
È appena il caso di osservare che il sindacato di legittimità sulle delibere di conferimento di servizi legali, anche in assenza di selezione pubblica è devoluto alla giurisdizione del G.A. (in tal senso, espressamente, Tar Campania, Salerno, sez. II – Sentenza 16.07.2014 n. 1383), per cui ove si opinasse diversamente si creerebbe anche il rischio di interferenza nel senso che, ove fosse reso, il parere potrebbe giungere ad interferire con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali demandate per legge ad altri ordini magistratuali.
Ciò posto, deve anche ribadirsi che la funzione consultiva non può svolgersi in ordine a quesiti concreti che implichino valutazioni di comportamenti amministrativi riservati al giudizio discrezionale dell’Ente e ciò all’evidente fine sia di tutelare l’autonomia decisionale dell’amministrazione, sia di mantenere la necessaria posizione di neutralità e di indipendenza della Corte dei conti.
Possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei Conti le sole questioni volte ad ottenere l’esame, da un punto di vista astratto e generale, di una normativa contabile al fine di dirimerne un dubbio ermeneutico, dovendo quindi ritenersi inammissibili le richieste concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici o in cui difetta -come nel caso specifico- la sussistenza di un dubbio ermeneutico da sciogliere sotto il profilo giuscontabilistico.
Non è possibile, pertanto, scendere in valutazioni suscettibili di determinare un’ingerenza nella discrezionale attività dell’Ente, né l’ausilio consultivo può tramutarsi in una sorta di autorizzazione preventiva a provvedere idonea ad esonerare da responsabilità amministrativo-contabile o di altro genere. Ciò in quanto è d’uopo ribadire che il limite conformativo della funzione consultiva esclude qualsiasi possibilità di interferenza con la concreta attività gestionale ed amministrativa ricadente nell’esclusiva competenza dell’Ente locale.
Questa Sezione, perciò, non può fornire indicazioni puntuali sul versante gestionale, esprimendosi sul quesito nei termini formulati dall’Ente, per dirimere il dubbio relativo alla conferibilità in concreto di appalti annuali per l’affidamento dei servizi di rappresentanza e consulenza legale al di fuori delle garanzie previste dal codice dei contratti pubblici per i servizi “non esclusi”, trattandosi di questione la cui soluzione si presenta prodromica all’adozione di concreti atti gestionali, la cui valutazione spetta alla specifica attribuzione dei competenti organi comunali (organi politici coadiuvati ex art. 97 del T.U.E.L. dagli organi gestionali dell’Ente) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio, parere 01.08.2016 n. 97).

luglio 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: Parcelle, non serve nota spese. Per dimostrare che il compenso è al di sotto dei minimi. AVVOCATI/ Per la Cassazione è sufficiente descrivere in modo succinto le prestazioni.
Nel caso in cui a un avvocato vengano liquidati compensi al di sotto dei minimi, per verificare tale violazione in appello non sarà necessario produrre la nota spese.

Lo hanno stabilito i giudici della VI-2 Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 13.07.2016 n. 14342.
Nel processo di appello del caso sottoposto all'attenzione dei giudici di piazza Cavour, il giudice si era espresso in questi termini: «la parte appellante non produce alcuna nota spese e non specifica le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in onore (...) tale difetto vale a giustificare la statuizione di inammissibilità dell'appello, in ragione della inidoneità delle censure a consentire, comunque, la rideterminazione dei compensi professionali».
Gli Ermellini hanno, quindi, osservato come dal punto di vista sostanziale l'avvocato che si era rivolto alla Cassazione si era doluto con l'appello dell'evidente inadeguatezza della liquidazione delle spese operata dal primo giudice, effettuata globalmente e palesemente al di sotto dei minimi tariffari applicabili.
Pertanto, a parere dei giudici della suprema corte, dall'evidenza di tali doglianze sarebbe stato possibile consentire all'appellante di «prospettare le censure in termini sintetici, senza ulteriormente dettagliare le attività svolte, avendo sufficientemente descritto nello svolgimento del processo (risultante comunque dagli atti), le attività che necessariamente erano state espletate per giungere alla pronuncia della sentenza di primo grado».
Inoltre, nel caso di specie, tutte le indicazioni necessarie per individuare il valore della causa erano state fornite dall'avvocato in sede di appello, ed era apparso chiaro come la selezione della tariffa professionale applicabile (e dei relativi importi quanto meno nella loro misura minima) fosse attuabile in modo del tutto agevole attraverso il tipo di controversia e le date di inizio e di fine del giudizio.
Né, secondo i giudici della Cassazione, era necessario depositare una nota spese, che avrebbe invece imposto al giudice di operare l'ulteriore analitico esame di tutte le voci esposte. Pertanto, gli Ermellini hanno concluso osservando che il giudice d'appello, a fronte di censure che in sintesi indicavano la liquidazione effettuata al di sotto dei minimi e in modo largamente insufficiente, avrebbe dovuto verificare se, applicando i minimi inderogabili alle attività necessariamente svolte per l'espletamento della causa, sussistesse o meno la violazione indicata.
Qualora la verifica avesse dato esito positivo (in pratica la violazione dei minimi inderogabili) e in assenza di notula lo stesso giudici di appello avrebbe poi dovuto procedere ad una liquidazione secondo tariffa e con riguardo alle attività effettivamente e necessariamente svolte con esclusione di tutte le altre non documentate (articolo ItaliaOggi Sette del 25.07.2016).

maggio 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: L’applicazione di qualunque regola di finanza pubblica impone di definire, a priori, l’ambito oggettivo di applicazione della norma, nel caso di specie della corretta qualificazione di un incarico affidato a un professionista esterno.
Quest’ultimo, infatti, è generalmente riconducibile, per il diritto civile, al contratto d’opera (art. 2222 cod. civ.) e, più di preciso, al contratto d’opera intellettuale (art. 2229 cod. civ.).
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Il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 del codice civile) e contratto d’appalto di servizi (art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al codice civile, nel carattere personale o intellettuale delle prestazioni, nel primo caso, e nella natura imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo.
L’appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia da quest’ultimo in ordine al profilo dell’organizzazione, atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con mezzi e personale che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.). Il prestatore d’opera, di converso, pur avendo anch’egli l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione.
La delimitazione fra contratto d’opera intellettuale e contratto d’appalto di servizi sfuma, come accennato, in sede di applicazione della disciplina, di derivazione comunitaria, sui contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 e, in precedenza, d.lgs. n. 163 del 2006), che, come noto, impone predeterminate procedure amministrative, ad evidenza pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da parte delle pubbliche amministrazioni (o dei soggetti, anche privati, a queste ultime assimilati).
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Secondo una parte della giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Latina, sentenza 20.07.2011 n. 604), infatti, il codice dei contratti pubblici attrae nella nozione di appalto di servizi anche le prestazioni d’opera intellettuale, imponendo di considerare appaltatore non solo chi è tale in base alla nozione civilistica, ma anche il professionista che partecipa ad una gara pubblica per l’affidamento di un servizio di natura intellettuale. Altra giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730) valorizza, invece, le differenze fra i due contratti ai fini delle conseguenti ricadute in materia di soggezione al codice dei contratti pubblici. In tale prospettiva, è stato ritenuto elemento qualificante dell’appalto di servizi, oltre alla complessità dell’oggetto, la circostanza che l’affidatario dell’incarico necessiti, per l’espletamento, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una nozione ampia di appalto di servizi, che comprende, in alcuni casi, anche l’attività del professionista intellettuale. Si tratta di nozione finalizzata ad estendere l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 (in aderenza, da ultimo, alle direttive comunitarie del 26.02.2014, n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, tese a favorire il confronto concorrenziale fra operatori economici, la libera circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento).
Tale nozione, come accennato,
non si ripercuote, tuttavia, sulle definizioni di contratto di prestazione d’opera, di prestazione d’opera intellettuale o di appalto di servizi, come delineate dal codice civile, posto che il codice dei contatti pubblici è teso a disciplinare le procedure di affidamento di un’ampia gamma di contratti, che, pur definiti come “appalto”, comprendono una serie eterogena di negozi civilistici (per esempio, somministrazione, mandato, trasporto, assicurazione etc., cfr. art. 1, comma 1, lett. dd), ii) ed ss) del d.lgs. n. 50 del 2016).
Con riferimento alla fattispecie concreta, va tuttavia ribadito come spetti al Comune istante valutare se, in concreto, ricorrano i presupposti per qualificare gli incarichi tecnico-professionali che intende affidare in termini di contratto d’opera intellettuale o di appalto di servizi.
Attenendosi ai soli elementi desumibili dalla richiesta di parere, la Sezione osserva che
la prestazione sembra necessitare di competenze tecniche (e, come tale, deve essere resa da soggetto qualificato e regolarmente iscritto nell’albo professionale), ma non pare ravvisarsi la necessità di un’organizzazione aggiuntiva (tipica dell’appalto).
La necessità di utilizzare, da parte di un professionista, mezzi compresi fra gli ordinari strumenti cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque lavoratore del settore, non è sufficiente a ritenere che, per il diritto civile, il contratto debba essere inquadrato nell’appalto di servizi.
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La Sezione ricorda che i principi di unità e universalità, propri dei bilanci degli enti locali (cfr. Allegato 1 al d.lgs. n. 118 del 2011), come di tutte le pubbliche amministrazioni, comportano che tutte le entrate e le spese sostenute da un ente transitino per il bilancio (mentre le gestioni fuori bilancio o le contabilità separate sono ammesse solo nei casi previsti dalla legge), imponendo, pertanto, che l’eventuale contributo finanziario di un qualunque terzo (concretante un atto di liberalità) debba essere accertato e incassato dal Comune beneficiario e, successivamente, finalizzato all’assunzione dell’impegno di spesa per il pagamento del professionista incaricato.
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Il Sindaco del Comune di Grassobbio (BG), con nota del 06.05.2016, ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto i limiti finanziari agli incarichi di consulenza.
Premette che il Comune ha un cospicuo fondo cassa (euro 13.562.052), un congruo avanzo d'amministrazione (euro 4.891.491) ed una spesa di personale (euro 1.061.538) peri a circa un quarto di quella corrente. Tuttavia, nel 2009, aveva sostenuto spese per consulenze per soli euro 3.182.
Nel 2016, l’Ente riferisce di avere la necessità d'incaricare alcuni avvocati per la predisposizione delle norme della variante del Piano di governo del territorio e di altre specifiche e delicate regolamentazioni, ma, riferisce il Sindaco, secondo il segretario ed il revisore dei conti, queste spese sono da includere fra quelle di consulenza (e non di appalti di servizi), per le quali occorre osservare il limite del 20% della spesa sostenuta nel 2009 allo stesso titolo.
L’istanza ricorda, altresì, come la Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 26/2013/QMIG, abbia stabilito, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 139 del 2012, che è possibile prendere in esame non le varie tipologie di spese soggette a limite, ma la loro somma totale.
Il quesito richiama, inoltre, un ulteriore limite finanziario, in base al quale le spese per consulenze devono comunque essere contenute nella percentuale del 4,2% di quelle per il personale (tetto che, per il Comune istante, ammonterebbe, nel 2016, a circa 42.000 euro). Tuttavia, secondo il segretario ed il revisore, prosegue il Sindaco, questo limite concorre con quello del 20% del 2009, per cui il tetto per l’Ente sarebbe di euro 636 (20% di euro 3.182).
Il Sindaco istante ritiene evidente che si tratti di una situazione imbarazzante ed ingiusta, posto che gli enti locali che, negli anni precedenti, sono stati più virtuosi vengono penalizzati.
Sulla base di tali premesse, in relazione al potenziale conferimento di incarichi legali per la predisposizione delle norme della variante del Piano di governo del territorio e di altre specifiche regolamentazioni, pone quattro quesiti:
   1) con il primo, se gli incarichi in discorso siano qualificabili come consulenze o appalti di servizi;
   2) con il secondo, quali siano le spese soggette a limite da prendere in esame e se, tra esse, vanno inserite anche le spese per collaborazioni continuative;
   3) con il terzo, quali siano i limiti finanziari da rispettare;
   4) con il quarto, se sia possibile per il Sindaco, previo conferimento in base alle procedure di legge, pagare i professionisti incaricati direttamente di tasca propria ovvero rimborsare al Comune, sempre di tasca propria, le spese sostenute. Quest’ultima eventuale iniziativa, al fine di non incorrere in danni erariali.
...
   I. La distinzione fra contratti d’opera e contratti di appalto di servizi
Come più volte ribadito nelle pronunce della magistratura contabile (da ultimo, si rinvia a SRC Liguria, deliberazioni n. 54/2015/PAR e n. 79/2015/PAR),
l’applicazione di qualunque regola di finanza pubblica impone di definire, a priori, l’ambito oggettivo di applicazione della norma, nel caso di specie della corretta qualificazione di un incarico affidato a un professionista esterno. Quest’ultimo, infatti, è generalmente riconducibile, per il diritto civile, al contratto d’opera (art. 2222 cod. civ.) e, più di preciso, al contratto d’opera intellettuale (art. 2229 cod. civ.).
Le norme di finanza pubblica, tuttavia, fanno consueto riferimento (si rinvia, appunto, all’art. 6, comma 7, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla legge 30.07.2010, n. 122 o all’art. 1, comma 5, del decreto-legge 31.08.2013, n. 101, convertito dalla legge 30.10.2013, n. 125), nel definire divieti o limitazioni di spesa, ai “contratti di consulenza” (spesso affiancati a quelli di studio o di ricerca) o, in altri casi, ai “contratti conferibili ai sensi dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165” (cfr., per esempio, art. 17, comma 30, del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, convertito dalla legge 03.08.2009, n. 122), norma che disciplina i presupposti e la procedura per il conferimento di incarichi a soggetti terzi mediante contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa.
Appare anche opportuno precisare che alcuni rapporti negoziali, qualificabili, per il diritto civile, come contratti d’opera o di opera intellettuale, sono stati attratti, in punto di procedure per l’affidamento, alla disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici (dlgs 19.04.2016, n. 50), che, in esecuzione a specifiche direttive comunitarie, nel delineare l’ambito oggettivo di applicazione, contiene una definizione di “contratto di appalto di servizi” (cfr. art. 3, comma 1, lett. dd), ii) ed ss) del d.lgs. n. 50 del 2016 e, in precedenza, art. 3, commi 3, 6 e 10 del d.lgs. n. 163 del 2006) molto più ampia di quella del codice civile, attraendo anche negozi qualificabili come contratti d’opera o di opera intellettuale.
Sul punto, si rinvia, per gli aspetti di carattere generale, alle numerose pronunce rese in materia dalla magistratura contabile, fra le quali possono ricordarsi, senza pretesa di esaustività, Sezioni Riunite in sede di controllo, deliberazione n. 6/CONTR/2005 del 15.02.2005; Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 6/AUT/2008; Sezione regionale di controllo la Lombardia, deliberazioni n. 355/2012/PAR, n. 51/2013/PAR, n. 236/2013/PAR e n. 178/2014/PAR.
Il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 del codice civile) e contratto d’appalto di servizi (art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al codice civile, nel carattere personale o intellettuale delle prestazioni, nel primo caso, e nella natura imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo.
L’appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia da quest’ultimo in ordine al profilo dell’organizzazione, atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con mezzi e personale che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.). Il prestatore d’opera, di converso, pur avendo anch’egli l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione.
La delimitazione fra contratto d’opera intellettuale e contratto d’appalto di servizi sfuma, come accennato, in sede di applicazione della disciplina, di derivazione comunitaria, sui contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 e, in precedenza, d.lgs. n. 163 del 2006), che, come noto, impone predeterminate procedure amministrative, ad evidenza pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da parte delle pubbliche amministrazioni (o dei soggetti, anche privati, a queste ultime assimilati).

Secondo una parte della giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Latina, sentenza 20.07.2011 n. 604), infatti,
il codice dei contratti pubblici attrae nella nozione di appalto di servizi anche le prestazioni d’opera intellettuale, imponendo di considerare appaltatore non solo chi è tale in base alla nozione civilistica, ma anche il professionista che partecipa ad una gara pubblica per l’affidamento di un servizio di natura intellettuale. Altra giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730) valorizza, invece, le differenze fra i due contratti ai fini delle conseguenti ricadute in materia di soggezione al codice dei contratti pubblici. In tale prospettiva, è stato ritenuto elemento qualificante dell’appalto di servizi, oltre alla complessità dell’oggetto, la circostanza che l’affidatario dell’incarico necessiti, per l’espletamento, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una nozione ampia di appalto di servizi, che comprende, in alcuni casi, anche l’attività del professionista intellettuale. Si tratta di nozione finalizzata ad estendere l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 (in aderenza, da ultimo, alle direttive comunitarie del 26.02.2014, n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE, tese a favorire il confronto concorrenziale fra operatori economici, la libera circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento).
Tale nozione, come accennato, non si ripercuote, tuttavia, sulle definizioni di contratto di prestazione d’opera, di prestazione d’opera intellettuale o di appalto di servizi, come delineate dal codice civile, posto che il codice dei contatti pubblici è teso a disciplinare le procedure di affidamento di un’ampia gamma di contratti, che, pur definiti come “appalto”, comprendono una serie eterogena di negozi civilistici (per esempio, somministrazione, mandato, trasporto, assicurazione etc., cfr. art. 1, comma 1, lett. dd), ii) ed ss) del d.lgs. n. 50 del 2016).
Con riferimento alla fattispecie concreta, posta all’odierno esame della Sezione, va tuttavia ribadito (cfr. SRC Liguria, deliberazione n. 79/2015/PAR) come spetti al Comune istante valutare se, in concreto, ricorrano i presupposti per qualificare gli incarichi tecnico-professionali che intende affidare in termini di contratto d’opera intellettuale o di appalto di servizi.
Attenendosi ai soli elementi desumibili dalla richiesta di parere, la Sezione osserva che
la prestazione sembra necessitare di competenze tecniche (e, come tale, deve essere resa da soggetto qualificato e regolarmente iscritto nell’albo professionale), ma non pare ravvisarsi la necessità di un’organizzazione aggiuntiva (tipica dell’appalto).
Come evidenziato in precedenti pareri (cfr., per esempio, SRC Lombardia, parere 20.05.2014 n. 178),
la necessità di utilizzare, da parte di un professionista, mezzi compresi fra gli ordinari strumenti cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque lavoratore del settore, non è sufficiente a ritenere che, per il diritto civile, il contratto debba essere inquadrato nell’appalto di servizi.
   II. Gli aggregati di spesa oggetto di limitazione
Con il secondo ed il terzo quesito, trattabili unitariamente, il Sindaco istante chiede di conoscere quali siano le spese vincolate da prendere in esame e se, tra esse, debbano essere inserite anche quelle per le collaborazioni coordinate e continuative. Di conseguenza, anche per queste ultime, chiede quali siano i limiti finanziari da rispettare.
   II.a) La Sezione evidenzia, in primo luogo, come i contratti di collaborazione coordinata e continuativa siano soggetti ad una differente norma limitativa di finanza pubblica, precisamente l’art. 9, comma 28, del citato decreto-legge n. 78 del 2010.
La ridetta norma dispone, infatti, che, dal 2011, le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di personale assunto a tempo determinato o con altri contratti c.d. flessibili (fra i quali annovera, espressamente, quelli di collaborazione coordinata e continuativa) nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Tale disposizione costituisce principio generale ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e quelli del servizio sanitario nazionale.
In particolare,
per gli enti locali, l’art. 11, comma 4-bis, del decreto-legge 24.06.2014, n. 90, introdotto dalla legge di conversione 11.08.2014, n. 114, ha inserito, nel citato comma 28, un ulteriore periodo, in base al quale le limitazioni ivi previste non si applicano agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale, di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge 27.12.2006, n. 296, e successive modificazioni. La spesa complessiva non può, comunque, essere superiore a quella sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 (sul punto, si rinvia alla deliberazione della Sezione delle Autonomine n. 2/2015/QMIG).
Le limitazioni poste agli enti locali alla spesa per il personale assunto a tempo determinato o con altri contratti c.d. flessibili sono state oggetti di svariate pronunce da parte delle Sezioni regionali e centrali (alle cui motivazioni e conclusioni può farsi rinvio), anche riguardo le modalità di applicazione da parte degli enti di minori dimensioni (si rinvia, per esempio, alla deliberazione delle Sezioni riunite n. 11/CONTR/2012).
   II.b)
Per quanto riguarda, invece, i contratti d’opera e di opera intellettuale (definiti nelle esaminate norme di finanza pubblica, come “incarichi di consulenza e studio”), l’art. 6, comma 7, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, come accennato nel precedente paragrafo, stabilisce che, a decorrere dal 2011, la spesa annua non possa essere superiore al 20% di quella sostenuta nel 2009.
Circa le concrete modalità applicative della norma, tuttavia, sia in sede consultiva (cfr., per esempio, SRC Liguria deliberazione n. 54/2015/PAR), che di verifica dei rendiconti consuntivi (cfr., per esempio, SRC Lombardia deliberazione n. 379/2013/PRSE), la magistratura contabile, al fine di valutare la misura e le modalità con cui la disciplina vincolistica influisce sullo spazio di autonomia gestionale proprio degli enti locali, ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 139 del 04.06.2012, nella quale è stato precisato che,
per questi ultimi, le disposizioni dell’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 "non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio”.
In particolare, dette disposizioni
non impongono al sistema delle autonomie l’adozione di tagli puntuali alle singole voci di spesa considerate dal legislatore, bensì costituiscono il riferimento per la determinazione dell’ammontare complessivo dell’obiettivo di riduzione, che ciascun ente locale può discrezionalmente rimodulare tra i diversi aggregati oggetto di limitazione.
Pertanto, nell'esercizio della propria autonomia, ove vi sia capienza di bilancio, gli enti locali conservano la facoltà anche di mantenere inalterata (o di incrementare) la spesa per consulenze, purché riducano, per percentuali superiori, le altre voci contemplate nell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 (missioni; formazione; relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; etc.).

In seguito, la Sezione delle autonomie di questa Corte, con la deliberazione n. 26/QMIG del 30.12.2013, ha ulteriormente esteso la possibilità, per gli enti locali, di operare compensazioni fra le spese costituenti i c.d. consumi intermedi, ammettendola con riferimento a tutte le norme di finanza pubblica ponenti dei limiti al ridetto aggregato (nell’occasione il problema afferiva all’inclusione, fra le riduzioni passibili di compensazione, dei limiti posti alla spesa per mobili e arredi dall’art. 1, commi 141 e 142, della legge 24.12.2012, n. 228). Il principio è stato poi ripreso dalle Sezioni regionali (da ultimo, si può far rinvio a SRC Sardegna, deliberazione n. 5/2016/PAR).
   II.c) L’art. 14, comma 1, del decreto legge n. 66 del 2014, convertito con la legge n. 89 del 23.06.2014, ha introdotto un diverso limite, che si aggiunge a quelli sopra esaminati.
La norma dispone, infatti, che, fermi restando i limiti derivanti dalle vigenti disposizioni, e in particolare dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010 e dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 101 del 2013,
le amministrazioni pubbliche …, a decorrere dall’anno 2014, non possono conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell’anno per tali incarichi è superiore rispetto alla spesa per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico, come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,4% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro”.
Analoga limitazione è stata introdotta, dal legislatore, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, precludendone il conferimento “
quando la spesa complessiva per tali contratti è superiore rispetto alla spesa del personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro”.
Va, tuttavia, ricordato, come il comma 4-ter della medesima disposizione, introdotto dalla legge di conversione n. 89 del 2014, consente alle regioni, alle province, alle città metropolitane ed ai comuni di rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione delle due sopraesposte limitazioni finanziarie agli incarichi di consulenza, studio e ricerca e di collaborazione.
In proposito, nell’istanza di parere il Sindaco evidenzia come, in base a quest’ultima limitazione normativa, il Comune potrebbe sostenere spese annuali per consulenze fino a 42.000 euro (onere che, in base ai dati di bilancio sinteticamente esposti, appare anche finanziariamente sostenibile). Tuttavia, questo vincolo, come sopra accennato, concorre con quello del 20% dell’impegnato 2009 (che il legislatore ha, espressamente, fatto salvo), per cui il tetto per l’Ente si riduce a soli euro 636 (il 20% di euro 3.182).
   II.d) Per quanto riguarda il profilo dell’assenza di spesa nell’anno base di riferimento preso in considerazione dalla norma statale di finanza pubblica (nel caso di specie, il 2009), la Sezione, poco dopo l’introduzione della norma in questione (cfr.
parere 29.04.2011 n. 227), ha osservato che la ratio sottesa alla legge è di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di consulenza e di studio. Tuttavia, il legislatore non ha inteso vietare agli enti locali la possibilità di conferire i ridetti incarichi esterni, quando ne ricorrono i presupposti. Pertanto, valorizzandone la ridetta finalità, di riduzione dell’incidenza di questa tipologia di spesa sui bilanci degli enti locali e non di divieto, si era giunti alla conclusione che per gli enti locali che, nel corso dell’anno 2009, non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze, andasse individuato un diverso, ma congruo e razionale, parametro di riferimento.
Era stato evidenziato che, ove non si fosse adottata questa interpretazione, la riduzione lineare prevista dal citato art. 6, comma 7, avrebbe finito per premiare proprio gli enti meno virtuosi, che, nel corso dell’anno 2009 (o in altri presi a riferimento dal legislatore statale), hanno sostenuto una spesa rilevante per consulenze (al contrario, il vincolo finanziario si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più virtuosi che, in quello stesso anno, non hanno sostenuto spese).
Pertanto, si era concluso nel senso che
il limite da osservare fosse quello della “spesa strettamente necessaria” che l’ente locale deve sostenere per conferire un incarico di consulenza o di studio. Quest’ultimo limite, a sua volta, diverrà il parametro finanziario per gli anni successivi.
In seguito, questo orientamento è stato ripreso dalla Sezione in relazione ad altre norme di finanza pubblica. Può farsi rinvio, per esempio, alla fattispecie dell’assenza di parametro di spesa nel caso dei limiti ai compensi agli amministratori di società partecipate (cfr. deliberazione n. 1/2015/PAR) o delle assunzioni a tempo determinato o con altri contratti c.d. flessibili (cfr. deliberazioni n. 157/2014/PAR e n. 215/2014/PAR).
Tuttavia,
la riferita interpretazione non è stata seguita nel caso in cui l’ente abbia sostenuto una spesa, anche se minima, nell’anno base di riferimento (in tema di consulenze, può farsi rinvio al
parere 28.03.2012 n. 88) o nell’ipotesi in cui la norma di finanza pubblica preveda essa stessa un parametro alternativo (cfr., in materia di assunzioni a tempo determinato, i citati parere 18.04.2013 n. 157 e n. 215/2014/PAR).
In questi ultimi casi, infatti, la difficoltà per l’interprete di stabilire fino a che punto una “spesa minima” possa essere assimilata ad una “spesa assente”, unitamente agli elementi di flessibilità applicativa affermati, per le autonomie locali, dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 139/2012, hanno indotto la Sezione, in attesa di auspicabili interventi chiarificatori o correttivi da parte del legislatore, a non estendere il principio di diritto affermato in caso di mancanza di spesa nell’anno base di riferimento.
   III. La possibilità di pagamento al consulente con fondi privati
Con il quarto quesito il Sindaco istante chiede se sia possibile, previo conferimento in base alle procedure di legge (il richiamo, implicito, è ai presupposti ed alle procedure comparative previste dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. 165 del 2001, ovvero, qualora l’incarico sia qualificabile come appalto di servizi, a quelle di gara poste dal d.lgs. n. 50 del 2016), pagare i professionisti direttamente di tasca propria o rimborsare al Comune le spese sostenute.
Sul punto, va premesso, in primo luogo, come
costituisca approdo ormai consolidato della giurisprudenza contabile il principio secondo cui, dal computo delle spese per consulenza (come dalle altre elencate dall’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 o da ulteriori norme di finanza pubblica), vadano escluse quelle coperte mediante finanziamenti finalizzati o risorse provenienti (per esempio, sponsorizzazioni) da altri soggetti, pubblici o privati (cfr., ex multis, le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo per l’Emilia Romagna, n. 233/2014/PAR, per la Lombardia, n. 398/2012/PAR, per il Piemonte, n. 40/2011/PAR).
Come affermato, infatti, nella deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo n. 7/CONTR del 07.02.2011,
in cui il principio era stato formulato proprio con riferimento alle spese per studi e consulenze, l’obiettivo comune di tali disposizioni finanziarie non è di limitare tout court i servizi e le funzioni realizzate a mezzo di determinate spese, bensì quello di ridurne l’impatto sul bilancio degli enti. Pertanto, ove tale incidenza non sussista o sia neutralizzata da una fonte esterna, la norma limitativa di spesa non trova applicazione.
Per quanto riguarda le specifiche modalità alternative proposte dal Sindaco istante, la Sezione ricorda che i principi di unità e universalità, propri dei bilanci degli enti locali (cfr. Allegato 1 al d.lgs. n. 118 del 2011), come di tutte le pubbliche amministrazioni, comportano che
tutte le entrate e le spese sostenute da un ente transitino per il bilancio (mentre le gestioni fuori bilancio o le contabilità separate sono ammesse solo nei casi previsti dalla legge), imponendo, pertanto, che l’eventuale contributo finanziario di un qualunque terzo (concretante un atto di liberalità) debba essere accertato e incassato dal Comune beneficiario e, successivamente, finalizzato all’assunzione dell’impegno di spesa per il pagamento del professionista incaricato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 30.05.2016 n. 162).

INCARICHI LEGALI: Legali in gara, quantum deciso dalla p.a..
Nel caso di partecipazione di un avvocato a una commissione di gara per un appalto pubblico non vanno applicate le tariffe professionali, bensì il compenso fissato dall'amministrazione.

Questo è quanto ha precisato la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 11.05.2016 n. 9659.
I giudici della Suprema corte, infatti, hanno rilevato come le tariffe professionali degli avvocati siano applicabili solo per quelle attività tecniche, o comunque collegate con prestazioni di carattere tecnico, che siano considerate nella tariffa, oggettivamente proprie della professione legale.
Tali attività devono essere specificamente riferite alla consulenza o assistenza delle parti in affari giudiziari o extragiudiziari e non possono essere, quindi, applicate, solo perché rese da un professionista iscritto all'albo, alle prestazioni svolte nell'ambito di una commissione mista, i cui atti siano imputabili esclusivamente all'organo collegiale.
Alla luce di queste considerazioni ne deriva che, nel caso in esame, in caso di commissione composta dal presidente dell'Ufficio regionale per i pubblici appalti, da tre professionisti ingegneri e/o architetti e da un professionista esperto in materie giuridiche, il compenso di quest'ultimo componente deve essere liquidato, sebbene avvocato, non applicando le tariffe professionali forensi, bensì secondo la misura stabilita dall'assessore regionale per i lavori pubblici, al quale, per legge regionale, spetta provvedere alla relativa determinazione (articolo ItaliaOggi Sette del 16.05.2016).

INCARICHI PROFESSIONALIPareri pure senza motivazione. Discrezionalità al Consiglio dell'Ordine degli avvocati. PARCELLE/ Il Tar Umbria sui compensi contenuti tra minimi e massimi tariffari.
I pareri di congruità espressi dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati sulla liquidazione delle parcelle professionali, contenuta tra i minimi ed i massimi tariffari, non richiedono specifica motivazione.

Lo ha precisato il TAR Umbria con la sentenza 10.05.2016 n. 395.
Nel caso in esame era stato chiesto l'annullamento del provvedimento con cui l'Ordine degli avvocati di Perugia aveva disposto la liquidazione di un compenso professionale pari a euro 16 mila per l'attività svolta da un avvocato nel corso di una controversia civile al fine di fare accertare il mancato rispetto delle distanze legali tra costruzioni e di chiedere la conseguente condanna a porre in essere le opere necessarie a eliminare il manufatto illecitamente realizzato.
Il ricorrente, sebbene la causa si fosse conclusa positivamente, a suo favore, aveva lamentato che tale provvedimento di liquidazione impugnato non conteneva alcuna motivazione.
I giudici amministrativi respingono il ricorso.
Il Collegio osserva, infatti, come il parere di congruità sulle parcelle professionali reso dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati sia un atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo. Tale atto non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale, ma implica una valutazione di congruità della prestazione.
Dal momento che tale valutazione di congruità non si esaurisce in un mero riscontro di conformità alla tariffa delle prestazioni professionali degli avvocati, la liquidazione così effettuata interviene nell'esercizio di un potere ampiamente discrezionale che -secondo i giudici amministrativi- se contenuta tra i minimi e i massimi tariffari non richiede alcuna precisa motivazione (articolo ItaliaOggi Sette del 16.05.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
Ciò precisato, va ricordato che secondo il costante indirizzo giurisprudenziale,
il parere di congruità sulle parcelle professionali reso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati è atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo, che non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale, ma implica una valutazione di congruità della prestazione.
Non esaurendosi dunque siffatta valutazione di congruità in un mero riscontro di conformità alla tariffa delle prestazioni professionali degli avvocati, la liquidazione così effettuata interviene nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale e, se contenuta tra i minimi ed i massimi tariffari
(il che non è contestato nella fattispecie), non richiede specifica motivazione, spettando al contrario al professionista che lo contesti dedurre e provare che il giudizio stesso si sia tradotto in una determinazione, che finisce con il prescindere dal considerare l’effettiva realtà delle prestazioni professionali rese (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 23.12.2010, n. 9352; Sez. IV, 24.12.2009, n. 8749).
La liquidazione della parcella del ricorrente non è dunque inficiata da vizio motivazionale, tanto più che, nella vicenda in esame, vi è stata la nota dell’Ordine degli Avvocati di Perugia in data 11.05.2015 che ha esplicitato al ricorrente come «le valutazioni di merito sono […] da ritenersi incorporate nelle annotazioni e nei depennamenti posti a margine della Sua nota, che prevedeva uno scaglione di riferimento differente rispetto a quanto dichiarato negli atti di causa».
Piuttosto, esaminando le censure del ricorrente, il Consiglio ha legittimamente preso a parametro lo scaglione di valore indeterminabile (alto), mentre il ricorrente aveva applicato quello del valore tra euro 500.000,00 ed euro 1.500.000,00; ed invero la domanda di accertamento della realizzazione di un edificio in violazione delle norme sulle distanze tra le costruzioni non consente di individuare il valore effettivo della controversia, e, del resto, lo stesso ricorrente aveva indicato un valore indeterminato ai fini del contributo unificato.
Il “pro-memoria” esplicativo del valore della causa, ipotizzante un intervento di demolizione e di consolidamento, anche a prescindere dalla sua attendibilità, non ha valore, in quanto attiene alla fase di esecuzione della sentenza.

INCARICHI PROFESSIONALI: Legali, niente tetto agli onorari nelle controversie sulle multe.
Il tetto per spese, competenze e onorari dei difensori nelle cause davanti al giudice di pace, introdotto dal decreto Salva Italia non opera nelle controversie di opposizione a ordinanza-ingiunzione, a verbale di accertamento per le violazioni al codice della strada e a cartella di pagamento laddove si denuncia la mancata notifica della multa.
E ciò perché deve ritenersi che la soglia introdotta dal dl 212/2011 operi soltanto nelle liti in cui il giudice di pace decide secondo equità, mentre nelle controversie inerenti le sanzioni amministrative si possono porre questioni complesse che implicano decisioni secondo diritto, anche se la parte opponente e la stessa amministrazione possono stare in giudizio di persona.

È quanto emerge dalla sentenza 05.05.2016 n. 8961 della VI Sez. civile della Corte di Cassazione.
È stato accolto il ricorso del trasgressore, dopo la sconfitta in sede di merito, quanto alla liquidazione di competenze e onorari. Anche secondo il tribunale se si litiga davanti al Gdp per una multa di 73 euro le spese di giustizia non potrebbero essere liquidate in misura superiore a 70. E invece no.
Il Salva Italia ha modificato l'art. 91 cpc introducendo il tetto alle spese di giustizia pari al valore della lite con un rinvio alle «cause previste dall'art. 82, comma 1 cpc»: quest'ultima norma dispone che «davanti al Gdp le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100».
Il legislatore, dunque, ha voluto mettere una soglia solo per le controversie che sono attribuite alla giurisdizione equitativa del Gdp: deve, infatti, ricordarsi l'art. 113 Cpc, comma 2, secondo cui il Gdp decide secondo equità le cause il cui valore non eccede 1.100 euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 cc.
La limitazione delle spese, quindi, riguarda le controversie nelle quali si può stare in giudizio da soli, mentre nelle cause sulle multe la difesa tecnica non solo è giustificata ma, in certi casi, indispensabile (articolo ItaliaOggi del 06.05.2016).

aprile 2016

INCARICHI PROFESSIONALIL'avvocato ha un tris di doveri. Sollecitazione, dissuasione e informazione al cliente. La Corte di cassazione passa in rassegna le modalità operative del professionista.
L'avvocato è tenuto ad assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, visto che lo stesso avvocato è tenuto a rappresentare all'assistito tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi.
È quanto ribadito dai giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 19.04.2016 n. 7708.
Inoltre, secondo una ormai consolidata giurisprudenza della stessa Cassazione (Cass., sez. 2ª, sentenza n. 14597 del 2004), è facoltà dell'avvocato quella di richiedere al cliente gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
I giudici hanno anche osservato che sarà onere dell'avvocato fornire la prova della condotta mantenuta e che al riguardo non potrà considerarsi sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, «trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio».
Secondo gli Ermellini, poi, l'attività del professionista legale tesa a persuadere il cliente al compimento o meno di un atto, ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo informativo, sarà concretamente inesigibile, oltre che contrastante, con il principio secondo cui l'obbligazione informativa dell'avvocato è un'obbligazione di mezzi e non di risultato.
Il difensore è tenuto a informare i clienti sui diversi punti della causa, e ciò si configura come dovere di diligenza (articolo ItaliaOggi Sette del 09.05.2016).
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MASSIMA
1.2.2. - La motivazione resa dalla Corte territoriale risulta esente da censura.
Non può ritenersi che il difensore avesse il dovere di insistere per ottenere il consenso della parte alla chiamata in causa del terzo: la diligenza cui era tenuto il difensore nell'esercizio del suo mandato era stata assolta nel momento in cui il cliente era stato informato sul punto (ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 24544 del 2009).
Vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone all'avvocato di assolvere -sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto- anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
E' vero, di conseguenza, che incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio
(Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597 del 2004).
Ciò detto,
è altresì vero che l'attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l'obbligazione informativa dell'avvocato è un'obbligazione di mezzi e non di risultato (ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 10289 del 2015).
1.2.3. - Nel caso di specie la scelta del cliente, di non chiamare in garanzia il terzo, era riconducibile a ragioni fattuali e non giuridiche, non esplicitate dal cliente al difensore, mentre la consapevolezza delle conseguenze giuridiche della mancata chiamata in garanzia, ossia l'impossibilità di  rivalersi sul garante, era contenuta nell'informazione resa in merito alla facoltà di chiamata in causa del terzo.
E del resto, il difensore non poteva prospettare in modo certo al proprio cliente la responsabilità della ditta installatrice dell'impianto di allarme, a fronte della pronuncia di merito che aveva ritenuto non accertato il nesso causale tra inidoneità o malfunzionamento dell'impianto e perpetrazione del furto.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge.
2. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo coma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello ritenuto che l'eventualità della chiamata in garanzia del terzo non implicasse la risoluzione di specifiche questioni processuali o di diritto sostanziale, ma fosse rimessa ad una valutazione di opportunità spettante al cliente e non sindacabile dal difensore.
2.1. - La doglianza è infondata.
2.1.1. - Il dovere di informazione del difensore si arrestava dinanzi alla prospettazione della possibilità di chiamare in garanzia la società che aveva installato l'impianto antifurto -peraltro, verificato pochi giorni prima del furto e risultato non manomesso dopo la perpetrazione del furto- e non residuavano altri oneri informativi o di sollecitazione che il difensore avrebbe potuto fornire, alla stregua di specifiche cognizioni giuridiche di cui disponeva, tanto più che la scelta della Sh.Te. di non chiamare in causa l'installatore era riconducibile a ragioni di opportunità, sulle quali il difensore non avrebbe potuto sindacare.

INCARICHI PROFESSIONALI: L'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone all'avvocato di assolvere -sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto- anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
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1. - Il ricorso è infondato.
1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt. 1176, 1218, 1375, 2229 e 2236 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello ritenuto che -a fronte di uno specifico dovere informazione nei confronti del proprio cliente in ordine all'opportunità di chiamare in causa il terzo- non era fonte di responsabilità professionale il comportamento omissivo dell'avvocato, che non aveva sollecitato il cliente dopo che questi aveva rifiutato l'ipotesi di effettuare la chiamata in causa del terzo.
1.2. - La doglianza è infondata.
1.2.1. - La Corte d'appello ha osservato che dalle prove raccolte (prova testimoniale diretta, testi Ro. e Ve.) emergeva con certezza che l'amministratore della Sh.Te. era stato informato dall'avvocato Pa., codifensore insieme all'avvocato Mi., dell'opportunità di chiamare in causa -oltre all'istituto incaricato della sorveglianza del capannone nel quale era stato perpetrato il furto- anche la società che aveva installato l'impianto di allarme, ed inoltre che, all'esito dell'informazione, la Sh.Te. aveva scelto di non dare seguito alla predetta chiamata.
Tale valutazione di opportunità, secondo la Corte d'appello, era rimessa al cliente e non era sindacabile dal difensore.
1.2.2. - La motivazione resa dalla Corte territoriale risulta esente da censura.
Non può ritenersi che il difensore avesse il dovere di insistere per ottenere il consenso della parte alla chiamata in causa del terzo:
la diligenza cui era tenuto il difensore nell'esercizio del suo mandato era stata assolta nel momento in cui il cliente era stato informato sul punto (ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 24544 del 2009).
Vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
l'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone all'avvocato di assolvere -sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto- anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
E' vero, di conseguenza, che
incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio (Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597 del 2004).
Ciò detto, è altresì vero che
l'attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l'obbligazione informativa dell'avvocato è un'obbligazione di mezzi e non di risultato (ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 10289 del 2015) (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 19.04.2016 n. 7708).

INCARICHI PROFESSIONALI: Cliente è chi fa procura. Tra gli effetti, l'obbligo di pagare il legale. La Cassazione pone una parola chiarificatrice sulla qualificazione.
La I Sez. civile della Corte di Cassazione con una sentenza 14.04.2016 n. 7382 ha posto una parola chiarificatrice circa la qualificazione del cliente nei rapporti con un avvocato: cliente, cioè colui che sarà tenuto al pagamento del compenso professionale, dovrà essere considerato chi ha materialmente rilasciato la procura alle liti.
I giudici di piazza Cavour nella sentenza in commento hanno altresì evidenziato come un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale abbia chiarito che l'accertamento di quale sia la situazione ricorrente di volta in volta nel caso concreto -cioè se la procura al legale che chieda il pagamento del compenso sia stata conferita dal legale che abbia ricevuto la procura alle liti dal cliente (ex art. 2232 c.c.) oppure (come nel nostro caso) direttamente dallo stesso cliente finale- sia una questione di fatto che, essendo rimessa alla valutazione del giudice di merito, si sottrae al vaglio di legittimità della Cassazione.
Il caso sottoposto all'attenzione degli Ermellini vedeva un avvocato, Tizio, che proponeva diversi decreti ingiuntivi per il pagamento di alcuni compensi nei confronti di alcuni clienti, alcuni dei quali pienamente accordati, altri ridotti e la Corte d'appello aveva rigettato i motivi di gravame con i quali alcuni dei destinatari dei decreti avevano dedotto l'insussistenza di un rapporto professionale tra loro e l'avvocato Tizio, ma solo con l'avvocato Caio al quale avevano corrisposto il compenso.
Secondo i giudici della Corte d'appello era, comunque, dimostrato con il rilascio della procura alle liti il conferimento di specifici mandati professionali anche a Tizio, che li aveva espletati in aggiunta al mandato conferito all'altro avvocato.
I giudici di merito avevano accertato che la procura all'avvocato Tizio era stata conferita direttamente dai ricorrenti e avevano precisato che l'opera da lui svolta non rientrava tra le attività costituenti oggetto della collaborazione professionale in esclusiva con Caio e che il primo non faceva parte dello studio del secondo.
L'affermazione secondo la quale non ci sarebbero stati contatti diretti tra i ricorrenti e l'avv. Tizio non scalfisce, secondo i giudici della Cassazione, la portata del suddetto accertamento, dal quale i giudici di merito hanno tratto la conclusione del conferimento al medesimo avv. G. del mandato di patrocinio professionale.
Questa conclusione, secondo la Suprema corte, è conforme a diritto, poiché «se è vero che per la conclusione del contratto di patrocinio con il cliente non occorre il rilascio della procura ad litem, che è necessaria solo per il compimento dell'attività processuale (v., da ultimo, Cass. n. 13927/2015), e se è anche vero (...) che obbligato al pagamento del compenso potrebbe essere chi non ha dato la procura, è però anche vero che, in mancanza di una prova del conferimento dell'incarico professionale da parte di altro soggetto, si deve «presumere che il cliente è colui che ha rilasciato la procura» e, quindi, è tenuto al pagamento (v. Cass. n. 13401/2015, n. 26060/2013, n. 4959/2012)» (articolo ItaliaOggi Sette del 25.04.2016).

marzo 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: Corresponsione, da parte del Comune, degli onorari al proprio legale. Necessità o meno che la parcella sia vistata dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati. Passività pregresse.
1) La parcella del legale è svincolata dalla liquidazione compiuta dal giudice; pertanto il difensore della parte vittoriosa potrebbe richiedere un compenso diverso da quello liquidato giudizialmente.
2) Quanto alla maggior somma richiesta dal legale al proprio cliente si tratta di verificare se tali importi costituiscano somme conseguenti alla sentenza o di maggiore parcella legata ad attività ulteriori non conosciute né conoscibili dal giudice.
3) L'Ente locale prima di procedere al pagamento della parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di esaminare la documentazione relativa all'attività svolta dal difensore per valutarne la congruità.
4) Circa quale sia la corretta procedura per l'imputazione in bilancio dei maggiori oneri relativi ad una parcella professionale presentata, a conclusione di un giudizio, dall'avvocato incaricato della difesa del Comune si contrappongono la teoria la quale afferma che la maggiore spesa tra quanto originariamente impegnato dall'Ente e l'importo finale della parcella presentata dal professionista costituisce debito fuori bilancio e quella che, invece, ritiene sufficiente, per sanare la maggiore spesa, effettuare un impegno residuale nell'esercizio in cui viene richiesto il pagamento (teoria delle passività pregresse).

Il Comune, sentito anche per le vie brevi, chiede un parere in merito alle spese da corrispondere al legale che lo ha assistito in una causa giudiziale ed a come le stesse debbano essere contabilizzate.
Più in particolare, riferisce che il giudice d'appello ha condannato le controparti alla rifusione delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio in favore dell'amministrazione comunale. A seguito di un tanto il legale ha emesso la relativa fattura di importo corrispondente alle spese come liquidate dal giudice, maggiorate di una ulteriore somma. Precisa l'Ente che quanto richiesto dal legale è di importo superiore alla cifra impegnata all'origine della causa dall'amministrazione comunale. Tale somma, rispetto al preventivo di massima rilasciato dall'avvocato in sede di attribuzione dell'incarico e sulla cui base era stato fatto l'impegno di spesa, era stata adeguata in corso di causa agli importi come successivamente comunicati dal difensore del Comune.
[1]
Atteso un tanto, l'Ente chiede se vada riconosciuto l'intero importo richiesto dal legale; se la parcella dell'avvocato debba o meno essere vistata dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e se la maggiore somma da liquidare, rispetto a quella già impegnata, costituisca passività pregressa.
Sentito il Servizio finanza locale, per la parte di relativa competenza, si esprimono le seguenti considerazioni.
In via preliminare, si osserva che, ai sensi dell'articolo 91, comma 1, c.p.c., il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte, liquidandone l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.
In linea generale si rileva, altresì, che la parcella del legale è svincolata dalla liquidazione compiuta dal giudice. Il difensore della parte vittoriosa potrebbe richiedere un compenso diverso da quello liquidato giudizialmente. A sostegno di un tanto depone l'articolo 2 del D.M. 08.04.2004, n. 127 (Regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali', il quale recita: 'Gli onorari e i diritti sono sempre dovuti all'avvocato dal cliente indipendentemente dalle statuizioni del giudice sulle spese giudiziali' nonché l'articolo 61, secondo comma, del r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, il quale prevede espressamente la possibilità che venga richiesto al cliente un onorario maggiore di quello liquidato a carico della parte soccombente.
[2]
Quanto alla maggior somma richiesta dal legale al proprio cliente si tratta di verificare se tali importi costituiscano somme conseguenti alla sentenza o di maggiore parcella legata ad attività ulteriori non conosciute né conoscibili dal giudice.
Nel primo caso, si tratta di somme che non possono essere liquidate dal giudice al momento della pronuncia essendo esse consequenziali alla stessa. Tra queste spese rientrano, ad esempio, quelle per la carta bollata adoperata e per i diritti relativi alla pubblicazione della sentenza nonché quelle relative al rilascio di copie o alla eventuale apposizione della formula esecutiva. Vi rientrano, altresì, quelle che la parte affronta per la registrazione della sentenza le quali, sebbene successive alla pronuncia, ne dipendono direttamente e non possono non seguire le sorti delle spese del giudizio. Come affermato dalla giurisprudenza, tali spese 'rientrano automaticamente tra quelle conseguenti alla decisione, senza che sia necessaria al riguardo un'espressa statuizione del giudice'.
[3] Tali somme vanno ricomprese tra le spese di lite e sono dovute al legale che le ha sostenute. Dette somme, oltretutto, vanno poste a carico della parte soccombente proprio in quanto spese conseguenti alla sentenza. [4]
Nel caso in cui, invece, l'importo richiesto dall'avvocato costituisca una maggiore parcella, rispetto a quanto liquidato dal giudice, al fine di valutare se lo stesso sia o meno dovuto dal cliente, bisogna, in primis, valutare se, all'inizio dell'incarico, l'amministrazione abbia stipulato un contratto sul compenso con l'avvocato, e quale tenore abbia lo stesso. Qualora, manchi tale accordo sopperiscono i criteri di legge.
[5] A tale ultimo riguardo, si ricorda che la legge 31.12.2012, n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense) stabilisce, all'articolo 13, che la pattuizione dei compensi è libera e indica una serie di tipologie di accordi utilizzabili dalle parti.
Il comma 6 dell'indicato articolo prevede, poi, che, 'quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge' si fa riferimento ai parametri indicati nel decreto emanato dal Ministero della Giustizia, su proposta del Consiglio Nazionale Forense, ogni due anni.
[6]
Per quanto riguarda l'acquisizione del visto del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati competente sulla parcella del legale, si osserva che la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, intervenuta di recente con proprio parere posto su analogo quesito,
[7] ha affermato che: «L'ente locale prima di procedere al pagamento della parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di esaminare la documentazione relativa all'attività svolta dal difensore per valutarne la congruità. Detta valutazione di congruità (a prescindere che venga svolta dall'Avvocatura dello Stato come nella particolare fattispecie prevista dall'art. 18, comma 1, del D.L. 25/03/1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella Legge 23/05/1997, n. 135) risponde all'esigenza di garantire una "attenta e prudente gestione della spesa pubblica", pertanto deve tenere conto, "da un lato dell'incertezza dell'esatta individuazione delle voci che potrebbero concorrere alla determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità dovute agli avvocati per l'esercizio della loro attività professionale e dei relativi parametri legali, dall'altro della necessità di scongiurare il rischio di annoverare nella parcella spese oggettivamente superflue o non proporzionali all'opera prestata" (C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011). Inoltre, anche quando non è richiesto dalla legge il parere dell'Avvocatura dello Stato, la valutazione di congruità deve "riguardare, non solo la conformità della parcella alla tariffa forense, ma anche il rapporto fra l'importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa (C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011 che richiama Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sent. 23.01.2007, n. 1418)». [8]
Per completezza espositiva si fa presente che la legge 247/2012, all'articolo 13, comma 9, relativo alla disciplina dei compensi spettanti agli avvocati, prevede che: 'In mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca un tentativo di conciliazione. In mancanza di accordo il consiglio, su richiesta dell'iscritto, può rilasciare un parere sulla congruità della pretesa dell'avvocato in relazione all'opera prestata'.
Passando a trattare dell'ultima questione posta, ovvero quale sia la corretta procedura per l'imputazione in bilancio dei maggiori oneri relativi ad una parcella professionale presentata, a conclusione di un giudizio, dall'avvocato incaricato della difesa del Comune, si rileva come tale questione sia stata esaminata dalla giurisprudenza contabile e dalla dottrina nel precedente sistema di contabilità basato sul principio della competenza finanziaria 'semplice', prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 23.06.2011, n. 118 e, con riferimento alla Regione Friuli Venezia Giulia, della legge regionale 17.07.2015, n. 18. I principi in quella sede elaborati sono stati esplicitati in un parere rilasciato dallo scrivente Ufficio (prot. n. 15066 del 26.09.2007) al quale si rinvia.
[9] In questa sede preme riportare succintamente i due diversi orientamenti formatisi sull'argomento alla luce dei pronunciamenti avutisi più di recente da parte della giurisprudenza nonché in considerazione delle evoluzioni normative che condizionano la soluzione della questione posta.
In particolare, si contrapponevano la teoria la quale affermava che la maggiore spesa tra quanto originariamente impegnato dall'Ente e l'importo finale della parcella presentata dal professionista costituisce debito fuori bilancio e quella che, invece, riteneva sufficiente, per sanare la maggiore spesa, effettuare un impegno residuale nell'esercizio in cui viene richiesto il pagamento (teoria delle passività pregresse)
[10].
Premessa l'attuale permanenza della duplicità di ricostruzione della fattispecie, si ritiene interessante riportare l'orientamento espresso, sull'argomento, dalla Corte dei Conti, sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia.
[11] In particolare, essa dopo aver ripercorso entrambe le ricostruzioni, ha espressamente ritenuto di non volersi discostare dall'orientamento, ampiamente seguito in seno alla Corte dei Conti, che riconduce la fattispecie all'istituto del debito fuori bilancio.
Al contempo, tuttavia, la Corte compie una serie di considerazioni sull'onere di diligenza che l'Ente pubblico deve osservare, non solo al momento del conferimento dell'incarico al professionista ma anche durante tutto il periodo di svolgimento dell'incarico professionale, che si ritengono interessanti, specie in relazione al comportamento tenuto dal Comune nella fattispecie in esame.
In particolare, la Sezione friulana afferma che: 'La difficoltà di determinazione ex ante della parcella, infatti, giustificata dall'imprevedibilità dell'evoluzione del procedimento contenzioso, non significa impossibilità assoluta di pervenire ad un preventivo ancorato a parametri certi, in considerazione delle caratteristiche di difficoltà e di impegno professionali richiesti'.
La Magistratura contabile afferma, ancora, che: «È infatti [...] necessario che l'Ente verifichi periodicamente l'andamento della causa e adotti i conseguenti provvedimenti di revisione dei relativi impegni. In sostanza, l'Ente deve amministrare il proprio contenzioso, informando -anche in questo ambito- il suo operato a canoni di prudenza, accortezza, veridicità, attendibilità, proporzionalità ed equilibrio, nel preminente interesse di evitare 'sopravvenienze passive'».
Sulla scia di tali ultime considerazioni si pone anche un recente parere della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania,
[12] nel quale si afferma che: «L'obbligo di procurarsi un congruo preventivo del corrispettivo, oltre a gravare sulla p.a. e discendere da principi di sana gestione contabile, è oggi un espresso obbligo gravante sullo stesso professionista per effetto dell'art. 9, D.L. n. 1 del 2012: tale norma ha abrogato le tariffe professionali e ha stabilito che "Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico [...]".
In altri termini: l'ente, da un lato, è tenuto in sede d'incarico a concordare nel titolo il corrispettivo affinché il suo ammontare risulti definito o, quantomeno, sufficientemente determinabile, di modo che, a scadenza, la liquidazione dell'onorario e della spesa trovi preventiva e sufficiente provvista nella contabilità dell'ente, evitando la formazione di debiti fuori bilancio. Per contro, in caso d'impegni "irrisori", sarebbero state violate le norme contabili che presidiano la corretta imputazione in bilancio della spesa; il titolo e la fattispecie generativa dell'obbligazione, inoltre, riguarderebbero integralmente un esercizio precedente nel quale l'ammontare della spesa non è stato correttamente rilevato.
Per tale ragione, in tali circostanze, l'unica procedura contabile adottabile è una formale delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio, che consente la verifica sull'utilità del patrocinio, e d'attivare il controllo in relazione a possibili profili di responsabilità erariale, stante l'obbligo di trasmissione delle delibere di riconoscimento dei debiti fuori bilancio alla Corte dei conti. Il procedimento di riconoscimento dei debiti fuori bilancio è lo strumento giuridico per riportare un'obbligazione giuridicamente perfezionata all'interno della sfera patrimoniale dell'ente, ricongiungendo il debito insorto con la volontà amministrativa; il procedimento mira a consentire al Consiglio di vagliare la legittimità del titolo e a reperire modalità di copertura finanziaria.
La possibilità di procedere alla contabilizzazione del maggior debito per maggiori costi sopravvenuti tramite un mero adeguamento dello stanziamento in bilancio, dev'essere collegabile, anche nel contesto dei nuovi principi contabili, a cause oggettive e imprevedibili e non a pregresse, soggettive, sottovalutazioni della spesa.
Da ultimo, si riportano le recenti considerazioni espresse dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, nel parere del 20.05.2015, n. 200, ove si afferma che: «L'impegno di spesa per prestazioni professionali a tutela dell'ente può dirsi assunto correttamente quando in presenza di un eventuale maggior onere (emergente dall'imprevedibile lunga durata della causa), al fine di garantire la copertura finanziaria, l'ente adegua lo stanziamento iniziale integrando l'originario impegno di spesa. Ne consegue che se l'importo legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la differenza non realizza automaticamente un debito fuori bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL. Detta indicazione è confermata nella nuova disciplina sull'armonizzazione dei sistemi contabili, ove all'Allegato 4/2, D.Lgs. n. 118 del 2011, si afferma che "gli impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono imputati all'esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al principio della competenza potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa"; poi si aggiunge "al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l'ente chiede ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto l'impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori impegni"».
Volendo fare una sintesi di quanto sopra espresso, specie in considerazione del fatto che il Comune, come riferito, si è fatto rilasciare, in sede di attribuzione dell'incarico, un preventivo di massima da parte dell'avvocato e ha, successivamente, adeguato tale importo agli incrementi comunicatigli dal legale in corso di causa e motivati da lungaggini processuali o complessità della causa successivamente intervenute, e del fatto che l'eccedenza di spesa rispetto a quanto già impegnato, secondo quanto riferito, risulta essere di non eccessiva entità, parrebbero potersi ritenere integrati i presupposti per considerare tale maggiore spesa quale 'passività pregressa' con conseguente possibilità per l'Ente di procedere ad adottare un ulteriore impegno di spesa a copertura della minima eccedenza rispetto all'impegno contabile precedente.
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[1] Il legale aveva, infatti, comunicato all'Ente che l'importo di massima pattuito poteva essere oggetto di variazione in relazione alla durata prolungata del processo nonché in connessione alla complessità e impegno della causa da instaurare.
[2] In questo senso si veda, altresì, Cassazione civile, sez. I, sentenza del 22.04.2010, n. 9633.
[3] TAR Sicilia, Catania, sez. II, sentenza del 27.07.2015, n. 2052. Nello stesso senso, tra le altre, TAR Sicilia, Catania, sez. II, sentenza del 27.02.2015, n. 618 e sez. III, del 25.03.2015, n. 854; Tribunale Salerno, sez. III, sentenza dell'11.05.2015.
[4] In questo senso si vedano Cassazione civile, ordinanza del 29.07.2010, n. 17698; Tribunale de L'Aquila, sentenza dell'08.06.2013.
[5] Nel caso in esame si rientra in questa seconda ipotesi, attesa l'assenza di un contratto ad hoc tra le parti sulla determinazione del compenso. Secondo quanto riferito dal Comune, al momento del conferimento dell'incarico, è stato predisposto dal legale un 'preventivo di massima' cui hanno fatto seguito, nel corso del giudizio, degli adeguamenti degli importi legati, tra l'altro, alla complessità e durata della causa.
[6] Attualmente il riferimento è al D.M. 10.03.2014, n. 55.
[7] Corte dei Conti, sez. reg. contr. Lombardia, parere del 20.05.2015, n. 200.
[8] Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, della legge 247/2012 il consiglio, tra l'altro, 'dà pareri sulla liquidazione dei compensi spettanti agli iscritti' [lett. l)]. L'articolo 14, primo comma, del R.D.L. 1578/1933 nel declinare le competenze dei Consigli degli ordini, alla lett. d), prevede che essi 'danno il parere sulla liquidazione degli onorari di avvocato nel caso preveduto dall'art. 59 e negli altri casi in cui è richiesto a termini delle disposizioni vigenti'.
[9] Si segnala, altresì, un parere dell'ANCI dell'01.05.2013 che distingue, sulla falsariga di quanto contenuto nel parere reso dallo scrivente Ufficio 15066/2007, i casi in cui la somma da liquidare ad un professionista per maggiori spese integri un debito fuori bilancio dai casi in cui è possibile procedere all'integrazione ed alla liquidazione a saldo della somma ulteriore non precedentemente impegnata.
[10] Con l'espressione di 'passività pregresse' o arretrate si suole fare riferimento a quelle spese che riguardano debiti per cui si è proceduto a regolare impegno (amministrativo, ai sensi dell'articolo 183 TUEL) ma che, per fatti non prevedibili, di norma collegati alla natura della prestazione, hanno dato luogo ad un debito in assenza di copertura (mancanza o insufficienza dell'impegno contabile ai sensi dell'articolo 191 TUEL). Così Corte dei Conti, sezione di controllo per la Lombardia, deliberazione del 22.07.2013, n. 339.
[11] Corte dei Conti, sez. regionale controllo Friuli Venezia Giulia, deliberazione del 17.01.2012, n. 25.
[12] Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, parere del 25.03.2015
(17.03.2016 -
link a www.regione.fvg.it).

febbraio 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: Compensi solo a causa chiusa. Per la liquidazione serve la sentenza di fine giudizio. AVVOCATI/ Cassazione sui calcoli per le prestazioni antecedenti ai nuovi parametri.
Per la liquidazione delle spese all'avvocato, occorre attendere che l'attività sia conclusa e quindi è necessaria una sentenza che chiuda il giudizio.

Lo hanno affermato i giudici della VI Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 11.02.2016 n. 2748.
Nella medesima sentenza in commento gli Ermellini hanno, altresì, evidenziato come in tema di spese processuali, ai sensi di legge, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del dm 140/2012 e si riferisca al compenso spettante a un avvocato che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, benché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, anche perché secondo l'accezione onnicomprensiva di «compenso» si tratterebbe di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata.
I giudici di piazza Cavour hanno, però, evidenziato che tale principio non potrà assolutamente essere esteso all'attività professionale relativa ad un grado del giudizio che si è concluso con sentenza e in relazione al quale, il Giudice dell'appello, tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio, rideterminerà il regolamento delle spese, anche per il primo grado del giudizio, perché l'attività professionale deve ritenersi conclusa, con la sentenza che chiude il giudizio, sia pure relativamente ad una fase dello stesso.
Anche le sezioni unite hanno sottolineato che i nuovi parametri professionali vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, e, secondo la Cassazione, l'attività professionale si deve ritenere conclusa ed espletata tutte le volte in cui sia intervenuta una sentenza che chiude una fase del giudizio anche con la liquidazione delle spese (articolo ItaliaOggi Sette del 22.02.2016).

INCARICHI PROFESSIONALIDalle spese di lite non si sfugge. C'è la condanna. Anche se la domanda è stata ridotta. CASSAZIONE/ La mancata statuizione è omissione censurabile in sede di legittimità.
Ci sarà comunque la condanna alle spese di lite, anche nel caso in cui l'autorità giudicante avrà ridotto la domanda.

A sostenerlo sono stati i giudici della VI Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 11.02.2016 n. 2709.
I giudici della Cassazione hanno evidenziato come in materia di spese processuali la parte, già soccombente nei precedenti gradi di giudizio di merito, ma poi vittoriosa all'esito del giudizio di rinvio conseguente a quello di cassazione, avrà certamente diritto a ottenere la liquidazione non solo delle spese processuali relative al giudizio di rinvio e a quello di cassazione, ma anche di quelle sostenute nei precedenti gradi di merito. Pertanto nel caso in cui la parte ne abbia fatto richiesta, la mancata statuizione, sul punto, del giudice del rinvio integra un'omissione censurabile in sede di legittimità.
Inoltre se il giudice di appello, procede con la riforma, in tutto o in parte, la sentenza impugnata, dovrà procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, e l'onere andrà attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale,
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici di piazza Cavour, il ricorrente era risultato vincitore all'esito della precedente sentenza pronunciata dalla Cassazione stessa e, di conseguenza, avrebbe avuto diritto alla liquidazione delle spese di giudizio anche in relazione ai precedenti gradi di merito. La Corte d'appello, invece, dopo aver accolto la domanda nel giudizio di rinvio, aveva liquidato le spese soltanto a quanto quel giudizio e a quello di cassazione; il che configurava, secondo gli Ermellini, una sicura omissione in considerazione dell'esistenza di una forma richiesta in tal senso.
Inoltre, per quanto riguarda i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della legge 24.03.2001, n. 89, questi non si sottraggono all'applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e ss. cod. proc. civ., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito.
Ne consegue, che la compensazione delle spese, anche nel giudizio di equa riparazione, postula che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione in tal senso (articolo ItaliaOggi Sette del 29.02.2016).

gennaio 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: La procura alle liti sopperisce al contratto. Effetti del conferimento da parte di un ente pubblico.
Se a un avvocato viene conferita una procura alle liti da un ente pubblico, questa sarà idonea a sopperire alla formale sottoscrizione del contratto di patrocinio e pertanto all'avvocato spetterà il compenso.

A stabilirlo sono stati i giudici della VI Sez. civile della Corte di Cassazione con l'ordinanza 29.01.2016 n. 1795.
In sede di commento sembra opportuno premettere che sulla questione dell'idoneità del rilascio della procura ad lites, quando seguita dall'atto difensivo sottoscritto dall'avvocato, a sopperire alla formale sottoscrizione del contratto di patrocinio, sono intervenute numerose pronunce della stessa corte di Cassazione, tra l'altro in giudizi tra le stesse parti (si vedano, tra le tante, sez. VI-3, 16.04.2015, n. 7796; sez. VI-3, 22.05.2015, n. 10674; sez. VI-3, 25.05.2015, n. 10753; sez. VI-3, 22.07.2015, n. 15454; sez. VI-3, 28.07.2015, n. 15925).
A parere dei giudici di piazza Cavour, per quanto riguarda i contratti della pubblica amministrazione, che devono essere stipulati ad substantiam per iscritto, il requisito della forma del contratto di patrocinio sarà soddisfatto con il rilascio al difensore, a mezzo di atto pubblico, di procura generale alle liti ai sensi dell'art. 83 cod. proc. civ., qualora sia puntualmente fissato l'ambito delle controversie per le quali opera la procura stessa (nel caso sottoposto all'attenzione degli Ermellini: tutte le cause attive e passive promosso e da promuoversi, innanzi a qualsiasi Autorità giudiziaria, esclusa la Suprema corte di cassazione, aventi ad oggetto il solo recupero dei crediti della stessa Camera di commercio mandante, con espressa autorizzazione, a tal fine, di intraprendere azioni esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e dare loro impulso).
Pertanto, secondo tale principio, il giudice del merito sarà chiamato ad esaminare il fatto decisivo costituito dall'idoneità della predetta procura, quale negozio unilaterale di conferimento della rappresentanza processuale, e dell'atto difensivo in concreto redatto e sottoscritto dal difensore, a integrare la proposta e la correlativa accettazione di un contratto di patrocinio tra l'avvocato e l'ente pubblico, valido anche sotto il profilo formale (articolo ItaliaOggi Sette del 22.02.2016).
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MASSIMA
- Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 15.04.2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Il Giudice di pace di Cassino, nel decidere sull'opposizione proposta dalla Camera di commercio di Frosinone avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, su istanza dell'Avv. Gi.Sa., ha dichiarato il diritto di quest'ultimo ad ottenere il pagamento dei compensi professionali in dipendenza di prestazioni concretizzatesi in atti di intervento in procedure esecutive a carico di debitori dell'Ente.
La pronuncia, gravata di appello dalla Camera di commercio, è stata riformata dal Tribunale di Cassino che in accoglimento della proposta impugnazione, con sentenza n. 812 del 14.10.2013, ha dichiarato non dovuta la somma oggetto del decreto monitorio.
Il giudice di merito ha ritenuto la procura generale conferita all'Avv. Sa. dall'allora segretario generale della Camera di commercio di Frosinone inidonea a soddisfare le prescrizioni di legge. Ha segnatamente osservato che la procura de qua, conferita al professionista affinché rappresentasse e difendesse la Camera di commercio, non individuava con esattezza l'oggetto del contratto, essendo genericamente riferita a tutte le cause di recupero crediti, di talché difettava il necessario collegamento tra la stessa e l'atto di difesa sottoscritto dal difensore.
Per la cassazione di tale sentenza l'Avv. Sa. ha proposto ricorso, con atto notificato il 01.12.2014, formulando due motivi.
La Camera di commercio ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 16 e 17 del regio decreto 18.11.1923, n. 2440, 1325, 1326 e ss. e 1346 ss cod. civ., nonché 83 cod. proc. civ..
Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe fatto malgoverno della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è ben possibile il perfezionamento di contratto di patrocinio, in forma scritta, attraverso, da un lato, il rilascio di procura alle liti, generale o speciale, e, dall'altro, la redazione del singolo atto di difesa sottoscritto dal difensore, e cioè, nello specifico, degli atti con i quali l'Avv. Sa. aveva espletato il mandato professionale ricevuto per il recupero dei crediti della Camera di commercio.
Con il secondo mezzo l'impugnante lamenta nullità della sentenza e del procedimento, violazione degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., 1325 e 1346 cod. civ. e 83 cod. proc. civ., ovvero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente critica l'affermazione del giudice di merito secondo cui la procura non individuava con esattezza l'oggetto del contratto, essendo stata genericamente riferita a tutte le cause di recupero crediti.
I due motivi, che si prestano ad essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, appaiono fondati, alla luce del precedente specifico di questa Corte rappresentato da Sez. VI-3, 24.02.2015, n. 3721.
Ad avviso del relatore, la doglianza relativa alla omessa considerazione che lo ius postulandi era stato espressamente conferito anche per "intraprendere azioni esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e dare loro impulso" e che il Sa. aveva utilizzato la procura proprio per costituirsi in un processo esecutivo, coglie un deficit motivazionale che è ragionevolmente frutto di un corrispondente deficit nell'iter cognitivo del decidente, il quale ha ritenuto generica la procura senza valutarne un profilo essenziale sia in astratto, sia, quel che più conta, in concreto, in relazione, cioè, all'attività difensiva svolta e posta a base della domanda di pagamento.
Il ricorso appare pertanto destinato all'accoglimento, alla luce del principio di diritto enunciato -in controversia tra le stesse parti- dalla citata Cass., Sez. VI-3, 24.02.2015, n. 3721.
Infatti,
in tema di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad substantlam per iscritto, il requisito della forma del contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al difensore, a mezzo di atto pubblico, di procura generale alle liti ai sensi dell'art. 83 cod. proc. civ., qualora sia puntualmente fissato l'ambito delle controversie per  e quali opera la procura stessa (nella specie: "tutte le cause attive e passive promosso e da promuoversi, innanzi a qualsiasi Autorità Giudiziaria, esclusa la Suprema Corte di cassazione, aventi ad oggetto il solo recupero dei crediti della stessa Camera di commercio mandante", con espressa autorizzazione, a tal fine, di "intraprendere azioni esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e dare loro impulso").
In relazione a tale principio, il giudice del merito sarà chiamato ad esaminare il fatto decisivo costituito dall'idoneità della predetta procura, quale negozio unilaterale di conferimento della rappresentanza processuale, e dell'atto difensivo in concreto redatto e sottoscritto dal difensore, a integrare la proposta e la correlativa accettazione di un contratto di patrocinio tra l'ente pubblico e il professionista, valido anche sotto il profilo formale.

Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi accolto
».
- Letta la memoria di parte controricorrente.
- Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
- che non ricorrono le ragioni previste dall'art. 374 cod. proc. civ. per la rimessione della causa alle Sezioni Unite, giacché va registrato che, sulla questione dell'idoneità del rilascio della procura ad lites, quando seguita dall'atto difensivo sottoscritto dall'avvocato, a sopperire alla formale sottoscrizione del contratto di patrocinio, sono già intervenute numerose pronunce di questa Corte, tra l'altro in giudizi tra le stesse parti, che hanno ribadito il principio richiamato nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ. (si vedano, tra le tante, Sez. VI-3, 16.04.2015, n. 7796; Sez. VI-3, 22.05.2015, n. 10674; Sez. VI-3, 25.05.2015, n. 10753; Sez. VI-3, 22.07.2015, n. 15454; Sez. V-3, 28.07.2015, n. 15925);
- che la memoria non offre argomenti nuovi che giustifichino il discostamento dall'indirizzo consolidato;
- che, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata;
- che la causa deve essere rinviata al Tribunale di Cassino, che la deciderà in persona di diverso magistrato;
- che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Cassino, in persona di diverso magistrato.

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla non conformità del regolamento comunale ai parametri normativi individuati da questa Sezione, relativamente alla mancata previsione che il conferimento dell’incarico legale debba essere comunque preceduto da procedure comparative ed adeguatamente pubblicizzato, senza distinzione tra soglie d’importo dell’affidamento.
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La Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti e delle delibere a carattere generale trasmesse dai Comuni in materia di affidamento di incarichi di collaborazione e di consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti pareri
in relazione ai quali individua i seguenti principi:
   1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 55 a 57, della legge 244/2007 stabilisce
l’obbligo di normazione regolamentare dei limiti, criteri modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca nonché di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione.
   2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella legge n. 133/2008
unifica gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questo tipo di collaborazione è diverso dalle collaborazioni “normali” il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente.
   3)
Quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria” questa Sezione, ha già chiarito che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario basato, peraltro, su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. Inoltre la specializzazione richiesta, per essere “comprovata” deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curricula. Il mero possesso formale di titoli non sempre è necessario o sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali.
   4) Il nuovo testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001, introdotto con l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella l. n. 133/2008, qualifica poi
come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio.
In particolare,
il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 267/2000.
   5) Quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome
si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 del
parere 11.03.2008 n. 37 di questa Sezione sull’inapplicabilità della nuova disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi.
   6)
Il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura comparativa ed adeguatamente pubblicizzata. Si è posto il problema del se ed in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici.
Come già detto la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure comparative deve essere generalizzato e che da esse può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, e cioè: procedura concorsuale andata deserta; unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo; assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale.

Così, anche recentemente, la Corte dei Conti in sede di controllo ha ribadito che
anche gli incarichi di consulenza legale “devono comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a tutti i possibili interessati”.
   7)
L’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato.
Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico.
   8) In ogni caso
tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico.

   9) Infine, l’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013 (c.d. “decreto trasparenza”) nel disciplinare gli “obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza”,
ha dettato nuove disposizioni per le pubbliche amministrazioni, tenute a pubblicare e aggiornare le informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione o consulenza (la precedente disciplina, di cui all’art. 3, comma 54, della l. 24.12.2007, n. 244 -che aveva modificato l’art. 1, comma 127, della legge 23.12.1996, n. 662-, è stata abrogata dal citato d.lgs. n. 33/2013, art. 53, comma 1, lett. b).
In particolare,
è stato previsto, dal comma 1, l’obbligo di pubblicare le seguenti informazioni: estremi dell’atto; curriculum vitae; dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione, o lo svolgimento di attività professionali; i compensi percepiti, comunque denominati.
Il comma 2 dell’art. 15 stabilisce inoltre, che
gli obblighi di pubblicazione e comunicazione costituiscono condizioni per l’acquisizione di efficacia dell’atto e per la liquidazione dei relativi compensi. In caso di omessa pubblicazione, il pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l’ha disposto (art. 15 cit., comma 3).
Nel caso in esame,
il regolamento trasmesso dal Comune non si pone in linea con i criteri stabiliti dal
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224 di questa Sezione e parere 11.02.2009 n. 37 quanto all’inclusione nei casi di affidamento diretto dell’incarico di collaborazione autonoma dell’ipotesi in cui l’incarico per il rilascio di pareri legati per casistiche di particolare complessità, in assenza di una struttura legale interna, preveda un compenso entro una determinata soglia, con conseguente possibilità di pretermissione della necessaria procedura comparativa.
Ebbene,
è utile ricordare che detti incarichi devono comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a tutti i possibili interessati.

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Questa Sezione in sede di esame del Regolamento per il conferimento di incarichi di studio, ricerca e consulenza a soggetti esterni all’Amministrazione, adottato dal Comune di Ripalta Arpina (CR), ai sensi dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n. 244, approvato con deliberazione di Giunta comunale n. 49 del 07.08.2015 ha accertato la non conformità di alcune parti dello stesso Regolamento ai parametri normativi prefissati.
In particolare la previsione regolamentare risulta non rispondente al dettato legislativo di cui all’art. 46 del D.L. n. 112/2008 riguardo alla possibilità di prescindere dal ricorso a procedure comparative per procedere all’affidamento di incarichi esterni aventi ad oggetto il rilascio di pareri legali qualora il compenso annuo complessivo netto per questi incarichi non superi l’importo di Euro 10.000,00 (art. 8, comma 1, lett. h).
Alla luce della predetta difformità del regolamento dai criteri enunciati dalla Sezione con il
parere 11.03.2008 n. 37, parere 06.11.2008 n. 224 e parere 11.02.2009 n. 37, il magistrato istruttore ritiene che sussistano i presupposti per deferire la questione all’esame collegiale della Sezione.
DIRITTO
La legge finanziaria per il 2008 (l. 24.12.2007, n. 244) nel dettare regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione, ha previsto la necessaria emanazione da parte di ciascun ente locale di norme regolamentari in materia, il cui testo deve essere trasmesso alla competente Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni dall’adozione, anche nell’ipotesi di modifiche future a testi già approvati.
Questa Sezione ha già individuato con il proprio
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224 i criteri interpretativi della nuova normativa al fine di stabilire nell’esame dei regolamenti pervenuti uniformi parametri di verifica, nonché l’alveo giuridico in cui si sostanzia la funzione di controllo della Corte dei conti.
I. Natura del controllo sui regolamenti ex comma 57 dell’art. 3 della l. n. 244/2007.
Il comma 57 dell’art. 3, della legge n. 244/2007, obbliga gli enti locali a trasmettere alla Corte dei conti in un breve termine prefissato le disposizioni regolamentari di cui si tratta. La norma in discorso non contiene alcuna previsione sulle ricadute dell’obbligo; conseguentemente, va chiarita la natura di questa forma di controllo facendo applicazione dei principi generali.
Secondo orientamento consolidato di questa Sezione, il dato testuale dell’art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007 esclude che l’efficacia delle disposizioni regolamentari sia subordinata al loro esame da parte della Corte dei conti. Deve escludersi quindi l’effetto tipico del controllo preventivo di legittimità che, per sua natura, è integrativo dell’efficacia dell’atto. Nella logica di sistema l’obbligatoria trasmissione in termini temporali ravvicinati ad un organo di controllo esterno come la Corte dei conti va finalizzata all’esercizio di competenze desumibili dalle norme che regolano l’attività della istituzione.
Fatta questa premessa, si evidenzia che la funzione tipica delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è quella di esercitare un controllo di tipo “collaborativo”. In particolare, la Corte costituzionale ha affermato che il legislatore è libero di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi forma di controllo, purché questo abbia un suo fondamento costituzionale, rinvenendo, peraltro, detto fondamento in una lettura adeguatrice al nuovo assetto della Repubblica di norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte Cost. n. 179/2007).
In quest’ottica, la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, con deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, ha dettato le linee di indirizzo e i criteri interpretativi dell’articolo 3, commi 54-57, della legge 24.12.2007, n. 244 in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza, chiarendo che la trasmissione del regolamento deve ritenersi strumentale all’esame da parte della Sezione, in un’ottica di controllo collaborativo.
In questo quadro di rapporti istituzionali l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti da parte degli enti locali non può essere fine a se stesso ma deve essere finalizzato allo svolgimento di funzioni (cfr. in proposito la deliberazione di questa Sezione n. 11 del 26.10.2006).
La trasmissione di regolamenti deve, pertanto, ritenersi strumentale al loro esame e ad una pronuncia della Corte dei conti. Stante la natura dell’atto regolamentare, in questo caso il controllo della Corte dei conti è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i criteri deliberati dal Consiglio, i limiti normativi di settore ed in particolare l’art. 7 del D.Lgv. n. 165/2001 e l’art. 110 del D.Lgv. n. 267/2000.
Va ricordato che le norme da ultimo richiamate hanno un particolare valore perché hanno positivizzato principi affermati da una giurisprudenza ormai univoca quali presupposti essenziali per il ricorso agli incarichi esterni; essi costituiscono regole di organizzazione non derogabili da disposizioni regolamentari ed in gran parte neppure da norme di rango superiore in quanto trovino fondamento in principi costituzionali.
II. Effetti del controllo sul regolamento per l’affidamento di incarichi esterni.
Fissati i parametri di raffronto per le verifiche demandate alla Corte dei conti, si debbono stabilire gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, ha ritenuto che anche il riesame di legalità e regolarità –a cui si ascrivono le verifiche previste dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005 per accertare il raggiungimento degli obiettivi del Patto di stabilità e degli equilibri finanziari, così come il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007- va effettuato in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità regolarità), ma dinamica per consentire all’ente destinatario del controllo di adottare misure correttive conformi ai parametri normativi individuati in sede di riesame.
Strumento per raggiungere siffatto risultato in una tipologia di controllo di natura collaborativa può essere individuato nell’applicazione dei principi e dell’iter procedurale dettati dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005, norma che prevede specifiche pronunce da indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso l’adozione delle necessarie misure correttive nonché la vigilanza sulla effettiva adozione delle misure stesse.
Si aggiunga che l’esame della Corte sulle norme regolamentari riguarda solo detta materia e non va perciò estesa ad altre norme, anche nella ipotesi nella quale l’ente trasmetta l’intero regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.
III. Parametri normativi che conformano il controllo sui regolamenti de quibus.
Con
parere 11.02.2009 n. 37 la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti e delle delibere a carattere generale trasmesse dai Comuni in materia di affidamento di incarichi di collaborazione e di consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224, in relazione ai quali individua i seguenti principi:
   1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 55 a 57, della legge 244/2007 stabilisce
l’obbligo di normazione regolamentare dei limiti, criteri modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca nonché di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma, lett. A del T.U.E.L.).
   2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella legge n. 133/2008
unifica gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questo tipo di collaborazione è diverso dalle collaborazioni “normali” il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente.
   3)
Quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria questa Sezione, ha già chiarito con il
parere 12.05.2008 n. 28 e parere 12.05.2008 n. 29, che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario basato, peraltro, su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. Inoltre la specializzazione richiesta, per essere “comprovata” deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curricula. Il mero possesso formale di titoli non sempre è necessario o sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali.
   4) Il nuovo testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001, introdotto con l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella l. n. 133/2008, qualifica poi
come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio.
In particolare,
il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 267/2000.
   5) Quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome
si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 del
parere 11.03.2008 n. 37 di questa Sezione sull’inapplicabilità della nuova disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi.
   6)
Il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura comparativa ed adeguatamente pubblicizzata. Si è posto il problema del se ed in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici.
Come già detto la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure comparative deve essere generalizzato e che da esse può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, e cioè: procedura concorsuale andata deserta; unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo; assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale.

Così, anche recentemente, la Corte dei Conti in sede di controllo ha ribadito che
anche gli incarichi di consulenza legaledevono comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a tutti i possibili interessati (C. Conti, sez. contr. Emilia Romagna, deliberazione 18.11.2015 n. 145).
   7)
L’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato.
Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico.
   8) In ogni caso
tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico.
   9) Infine, l’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013 (c.d. “decreto trasparenza”) nel disciplinare gli “obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza”,
ha dettato nuove disposizioni per le pubbliche amministrazioni, tenute a pubblicare e aggiornare le informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione o consulenza (la precedente disciplina, di cui all’art. 3, comma 54, della l. 24.12.2007, n. 244 -che aveva modificato l’art. 1, comma 127, della legge 23.12.1996, n. 662-, è stata abrogata dal citato d.lgs. n. 33/2013, art. 53, comma 1, lett. b).
In particolare,
è stato previsto, dal comma 1, l’obbligo di pubblicare le seguenti informazioni: estremi dell’atto; curriculum vitae; dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione, o lo svolgimento di attività professionali; i compensi percepiti, comunque denominati.
Il comma 2 dell’art. 15 stabilisce inoltre, che
gli obblighi di pubblicazione e comunicazione costituiscono condizioni per l’acquisizione di efficacia dell’atto e per la liquidazione dei relativi compensi. In caso di omessa pubblicazione, il pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l’ha disposto (art. 15 cit., comma 3).
Nel caso in esame,
il regolamento trasmesso dal Comune di Ripalta Arpina non si pone in linea con i criteri stabiliti dal
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224 di questa Sezione e parere 11.02.2009 n. 37 quanto all’inclusione nei casi di affidamento diretto dell’incarico di collaborazione autonoma dell’ipotesi in cui l’incarico per il rilascio di pareri legati per casistiche di particolare complessità, in assenza di una struttura legale interna, preveda un compenso entro una determinata soglia, con conseguente possibilità di pretermissione della necessaria procedura comparativa.
Ebbene,
è utile ricordare che detti incarichi devono comunque essere affidati nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e motivazione, a seguito di una procedura comparativa aperta a tutti i possibili interessati.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Regione Lombardia:
1)
Accerta la non conformità del regolamento inviato ai parametri normativi individuati da questa Sezione nelle delibere richiamate in premessa, relativamente alla mancata previsione che il conferimento dell’incarico debba essere comunque preceduto da procedure comparative ed adeguatamente pubblicizzato, senza distinzione tra soglie d’importo dell’affidamento;
2) Invita l’amministrazione comunale a modificare il predetto regolamento nelle parti indicate;
3) Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di Ripalta Arpina al fine di procedere alle necessarie modifiche del regolamento.
4) Dispone che l’amministrazione comunale trasmetta entro il termine di legge di 30 giorni dalla delibera di modifica, il nuovo regolamento aggiornato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, deliberazione 21.01.2016 n. 16).

novembre 2015

INCARICHI PROFESSIONALIRicorso bocciato, sì al taglio dell’onorario del legale d’ufficio. Difesa in giudizio. Il carattere pubblico dell’importo lascia ampia discrezionalità al magistrato.
Il compenso del difensore d’ufficio, nominato al fine di fornire assistenza tecnica a un contribuente ammesso ai benefici del patrocinio gratuito, può essere legittimamente ridotto dal giudice tributario. La liquidazione degli onorari costituisce, infatti, espressione di un potere discrezionale.
È quanto emerge dalla sentenza 23.09.2015 n. 7543/1/15 della Ctp di Milano (giudice Paolo Roggero), con la quale è stato rigettato il ricorso presentato dal difensore d’ufficio del contribuente contro il provvedimento con il quale altro collegio giudicante, con precedente sentenza, aveva liquidato compensi inferiori a quelli da lui richiesti.
Il legale rappresentante di una Srl aveva ottenuto dalla commissione per l’assistenza tecnica a spese dello Stato l’ammissione ai benefici del patrocinio gratuito in quanto, seppur priva di mezzi, aveva la necessità di difendersi in giudizio dagli avvisi di accertamento emessi dall’ufficio per anni dal 2005 al 2008.
Il patrocinio veniva assunto da un avvocato che redigeva il ricorso, dichiarato poi inammissibile dai giudici di primo grado in quanto tardivo.
Il difensore d’ufficio della ricorrente presentava, così, la nota spese con la quale chiedeva, a titolo di compenso per la prestazione svolta, la liquidazione dell’importo complessivo di 5.124,6 euro, oltre agli oneri accessori. Il collegio adito, con provvedimento del 06.02.2015, liquidava al difensore 1.800 euro.
Il difensore presentava ricorso contro il decreto di pagamento (in base agli articoli 84 e 170, legge 115/2002), eccependo che la sua nota spesa rispettava i parametri ministeriali, già abbattuti del 50% ai sensi dell’articolo 130 del Testo unico sulle spese di giustizia. Lamentava altresì il fatto che il collegio avesse provveduto a ridimensionare fortemente il proprio compenso, senza tuttavia motivare al riguardo e violando, in ogni caso, la tariffa regolamentata dalla vigente normativa.
Il ministero dell’Economia e delle finanze si costituiva in giudizio, resistendo al ricorso. In conclusione, la Ctp di Milano respingeva l’atto impugnato dal difensore d’ufficio.
Pur rilevando come lo stesso legale avesse depositato una nota spese rispettosa dei parametri ministeriali (abbattuti del 50%), la liquidazione poteva dar luogo a un importo inferiore, tenuto conto del caso concreto e non dovendosi comunque fare esclusivo riferimento alla media delle tariffe. Infatti, il carattere pubblico del compenso e il fatto che l’importo gravasse, di fatto, sull’intera collettività, consentivano un’ampia discrezionalità al giudice. L’obiettivo è assicurare che l’onorario sia effettivamente commisurato all’importanza e alla qualità della prestazione professionale svolta, nonché ai risultati ottenuti.
Sulla base di tali principi, la Ctp ha ritenuto corretta la liquidazione effettuata dal collegio giudicante di primo grado, in quanto basata su ragioni valide quali l’operato del difensore e sul fatto che il ricorso fosse stato dichiarato inammissibile
 (articolo Il Sole 24 Ore del 02.11.2015).

luglio 2015

INCARICHI PROFESSIONALISpese legali a parere vincolato. Pa e giudici devono liquidare la somma stabilita dall’avvocatura dello Stato.
Pubblico impiego. Le Sezioni Unite fissano i criteri di rimborso delle parcelle professionali dei difensori.

Nel liquidare le spese legali a favore del dipendente finito a processo, la Pa deve attenersi alla valutazione di congruità espressa dall’avvocatura dello Stato, valutazione che guiderà anche il giudice dell’eventuale ricorso. Nessun ruolo in questa partita può giocare il parere dell’Ordine forense competente, poiché qui non si controverte sul compenso professionale, bensì su un rimborso di spese legali già anticipate.
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 06.07.2015 n. 13861 depositata ieri, fanno chiarezza sui criteri per tenere indenni i dipendenti pubblici sottoposti a procedimento penale - e dal quale siano ovviamente usciti con archiviazione o assoluzione nel merito.
La questione era stata sollevata da un sottufficiale di Marina siciliano, sottoposto negli anni ’90 a un processo per fatti inerenti la funzione costatogli -quantomeno dal solo punto di vista patrimoniale- circa 20 mila euro attuali. Il rimborso era stato però decurtato esattamente di due terzi dall’avvocatura erariale, cui si era rivolta l’amministrazione della Marina prima della liquidazione, “taglio” che aveva poi superato anche due gradi di giudizio di merito davanti al giudice ordinario.
Tuttavia la stessa avvocatura dello Stato aveva eccepito la competenza del tribunale ordinario, eccezione portata al grado di legittimità come controricorso incidentale -subordinato- rispetto all’impugnazione del militare. La Terza civile aveva infine rimesso il fascicolo alle Sezioni Unite che ieri hanno sciolto il solo quesito principale respingendo tutte le richieste del militare. A cominciare da un sospetto (generico) di incostituzionalità sollevato dal ricorrente circa la mancanza di un corrispondente parere -obbligatorio- di congruità dei Consigli dell’ordine nelle parcelle verso i privati.
Per le Sezioni unite l’equiparazione è arbitraria (rimborso da una parte, parcella dall’altra), e anche la lamentazione circa una presunta diminutio dell’esercizio di difesa (articolo 24 della Costituzione) è fuori luogo, considerato tra l’altro che qui i parametri della Carta che vengono in gioco sono semmai quelli legati alla «buona amministrazione» (art. 81). In sostanza, argomenta la Corte, le esigenze di finanza pubblica «impongono di non far carico all’erario di oneri eccedenti quanto è necessario, e al contempo sufficiente, per soddisfare gli interessi generali e i doveri giuridici che presidiano l’istituto del rimborso spese».
Pertanto, se il vaglio del rimborso cadesse a carico dei (soli) consigli forensi ciò «toglierebbe qualsiasi rilevanza pubblicistica alla spesa e ai relativi doveri di governo di essa», equiparando di fatto «il debito del cliente verso il professionista e quello di protezione del dipendente, che è a carico dello Stato». Equiparazione improponibile, perché tra l’altro renderebbe il cliente “arbitro” della spesa pubblica attraverso scelte di difesa personali talvolta anche ultronee.
Proprio per questo «prudentemente il legislatore ha previsto che (tali oneri, ndr) siano vagliati, sotto il profilo della congruità, dall’avvocatura dello Stato». Congruità, appunto, che significa bilanciare il diritto di difesa del dipendente della Pa con il ragionevole contenimento della spesa pubblica per avvocati difensori privati.
In questo senso il criterio dello «strettamente necessario» riferito alle spese di difesa deve essere inteso come «contemperamento» e bilanciamento tra principi costituzionali in parte confliggenti
(articolo Il Sole 24 Ore del 07.07.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

giugno 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: Per il compenso serve l'incarico. L'avvocato deve dimostrare il titolo.
Il compenso può essere richiesto dall'avvocato, solo se quest'ultimo dimostra l'avvenuto conferimento dell'incarico.

È quanto hanno affermato i giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 24.06.2015 n. 13106.
Il thema decidendum
Un avvocato conveniva in giudizio i propri clienti, padre e figlio, per i quali aveva svolto un incarico stragiudiziale, denunciando il disinteresse dei clienti medesimi e chiedeva, quindi, la liquidazione dei compensi spettanti.
Il Tribunale adito rigettava le richieste di condanna.
La Corte d'appello confermava quanto pronunciato dal Tribunale, poiché da quanto portato in giudizio non si evinceva alcun conferimento di incarichi professionali all'avvocato.
Il ricorso in Cassazione: il conferimento dell'incarico.
L'avvocato ricorreva in Cassazione, che evidenziava come la decisione della Corte territoriale fosse logica e congruente nell'osservare come l'espletamento dell'attività professionale di cui il ricorrente chiedeva la remunerazione non trovava alcun fondamento, in termini di conferimento di incarico.
Appello e nuove prove
Nella medesima sentenza in commento, i giudici di piazza Cavour hanno ribadito che esiste il divieto di nuove prove in appello. L'avvocato affermava che il divieto di prove nuove in appello si applicherebbe solo alle prove costituende e non a quelle precostituite come nel caso di specie.
Si osserva che l'articolo 345 cpc, comma 3, nel subordinare l'ammissione di nuovi mezzi di prova in grado di appello alla condizione che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero, in via alternativa, che la parte dimostri di non averli potuti proporre in primo grado per causa ad essa non imputabile, stabilisce il principio dell'inammissibilità di mezzi di prova nuovi, cioè di mezzi di prova la cui ammissione non sia stata richiesta in precedenza.
Gli Ermellini hanno, altresì escluso, ogni differenza tra prove precostituite e prove costituende ai fini del divieto di cui all'art. 345 c.p.c. e, inoltre, nel caso di specie, l'eventuale lesione del diritto di difesa, lamentata dall'avvocato, non ha formato oggetto di appello (articolo ItaliaOggi Sette del 20.07.2015).

INCARICHI PROFESSIONALI: Spese legali nel caso di soccombenza: rimborso forfettario e riconoscimento del debito fuori bilancio.
È riconoscibile come debito fuori bilancio, in caso di sentenza esecutiva, il rimborso forfetario delle spese riconosciuto all'avvocato (nella misura massima del 15% del compenso) sulla base di quanto stabilito dalla legge 27/2012 e dal successivo Dm attuativo n. 140/2012.
Tali somme, in particolare, mirano a ristorare l'avvocato di quelle voci di spesa (ad esempio, quelle relative alla gestione dello studio, costo segreteria, fitto studio, abbonamenti riviste, acquisto libri), che sono effettive, ma che non possono essere riferite ed imputate ad una singola pratica.
Secondo il citato decreto «nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario» e, di conseguenza, sulla base dell'art. 13, comma 10, della legge 247/2012 «oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive».
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Il Dm 55/2014 ha previsto che il rimborso spese forfettarie "di regola" avviene nella misura (massima) del 15% del compenso. Tale rimborso deve essere contabilizzato, ove dovuto, secondo le ordinarie regole giuscontabili dell'impegno, della liquidazione, dell'ordinazione e del pagamento ovvero del riconoscimento di debito.
Nelle ipotesi in cui nell'anno di competenza finanziaria non sia stata attivata la procedura di spesa ordinaria, l'unico modo di ricondurre il debito nella contabilità dell'ente (con effetto vincolante per l'amministrazione) è avviare, nei casi eccezionali ivi tipicamente indicati, la procedura del riconoscimento di debito, ex articolo 194 del Tuel.
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Il Sindaco del Comune di Anagni, con nota acquisita al prot. n. 5700 del 10.12.2014, ha chiesto a questa Sezione la seguente richiesta di parere in materia di rimborso forfettario spettante agli avvocati per sentenze pronunciate dopo il 03.04.2014.
Premessa una breve ricostruzione del quadro ordinamentale, ha, in particolare, chiesto:
1. Se in caso di soccombenza, con condanna dell’Ente a pagare le spese di giudizio, ove il Giudice si limiti a liquidare le stesse con la formula «condanna parte soccombente alle spese di giudizio, liquidate in … oltre IVA e CPA», se sia dovuto anche il rimborso spese delle spese forfettarie ex art 13, comma 10, della legge n. 247/2012 e in quale misura”;
2. Se detto rimborso forfettario, debba formare oggetto di formale riconoscimento di debito, ex art. 194, comma 1, lett. a) del D.Lgs 267/2000, da parte del Competente Consiglio Comunale unitamente alla sentenza di condanna esecutiva, o se possa procedersi al pagamento di tale rimborso, mediante determinazione di impegno e successiva liquidazione, ex art. 183 e 184 TUELL”.
...
Quanto all’ammissibilità sotto il profilo oggettivo, l’inerenza dei quesiti a materia di contabilità pubblica, nel contesto sistematico nel quale l’art. 7, comma 8, è inserito, va correttamente intesa -alla stregua dei principi enunciati dalla Sezione delle Autonomie con deliberazione n. 3/SEZAUT/2014/QMIG e dalle Sezioni Riunite con deliberazione 17.11.2010, n. 54- secondo una nozione unitaria della materia della contabilità pubblica, oggetto della funzione di consulenza attribuita alle Sezioni regionali di controllo.
In base a tale orientamento
la richiesta di parere, riguardante il primo quesito -se in caso di soccombenza sia dovuto anche il rimborso spese delle spese forfettarie- è da ritenere inammissibile, in quanto non attiene a profili di contabilità pubblica.
Nel caso all’esame appare evidente che l’intervento di questa Sezione risulta essere finalizzato non ad acquisire un parere tecnico sull’interpretazione di specifiche disposizioni normative, quanto piuttosto alla definizione dell’an debeatur.
La richiesta di parere, riguardante il primo quesito, è da ritenere, quindi, inammissibile sotto il profilo oggettivo.
Al fine di fornire, comunque, un ausilio all’Ente, è bene evidenziare che
le spese forfettarie mirano a ristorare l'avvocato di quelle voci di spesa (ad esempio, quelle relative alla gestione dello studio, costo segreteria, fitto studio, abbonamenti riviste, acquisto libri), che sono effettive, ma che non possono essere riferite ed imputate ad una singola pratica (invece le spese effettuate specificamente per un singolo atto processuale o atto in genere -es. raccomandata- non ricadono nelle spese forfettarie, essendo il singolo atto posto in essere riferito ad una specifica pratica).
Nell'ambito del previgente sistema tariffario di cui all'art. 14, D.M. n. 127/2004, il rimborso spettava automaticamente all'avvocato, anche in assenza di allegazione specifica e di espressa richiesta, dovendosi quest'ultima ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento del compenso giudiziale (in termini, con riferimento alla previgente disciplina; Cass. 03.04.2007, n. 8238; Cass. 10.01.2006, n. 146; Cass. 20.10.2005, n. 20321).
Al rimborso si riconosceva la natura di credito che conseguiva per legge (e la cui misura era determinata nel 12,5 per cento), sicché spettava automaticamente al professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi quest'ultima ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali (Cass. 22.05.2013, n. 12579; Cass. 19.08.2009, n. 18424). L'omessa liquidazione in favore dell'avvocato della parte vittoriosa delle somme dovute per spese forfettarie, si diceva costituisse un errore materiale della sentenza, che può essere corretto con il procedimento di cui agli artt. 287 e seguenti cpc (Cass. 02.08.2013, n. 18518).
L'art. 9, commi 1 e 2, del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito con legge n. 27/2012, ha disposto l'abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. "Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe".
L'art. 1, comma 2, del d.m. 20.07.2012, n. 140, adottato in esecuzione del predetto art. 9 della legge n. 27/2012, ha stabilito che "Nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario".
L'art. 13, comma 10, del legge n. 247/2012 ha, poi, previsto che "Oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive".
L'art. 2, comma 2, del D.M. 10.03.2014, n. 55, adottato in esecuzione dell'art. 13, comma 16, della predetta legge n. 247/2012, ha stabilito che
all'avvocato é dovuta -in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale- una somma per rimborso spese forfettarie "di regola" nella misura del 15 per cento del compenso.
Nella relazione illustrativa al D.M. 55/2014 si legge che
l'individuazione nella misura del 15 per cento del rimborso forfettario è frutto del recepimento del parere espresso dalla Commissione giustizia della camera e che essa "dà attuazione all'art. 13, comma 10, della legge 247/2012 che rimette proprio al d.m. la determinazione della misura massima del rimborso forfettario".
Ne consegue che
l'entità del rimborso deve essere compresa tra l'1 per cento e il 15 per cento del compenso da liquidare, e che il tetto massimo (15 per cento) può essere liquidato solo a fronte di una istanza dell'avvocato adeguatamente motivata.
La precisazione da parte dell'art. 2, comma 2, del d.m. 55/2014 che il riconoscimento della percentuale del 15 per cento deve avvenire "di regola" non vale ad individuare un importo massimo vincolante per il giudice, atteso che la legge non prevede un simile vincolo.
Si tratta, infatti, in ogni caso, di valutazioni rimesse al libero apprezzamento del giudice sulla base delle istanze e delle motivazioni addotte dalla parte.
Per quanto riguarda, invece, il secondo quesito, relativo alle modalità di contabilizzazione del rimborso, ove dovuto, la Sezione fa presente che
il procedimento segue le ordinarie regole giuscontabili dell’impegno, della liquidazione, dell’ordinazione e del pagamento ovvero del riconoscimento di debito.
All’assunzione dell’impegno di spesa segue, ai sensi degli artt. 183 e 184 TUEL, la liquidazione a valere sul fondo rischi e oneri, laddove istituito, o su capitolo di spesa nei limiti degli stanziamenti autorizzati (art. 191 TUEL).
In corso di esercizio, tale procedura può essere accompagnata da una variazione di bilancio volta a reperire le risorse ove queste siano insufficienti (art. 193 TUEL).

Nelle ipotesi in cui nell’anno di competenza finanziaria non sia stata attivata la procedura di spesa ordinaria, l’unico modo di ricondurre il debito nella contabilità dell’ente (con effetto vincolante per l’amministrazione) è avviare nei casi eccezionali ivi tipicamente indicati la procedura del riconoscimento di debito, ex art. 194 TUEL.
L’assunzione del debito fuori bilancio, ex art. 194, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 267/2000, esula dalla regolare procedura di spesa, per il pagamento di somme accertate con sentenza di condanna esecutiva.
La procedura per il riconoscimento di debiti fuori bilancio è lo strumento giuridico per riportare un’obbligazione giuridicamente perfezionata ed esistente, all’interno della sfera patrimoniale dell’ente, ricongiungendo debito e volontà amministrativa sul piano dell’adempimento.

Il procedimento mira, da un lato, a consentire al Consiglio di vagliare la legittimità del titolo medesimo (in termini di “pertinenza”, cioè inerenza alle competenze di legge attribuite all’ente, e di “continenza”, vale a dire, di esercizio delle stesse in modo conforme all’ordinamento) e di reperimento dei mezzi di copertura finanziaria (procedura ex art. 194 T.U.E.L.). La funzione di tale procedura è quella di consentire a debiti sorti al di fuori della legittima procedura di spesa e di stanziamento di rientrare nella contabilità dell’ente (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio, parere 22.06.2015 n. 110).

INCARICHI PROFESSIONALI: COMPENSI AVVOCATI/ Onorario: è credito di valuta, non valore. Lo dice un'ordinanza.
Nel caso in cui si crei una controversia tra l'avvocato ed il cliente per il compenso dovuto al primo, il cliente sarà ritenuto in mora dopo la liquidazione del debito in seguito all'ordinanza di conclusione del procedimento ex art. 28, legge 13.06.1942 n. 794.
Gli interessi decorreranno, nei limiti della somma liquidata dal giudice, da quella data.

Lo hanno affermato i giudici della VI Sez. civile della Corte di Cassazione con l'ordinanza 04.06.2015 n. 11587.
In caso di onorari professionali, quello dell'avvocato è un credito di valuta e non di valore, poiché ha ad oggetto una somma di denaro.
Pertanto, è stato osservato dagli Ermellini, la sopravvenuta svalutazione monetaria non consente una rivalutazione d'ufficio di esso, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall'art. 1224, secondo comma, cod. civ. e il soddisfacimento del relativo onere probatorio, ed essendo applicabile l'art. 429 cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 533/1973, solo quando l'opera dell'avvocato si configuri come attività continuativa e coordinata tipica dei cosiddetti rapporti di «parasubordinazione».
I giudici di piazza Cavour hanno osservato, inoltre, come secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale contenuta nel dm 14.02.1992, n. 238) prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all'invio della parcella, tuttavia quando insorge controversia tra l'avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l'ordinanza che conclude il procedimento della L. 13.06.1942, n. 794, ex art. 28, sicché è da quella data - e nei limiti di quanto liquidato dal giudice, e non da prima, che va riportata la decorrenza degli interessi (si vedano: Cass. n. 2431 del 2011; I1777del 2005, 5240 del 1999, 13586/1991, 5004 del 1993 3995 del 1988) (articolo ItaliaOggi Sette del 22.06.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: COMPENSI AVVOCATI/ Corte di cassazione. Gli importi liquidati a misura di decreto.
Per la liquidazione dell'onorario dell'avvocato, il valore della controversia che ha per oggetto l'opposizione a decreto ingiuntivo, deve essere determinato con riferimento all'importo del decreto opposto.

Lo hanno affermato i giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 03.06.2015 n. 11454.
È stato, poi, evidenziato che la somma risultante dal decreto non dovrà sommarsi a quella chiesta dagli opponenti in restituzione di quanto versato per la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, né, tantomeno, a quella precedentemente versata sempre in esecuzione del medesimo decreto.
I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati ad esprimersi su un caso che vedeva una controversia relativa al pagamento degli onorari richiesti da un avvocato per l'attività svolta. Il cliente si opponeva avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, munito di provvisoria esecuzione, ed otteneva l'accoglimento della domanda e la restituzione delle somme versate.
I giudici di merito hanno infatti ritenuto che, in base al tenore letterale della quietanza emessa dall'avvocato, risultava che egli avesse già ricevuto il pagamento della prestazione eseguita solo parzialmente. L'avvocato impugnava la pronuncia con ricorso in Cassazione, denunciando, oltre ad infondati vizi procedurali, l'omessa o contraddittoria motivazione in ordine all'estensione della quietanza di pagamento a tutte le prestazioni effettuate e la violazione dei criteri ermeneutici a tal fine applicati dai giudici di merito.
Secondo gli Ermellini il primo profilo di doglianza risultava inammissibile per la mancata formulazione del momento di sintesi con indicazione del fatto controverso e del quesito di diritto, mentre in merito all'interpretazione delle convenzioni intervenute tra le parti, la Corte di legittimità affermava che la sentenza impugnata aveva opportunamente considerato le espressioni letterali usate, traendone l'univocità della dichiarazione del creditore ed escludendo qualsiasi dubbio in ordine al fatto che la somma indicata fosse stata corrisposta e riscossa a titolo di saldo finale delle prestazioni effettivamente realizzate (articolo ItaliaOggi Sette del 22.06.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

maggio 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulla liquidazione delle parcelle legali.
Quando la difesa legale non riguarda la particolare fattispecie di giudizio per l’accertamento della eventuale responsabilità dei propri dipendenti, l’ente locale prima di procedere al pagamento della parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di esaminare la documentazione relativa all’attività svolta dal difensore per valutarne la congruità.
Detta valutazione di congruità
risponde all’esigenza di garantire una “attenta e prudente gestione della spesa pubblica”, pertanto deve tenere conto, “da un lato dell’incertezza dell’esatta individuazione delle voci che potrebbero concorrere alla determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità dovute agli avvocati per l’esercizio della loro attività professionale e dei relativi parametri legali, dall’altro della necessità di scongiurare il rischio di annoverare nella parcella spese oggettivamente superflue o non proporzionali all’opera prestata”.
Inoltre, anche quando non è richiesto dalla legge il parere dell’Avvocatura dello Stato, la valutazione di congruità deve “riguardare, non solo la conformità della parcella alla tariffa forense, ma anche il rapporto fra l'importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa”.
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Nell'ipotesi di soccombenza laddove "
nel dispositivo della sentenza si legge sempre l'ammontare della parcella dovuta al legale della controparte, mentre nulla è stabilito dal giudice per quella dovuta al legale che ha assistito l'Amministrazione” detta liquidazione può rappresentare un parametro di congruità (per pagare il proprio legale) in relazione al valore della causa, al numero di udienze alle quali hanno partecipato i difensori delle parti in giudizio, nonché al numero di atti processuali redatti e depositati in corso di causa.
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Circa la necessità -o meno- di avviare “la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio per quella parte della parcella eccedente il preventivo impegno di spesa” si osserva quanto segue.

Il riconoscimento degli oneri spettanti ad un legale per l’attività svolta a favore dell’ente rientra nel novero delle acquisizioni di servizi per i quali in astratto può essere attivata legittimamente la procedura prevista dalla lettera e) dell’art. 194 D.lgs. 267/2000”.
Tuttavia, vengono in rilievo anche i principi contabili in tema di contratti di prestazione d'opera intellettuale laddove affermano che “
l'ente deve determinare compiutamente, anche in fasi successive temporalmente, l'ammontare del compenso (esempio gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti dall'impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità dell'ente potrà disciplinare l'assunzione di ulteriore impegno, per spese eccedenti l'impegno originario, dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili”.
La Magistratura contabile ha affrontato il caso in cui l’impegno di spesa per un incarico legale non fosse risultato adeguato rispetto alla parcella presentata dal professionista e si è chiesta se in questi casi l’ente locale debba ricorrere alla procedura del debito fuori bilancio per liquidare la differenza rispetto al preventivo.
La fattispecie è stata risolta richiamando il principio secondo cui “
pur in presenza di difficoltà nella individuazione della somma esatta relativa alla parcelle del professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei canoni di buona amministrazione (fra gli altri a quello del prudente apprezzamento), delle regole giuscontabili in materia di spesa e dei principi che caratterizzano la corretta gestione dei pubblici bilanci”.
Così,
con riferimento alla determinazione dell’impegno di spesa per attività professionale legale, va acquisito “dall’avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del Comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall’espletamento dell’incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria".
D’altra parte,
se si verificano casi in cui è difficile quantificare l’impegno finanziario al momento dell’ordinazione della prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL, in ragione dell’imprevedibile andamento della causa, “la difficoltà di determinazione dell’esatto ammontare di una spesa non esime l’ente dall’obbligo di effettuarne una stima quanto più possibile veritiera e prudenziale, al fine di una corretta imputazione a bilancio del costo complessivo presunto della prestazione. L’importo così determinato dovrà essere impegnato in bilancio nella sua interezza anche se verrà corrisposto, quanto meno in parte, in epoca successiva all’esercizio di competenza".
Dunque,
nell’ordinamento contabile degli enti locali (art. 162 TUEL) vigente prima dell’entrata a regime dell’armonizzazione dei sistemi contabili, è corretta l’assunzione dell’impegno di spesa quando il sottostante contratto (nella specie, mandato d’opera) viene stipulato con il professionista incaricato della tutela legale secondo una prudente e oculata previsione della durata e dell’importo complessivo dell’incarico, al fine di predisporre un’adeguata copertura finanziaria.
In questo caso, l’impegno di spesa per prestazioni professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto correttamente quando in presenza di un eventuale maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga durata della causa), l’ente al fine di garantire la copertura finanziaria procede ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa
.
In altri termini, “
fatti successivi, non prevedibili al momento dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi della durata del processo, costituiscono una legittima causa giuridica per la spesa da sostenere e consentono, quindi, di assumere il relativo impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il ricorso all’istituto del riconoscimento del debito fuori bilancio contrasterebbe con i principi di contabilità pubblica”. Ne consegue che “qualora l’importo legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la differenza non realizza automaticamente una fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL”.
Con l’attuazione dell’armonizzazione dei sistemi contabili e, in particolare, l’applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, i richiamati principi elaborati dalla giurisprudenza contabile trovano ulteriore conferma.
Infatti, “
gli impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono imputati all'esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al principio della competenza potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa. In sede di predisposizione del rendiconto, in occasione della verifica dei residui prevista dall'articolo 3, comma 4 del presente decreto, se l'obbligazione non è esigibile, si provvede alla cancellazione dell'impegno ed alla sua immediata re-imputazione all'esercizio in cui si prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale.
Al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l'ente chiede ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto l'impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori impegni. Nell'esercizio in cui l'impegno è cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo pluriennale vincolato al fine di consentire la copertura dell'impegno nell'esercizio in cui l'obbligazione è imputata.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 3, comma 4, del presente decreto prevede che le variazioni agli stanziamenti del fondo pluriennale vincolato e dell'esercizio in corso e dell'esercizio precedente necessarie alla reimputazione delle entrate e delle spese reimputate sono effettuate con provvedimento amministrativo della giunta entro i termini previsti per l'approvazione del rendiconto
”.
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Il Sindaco del Comune di Erbusco chiede alla Sezione un “parere:
- circa la necessità, prima di procedere al pagamento: di sottoporre, o meno, la parcella del legale al parere di congruità della spesa della competente Avvocatura distrettuale dello Stato o, in alternativa, del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati;
- di avviare, o meno, la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio per quella parte della parcella eccedente il preventivo impegno di spesa
”.
...
Venendo al merito della richiesta, il Sindaco del Comune di Erbusco chiede alla Sezione un “parere circa la necessità, prima di procedere al pagamento: di sottoporre, o meno, la parcella del legale al parere di congruità della spesa della competente Avvocatura distrettuale dello Stato o, in alternativa, del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati; di avviare ,o meno, la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio per quella parte della parcella eccedente il preventivo impegno di spesa”.
Primo quesito: è necessario sottoporre “la parcella del legale al parere di congruità della spesa della competente Avvocatura distrettuale dello Stato o, in alternativa, del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati”?
Alla stregua del tenore letterale della richiesta di parere occorre, preliminarmente, chiarire che la Sezione, nell’ambito dell’attività consultiva, non può interferire sulla valutazione dell’amministrazione circa la congruità della parcella presentata dal difensore in relazione all’attività svolta per conto e nell’interesse del Comune, trattandosi di valutazione che deve svolgere in concreto l’ente locale nell’esercizio della piena ed esclusiva discrezionalità che per legge gli spetta.
Tenendo a mente questa premessa, in merito al primo quesito, la Sezione richiama i principi generali ai quali potrà orientarsi l’ente locale nel compiere la valutazione di congruità della parcella presentata dal difensore.
Nella richiesta
l’ente cita il precedente parere deliberato dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte (delibera n. 35/2011) che, tuttavia, si occupa della particolare fattispecie di spese di patrocinio legale relative a giudizi per l’accertamento delle responsabilità civili, penali ed amministrative promossi nei confronti di dipendenti ed amministratori dell’ente locale (ipotesi tra l’altro di cui si è occupata, non solo la richiamata delibera della Sezione regionale per il Piemonte, ma anche la Sezione regionale di controllo per il Molise, con la delibera n. 6/2007, e la Sezione regionale di controllo per la Basilicata, con la delibera n. 4/2007).
Questa Sezione ritiene che,
quando la difesa legale non riguarda questa particolare fattispecie di giudizio per l’accertamento della eventuale responsabilità dei propri dipendenti -se così fosse si rinvia integralmente a quanto affermato nella delibera n. 35/2011 della Sezione regionale di controllo per il Piemonte di cui l’ente locale istante ha già contezza-, l’ente locale prima di procedere al pagamento della parcella presentata dal proprio difensore ha il dovere di esaminare la documentazione relativa all’attività svolta dal difensore per valutarne la congruità.
Detta valutazione di congruità (a prescindere che venga svolta dall’Avvocatura dello Stato come nella particolare fattispecie prevista dall’art. 18, comma 1, del D.L. 25/03/1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella Legge 23/05/1997, n. 135) risponde all’esigenza di garantire una “attenta e prudente gestione della spesa pubblica”, pertanto deve tenere conto, “da un lato dell’incertezza dell’esatta individuazione delle voci che potrebbero concorrere alla determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità dovute agli avvocati per l’esercizio della loro attività professionale e dei relativi parametri legali, dall’altro della necessità di scongiurare il rischio di annoverare nella parcella spese oggettivamente superflue o non proporzionali all’opera prestata (C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011).
Inoltre, anche quando non è richiesto dalla legge il parere dell’Avvocatura dello Stato, la valutazione di congruità deve “riguardare, non solo la conformità della parcella alla tariffa forense, ma anche il rapporto fra l'importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa (C. Conti, sez. reg. Piemonte del. n. 35/2011 che richiama Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sent. 23.01.2007, n. 1418).
L’ente locale istante nella richiesta di parere, nell’esporre le difficoltà che incontra l’Amministrazione nel valutare la congruità della parcella, aggiunge quando l’Amministrazione medesima è “parte soccombente, nel dispositivo della sentenza si legge sempre l'ammontare della parcella dovuta al legale della controparte, mentre nulla è stabilito dal giudice per quella dovuta al legale che ha assistito l'Amministrazione”.
In proposito, questa Sezione osserva che,
nell’ipotesi rappresentata dall’ente, anche se la sentenza che definisce il contenzioso quantifica le spese legali sostenute da controparte (e non dall’Amministrazione soccombente) detta liquidazione può rappresentare un parametro di congruità in relazione al valore della causa, al numero di udienze alle quali hanno partecipato i difensori delle parti in giudizio, nonché al numero di atti processuali redatti e depositati in corso di causa.
* * *

Secondo quesito: è necessario avviare “la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio per quella parte della parcella eccedente il preventivo impegno di spesa”?
Con riferimento al procedimento che l’ente locale istante deve seguire per contabilizzare in bilancio la spesa che l’Amministrazione comunale è chiamata a sostenere a titolo di corrispettivo per la prestazione professionale svolta dall’avvocato nel suo interesse, si richiamano i principi generali più volte affermati da questa Sezione con riferimento alla disciplina antecedente all’attuazione dell’armonizzazione dei sistemi contabili (ex del d.lgs. n. 118/2011 e succ. mod.).
Questa Sezione, sia in sede di esercizio delle funzioni di controllo sulla sana gestione finanziaria degli enti locali (Lombardia/322/2012/PRSE dell’11.07.2012) sia in sede consultiva (Lombardia/441/2012/PAR del 23.10.2012), ha già avuto modo di affermare che “
il riconoscimento degli oneri spettanti ad un legale per l’attività svolta a favore dell’ente rientra nel novero delle acquisizioni di servizi per i quali in astratto può essere attivata legittimamente la procedura prevista dalla lettera e) dell’art. 194 D.lgs. 267/2000”.
Tuttavia, vengono in rilievo anche i principi contabili in tema di contratti di prestazione d'opera intellettuale laddove affermano che “
l'ente deve determinare compiutamente, anche in fasi successive temporalmente, l'ammontare del compenso (esempio gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti dall'impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità dell'ente potrà disciplinare l'assunzione di ulteriore impegno, per spese eccedenti l'impegno originario, dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili” (Testo approvato dall'Osservatorio il 18.11.2008, princ. Cont. n. 2 cpv. 108).
La Magistratura contabile ha affrontato il caso in cui l’impegno di spesa per un incarico legale non fosse risultato adeguato rispetto alla parcella presentata dal professionista e si è chiesta se in questi casi l’ente locale debba ricorrere alla procedura del debito fuori bilancio per liquidare la differenza rispetto al preventivo.
La fattispecie è stata risolta richiamando il principio secondo cui “
pur in presenza di difficoltà nella individuazione della somma esatta relativa alla parcelle del professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei canoni di buona amministrazione (fra gli altri a quello del prudente apprezzamento), delle regole giuscontabili in materia di spesa e dei principi che caratterizzano la corretta gestione dei pubblici bilanci”.
Così,
con riferimento alla determinazione dell’impegno di spesa per attività professionale legale, va acquisito “dall’avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del Comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall’espletamento dell’incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria (cfr. C. Conti, sez. contr. Campania, par. n. 8 del 04.02.2009; la delibera della Sezione Campana richiama il principio già espresso dalle Sezioni Riunite, in sede di Controllo, per la Regione Sicilia n. 2 del 27.01.2007).
D’altra parte,
se si verificano casi in cui è difficile quantificare l’impegno finanziario al momento dell’ordinazione della prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL, in ragione dell’imprevedibile andamento della causa, “la difficoltà di determinazione dell’esatto ammontare di una spesa non esime l’ente dall’obbligo di effettuarne una stima quanto più possibile veritiera e prudenziale, al fine di una corretta imputazione a bilancio del costo complessivo presunto della prestazione. L’importo così determinato dovrà essere impegnato in bilancio nella sua interezza anche se verrà corrisposto, quanto meno in parte, in epoca successiva all’esercizio di competenza (sul punto Corte dei conti, Sez. contr. reg. Sardegna, parere n. 2/2007).
Dunque,
nell’ordinamento contabile degli enti locali (art. 162 TUEL) vigente prima dell’entrata a regime dell’armonizzazione dei sistemi contabili, è corretta l’assunzione dell’impegno di spesa quando il sottostante contratto (nella specie, mandato d’opera) viene stipulato con il professionista incaricato della tutela legale secondo una prudente e oculata previsione della durata e dell’importo complessivo dell’incarico, al fine di predisporre un’adeguata copertura finanziaria.
In questo caso, l’impegno di spesa per prestazioni professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto correttamente quando in presenza di un eventuale maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga durata della causa), l’ente al fine di garantire la copertura finanziaria procede ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa
(in senso conforme, Sez. Contr. reg. Campania, parere n. 9/2007, che richiama il principio contabile n. 2 punto 52 dei “principi contabili per gli enti locali”, emanati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali del Ministero Interno, gennaio 2004).
In altri termini, “
fatti successivi, non prevedibili al momento dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi della durata del processo, costituiscono una legittima causa giuridica per la spesa da sostenere e consentono, quindi, di assumere il relativo impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il ricorso all’istituto del riconoscimento del debito fuori bilancio contrasterebbe con i principi di contabilità pubblica” (LOMBARDIA/19/2009/PAR del 05.02.2009). Ne consegue che “qualora l’importo legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la differenza non realizza automaticamente una fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL (LOMBARDIA/19/2009/PAR del 05.02.2009).
Con l’attuazione dell’armonizzazione dei sistemi contabili (ex del d.lgs. n. 118/2011 e succ. mod.) e, in particolare, l’applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, i richiamati principi elaborati dalla giurisprudenza contabile trovano ulteriore conferma.
Infatti, nell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118/11 relativo al principio generale di competenza finanziaria, si afferma che “
gli impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono imputati all'esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al principio della competenza potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa. In sede di predisposizione del rendiconto, in occasione della verifica dei residui prevista dall'articolo 3, comma 4 del presente decreto, se l'obbligazione non è esigibile, si provvede alla cancellazione dell'impegno ed alla sua immediata re-imputazione all'esercizio in cui si prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale.
Al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l'ente chiede ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto l'impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori impegni. Nell'esercizio in cui l'impegno è cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo pluriennale vincolato al fine di consentire la copertura dell'impegno nell'esercizio in cui l'obbligazione è imputata.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 3, comma 4, del presente decreto prevede che le variazioni agli stanziamenti del fondo pluriennale vincolato e dell'esercizio in corso e dell'esercizio precedente necessarie alla reimputazione delle entrate e delle spese reimputate sono effettuate con provvedimento amministrativo della giunta entro i termini previsti per l'approvazione del rendiconto
” (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 20.05.2015 n. 200).

aprile 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: La regola secondo cui i debiti per incarichi a legali esterni, ove maggiori rispetto a quelli contabilizzati senza una causa di oggettiva imprevedibilità, con una non ingiustificata “irrisorietà” o “non congruità” dell’importo contabilizzato, devono essere riconosciuti attraverso la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio deve essere confermata anche nel mutato quadro normativo, per effetto dell’entrata in vigore, dal 01.01.2015, della nuova contabilità pubblica (Dlgs. n. 118/2011).
Nel caso di impegni per incarichi a legali esterni risalenti ad annualità anteriori al 2015, per cui la prestazione per il corrispettivo non sia ancora esigibile, il residuo va riaccertato ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.lgs. n. 118/2011 per addivenire alla ricollocazione temporale dello stesso secondo il principio della competenza finanziaria rafforzata: infatti, «se l’obbligazione non è esigibile, si provvede alla cancellazione dell’impegno ed alla sua immediata re-imputazione all’esercizio in cui si prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale».
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In pratica,
a partire dal 2015, ove l’impegno sia stato in origine sottostimato, per cause oggettive, in sede di bilancio preventivo, annualmente, deve essere adeguato l’’importo stanziato, di modo che vi siano risorse sufficienti per l’impegno ed il pagamento del corrispettivo, consentendo al Consiglio di controllare costantemente l’evolversi della spesa a fronte di fatti nuovi e imprevedibili.
Ove peraltro emergesse una non congruità dell’impegno originario imputabile a circostanze soggettive, imputabili al professionista o al funzionario che ha consentito alla spesa, la maggior somma dovrà invece essere oggetto della procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), nei limiti del valutato “arricchimento” per l’ente.
Altrimenti opinando, infatti, il funzionario che ha operato in modo incauto o non diligente potrebbe facilmente sottrarsi alla responsabilità diretta (art. 191, comma 4, TUEL) e al filtro valutativo che la legge prevede che il Consiglio eserciti in sede di riconoscimento del debito per prestazioni per beni e servizi, a garanzia della propria competenza autorizzativa delle spesa.

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Con la nota richiamata in epigrafe il Sindaco di Santa Maria La Carità (NA) ha chiesto alla Sezione un parere in ordine alla corretta procedura per l’imputazione in bilancio dei maggiori oneri per parcelle professionali presentate a conclusione di un giudizio da parte degli avvocati incaricati della difesa tecnica del Comune.
L’Ente fa l’ipotesi di un impegno a suo tempo assunto in bilancio all’atto del conferimento dell’incarico in una misura “irrisoria”, «senza pattuire condizioni e modalità di espletamento dell'incarico e senza indicare i criteri di determinazione della parcella da presentare a saldo, a conclusione del giudizio».
Chiede pertanto di sapere, nel caso in cui «la parcella presentata dal professionista incaricato, a conclusione del giudizio, si [discostasse] significativamente dall'impegno iniziale assunto» quale sia la procedura corretta da seguire tra:
«a) attivazione del procedimento per il riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell'art. 194, comma 1, lett. e), del T.U.E.L 18.08.2000, n. 267, per provvedere al pagamento della quota della spesa eccedente l'impegno assunto al momento del conferimento dell'incarico, "nei limiti degli accertati e dimostrali utilità e arricchimento per l'ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza";
b) la semplice integrazione dell'impegno assunto per la quota di spesa eccedente
».
Il Comune soggiunge un ulteriore quesito, subordinato al primo sopra esposto. Segnatamente, nel caso in cui si ritenesse corretto procedere nel senso del riconoscimento del debito fuori bilancio (ipotesi sub. a), «chiede di conoscere come debba essere determinato il requisito dell'arricchimento. In particolare, si chiede di conoscere se l'arricchimento deve essere stabilito secondo i valori minimi dei nuovi parametri professionali approvati con D.M. n. 55/2014 e se, dunque, qualora la parcella presentata dal professionista (tenuto conto dell'esito positivo del giudizio, del numero delle udienze, del valore della causa prossimo al limite massimo dello scaglione) superi tali valori minimi, il Comune sia legittimato a rideterminarla d'ufficio secondo i minimi tariffari senza correre il rischio di essere citato in giudizio dal professionista ed essere condannato al pagamento della parcella così come dallo stesso redatta con l'ulteriore aggravio della rifusione delle spese legali».
...
1. Il thema quaestionandi riguarda la corretta procedura contabile da seguire nel caso in cui emerga un debito per parcelle professionali emesse da legali a conclusione di un giudizio, in misura superiore al quantum a suo tempo impegnato al momento del conferimento dell’incarico, impegno poi confluito tra i residui del bilancio dell’ente locale.
In particolare si chiede di sapere se, in tal caso, la maggiore prestazione, debba ritenersi un debito contabilmente nuovo, da impegnarsi, per competenza, nell’esercizio finanziario di presentazione della parcella sul pertinente capitolo di bilancio, nei limiti dello stanziamento (con la procedura ordinaria di cui all’art. 191 TUEL), ovvero debba ritenersi lo stesso un debito per competenza riferibile all’esercizio in cui è stato conferito l’incarico che, pertanto, non può che essere riconosciuto con l’eccezionale procedura dei debiti fuori bilancio (ex art. 194 TUEL, sub specie di debito per prestazioni e servizi ai sensi della lett. e).
Il tema è stato abbondantemente esaminato dalla giurisprudenza contabile (cfr., ex plurimis, SCRC Emilia Romagna parere 25.07.2013 n. 256 e 311/2012/PAR nonché SRC Campania nn. 261/2014/PAR, 241/2014/PRSP e 35/2014/PRSP) nel precedente sistema di contabilità basato sul principio della competenza finanziaria “semplice”, prima dell’entrata in vigore, per tutti gli enti locali, del D.lgs. n. 118/2011, a partire dal 01.01.2015. Tale giurisprudenza, peraltro, per i principi che esprime rimane per gran parte attuale, salvo le precisazioni che seguono.
2. Secondo tale pregressa giurisprudenza,
i debiti per prestazioni professionali devono essere imputati nell’esercizio in cui è stato conferito l’incarico legale, nel rispetto del principio di prudenza e di sana gestione finanziaria, in una misura pari ad una stima, la più precisa possibile, del costo finale della prestazione. Ciò in aderenza al principio contabile n. 2, cpv. 108, del Testo approvato dall’Osservatorio del Ministero dell’Interno il 12.03.2008, ai sensi del quale «l’ente deve determinare compiutamente, anche in fasi successive temporalmente, l’ammontare del compenso (esempio gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti dall’impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di ulteriore impegno, per spese eccedenti l’impegno originario, dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili».
L’obbligo di procurarsi un congruo preventivo del corrispettivo, oltre a gravare sulla pubblica amministrazione e discendere da principi di sana gestione contabile, è oggi un espresso obbligo gravante sullo stesso professionista per effetto delle innovative disposizioni di cui all’art. 9 del D.L. n. 1/2012 conv. L. n. 27/2012. Tale norma ha abrogato le tariffe professionali e ha stabilito che «Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico […]».
Detto in altri termini,
l’ente, da un lato, è tenuto in sede di incarico a concordare nel titolo il corrispettivo affinché il suo ammontare risulti definito o, quantomeno, sufficientemente determinabile, di modo che, a scadenza, la liquidazione dell’onorario e della spesa trovi preventiva e sufficiente provvista nella contabilità dell’ente, evitando la formazione di debiti fuori bilancio.
Nel vecchio sistema contabile, in base al principio della competenza finanziaria “semplice”, tale stima preventiva si traduceva, di norma, nell’impegno nell’anno d’incarico e nella traslazione di tale impegno in conto residui negli anni successivi.
Diversamente
la sottostima del compenso, la mancanza assoluta di stima o la sua contabilizzazione per importi irrisori non poteva che comportare e comporta la formazione di un debito extra-bilancio.
Infatti,
in caso di stima mancante in assoluto o oggettivamente inadeguata in relazione alle caratteristiche della causa (mediante l’impegno di una somma “irrisoria” o comunque ingiustificatamente incongrua), l’unica via perseguibile per la riconduzione del debito al bilancio dell’ente è quella del ricorso alla procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e) (sussistendo il debito, in alternativa, direttamente in capo al funzionario che ha consentito la prestazione, ex art. 191, comma 4, TUEL).
In tale ipotesi, infatti, sarebbero state violate le norme contabili che presidiano la corretta imputazione in bilancio della spesa; il titolo e la fattispecie generativa dell’obbligazione, inoltre, riguarderebbero integralmente un esercizio precedente nel quale l’ammontare della spesa non è stato correttamente rilevato.
In definitiva,
l'adozione di una formale deliberazione di riconoscimento consente la verifica sull'utilità del patrocinio, nonché di attivare il controllo in relazione a possibili profili di responsabilità erariale, stante l'obbligo di trasmissione delle deliberazioni di riconoscimento dei debiti fuori bilancio alla competente Procura presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti (art. 23 della Legge n. 289/2002).
Infatti, come è noto,
il procedimento di riconoscimento dei debiti fuori bilancio è lo strumento giuridico per riportare un’obbligazione giuridicamente perfezionata all’interno della sfera patrimoniale dell’ente, ricongiungendo il debito insorto con la volontà amministrativa (SRC Lombardia parere 22.07.2013 n. 339 e n. 482/2013/PAR). Il procedimento mira, da un lato, a consentire al Consiglio di vagliare la legittimità del titolo (verificando, in primo luogo, la sussunzione in una delle fattispecie tipizzate dall’art. 194 TUEL) e, dall’altro, a reperire modalità di copertura finanziaria (indicate sempre nell’art. 194 TUEL).
Si ricorda poi come la giurisprudenza contabile (SRC Lombardia n. 65/2013 e n. 436/2013, SCR Liguria n. 122/2010 e n. 56/2011) abbia costantemente ritenuto eccezionale la disciplina dell’art. 194 TUEL, salva l’interpretazione estensiva delle ipotesi ivi considerate quando funzionale al non aggravamento della situazione debitoria dell’ente (ad esempio in tema di provvedimenti giurisdizionali legittimanti il riconoscimento, cfr. SRC Campania n. 42/2014/PRSP).
Per altro verso, eccezionalmente, la giurisprudenza ha talvolta ammesso che eventuali maggiori oneri successivamente liquidati, esclusivamente per fatti sopravvenuti ed imprevedibili, quali lo sviluppo del processo in termini di maggiore tempo e complessità procedimentale causata dalla peculiarità della causa, avrebbero potuto essere impegnati per competenza nell’esercizio di manifestazione degli stessi, secondo l’ordinaria procedura di spesa (art. 191 TUEL), integrando l’originario impegno a residuo, con un nuovo impegno nel pertinente capitolo di spesa (cfr. Sez. Lombardia, deliberazioni nn. 19/2009/PAR e 441/2012/PAR; SRC Campania n. 9/2007/PAR; SRC Sardegna deliberazione n. 2/2007/PAR).
La ratio di tale orientamento, da un lato, è che l’ente, ricorrendo tali eccezionali presupposti (fatti sopravvenuti ed imprevedibili) non avrebbe violato le norme che presidiano la procedura di spesa e, per altro verso, il titolo giuridico alla base del residuo originario rimarrebbe immutato e non coinciderebbe con la “causa” del nuovo debito; detto in altri termini, si sarebbe in presenza di una nuova obbligazione giuridica, sorta in un esercizio successivo a fronte di fatti nuovi, imputabili secondo il principio della competenza finanziaria in un esercizio finanziario diverso da quello in cui l’incarico è stato assunto.
In relazione a queste tipologie di debiti sopravvenuti, scaturenti da un titolo a suo tempo regolarmente registrato e imputato ma che, per fatti oggettivamente non preventivabili, si fossero manifestati in sede di liquidazione in un importo superiore a quello a suo tempo impegnato, la giurisprudenza contabile ha parlato di “passività pregresse
(cfr. SRC Lombardia parere 22.07.2013 n. 339 e n. 482/2013/PAR).
3.
La regola secondo cui i debiti per incarichi a legali esterni, ove maggiori rispetto a quelli contabilizzati senza una causa di oggettiva imprevedibilità, con una non ingiustificata “irrisorietà” o “non congruità” dell’importo contabilizzato, devono essere riconosciuti attraverso la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio deve essere confermata anche nel mutato quadro normativo, per effetto dell’entrata in vigore, dal 01.01.2015, della nuova contabilità pubblica (Dlgs. n. 118/2011).
Peraltro, i sopra richiamati principi elaborati in sede ermeneutica vanno arricchiti dal sistema di regole oggi espressamente previsto per gli incarichi a legali eterni, in adattamento al nuovo principio della competenza finanziaria “potenziata” o “rafforzata”, articolatamente disciplinato negli allegati di cui al richiamato decreto, sia in sede di principi generali (Allegato 1, punto 16) che in sede di principi “applicati” (Allegato 4.2, §2).
Secondo tali principi, come è noto, le obbligazioni devono essere registrate in bilancio tenendo conto non solo del perfezionamento del titolo, ma anche della scadenza (esigibilità) della prestazione che, nel caso di spesa per l’acquisto di beni e servizi, di norma, coincide con l’adempimento della prestazione da parte del fornitore (Allegato 4.2, al § 5.2., lett. b).
Nel caso di impegni per incarichi a legali esterni risalenti ad annualità anteriori al 2015, per cui la prestazione per il corrispettivo non sia ancora esigibile, il residuo va riaccertato ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.lgs. n. 118/2011 per addivenire alla ricollocazione temporale dello stesso secondo il principio della competenza finanziaria rafforzata: infatti, «se l’obbligazione non è esigibile, si provvede alla cancellazione dell’impegno ed alla sua immediata re-imputazione all’esercizio in cui si prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale».
Inoltre, in deroga al principio secondo cui nel fondo pluriennale vincolato confluiscono solo entrate correnti vincolate ed entrate destinate al finanziamento di investimenti (Allegato 4.2., § 5.4) «Nell’esercizio in cui l’impegno è cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo pluriennale vincolato al fine di consentire la copertura dell’impegno nell’esercizio in cui l’obbligazione è imputata».
Cionondimeno, il richiamato principio subisce una deroga (in sostanza continuando ad applicare il pregresso criterio della competenza finanziaria “semplice”) nel caso di incarichi a legali esterni dal cui contesto non sia possibile desumere la scadenza: ai sensi del principio contabile applicato di cui all’Allegato 4.2, al § 5.2., lett. g), infatti, «gli impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono imputati all’esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al principio della competenza potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa».
Tale imputazione, peraltro, presuppone la necessità che la spesa sia stata congruamente stimata «al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio». Tale necessità viene resa costante, imponendo un obbligo di verifica annuale; il § 5.2, lett. c), infatti, prevede che l’ente chieda «ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto l’impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori impegni».
In pratica,
a partire dal 2015, ove l’impegno sia stato in origine sottostimato, per cause oggettive, in sede di bilancio preventivo, annualmente, deve essere adeguato l’’importo stanziato, di modo che vi siano risorse sufficienti per l’impegno ed il pagamento del corrispettivo, consentendo al Consiglio di controllare costantemente l’evolversi della spesa a fronte di fatti nuovi e imprevedibili.
Ove peraltro emergesse una non congruità dell’impegno originario imputabile a circostanze soggettive, imputabili al professionista o al funzionario che ha consentito alla spesa, la maggior somma dovrà invece essere oggetto della procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), nei limiti del valutato “arricchimento” per l’ente.
Altrimenti opinando, infatti, il funzionario che ha operato in modo incauto o non diligente potrebbe facilmente sottrarsi alla responsabilità diretta (art. 191, comma 4, TUEL) e al filtro valutativo che la legge prevede che il Consiglio eserciti in sede di riconoscimento del debito per prestazioni per beni e servizi, a garanzia della propria competenza autorizzativa delle spesa
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, parere 01.04.2015 n. 110).

gennaio 2015

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Negli enti locali, vigente la L. 08/06/1990 n. 142, il potere di rilasciare l’autorizzazione a stare in giudizio era di competenza della Giunta Comunale e il potere di conferire la procura del Sindaco.
Dopo l'entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali (D.Lgs. 18/08/2000 n. 267), la giurisprudenza ha affermato che la rappresentanza in giudizio dell'ente locale spetta al Sindaco o al Presidente della Provincia, senza necessità di preventiva autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo diversa previsione dello Statuto, il quale può sia prevedere la necessità della persistenza dell'autorizzazione, attribuendone il relativo potere, sia affidare la rappresentanza dell'ente ad un dirigente, o anche al dirigente dell'ufficio legale, con riferimento all'intero contenzioso.

In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione con cui, in pubblica udienza, il ricorrente ha dedotto che la resistenza in giudizio dell’intimato comune deve ritenersi sfornita di idonea autorizzazione, atteso che la delibera di Giunta con la quale la stessa è stata data, non individua correttamente il procedimento giudiziale al quale la medesima si riferisce.
L’eccezione è infondata.
Negli enti locali, vigente la L. 08/06/1990 n. 142, il potere di rilasciare l’autorizzazione a stare in giudizio era di competenza della Giunta Comunale e il potere di conferire la procura del Sindaco (Cass. Civ., Sez. I, 21/12/2002 n. 18224 e 10/09/2003 n. 13218).
Dopo l'entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali (D.Lgs. 18/08/2000 n. 267), la giurisprudenza ha affermato che la rappresentanza in giudizio dell'ente locale spetta al Sindaco o al Presidente della Provincia, senza necessità di preventiva autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo diversa previsione dello Statuto, il quale può sia prevedere la necessità della persistenza dell'autorizzazione, attribuendone il relativo potere, sia affidare la rappresentanza dell'ente ad un dirigente, o anche al dirigente dell'ufficio legale, con riferimento all'intero contenzioso (Cons. Stato, Sez. IV, 10/02/2012 n. 701; Sez. V, 07/09/2007 n. 4721; Cass. Civ., Sez. I, 13/01/2010 n. 387; Sez. III, 05/08/2010 n. 18158; SS.UU., 27/06/2005 n. 13710; TAR Campania-Salerno 24/09/2012 n. 1674).
Ne consegue che, in difetto di prova in ordine alla persistenza, nell'ambito dell'ordinamento proprio del Comune di Arbus, dell'autorizzazione a stare in giudizio, l'eccezione non può essere accolta
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.01.2015 n. 244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Servizi legali.
Domanda
Per l'affidamento di un servizio legale in un ente locale è necessario avviare una selezione pubblica o è possibile un affidamento in via fiduciaria?
Risposta
L'affidamento dei servizi legali deve avvenire nel rispetto di una procedura di selezione pubblica, ai sensi dell'art. 7, comma 6, del dlgs 165/2001 – Testo Unico sul Pubblico Impiego.
L'oggetto del servizio legale non si esaurisce nel patrocinio legale a favore dell'Ente, ma rientra nella nozione più ampia di consulenza legale che presuppone una procedura comparativa idonea a consentire, a tutti gli aventi diritto, di partecipare alla selezione per la scelta del miglior contraente.
Il Tar Campania, sez. II, con sentenza del 16/07/2014 n. 1383 ha ribadito la distinzione tra patrocinio e servizio legale: il primo è un contratto volto a soddisfare il bisogno di difesa giudiziale dell'ente, inquadrabile nell'ambito della prestazione d'opera intellettuale, il servizio legale, invece, costituisce, per organizzazione e complessità, un'attività più articolata che giustifica la previsione di una selezione pubblica (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.12.2014).

ottobre 2014

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALILa rappresentanza legale e la legittimazione processuale delle Regioni a statuto ordinario compete unicamente al Presidente della Giunta regionale e non certo ai dirigenti.
Invero, anche la Suprema Corte, in materia di rappresentanza processuale degli enti locali, si è posta sul medesimo indirizzo, avendo precisato che “Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto della Provincia -ed anche il regolamento della Provincia, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare- può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa dell'ente locale, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco (ovvero una figura omologa nella Provincia e nella Regione) conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell'Amministrazione”.

- considerato che il ricorso non è stato notificato alla Regione Campania –non per nulla non costituita– in persona del Presidente, legale rappresentante pro–tempore bensì al dirigente pro tempore del’A.C.G. 18 settore 01 Assistenza sociale, unico soggetto evocato in giudizio;
- ritenuto che la rappresentanza legale e la legittimazione processuale delle Regioni a statuto ordinario compete unicamente al Presidente della Giunta regionale e non certo ai dirigenti;
- rammentato che anche la Suprema Corte, in materia di rappresentanza processuale degli enti locali, si è posta sul medesimo indirizzo, avendo precisato che “Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto della Provincia -ed anche il regolamento della Provincia, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare- può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa dell'ente locale, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco (ovvero una figura omologa nella Provincia e nella Regione) conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell'Amministrazione” (Cassazione civile sez. VI 08.10.2014 n. 21270) e tenuto conto che una siffatta derogatoria disposizione, che conferisca la rappresentanza processuale ai dirigenti, non è stata allegata né invocata;
- ritenuto, conseguentemente, che il ricorso all’esame va dichiarato inammissibile per non essere stata correttamente evocata in giudizio l’Autorità emanante il provvedimento gravato (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.12.2014 n. 6473 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIPer difendere il Comune basta la procura. Tar Lecce. Il compenso deve essere proporzionato all'importanza dell'incarico.
Per difendere un Comune non occorre un contratto: all'avvocato basta la procura rilasciata dal sindaco.
Lo afferma il TAR Puglia-Lecce, Sez. II, con la sentenza 14.10.2014 n. 2500.
Un legale chiedeva compensi per oltre un decennio di liti gestite per l'amministrazione: il Comune ha riconosciuto l'esistenza dei crediti, inserendo le somme tra i debiti fuori bilancio, ma ha quantificato il dovuto utilizzando i minimi tariffari (all'epoca in vigore). L'ente affermava infatti che la mancanza di un contratto di patrocinio o di altro atto scritto non potesse generare un debito superiore ai minimi.
Il Tribunale arriva a diversa conclusione esaminando i principi sui contratti tra professionisti ed enti pubblici: primo punto fermo è che il contratto deve avere forma scritta (Cassazione 7297/2009), perché è inapplicabile la norma sui contratti conclusi a distanza con imprese commerciali. Occorre poi distinguere l'affidamento dei servizi legali (che esige una gara: Tar di Salerno, 1383/2014) dal conferimento di incarichi individuali.
Nel secondo caso basta la procura alla lite, cioè la firma del sindaco a margine della procura sull'atto giudiziario. La procura è infatti un negozio unilaterale: quando è conferita per iscritto dal cliente, ex articolo 83 del Codice di procedura civile, è accettata dal professionista con il concreto esercizio della rappresentanza in giudizio mediante atti difensivi e soddisfa il requisito della forma scritta ad substantiam, perché sono presenti tutti i requisiti necessari: a) incontro di volontà tra ente pubblico e difensore; b) funzione economico-sociale (causa) del negozio; c) oggetto e, d) forma scritta, consentendo di identificare il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell'autorità tutoria.
Il contratto di patrocinio, invece, è un negozio bilaterale con il quale il Comune dà incarico al professionista per un'attività extragiudiziaria svolta, con la logica del mandato, sulla base di un rapporto interno di natura extraprocessuale (Cassazione 18450/2014).
Una volta superato lo scoglio della forma scritta, il Tar di Lecce ha poi annullato la delibera comunale nella parte in cui riconosceva solo i minimi tariffari: tutti gli incarichi conferiti per un decennio, infatti, avevano uno specifico spessore e corrispondevano a specifiche utilità conseguite dal Comune, senza che vi fossero ragioni per reputare gli importi richiesti come incongrui, trattandosi oltretutto di controversie non seriali e ultradecennali.
Con questo ragionamento si supera l'indirizzo espresso dalla Corte dei conti, sezione Basilicata, nella sentenza 180/2011, secondo la quale vi è responsabilità contabile dell'ente che paghi una parcella legale sovrastimata rispetto alla reale utilità della prestazione resa: se –come nel caso deciso a Lecce– l'incarico giudiziale è conferito con la semplice procura, senza prevedere specifici limiti minimi, il professionista può far valere il diritto a un compenso adeguato all'importanza dell'opera (articolo 2233 Cc) sulla base della tariffa professionale (Cassazione 10190/2014) e avendo riguardo al valore della causa (articoli 9 Dl 1/2012 e 13 legge 247/2012, Dm 10.03.2014, n. 55)
(articolo Il Sole 24 Ore del 29.10.2014).
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Il formale conferimento della procura alla lite ed il concreto esercizio della rappresentanza processuale della parte configurano anche il perfezionamento in forma scritta del sottostante contratto di patrocinio nell’ipotesi in cui parte conferente sia l’organo rappresentativo di un ente pubblico -il sindaco-, determinatosi in merito secondo conforme Deliberazione dell’organo collegiale -giunta municipale- preposto allo scopo.
La procura alla lite, infatti, quale negozio unilaterale di conferimento della rappresentanza in giudizio, si distingue sì dal contratto di patrocinio, negozio bilaterale, con il quale viene conferito l’incarico al professionista, ma, quando la stessa, conferita per iscritto dal cliente, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., è accettata dal professionista con il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale tramite atto difensivo sottoscritto, può configurare il contratto di patrocinio tra ente pubblico e professionista, soddisfacendone anche il requisito della forma scritta ad substantiam, perché del contratto di patrocinio con la pubblica Amministrazione sono presenti tutti i requisiti necessari: dall’incontro di volontà tra ente pubblico e difensore alla funzione economico-sociale (causa) del negozio, all’oggetto e alla forma scritta, requisito proprio di tutti i contratti stipulati dalla P.A., che risponde all’esigenza di identificarne il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria. Esigenza che, nella specie, è soddisfatta dal collegamento necessario, funzionale e di contenuto tra la procura alla lite, sottoscritta dal rappresentante dell’Ente, e l’atto di difesa (citazione, ricorso o comparsa) sottoscritto dal difensore.
Può, quindi, essere affermato il seguente principio: In tema di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad substantiam per iscritto, il requisito della forma del contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al difensore della procura ex art. 83 cod. proc. civ., atteso che, il relativo esercizio della rappresentanza giudiziale, tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona -con l’incontro di volontà fra le parti l’accordo contrattuale in forma scritta, che, rendendo possibile l’identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell’Autorità tutoria, risponde ai requisiti previsti per i contratti della P.A..

Con riguardo, poi, al tema concernente l’assenza, ritenuta dal Comune, della ‘forma scritta’, il Collegio osserva che la questione deve reputarsi anch’essa ‘superata’ in ragione dei principi più volte espressi, sul punto, dalla S.C., secondo la quale <<il formale conferimento della procura alla lite ed il concreto esercizio della rappresentanza processuale della parte configurano anche il perfezionamento in forma scritta del sottostante contratto di patrocinio nell’ipotesi in cui parte conferente sia l’organo rappresentativo di un ente pubblico -il sindaco-, determinatosi in merito secondo conforme Deliberazione dell’organo collegiale -giunta municipale- preposto allo scopo (Cass. 16.06.2006 n. 13963; cass. 05.05.2004 n. 8500).
La procura alla lite, infatti, quale negozio unilaterale di conferimento della rappresentanza in giudizio, si distingue sì dal contratto di patrocinio, negozio bilaterale, con il quale viene conferito l’incarico al professionista, ma, quando la stessa, conferita per iscritto dal cliente, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., è accettata dal professionista con il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale tramite atto difensivo sottoscritto, può configurare il contratto di patrocinio tra ente pubblico e professionista, soddisfacendone anche il requisito della forma scritta ad substantiam, perché del contratto di patrocinio con la pubblica Amministrazione sono presenti tutti i requisiti necessari: dall’incontro di volontà tra ente pubblico e difensore alla funzione economico-sociale (causa) del negozio, all’oggetto e alla forma scritta, requisito proprio di tutti i contratti stipulati dalla P.A., che risponde all’esigenza di identificarne il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria. Esigenza che, nella specie, è soddisfatta dal collegamento necessario, funzionale e di contenuto tra la procura alla lite, sottoscritta dal rappresentante dell’Ente, e l’atto di difesa (citazione, ricorso o comparsa) sottoscritto dal difensore.
Può, quindi, essere affermato il seguente principio: In tema di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad substantiam per iscritto, il requisito della forma del contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al difensore della procura ex art. 83 cod. proc. civ., atteso che, il relativo esercizio della rappresentanza giudiziale, tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona -con l’incontro di volontà fra le parti l’accordo contrattuale in forma scritta, che, rendendo possibile l’identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell’Autorità tutoria, risponde ai requisiti previsti per i contratti della P.A. (v. anche Cass. 05.05.2004 n. 8500; Cass. 18.07.2002 n. 10454)
>> (Cassazione civile, VI, 16.02.2012, n. 2266).

INCARICHI PROFESSIONALI: Divieto quota lite circoscritto. L'argine si applica solo alle attività di tipo difensivo. La Corte di cassazione ammette l'accordo del cliente con un semplice consulente.
Il divieto del patto di quota lite si applica solo ai difensori e non anche ai consulenti del lavoro che prestino attività amministrativo-contabile volta all'accertamento del diritto del cliente a godere di agevolazioni fiscali e al recupero di eventuali somme indebitamente versate all'erario.
Lo ha stabilito la II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 02.10.2014 n. 20839.
La vicenda controversa trae origine da un contratto stipulato tra un consulente del lavoro e una società del Mezzogiorno. In base all'accordo, il professionista si è impegnato a verificare la presenza di eventuali indebiti versati dalla società all'erario in rapporto all'introduzione, per via normativa, di alcune agevolazioni fiscali; la provvigione per l'attività in questione è stata indicata nel 25% delle somme che il consulente avrebbe recuperato in favore del cliente.
Ebbene, il professionista, nell'adempiere il suo incarico, è riuscito a spuntare in favore della società una somma pari a quasi un miliardo del vecchio conio. E tuttavia, quando è stato il momento di dividere il «tesoretto», il cliente ha eccepito un secco diniego. Di più, questi si è rivolto al tribunale per ottenere l'annullamento del contratto di consulenza a cagione del patto di quota lite in esso previsto. Il giudice di primo grado, e tanto ha ritenuto anche la Corte d'appello, ha accolto, non prima di averla riqualificata, la domanda della società dichiarando la nullità parziale dell'accordo, e riconoscendo al consulente una somma di gran lunga inferiore all'originario 25% del «recuperato». Secondo i giudici di merito, infatti, il contratto intervenuto tra i litiganti si poneva in contrasto col «divieto di patto di quota lite», di cui all'art. 2233, terzo comma, del codice civile.
Il professionista si è dunque rivolto in ultima istanza alla Corte di cassazione, ivi censurando l'apprezzamento svolto dai giudici della Corte territoriale nella parte in cui ebbero a ritenere applicabile al caso di specie il divieto di strutturare il compenso in percentuale ai risultati ottenuti.
La Corte, nell'accogliere il ricorso, ha fatto chiarezza sul perimetro della norma, relegandone l'applicazione ai soli difensori (avvocati, procuratori o patrocinatori legali) e, comunque, ai soli soggetti che assumano le vesti di difensore.
Spiegano i giudici come l'art. 2233, terzo comma, codice civile, già prima dell'intervento di riforma a opera dell'art. 2, comma 2-bis, del dl n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, disponeva che «gli avvocati, i procuratori e i patrocinanti non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio sotto pena di nullità e dei danni». Secondo la Corte, la norma in questione riguardava e riguarda tuttora «l'attività difensiva prestata nell'ambito di una controversia, e cioè, non ogni attività professionale, ma esclusivamente l'esercizio dell'attività di patrocinio affidata a un difensore in una controversia o in vista di una controversia».
La nullità (parziale) del contratto è stata concepita solo per il «negozio bilaterale stipulato dal professionista investito del patrocinio legale con il cliente relativamente ai beni oggetto della controversia a lui affidata»; e integra un'«eccezione al principio generale della libertà negoziale», fondata sull'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al dichiarato intento di tutelare l'interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, la quale risulterebbe lesa tutte le volte in cui nella convenzione concernente il compenso possano ravvisarsi forme di partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Da ultimo, la Corte non manca di fornire una precisazione importante: è vero, come ha osservato la difesa della società, che la norma in passato è stata ritenuta applicabile anche a ragionieri e commercialisti; tuttavia, in quelle ipotesi detti professionisti avevano pur sempre svolto attività di patrocinio dinnanzi alle commissioni tributarie.
Sulla base di quanto premesso, gli ermellini hanno ritenuto legittima la clausola contrattuale inserita dal consulente del lavoro proprio alla luce dell'attività prestata, di tipo amministrativo-contabile e non già difensiva. Per l'effetto hanno annullato la sentenza della Corte d'appello e riconosciuto il pieno diritto del professionista a ricevere il compenso nella sua interezza (articolo ItaliaOggi Sette del 27.10.2014).

INCARICHI PROFESSIONALIDivieto di quota lite solo per i difensori. Professionisti. La modalità di determinazione del compenso.
Il divieto del patto di quota lite, già previsto dal Codice civile e poi reintrodotto dalla riforma dell'ordinamento forense, si riferisce a chi svolge un'attività difensiva. Ne è pertanto escluso il consulente del lavoro che punta a ottenere un risparmio per la società sua cliente e che non svolge certo un'attività di assistenza e rappresentanza in giudizio.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza 02.10.2014 n. 20839 della II Sez. civile.
Il patto di quota lite prevede che l'avvocato o il professionista percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione professionale. Il divieto era prima previsto dal Codice civile (momento cui si riferisce la pronuncia della Cassazione), poi rivisto nel l'ambito delle "lenzuolate" del l'allora ministro Pier Luigi Bersani e infine reintrodotto dal nuovo ordinamento forense.
Il consulente era stato ingaggiato da una società per l'individuazione di soluzioni giuridiche che permettessero alla stessa di godere del beneficio delle agevolazioni (sgravio degli oneri sociali sui contributi Inps) previste per le aziende industriali del Mezzogiorno. A titolo di compenso veniva previsto il 25% dei contributi già pagati e recuperati. Ottenuta l'agevolazione, però, la società aveva citato il consulente per vedere annullato il contratto di prestazione d'opera professionale sostenendo il divieto del patto di quota lite. Sia in primo grado sia in appello il professionista aveva visto sconfitta la propria tesi e negato il compenso.
Ora la Cassazione ribalta i verdetti e precisa che il divieto, anche nella vecchia versione del Codice civile, si riferiva solo al professionista che svolge attività difensiva. Non solo l'avvocato, ma anche il dottore commercialista, il ragioniere e il consulente quando svolgono attività di patrocinio davanti alle commissioni tributarie.
La prestazione svolta dal consulente del lavoro, nel caso esaminato dalla Cassazione, non rientrava certo nell'attività di assistenza e di rappresentanza in giudizio della società, quanto piuttosto in un impegno a ottenere dall'Inps il riconoscimento in via amministrativo contabile del diritto della società a ottenere lo sgravio
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.10.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
Il divieto del cosiddetto patto di quota lite tra l’avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di cui all’art. 2233 cod. civ., trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia, comunque, ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Ne consegue che detto patto (legittimamente ravvisabile anche sotto forma di promessa unilaterale, costituendo questa una fattispecie negoziale ove l’astrazione della causa risulta limitata all’ambito processuale) va rinvenuto non soltanto nella ipotesi in cui il compenso del legale consista in parte dei beni o crediti litigiosi, secondo l’espressa previsione della norma (che costituisce, in relazione alla ratio della tutela, soltanto la tipizzazione dell’ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e che, pertanto, non esaurisce il divieto), ma anche qualora tale compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, cosi, quella (non consentita) partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.
Ne consegue che la nullità di quel patto, sancita dall’art. 2233 terzo comma cod. civ., prescinde dalla circostanza del verificarsi di un indebito lucro per il professionista, e può essere fatta valere da ciascuno dei contraenti, senza che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno specifico interesse a rimuoverne gli effetti
(tratta da http://renatodisa.com).

settembre 2014

INCARICHI PROFESSIONALIAvvocati, onorari ingabbiati. Conta il valore della lite, non quello della domanda. CASSAZIONE/ I giudici sottolineano l'orientamento consolidato in giurisprudenza.
Circa le modalità di determinazione dell'onorario dell'avvocato, il giudice deve rapportarsi al valore effettivo della controversia e non a quello della domanda azionata in giudizio.

Lo hanno sottolineato i giudici della I Sez. della Corte di Cassazione, con sentenza 25.09.2014 n. 20302.
I giudici di piazza Cavour hanno sottolineato come l'applicazione del predetto criterio trova conforto nell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, a differenza di quanto accade nella liquidazione delle spese a carico della parte soccombente (ai fini della quale il comma primo dell'art. 6 della tariffa forense allegata al dm n. 585/1994, impone di avere riguardo al valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile, ferma restando, nei giudizi aventi a oggetto il pagamento di somme o la liquidazione di danni, la necessità di fare riferimento alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata), nei rapporti tra l'avvocato e il cliente sussiste sempre la possibilità di un concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello determinato in base alle norme del codice di rito.
Tale orientamento, a parere della Suprema corte «trova giustificazione in un'interpretazione sistematica dei commi secondo e quarto dell'art. 6, conforme al principio generale di proporzionalità e adeguatezza degli onorari di avvocato alla opera professionale effettivamente prestata, in virtù della quale il richiamo della prima disposizione al valore presunto a norma del codice di procedura civile, da intendersi riferito a tutte le regole da quest'ultimo dettate per la determinazione del valore della controversia, non esclude l'attribuzione al giudice di una generale facoltà discrezionale di adeguare la misura dell'onorario all'effettiva importanza della prestazione (...). L'esercizio della predetta facoltà non incontra un limite nella diversità della funzione esercitata dal giudice delegato al fallimento rispetto a quella svolta dal giudice chiamato a decidere una controversia tra avvocato e cliente, trattandosi in entrambi i casi di procedere alla liquidazione del corrispettivo dovuto per l'attività svolta in esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale, per la quale la tariffa non prevede criteri differenziati a seconda del soggetto in favore del quale sia stata prestata la predetta attività» (articolo ItaliaOggi Sette del 27.10.2014).

INCARICHI PROFESSIONALI: Per il compenso del legale pesa l'interesse del cliente.
Quando si valuta il compenso professionale spettante al legale, per l'incarico svolto, non si deve tener conto solo del valore complessivo dell'affare convenzionalmente stabilito nel contratto, ma è opportuno considerare anche l'interesse della parte, che ha accordato l'incarico, rispetto al risultato da raggiungere.

Lo hanno affermato i giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione, con sentenza 15.09.2014 n. 19406.
I giudici di piazza Cavour si sono espressi circa il caso in cui una società si opponeva al decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto da un avvocato per il pagamento degli onorari, a seguito dell'attività stragiudiziale regolarmente svolta. La società deduceva che il legale non aveva effettuato tutte le prestazioni indicate. In primo grado il tribunale accoglieva l'opposizione. In secondo grado i giudici accoglievano, poi, il gravame proposto dal legale, stabilendo che il compenso doveva essere commisurato al valore complessivo delle opere quale poteva ricavarsi dalla lettera di conferimento.
La società, lamentando l'errore della Corte d'appello che non aveva condiviso l'individuazione dell'oggetto, proponeva ricorso per cassazione, considerando sufficiente e necessaria la sola prospettazione della lettera di incarico, indicante il valore convenzionale dell'affare. Secondo la Suprema corte, la Corte d'appello «non ha mai in alcun modo affrontato la questione posta circa la determinazione del valore dell'oggetto dell'incarico, essendosi limitata a considerare che la sola indicazione dell'importo di 3 miliardi contenuta nell'oggetto della lettera d'incarico riguardasse il valore convenzionale attribuito all'oggetto del contratto, prescindendo da ogni ulteriore valutazione in ordine alla situazione nella quale si trovava la lottizzazione e al relativo iter, così da poter meglio definire quale fosse l'effettivo e specifico interesse della parte che conferiva l'incarico rispetto al risultato dello stesso».
Pertanto al fine del calcolo dell'onorario del professionista si deve valutare non soltanto l'importanza della prestazione svolta ma anche i risultati e i vantaggi che il cliente ha ottenuto (articolo ItaliaOggi Sette del 13.10.2014).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sulle parcelle la parola va al Tar.
Spetta al giudice amministrativo la giurisdizione circa le controversie aventi ad oggetto i pareri di congruità sulle parcelle professionali degli avvocati.

Lo hanno sostenuto i giudici della III Sez. del TAR Lombardia-Milano, con sentenza 11.09.2014 n. 2345.
Appare opportuno precisare che in relazione alle controversie aventi ad oggetto i pareri di congruità sulle parcelle professionali si sono registrati orientamenti contrastanti: un parte della giurisprudenza (si vedano Tar Venezia sez. I n. 183/2014 e n. 1110/2014; Cons. stato sez. VI n. 4942/2013; Tar Milano sez. III n. 1047/2012; Tar Roma sez. III-quater n. 196/2012; Cons. Stato sez. IV n. 9352/2010) –che, sottolineano i giudici amministrativi lombardi, appare maggioritaria– ritiene la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia instaurata da un privato nei confronti del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in relazione al parere dal medesimo rilasciato sulla liquidazione degli onorari di un proprio iscritto, stante la natura di ente pubblico non economico del medesimo Consiglio e il carattere di tale parere, da ritenere un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo, emesso nell'esercizio di poteri autoritativi, che non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale ma implica la valutazione di congruità del quantum (si vedano Cass. ss.uu. n. 6534/2008; n. 1874/2009; n. 14812/2009).
Altra parte della giurisprudenza invece (si vedano Tar Venezia sez. I n. 113/2013; idem n. 1801/2011; Tar Napoli sez. VIII n. 3496/2009) risulta essere incline a ritenere la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Il Tar ha aderito al primo orientamento.
Appare opportuno in questa sede sottolineare che, ai sensi di legge, le prestazioni professionali forensi sono distinte in attività stragiudiziale e attività giudiziale: le attività giudiziali sono distinte in attività penale e attività civile, amministrativa e tributaria. L'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria è distinta nelle seguenti fasi: fase di studio della controversia; fase di introduzione del procedimento; fase istruttoria; fase decisoria; fase esecutiva.
L'attività stragiudiziale, invece, viene liquidata tenendo conto del valore e della natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione (articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014).

agosto 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocati. Parcelle solo con la procura.
Circa le prestazioni svolte in giudizio dall'avvocato, al fine del riconoscimento dell'eventuale compenso spettante, è necessario accertare, anche d'ufficio, la validità della procura conferita.

Ad affermarlo sono stati i giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione, con sentenza 29.08.2014 n. 18450.
Ne consegue che non può una eventuale invalidità della procura alle liti, da conferirsi nelle forme di legge, essere superata, ai fini del riconoscimento di detto compenso professionale, dal contratto di patrocinio che può riferirsi solo a un'attività extragiudiziaria, svolta dal professionista legale in favore del proprio cliente, sulla base di un rapporto interno, di natura extraprocessuale, con il cliente stesso, rapporto ben distinto, quindi, dal mandato «ad litem».
Inoltre sembra opportuno rammentare che, mentre la procura «ad litem» costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio con le forme previste dall'art. 83 c.p.c., il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (contratto di patrocinio) con cui il professionista viene incaricato di svolgere la sua opera professionale in favore della parte, secondo la schema proprio del mandato (Cass. n. 13963/2006; n. 10454/2002).
Va, innanzitutto, rammentato in via del tutto preliminare e in ossequio anche con la giurisprudenza della Cassazione stessa, che la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita, con effetti retroattivi, solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c. il quale prevede che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (Cass. s.u. n. 10706/2006; Cass. n. 9464/2012).
Infine, in difetto di un conferimento di una procura alle liti per la rappresentanza e difesa in giudizio, non insorgendo un rapporto professionale tra patrono e cliente, non è neppure consentito determinare il contento economico del compenso professionale, secondo le norme inderogabili di cui alla legge n. 794/1942 in materia di prestazioni giudiziali degli avvocati in sede civile (Cass. n. 28718/2008) (articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014.

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: In via ordinaria -ai sensi degli art. 35 e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi negli artt. 48 e 50 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267- la decisione di agire e resistere in giudizio e il conferimento al difensore del mandato alle liti spettano al rappresentante legale dell'ente (cioè al Sindaco), senza bisogno di autorizzazione della Giunta o del dirigente competente ratione materiae.
All’autonomia statutaria (legittimata a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) è però conservata la possibilità di prevedere l'autorizzazione della Giunta ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento.

La società appellata contesta l’ammissibilità dell’appello, perché non preceduta da una conforme deliberazione della Giunta comunale.
L’eccezione non ha pregio.
In via ordinaria -ai sensi degli art. 35 e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi negli artt. 48 e 50 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267- la decisione di agire e resistere in giudizio e il conferimento al difensore del mandato alle liti spettano al rappresentante legale dell'ente (cioè al Sindaco), senza bisogno di autorizzazione della Giunta o del dirigente competente ratione materiae. All’autonomia statutaria (legittimata a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) è però conservata la possibilità di prevedere l'autorizzazione della Giunta ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 07.02.2012, n. 650).
Tale è appunto il caso di specie, perché il Comune ha potuto dimostrare che -secondo la propria normativa (in particolare: l’art. 42, comma 5, dello statuto), non contestata e tanto meno impugnata- ferma restando la legale rappresentanza in giudizio dell’ente in capo al Sindaco, sono di competenza dei dirigenti le decisioni in materia di “promozione e resistenza alle liti di qualsiasi tipo”. Nessuna delibera di Giunta avrebbe dunque dovuto precedere la proposizione dell’appello.
Dal canto suo, l’Amministrazione rinnova un’eccezione già formulata in primo grado e disattesa dal TAR: nella misura in cui avrebbe a oggetto situazioni bensì analoghe, ma sostanzialmente del tutto distinte, il ricorso introduttivo, proposto uno actu contro i due provvedimenti comunali di autorizzazione in precario, ricordati in narrativa, sarebbe inammissibile (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.08.2014 n. 4277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame, l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella complessiva attività di assistenza e consulenza legale da espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione, comprensivo, come specificato nello schema di convenzione, di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione di pareri.
In sostanza, non si trattava, nello specifico, dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico o di una singola attività afferente ad una specifica vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una complessiva attività di assistenza in favore dell’ente locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione ampia di consulenza legale.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio contraente.
A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli incarichi esterni, approvato dal Comune con delibera n. 102/2010 che, allo scopo di garantire la trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette, all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale reputi che la scelta di un determinato professionista risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta del professionista esterno.
Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale, dall’art. 7, comma 6, del D. Lgs n. 165/2001, come modificato dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, a mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, ed alle condizioni e con i presupposti specificamente individuati dal legislatore.
Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo Basilicata, parere n. 8/2009) e dall’autorevole orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il servizio legale per un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità, rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.
Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o modalità organizzativa, che giustifica il suo assoggettamento alla disciplina concorsuale.
L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configura quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce.
Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici.

L’avv.to B.L.A., titolare di uno studio legale in Calabritto ed avvocato iscritto all’Albo del Foro di S. Angelo dei Lombardi (AV), ha impugnato la delibera n. 1 del 11.06.2013 con la quale il Comune di Caposele ha conferito agli avv.ti P.M. e T.R. l’incarico di collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità da svolgersi per la consulenza legale, giudiziale e stragiudiziale, a tutti gli organi comunali, per la durata di un anno.
Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità di tale delibera per violazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 100 del T.U. n. 267/2000, del Regolamento sugli incarichi esterni del Comune di Caposele, approvato con delibera n. 102/2010, e dell’art. 33 del R.O. del Comune.
Ha, inoltre, censurato la delibera per illegittimità derivata dalla violazione degli artt. 21 e 23 della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, dell’art. 51 della Costituzione, dell’art. 6 del T.U. n. 267/2000 e degli artt. 9 e 40 dello Statuto Comunale.
Da ultimo, ha censurato la violazione degli artt. 78 e 49 del T.U. n. 267/2000.
In sostanza, a detta del ricorrente, il Comune, vista la natura dell’incarico in questione, non avrebbe potuto procedere al suo diretto conferimento agli avv.ti M. e R. ma avrebbe dovuto porre in essere una procedura concorsuale di tipo selettivo, aperta alla partecipazione di tutti coloro che, in possesso dei titoli e requisiti richiesti, aspiravano al conseguimento dell’incarico.
Nella formazione della seduta consiliare del 10.06.2013, poi, non erano state rispettate le c.d. quote rosa, ed il Sindaco non si era astenuto, proponendo e affidando l’incarico al coniuge di un parente entro il quarto grado, sottoscrivendo, altresì, il parere tecnico sulla proposta di delibera impugnata.
Per tali ragioni la delibera andava annullata.
...
Passando, ora, al merito delle censure proposte, il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato.
Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame, l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella complessiva attività di assistenza e consulenza legale da espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione, comprensivo, come specificato nello schema di convenzione, di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione di pareri. In sostanza, non si trattava, nello specifico, dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico o di una singola attività afferente ad una specifica vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una complessiva attività di assistenza in favore dell’ente locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione ampia di consulenza legale.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio contraente.
A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli incarichi esterni, approvato dal Comune di Caposele con delibera n. 102/2010 che, allo scopo di garantire la trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette, all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale reputi che la scelta di un determinato professionista risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta del professionista esterno.
Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale, dall’art. 7, comma 6, del D. Lgs n. 165/2001, come modificato dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, a mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, ed alle condizioni e con i presupposti specificamente individuati dal legislatore.
Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo Basilicata, parere n. 8/2009) e dall’autorevole orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il servizio legale per un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità, rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.
Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o modalità organizzativa, che giustifica il suo assoggettamento alla disciplina concorsuale.
L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configura quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce (Autorità per la Vigilanza sui Contratti, determina n. 4 del 07.07.2011).
Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici (Cons. Stato, sez. V. 11.05.2012 n. 2730).
Alla luce di tali argomentazioni, deve concludersi che, vista la natura e complessità dell’incarico conferito dal Comune di Caposele, la mancata attivazione di una procedura comparativa di tipo concorsuale, da parte dell’Ente locale, per la scelta del miglior contraente, abbia determinato l’illegittimità della delibera gravata, che, per tale ragione, deve essere annullata (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 16.07.2014 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIPec, costa caro non controllare. L'avvocato è il responsabile della gestione dell'utenza. Per la Cassazione il legale non può farsi schermo della mancata apertura della posta.
Non verificare il contenuto della propria casella di posta elettronica certificata può costare caro. Infatti, dal momento in cui il legale riceve l'abilitazione all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dagli uffici giudiziari e non può far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali.

È quanto ha statuito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nel testo della sentenza 02.07.2014 n. 15070, con cui ha respinto la doglianza di un legale il quale lamentava che nel giudizio di secondo grado non aveva potuto conoscere l'emissione di un decreto di fissazione udienza in quanto trasmesso esclusivamente al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato nel ricorso.
Casella di posta inaccessibile allo stesso avvocato che non aveva potuto accedervi in quanto sprovvisto, al momento, della password di accesso. A detta del professionista, infatti, in questi casi la comunicazione avrebbe dovuto essere accompagnata da un successivo inoltro a mezzo fax o per il tramite di un ufficiale giudiziario.
Per la Corte, la motivazione di cui sopra non regge e deve essere disattesa. Con le novità introdotte in materia di notificazioni via Pec (valga su tutti il decreto del ministro della Giustizia 21/02/2011), si stabilisce che i cancellieri sono tenuti a trasmettere le comunicazioni alle parti costituite in giudizio a mezzo dello strumento della posta certificata, all'indirizzo che il professionista deve obbligatoriamente indicare nel ricorso. In pratica, una volta ottenuta da parte dell'ufficio giudiziario interessato l'abilitazione alla Pec, ogni avvocato diventa responsabile della gestione della propria casella di posta certificata.
Questo comporta che l'eventuale negligenza che consiste nella mancata apertura della casella e la successiva lettura delle comunicazioni ivi contenute, non può costituire mezzo per richiedere una declaratoria di nullità dei documenti correttamente trasmessi da parte degli uffici giudiziari. Né può invocarsi il mancato inoltro delle comunicazioni a mezzo fax o ufficiale giudiziario, in quanto tali modalità di notifica, in base all'articolo 136, terzo comma del codice di procedura civile, sono efficaci soltanto quando non è possibile procedere a mezzo Pec e non quando dipendono da problemi di gestione della Pec da parte del relativo titolare (articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014).

gennaio 2014

INCARICHI PROFESSIONALIParcelle sotto il minimo. Se la causa risulta di facile trattazione. CASSAZIONE/ Il giudice deve adeguatamente motivare la scelta
Liquidazione delle spese di lite: quando la causa risulta di facile trattazione (non presenta, cioè, elementi di difficoltà tale né esplicita né implicita) il giudice può deliberare importi inferiori al minimo tariffario per il legale, sempre che la riduzione non sia inferiore alla metà (ex art. 4, legge n. 794/1942) e la decisione venga adeguatamente motivata.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. III civile, nella sentenza 29.01.2014 n. 1972.
Secondo i giudici della III Sezione civile quando, come nel caso di specie, la controversia ha «ad oggetto una fattispecie tipicamente seriale, che non presenta alcuna difficoltà né teorica, né pratica», il giudice di merito in sede di liquidazione delle spese di lite deve attenersi ad «alcuni generali principi e regole operative», quali quelle contenute nell'art. 75 disp. att. c.p.c., integrato con l'art. 60 rdl 27/11/1933, n. 1578 (convertito, con modificazioni, nella legge 22.01.1934, n. 36), recante l'ordinamento della professione di avvocato, applicabile ratione temporis ai sensi dell'art. 1, comma 1, dlgs 01/12/2009, n. 179.
La controversia sulla quale era stato chiamato ad intervenire il collegio giudicante aveva ad oggetto il risarcimento del danno da circolazione stradale, materia sulla quale esistono orientamenti giurisprudenziali sostanzialmente concordanti: più precisamente, una donna era rimasta coinvolta in un sinistro stradale causato dal «difettoso funzionamento di un semaforo, il quale proiettava contemporaneamente luce verde in due direzioni tra loro ortogonali, creando così una insidia per gli automobilisti». In primo grado, la domanda di parte attrice veniva accolta; in appello, viceversa, riformata, in quanto il tribunale aveva ridotto sia il risarcimento accordato che le spese di soccombenza.
Anche in Cassazione i giudici di legittimità, decidendo nel merito, hanno ridotto le spese di liquidazione rammentando come «lo iato tra petitum e decisum può costituire un valido motivo per la compensazione delle spese, in base alla massima d'esperienza secondo cui meno esose pretese del creditore favoriscono di norma l'adempimento spontaneo del debitore, e di conseguenza evitano la necessità della lite» (articolo ItaliaOggi Sette del 17.02.2014).

dicembre 2013

INCARICHI PROFESSIONALISecondo un recente arresto della giurisprudenza amministrativa, che questa Sezione condivide, gli enti locali non hanno l’obbligo di esperire una “gara” per affidare un singolo incarico di patrocinio legale, poiché sussistono profonde differenze tra i generici servizi legali e l’incarico di patrocinio/difesa legale, cioè tra l’attività continuativa o comunque non episodica di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla complessità dell’oggetto, da una specifica organizzazione rapportata alla predeterminazione della durata, dalla predeterminazione del compenso, e l’espletamento del singolo incarico di patrocinio legale.
Con la decisione sopra indicata, il giudice amministrativo di appello, ribaltando la decisione del tribunale di prime cure, ha infatti ritenuto che
il conferimento del singolo incarico episodico non costituisce un appalto di servizi, ma integra un contratto d’opera intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in materia di procedure di evidenza pubblica, precisando in particolare: “...il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce....”.
Al contrario,
il contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, presidiato dalle specifiche disposizioni comunitarie volte a tutelare la libertà di stabilimento del prestatore in quanto lavoratore, non può soggiacere, neanche nei sensi di cui all’articolo 27 del codice dei contratti pubblici, ad una procedura concorsuale di stampo selettivo che si appalesa incompatibile con la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, della non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e della conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici.
Su posizioni analoghe si era già attestata la Sezione Autonomie della Corte di conti, osservando, tra l’altro, come “
appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell'ambito dell'appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei "servizi legali" di cui all'allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell'art. 20 del decreto, uno dei contratti d'appalto di servizi cosiddetti "esclusi", assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione)”.
Nella medesima linea interpretativa si colloca l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “
il conferimento dell'incarico di patrocinio legale comprende normalmente anche quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce l'incarico di patrocinio; che anche nell'ambito di una procedura giudiziale civile il professionista può prestare, in relazione alla stessa pratica, sia attività giudiziale sia attività stragiudiziale, comprendendosi in quest'ultima quelle prestazioni che non risultino strettamente connesse e strumentali all'attività propriamente processuale”, nonché la giurisprudenza amministrativa, la quale ha ritenuto che “Il conferimento all'avvocato di incarico di patrocinio giudiziale comprende normalmente anche quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce l'incarico di patrocinio”.
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Il ricorso alle collaborazioni esterne (nella specie, ad un avvocato del libero foro, già avvocato capo del Comune) per la difesa e la rappresentanza in giudizio dell’ente locale, anche presso le magistrature superiori, per la gestione di un contenzioso vasto e non limitato nel tempo, è sottoposto dalla legge (D.Lgs. 165/2001 e altre leggi sopra indicate) a precisi limiti e condizioni.
A tale riguardo
le SS..RR. della Corte dei conti in sede di controllo hanno elaborato i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni:
   a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
   b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
   c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
   d) indicazione della durata dell’incarico;
   e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

In conclusione,
il conferimento ad un avvocato del libero foro dell’intero contenzioso dell’ente già curato dal medesimo professionista in qualità di capo dell’avvocatura comunale, trattandosi di attività non riconducibile ad un incarico di studio, ricerca o consulenza, non soggiace alla normativa vincolistica contenuta nell’art. 5, comma 9, del D.L. 95 del 2011, ma è subordinata alla sussistenza dei succitati presupposti di legittimità nonché alla disciplina dettata dal D.Lgs. 163/2006, Allegato II B, per gli appalti dei servizi compresi nei cosiddetti settori esclusi.
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Con la nota indicata in premessa il Sindaco del Comune di Terni, dopo aver premesso che:
- oggetto della richiesta di parere concerne l'affidamento di un incarico per la rappresentanza e difesa in giudizio degli interessi dell'Ente e, in particolare, l'esatta natura giuridica di tale incarico al fine di escludere o meno l'applicazione dell'art. 5, comma 9, del D.L. 95/2011;
- l'incarico di cui trattasi avrà ad oggetto il contenzioso presso le magistrature superiori e il contenzioso già pendente e attualmente gestito dall'avvocato capo, per il periodo successivo al suo pensionamento;
- la corretta interpretazione della norma richiamata implicherà importanti riflessi sulla gestione finanziaria dell'Ente, in ragione di esigenze di contenimento della spesa del personale e di mantenimento dei livelli di efficacia, efficienza e, soprattutto, economicità dell'avvocatura comunale,
chiede di conoscere se il divieto sancito dall’art. 5, comma 9, del D.L. 95/2012, "di attribuire incarichi di studio e di, consulenza a soggetti già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza”, riguardi anche gli incarichi per il patrocinio legale dell'Ente e quindi gli ex dipendenti che hanno ricoperto il ruolo di avvocati comunali.
...
Quanto al merito, il Comune di Terni intende conoscere l’avviso di questa Corte in merito alla possibilità di conferire l’incarico di patrocinio legale di detto ente all’ex capo dell’avvocatura comunale, per il periodo successivo al suo pensionamento, per la gestione del contenzioso presso le magistrature superiori e il contenzioso già pendente e attualmente gestito dal medesimo avvocato, in deroga al divieto contenuto nell’art. 5, comma 9, del D.L. 95/2012, "di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza”.
La risposta al quesito induce il Collegio ad approfondire natura e contenuto dell’incarico di patrocinio legale e la sua riconducibilità o meno allo schema normativo dell’incarico di studio o di consulenza, come disciplinato dall’art. 5, comma 9, del citato D.L. 95/2012, il quale recita “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza”.
Detto decreto legge chiude un percorso legislativo, avviato con l’art. 110, comma 6, del TUEL (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) e proseguito con il D.Lgs. 165 del 2001, con svariate leggi finanziarie, a partire dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311 del 2004) passando per la legge finanziaria per il 2008 e successive, volto a porre vincoli sempre più stringenti alle pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali, per ovvie esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel fare ricorso a collaborazioni esterne per l’assolvimento delle funzioni istituzionali.
L’art. 110, co. 6, del Tuel stabilisce, infatti, che le province e i comuni possono inserire, nei propri regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, disposizioni che prevedano “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine” il ricorso a collaborazioni esterne “ad alto contenuto di professionalità”. Gli enti locali perciò, oltre al conferimento degli incarichi esterni ai sensi dell’articolo 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, possono ricorrere a collaborazioni esterne, nei casi in cu sia necessario avvalersi di un contributo d’alta professionalità, a condizione che la facoltà sia stata prevista nei loro regolamenti.
La legge finanziaria per il 2005 (legge 311 del 2004, art. 1, commi 11 e 42) consente alle amministrazioni pubbliche, comprese le regioni, le province e i comuni, di conferire, ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, corrispondente all’articolo 7 d.lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni, incarichi individuali ad esperti di “provata competenza” per “esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio”.
La legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007, art. 3, comma 55) prevede che l'affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione può avvenire solo nell'ambito di un programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.
Con particolare riferimento all’incarico di patrocinio legale da conferire ad un avvocato libero professionista, esterno all'Amministrazione, il Collegio non può che condividere l’orientamento espresso dalla Sezione delle Autonomie di questa Corte dei conti con la deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, nella quale viene nettamente distinta l'ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
Secondo l’autorevole avviso di detta Sezione, la prima ipotesi rientra sicuramente nell'ambito di previsione dell'art. 3, commi da 54 a 57, della legge 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), che disciplina gli incarichi di studio, ricerca e consulenza. La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della sopra indicata legge finanziaria.
Nella richiesta di parere oggetto di esame si evince chiaramente che l’Amministrazione comunale di Terni intende conferire all’attuale capo dell’Avvocatura comunale, per il periodo successivo al suo pensionamento, l’intero contenzioso presso le magistrature superiori e il contenzioso già pendente e attualmente gestito dal medesimo. Sicché non si tratta all’evidenza di un incarico episodico od occasionale, bensì di un vero e proprio rapporto di collaborazione professionale destinato a durare, presumibilmente, fino alla conclusione, processuale ed extraprocessuale, di tutto il contenzioso attualmente gestito dall’avvocato capo del comune.
Ritiene la Sezione che
un incarico di siffatta portata, sebbene non riconducibile, per quanto sopra detto, alla tipologia della consulenza, essendo in esso del tutto preminente l’attività di rappresentanza e difesa in giudizio, non possa comunque prescindere dall’osservanza delle norme e delle procedure previste dal codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006, Allegato II B) per l’affidamento dell’appalto di servizi nei ccdd. settori esclusi, nei quali sono compresi i servizi legali.
Secondo un recente arresto della giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730), che questa Sezione condivide,
gli enti locali non hanno l’obbligo di esperire una “gara” per affidare un singolo incarico di patrocinio legale, poiché sussistono profonde differenze tra i generici servizi legali e l’incarico di patrocinio/difesa legale, cioè tra l’attività continuativa o comunque non episodica di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla complessità dell’oggetto, da una specifica organizzazione rapportata alla predeterminazione della durata, dalla predeterminazione del compenso, e l’espletamento del singolo incarico di patrocinio legale.
Con la decisione sopra indicata, il giudice amministrativo di appello, ribaltando la decisione del tribunale di prime cure, ha infatti ritenuto che
il conferimento del singolo incarico episodico non costituisce un appalto di servizi, ma integra un contratto d’opera intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in materia di procedure di evidenza pubblica, precisando in particolare: “...il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce....”.
Al contrario,
il contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, presidiato dalle specifiche disposizioni comunitarie volte a tutelare la libertà di stabilimento del prestatore in quanto lavoratore, non può soggiacere, neanche nei sensi di cui all’articolo 27 del codice dei contratti pubblici, ad una procedura concorsuale di stampo selettivo che si appalesa incompatibile con la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, della non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e della conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici.
Su posizioni analoghe si era già attestata la Sezione Autonomie della Corte di conti con la richiamata deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, osservando, tra l’altro, come “
appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell'ambito dell'appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei "servizi legali" di cui all'allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell'art. 20 del decreto, uno dei contratti d'appalto di servizi cosiddetti "esclusi", assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione)”.
Nella medesima linea interpretativa si colloca l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. II, sent. 16016/2003; Cass., sent. 4411/1979) secondo il quale “
il conferimento dell'incarico di patrocinio legale comprende normalmente anche quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce l'incarico di patrocinio; che anche nell'ambito di una procedura giudiziale civile il professionista può prestare, in relazione alla stessa pratica, sia attività giudiziale sia attività stragiudiziale, comprendendosi in quest'ultima quelle prestazioni che non risultino strettamente connesse e strumentali all'attività propriamente processuale”, nonché la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. IV, sent. 825/2007), la quale ha ritenuto che “Il conferimento all'avvocato di incarico di patrocinio giudiziale comprende normalmente anche quello di prestare assistenza stragiudiziale alla medesima parte, in relazione alle medesime vicende cui si riferisce l'incarico di patrocinio”.
Va, inoltre, evidenziato che il ricorso alle collaborazioni esterne (nella specie, ad un avvocato del libero foro, già avvocato capo del Comune) per la difesa e la rappresentanza in giudizio dell’ente locale, anche presso le magistrature superiori, per la gestione di un contenzioso vasto e non limitato nel tempo, è sottoposto dalla legge (D.Lgs. 165/2001 e altre leggi sopra indicate) a precisi limiti e condizioni.
A tale riguardo
le SS..RR. della Corte dei conti in sede di controllo, con la delibera 15.02.2005 n. 6/2005, hanno elaborato i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni:
   a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
   b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
   c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
   d) indicazione della durata dell’incarico;
   e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

In conclusione,
il conferimento ad un avvocato del libero foro dell’intero contenzioso dell’ente già curato dal medesimo professionista in qualità di capo dell’avvocatura comunale, trattandosi di attività non riconducibile ad un incarico di studio, ricerca o consulenza, non soggiace alla normativa vincolistica contenuta nell’art. 5, comma 9, del D.L. 95 del 2011, ma è subordinata alla sussistenza dei succitati presupposti di legittimità nonché alla disciplina dettata dal D.Lgs. 163/2006, Allegato II B, per gli appalti dei servizi compresi nei cosiddetti settori esclusi (Corte dei Conti, Sez. controllo Umbria, parere 19.12.2013 n. 137).

INCARICHI PROFESSIONALI: AVVOCATI/ Un parere del Cnf dopo due sentenze emanate dal Tribunale di Verona.
Parcelle vidimate dall'Ordine. Strada obbligata per l'emissione di decreti ingiuntivi. Il recupero del compenso dell'avvocato passa ancora dall'ordine forense di appartenenza.

Il Consiglio nazionale forense fa chiarezza in merito all'iter procedurale volto a recuperare onorari e spese impagati dei legali, ribadendo la sussistenza del potere di «opinamento» delle parcelle in capo agli Ordini forensi (parere del 23.10.2013 in risposta al quesito n. 330, Unione Triveneta, Rel. Cons. Perfetti).
La pronuncia del Cnf nasce da due recenti sentenze del Tribunale di Verona, secondo le quali l'art. 9 del cd. decreto legge n. 1/2012 (cd. «Cresci-Italia»), che ha mandato in soffitta le tariffe forensi, avrebbe tacitamente abrogato anche gli articoli 633, comma 1 n. 2 e 3, e 636 del Codice procedura civile, facendo così venire meno la necessità di rivolgersi al competente ordine professionale per il prescritto parere sul quantum richiesto.
Le conseguenze pratiche delle pronunce sono evidenti: per ottenere un decreto ingiuntivo i professionisti avrebbero dovuto allegare al ricorso il contratto sottoscritto dal cliente, con l'indicazione analitica del compenso pattuiti. Secondo questo orientamento, insomma, i legali, per avvalersi dello strumento più veloce e snello del procedimento monitorio, avrebbero dovuto fornire la prova scritta dell'accordo con il cliente, come previsto dal primo comma n. 1 dell'art. 633 cpc.
La mancanza del contratto sarebbe stata supplita dalla liquidazione del giudice, operata sulla scorta dei parametri stabiliti con decreto dal ministero della giustizia.
Divenuta superflua la vidimazione della parcella, per effetto delle pronunce in questione, il Coa scaligero ha invitato i propri iscritti ad astenersi dal richiedere pareri di congruità delle parcelle. Da qui il quesito che la presidenza dell'Unione Triveneta ha posto al Consiglio nazionale forense e il conseguente parere reso dagli esperti romani lo scorso 23 ottobre. Per il vertice istituzionale delle toghe, l'interpretazione che i giudici di merito veneti hanno dato alla norma non può essere condivisa. «La portata abrogativa della norma», chiarisce il Cnf, «riguarda le tariffe come criterio di determinazione del compenso, e dunque incide sui criteri attraverso cui è esercitato il potere di opinamento, e non investe la sua persistenza in capo al Consiglio dell'Ordine forense». Dunque, gli avvocati che intendono chiedere l'emissione di un decreto ingiuntivo devono continuare a munire le proprie parcelle dell'obbligatorio parere di conformità dei consigli dell'ordine.
Qualche problema in più sorge nel caso in cui il credito fatto valere del professionista sia contestato. In caso di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale, questi dovrà provare in giudizio, non solo il conferimento dell'incarico, ma anche l'attività effettivamente svolta. È quanto ha affermato la Suprema corte (Corte di cassazione, sentenza n. 2456831 del 31.10.2013), in merito al credito di un professionista la cui attività, limitatasi alla fase stragiudiziale, non era stata adeguatamente documentata e provata in giudizio (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

novembre 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocato non può divulgare fatti appresi nell’esercizio della professione.
L’art. 51 codice deontologico forense (assunzione di incarichi contro ex clienti) oltre a tutelare l’esigenza di non far conoscere all'esterno fatti personali, che l'avvocato difensore apprenda per ragioni legate all'esercizio della sua professione, impedisce all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o meno note all'opinione pubblica, comunque non possono essere rivelate da un soggetto tenuto al segreto professionale.
In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite civili, della Corte di Cassazione, nella sentenza 18.11.2013 n. 25795.
Nel caso all’esame della Suprema Corte, un avvocato aveva assistito un lavoratore, imputato, a distanza di anni, in un procedimento penale, in cui il professionista stesso difendeva ora il querelante. Durante il dibattimento, l’avvocato in questione aveva rivolto all’ex cliente una domanda sui fatti riferibili alla causa nella quale aveva prestato assistenza.
L’ex cliente, allora, aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati se tale condotta integrasse o meno l’illecito disciplinare, di cui all’art. 51 ut supra citato.
Il Consiglio dell’Ordine di appartenenza censurava l’avvocato per aver violato gli obblighi di segretezza, riservatezza, correttezza e fedeltà propri dell’attività forense, in quanto la domanda rivolta all’ex cliente durante il processo penale aveva il precipuo scopo di denigrarlo, utilizzando fatti conosciuti a causa della difesa precedentemente svolta (seppur già divulgati dagli organi di stampa).
Il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione, sostituendo la sanzione della censura con quella meno grave dell'avvertimento, sulla base del rilievo che la diffusione della notizia del licenziamento a mezzo stampa aveva determinato una riduzione dell’offensività della condotta.
A questo punto, l’avvocato proponeva ricorso per cassazione, lamentando, in particolare, la genericità del capo d’incolpazione, con conseguente lesione del diritto di difesa, “perché in esso si faceva riferimento ai fatti del 2002, mentre in quell'anno egli aveva prestato la propria attività defensionale … in due cause”.
Osservano le Sezioni Unite, però, che, come la Corte stessa ha avuto modo di chiarire in altre pronunce in materia, “nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense, la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l'illecito, essendo, invece, sufficiente che l'incolpato, con la lettura dell'imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli”.
Inoltre, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, già espresso dal CNF nel provvedimento impugnato, che fa divieto all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta informazioni apprese nell’esercizio della professione, ancorché già divulgate dagli organi di stampa (link a www.altalex.com).

ottobre 2013

INCARICHI PROFESSIONALIPer l'avvocato niente rimborso a «spese forfetarie».
Nuovi principi in tema di liquidazione degli onorari spettanti agli avvocati, all'indomani dei parametri (Dm 20 140/2012) e della legge professionale n. 247 dello stesso anno.

Con sentenza 22.10.2013 n. 43143 la Corte di Cassazione, Sez. II penale, applica i parametri (invece delle tariffe, che vigevano prima) ogni qualvolta la liquidazione da parte del giudice intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto 140. In altri termini, ricadono nella disciplina dei "parametri" le prestazioni professionali che alla data del 23.08.2012 non risultino ancora completate.
È quindi irrilevante che una prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, in quanto il termine generico di "compenso" (che si legge nella legge professionale, articolo 13, comma 10) richiama la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata. Un secondo principio affermato nella sentenza 43143 riguarda il "rimborso delle spese forfetarie" (previsto sempre dall'articolo 13). Nella vicenda decisa dalla Cassazione, il difensore non ha ottenuto la liquidazione di tale voce, a causa dell'assenza (ancor oggi perdurante) di un Dm sulla misura massima del rimborso spese forfetarie.
È la legge professionale (articolo 13, comma 6) che esige tale decreto, sicché non basta la generica previsione di una voce denominata "spese forfetarie": manca infatti l'unità di misura in base alla quale quantificare gli importi relativi. La situazione attuale vede quindi non liquidabili dal giudice le "spese forfetarie", sottraendo alla liquidazione del compenso degli avvocati quelle che, prima della legge 247/2012, erano denominate "spese generali" (12,5%).
Meno frequente, ma rilevante ai fini della professione, è il caso deciso dalla Cassazione con la sentenza 2389 sempre depositata ieri, relativa a un avvocato il quale aveva ricevuto l'incarico di iniziare una lite con specifica procura dalla parte, ma aveva iniziato il contenzioso dopo la morte del suo cliente. Per legge (articolo 1387 del Codice civile) la procura viene meno con la persona che affida l'incarico, e le liti non dovrebbero essere iniziate (se non ancora attive) o vanno continuate dagli eredi (se già pendenti). La Cassazione chiede alle Sezioni unite di rivedere un orientamento del 2006 (sentenza 10706), che poneva le spese per la gestione della lite a carico, comunque, degli eredi inconsapevoli.
Si trattava in particolare delle spese che il giudice liquida a favore della parte vittoriosa, cioè, in caso di mancanza di procura, a favore di chi è stato coinvolto in una lite iniziata da un avvocato privo di adeguata procura. Nel 2013 la Cassazione ha il dubbio che il professionista possa essere in proprio responsabile anche delle spese legali da pagare all'avversario, tutte le volte che agisca senza procura
(articolo Il Sole 24 Ore del 23.10.2013).

INCARICHI PROFESSIONALII nuovi «parametri» premiano gli avvocati. Compensi medi più alti - Torna il rimborso spese forfettario.
DOPO LE TARIFFE/ I valori sono utilizzabili come riferimento quando non c'è accordo tra le parti sulla somma dovuta.

Compensi più elevati per (quasi) tutti i gradi e le fasi di giudizio. Un taglio meno deciso per il gratuito patrocinio. E il ritorno del rimborso delle spese forfettarie, che si aggiunge al "prezzo" della prestazione e alla restituzione dei costi sostenuti.
È con questi interventi che lo schema di regolamento sui nuovi parametri –messo a punto dal ministero della Giustizia per dare attuazione alla riforma dell'avvocatura e ora inviato al Consiglio di Stato e al Consiglio nazionale forense per i pareri– supera i valori previsti dal Dm 140/2012 e premia le parcelle dei legali.
Attenzione, però: si tratta di importi che possono essere utilizzati come guida per definire i compensi –in primo luogo dal giudice, se manca l'accordo delle parti– ma che non sono vincolanti. Resta ferma, infatti, l'abrogazione delle tariffe, cancellate dal decreto legge 1 del 2012.
Importi rivisti
Alla prova di alcuni casi concreti (si vedano gli schemi pubblicati a fianco), i nuovi parametri si rivelano quasi sempre più generosi rispetto ai vecchi importi: ad esempio, cresce di oltre il doppio (da 495 a 1.197 euro) il compenso minimo che può spettare al legale che difende un imputato ammesso al gratuito patrocinio di fronte al tribunale monocratico; mentre aumenta di più del 20% (da 6.336 a 7.767 euro) la parcella massima che può essere liquidata per un giudizio tributario in secondo grado, se include anche il rimborso delle spese di trasferta.
Si tratta di risultati a cui contribuiscono più fattori. Intanto, il nuovo schema di regolamento eleva, rispetto al Dm 140, quasi tutti i compensi medi per le singole fasi. Peraltro, gli importi individuati dal ministero –come chiarisce la relazione illustrativa dello schema di provvedimento– sono inferiori rispetto a quelli che erano stati proposti dal Cnf.
Inoltre, il nuovo regolamento rimodula la forbice delle riduzioni e delle maggiorazioni sul compenso medio del giudizio: per ogni fase, si prevedono aumenti fino all'80% e sconti fino al 50%, tranne che per la fase istruttoria dei riti civili, tributari e amministrativi, per cui sono fissati incrementi fino al doppio e riduzioni fino al 70 per cento.
I nuovi parametri riducono poi la sforbiciata ai compensi per gli avvocati che difendono i clienti ammessi al patrocinio a spese dello Stato: mentre il Dm 140 prevedeva un taglio del 50%, lo schema di regolamento mantiene la riduzione per esigenze di bilancio, ma la ferma al 30 per cento.
Ma i nuovi parametri non portano in dote solo aumenti. Ad esempio, nei giudizi di fronte al giudice di pace i compensi medi vengono ridotti in modo significativo rispetto a quelli previsti dal Dm 140. Così, il compenso medio per il legale che difende un cittadino che impugna una multa può scendere di oltre il 70% (da 850 a 265 euro).
Le spese forfettarie
La bozza di regolamento i reintroduce una voce di rimborso autonoma rispetto ai compensi per l'attività svolta e alle spese documentate. Si tratta delle «spese generali» già previste dalle tariffe, vale a dire un rimborso spese forfettario, che mira a coprire i costi effettivi ma non documentabili (come quelli per la gestione dello studio).
Il rimborso forfettario, cancellato dal Dm 140, viene ora reintrodotto «di regola nella misura tra il 10 e il 20% del compenso per la prestazione». Così, lo schema di regolamento dà attuazione alla norma della riforma forense per cui le spese forfettarie sono dovute al legale «oltre al compenso per la prestazione professionale» e «al rimborso delle spese effettivamente sostenute».
I giudizi tributari
Il nuovo schema di regolamento introduce parametri ad hoc per i giudizi tributari, con tabelle autonome (per i procedimenti in commissione tributaria provinciale e regionale) rispetto a quelle previste per la difesa civile in tribunale.
Ma i compensi più alti sono stati stabiliti per la fase istruttoria e/o di trattazione, che nel rito tributario è pressoché inesistente, dato che non è prevista la possibilità di sentire testimoni o di espletare l'interrogatorio formale. Piuttosto, sarebbe opportuno che i valori indicati nella fase istruttoria fossero riconosciuti nella fase decisionale, sicuramente più delicata nel processo tributario (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013).

INCARICHI PROFESSIONALISugli onorari non si discute. L'importo è nel range? Il giudice non deve motivare. È quanto emerge da una sentenza della Corte di cassazione sui compensi dei legali.
Onorari dell'avvocato: il giudice non è tenuto a dare alcuna motivazione se l'importo è contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa.

È quanto emerge nella sentenza 09.10.2013 n. 22982. Secondo i giudici della II Sez. civile della Corte di Cassazione infatti: «La determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità a meno che l'interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate».
Così argomentando, hanno quindi respinto il ricorso di un avvocato, il quale, in primo grado, aveva chiesto (e solo in parte ottenuto, vedendosi negare il riconoscimento dei maggiori importi dovuti dagli interessi moratori) ingiunzione di pagamento a titolo di compenso per le prestazioni professionali rese al Comune: in particolare, tra i motivi di censura il legale lamentava la violazione dell'art. 115 c.p.c. per avere il tribunale riconosciuto come «non dovuti i diritti indicati nel provvedimento impugnato, voci peraltro disconosciute senza articolare una puntuale motivazione».
Anche in sede di legittimità, tuttavia, il motivo è stato ritenuto «privo di pregio» e dunque respinto: è sul ricorrente –spiegano all'uopo gli ermellini– che ricade «l'onere dell'analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che ritiene violate e degli importi considerati, al fine di consentire il controllo [_] senza bisogno di procedere alla diretta consultazione degli atti» e questo anche perché l'eventuale violazione delle tariffe professionali integrerebbe un'ipotesi di error in iudicando e non in procedendo.
Il tribunale avrebbe, dunque, correttamente motivato le proprie determinazioni «sia indicando le voci della parcella da escludere sia provvedendo alla liquidazione del compenso».
Quanto, poi, al problema degli interessi, il collegio giudicante ha avuto modo di precisare che il debitore può essere ritenuto in mora solo a seguito di liquidazione, la quale «avviene con l'ordinanza che conclude il procedimento» (ex art. 28, legge 794/1942) (articolo ItaliaOggi Sette del 04.11.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIAvvocati. Parcella contestata, sospesi gli interessi.
Non scattano gli interessi moratori sulla parcella che l'avvocato invia al cliente, se quest'ultimo la contesta.

Lo afferma la Corte di Cassazione (sentenza 09.10.2013 n. 22982) decidendo su una lite tra professionista e un Comune sulla congruità del compenso la cui contestazione è iniziata nel 2005.
La Suprema Corte afferma che quando il compenso professionale viene contestato dal cliente, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo, non decorrono gli interessi moratori di cui all'articolo 1224 del Codice civile. Ciò in quanto in queste ipotesi è il giudice a liquidare con ordinanza l'onorario per la prestazione professionale (legge 794/1942). Liquidazione che avviene in base alla natura e al valore della controversia, alla complessità delle questione trattate, all'attività prestata e all'esito del giudizio.
Ne consegue che prima della quantificazione giudiziale del compenso per il professionista non scattano gli interessi moratori poiché il credito non è «certo nel suo ammontare». Ciò è coerente all'allegato 2 del decreto ministeriale 22.06.1982 che fa decorrere gli interessi di mora e la svalutazione monetaria sugli onorari dell'avvocato dopo tre mesi dall'invio della parcella al cliente, sempre se l'importo non venga contestato. Ciò va coordinato con l'articolo 4 del Dlgs 231/2002, modificato dal Dlgs 192/2012, che fa scattare gli interessi di mora dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento del debito in tutte le transazioni commerciali in cui una parte non è un privato.
Se il cliente è un imprenditore o altro professionista, per l'avvocato gli interessi moratori lievitano in modo automatico dopo la scadenza del termine per provvedere, senza che sia necessaria la "costituzione in mora" (cioè la raccomandata). Se invece il cliente è un privato, il professionista deve attendere che il giudice liquidi il suo onorario e solo da quel momento e nei limiti di quell'importo può chiedere anche gli interessi al cliente moroso (oggi l'8,75%).
Per le controversie sorte dal febbraio 2012 occorre considerare le disposizioni della legge 247/2012 sul compenso e sui meccanismi di conciliazione per avvocati. L'articolo 13 prevede che il compenso dell'avvocato va pattuito per iscritto al conferimento dell'incarico. In mancanza di accordo sia il professionista che il cliente possono rivolgersi al Consiglio dell'ordine al fine di raggiungere un'intesa.
Se il contrasto non si compone il professionista può comunque chiedere all'Ordine di appartenenza di rilasciare un parere di congruità della parcella richiesta e contestata dal cliente. Le novità legislative prevedono anche un rito accelerato (articolo 702-bis del Codice di procedura civile) per la liquidazione giudiziale del compenso (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2013).

settembre 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: G. Manfredi, Appunti sull’affidamento degli incarichi legali delle pubbliche amministrazioni: competenza, procedimento, forma (Urbanistica e appalti n. 8-9/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

agosto 2013

INCARICHI PROFESSIONALIAvvocati, gli onorari passano dal giudice.
La determinazione degli onorari di avvocato e dei diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità.

È di questo avviso la Sez. III civile della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 18906/2013 torna sul nodo tariffe, anche se il riferimento è relativo al tariffario del 2004 (nel frattempo abrogato).
Tuttavia la sentenza ritorna di attualità in quanto rimette al giudice il potere di definire il compenso, che poi è il nuovo sistema che il legislatore ha scelto qualora professionista e cliente non trovino un accordo. Con unico motivo la ricorrente aveva fatto presente la violazione degli articoli 91, 92 del Cpc, e delle tariffe professionali del 05.01.1991, dell'01.04.1995 e del 02.06.2004, in relazione all'articolo 360, 1° comma, n. 5, del Cpc.
La ricorrente contestava che la Corte di merito aveva liquidato le spese del doppio grado di giudizio riducendo «senza alcuna giustificazione e motivazione gli importi esposti nelle due notule con analitica specificazione delle singole partite con riferimento alle prestazioni effettuate nel corso di entrambi i giudizi», violando i minimi tariffari e riducendo «molte voci dalle due notule senza indicarle», a tale stregua non consentendole di «esaminarle e di riscontrare se gli importi liquidati fossero stati congrui» (tratto da ItaliaOggi del 14.08.2013).

luglio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: Il maggior onere finanziario che l’ente locale deve sostenere per il pagamento, a saldo, di parcelle di avvocati esterni che hanno assunto il patrocinio dell’ente in un giudizio non costituisce una fattispecie di debito fuori bilancio, ex art. 191, lett. e), TUEL, tutte le volte in cui, essendoci la capienza del capitolo di bilancio relativo al pagamento delle spese legali, possa essere disposta una integrazione dell’originario atto di impegno registrato nel momento di conferimento dell’incarico professionale.
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Il Sindaco del Comune di Parma ha formulato alla Sezione una richiesta di parere con la quale intende conoscere quale sia il corretto procedimento di natura contabile da seguire per poter assumere il maggior onere finanziario relativo al pagamento, a saldo, delle parcelle di avvocati esterni incaricati della difesa giudiziale dell’Ente originato, rispetto alle previsioni iniziali, da imprevedibili complessità e peculiarità del giudizio penale.
In particolare, vengono posti i seguenti quesiti:
1) se, in ipotesi di inadeguata previsione di spesa da parte di un professionista incaricato della difesa dell’Ente –motivata dalla difficoltà di apprezzamento “a priori” delle prestazioni richieste, in ragione della peculiarità, complessità ed imprevedibilità del giudizio penale– la richiesta di pagamento della somma residua “non impegnata” costituisca -una volta intervenuta la sentenza che definisce il giudizio– un debito fuori bilancio;
2) "se, diversamente, in caso di capienza del capitolo destinato al pagamento delle spese legali, sia possibile procedere all’impegno della somma residua richiesta dal professionista a titolo di saldo parcella -quest’ultima regolarmente opinata dall’ordine forense-, facendola gravare, con determinazione dirigenziale di liquidazione, su esercizio finanziario successivo rispetto a quello in cui l’incarico si sia concluso.
...
Ai fini della soluzione del quesito posto occorre preliminarmente richiamare la deliberazione n. 311/2012/PAR nella quale questa Sezione si è ampiamente occupata del rapporto tra la procedura contabile “ordinaria” per l’assunzione di spese che gravano sui bilanci degli enti locali e la procedura per il riconoscimento dei cd. debiti fuori bilancio.
In tale pronuncia la Sezione ha rilevato, che gli enti locali, al pari di tutte le altre pubbliche amministrazioni, per poter legittimamente assumere a carico del proprio bilancio obbligazione giuridiche nei confronti dei terzi, devono seguire una procedura, articolata in più fasi, prevista e disciplinata negli articoli 182-185 e 191 TUEL. Tale ultima disposizione, al comma 1, stabilisce che gli enti locali possono effettuare spese solo a seguito dell’assunzione, da parte del responsabile del servizio finanziario, dell’atto di impegno da registrarsi sul pertinente intervento o capitolo di bilancio, munito dell’attestazione della relativa copertura finanziaria.
Il rispetto di tale procedura, oltre a garantire l’obbligo della copertura finanziaria degli atti da cui derivano impegni di spesa e la salvaguardia degli equilibri di bilancio, consente di evitare la formazione di debiti originati in via extracontabile.
Pur tuttavia, qualora vengano in essere obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rientranti nelle fattispecie tassativamente elencate nell’articolo 191 TUEL e purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare.
Ciò premesso, la Sezione rileva che,
in ossequio ai principi di prudenza e di sana gestione finanziaria, nel momento in cui l’ente locale assume obbligazioni giuridiche nei confronti dei terzi deve, contestualmente, procedere a determinare, secondo la stima più precisa possibile, le somme da corrispondere al fine di poter adottare i relativi atti della procedura contabile, evitando la formazione di debiti che si originano con una procedura extracontabile.
Per le ipotesi di assunzione di atti di impegno derivanti da contratti di prestazione d’opera intellettuale si richiama il principio contabile n. 2, cpv. 108, del Testo approvato dall’Osservatorio del Ministero dell’Interno il 12.03.2008, ai sensi del quale <l’ente deve determinare compiutamente, anche in fasi successive temporalmente, l’ammontare del compenso (esempio gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti dall’impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di ulteriore impegno, per spese eccedenti l’impegno originario, dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili>.
Ne deriva, pertanto, che
è onere dell’ente trovare, nel momento del conferimento dell’incarico professionale, la copertura finanziaria della spesa per gli onorari da pagare quale compenso per la prestazione resa che tenga conto non solo degli acconti, ma anche del saldo in modo da coprire la spesa complessiva e nella sua interezza.
Ciò nonostante
nell’ipotesi in cui vi sia uno scostamento tra la previsione di spesa iniziale (ricompresa nel formale atto di impegno) e quella finale, il cui superiore ammontare sia derivato, nella specie, da fatti sopravvenuti ed imprevedibili, quali la peculiarità, complessità e imprevedibilità del giudizio penale, questa Sezione, in conformità all’orientamento già formatosi presso altre Sezioni regionali di controllo (cfr. Sez. Lombardia, deliberazioni nn. 19/2009/PAR e 441/2012/PAR; Sez. Campania, deliberazione n. 9/2007; Sez. Sardegna deliberazione n. 2/2007), ritiene che il maggior onere di imprevedibile quantificazione debba essere coperto integrando l’originario atto di impegno di spesa, poiché è necessario solo aumentare l’importo delle somme da corrispondere al professionista, restando invariati il titolo giuridico e gli altri elementi dell’obbligazione assunta dall’Ente (atto di conferimento dell’incarico professionale, soggetto creditore).
Si rileva, infine, che,
pur potendo il conferimento di incarichi di natura professionale astrattamente rientrare nell’ipotesi di cui alla lettera e) all’articolo 191 TUEL, in quanto trattasi di acquisizione di un servizio, ritiene la Sezione che non sia necessario utilizzare la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio nell’ipotesi, quale quella in esame, nei limiti dell’ipotesi di maggiori oneri di imprevedibile quantificazione, poiché l’incarico era stato regolarmente conferito ed il relativo impegno era stato assunto secondo la ordinaria procedura di spesa di cui all’art. 183 TUEL, seppur con un importo inferiore rispetto a quello necessario a soddisfare interamente la pretesa creditoria del professionista esterno.
Il presente parere ed i principi in esso espressi vengono resi dalla Sezione prescindendo dalla verifica, rimessa all’amministrazione istante, del rispetto della procedura di conferimento dell’incarico professionale, della valutazione circa la convenienza e congruità del compenso pattuito, nonché delle ragioni che non hanno consentito l’utilizzazione di risorse interne all’amministrazione (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 25.07.2013 n.
256).

giugno 2013

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento di incarichi di difesa legale.
Alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000, n. 267), in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, non spettano funzioni di gestione quale è da annoverare quella di attribuzione di un incarico professionale.
Invero, la scelta del contraente per l’affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici, risolvendosi nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obbiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A..

... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della nota prot. 371/2013 recante la comunicazione della delibera n. 58/2013 avente ad oggetto la scelta del vincitore della selezione per l’affidamento di incarico di difesa dell’ente dinanzi alle giurisdizioni superiori e non.
...
- Considerato che alla Giunta (artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000, n. 267), al pari della Commissione Straordinaria con i poteri della Giunta Comunale, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, non spettano funzioni di gestione quale è da annoverare quella di attribuzione di un incarico professionale;
- Ritenuto, infatti, che, come ha affermato la giurisprudenza condivisa dal Collegio, la scelta del contraente per l’affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici, risolvendosi nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obbiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A. (CdS V 4654/2005, che conferma TAR Lazio–Sez. staccata di Latina n. 00604/2011, cfr. per una analoga procedura TAR Napoli Campania sez. II, 26.05.2011, n. 2854);
- Considerato che nel caso di specie l’individuazione del professionista al quale affidare l’incarico e la sua nomina è avvenuta ad opera della Commissione Straordinaria con i poteri della Giunta comunale, come si legge nella delibera impugnata, e non ad opera dei dirigenti, ai quali spetta per esplicito disposto dell’art. 107 dlgs 267/2001;
- Ritenuto che l’art. 22 dello Statuto, ove conferisce alla Giunta il potere di autorizzare l’introduzione o la resistenza in giudizio non abbia riguardo alla ben diversa ipotesi di conferimento di incarico di attività di difesa dell’ente in una serie indeterminata di controversie e per un determinato periodo di tempo (cfr. CdS V 2730/2012);
- Considerato altresì che il profilo di illegittimità evidenziato supera le eccezioni di inammissibilità del ricorso, in quanto comporta la rinnovazione della procedura in conformità al bando ad opera del dirigente, come peraltro previsto dall’art. 3 del bando medesimo ove si legge che “la valutazione dei candidati sarà effettuata dal Responsabile del Settore A.A.”
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.06.2013 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Debiti fuori bilancio - Fattispecie - L’integrazione dell’impegno originario in alcuni casi è possibile.
Relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma ‘‘fisiologici’’, l’ente locale può non ricorrere alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ma potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili. (1)
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(1) Si tratta di questione controversa che ha trovato soluzioni opposte nella giurisprudenza contabile.
Hanno stabilito che è sempre necessaria la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio: sez. reg. contr. Veneto, n. 7 del 2008; sez. reg. contr. Sardegna, n. 2 del 2007.
Hanno ritenuto, invece, che sia possibile integrare l’originario impegno, qualora circostanze sopravvenute, quali ad es. la durata del contenzioso rendano insufficiente l’impegno originario: Sez. reg. contr. Campania, n. 9 del 2007; Sez. reg. contr. Lombardia 05.02.2009, n. 19; 12.10.2011, n. 511; 11.07.2012, n. 322; 23.10.2012, n. 441).
Per una ricostruzione della questione in relazione alla complessiva disciplina dei debiti fuori bilancio: G. Astegiano, I debiti fuori bilancio, in G. Astegiano (a cura di), Ordinamento e gestione contabile-finanziaria degli Enti locali, Ipsoa, 2012, 810 e segg.
 (Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 17.06.2013 n. 55 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 8-9/2013).
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Il Sindaco del Comune di Ronco Scrivia chiede alla Sezione di controllo un parere in merito alla corretta liquidazione di compensi a favore di professionisti in conseguenza del conferimento di incarichi legali, formulando due distinti quesiti.
In riferimento al primo il Sindaco chiede di sapere se le parcelle di liquidazione dell’attività professionale del legale incaricato dall’Ente (attività stragiudiziale e giudiziale) commissionata negli anni 2002, 2003 e 2005 possano essere liquidate secondo le previgenti tariffe professionali anche se le relative parcelle di liquidazione sono state emesse nell’anno 2012 a seguito della conclusione dei contenziosi.
Con il secondo quesito il Sindaco chiede di sapere se per la liquidazione di compensi relativi a prestazioni professionali legali, connesse alla difesa in giudizio dell’Ente eccedenti gli impegni contabili assunti, si debba ricorrere alla procedura di cui all’art.194 del TUEL ossia al previo riconoscimento di legittimità del debito fuori bilancio ai sensi del comma 1, lettera e) o se invece sia sufficiente, disponendo dell’intera somma richiesta, adottare una determina dirigenziale di integrazione della spesa e successivamente di liquidazione anche considerando l’imprevedibile lunga durata dei contenziosi in oggetto. Ciò anche alla luce dei diversi orientamenti osservati dalle Sezioni regionali della Corte dei conti.
...
La fattispecie all’esame di questo Collegio concerne la liquidazione di compensi relativi a prestazioni professionali di natura legale eccedenti gli impegni contabili assunti e più precisamente quale sia la corretta procedura di liquidazione della spesa in esame. Sul punto si sono creati due contrapposti indirizzi giurisprudenziali.
Secondo il primo orientamento, sostenuto principalmente dalla Sezione di controllo lombarda, in situazioni come quella all’esame di questo Collegio non necessariamente occorre ricorrere alla procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194, comma 1, lett. e) del TUEL, in quanto “
si ritiene che l’impegno di spesa per prestazioni professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto correttamente quando in presenza di un eventuale maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga durata della causa), l’ente al fine di garantire la copertura finanziaria procede ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa. In altri termini, fatti successivi, non prevedibili al momento dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi della durata del processo, costituiscono una legittima causa giuridica per la spesa da sostenere e consentono, quindi, di assumere il relativo impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il ricorso all’istituto del riconoscimento del debito fuori bilancio contrasterebbe con i principi di contabilità pubblica. Ne consegue che qualora l’importo legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la differenza non realizza automaticamente una fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL" (Sez. reg. contr. Lombardia delibere n. 19/2009, n. 322/2012, n. 441/2012).
Secondo un diverso orientamento, sostenuto, tra le altre, dalle Sezioni Veneto, Puglia, Sardegna,
anche in situazioni come quella in esame è necessario ricorrere alla procedura di cui all’art. 194 del TUEL. La liquidazione di una spesa può, infatti, avvenire ai sensi dell’art. 184, primo comma del T.U.E.L. nei limiti dell’impegno definitivo assunto: “ogni qualvolta si verifichi questo scostamento tra impegno contabile assunto a tempo debito e somma definitiva da pagare ad operazione conclusa, si incorre in un’ipotesi di debito fuori bilancio che introduce un elemento di imprevedibilità potenzialmente idoneo a creare uno squilibrio nelle previsioni di spesa del bilancio (Sez. reg. contr. Veneto, delibera n. 7/2008).
Pertanto “
nel caso che l’importo impegnato si riveli insufficiente, la differenza tra quanto impegnato e quanto richiesto dalla controparte contrattuale –a parte ogni considerazione sulla valutazione della congruità della parcella, sulla effettiva realizzazione delle attività fatturate e sulla corretta applicazione degli scaglioni tariffari– costituisce debito fuori bilancio e come tale deve essere riconosciuto dal Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 194 TUEL. Precisamente si tratta di riconoscimento ai sensi della lettera e) del comma 1: acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza” (Sez. reg. contr. Sardegna delibera n. 2/2007).
Entrambi gli orientamenti evidenziati hanno però una base comune: ferma restando la necessità del rispetto delle regole per il conferimento dell’incarico (determina a contrarre, stipula del contratto, ecc.), in osservanza del principi di prudenza, buona amministrazione, sana gestione finanziaria
l’Ente, nel caso di conferimento di incarico legale, ha il dovere di acquisire dall’avvocato un preventivo di massima che si avvicini il più possibile alla spesa che sarà definitivamente sostenuta, ciò al fine di quantificare correttamente l’impegno di spesa necessario e predisporre adeguata copertura finanziaria. Ciò pur in presenza di variabili, connaturali al tipo di incarico in esame, che possono determinare incertezza sulla quantificazione dell’impegno finanziario al momento dell’ordinazione della prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL (lunghezza del giudizio, esito dello stesso, ecc.). In tal modo si realizza una corretta imputazione di bilancio, se pur non precisa nel suo ammontare definitivo, e si salvaguarda la sana e prudente gestione finanziaria. Inoltre si consente all’Ente, ad all’organo Consiliare, di valutare correttamente l’utilità ed il vantaggio della prestazione professionale.
Diversamente qualora la previsione iniziale ed il relativo impegno siano non veritieri in quanto la spesa preventivata si discosta in modo sensibile dalla spesa effettivamente sostenuta (senza che ricorrano magari situazioni eccezionali ed imprevedibili), si crea un vulnus alla sana e prudente gestione finanziaria in quanto, di fatto, la spesa per l’incarico legale si sottrae alle ordinarie procedure di spesa determinando (o potendo determinare) squilibri finanziari. In tale circostanza è doveroso, rectius, obbligatorio ricorrere alla procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio al fine di ricondurre la spesa in esame all’interno della gestione di bilancio individuando le risorse necessarie alla copertura finanziaria, valutando l’utilità della prestazione (lo scostamento significativo tra impegno iniziale e spesa definitiva può anche essere sintomatico di un non corretto ricorso all’incarico legale).
In tal senso sembrano concordare, implicitamente, entrambi gli orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati.
Diverso appare il caso in cui l’impegno iniziale non si discosti significativamente dalla spesa definitiva. Come detto la tipologia di incarico si presta ad una determinazione della spesa non puntuale. Ciò non toglie che una quantificazione dell’esborso finanziario impegnato il più vicino possibile al compenso realmente fatturato dal professionista consenta di rispettare la sana e prudente gestione finanziaria, ricorrendo ad adeguata copertura finanziaria della spesa senza che la fattispecie in esame si sottragga, di fatto, alla gestione di bilancio.
Nel caso di specie viene meno l’utilità della procedura di cui all’art. 194 del TUEL in quanto non si è in presenza di un’acquisizione di servizio in assenza di impegno contabile (cosa di cui si potrebbe dubitare, come già detto, qualora vi fosse uno scostamento significativo tra impegno iniziale e compenso definitivo), l’utilità della prestazione è stata già valutata al momento del conferimento dell’incarico se affidato nel rispetto delle procedure di legge (determina a contrarre, stipula del contratto, ecc.) ed, infine, ricorre la copertura finanziaria in quanto sono già disponibili le risorse destinate al pagamento del compenso professionale.
Pertanto ritiene questo Collegio che,
relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’Ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma “fisiologici”, l’Ente potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili.

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI: INDAGINE CAMPIONARIA INCARICHI ESTERNI AFFIDATI DAGLI ENTI LOCALI VENETI NEL TRIENNIO 2009–2011.
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L'indagine della Corte dei Conti del Veneto la possiamo definire un utilissimo vademecum sul come, quando e perché affidare legittimamente incarichi professionali/progettuali all'esterno dell'Ente senza incappare nel possibile risarcimento del danno circa il modus operandi non conforme alla legge.
Buona lettura e, soprattutto, memorizzate ogni singola parola ...
02.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

INDICE
SEZIONE I
PREMESSA E QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

§1. Quadro normativo di riferimento
§2. Affidamento di incarico, sana gestione e comportamenti elusivi
§3. La distinzione con la fattispecie del contratto di lavoro subordinato
§4. La distinzione con l’ appalto di servizi
§5. Presupposti e disciplina dell’affidamento di incarichi esterni

   5.1 Presupposti di legittimità di carattere sostanziale
     5.1.1 Il preliminare accertamento dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno
     5.1.1.1 Le caratteristiche dell’accertamento
     5.1.1.2 Il problema delle competenze specifiche e delle funzioni ordinarie
     5.1.1.3 La necessaria caratteristica oggettiva dell’impossibilità
     5.1.2 La corrispondenza della prestazione alle competenze attribuite dall'ordinamento all’ente
     5.1.3 La corrispondenza dell’oggetto della prestazione ad obiettivi e progetti specifici e determinati
     5.1.4 L’alta qualificazione della prestazione
     5.1.5 La preventiva determinazione della durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione
     5.1.5.1 Durata
     5.1.5.2 Oggetto
     5.1.5.3 Luogo
     5.1.5.4 Compenso
     5.1.5.5 Forma
   5.2 Presupposti di legittimità di carattere procedimentale
     5.2.1 L’obbligo di motivazione della determinazione (o in generale del provvedimento) con cui viene affidato l’incarico esterno
     5.2.2 L’obbligo di effettuare una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario
     5.2.3 La previa approvazione di un apposito regolamento (art. 3, c. 56, L. 24-12-2007 n. 244, art. 89 del T.U.E.L)
     5.2.4 Il vincolo quantitativo di spesa
     5.2.5 I limiti di spesa stabiliti dalla legge
     5.2.6 Il possibile superamento del limite di spesa
     5.2.7 L’obbligo di pubblicazione sul sito web
     5.2.8 Le novità introdotte dalla Legge 190/2012 e dal D.Lgs. 33/2013
     5.2.9 La valutazione dell’organo di revisione
     5.2.10 Gli obblighi di comunicazione degli atti di spesa susseguenti al conferimento di incarichi esterni
   5.3 Conclusioni
§6. L’orientamento interpretativo assunto dalla Sezione
§7. Tipologie di incarico

   7.1 Contratti di studio, ricerca e consulenza
   7.2 Collaborazione coordinata e continuativa
§8. Particolare tipologie di rapporti
   8.1 Portavoce e Ufficio stampa
   8.2 Direttore generale e dirigenti a contratto
   8.3 Personale con incarichi all’interno dello staff di organi di governo
   8.4 Incarichi esterni a personale in quiescenza
   8.5 L’incarico all’assistente sociale
   8.6 L’incarico di responsabile del servizio prevenzione e protezione ex D.Lgs. 09.04.2008, n. 81
   8.7 L’affidamento al broker
   8.8 L’affidamento degli incarichi legali
   8.9 Servizi di formazione professionale

SEZIONE II
ANALISI GENERALE DEI DATI RICEVUTI

§9. Premessa metodologica
§10. Analisi generale dei dati pervenuti

SEZIONE III
LE RISULTANZE DELL’INDAGINE: ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE

§11. Le criticità rilevate. Premessa
§12. Criticità derivanti dalla distinzione del concetto di lavoro subordinato con quello di affidamento di incarico
§13. Criticità generate da carenze o violazioni dei presupposti dei contratti d’opera
§14. Criticità generate dalla distinzione tra la fattispecie del contratto d’opera e quello di appalto di servizi
§15. Altre criticità

SEZIONE IV
CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI OPERATIVI

§16. Gli esiti collaborativi dell’indagine
§17. L’applicazione necessaria del principio di concorsualità
§18. L’indispensabile utilizzo del controllo interno successivo di regolarità amministrativa (art. 147-bis del Tuel)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto, deliberazione 11.06.2013 n. 146).

ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROFESSIONALI: Sindaco in tribunale solo con l'ok della giunta. La Cassazione interviene sulla legittimazione a stare in giudizio.
Il sindaco di un comune può legittimamente stare in un giudizio (civile, amministrativo e anche tributario) solo in presenza di una delibera della giunta comunale che ne autorizzi la rappresentanza processuale, laddove tale delibera sia prevista nel regolamento o nello statuto del comune.
Il sindaco del comune (o il presidente della provincia), ove non sia prevista dal regolamento o dallo statuto alcuna autorizzazione della giunta dell'ente locale, può comunque stare in giudizio personalmente in quanto ha piena legittimità processuale attiva.

La riflessione su tale argomento ci viene suggerita dalla recentissima sentenza 07.06.2013 n. 14389 della Corte di Cassazione, emessa ai fini di un contenzioso relativo ad un rimborso Ici promosso da un contribuente, che aveva eccepito che la norma dell'art. 50 Tuel, non consentisse al dirigente o al sindaco di impugnare la sentenza di una commissione tributaria provinciale in assenza di una delibera della giunta, in quanto nel caso in esame, lo statuto comunale attribuiva invece in via esclusiva alla giunta comunale la competenza ad autorizzare il sindaco a stare in giudizio anche dinanzi agli organi tributari.
In via generale, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del comune, l'autorizzazione a essere parte della controversia da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione. Occorre, però, ad avviso della Cassazione, verificare se lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio («ex» art. 6, comma 2, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il dlgs 18.08.2000, n. 267) - preveda l'autorizzazione della giunta, ovvero una preventiva determinazione del competente dirigente. Se così fosse, per costituire validamente la legittimazione a stare in giudizio in capo al sindaco o al dirigente amministrativo, occorre una delibera della giunta in tal senso.
Invece, in mancanza di una disposizione statutaria che la preveda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale, non costituisce atto necessario ai fini della promozione di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco. Nel silenzio quindi del regolamento o dello statuto dell'ente a tale riguardo, il sindaco, infatti, sempre secondo la sentenza in commento, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché di quelle introdotte dalla legge n. 131 del 2003 con ripercussioni anche sull'impianto del Testo unico sugli enti locali.
Quest'ultimo, all'art. 50, infatti indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza, in via generale, dell'ente locale. Nel caso in esame, invece lo statuto del comune indicava chiaramente che la giunta «autorizza il sindaco a stare in giudizio come attore o come convenuto, dinanzi alla magistratura ordinaria, amministrativa, agli organi amministrativi o tributari, approva transazioni o rinuncia alle liti».
Tale organo, quindi, effettua un processo di valutazione sull'opportunità di costituirsi in giudizio sulla base della tutela degli interessi pubblici alla proposizione dell'azione (o alla resistenza alla lite) e la sua delibera costituisce un atto necessario, secondo l'espressa previsione statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo investito della rappresentanza. Al di fuori di tale autorizzazione, la parte (ente locale) non può costituirsi in giudizio, né può proseguire il contenzioso, in quanto appare priva del potere di rappresentanza dello stesso ente locale, con tutte gli effetti processuali che conseguono a questa carenza.
Per completezza si consideri che dal punto di vista tributario, l'art. 11 del dlgs 546/1992, è relativo alla capacità di stare in giudizio (legitimatio ad processum).
La disposizione, infatti, prevede al comma 3 dello stesso art. 11, che «l'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio mediante l'organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento», con ciò rinviando alle leggi speciali in materia di enti locali, appena rammentate.
Conseguentemente i giudici, in questo, come negli altri casi citati nella giurisprudenza della Suprema corte, precedenti che ormai rappresentano un andamento consolidato, hanno accolto le ragioni del contribuente, condannando alle spese di lite il comune resistente (articolo ItaliaOggi del 05.07.2013).

maggio 2013

INCARICHI PROFESSIONALILa parcella vistata non è intangibile. Avvocati. Il giudice può diminuirla.
Il visto di conformità dell'Ordine non è vincolante nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo sull'ammontare della parcella del legale.

Lo ha stabilito la II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 31.05.2013 n. 13858.
La controversia riguardava la liquidazione delle spettanze di un professionista che aveva patrocinato un comune laziale davanti al Consiglio di Stato, compenso ridotto della metà (circa 45mila euro), rispetto a quanto "vistato" dal consiglio dell'ordine, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo da lui stesso richiesto, decisione poi confermata dalla Corte d'appello di Roma.
Proprio questa Corte, nel disattendere le conclusioni del professionista, aveva stabilito che il parere dell'associazione professionale sul quantum è vincolante soltanto per la pronuncia del decreto ingiuntivo e non anche del giudizio di opposizione, e che in questo contesto non è rilevante il fatto che il comune avesse chiesto il parere per avviare la procedura di liquidazione della parcella. A giudizio della Cassazione, che ha avallato questa tesi, la richiesta di preventivo al consiglio dell'ordine non perfeziona in alcun caso un accordo contrattuale fuori e prima del giudizio, e meno ancora rappresenta l'individuazione di un terzo super partes cui rimettere la valutazione dell'ammontare della parcella.
Un ulteriore motivo di ricorso era relativo all'individuazione del momento di cessazione dell'incarico professionale, considerato che anche dopo la rinuncia al mandato il legale aveva svolto altre attività di difesa, compresa la partecipazione a un'udienza in regime di prorogatio. In sostanza, secondo il professionista, la rinuncia al mandato sarebbe una fattispecie a formazione progressiva che si completerebbe solo con l'atto di nomina di un nuovo difensore, «persistendo il dovere del rinunciante a compiere atti nell'interesse della parte» fino a quel momento.
Ma secondo la Cassazione la rinuncia al mandato è un atto a effetto immediato anche se il difensore conserva, fino alla sua sostituzione, la legittimazione a ricevere gli atti indirizzati dalla controparte al suo assistito, e nulla più. Quindi nel calcolo della parcella si potrò semmai tener conto, secondo tariffe, della sola attività di ricezione degli atti (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.06.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIAVVOCATI/ A breve al ministero della giustizia i nuovi parametri elaborati dal Cnf.
Tutti i compensi in 40 tabelle. Fino a 25 mila euro per l'intero giudizio in tribunale.

Tra i mille e i 25 mila euro. È il parametro per la determinazione, da parte del giudice, del compenso di un avvocato che segue il cliente dall'inizio alla fine in un giudizio ordinario innanzi al tribunale, che varia a seconda del valore della controversia: per una causa di un valore medio tra i 5.200 e i 26 mila euro il cliente, in mancanza di accordo, dovrà pagare l'avvocato che l'ha seguito in tutte le fasi di giudizio circa 7.500 euro.
Sono i nuovi parametri degli avvocati approvati dal Consiglio nazionale forense (si veda ItaliaOggi del 7 maggio scorso). In tutto 40 tabelle che, allegate alla parte normativa, saranno inviate a breve al ministro della giustizia, Anna Maria Cancellieri, per il via libera definitivo. Dal giudice di pace, alla Corte d'appello, all'arbitrato, si tratta di valori tabellari ad hoc per ogni tipo di procedimento, di cui dovrà tenere conto il giudice nel momento in cui liquida il compenso dell'avvocato, in mancanza di accordo tra il legale e il cliente. Da questi valori, si potrà discostare in aumento fino al 70% e in diminuzione fino al 30%, tenendo conto «delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata».
Entriamo nel dettaglio delle tabelle, considerando che riguardano il settore civile e corrispondono ciascuna al tipo di procedimento (comprese la materia stragiudiziale, la mediazione, le procedure concorsuali, quelle arbitrali, i processi amministrativi e tributari, i processi davanti alle giurisdizioni superiori). Mentre una tabella riguarda il settore penale.
Giudice di pace. Le tabelle elaborate dal Cnf sono suddivise in fasi e per valore della controversia. Per quanto riguarda i giudici di pace, le fasi sono cinque: studio della controversia, fase introduttiva del giudizio, istruttoria o trattazione, fase decisionale e compenso per prestazioni post decisione. Per una causa del valore fino ai 1.100 euro, il compenso dell'avvocato, considerando tutte le fasi di giudizio, sarà di 550 euro. Mentre per una controversia di valore tra i 5.200 e i 26 mila euro sarà di 3.250 euro.
Tribunale. I valori tabellari dei giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al tribunale, invece, sono suddivisi sempre in cinque fasi ma in sei classi di valore. Si va di circa mille euro previsti per una controversia fino ai 1.100 euro ai 25 mila per una causa seguita dalla A alla Z dall'avvocato di valore tra i 260 mila e i 520 mila euro.
Giudizi di lavoro. Anche per i giudizi di lavoro le fasi processuali sono cinque, mentre gli scaglioni sono sei. Per un giudizio di valore medio, tra i 5.200 e i 26 mila euro, il parametro del compenso dell'avvocato di cui dovrà tenere conto il giudice, considerando tutte le fasi, è di otto mila euro.
Giudizi di previdenza. Stessa suddivisione di fasi e valore per i giudizi di previdenza, dove si va dai mille euro che il giudice dovrà considerare come riferimento per il compenso dell'avvocato che ha seguito tutte le fasi di una causa fino ai 1.100 euro, ai 27.500 per una controversia che invece va dai 260 mila ai 520 mila euro.
Corte d'appello. Per i giudizi innanzi alla Corte d'appello i parametri per la definizione del compenso dell'avvocato che dovrà pagare il cliente in caso di mancato accordo, oscilla tra i mille euro per lo scaglione base considerando tutte le fasi di giudizio, ai 29.500 euro per l'ultima classe di valore. Per una controversia che invece va dai 5.200 ai 26 mila euro il valore derivante dalla somma di tutte le fasi è pari a 8.700 euro.
Tar e Consiglio di stato. Per quanto riguarda il Tribunale amministrativo regionale, invece, le fasi previste sono sei, con in più la fase cautelare. Considerando anche in questo caso lo scaglione base, il valore tabellare che dovrà tenere in considerazione il giudice, sommando tutte le fasi, è pari a 1.400 euro. Una causa di valore medio può costare invece al cliente 8.900 euro. Stesso discorso per i giudizi innanzi al Consiglio di stato, dove il compenso dell'avvocato che segue la controversia in tutte le sue fasi di giudizio va dai 1.200 euro per una causa rientrante nel primo scaglione ai 24.600 euro per l'ultimo scaglione.
Arbitrato. Per il collegio arbitrale, invece, il compenso è unico ed è suddiviso in quattro scaglioni. Si va dai 6.400 euro per una causa di valore fino ai 26 mila euro, ai 54 mila previsti per l'ultimo scaglione che va dai 260 ai 520 mila euro (articolo ItaliaOggi del 09.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il Cnf ha approvato i parametri per la liquidazione delle spese legali. La parola al mingiustizia.
Nuovi compensi per gli avvocati. Sarà il valore della causa a determinare minimi e massimi.

Elaborati i nuovi parametri per i compensi degli avvocati. Per il giudice, in mancanza di accordo tra legale e cliente, saranno determinanti le caratteristiche, l'urgenza e il pregio dell'attività prestata. Con tabelle dettagliate per ogni tipo di giudizio, valore della controversia e fasi dell'attività processuale.
È la bozza di decreto ministeriale approvata dal Consiglio nazionale forense, in base alla delega conferita dalla riforma forense (legge n. 247/2012), e che sarà inviata a giorni al ministero della giustizia per il via libera definitivo, così da superare i vecchi parametri stabiliti dal dm n. 140/2012.
Il meccanismo per la determinazione del compenso si rifà a quello dei minimi e massimi tariffari: per un giudizio ordinario innanzi al tribunale si va, infatti, dai 190 euro previsti per la fase di studio di una causa (del valore massimo di 1100 euro) ai 5000 euro (per la stessa attività prestata però per una causa dal valore compreso fra i 260 e i 520 mila euro). Ma il giudice potrà discostarsi dai valori tabellari. Vediamo nel dettaglio la proposta del Cnf, presentata alla categoria nell'assemblea unitaria di sabato scorso, 4 maggio.
La determinazione del compenso. L'articolo 5 riporta i «criteri generali per la determinazione dei compensi». In pratica, in caso di liquidazione del compenso dell'avvocato da parte del giudice, in mancanza di accordo tra avvocato e cliente, il giudice dovrà tenere conto «delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata». Come l'importanza dell'opera, la natura e il valore della pratica, la quantità delle attività compiute in relazione alla posizione processuale e all'impulso dell'azione, le condizioni soggettive del cliente, i risultati conseguiti, il numero delle questioni trattate, i contrasti giurisprudenziali, la quantità e il contenuto della corrispondenza intrattenuta dall'avvocato con il cliente e con gli altri soggetti nel corso della pratica. Il giudice dovrà obbligatoriamente tenere conto dei parametri di cui alle tabelle e, ove ricorressero i presupposti, «nella liquidazione potrà motivatamente discostarsi in aumento fino al 70% ovvero in diminuzione fino al 30%».
Le tabelle dei parametri riguardano il settore civile e corrispondono ciascuna al tipo di procedimento (compresi la materia stragiudiziale, la mediazione, le procedure concorsuali, quelle arbitrali, i processi amministrativi e tributari, i processi davanti alle giurisdizioni superiori). Una tabella riguarda invece il penale.
La proposta del Consiglio nazionale forense «supera il decreto Parametri 140/2012», si legge in una nota diffusa dal Cnf, «in relazione non solo agli ingiustificati abbattimenti dei compensi che giungono fino alla metà per le attività di difesa previste dalla legge a carico dei legali, ma anche in relazione a gravi lacune, peraltro puntualmente segnalate in note inviate sin dalla predisposizione del decreto 140 al ministero della giustizia» (articolo ItaliaOggi del 07.05.2013).

INCARICHI PROFESSIONALI Avvocati. Contro le Sezioni unite. Il compenso segue sempre i parametri.
I compensi degli avvocati, dopo l'abrogazione delle vecchie tariffe, devono essere sempre quantificati secondo i nuovi parametri.

Lo ha stabilito il Tribunale per i minori di Catania (ordinanza 10.04.2013) decidendo sull'opposizione proposta dal difensore di un imputato ammesso al gratuito patrocinio che chiedeva invece l'applicazione delle tariffe perché aveva esaurito la sua attività nel 2010, prima della loro abrogazione. Si levano dunque le prime voci di dissenso dei giudici di merito dopo la decisione delle Sezioni unite della Cassazione che, invece, lasciava spiragli all'applicazione delle vecchie norme.
Le tariffe sono state cancellate dal decreto legge 1/2012 ma, nei casi di liquidazione del compenso da parte del giudice, sono rimaste operanti fino a che il decreto 140/2012, emanato dal ministro della Giustizia, non ha stabilito i nuovi parametri. In particolare, l'articolo 41 del decreto dispone che dal 23.08.2012 tutte le liquidazioni dei compensi ai legali devono seguire le nuove regole; ma le Sezioni unite, con la sentenza 17406/2012, hanno escluso dagli effetti di questa norma i compensi per le prestazioni concluse entro quella data, anche se liquidate in seguito.
I giudici catanesi disattendono consapevolmente l'orientamento della Cassazione sostenendo che il decreto 140 ha ancorato l'operatività dei nuovi parametri al momento della «liquidazione», ossia alla decisione sulla determinazione del compenso, e non a quello dell'effettuazione della «prestazione». Inoltre, la conclusione del rapporto di prestazione d'opera avverrebbe solo con la precisazione del corrispettivo; fino alla liquidazione dell'onorario, il rapporto non esaurito subirebbe gli effetti dei mutamenti normativi.
Ma i nodi da sciogliere nel passaggio dalle tariffe ai parametri non si fermano qui. Come si deve comportare il giudice d'appello che riforma una sentenza pronunciata quando erano in vigore le tariffe professionali e che deve regolamentare di nuovo le spese di primo grado? Sulla risposta grava una non uniforme presa di posizione della Cassazione: con la sentenza 5426/2005 ha affermato che «la liquidazione degli onorari va riferita all'intera fase di merito», mentre con la sentenza 17059/2007 ha invece ritenuto che per la liquidazione degli onorari si deve avere riguardo «ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e quindi al momento della pronunzia che chiude ciascun grado».
Aderendo alla prima impostazione si dovrebbe tener conto, per entrambi i gradi del giudizio, delle sole disposizioni del decreto 140, mentre la sentenza del 2007 porterebbe a concludere che le spese processuali vanno determinate in base alla norme in vigore al momento della chiusura di ogni grado. A favore di quest'ultima impostazione sembra essere l'articolo 83, comma 2, del Dpr 115/2002, per il quale la liquidazione dell'onorario dell'ausiliario del magistrato è fatta al termine di ciascun grado del processo.
Appare ragionevole che il giudice proceda analogamente nel liquidare le spese di lite. E dunque: ricorso alle tariffe del 2004 per il primo grado, applicazione dei parametri del 2012 per l'appello (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2013).

aprile 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: Ritiene questo Collegio che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato esterno all’Amministrazione, destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale, questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione).
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Con la richiamata nota il Sindaco del Comune di Nocciano (PE) sottopone al parere della scrivente Sezione diversi quesiti:
1. se al servizio di consulenza legale, consistente nella redazione di pareri, in valutazioni, in espressione di giudizi utili per orientare le scelte dell'amministrazione su problematiche in materia amministrativa, civile o penale, debba applicarsi la normativa di cui all'art. 7, comma 6 e ss., del D.lgs 165/2001 o se invece debba applicarsi la normativa di cui al D.lgs 263/2006, allegato 118 ed in particolare quella sul cottimo fiduciario (art. 125, comma 11) mediante affidamento diretto;
2. se qualora la normativa applicabile risulti essere quella sugli incarichi esterni, l'ente sia tenuto alla liquidazione delle spettanze in favore del professionista e debba successivamente, -posto che la norma statuisce che in caso di omessa pubblicazione la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto- attivare procedura di rivalsa nei confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato seguito ad un contratto inefficace, o se invece l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del professionista che ha reso la propria prestazione professionale sulla base di un contratto valido ma inefficace.
In particolare, il Sindaco fa presente che,
• con delibera G.C. n. 29/2009 veniva affidato ad avvocato il servizio di assistenza legale in merito a problematiche, di diritto amministrativo, civile e penale, che non abbiano assunto la forma di contenzioso, per 1 anno, al fine di fornire un supporto sia agli amministratori che ai funzionari, con la stessa delibera veniva approvato apposito disciplinare di incarico;
• con successiva determina il responsabile competente provvedeva ad assumere impegno di spesa per € 5.000 oltre iva e cap;
• allo scadere del primo anno con delibera di G.C. n. 35/2010 veniva affidato, per un ulteriore anno, il servizio di assistenza legale al medesimo professionista;
In ottemperanza a detto incarico il professionista forniva la propria prestazione professionale rilasciando pareri sia scritti che verbali sia su richiesta degli organi politici che dei responsabili di servizio, per i periodi stabiliti e richiedeva il pagamento del corrispettivo pattuito.
L'attuale responsabile, nell'eseguire l'istruttoria per la liquidazione delle spettanze del prefato professionista, e ritenendo applicabile alla fattispecie la normativa sugli incarichi ad esterni, rileva quanto segue:
1. il conferimento dell'incarico in oggetto sembrerebbe avvenuto in assenza di procedura comparativa in ossequio dei principi di pubblicità, trasparenza e obiettività e comunque senza confronto fra più curricula.
2. L'attività di cui è stato incaricato il professionista, oggetto dell'incarico, non ha un contenuto dettagliato.
3. Non risulta adottata dall'ente una disciplina regolamentare della materia ai sensi dei commi 55 e ss. dell'art. 3 della Legge finanziaria 2008.
4. risulta una inosservanza dell'obbligo di pubblicazione sul sito web del provvedimento di incarico, secondo quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007, in forza del quale: "I contratti relativi a rapporti di consulenza con le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, sono efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del nominativo del consulente, dell'oggetto dell'incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell'amministrazione stipulante."
La norma in esame non specifica quando deve essere pubblicato l'incarico sul sito internet, ma di fatto rende inefficace un contratto che (pur giuridicamente valido) non è stato ancora reso pubblico, tuttavia nel caso di specie non è stato provveduto ad inserire sul proprio sito web nominativo, oggetto e compenso previsto per l'incarico né prima della stipula del disciplinare né dopo.
...
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n. 244 ha fissato regole di carattere procedimentale e sostanziale alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione.
Il dato di maggiore rilievo della disciplina dettata dalla legge finanziaria 2008 è, da una parte, l’obbligo di normazione regolamentare dei limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di cui sopra nonché del tetto di spesa annua, dall’altro la subordinazione del conferimento dell’incarico e delle consulenze ad un documento programmatico approvato dal Consiglio.
Le disposizioni operano su piani diversi.
Le norme regolamentari dettano una disciplina generale ed astratta per l’affidamento dell’incarico, disciplina alla quale deve uniformarsi ciascun provvedimento in concreto adottato dall’amministrazione.
Il primo contenuto precettivo del comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 è l’obbligo, posto in capo all’ente locale, di dettare norme regolamentari compiute in materia (debbono essere infatti fissati limiti, modalità e criteri per l’affidamento dell’incarico o della consulenza).
Prima della emanazione del citato comma 56, art. 3, legge 244/2007 non necessariamente l’ente locale era munito di una disciplina regolamentare degli incarichi. E’ sufficiente ricordare in proposito il quarto comma dell’art. 89 del T.U.E.L.
L’adozione delle norme regolamentari deve avvenire nel rispetto delle competenze e delle procedure previste dal T.U.E.L.
Va allora posta in evidenza l’autonomia statutaria degli enti locali, con la conseguenza che lo statuto è il punto di riferimento primario nell’adozione dei regolamenti, sia per quanto riguarda la dislocazione delle competenze per la loro emanazione, sia per quanto riguarda i principi ai quali deve conformarsi il testo normativo.
In mancanza di norme statutarie derogatorie la competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto però dei criteri generali stabiliti dal consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.)
Altro punto di riferimento relativamente al contenuto delle norme regolamentari sono i criteri generali fissati dal Consiglio. Il testo del comma 56 citato sembra in ogni caso presupporre la necessità di comunque rivalutare in sede regolamentare la materia degli incarichi e delle consulenze per stabilire più stringenti criteri ed in ogni caso il limite massimo della spesa (complessiva).
Può, pertanto, affermarsi che, sia nella ipotesi in cui non siano state precedentemente inserite nel regolamento di organizzazione disposizioni sul conferimento di incarichi e consulenze, sia nella ipotesi in cui sia necessario modificare “in parte qua” detto regolamento, il Consiglio comunale deve previamente fissare i criteri ai quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme regolamentari.
Le attività da regolamentare secondo le disposizioni contenute nell’art. 3, commi 54-57, della legge finanziaria per il 2008 riguardano una pluralità di ipotesi non omogenee, in quanto la disciplina ivi prevista si applica sia agli incarichi di collaborazione sia a quelli di studio e ricerca, sia alle consulenze.
In particolare gli incarichi di collaborazione attengono a due finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff del sindaco o degli assessori ovvero supportare l’attività degli ordinari uffici dell’ente. Le differenze non sono irrilevanti.
Nella prima ipotesi gli incarichi di collaborazione possono essere conferiti dal Sindaco o dagli assessori competenti “intuitu personae” a soggetti che rispondono a determinati requisiti di professionalità entro i limiti, anche di spesa, secondo i criteri e con le modalità previste nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e fermo restando il limite massimo di durata dell’incarico da conformarsi alla permanenza in carica del soggetto competente.
Nella seconda ipotesi il discorso è più complesso.
Va innanzitutto ricordato che le norme regolamentari intese a disciplinare detti incarichi debbono adeguarsi, in forza dell’art. 34, comma 6-ter, della legge n. 248/2006 di conversione del D.l. n. 223/2006, ai principi contenuti nell’art. 32 della medesima legge, dettati a fini di contenimento della spesa e del coordinamento della finanza pubblica. La vicenda, peraltro, si inserisce nel più complesso discorso della provvista di personale a tempo determinato per lo svolgimento dell’attività dell’ente. Le disposizioni regolamentari vanno, pertanto, coordinate con le norme di cui all’art. 3, commi da 90 a 96, dell’art. 3 della legge finanziaria 2008.
In ogni caso qualsiasi contratto di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale in forza dei noti principi costituzionali, oltre che delle specifiche disposizioni da ultimo richiamate (cfr., sulla esigenza di rispettare i principi costituzionali di organizzazione, la sentenza della Corte Cost. n. 27 del 21.02.2008), senza far riferimento alle soglie di ricorso alle procedure selettive previste in materia di lavori pubblici, del tutto estranee alla materia.
L’organo competente a conferire l’incarico è il dirigente preposto al settore, secondo il normale ordine delle attribuzioni.
Più ampi sono gli adempimenti previsti per l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione.
Infatti ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge finanziaria per il 2008 “l’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.
La norma da ultimo citata comprende un’ampia tipologia di documenti programmatici di competenza del Consiglio; di conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono essere previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità di ricorrere all’incarico. La spesa prevista dovrà poi essere inserita, concorrendo al limite massimo fissato nel regolamento, nell’apposito stanziamento del bilancio annuale. Va, peraltro, precisato che il limite massimo di spesa indicato nel regolamento deve essere fissato discrezionalmente dall’ente secondo criteri di razionalità e rapportato alle dimensioni dell’ente con particolare riguardo alla spesa per il personale.
Infatti, secondo giurisprudenza amministrativa consolidata (cfr. Cons. di St., sez. IV, sentenza n. 263/2008)
l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca) in linea generale si configura come contratto di prestazione d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello della locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore. Concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale. Ciò fatto salvo quanto disposto dall’art. 91 D.Lgs. n. 163/2006 per gli incarichi di progettazione.
Esemplificativamente
con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista avvocato esterno all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra indicata.

Peraltro, appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione ecc.).
Va affermato che
il legislatore, positivizzando principi di origine pretoria, segnatamente della giurisprudenza contabile, all’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001 ha indicato i presupposti essenziali per il ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
- devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Inoltre è previsto che le amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi e che i regolamenti di cui all’art. 110, co. 6, del D.Lgs. n. 267/2000 si adeguino ai principi suindicati.
Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il regime di trasparenza degli stessi, attraverso l’obbligo della pubblicità e dell’adeguata motivazione, ed il controllo sui medesimi in capo agli organi interni e alla Corte dei conti (L. n. 662/1996, D.l n. 168/2004, L. n. 311/2004, L. n. 266/2005).
Com’è noto
il D.L. n. 168/2004 ha distinto tre tipologie di incarichi esterni: di studio, di ricerca, di consulenza.
La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib. n. 6 del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione:
per gli incarichi di studio il riferimento è all’art. 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta; gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione; le consulenze si sostanziano nella richiesta di un parere ad un esperto esterno.
Il tratto che accomuna le differenti tipologie è, secondo le SS.RR., la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie alla categoria del contratto di lavoro autonomo, più precisamente il contratto di prestazione d’opera intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.

Restano esclusi, quindi, da questo ambito i “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”, che, com’è noto, rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato (art. 409, n. 3 c.p.c.). Gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la loro stessa natura, che prevede la continuità della prestazione ed un potere di direzione dell’amministrazione, in via concettuale apparirebbero incompatibili con gli incarichi esterni, caratterizzati (di norma) dalla temporaneità e dall’autonomia della prestazione.
Resta fermo peraltro, secondo le SS.RR., che, qualora un atto rechi il nome di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa, alla motivazione, ai controlli ed alle altre prescrizioni imposte dalla normativa generale sugli incarichi esterni.
In particolare gli incarichi di studio possono essere conferiti a soggetti particolarmente qualificati nella materia. Essi debbono avere ad oggetto materie di interesse del soggetto che li conferisce, avere durata certa e concludersi con la presentazione di elaborati espositivi dei risultati dello studio o della ricerca. Tutti questi elementi debbono risultare dall’atto di conferimento dell’incarico di studio, che regola il rapporto tra soggetto conferente ed incaricato.
Il comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 sottopone alla dettagliata disciplina regolamentare, oltre che gli incarichi di “studio o di ricerca ovvero di consulenze”, anche quelli di “collaborazione”.
Del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione del comma 56 risultano essere gli incarichi conferiti ex art. 90 del TUEL (Uffici di supporto agli organi di direzione politica), ossia le cosiddette “collaborazioni di staff”. Infatti l’art. 90 TUEL fa espresso riferimento a dipendenti dell’ente ovvero a “collaboratori assunti con contratto a tempo determinato” (collocati, se dipendenti da una pubblica amministrazione, in aspettativa senza assegni), cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali e, quindi, a figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato.
Più complesso è il discorso relativo all’esatta delimitazione delle cosiddette “collaborazioni coordinate e continuative” (ex art. 409 n. 3 c.p.c.) e alla loro distinzione rispetto agli incarichi di consulenza.
Costituisce ormai un principio condiviso (cfr. Corte dei conti delib. SS.RR. n. 6/2005 nonché circolare Dip. Funz. Pubbl. 15.03.2005) quello secondo cui dalla lettura sistematica delle disposizioni delle leggi finanziarie più recenti (cfr. legge n. 311/2004 finanziaria per il 2005 e legge n. 266/2005 finanziaria per il 2006 le quali fissano tetti di spesa separati per incarichi di consulenza e co.co.co., in particolare conglobando contratti a termine e co.co.co. in un unico tetto di spesa) emerge l’intenzione del legislatore di stabilire una linea di demarcazione tra le collaborazioni ad alto contenuto professionale e le altre “semplici” collaborazioni coordinate e continuative. Le prime hanno ad oggetto prestazioni implicanti un’alta specializzazione (non rinvenibile nelle normali competenze del personale della P.A.) e una correlativa attività lavorativa sostanzialmente autonoma. Le altre co.co.co. sono state spesso utilizzate negli ultimi anni (analogamente ai contratti di lavoro a tempo determinato e a fronte dei tagli o blocchi delle assunzioni di lavoratori subordinati nella P.A.) per l’espletamento di prestazioni ordinarie non richiedenti un elevato grado di autonomia organizzativa.
Pertanto, il criterio per distinguere le collaborazioni ad alto contenuto professionale dalle semplici co.co.co. va ravvisato in un canone di sostanzialità, in base al contenuto della prestazione ed alle modalità di svolgimento della stessa (cfr. anche Corte conti sez. giur. reg. Umbria n. 447/2005).
Questa logica distintiva appare ancora attuale nell’impianto della legge finanziaria per il 2008, ed anzi è portata all’estreme conseguenze.
Da un lato l’utilizzo delle “ordinarie” co.co.co. appare attualmente fortemente ristretto: la logica della legge finanziaria per il 2008 è, infatti, quella di evitare il formarsi di precariato nella P.A., anche attraverso un rigido contenimento del lavoro flessibile (cfr. art. 3, comma 79), con la conseguenza che per l’espletamento delle ordinarie attività amministrative varrà il principio generale “dell’autosufficienza”.
Dall’altro lato, vengono ulteriormente fissati i limiti alle collaborazioni esterne ad elevata professionalità prevedendo, per queste ultime, gli adempimenti di cui ai commi 53-57 dell’art. 3.
L’individuazione dell’alta professionalità risulta peraltro subordinata al requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria” di cui al comma 76 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008.
Le collaborazioni ad elevata professionalità, pertanto, rientrano nell’ambito di applicazione del comma 56 dell’art. 3 legge finanziaria per il 2008 e quindi necessitano della disciplina ad opera del regolamento dell’ente locale. Le altre “semplici” co.co.co., al contrario, ne sono escluse; peraltro l’utilizzo di quest’ultime non risulta conforme alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività amministrative ordinarie.
Conseguentemente,
ritiene questo Collegio, così come previsto nelle “Linee di Indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3, commi 54-57 della l. 244/2007 in materia di regolamento degli enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza” emanate dalla Sezione Autonomie nell’Adunanza del 14.03.2008, che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato esterno all’Amministrazione, destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale, questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione).
Per ciò che concerne la richiesta relativa al comportamento del Comune ed in particolare se “l'ente sia tenuto alla liquidazione delle spettanze in favore del professionista e debba successivamente, attivare procedura di rivalsa nei confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato seguito ad un contratto inefficace, o se invece l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del professionista che ha reso la propria prestazione professionale sulla base di un contratto valido ma inefficace” si ricorda che l’attività consultiva di cui all’art. 7, comma 8, della Legge 131/2003, intestata alle Sezioni regionali di controllo della Corte, non può riferirsi a scelte o a comportamenti amministrativi specifici, riconducibili all’ambito di esercizio della discrezionalità amministrativa del singolo ente.
Nei documenti d’indirizzo sopra richiamati, viene infatti precisato che possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei Conti le sole “questioni volte ad ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di carattere generale”, dovendo quindi ritenersi inammissibili le richieste concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici.
Per questo motivo,
il Collegio ritiene di non poter effettuare una valutazione sulla correttezza del comportamento dell’Ente per non incorrere nel coinvolgimento diretto di questa Sezione nell’amministrazione attiva di competenza dell’Ente interessato, non rientrante nei canoni dalla funzione consultiva demandata alla Corte dei conti (Corte dei Conti, Sez. controllo Abruzzo, parere 30.04.2013 n. 25).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: Responsabilità degli amministratori locali per scelte illegittime di agire in giudizio.
Il limite della insindacabilità non sussiste, e dunque non può essere invocato dal presunto responsabile del danno, allorché le scelte discrezionali, da cui sia derivato il nocumento patrimoniale, siano contrarie alla legge o si rivelino gravemente illogiche, arbitrarie, irrazionali o contraddittorie, atteso che la predetta insindacabilità concerne la valutazione delle scelte tra più comportamenti legittimi attuati per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito e non ricomprende, al contrario, le scelte funzionalmente deviate rispetto al superiore e basilare postulato del buon andamento dell’azione amministrativa.
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Il caso
La vicenda rimessa al vaglio dei giudici contabili trova origine in una lite insorta tra un Comune piemontese e un cittadino che ha contestato -con ricorso al Capo dello Stato- la nomina a revisore contabile in favore di un terzo professionista, sotto i profili del mancato ricorso alla gara pubblica e del comportamento, a suo dire, ambiguo di alcuni amministratori dell’Ente. In particolare, il ricorrente ha censurato -con gravi affermazioni- la procedura di nomina, e ciò fino al punto da provocare un certo risentimento del Sindaco.
Quest’ultimo, ritenutosi offeso dalla espressioni utilizzate nell’atto introduttivo del ‘‘contestatore’’, ha deciso -in accordo con la Giunta dell’epoca- di depositare all’Autorità giudiziaria una denuncia per i reati di diffamazione e calunnia; parallelamente, ha avviato un processo civile volto ad ottenere una declaratoria di condanna al risarcimento dei danni patiti per lesione di immagine dell’amministrazione. Entrambi i procedimenti, tuttavia, sono culminanti in un nulla di fatto, le richieste del primo cittadino essendosi imbattute nel rigetto del giudice penale (che ha disposto l’archiviazione del caso), e di quello civile, che ha ritenuto prive di pregio tutte le pretese attrici.
Di contro, il dispendio di risorse pubbliche -l’Ente ha  conferito tre distinti mandati ad un legale esterno, per una parcella complessiva di più di 8.000 euro- finalizzato a dar fiato ad azioni giudiziarie risultate del tutto infondate, non è passato inosservato alla Procura Regionale della Corte dei conti, la quale ha prontamente avviato un procedimento per far valere la responsabilità amministrativa  degli autori dello spreco. L’addebito mosso nei confronti del Sindaco e degli altri componenti della Giunta è stato quello di aver insistito arbitrariamente e pretestuosamente alla coltivazione di azioni giudiziarie  che, già in principio, si sapevano poste in essere in mancanza di idonei presupposti, con l’evidente conseguenza  di aver generato un ingiustificabile danno erariale.
I convenuti, tra vari argomenti, hanno eccepito in loro difesa la connaturata aleatorietà del giudizio in uno all’insindacabilità piena della scelta discrezionale di intraprendere o proseguire un’azione giudiziaria, in quanto afferente alla sfera del merito amministrativo. E' sorta, di conseguenza, la necessità, per i giudici contabili investiti della vicenda, di appurare l’ammissibilità e il perimetro di un siffatto sindacato.
La soluzione
La Corte dei Conti, Sez. giurs. per la Regione Piemonte, pronunciatasi con sentenza 18.04.2013 n. 52, ha rigettato la tesi della totale insindacabilità della scelta degli amministratori pubblici di intraprendere un’azione giudiziaria, per l’effetto condannando in parte qua i convenuti al pagamento in favore del Comune della somma sostenuta per i processi avviati pretestuosamente, in virtù della provata sussistenza, nel caso di specie, di tutti i profili di responsabilità amministrativo-contabile.
Il raffronto tra costi e benefici con riferimento alla molteplicità dei processi, avviati dai convenuti in apparente difesa dell’immagine dell’Ente, non lasciava alcun dubbio -secondo i giudici- sulla diseconomicità della gestione, complessivamente considerata, in violazione del principio di buon andamento che, in virtù del dettato dell’art. 97 Cost., deve ispirare ogni componente dell’agere pubblico.
Nel merito della vicenda, peraltro, è stato escluso -in linea con quanto ritenuto dagli altri giudici chiamati a statuire sul punto- il carattere offensivo delle dichiarazioni contestate dai convenuti, e quindi la capacità stessa di ledere l’immagine dell’amministrazione, anche tenuto presente della (conclamata) fondatezza delle ragioni che l’allora ricorrente faceva valere con i motivi di legittimità contenuti nel ricorso. Ed anche a voler ritenere offensive le affermazioni del ricorrente -hanno concluso i giudici- le stesse avrebbero, in ogni caso, intaccato la sfera personale del Sindaco e dei componenti della Giunta (non essendo state rivolte direttamente all’Ente civico) dal che l’assenza dei presupposti per agire in giudizio permaneva anche sotto il profilo soggettivo.
Problemi e prospettive
La pronuncia affronta il tema controverso soffermandosi, in particolare, sui concetti di merito e discrezionalità, valutati in rapporto alla legittimità dell’azione amministrativa.
L’analisi muove, anzitutto, dalla dizione dell’art. 1, c. 1, della legge n. 20/1994, secondo cui ‘‘la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo e colpa grave’’, con la precisazione che è fatta salva ‘‘l’insindacabilità nel merito’’ delle scelte discrezionali operate dall’organo amministrativo.
La norma -secondo i giudici della Corte dei conti- non estromette del tutto la possibilità che le scelte, pur discrezionali, siano sottoposte al sindacato giurisdizionale.
Invero, essa non eliderebbe il controllo sul rispetto dei limiti interni ed esterni alla scelta.
Sotto il primo profilo, si osserva come l’azione amministrativa debba sempre collegarsi al perseguimento del fine pubblico, rendendola, in questi termini, teleologicamente orientata ai motivi per i quali è attribuito lo stesso esercizio del potere.
Quanto ai limiti esterni, invece, il riferimento è alla legittimità della azione, il che implica una digressione sui parametri da rispettare affinché la scelta possa ritenersi, per l’appunto, legittima: ebbene, in virtù, dell’evoluzione normativa stratificatasi negli anni -la più alta rappresentazione della procedimentalizzazione dell’agire dell’amministrazione è rappresentata dalla legge. n. 241/1990- il legislatore ha aggiunto taluni essenziali riferimenti che attuano -non già in un’ottica meramente programmatica, bensì precettiva- il canone costituzionale del buon andamento di cui all’art. 97 Cost.; più precisamente, la legge sul procedimento amministrativo prevede che le scelte dell’amministrazione, oltre che imparziali e trasparenti, siano improntate ai principi di economicità, efficienza ed efficacia, in modo da garantire un equilibrio tra i costi sostenuti e i benefici ottenuti.
Il precipitato di tale rafforzamento è quello per cui le scelte che implichino un’apprezzabile sacrificio di risorse pubbliche senza una contropartita violano non solo i parametri di opportunità e convenienza, ma anche -e soprattutto- parametri marcatamente legali.
Occorre altresì evidenziare come la verifica del rispetto dei limiti esterni debba espletarsi ancor prima di quella concernete i limiti interni. Di conseguenza, il giudice chiamato a sindacare la scelta discrezionale dell’amministrazione nei limiti di quanto sopra detto dovrà, in primo luogo, soffermarsi sull’economicità e, quindi, sulla proporzionalità della misura adottata; laddove il primo riscontro abbia esito positivo, è possibile appurare la compatibilità della scelta operata al fine pubblico indicato dalla norma attributiva. Superato positivamente quest’ultimo stadio di verifica, il sindacato del giudice deve ritenersi esaurito, ed ogni ulteriore indagine intaccherebbe inevitabilmente il merito della scelta, notoriamente svincolato da parametri giuridici ed espressamente riservato alla sola amministrazione.
Le coordinate sopra esposte implicano, dunque, l’affermazione di principio in forza del quale il limite della insindacabilità di cui al citato art. 1, c. 1, legge n. 20/1994 non può dirsi sussistente ove le scelte discrezionali da cui è scaturito il nocumento patrimoniale siano in loro contrarie alla legge, o comunque ‘‘si rivelino gravemente illogiche, arbitrarie, irrazionali o contraddittorie’’. L’insindacabilità cui si riferisce la norma, infatti, attiene alla valutazione di scelte tra più comportamenti legittimi ed attuati per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito (il sopra citato ‘‘merito’’); per cui ‘‘le scelte funzionalmente deviate rispetto al superiore e basilare postulato del buon andamento dell’azione amministrativa’’ non possono (e non devono) sfuggire al sindacato del giudice contabile posto che in questi casi, si tratta pur sempre di garantire la legittimità dell’azione amministrativa.
La ricostruzione svolta dalla Corte piemontese non rappresenta, peraltro, un caso isolato. Già in precedenza era stato perimetrato il confine del sindacato giurisdizionale del giudice contabile a fronte di scelte discrezionali dell’amministrazione poste in essere in spregio ai limiti interni ed esterni previsti dall’ordinamento (tra le decisioni degli organi di massima assise, si vedano, da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 4283/2013 nonché, nella giurisprudenza contabile, Sez. Giur. Centr., n. 346/2008)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Piemonte, sentenza 18.04.2013 n. 52 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 8-9/2013).

marzo 2013

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: In caso di appello proveniente da un organo di ente pubblico la leggibilità della firma è del tutto irrilevante ai fini dell’ammissibilità del gravame in quanto, fatti salvi i casi di falso materiale, la certezza dell’attribuibilità del gravame è specificamente garantita dall’apposizione dei relativi timbri e dall’intestazione dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per l’imputazione degli effetti giuridici del gravame.
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune al difensore, non determina affatto l’invalidità della procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio, accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
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A partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142, recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla legge all'organo monocratico.
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la richieda espressamente.

Contrariamente a quanto sostengono gli appellati, in caso di appello proveniente da un organo di ente pubblico la leggibilità della firma è del tutto irrilevante ai fini dell’ammissibilità del gravame in quanto, fatti salvi i casi di falso materiale, la certezza dell’attribuibilità del gravame è specificamente garantita dall’apposizione dei relativi timbri e dall’intestazione dell’ente.
In tali casi non può infatti sussistere alcuna incertezza sulla persona fisica firmataria a cui fare riferimento per l’imputazione degli effetti giuridici del gravame (cfr. Consiglio Stato sez. V 21.04.2009 n. 2402).
La mancata indicazione del nominativo e l'illeggibilità della firma del Sindaco nella procura rilasciata dal Comune al difensore, non determina affatto l’invalidità della procura stessa, atteso che la persona fisica che riveste pro tempore detta qualità è un dato di pubblico dominio, accertabile senza alcuna difficoltà presso lo stesso ente.
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D
eve essere rigettata anche l’eccezione concernente l’inammissibilità dell’appello per mancata produzione dell’autorizzazione della Giunta Municipale, prevista per evitare possibili “abusi”.
A parte che, in materia di tutela dei propri interessi, è comunque difficilmente comprensibile il riferimento agli “abusi” di cui parlano gli appellati, si deve osservare che, a partire dall'art. 36, comma 1, l. 08.06.1990 n. 142, recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete esclusivamente al Sindaco il potere di conferire al difensore del Comune la procura alle liti, senza alcuna necessità di autorizzazione della Giunta municipale.
La titolarità esclusiva del potere di rappresentanza processuale del Comune è dunque conferita direttamente dalla legge all'organo monocratico (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 11.05.2012 n. 2730).
Il sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18.08.2000 n. 267, è dunque l'organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta, fatto salvo il caso che lo Statuto la richieda espressamente.
Di qui l’ammissibilità dell’appello sotto tale profilo
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.03.2013 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocato e preventivo.
Domanda
Chiediamo conferma in seguito a dibattito nato tra colleghi in studio: sussiste l'obbligo per l'avvocato di proporre preventivo scritto al cliente?
Risposta
No, non esiste un obbligo generalizzato, ma solo laddove il cliente ne faccia esplicita richiesta.
Come chiarito all'art. 13, comma 5 della legge 247/2012, infatti, «il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico; a richiesta è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale» (articolo ItaliaOggi Sette del 25.03.2013).

febbraio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Camarda, Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi? (Diritto e pratica amministrativa n. 2/2013).

INCARICHI PROFESSIONALISe l'avvocato sbaglia niente compenso. L'attività conta e deve garantire una chance di vittoria al cliente. Lo ha stabilito la suprema corte.
Avvocato pagato se garantisce almeno una chance di vittoria; non ha diritto al compenso se ha svolto attività che si rivelano a posteriori inutili per il cliente.
Con una sentenza rivoluzionaria e preoccupante per le toghe, la cassazione stravolge l'impostazione tradizionale per cui l'obbligazione professionale dell'avvocato non è un'obbligazione di risultato: in altre parole l'avvocato ha diritto ai suoi onorari anche se non può garantire un esito favorevole all'attività svolta in favore del cliente. Ma la Corte di Cassazione (sentenza 26.02.2013 n. 4781 della III Sez. civile) comincia a ribaltare il filone tradizionale e in un caso specifico non ha computato a favore del legale il valore dell'attività compiuta, considerato che la stessa si è dimostrata inutile agli interessi del cliente.
La conseguenza che si profila è che il criterio dell'utilità del cliente o almeno la chance di utilità per il cliente possa diventare un criterio discriminante il diritto al compenso, trasformando l'obbligazione dell'avvocato in una obbligazione di risultato.
Ma vediamo di analizzare la pronuncia, che può destare un certo allarme per i professionisti.
Nel caso specifico, i parenti di un uomo che ha perso la vita in un sinistro stradale hanno deciso di far causa al responsabile dell'incidente e alla sua assicurazione. Per questo motivo, si sono rivolti ad un avvocato il quale, dopo aver instaurato il processo, ha lasciato che questo venisse dichiarato estinto, per non aver notificato l'atto di citazione anche alla compagnia assicurativa, come pure avrebbe dovuto fare. Ma non solo. L'avvocato si è pure dimenticato di proporre appello contro la decisione che ha dichiarato l'estinzione.
Ne è derivata una lite, questa volta iniziata dai clienti contro gli eredi dell'ormai defunto avvocato per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito degli errori commessi dal professionista.
Il tribunale civile ha dato ragione ai primi, condannando gli eredi dell'avvocato a risarcire i danni per negligenza professionale. Secondo il giudice, peraltro, gli errori commessi dal legale erano stati tali da escludere in radice ogni diritto al compenso per l'attività effettiva prestata, posto che questa non aveva prodotto nessun effetto utile per i clienti.
Nel giudizio di appello, pur essendo confermata la responsabilità professionale del legale, la decisione è stata riformata.
Secondo i giudici di secondo grado, infatti, l'unica colpa dell'avvocato sarebbe stata quella di non aver impugnato la decisione con la quale era stato dichiarato estinto il processo. Al contrario, doveva essere salvata tutta l'attività eseguita fino a quel momento: di conseguenza, si è detto che al legale (o meglio, a suoi eredi) spettava comunque il compenso per il mandato eseguito fino alla pronuncia di estinzione del processo, da portare in detrazione rispetto all'ammontare del risarcimento dovuto per la mancata impugnazione.
L'ultima parola sulla vicenda è quella della corte di cassazione, cui si sono rivolti i clienti del locale per ottenere il ribaltamento della decisione della Corte d'appello e la conferma di quella del tribunale.
Ai giudici romani è stata evidenziata l'erroneità della sentenza contestata nella parte in cui in essa non si teneva conto del fatto che i clienti del legale non avevano ricevuto nessun vantaggio dall'attività prestata dal secondo. L'aver dimenticato di notificare l'atto introduttivo del processo alla compagnia assicuratrice, infatti, aveva comportato la radicale inutilità del processo, tanto che questo si era concluso con un nulla di fatto. Da qui la richiesta di escludere l'obbligo di corrispondere agli eredi del defunto avvocato qualsiasi somma a titolo di compenso.
La Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulla questione, ha accolto il ricorso presentato dai clienti escludendo il diritto al compenso.
Nel dettaglio, gli ermellini hanno affermato che la mancata impugnazione della decisione con la quale era stata dichiarata l'estinzione della causa assunta in rappresentanza dei clienti, aveva reso, di fatto, inutile l'intero mandato conferito al professionista. Peraltro, si è precisato, l'errore del legale risultava tale sia se l'obbligazione professionale fosse intesa come obbligazioni di risultato -quello di ottenere il risarcimento del danno per la perdita del familiare a seguito del sinistro stradale- sia come obbligazioni di mezzi, dovendosi rimproverare al professionista anche l'assenza della dovuta diligenza nell'adempiere il suo incarico (articolo ItaliaOggi Sette del 22.04.201).

INCARICHI PROFESSIONALI: Le spese legali.
DOMANDA:
Lo scrivente ente ha conferito incarico di patrocino legale ad un avvocato, determinando preventivamente, con apposito disciplinare sottoscritto tra le parti, modalità di svolgimento dell’incarico ed entità del compenso da riconoscersi a conclusione del procedimento giudiziario.
Con sentenza favorevole il giudice ha accolto l’appello incidentale del Comune condannando la controparte al pagamento delle spese processuali a favore dell’ente, e quantificandole in un importo superiore a quello inizialmente pattuito tra ente e legale.
Poiché l’avvocato ha chiesto il ristoro a proprio favore dell’intero importo liquidato dal giudice, si chiede se tale richiesta possa essere legittimamente accolta, ovvero se al legale debbano essere liquidate le sole spettanze pattuite al momento del conferimento dell’incarico.
RISPOSTA:
La Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, con
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, ha effettuato una chiara distinzione tra l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto a quella della rappresentanza e del patrocinio giudiziale, applicandosi alla prima ipotesi, ma non alla seconda, la normativa in materia di incarichi di cui al D.Lgs. n. 165/2001 (a norma della quale il compenso è quello pattuito nella lettera di incarico).
Come rileva la stessa Sezione delle Autonomie con la citata delibera, concettualmente distinto rimane il patrocinio giudiziale, disciplinato dalle norme del codice di rito e da quelle che disciplinano la professione forense. E' utile ricordare che il D.M. 140/2012 ha abolito le tariffe forensi e regolato la disciplina del contratto tra cliente e avvocato. Il compenso va determinato per iscritto in una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di massima.
Il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del compenso da parte del giudice, e può rappresentare un punto di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di soccombenza. A quest’ultimo proposito va ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da produrre al giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del compenso pattuito documentato con il contratto stesso.
Il modello di contratto ricavabile dal decreto ministeriale stabilisce -nel caso in cui, all’esito della causa, il giudice riconosca alla parte vittoriosa il recupero delle spese legali in misura inferiore a quella pattuita dal cliente con il proprio legale- la prevalenza dell’accordo rispetto alla liquidazione del giudice: in questo caso, la parte eccedente rimane a carico del cliente.
Al contrario, e per quanto interessa nel caso di specie, se il giudice dovesse liquidare a carico della controparte una soccombenza più alta rispetto a quanto pattuito nel contratto di patrocinio, il modello di contratto attribuisce all’avvocato il maggiore importo stabilito dal Giudice (27.02.2013 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Dall’esame del Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi, relativo al conferimento di incarichi a soggetti esterni, adottato dal Comune di Arconate (Mi), la Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia accerta la parziale difformità del citato atto dai criteri enunciati dalla Sezione con le delibere 37/2008, 224/2008 e 37/2009/INPR.
La criticità rilevata dalla Sezione si pone in contrasto con la necessità di garantire adeguata pubblicità alla procedura comparativa, così come previsto dalla legge (art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001): nel dettaglio, l’art. 6 permette il conferimento di incarichi, del valore non superiore a 10mila euro, mediante mera valutazione dei requisiti in possesso dei professionisti iscritti in predeterminate liste di accreditamento, formate ai sensi del successivo art. 9. Come invece evidenziato dalla giurisprudenza della Sezione, il conferimento dell’incarico deve essere sempre preceduto da procedure comparative adeguatamente pubblicizzate (né è possibile richiamare, per analogia, la disciplina in tema di affidamento diretto, posta dal D.Lgs. n. 163/2006, per gli appalti di lavori, servizi e forniture).
Può prescindersi dalla previa effettuazione di adeguate forme di pubblicità, solo in circostanze particolari, esemplificate nelle sopra richiamate delibere. Di conseguenza, ove per la limitatezza dell’importo, l’Amministrazione ritenga di procedere mediante la valutazione dei requisiti e dei curriculum di professionisti preventivamente iscritti in liste di accreditamento, la formazione di queste ultime deve necessariamente essere rispettosa dei principi di adeguata pubblicità, con conseguente formazione e aggiornamento almeno annuale.
Non pare inoltre possibile prescindere, anche nell’ipotesi di incarichi inferiori ai 10mila euro, dall’invito di un numero congruo di concorrenti.

La Sezione dispone pertanto che la presente deliberazione sia trasmessa al Sindaco e al Presidente del Consiglio comunale del Comune di Arconate, al fine di procedere alle necessarie integrazioni e modifiche del predetto Regolamento.

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La legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n. 244), nel dettare le regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla competente Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di modifiche future ai testi già approvati).
Questa Sezione ha individuato, con il
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224, i criteri interpretativi della normativa al fine di stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni regolamentari inerenti gli incarichi di collaborazione esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è chiamata ad effettuare un controllo preventivo di legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze tipiche della magistratura contabile.
Al riguardo, necessario punto di partenza è la considerazione che la funzione principale delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è l’esercizio di un controllo di natura “collaborativa” nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale rinvenibile, in base ad una lettura adeguatrice, rispetto al nuovo assetto della Repubblica, delle norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte cost. n. 179/2007).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11 del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della Sezione regionale. Questa forma di controllo è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di settore (in particolare l’art. 7 del d.lgs n. 165/2001 e l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000), oltre ad ogni altra disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di natura finanziaria, riferite a questa materia.
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005) anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità) ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di misure correttive.
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato, in una tipologia di controllo di natura collaborativa, può essere individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005 (ora abrogato dall’art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 174/2012, convertito con legge n. 213/2013 e sostituito dal nuovo art. 148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del citato d.l. n. 174/2012), norma che prevede specifiche pronunce da indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso l’adozione delle necessarie misure correttive, nonché la vigilanza sull’effettiva adozione delle misure stesse.
Con il
parere 11.02.2009 n. 37 la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento di incarichi di collaborazione e consulenze. Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha richiamato le proprie precedenti deliberazioni nn. 37/2008 e 224/2008 ed individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. A del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già chiarito, con il
parere 12.05.2008 n. 28 ed il parere 12.05.2008 n. 29, che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 del d.lgs n. 267/2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del d.l. 112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della deliberazione di questa Sezione n. 37/2008 dell'11.03.2008 sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006.
Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri. Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della prestazione, durata, modalità di determinazione del corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10) nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 19.02.2013 n. 59).

INCARICHI PROFESSIONALI: Transazioni, parcelle variabili. L'indeterminatezza dovuta a due posizioni contrastanti. La Cassazione spinge verso il basso gli onorari; il dm parametri invece li eleva.
Pendolo dei compensi degli avvocati a seguito di accordo bonario. Si abbassa il valore dello scaglione che serve per determinare il compenso, anche se l'esito conciliativo può portare a un aumento.

L'altalena degli onorari è sospinta verso il basso da una sentenza della Corte di Cassazione (sentenza 14.02.2013 n. 3660) e contemporaneamente verso l'alto dal decreto sui parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi (dm 140/2012).
Secondo la sentenza della Cassazione, in una lite conclusasi con transazione, non c'è un vincitore e non c'è un perdente: ci sono due parti sullo stesso piano che si sono fatte reciproche concessioni. Conseguentemente nella determinazione degli onorari dell'avvocato la determinazione del valore della causa va compiuta conteggiando alla somma effettivamente corrisposta, e non a quella originariamente richiesta.
Le somme indicate nelle citazioni e nei ricorsi sono superate dalle successive transazioni e non possono costituire il parametro di riferimento circa la determinazione del valore del giudizio. Per la cassazione si deve ritenere più razionale e congruo tenere conto della diversa somma accettata in sede di transazione.
Stessa regola è stata dettata dalla Cassazione in un caso analogo: in tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell'avvocato, il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, ai momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare la quantificazione; ad esempio nelle controversie per risarcimento danni, per le quali, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio.
Se si deve prendere a riferimento il valore della transazione finale, e non quello più alto della domanda iniziale, è evidente che la liquidazione giudiziale dei compensi subisce una decurtazione.
Quindi il livello degli onorari va verso il basso.
Quasi a compensare, va, però, sottolineato che, ai sensi del decreto ministeriale 140/2012, «quando l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40% rispetto a quello altrimenti liquidabile». Quindi seppure nel scaglione relativo a un valore ridotto, il compenso può essere liquidato dal giudice computando l'incremento fino al 40%.
Il valore percentuale è un valore massimo e quindi potrebbe anche essere contenuto nei minimi termini.
Naturalmente le regole che si stanno illustrando riguardano i casi in cui l'onorario non sia stato predeterminato nel contratto tra avvocato e cliente.
La regola, nei rapporti reciproci, infatti è quella del libero mercato. A questo proposito è meglio che il legale e il proprio assistito prevedano nel contratto di incarico professionale una apposita clausola.
Seguendo le indicazioni del Consiglio nazionale forense, si può pensare a una clausola come la seguente: «In caso di accordo transattivo, oltre al compenso per l'attività effettivamente svolta, si concorda una somma pari a euro ...».
Anche per questo aspetto, l'abbandono del sistema tariffario affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare il compenso.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il professionista a stendere il contratto vincolante per il cliente: il contratto stipulato e accettato e, quindi, la clausola sui compensi in caso di transazione è vincolante anche per il magistrato.
L'articolo 1 del decreto 140/2012 prevede, infatti, che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso. Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in questo caso deve applicare il contratto e non può passare alla applicazione dei parametri.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto 140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Le cose non cambiano con la legge di riforma della professione forense (legge 247/2012) che stabilisce la regola per cui il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale e che la pattuizione dei compensi è libera.
Solo nel caso in cui il compenso non sia stato determinato dalle parti in forma scritta si applicheranno i parametri che dovranno essere fissati nel decreto emanato dal ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, ogni due anni. Si ricorda, infine, un'altra regola prevista dalla legge di riforma forense in caso di accordo tra i litiganti: quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà (articolo ItaliaOggi Sette del 22.04.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIOnorari avvocato in base al valore reale della causa.
Ai fini della liquidazione degli onorari di un avvocato, la determinazione del valore della causa va compiuta avendo riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a quella originariamente richiesta: per i giudici della III Sez. civile della Corte di Cassazione nell'ipotesi in cui la lite si sia conclusa con una transazione, a nulla rileva che il pagamento sia a carico del cliente o dell'avversario «poiché per la sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non è né vincitrice né perdente».
È vero –si legge nella sentenza 14.02.2013 n. 3660– che secondo quanto stabilito dalla legge 794/1942 esiste «una netta distinzione tra la posizione della “parte soccombente» e quella “del cliente”» rafforzata dal richiamo contenuto nell'art. 5; ma tale principio troverebbe un ulteriore condizionamento nella posizione processuale che le parti assumono all'esito dell'emanazione di un provvedimento decisorio (es.: una sentenza). Nel caso di specie, invece, vi era stata una transazione per cui non era dato individuare né un vincitore né un soccombente.
Nel rigettare il ricorso presentato dal legale, secondo il quale il parametro di riferimento per la liquidazione delle spettanze professionali andava calcolato sulla base di quanto richiesto al momento della domanda e non di quello, successivo, dell'intervenuta transazione, gli ermellini hanno, dunque, chiarito che «il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum –ciò verificandosi, in genere, nelle controversie per risarcimento danni, ove, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio–, rendendosi in tale ipotesi, ai fini de quibus, il riferimento al valore definito e, quindi, al quantum stabilito dalle parti in altro modo –eventualmente come nella specie con transazione– sicché in definitiva il valore della causa viene ad essere determinato sulla base del predetto importo» (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013).

gennaio 2013

INCARICHI PROFESSIONALIAvvocati, le spese generali tornano in parcella. Ok del cds alle correzioni dei parametri giudiziali.
Torna il rimborso delle spese generali nelle parcelle degli avvocati, che hanno diritto a un compenso specifico per la attività investigativa.

Lo prevede lo schema di decreto correttivo del decreto 140/2012 sui parametri giudiziali sui compensi professionali, su cui il Consiglio di Stato ha dato il suo parere 18.01.2013 n. 161, con alcuni rilievi critici: secondo Palazzo Spada rischia di essere intaccato il principio di omnicomprensività del compenso. Ma vediamo le modifiche più significative.
Spese forfettarie. Con la prima modifica si prevede che al compenso sia aggiunto un importo per spese forfettarie di studio, calcolato in misura compresa tra il 10 e il 20%. Per gli avvocati la vecchia tariffa prevedeva un rimborso spese forfetario del 12,5%.
Stragiudiziale. Per l'attività stragiudiziale degli avvocati viene previsto un compenso forfettizzato quantificato in una percentuale calcolata tra il 5 e il 20% del valore dell'affare. Viene, inoltre, aggiunta una disposizione, che prevede l'aumento del compenso fino ad un terzo in favore dell'avvocato che assiste una parte nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010.
Difesa di più persone. Il decreto correttivo stabilisce che l'aumento fino al doppio del compenso spettante all'avvocato, che difende più persone con la medesima posizione processuale, è sostituito dalla introduzione di un incremento fino al triplo di tale compenso.
Riduzione patrocinio stato. Viene stabilita la soppressione della possibile riduzione a metà del compenso spettante all'avvocato che presta la sua assistenza a soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale.
Manifesta ragione. Con una nuova disposizione si introduce la «soccombenza qualificata»: la norma prevede un aumento del compenso liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte vittoriosa siano risultate manifestamente fondate.
Due nuovi scaglioni. Una ulteriore modifica introduce due ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5 milioni, l'altro oltre euro 5 milioni. Inoltre è disposto un incremento, tra il 30% e il 50%, dei parametri per il procedimento di ingiunzione e per il precetto.
Investigazione. Per l'attività giudiziale penale lo schema introduce una nuova fase che si aggiunge alle altre: quella della investigazione.
Voci. Nel settore civile si introduce la voce «studio» per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare: la voce, inserita con riferimento a ogni scaglione, contiene valori corrispondenti al 35-50% degli importi previsti per la voce «procedimento».
Minorenne. Viene soppressa la possibilità della riduzione alla metà del compenso dell'avvocato che assiste d'ufficio un minorenne (articolo ItaliaOggi del 19.01.2013).

INCARICHI PROFESSIONALILa Cassazione sulle prestazioni legali. La nota spese è rettificabile
La nota spese inviata dall'avvocato non è vincolante per il professionista che ne può spedire una di importo molto superiore se il cliente non l'ha accettata.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 18.01.2013 n. 1284.
La seconda sezione civile ha dato ragione a un professionista che, dopo aver seguito una causa ereditaria, aveva inviato una prima parcella. E in un secondo momento ne aveva spedita un'altra di importo quasi raddoppiato. La cliente non aveva pagato tanto che il legale aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per la liquidazione del compenso. La signora si era opposta ma senza successo.
Ora la Cassazione ha reso definitivo il verdetto pro-professionista. La Corte territoriale ha disatteso la tesi della difesa che rivendicava la vincolatività, per il professionista, della prima richiesta di parcella sulla base del rilievo che questa, che equivaleva ad una proposta, ex art. 1344 cod. civ., non essendo mai stata accettata dalla cliente, poteva essere validamente revocata dal legale.
Non solo. I giudici di secondo grado hanno aggiunto che il professionista aveva validamente giustificato l'invio della seconda richiesta per essere stata la prima erroneamente calcolata al di sotto dei parametri tabellari, avendo applicato lo scaglione della tariffa professionale corrispondente al valore della quota della cliente invece che a quello dell'asse ereditario, errore che la Corte ha considerato effettivamente esistente, dal momento che il legale si era occupato direttamente della stessa individuazione della massa ereditaria. Ecco perché per la Cassazione la motivazione della decisione impugnata appare esauriente e logicamente coerente tra le sue premesse e conclusioni, esponendo in modo adeguato e congruo le ragioni per cui il giudice ha ritenuto che la prima parcella non vincolasse il professionista.
Insomma ora la signora non ha più chance e dovrà pagare al professionista gli 80 mila euro che questo le ha chiesto con la seconda nota spese invece dei 42mila sollecitati con la prima parcella. Anche la Procura generale di Piazza Cavour ha sollecitato in aula il rigetto del ricorso della cliente (articolo ItaliaOggi del 22.01.2013 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIFuori giurisdizione il consiglio dell'Ordine degli avvocati. La sezione del Friuli sulla responsabilità erariale per una questione di parcelle. Corte conti se ne lava le mani.
Esula dalla giurisdizione della Corte dei conti il giudizio di responsabilità erariale promosso nei confronti dei membri di un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, per un parere di congruità espresso su parcelle professionali relative al rimborso di spese legali nei confronti degli amministratori degli Enti locali.
Lo ha precisato la stessa Corte dei Conti, Sez. Giur. Regione Friuli-Venezia Giulia con la sentenza 17.01.2013 n. 2.
Nel caso in esame l'ipotesi di danno erariale sottoposta al giudizio della Corte si fondava sul parere favorevole rilasciato dai componenti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Gorizia, alla liquidazione delle parcelle dei difensori del Sindaco e dell'Assessore di Cormons (Go), nella parte in cui prevedevano l'aumento del triplo degli onorari in considerazione della particolare complessità e gravità della causa e dell'esito ottenuto.
La Procura Regionale aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti ipotizzando «l'interposizione di un ente pubblico non economico nel processo di attuazione dell'attività amministrativa».
Da tutti i convenuti era stata sollevata l'eccezione di difetto di giurisdizione.
L'eccezione è fondata. Secondo il Collegio non sussiste alcun rapporto funzionale tra l'ente locale e il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Gorizia cui sono stati sottoposti i preavvisi di parcella: al momento della richiesta di parere dell'Ordine, infatti, (ovvero nel 2006) non esisteva ancora l'obbligatorietà del visto dell'Ordine degli Avvocati sulla richiesta di rimborso delle spese legali da parte degli amministratori degli enti locali, poi introdotta con la lr n. 9/2008.
Solo l'art. 12, comma 30, lett. b), L. reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9/2008, novellando l'art. 151 della L. reg. n. 53/1981, ha di fatto equiparato gli amministratori locali ai regionali, introducendo il visto di congruità dell'Ordine professionale quale garanzia di equo rimborso per chi è stato coinvolto in un «_ giudizio civile, penale o amministrativo di qualsiasi tipo_» per tutelare la continuità e la serenità dell'amministrazione attiva; quindi solamente con la L. reg. n. 9/2008, che ne ha imposto l'obbligatorietà, può ritenersi instaurato un rapporto diretto e funzionale tra l'ente locale e il Consiglio dell'Ordine che presenta il parere di congruità, rendendo effettivo il rapporto di servizio necessario per ipotizzare l'eventuale responsabilità amministrativa dei componenti dell'organo di vertice del Consiglio professionale (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

dicembre 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: R. Patumi, L’attribuzione degli incarichi professionali esterni da parte degli enti locali (Istituzioni del Federalismo n. 4/2012 - tratto da www.regione.emilia-romagna.it).

INCARICHI PROFESSIONALIRiforma forense. Compensi senza limiti massimi. Il preventivo dell'avvocato solo su richiesta del cliente.
ACCORDI/ Il patto di quota lite resta possibile ma il professionista non può ricevere parte del bene oggetto della causa.

La legge professionale degli avvocati tende ad eliminare le asimmetrie informative, cioè le incertezze, le difficoltà di orientamento del cliente. La scelta del professionista deve poter avvenire anche sulla base di una comparazione tra compensi, cioè circa i costi della prestazione, che in ogni caso è “obbligazione di mezzo”. L'avvocato cioè mette a disposizione i mezzi per raggiungere un risultato, non garantisce il risultato stesso. Solo in modo indiretto, e appunto in tema di compensi, vi può essere un impegno del legale a raggiungere il risultato, ancorando la retribuzione al vantaggio concreto del cliente (patto di quota lite).
Procedendo con ordine, nell'ottica dell'utente, si possono prevede situazioni di prestazione gratuita (articolo 13), ad esempio per condivisione di interessi, partecipazione a comuni ideali o per valutazione della notorietà che può derivare al professionista dalla controversia. L'avvocato infatti può esercitare l'attività anche a proprio favore, traendo un vantaggio anche indiretto, ad esempio nel caso di partecipazione all'affare (difendendo propri interessi in una lite condominiale, tra soci, tra parenti), a differenza di altre professioni, in cui è presente anche una funzione di garanzia per i terzi (ad esempio, nella revisione contabile). La prestazione gratuita, che il cliente avrà cura di pattuire espressamente, non è in contrasto con il principio della «retribuzione proporzionata e sufficiente» posto dall'articolo 36 della Costituzione (Cassazione 1223/2003).
Anche la prestazione pattuita come gratuita potrebbe, tuttavia, diventare onerosa se si altera l'equilibrio iniziale (ad esempio, la comunanza di interessi, di ideali, la potenziale parentela): di qui l'opportunità che patti su prestazioni gratuite siano redatti in forma scritta, con una clausola di invariabilità.
Le pattuizioni sul compenso possono avere varie basi di calcolo (si veda la scheda in alto), tenendo presente che non sono previsti limiti massimi. È tuttavia possibile che una pretesa eccessiva del professionista sia stata ottenuta sulla base di un errore del cliente (che pensava particolarmente difficile il risultato), o di una situazione di debolezza (infondato timore di un danno che avrebbe potuto verificarsi): in questi casi l'avvocato che risulti aver approfittato del cliente rischia anche sanzioni disciplinari. Un problema simile a quello dei limiti massimi, è posto dal patto di quota lite.
Tale patto prevede che il compenso del professionista sia collegato ad un certo risultato, coinvolgendo il professionista stesso nella tensione verso un risultato favorevole. In caso di vittoria, il compenso è ancorato al valore del bene ottenuto, anche superando quanto risulterebbe applicando un compenso medio, elevato o elevatissimo. Il patto di quota lite ha l'effetto di coinvolgere il professionista nel risultato da ottenere, e rimedia sia alla mancata anticipazione del compenso (in genere, una percentuale di quanto pattuito per l'intera vicenda) sia alla mancata anticipazione delle spese vive (consulenze, approfondimenti, studi).
La riforma forense appena approvata consente tale patto, ma pone uno specifico limite: l'articolo 13, comma 4 impedisce che l'avvocato percepisca, come compenso, una quota del beni oggetto della prestazione. Ciò significa che il professionista non può, attraverso la vittoria di una lite o la positiva gestione di una trattativa, diventare socio, quotista o comproprietario di un bene insieme al suo cliente. L'avvocato può esigere il pagamento della quota lite, ma solo in danaro, senza poter obbligare il cliente a condividere il bene. In tal modo, si applica alla professione il divieto di “patto commissorio” (articolo 2744 del Codice civile).
La legge professionale non prevede l'obbligo di forma scritta per i patti sul compenso, nemmeno nei casi di prestazione gratuita o di quota lite. È tuttavia intuitivo che, sia per le ipotesi di compensi squilibrati (gratuiti o in quota lite), sia per la generalità degli affari legali, le parti coinvolte si scambieranno corrispondenza. Se il cliente lo chiede, il professionista è tenuto a comunicare in forma scritta la prevedibile misura del costo della prestazione, con voci suddivise in spese, oneri (fiscali, previdenziali) e compenso professionale. Il cliente, in tal modo, potrà comparare i servizi offerti.
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I compensi
01 | PATTUIZIONE A TEMPO
La «Pattuizione a tempo» si applica alle prestazioni per lo più telefoniche, all'assistenza a singoli atti. Viene definita «a tempo» perché ha come unità di misura l'ora o una sua frazione di effettivo impegno
02 | PATTUIZIONE FORFETARIA
La «Pattuizione forfetaria» opera indipendentemente dal tempo e dalla difficoltà del caso. Normalmente si collega ad una specifica vicenda o ad una fase predefinita
03 | SU UNO O PIÙ AFFARI
L'indicazione «Su uno o più affari» presuppone la delimitazione di un oggetto di consulenza o di una specifica lite. Può esser collegato ad un'esclusiva o ad un numero minimo di affari da gestire
04 | IN BASE AI TEMPI DI EROGAZIONE
L'indicazione «In base ai tempi di erogazione» riguarda i tempi di risposta, immediata, dodici ore, ventiquattro ore o altra tempistica con o senza presenza fisica
05 | IN BASE ALL'ASSOLVIMENTO
L'indicazione «In base all'assolvimento» riguarda i dettagli dell'incarico: ad esempio, la possibilità di farsi sostituire da ausiliari o collaboratori
06 | PER SINGOLE FASI O PRESTAZIONI
L'indicazione «per singole fasi o prestazioni» riguarda le vicende che possono evolversi, ad esempio in primo grado, in appello, in Cassazione, urgente (cautelare) o di merito (che si conclude con sentenza)
07 | A PERCENTUALE
L'indicazione «A percentuale» sottointende sul valore economico dell'affare o sul vantaggio, anche non strettamente patrimoniale, del cliente (articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2012).

INCARICHI PROFESSIONALICASSAZIONE/ Legali negligenti. Avvocati, limata la responsabilità.
Per l'avvocato negligente scatta la responsabilità professionale soltanto se il cliente che si ritiene danneggiato riesce a dimostrare che il ricorso dichiarato improcedibile per l'imperizia del professionista, ove fosse stato esaminato nel merito, sarebbe stato accolto anche solo in parte. La perdita di chance risulta risarcibile unicamente quando risulta verificabile in termini di ragionevole probabilità.

È quanto emerge dalla sentenza 10.12.2012 n. 22376 della III Sez. civile della Corte di Cassazione.
Errore processuale. Bocciato il ricorso del politico condannato per responsabilità contabile: il danno all'erario consiste nell'avere concesso a prezzi inferiori a quelli di mercato gli appartamenti di un prestigioso immobile pubblico, con gli inquilini scelti con criteri discrezionali. L'errore degli avvocati, invece, consiste nella declaratoria di improcedibilità dell'appello emessa dalla sezioni riunite della Corte dei conti laddove non è stata richiesta la fissazione dell'udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni del procuratore generale.
Risulta tuttavia confermata la valutazione della Corte d'appello: in caso di errore processuale da parte del difensore l'obbligo risarcitorio a carico del legale soltanto se c'è una ragionevole possibilità di un esito favorevole all'impugnazione, anche soltanto in parte, laddove il ricorso fosse stato ammissibile. E nel caso specifico il politico non offre alcun elemento che possa indurre il giudice a ritenere che, qualora il ricorso fosse stato esaminato nel merito, vi sarebbero state fondate probabilità di ottenere una riduzione dell'importo liquidato a titolo di danno erariale.
Presunzione ed eziologia. La perdita di chance , ragionano infatti gli «ermellini», può risolversi in una mera entità astratta e non è di per sé risarcibile: lo diventa soltanto quando risulta altamente probabile che la perdita sia riconducibile in termini di nesso causale alla condotta del terzo.
La lesione di un diritto deve tradursi in un pregiudizio concreto: per far scattare l'obbligazione risarcitoria a carico dell'avvocato, insomma, serve la prova anche presuntiva dell'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Spese di giudizio compensate (articolo ItaliaOggi del 20.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

novembre 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Carbone, “PASSAGGIO” DALLA TARIFFA FORENSE AI PARAMETRI: LE PROBLEMATICHE DELLA DISCIPLINA TRANSITORIA (Il corriere giuridico n. 11/2012 - tratto da www.ipsoa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: C. Mucio, Legittimità dell’affidamento del patrocinio legale senza gara (Urbanistica e appalti n. 11/2012).

INCARICHI PROFESSIONALICASSAZIONE/ Specificata l'applicazione per i legali. I parametri? Subito.
Conta il momento della parcella.

I nuovi parametri per la liquidazione degli onorari dell'avvocato sono applicabili anche per le attività difensive svolte nel precedente regime tariffario. Quello che conta, in sostanza, ai fini dell'uso della nuova o vecchia disciplina, è il momento in cui sono liquidati i compensi.
Lo ha chiarito la Sez. lavoro della Corte di Cassazione che, con la sentenza 21.11.2012 n. 20421, che ha quantificato secondo il nuovo metodo l'onorario di un avvocato per l'intero giudizio di Cassazione anche se quasi tutte le attività difensive erano state svolte nella vigenza delle tariffe forensi.
Secondo il collegio di legittimità il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell'articolo 41 del dm 140/2012 «depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell'abrogato sistema tariffario forense». Dunque la Cassazione, nel determinare il compenso del professionista, ha in primo luogo ritenuto che non ci fossero elementi per giustificare un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna delle tre fasi previste per il giudizio di Cassazione e, quindi, liquidato per le fasi di studio, introduttiva e decisoria, un importo in misura onnicomprensiva.
La vicenda riguarda un dipendente di un consorzio di bonifica che aveva chiesto senza successo all'azienda l'indennità di trasferta o chilometrica.
Ma i giudici di merito avevano respinto l'istanza sostenendo che l'uomo era stato assegnato presso la nuova sede già da tre anni e che quindi si trattava di un trasferimento a tutti gli effetti. Contro questa decisione lui ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo. La sezione lavoro ha confermato il verdetto di merito fornendo queste ulteriori indicazioni circa l'applicabilità dei nuovi parametri forensi. Questa volta ha ancora il discrimine dell'uso fra le vecchie tariffe e i nuovi standard al momento della liquidazione e non a quello di svolgimento dell'attività difensiva in senso stretto.
Poco più di un mese fa le Sezioni unite della Cassazione avevano decretato genericamente la retroattività dei parametri senza altre indicazioni. In particolare in quella decisione (sentenza n. 17405) è stato stabilito che parametri di cui al dm 140/2012 per i compensi dei professionisti e in particolare degli avvocati devono essere applicati ogni volta che la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in vigore del regolamento (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Ai fini della rappresentanza in giudizio del Ente, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, un atto necessario ai fini dell’agire o del resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, l’autorizzazione da parte di quest’ultima non ha più ragion d’essere

Si conviene con la difesa del Comune, laddove si rammenta che ai fini della rappresentanza in giudizio del Ente, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, un atto necessario ai fini dell’agire o del resistere in giudizio.
Infatti nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta (più diffusamente sul punto Tar Salerno, I, 24.09.2012 n. 1674), l’autorizzazione da parte di quest’ultima non ha più ragion d’essere (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 16.11.2012 n. 671 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Compensi ai professionisti a geometrie variabili.
Laddove l'attività giudiziale del difensore della parte vittoriosa è terminata prima del 23/08/2012 la liquidazione delle spese va effettuata in base alla vecchie tariffe forensi. Diversamente, quando l'opera difensiva si conclude dopo l'entrata in vigore del decreto del ministero della Giustizia 140/12, scatta l'applicazione dei nuovi parametri. E nella fissazione dell'importo non si può non tenere conto che la controversia ha natura seriale.
È quanto emerge dalla sentenza 05.11.2012 n. 18920 della Sez. lavoro della Corte di Cassazione, con cui i giudici di legittimità tornano sul tema dei compensi agli avvocati.
Nel caso concreto la Suprema corte si pronuncia su di una controversia che vede contrapposti i ragionieri contro la cassa previdenziale di categoria: si tratta di una lite piuttosto frequente negli ultimi tempi e dall'esito analogo ed è impossibile non considerarlo ai fini della «concreta fissazione» del compenso (da tempo i professionisti contabili risultano garantiti dal principio del «pro rata» nel calcolo della quota retributiva della pensione).
Quanto alla dicotomia fra vecchie tariffe e nuovi parametri, va sempre applicato il criterio secondo cui i compensi degli avvocati vanno liquidati secondo il sistema in vigore al momento in cui si esaurisce la prestazione professionale (o cessa l'incarico), «secondo una unitarietà da rapportarsi ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio e dunque all'epoca della pronuncia che li definisce»: è quindi esclusa l'applicazione del decreto ministeriale 140/12 a prestazioni già rese nei momenti precedenti, così come indicati dagli «ermellini».
La conseguenze sono tutt'altro che trascurabili per le tasche dei professionisti. Le tariffe forensi si applicano soltanto quando l'attività giudiziale dell'avvocato della parte vittoriosa è terminata prima del 23/08/2012 con riferimento ai singoli gradi di giudizio; se invece la conclusione dell'attività difensiva, con il compimento dell'opera professionale da parte dell'avvocato, avviene dopo l'entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali, la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avviene in base al dm 140/12, anche se alcune attività sono state svolte nel vigore delle vecchie tariffe. Esattamente come accade nel caso specifico risolto dai giudici di legittimità (articolo ItaliaOggi del 20.12.2012).

ottobre 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: G. Berretta, Consulenze legali ammissibili solo in casi eccezionali - I giudici contabili hanno confermato l’applicabilità della c.d. “compensatio lucri cum damno” (Diritto e Pratica Amministrativa n. 10/2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: M. Nesi, Gli incarichi Legali, incarichi fiduciari o incarichi clientelari? (link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Comune commissariato se non paga l'avvocato.
Comune commissariato se non paga all'avvocato le spese di lite del decreto ingiuntivo che il legale, in qualità di procuratore antistatario, ha ottenuto per conto del cliente e che nel frattempo è divenuto esecutivo. L'ente è obbligato a conformarsi al giudicato e non può trincerarsi dietro il mero atto di liquidazione emesso, che di per sé non prova affatto l'avvenuto pagamento delle spettanze al professionista.

È quanto emerge dalla sentenza 26.10.2012 n. 4274, pubblicata dal TAR Campania-Napoli, Sez. IV.
Accolto il ricorso del legale per l'ottemperanza. Sono passati ormai quasi tre anni da quando il titolo in forma esecutiva è stato rinotificato all'amministrazione dopo che il provvedimento monitorio risulta divenuto definitivo per non essere stata proposta opposizione.
Il Comune ha riconosciuto il relativo debito fuori bilancio ed emesso l'atto di liquidazione, ma questo non dimostra che ha pagato. Ora dovrà farlo entro 60 giorni e, se non provvede, lo farà a spese dell'ente locale il commissario ad acta nominato dal giudice: il direttore della Ragioneria territoriale dello Stato, con facoltà di delega a un funzionario dell'ufficio. Unico neo per l'avvocato: i conteggi sono sbagliati, la somma proposta va depurata di quanto indicato come spese dell'atto di precetto.
Nel giudizio di ottemperanza, infatti, le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti e onorari successivi al decreto ingiuntivo sono dovute soltanto in relazione alla pubblicazione, all'esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, quali le spese di registrazione (se versate), di esame, copia e notificazione, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale. Le spese, diritti e onorari accessorie successive al decreto ingiuntivo azionato sono quindi dovute, nei limiti delle voci indicate, ma in quanto funzionali all'introduzione del giudizio di ottemperanza sono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell'ambito delle spese di lite del giudizio di esecuzione del giudicato.
Al Comune, dunque, non resta che pagare anche le spese di giudizio. Le spese per l'eventuale funzione commissariale andranno poste a carico del Comune intimato e sono liquidate fin da subito nella misura complessiva di euro 300,00. Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all'esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all'ente debitore (articolo ItaliaOggi del 13.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALINel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza.
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione.

Quanto poi alla asserita illegittimità del mandato conferito dal Sindaco all’avv. Cerceo il 12.03.2009, in assenza della esplicita autorizzazione della Giunta, che sarebbe tuttora richiesta dallo Statuto, in primo luogo è da ritenere che, a seguito della modifica statutaria mediante l’inserimento della disposizione secondo la quale “i dirigenti sono competenti alla promozione delle liti e alla resistenza alle stesse” sia venuta meno, per incompatibilità tra la nuova disposizione (il citato art. 44, comma 6-bis) e la precedente, vale a dire l’art. 38/s) dello statuto, proprio quest’ultima disposizione la quale, in base a quanto afferma la difesa dell’appellato, richiedeva che la Giunta autorizzasse il Sindaco a promuovere o a resistere alle liti. Si tratta, del resto, di atto gestionale e tecnico che non richiede più l’autorizzazione giuntale.
A questo proposito la Corte suprema di Cassazione (sent. n. 21330 del 2006) ha avuto occasione di statuire che “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 05.06.2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d.lgs. 18.08.2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza”.
Inoltre, “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione” (Cass. civ. n. 13968/2010) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.10.2012 n. 5277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILEGGE DI STABILITÀ/ Un freno alle parcelle dei legali. Il giudice non può liquidare per valori superiori alla causa. Chi vince non potrà ribaltare su chi perde somme maggiori della controversia.
Parcelle degli avvocati calmierate in giudizio. La legge di stabilità stabilisce che il giudice non può liquidare compensi giudiziali in misura maggiore del valore della causa. Se il giudizio riguarda una controversia del valore di 2 mila euro, chi vince non potrà ribaltare su chi perde una somma maggiore.
E se il compenso pattuito con il proprio avvocato fosse più alto, la parte eccedente rimarrà a carico del cliente, anche se ha vinto la causa.

Vediamo i dettagli della questione.
La legge di stabilità propone di sostituire il quarto comma dell'articolo 91 del codice di procedura civile. La nuova versione, come scritta nel disegno di legge, prevede che i compensi liquidati dal giudice e posti carico del soccombente non possono superare il valore effettivo della causa.
L'attuale quarto comma dell'articolo 91 del codice di procedura civile formula la stessa regola, ma limitatamente alle cause previste dall'articolo 82 del medesimo codice: si tratta delle cause il cui valore non eccede i 1.100 euro, di competenza del giudice di pace.
Peraltro nella versione vigente il tetto riguarda non solo i compensi per l'avvocato, ma ogni possibile voce: «spese, competenze e onorari».
Nella modifica proposta dalla legge di stabilità il tetto riguarda qualunque causa, anche se si precisa che i compensi non comprendono le spese. Quindi il giudice potrà liquidare i compensi con il tetto dell'importo del valore della causa, mentre le spese si aggiungono. Si tratta di un criterio di liquidazione delle spese di giudizio che si aggiunge a quelli previsti dal decreto 140/2012 sui cosiddetti parametri, sostitutivi delle tariffe forensi.
L'effetto di questa disposizione è un possibile vantaggio per chi perde la causa e uno svantaggio per chi vince la causa. Questo si verifica soprattutto quando il valore della causa è basso e il compenso stabilito dal giudice (che deve rispettare il tetto) è più probabile che sia minore della cifra che l'interessato e l'avvocato hanno inserito nel contratto stipulato tra di loro.
Inoltre la quantità e la qualità della prestazione professionale può essere rilevante, anche per cause di importo piccolo. Altro possibile effetto è quello di disincentivare il ricorso alla giustizia, considerata la prospettiva di non poter recuperare i soldi che si spenderanno. Si deve aggiungere che l'avvocato dovrà informare il cliente di questa regola, consentendo al cliente di agire con consapevolezza dei costi.
Il disegno di legge di stabilità interviene anche sulle entrate dei tribunali e in particolare sul contributo unificato e cioè il balzello da pagare ogni volta che ci si rivolge al sistema giustizia. Si tratta di aumenti del contributo, soprattutto nel settore della giustizia amministrativa.
Gli incrementi riguardano tutti i tipi di procedimento, anche se rispetto a una prima versione del disegno di legge c'è qualche differenza. Nella versione originaria aumentava da 300 a 350 euro il contributo per ricorsi in materia di accesso ai documenti amministrativi e quelli avverso il silenzio dell'amministrazione: l'ultimo testo disponibile non contempla più queste ipotesi.
Una ritocco (confrontando testo originario e ultimo testo disponibile) riguarda anche gli appalti.
Nel disegno di legge sulla stabilità, per queste controversie di competenza del Tar e del Consiglio di stato, si individua una scaletta in base al valore della causa: il contributo dovuto è di euro 2 mila (contro i 3 mila della prima versione) quando il valore della controversia è pari o inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro 4.000, mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro è pari ad euro 6 mila (era 5 mila nella versione originaria). Aumenta il contributo unificato anche per tutti i processi amministrativi in materie diverse da quelle sopra elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a metà (materie previste dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo e altre disposizioni speciali): il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro.
Inoltre si pagherà un contributo doppio per i giudizi di impugnazione avanti al consiglio di stato e si paga un secondo contributo nel caso in cui le impugnazioni anche civili siano respinte o dichiarate improcedibili o inammissibili (articolo ItaliaOggi del 13.10.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIProfessioni. Alla Camera Governo battuto sulle modalità di determinazione dei compensi: passa la linea della Commissione.
Avvocati, preventivi solo su richiesta. Mazzamuto: «escluso il ritorno alle tariffe» - Buongiorno: «indipendenza salvata».

Preventivo solo su richiesta, possibilità per il Consiglio nazionale forense di esprimere pareri sulla congruità del compenso, niente socio di capitale e riserva di consulenza stragiudiziale.
La riforma dell'ordinamento forense fa un passo avanti alla Camera, con l'esame dei primi 16 articoli e regge senza perdere pezzi sui punti fondamentali e controversi. A cominciare dall'articolo 13 sul conferimento dell'incarico e le tariffe professionali. Sul tema più caldo della riforma l'avvocatura vince il braccio di ferro con il Governo, battuto con una votazione che ha bocciato l'emendamento presentato dall'Esecutivo per chiedere l'abolizione dell'intero articolo 13.
Un parere contrario che ha indotto il sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto a un compromesso per salvare il salvabile. La scelta, dopo il no all'emendamento del ministero è stata quella di rimettersi all'Aula, aderendo di fatto al lavoro fatto dalla Commissione che, se da una parte esclude il ritorno delle tariffe facendo salvo il principio della libera determinazione del compenso, dall'altra concede molto ai desiderata dei legali.
«Dopo la bocciatura del nostro emendamento -spiega il sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto- abbiamo scelto il male minore e deciso di rimetterci all'Aula per far passare almeno le modifiche fatte dalla Commissione. Diversamente c'era il rischio che l'articolo 13 restasse com'era e che venissero ripristinate la tariffe. Il Governo aveva chiesto la soppressione dell'articolo 13 perché si tratta di una norma che non si armonizza né con il Dl professioni né con il decreto parametri. Oggi -conclude il sottosegretario- è passato "lo statuto speciale" degli avvocati. Alla categoria sono riconosciute possibilità non previste per altre professioni».
Dopo il voto della Camera, che molto difficilmente verrà ribaltato dal Senato, gli avvocati faranno il preventivo solo su richiesta e potranno usare i parametri come criterio orientativo nei rapporti con il cliente. Inoltre al Consiglio nazionale forense sarà consentito esprimere pareri sulla congruità dei compensi mentre il consiglio dell'ordine potrà tentare una conciliazione in caso di controversia .
Via libera anche alla riserva di consulenza legale stragiudiziale, purché vengano rispettate due condizioni: che si tratti di materie connesse all'attività giurisdizionale e che venga esercitata in maniera sistematica, organizzata e continuativa.
Pollice verso dell'aula anche per il socio di puro capitale. «Il Governo aveva preso atto che la governance non poteva essere in mano al socio capitalista, ma sono state respinte anche le altre soluzioni -sottolinea Salvatore Mazzamuto- per questo ci siamo rimessi all'Aula. Ora i tempi della delega sono stati ridotti da un anno a sei mesi per restare dentro la legislatura».
Tempi a cui pensa anche il presidente della commissione giustizia della Camera Giulia Bongiorno, che respinge al mittente le accuse di sostenere una legge che tutela interessi di parte. «La riforma degli avvocati ha un solo obiettivo: quello di assicurare l'indipendenza della categoria. L'iter è ancora lungo -spiega Giulia Bongiorno- ma lavoriamo per portare a casa lo statuto entro la legislatura».
Soddisfatto ma scaramantico il presidente dell'Oua Maurizio de Tilla. «Ora c'è il sole speriamo che non piova domani». Ma sul domani non c'è certezza. Almeno per quanto riguarda la data per completare l'esame del testo e passare al voto degli altri emendamenti, fermi per ora all'articolo 16 (articolo Il Sole 24 Ore del 10.10.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: Range di onorario adeguato per la difesa in giudizio in un ricorso al TAR.
Domanda
Si chiede di conoscere quale sia il range di onorario adeguato, come da tariffario vigente, per l'affidamento di un incarico legale per la difesa in giudizio in un ricorso al TAR presentato da una ditta per il risarcimento danni subiti per sospensione, in via di autotutela, del procedimento amministrativo di rilascio del permesso a costruire.
Risposta
L'art. 9, D.L. 24.01.2012, n. 1 stabilisce che: "1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
2. Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il decreto deve salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
4. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio.
5. Sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1
".
Con il D.L. 24.01.2012, n. 1 sono state pertanto abrogate le tariffe professionali.
Con D.M. 20.07.2012, n. 140 sono state introdotte nuove tabelle che prevedono, in particolare, sei diversi scaglioni di valore e cinque fasi processuali, le cui attività vengono forfettariamente considerate: fase di studio, introduttiva, istruttoria, decisoria ed esecutiva. La Tabella A del D.M. 20.07.2012, n. 140 stabilisce dei parametri di liquidazione degli onorari professionali ad opera del Giudice che possono essere tenuti presenti dall'Amministrazione anche in sede di valutazione della congruità dell'onorario.
In ogni caso la Giunta Comunale -al pari di qualunque altro cliente- può revocare la propria delibera relativa alla nomina dell'avvocato se ritiene non congruo il preventivo presentato (08.10.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

settembre 2012

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIAi fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale non costituisce più, in linea generale, requisito necessario per la proposizione della domanda o la resistenza in giudizio.
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia).

Vale, con argomento assorbente, osservare come, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo TAR Sicilia, Catania, 28.05.2012, n. 1348), ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale non costituisce più, in linea generale, requisito necessario per la proposizione della domanda o la resistenza in giudizio.
La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto, si fondava sull’art. 35, secondo comma, legge n. 142/1990, secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla menzionata legge n. 142/1990 e completato dalle disposizioni successive fino all’approvazione del d.lgs. n. 267 del 2000, ha indotto, però, le Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. n. 17550/2002 e n. 12868/2005) a rivedere il precedente orientamento, anche in considerazione del fatto che la modifica del titolo V della Costituzione, nonché la successiva legge n. 131/2003 di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti (ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.lgs. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.lgs. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.lgs. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.09.2012 n. 1675 e sentenza 24.09.2012 n. 1674 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga. Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai professionisti per quantificare la propria prestazione professionale. E metterla al riparo da eventuali contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20 settembre). Le clausole più importanti riguardano la privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di lettera di incarico professionale. Dove non devono mai mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili, recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso decreto sui parametri prevede che il professionista debba dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere assunto dal professionista come base di riferimento la considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente, non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento di incarico professionale», afferma il presidente, Marina Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è diventato un elemento basilare del rapporto tra il professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie di contratto: dall'incarico professionale con committenti privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è individuare il compenso senza potersi riferire alle tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano, «si tratta di una contraddizione perché l'utente ha un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice alla fine del procedimento diventano il compenso del professionista, mentre non possono essere utilizzate dal professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed esplicito perché le attività professionali tecniche, come quella di progettazione, hanno la particolarità di poter subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato dal professionista per determinare quella cifra, se si fa riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo comportamento. In altre parole: come si fa a definire una prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri, in modo tale che il contratto sia salvo in caso di contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire, comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito una materia che prima era regolata da decreti ministeriali. In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto compenso per il professionista, in una controversia con il cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il professionista a stendere il contratto vincolante per il cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente, infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1 del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in questo caso deve applicare il contratto e non può passare alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del contratto e sostenerne la nullità totale o parziale; tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto. Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto 140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile, considerata la forbice minimo-massimo per singole prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra professionisti, singoli e associati, e tra società professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la possibilità di scelta del professionista anche sulla base del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n. 137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate, che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e anche i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la violazione della disposizione sui principi della pubblicità informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni previste dal codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio la qualifica del professionista e spostarla sul versante imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli ordini. A parte queste considerazioni generali, va sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità comparativa è ulteriore elemento che spinge alla individuazione di un tariffario di studio e di una contrattualistica standard a uso del singolo professionista, dello studio associato e della società tra professionisti (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALII COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Gli avvocati potranno esporre i prezzi. Via la distinzione tra diritti e onorari in nota spese. Tariffario pubblico per i legali.
Gli avvocati potranno costruirsi il tariffario di studio e pubblicizzarlo. I parametri stabiliti con il decreto 140/2012 sono certo un punto di riferimento, ma il professionista potrà discostarsene nel contratto con il cliente. La struttura della nota spese presentata al cliente non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, come nel vecchio tariffario. Sussiste, quindi, libertà sia nella modulazione delle voci di spesa sia nella quantificazione degli importi.
Le voci di spesa potranno essere individuate per fasi di attività con un importo onnicomprensivo per singola fase; oppure si potrà ricorrere al compenso orario. Altre possibilità sono quelle del patto di quota lite o del palmario. Con il palmario il cliente attribuisce all'avvocato un compenso aggiuntivo per la favorevole conclusione della pratica. Con il patto di quota lite l'avvocato viene pagato solo in caso di esito favorevole con una quota su quanto percepito dal cliente.
Lo schema di contratto elaborato dal Consiglio nazionale forense prevede il sistema del compenso per fasi in alternativa al compenso su base oraria. Il modello contiene, poi, una limitata forma di palmario in caso di conciliazione della controversia. Il modello del consiglio nazionale forense non disciplina, invece, una forma di quota lite. La liquidazione del compenso per fasi rispecchia l'impostazione del decreto sui parametri per la liquidazione giudiziale, anche se le fasi individuate nel modello di contratto proposto dal Consiglio nazionale forense sono diverse da quelle inserite nel decreto ministeriale sui parametri. Il modello di contratto prevede queste fasi: mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria ed esecutiva.
Peraltro è possibile articolare le fasi in maniera differente, senza essere vincolati a uno schema predefinito. Una questione particolare riguarda il rapporto tra il compenso stabilito nel contratto e le spese liquidate dal giudice al termine della causa. Ad esempio Tizio accetta di pagare all'avvocato Caio la somma di 100 per la rappresentanza in un determinato giudizio; la causa va bene, ma il giudice riconosce a Tizio la somma di 50 da chiedere all'avversario che ha perso; nel modello del Cnf in questo caso Tizio rimane obbligato a pagare all'avvocato a somma di 100 e recupererà 50 da controparte (rimane, quindi, a carico di Tizio la differenza di 50).
Altra ipotesi è quella in cui il giudice liquidi spese legali per un importo superiore a quello contrattuale: la somma eccedente viene assegnata nello schema di contratto all'avvocato, che la recupererà dalla controparte soccombente. Si tratta di una clausola per la quale si prevede una doppia sottoscrizione (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIDal Consiglio nazionale forense il modello di contratto dopo lo stop definitivo alle tariffe. Patti chiari tra avvocato e cliente. Per iscritto il compenso fissato a ore o per fasi di attività.
Compenso orario o compenso per fasi di attività. La struttura a due vie del compenso da pattuire nel conferimento di incarico all'avvocato è prevista dal modello di contratto, elaborato dal Consiglio nazionale forense. Il contratto tra cliente e avvocato, a seguito dell'abolizione delle tariffe, è necessario per stabilire l'onorario del professionista. Il compenso va determinato per iscritto in una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di massima.
Tra l'altro il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del compenso da parte del giudice (decreto ministeriale n. 140/2012), e può rappresentare un punto di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di soccombenza. A quest'ultimo proposito va ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da produrre al giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del compenso pattuito documentato con il contratto.
Vediamo le clausole più rilevanti.
Privacy. Il contratto di incarico professionale è la sede in cui il cliente dichiara di avere ricevuto l'informativa prevista dall'articolo 13 del codice della privacy e di avere prestato il consenso di cui all'articolo 23 dello stesso codice. Peraltro va ricordato che il modello di contratto presuppone una separata informativa, che può essere consegnata su foglio a parte o inserita come allegato del contratto stesso.
Conciliazione. Nel modello di contratto si trova anche l'informativa sulla media-conciliazione, con espresso riferimento ai benefici fiscali conseguibili dal ricorso a questo sistema stragiudiziale di soluzione delle controversie. Peraltro va segnalato che l'informativa va allegata al primo atto difensivo (articolo 4 dlgs 28/2010), e questo significa che il contratto va depositato in tribunale.
Antiriciclaggio. Il modello di contratto del Cnf contiene l'informativa relativa agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette previsto dal decreto legislativo 56/2004.
Difficoltà dell'incarico. Una clausola specifica del contratto riguarda l'informazione da dare al cliente, anche per obblighi deontologici, sul grado di difficoltà dell'incarico. Viene stabilita la seguente scaletta: questione ordinaria; questione difficile; questione complessa.
Imprevisti. L'iter del giudizio potrebbe presentare sviluppi non prevedibili. Il modello di contratto, da un lato, obbliga l'avvocato a fare una prognosi delle attività e dei connessi costi prevedibili; dall'altro consente all'avvocato di far presente le circostanze non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, che determinano un aumento dei costi. Si tratta di una valvola aperta alla possibile integrazione del contratto.
Importi. Il modello di contratto offre alcune strade alternative per la quantificazione del compenso.
In primo luogo si sceglie una strada simile a quella adottata dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale dei compensi e cioè una quantificazione per fasi (mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria ed esecutiva). In alternativa si propone un modello di calcolo in base alle ore di attività. Questa modalità era riservata, dalle «vecchie» tariffe, solo all'attività stragiudiziale, ma ora può essere esteso anche all'attività giudiziale.
Spese. Le spese, secondo il modello, possono essere determinate in modo forfettario oppure in base alla documentazione che verrà prodotta successivamente: in questo caso il modello indica di inserire al momento della conclusione del contratto di conferimento di incarico professionale, un tetto massimo oppure dei riferimenti al tipo di mezzo di trasporto che sarà utilizzato (treno, aereo, autovettura), classe del treno o dell'aereo, categoria alberghiera per il pernottamento.
Transazione. Analogamente a quanto previsto dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale, il contratto premia l'avvocato che favorisce una soluzione bonaria con un surplus di compenso. Il modello non offre una clausola tipo, invece, sul patto di quota lite (compenso legato al risultato, come quota di quanto incassato).
Acconti e saldo. Il modello di contratto contiene la specifica indicazione dei tempi di pagamento di acconti e saldo. Se il cliente non paga nei termini, il contratto viene dichiarato risolto.
Liquidazione del giudice. All'esito della causa il giudice potrà riconoscere alla parte vittoriosa il recupero delle spese legali, ma eventualmente in misura inferiore a quella pattuita dal cliente con il proprio legale. Per questi casi il contratto stabilisce la prevalenza dell'accordo rispetto alla liquidazione del giudice. La parte eccedente rimane a carico del cliente. Se il giudice riconoscesse di più, il modello di contratto riserva all'avvocato questa somma ulteriore.
Clausole vessatorie. Il modello di contratto prevede la doppia firma del cliente sulle clausole vessatorie (integrazione del contratto per cause imprevedibili, clausola risolutiva espressa in caso di mancato pagamento, riconoscimento al legale della cifra maggiore tra quella prevista dal contratto e quella liquidata dal giudice ecc.). Il modello precisa che non si è ritenuto opportuno prevedere il riferimento alla disciplina del contratto con il consumatore e, quindi, alla trattativa individuale delle clausole vessatorie: questo per evitare che la qualificazione di contratto con il consumatore sia lo strumento per l'applicazione al professionista dello «statuto» dell'imprenditore (articolo ItaliaOggi del 20.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALICausa facile? Dimezzato il compenso dell'avvocato.
Sì alla riduzione del 50% del compenso dovuto all'avvocato se la prestazione professionale è di «minima complessità».

Lo ha previsto il TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, con l'ordinanza 10.09.2012 n. 1528 riducendo a metà il compenso professionale di un legale che difendeva un cittadino extracomunitario ammesso al gratuito patrocinio.
Secondo i giudici del Tar Lombardia, infatti, il giudizio aveva a oggetto una questione sulla quale, all'epoca della proposizione del ricorso, esisteva una giurisprudenza favorevole del tutto costante e in equivoca. E cioè la possibilità di ottenere la cosiddetta «legalizzazione del cittadino straniero» irregolarmente presente sul territorio nazionale pur in presenza di una condanna per l'abolito reato di cosiddetta clandestinità, tanto che proseguono i giudici amministrativi esso è stato definito con sentenza di cessata materia del contendere per essersi la pubblica amministrazione rideterminata in via di autotutela.
In concreto, i giudici sostengono che l'avvocato abbia lavorato poco nel difendere il cittadino extracomunitario e questo è determinante ai fini della liquidazione. Quest'ultima, infatti si compie avendo riguardo alla complessità della questione come previsto dall'art. 4, comma 2, del dm giustizia 20.07.2012 n. 140, e nel caso di sentenze di rito, ai sensi dell'art. 10 dello stesso decreto, comporta un compenso ulteriormente ridotto del 50%.
I giudici amministrativi nelle motivazioni dell'ordinanza rammentano che ai sensi dell'articolo 1, comma 7 , del dm n. 140/2012 «il compenso è indicativo, e può essere diminuito al di sotto dei minimi in casi in cui, come il presente, la causa sia di minima complessità». I giudici amministrativi nella riduzione del compenso spettante all'avvocato, partono dal presupposto che l'intera materia è stata recentemente disciplinata dal dm Giustizia 20 luglio 2012 n. 140 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22.08.2012), che «ai sensi dell'articolo 42 entra in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione e ai sensi del precedente articolo 41 si applica a tutte le liquidazioni eseguite dopo la propria entrata in vigore».
Non solo, «ai sensi degli artt. 1 ,comma 3 e 7, del dm n. 140/2012 lo stesso è comunque applicabile in via analogica a tutti i casi di liquidazione del compenso di professionisti, nella specie dell'avvocato, e impone una liquidazione onnicomprensiva, facendo quindi venir meno la pregressa distinzione fra diritti e onorari» (articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIProfessioni. Il Tar Brescia sul compenso di un avvocato chiamato a svolgere una difesa d'ufficio.
Cause ripetitive, parcella al 50%. Parametri derogabili per fascicoli che richiedono poco impegno.
L'INDICAZIONE/ L'onorario può essere tagliato dal giudice in caso di contenzioso non in presenza di un patto preventivo tra legale e cliente.

I compensi minimi per gli avvocati possono essere rivisti al ribasso, anche al di sotto dei parametri ministeriali, qualora l'opera professionale risulti di minima complessità.
Lo precisa il TAR Lombardia-Brescia, Sez. I (ordinanza 10.09.2012 n. 1528), dimezzando il compenso ad un legale che difendeva d'ufficio un cittadino extracomunitario ammesso al gratuito patrocinio.
La pronuncia è applicabile anche all'indomani dell'entrata in vigore della legge sulla professione forense, che dedica l'articolo 13 ai compensi.
Nella legge professionale non vi sono limiti né minimi né massimi alle pattuizioni tra cliente e legale, ma per gli incarichi che non hanno un accordo iniziale o sono affidati d'ufficio (per esempio, il gratuito patrocinio per i non abbienti o gli incarichi conferiti dal giudice) è prevista una tabella di riferimento.
Si tratta di parametri che ogni biennio saranno indicati dal ministero della Giustizia: quelli attuali sono contenuti nel Dm 20.07.2012 n. 140, e sono appunto stati derogati al ribasso dai giudici bresciani. Per altro, il ministero della Giustizia ha promesso una rivisitazione dei parametri, ma il provvedimento non è ancora stato pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale».
Il principio dell'inderogabilità dei minimi, secondo il Tar, vale per le prestazioni di normale difficoltà, mentre per le attività che sono riservate al legale, ma sono semplici e di minimo impegno, vi può essere una specifica riduzione.
Esistono infatti prestazioni professionali esclusive degli avvocati, delle quali non si può fare a meno per difendere diritti: si tratta dello ius postulandi, cioè della intermediazione tra cittadino e magistratura, non essendo prevista l'autodifesa. In conseguenza i parametri del Dm 2012, che si applicano sia alle contestazioni tra cliente e legale non risolvibili sulla base di un contratto, sia nel caso del gratuito patrocinio, possono essere ulteriormente ridotti se la lite è agevole, ripetitiva, poco impegnativa e si giova di precedenti costanti.
Osserva infatti il giudice amministrativo, con un principio valido anche per la magistratura civile e penale, che l'esistenza di una giurisprudenza favorevole, costante e inequivoca, è rilevante ai fini della liquidazione del compenso.
Nel caso specifico, si discuteva della posizione di un cittadino extracomunitario cui era stata negata la procedura di legalizzazione (sanatoria) a causa della presenza di una condanna per il reato di clandestinità.
Tuttavia, poiché il reato di clandestinità era stato già abolito all'epoca della lite, la procedura giudiziaria sulla sanatoria aveva avuto un percorso snello e agevole, di minimo impegno per l'avvocato.
Di conseguenza, la liquidazione del compenso al professionista che aveva assistito la parte ha risentito della ridotta complessità della questione, con una riduzione del compenso al 50 per cento.
L'Erario ha quindi sborsato mille euro (oltre le spese vive) al legale, invece di circa 2.500 euro, minimi dovuti secondo i parametri per una intera fase di giudizio.
Il principio posto dalla magistratura bresciana si presta a diverse applicazioni, in tutti i casi in cui tra le parti non vi sia un compenso predeterminato in forma scritta (articolo 13, comma 6, dell'ordinamento professionale legale), e non solo nei casi di liti di lieve entità. Esistono infatti procedure che si giovano di prassi consolidate, di cause seriali, che impegnano in modo modesto i professionisti.
Ad esempio, ciò accade quando il giudice procede in forma semplificata, cioè con riferimento a precedenti conformi (secondo le istruzioni del presidente della Cassazione 22.03.2011 prt. 27), o in attuazione dell'articolo 74 del decreto legislativo 104/2010 (per la giustizia amministrativa), quando al stessa questione è già stata decisa in modo conforme. In questi casi il compenso del professionista rischia di essere ridotto in caso di contenzioso, ma solo se il compenso non è stato determinato (in forma scritta o orale) (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.01.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIAVVOCATI/ Ordinanza del Tar Lombardia-Brescia sul nuovo regolamento sulle tariffe. Il compenso è onnicomprensivo. Nessuna distinzione tra diritti e onorari per il difensore
La determinazione del compenso professionale dovuto ai difensori a seguito dell'entrata in vigore del decreto del ministero della giustizia 20 luglio 2012 n.140 è onnicomprensiva: è venuta meno, cioè, la distinzione fra diritti e onorari.
Questo è quanto ha chiarito il Tar Lombardia-Brescia, con l'ordinanza 10.09.2012 n. 1528 la quale fornisce una prima linea interpretativa dei criteri per liquidare gli onorari di giudizio previsti dal decreto del ministero della giustizia 20.07.2012, n. 140 (in Gazzetta Ufficiale n. 195 del 22.08.2012; in vigore dal 23.08.2012) «Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27».
Nel caso in esame un avvocato difensore di uno straniero, ammesso al gratuito patrocinio, aveva presentato istanza per la liquidazione del compenso a lui spettante davanti al giudice amministrativo.
In merito alla domanda i giudici amministrativi lombardi precisano, innanzitutto, che la materia è disciplinata dal sopra citato decreto ministeriale che ai sensi dell'art. 42 è entrato in vigore dal giorno successivo alla propria pubblicazione e deve essere applicato a tutte le liquidazioni eseguite dopo la sua entrata in vigore. Inoltre, con questa ordinanza, si sancisce l'applicabilità del decreto per analogia a tutti i casi di liquidazione del compenso di professionisti, compresa la fattispecie di gratuito patrocinio.
In secondo luogo il Tribunale amministrativo regionale afferma il criterio generale del compenso unico ovvero fa venir meno la pregressa distinzione fra diritti e onorari: mentre precedentemente il tariffario forense comprendeva diritti (fissi) relativi all'attività meramente esecutiva e onorari (compresi tra un minimo ed un massimo) relativi all'attività squisitamente professionale ed intellettuale, tale differenziazione viene sostituita da una liquidazione onnicomprensiva.
Altro aspetto peculiare dell'interpretazione del Tar concerne la possibilità di diminuire il compenso sotto il minimo tariffario nei casi in cui la causa sia di minima complessità dal momento che i criteri contenuti dal decreto ministeriale devono essere ritenuti solamente indicativi. Viene ad assumere così particolare rilevanza, ai fini della liquidazione del compenso professionale in favore degli avvocati, la difficoltà o meno delle questioni giuridiche trattate.
E tale complessità deve essere valutata, come nel caso oggetto dell'ordinanza, anche con riferimento all'esistenza di un orientamento giurisprudenziale costante ed univoco. Tale liquidazione, ai sensi dell'art. 10 del medesimo decreto, nel caso di sentenze di rito comporta un compenso ulteriormente ridotto del 50% (articolo ItaliaOggi del 14.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Mandato professionale, mai più senza l'accordo sul compenso. Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora il professionista sia in grado di dimostrare che tra le parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento, viene precisato come nel compenso determinato con l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità del compenso nel caso di incarico conferito a una società tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi che come massimi, sono elementi vincolanti per la liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale, quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro effettivamente svolto e dalle singole circostanze che possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre più uno strumento indispensabile per il professionista e per l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012, nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto al cliente come verrà determinato il compenso per la prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per l'adempimento dell'incarico conferito (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalti, stop ai ribassi selvaggi. Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse pubblico.  In arrivo un dm giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista. Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre lo scenario complessivo di riforma delle professioni che, tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe professionali e un nuovo sistema per la definizione dei compensi: si tratta del decreto interministeriale giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a disposizione un riferimento sulla base del quale impostare le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il settore già colpito in questo senso da modifiche significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità. All'interno della stessa categoria d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» in una percentuale del compenso pari al 25% per importo delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali si applicano per interpolazione lineare» (articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012).

agosto 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: G.U. 22.08.2012 n. 195 "Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27" (Ministero della Giustizia, decreto 20.07.2012 n. 140).
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PROFESSIONI/ Un compenso per fasi di giudizio. Per gli avvocati non si fa più riferimento a singole attività. In Gazzetta il regolamento sui compensi. Che è operativo fin da oggi.
Compenso agli avvocati per fasi del giudizio e non più per singole attività. Il prontuario per i giudici per la liquidazione dei compensi ai professionisti (regolamento n. 140 del 20.07.2012) approda in G.U. (n. 195 del 22.08.2012) e si applica fin da oggi ogni volta che il magistrato deve quantificare quanto è dovuto al professionista (non solo avvocato, ma anche dottore commercialista ed esperto contabile, notaio o professionista tecnico o altro professionista).
Il regolamento (si veda ItaliaOggi del 18 agosto) si caratterizza per il fatto di costituire un indirizzo di massima, non vincolante né per il giudice né tanto meno nel rapporto tra cliente e professionista.
La liquidazione da parte del giudice, per gli avvocati, avviene all'esito della causa o al momento in cui si rilascia un decreto ingiuntivo o in altro provvedimento che per legge preveda la liquidazione delle spese. Per l'ambito forense va sottolineato che vengono riportati parametri anche per il caso in cui l'avvocato si autoliquida i compensi nell'atto di precetto, che da l'avvio all'esecuzione forzata.
Il prontuario si caratterizza per il fatto di costituire una griglia, non obbligatoria per il magistrato e tanto meno nel rapporto tra cliente e proprio avvocato.
Il prontuario non è vincolante per il magistrato, in quanto costituisce una linea di indirizzo per la determinazione del corrispettivo sia in sentenza sia negli altri provvedimenti nei quali la legge attribuisce al giudice di liquidare le spese.
Il giudice è svincolato dall'applicazione cogente delle cifre, ma è soggetto ai principi generali relativi alla determinazione del compenso in relazione alla quantità e alla qualità della prestazione effettuata.
È vero che per le singole voci del prontuario si indicano livelli minimi e livelli massimi, ma non si tratta di importi cogenti e vincolanti. D'altra parte l'abbandono del sistema delle tariffe, stabilite con decreto ministeriale, non poteva essere frustrato dalla individuazione di parametri minimi e massimi altrettanto obbligatori.
Il prontuario non è, poi, vincolante nei rapporti tra cliente e professionista singolo, associato o società professionale.
Nei rapporti interni sarà il contratto di prestazione di opera intellettuale a determinare i compensi spettanti al professionista, senza alcun obbligo di riferimento ai parametri ministeriali.
Peraltro questo non significa che non vi sia alcuna regola per la determinazione dei compensi in sede contrattuale. Si pensi per la categoria degli avvocati, per i quali rimane vigente la regola del codice deontologico forense, che impone di non stabilire compensi eccessivi o sproporzionati.
La nuova situazione (abolizione delle tariffe obbligatorie e individuazione di parametri per la liquidazione giudiziale), unita al valore del preventivo e del contratto di conferimento di incarico, potrà spingere i professionisti singoli o associati e le società professionali a costruire un proprio prezziario, da riversare nelle scritture contrattuali, e da utilizzare anche nella pubblicità informativa consentita dalle norme deontologiche. Il prontuario si caratterizza per tutte le categorie professionali per una spiccata semplificazione e onnicomprensività. Per gli avvocati si abbandona un sistema articolato in diritti e onorari rapportati alle autorità giudiziarie procedenti e al valore della causa, in cui sia i diritti che gli onorari elencavano ogni singola prestazione: dalla formazione del fascicolo alla corrispondenza con parti e controparti, dalla stesura degli atti di causa alla notificazione della sentenza, e così via.
I parametri individuano alcune fasi: di studio della controversia; di introduzione del procedimento; istruttoria; decisoria; esecutiva. In relazione a ciascuna fase il parametro è onnicomprensivo, anche se suscettibile di aumenti e diminuzioni. La semplificazione riguarda anche il procedimento di ingiunzione e il precetto. In quest'ultimo caso è l'avvocato che redige l'atto, che avvia l'esecuzione forzata: i parametri ministeriali individuano quattro scaglioni con relativo compenso onnicomprensivo. I parametri per gli avvocati mandano, dunque, in soffitta sia i diritti che gli onorari e individuano una unica voce di compenso. L'importo conteggiato dal giudice sarà comunque onnicomprensivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa.
Nei compensi, determinati dal regolamento, non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità: le parti possono anche mettersi d'accordo per il rimborso in modo forfettario. Non sono compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. Mentre sono compresi i costi degli ausiliari incaricati dal professionista.
Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
Una importante novità, che vale per tutti i professionisti, riguarda il preventivo. L'assenza di prova del preventivo di massima (articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto legge 1/2012) costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso (articolo ItaliaOggi del 23.08.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIAbolizione dei tariffari senza riflessi per lo stato. Parere del Consiglio di stato sul dpr con i nuovi parametri.
L'abolizione delle tariffe non deve danneggiare le casse professionali e gli archivi notarili.
È quanto prevede il parere 13.08.2012 n. 3576 del Consiglio di Stato, che ha licenziato favorevolmente lo schema di Regolamento sulla determinazione dei parametri per oneri e contribuzioni dovuti alle Casse professionali e agli Archivi, in attuazione dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 1/2012.
Si tratta di un derivato della abolizione delle tariffe professionali e il principio generale da perseguire è salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali; inoltre si deve evitare una riduzione delle principali entrate dell'amministrazione degli archivi notarili (tassa archivio, tassa iscrizione al Registro generale dei testamenti e diritti per i servizi resi all'utenza), basate sulla tariffa notarile.
Lo schema di regolamento mantiene un importo base di calcolo unico sia per le tasse che per i contributi; tale importo rimane graduale per gli atti di valore determinato o determinabile, mentre è stabilito in misura fissa per gli altri atti, a seconda della tipologia dell'atto.
Inoltre gli importi da indicare al repertorio per il calcolo di tasse e contributi sono stati adeguati all'andamento dell'inflazione nel periodo 2001-2011 (23%).
Il Consiglio di stato rileva che l'adeguamento non deve necessariamente essere pienamente corrispondente all'incremento Istat per le professioni liberali, soprattutto in un momento di crisi economica e finanziaria.
Anche se la misura, più bassa del tasso d'inflazione, deve essere rimessa all'amministrazione, tenuto conto anche della finalità di salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
Lo schema di decreto prevede una sola tabella per i parametri determinati in misura graduale, da applicare sia per gli atti pubblici, sia per le scritture private autenticate, con allineamento agli importi previsti per gli atti pubblici.
Il Consiglio di stato suggerisce, tuttavia, di conservare una riduzione per le scritture private autenticate o, comunque, di mantenere una unica tabella con importi determinati in misura inferiore e non allineati verso l'alto.
Altro punto da rivedere è l'importo dovuto per il rilascio delle copie di atto cartaceo, raddoppiato in caso di copia esecutiva: palazzo Spada chiede di valutare la congruità degli importi, tenuto conto che si tratta di un semplice rilascio di copie (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALISANZIONI AMMINISTRATIVE - GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE AI SENSI DELLA LEGGE N. 689 DEL 1981 AVVERSO ORDINANZA INGIUNZIONE EMESSA DA UN COMUNE - RAPPRESENTANZA PROCESSUALE DELL'ENTE LOCALE - NECESSITA', O MENO, DELLA AUTORIZZAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE - QUESTIONE RIMESSA ALLE SEZIONI UNITE.
La Sezione Seconda civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della risoluzione della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, concernente la necessità, o meno, anche per i giudizi di cui all’art. 23 della legge n. 689 del 1981 dell’autorizzazione della giunta comunale al Sindaco, ove previsto dallo Statuto dell’ente (Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza interlocutoria 07.08.2012 n. 14219 - tratto da www.cortedicassazione.it).

luglio 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: G. Naimo,  I “SERVIZI LEGALI”: NOZIONE E CENNI SULLA DISCIPLINA DI AFFIDAMENTO (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

giugno 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: I. Di Toro, CONFERIMENTO DEL PATROCINIO LEGALE PER LA DIFESA DEGLI ENTI LOCALI: IL CONSIGLIO DI STATO AMMETTE L’AFFIDAMENTO DIRETTO (Gazzetta Amministrativa n. 2/2012).

INCARICHI PROGETTUALIParcelle più leggere per i tecnici. Spese e oneri dell'attività fuori dalla liquidazione dei compensi. Il decreto con i parametri di riferimento riduce gli onorari dei professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere fino al 30% per le prestazioni professionali di area tecnica. Per lo meno nel calcolo degli onorari giudiziari. Anche se, a detta di molti, i nuovi parametri per la liquidazione dei compensi diventeranno implicitamente i nuovi riferimenti tariffari nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i criteri per la liquidazione degli onorari per le professioni regolamentate (si veda ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo dovuto per esempio a un'opera di progettazione o direzione lavori, di verifica o collaudo di un impianto elettrico scompare qualsiasi rimborso delle spese e degli oneri sostenuti per svolgere l'attività. Il che significa una media di circa il 20-30% in meno dei compensi professionali dovuti fino ad ora, quando queste spese venivano calcolate a piè di lista o su base forfettaria fino a un massimo del 60% degli onorari. In sostanza se, per esempio, per una ristrutturazione edilizia del valore di 100 mila euro il professionista fino ad ora avrebbe incassato circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto tutti i rimborsi e spese sostenute per l'attività, ora queste voci saranno ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le furie le diverse rappresentanze delle professioni tecniche. Basti pensare, spiega Pasquale Caprio, presidente del dipartimento competenze e compensi professionale del Consiglio nazionale degli architetti, «che secondo le nostre simulazioni effettuate sulla base di questi parametri il compenso, per esempio, su una progettazione di un edificio scolastico, sarà decurtato ancora di più rispetto al criterio tariffario risalente a una vecchia legge del 1949 il cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30 anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché il regolamento messo a punto dal ministro della giustizia, Paola Severino, lascia anche un margine di discrezionalità nella mani del giudice che, si legge nell'articolo 36 del testo, «in considerazione della natura dell'opera, del pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi anche economici, può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a ritenere addirittura frutto di un svista: «mi sembra un passaggio incongruo», spiega il numero degli ingegneri Armando Zambrano, «perché se c'è una complessità specifica che nel testo è stata ricompresa in una determinata forbice di valore, allora non si capisce questo abbattimento o questa maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si tratta di considerare l'eventuale urgenza della prestazione allora la diminuzione non ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di qualsiasi riferimento di un parametro legato alla prestazione a ora, quella che nei vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il mio tempo, in sostanza non vale nulla», tuona ancora Capria, «perché qualora non si possa far riferimento ai parametri ma si debba considerare il fattore tempo, il professionista non potrà essere pagato». In tutto questo i professionisti di area tecnica, dunque, salvano solo un principio: il regolamento in questione una volta entrato in vigore diventerà il nuovo punto di riferimento per le stazioni appaltanti da utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il numero uno dei periti industriali Giuseppe Jogna, «che finalmente porrà fino all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza di riferimenti per la cancellazione delle tariffe e soprattutto alla tentazione di sottostimarne gli importi. D'ora in poi, quindi, chi determinerà il bando farà importi compatibili con tali parametri e soprattutto con la logica del lavoro» (articolo ItaliaOggi del 23.06.2012).

INCARICHI PROGETTUALIDal 13 agosto obbligo di polizza assicurativa per tutti i professionisti. Ecco i termini da conoscere prima di stipulare il contratto.
Dal 13.08.2012 architetti, ingegneri, geometri, notai, avvocati, commercialisti, ossia tutti i liberi professionisti dovranno avere una polizza assicurativa a tutela di errori professionali.
Lo stabilisce la Legge 148/2011 (di conversione del Decreto 138/2011) che prevede:
Þ l’obbligo di stipulare un’assicurazione privata per la responsabilità civile, a partire dal 13.08.2012;
Þ l’obbligo di indicare al cliente i dati della polizza assicurativa al momento del conferimento dell’incarico.
Ma cosa vuol dire franchigia, premio, massimale, claims made?
In allegato a questo articolo, oltre al testo coordinato del Decreto 138/2011, la redazione di BibLus-net propone ai propri lettori un documento contenente le definizioni principali legate ad una polizza, da conoscere assolutamente prima della stipula (21.06.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Conferimento dell’incarico di patrocinio legale.
Con la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e con la predisposizione e l’inoltro dell'offerta, i soggetti concorrenti assumono una posizione differenziata e qualificata e, di conseguenza, l’Amministrazione che ha bandito la gara, ove intenda annullarla in autotutela, deve provvedere, ai sensi degli art. 7 e 8 l. n. 241/1990, a comunicare loro l'avviso di avvio del relativo procedimento al fine di consentire la difesa del bene della vita dato dalla chance di aggiudicazione.
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La domanda di risarcimento del danno quantificata dal ricorrente in € 24.000,00 non può trovare accoglimento per mancato raggiungimento, sia sotto il profilo del danno emergente che del lucro cessante, della prova del danno lamentato, non avendo il ricorrente dimostrato, sotto il primo profilo, la perdita patrimoniale riveniente dall’illegittimo annullamento della procedura comparativa, e non avendo addotto, sotto il secondo profilo, elementi puntuali (ad esempio, titoli professionali di particolare valore o maggior convenienza della offerta economica presentata) dai quali si possa legittimamente inferire, secondo un giudizio prognostico di tipo probabilistico, che il ricorrente medesimo sarebbe stato preferito, ai fini del conferimento dell’incarico de quo, rispetto agli altri aspiranti.
Ritiene, invece, il collegio che possa essere riconosciuto al ricorrente il danno da perdita di chance, che costituisce una forma di lucro cessante che si concreta nella mera perdita della effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene; tale forma di danno non costituisce, infatti, un’aspettativa di fatto, ma un’entità giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
Ai fini della determinazione del quantum, il collegio ritiene di poter quantificare, in via equitativa, il danno da perdita di chance (sulla base del criterio già previsto dall’art. 345 della legge 20.03.1865 n. 2248 allegato F per l’ipotesi di esercizio della facoltà di recesso da parte dell’amministrazione committente), rapportandolo in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile e determinandolo nella misura del 10% del compenso che sarebbe spettato al ricorrente in caso di affidamento dell’incarico de quo
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... per l'annullamento della Determinazione n. 29 (Reg. Gen. n. 148) del 17.02.2011, con al quale il Segretario generale del Comune di Carovigno ha annullato la determinazione n. 1056 del 30.12.2010 (con la quale veniva indetto un avviso pubblico per il conferimento dell’incarico di patrocinio legale dell’Ente), della Deliberazione n. 44 del 25.02.2011, con la quale la Giunta comunale di Carovigno ha autorizzato il Sindaco al conferimento di incarico di patrocinio legale dell’Ente ad un avvocato di propria fiducia nonché del decreto del 1° marzo 2011, con il quale il Sindaco del Comune di Carovigno ha nominato l'avv.to Alberto Magli quale difensore e patrocinante del Comune di Carovigno dall'01.03 al 31.08.2011;
...
Anzitutto, non può essere condivisa la tesi sostenuta dalla Amministrazione resistente secondo la quale, nel caso di specie, ai fini dell’esercizio dei poteri di ritiro, non era necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 della l. n. 241/1990. L’Amministrazione resistente richiama alcune pronunce giurisprudenziali che escludono, nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica per l’aggiudicazione degli appalti, la doverosità della predetta comunicazione con riguardo all’annullamento e alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria, che è notoriamente un atto endoprocedimentale ad effetti instabili ed interinali. Nel caso di specie, l’Amministrazione comunale ha invece annullato, in autotutela, la determinazione con la quale veniva indetta una selezione, mediante procedura comparativa, per il conferimento di un incarico professionale, ossia un atto di natura provvedimentale.
Orbene, il collegio fa rilevare che con la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e con la predisposizione e l’inoltro dell'offerta, i soggetti concorrenti assumono una posizione differenziata e qualificata e, di conseguenza, l’Amministrazione che ha bandito la gara, ove intenda annullarla in autotutela, deve provvedere, ai sensi degli art. 7 e 8 l. n. 241/1990, a comunicare loro l'avviso di avvio del relativo procedimento al fine di consentire la difesa del bene della vita dato dalla chance di aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 07.01.2009 n. 17).
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Ad avviso del collegio, la domanda di risarcimento del danno quantificata dal ricorrente in € 24.000,00 non può trovare accoglimento per mancato raggiungimento, sia sotto il profilo del danno emergente che del lucro cessante, della prova del danno lamentato, non avendo il ricorrente dimostrato, sotto il primo profilo, la perdita patrimoniale riveniente dall’illegittimo annullamento della procedura comparativa, e non avendo addotto, sotto il secondo profilo, elementi puntuali (ad esempio, titoli professionali di particolare valore o maggior convenienza della offerta economica presentata) dai quali si possa legittimamente inferire, secondo un giudizio prognostico di tipo probabilistico, che il ricorrente medesimo sarebbe stato preferito, ai fini del conferimento dell’incarico de quo, rispetto agli altri aspiranti.
Ritiene, invece, il collegio che possa essere riconosciuto al ricorrente il danno da perdita di chance, che costituisce una forma di lucro cessante che si concreta nella mera perdita della effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene; tale forma di danno non costituisce, infatti, un’aspettativa di fatto, ma un’entità giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
Ai fini della determinazione del quantum, il collegio, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI 16.09.2011 n. 5168; Sez. V 08.07.2002 n. 3796), ritiene di poter quantificare, in via equitativa, il danno da perdita di chance (sulla base del criterio già previsto dall’art. 345 della legge 20.03.1865 n. 2248 allegato F per l’ipotesi di esercizio della facoltà di recesso da parte dell’amministrazione committente), rapportandolo in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile e determinandolo nella misura del 10% del compenso che sarebbe spettato al ricorrente in caso di affidamento dell’incarico de quo e, quindi, nella misura onnicomprensiva di € 2.400,00 (euro duemilaquattrocento/00)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 01.06.2012 n. 995 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2012

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIAl sindaco non serve il placet per la costituzione in giudizio.
Mani libere al sindaco. L'azione giudiziaria o l'impugnazione per conto del comune possono essere ben promosse direttamente dal primo cittadino senza una delibera ad hoc della giunta che lo autorizza a procedere. Con l'elezione diretta, infatti, il capo dell'amministrazione locale risulta portatore di un'investitura che proviene senza mediazione dagli stessi cittadini, mentre sono gli assessori a trovare nel sindaco la loro fonte di legittimazione. Insomma: non c'è bisogno di alcun placet della giunta affinché l'ente locale stia in giudizio.
Lo chiarisce il
TAR Sicilia-Catania, Sez. II, con la sentenza 28.05.2012 n. 1348
L'autorizzazione alle liti aveva un senso quando il sindaco era eletto dal Consiglio comunale e la giunta era comunque espressione del «parlamentino» locale. Ma da quasi vent'anni è il primo cittadino, eletto direttamente dal popolo, che si sceglie la sua squadra per governare l'amministrazione. Né bisogna dimenticare le modifiche al titolo V, parte seconda, della Costituzione che hanno accentuato il grado di indipendenza degli enti locali, che ormai rientrano nella categoria delle «autonomie territoriali».
Alla giunta sono conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non sono riservate dalla legge al Consiglio; ai dirigenti comunali spetta la guida degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, oltre che tutti i compiti non compresi espressamente tra le funzioni di indirizzo.
Niente da fare, nel caso di specie, per il candidato escluso da un concorso bandito da un comune del Messinese per la nomina del responsabile del settore affari generali e vicesegretario dell'ente locale. L'aspirante dirigente sostiene che l'atto di opposizione al ricorso straordinario sarebbe irrituale perché sottoscritto dal sindaco senza previa deliberazione della giunta. Ma quell'opposizione non ha natura processuale (nonostante un isolato precedente giurisdizionale di segno contrario).
L'eventuale passaggio dal ricorso straordinario alla sede giurisdizionale, infatti, segna anche la modifica del regime degli atti, che devono qualificarsi come processuali solo nel momento in cui si è realizzata definitivamente la trasposizione dal piano del ricorso straordinario a quello del ricorso giurisdizionale (articolo ItaliaOggi del 22.06.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIAi fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia).

Come, infatti, affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Civ, I, n. 13412/2006, Cass. Civ., Sez. Un., n. 17550/2002 e n. 12868/2005; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I n. 880 del 04.07.2008, Cons. Stato, sez. VI n. 33 del 07.01.2008), la vigente disciplina regionale non include più fra le competenze della Giunta Comunale le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive.
La competenza in materia della Giunta Comunale, come è noto, si fondava, in ambito nazionale, sull’art. 35, secondo comma, legge n. 142/1990, secondo cui a tale organo spettavano le attribuzioni residuali su tutti gli atti non riservati dalla legge o dallo Statuto alla competenza del Sindaco o del Consiglio.
La norma ha trovato applicazione anche nella Regione siciliana, avente competenza legislativa esclusiva sull’ordinamento degli enti locali ai sensi dell’art. 14, lett. p), dello Statuto Regionale, atteso che, con legge regionale n. 48/1991, la legge n. 142/1990 è stata recepita nell’ordinamento regionale senza alcuna modifica.
Il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla menzionata legge n. 142/1990 e completato dalle disposizioni successive fino all’approvazione del d.p.r. n. 267 del 2000, ha indotto, però, le Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. Un. n. 17550/2002 e n. 12868/2005) a rivedere il precedente orientamento, anche in considerazione del fatto che la modifica del titolo V della Costituzione, nonché la successiva legge n. 131/2003 di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, hanno accentuato l’autonomia degli enti locali e nell’ambito di essa le potestà degli Statuti nella gerarchia delle fonti (ormai da considerarsi quali atti normativi atipici con caratteristiche di rango paraprimario o sub-primario).
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della Giunta Comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione (o all’impugnazione).
Ciò, innanzitutto, perché alla Giunta sono state conferite le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo che non siano riservate dalla legge al Consiglio, mentre spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli Statuti e dai regolamenti, nonché tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto tra le menzionate funzioni di indirizzo (art. 48, 50 e 107 d.p.r. n. 267/2000).
In secondo luogo, perché nel nuovo ordinamento delle autonomie locali il Sindaco ha assunto, ancor più con la legge n. 81/1993, che ne ha previsto l'elezione diretta, un ruolo politico ed amministrativo centrale, in quanto titolare di funzioni di direzione e di coordinamento dell’esecutivo comunale; onde l’autorizzazione (del Consiglio prima e poi) della Giunta, se trovava ragione in un assetto in cui il Sindaco era eletto dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragion d’essere in un sistema in cui il Sindaco trae direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituisce egli stesso la fonte di legittimazione degli Assessori che compongono la Giunta, cui l’art. 48 d.p.r. n. 267/2000 affida il compito di collaborare con il capo dell’Amministrazione Municipale (salva restando, ovviamente, la possibilità per lo Statuto comunale -competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio ex art. 6, secondo comma, d.p.r. n. 267/2000- di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia) (TAR Sicilia-catania, Sez. II, sentenza 28.05.2012 n. 1348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALILa legittimazione a ricorrere e l'interesse a ricorrere si radicano in capo ad un soggetto, nel caso di procedura negoziata, solo perché imprenditore operante nel settore interessato, senza che occorra che abbia presentato apposita domanda di partecipazione alla gara.
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L’avvenuta esecuzione integrale della prestazione esclude qualsiasi interesse del ricorrente all’annullamento degli atti di gara.
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La scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici. Si risolve, infatti, nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiano più quotati, secondo regole obiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del Comune, si risolve, invece, nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attività di gestione. Non rientra, perciò, in questa attribuzione, la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente. In questo caso, la scelta spetta ai dirigenti, secondo l'esplicito disposto dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale per condurre una selezione ispirata al soddisfacimento di siffatte esigenze tecniche.
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La scelta dei soggetti da invitare alla gara, effettuata dall’amministrazione attraverso l’utilizzo dell’albo degli avvocati di Milano, risponde a criteri di trasparenza e di proporzionalità rispetto all’oggetto della gara in quanto la professionalità richiesta in via principale era quella di avvocato. Non sussistendo infatti sul mercato, per i noti limiti all’esercizio della professione legale in forma societaria, solo da poco in fase di superamento, figure professionali complesse in grado di soddisfare contemporaneamente requisiti legali e tecnici, l’amministrazione ha correttamente fatto una scelta nell’ambito dei professionisti ai quali era richiesta la prestazione principale, rimanendo a loro carico il compito di trovare le modalità organizzative volte ad associare altri tipi di professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che la scelta dell’amministrazione di assoggettare gli appalti dei servizi legali in questione alla disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice degli appalti, in quanto rientranti nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la possibilità di assoggettarli alla disciplina degli altri contratti di lavoro autonomo di alta professionalità prevista dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una disciplina esaustiva della materia.
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E' legittima la scelta della P.A. di non prendere in considerazione l’offerta di una ditta del settore, non invitata ad una procedura semplificata ed accelerata di cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha presentato comunque l’offerta, ove sia stata motivata con riferimento al fatto che -nonostante la partecipazione di un solo concorrente dei cinque formalmente invitati- la ditta interessata sia stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario, e, in un caso, sia risultata aggiudicataria.
Analoghe considerazioni valgono per il caso in questione, avendo il ricorrente già fruito di plurimi incarichi senza gara, ed in mancanza di prova del fatto che il ricorrente fosse l’unico in grado di fornire il servizio richiesto. L’amministrazione ha quindi correttamente applicato principi di parità di trattamento e di concorrenza che hanno permesso ad altri legali, aventi gli stessi titoli del ricorrente, di instaurare una collaborazione con il Comune in una materia particolarmente complessa come la redazione di atti di gara e di costituzione di società.
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L'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005, che ha introdotto il contributo a favore dell'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un interesse erariale a contenuto economico-finanziario, connesso alle esigenze di copertura delle spese (generali e di funzionamento) dell’Autorità di vigilanza, e traduce tale interesse in una nuova imposizione di carattere fiscale a carico delle imprese interessate, mediante la pretesa sostanziale all’ottenimento del pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma, viceversa, non si traduce né può tradursi, nella previsione di filtri formali insuscettibili di regolarizzazione formale e quindi capaci di causare l’esclusione di imprese che comunque adempiono al previsto onere contributivo e che sono inoltre in possesso dei prescritti requisiti economici e professionali, e che consentirebbero dunque di estendere la competizione per la scelta della migliore offerta.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, in qualità di affidatario (senza gara) di due precedenti incarichi di consulenza relativi alla costituzione della società mista concessionaria della linea 4 della metropolitana milanese, impugna gli atti della procedura di affidamento del servizio di consulenza legale relativo alla linea 4 della metropolitana indetta dal Comune per i seguenti motivi:
   A) incompetenza per violazione dell’art. 48 TUEL, art. 43 dello Statuto comunale, art. 13 del Regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, in relazione ai contenuti del piano esecutivo di gestione 2009. A suo dire l’approvazione del bando avrebbe dovuto essere preceduta dalla previa approvazione da parte della Giunta comunale, in quanto il valore dell’appalto era costituito dall’intero ammontare della spesa e non dalla sola parte a carico del Comune;
   B) violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, dell’art. 3, comma 56, della L. 244/2007 e dell’art. 31 del Regolamento comunale, posto che non sarebbe stata adeguatamente vagliata la mancanza di adeguate professionalità interne, sia sotto il profilo legale che sotto quello ingegneristico;
   C) violazione dell’art. 27, comma 10 del Codice dei contratti e dell’art. 51, comma 5, del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi ed eccesso di potere nella selezione dei professionisti invitati alla procedura negoziata in quanto non sarebbero stati invitati soggetti in potenziale possesso dei requisiti per partecipare alla selezione;
   D) illegittimità della preselezione degli invitati alla procedura negoziata, atteso che non sarebbe stato invitato il ricorrente, che pur si era già occupato della costituzione della società in questione. Il mancato invito del ricorrente, in particolare, avrebbe violato i principi di economicità, imparzialità, trasparenza, buona fede e concorrenzialità;
   E) violazione del principio di trasparenza non avendo avuto il ricorrente alcuna notizia dell’avvio della procedura;
   F) violazione di legge ed eccesso di potere per incoerenza tra l’oggetto della prestazione e le esigenze dell’amministrazione, nonché tra il criterio di preselezione e quello di valutazione comparativa delle offerte;
   G) violazione dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 in quanto la gara avrebbe per oggetto un contratto aperto nell’oggetto; indeterminatezza della durata dell’incarico; violazione dell’obbligo di predeterminazione del compenso; contraddizione con precedenti atti nella previsione della clausola secondo la quale la durata dell’incarico è “di 12 mesi o comunque fino all’aggiudicazione”;
   H) eccesso di potere per travisamento dei fatti nella determinazione dell’oggetto della gara;
   I) violazione dell’art. 1, comma 67, della L. 23/12/2005, n. 266 e della deliberazione dell’A.V.CC.PP., avendo il Comune permesso all’aggiudicatario di regolarizzare il pagamento della tassa dovuta all’Autorità di vigilanza, benché il mancato pagamento fosse previsto come causa di esclusione dalla gara.
Lo stesso ha, infine, chiesto il risarcimento dei danni per perdita di chance nella misura del 50% del compenso contrattuale.
...
E' indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa che la legittimazione a ricorrere e l'interesse a ricorrere si radicano in capo ad un soggetto, nel caso di procedura negoziata, solo perché imprenditore operante nel settore interessato (Cons. Stato, sez. V, 18.12.2002, n. 7055; Ad. plen. 07.04.2011, n. 4), senza che occorra che abbia presentato apposita domanda di partecipazione alla gara (cfr. in termini Cons. Stato V 10.09.2009, n. 5426; 31.12.2007, n. 6797; 27.10.2005, n. 5996; 04.05.2004, n. 2696; Cons. Stato, III, 19.04.2011, n. 2404).
4. Venendo all’esame delle domande proposte occorre limitare l’oggetto del giudizio all’accertamento dell'illegittimità dell'atto ai soli fini risarcitori in quanto l’avvenuta esecuzione integrale della prestazione esclude qualsiasi interesse del ricorrente all’annullamento degli atti di gara.
5. Nel merito va respinto il primo motivo, in quanto la mancanza dell’atto di indirizzo della Giunta, previsto dall’art. 43 dello Statuto comunale per i contratti di valore superiore alla soglia comunitaria, non ha inciso sulla legittimazione del dirigente ad adottare i suddetti atti.
In materia la giurisprudenza ha affermato che “la scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici. Si risolve, infatti, nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiano più quotati, secondo regole obiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del Comune, si risolve, invece, nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attività di gestione. Non rientra, perciò, in questa attribuzione, la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente. In questo caso, la scelta spetta ai dirigenti, secondo l'esplicito disposto dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale per condurre una selezione ispirata al soddisfacimento di siffatte esigenze tecniche
” (Cons. Stato, sez. V, 09.09.2005, n. 4654).
Nel caso in questione la mancata sottoposizione dell’atto di indizione della gara all’esame della Giunta si giustifica correttamente con la previsione di una spesa a carico del Comune inferiore alla soglia comunitaria, indipendentemente dal fatto che una parte del corrispettivo fosse a carico del socio privato della costituenda società mista.
Infatti se è vero, come affermato dal ricorrente, che il Comune in questo modo ha promesso l’obbligazione o il fatto del terzo, è anche vero che in caso di inadempimento del terzo la prestazione non resta a carico del promittente, ma sorge a suo carico esclusivamente un’obbligazione indennitaria (art. 1381 c.c.). Ne consegue che non esisteva un’obbligazione giuridicamente perfezionata a carico del Comune per l’intero ammontare del valore dell’incarico e, di conseguenza, non sussistevano i presupposti per l’assunzione di un impegno di spesa ai sensi dell’art. 183 del D.Lgs. 267/2000 per l’intera somma e neppure quelli per la sottoposizione dell’atto all’indirizzo della Giunta.
A ciò si aggiunge che l’atto di indirizzo, quale atto integrativo della competenza dirigenziale, è ampiamente discrezionale, se rettamente inteso come atto volto a fissare le linee generali da seguire e gli scopi da perseguire, con la conseguenza che, da un lato, non dà titolo al risarcimento del danno in quanto non è possibile stabilire, neppure in forma probabilistica, quale sarebbero state le possibilità di un esito diverso; dall’altro la sua mancanza si risolve in un vizio meramente formale, che può essere sanato mediante ratifica.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, essendo evidente che colui che contesta di non essere stato invitato alla gara non ha interesse a mettere in dubbio la necessità dell’affidamento all’esterno del servizio. Infatti nessun vantaggio può derivargli dall’accertamento che l’amministrazione avrebbe potuto trovare le competenze tecniche necessarie allo svolgimento dell’incarico al proprio interno.
7. Il terzo motivo è egualmente infondato, non essendo possibile desumere dal semplice fatto che abbia presentata domanda uno solo degli invitati, che gli inviti spediti dal Comune fossero finalizzati a favorire solo l’aggiudicatario.
Infatti la scelta dei soggetti da invitare alla gara, effettuata dall’amministrazione attraverso l’utilizzo dell’albo degli avvocati di Milano, risponde a criteri di trasparenza e di proporzionalità rispetto all’oggetto della gara in quanto la professionalità richiesta in via principale era quella di avvocato. Non sussistendo infatti sul mercato, per i noti limiti all’esercizio della professione legale in forma societaria, solo da poco in fase di superamento, figure professionali complesse in grado di soddisfare contemporaneamente requisiti legali e tecnici, l’amministrazione ha correttamente fatto una scelta nell’ambito dei professionisti ai quali era richiesta la prestazione principale, rimanendo a loro carico il compito di trovare le modalità organizzative volte ad associare altri tipi di professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, la scelta dell’amministrazione, non contestata dal ricorrente, di assoggettare gli appalti dei servizi legali in questione alla disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice degli appalti, in quanto rientranti nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la possibilità di assoggettarli alla disciplina degli altri contratti di lavoro autonomo di alta professionalità prevista dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una disciplina esaustiva della materia (vedi parere della Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, del 14.03.2008 "Linee di indirizzo e criteri interpretativi dell'art. 3, commi 54-57 della L. 244/2007, in materia di Regolamenti degli Enti Locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza").
8. Il quarto motivo va respinto, essendo l’amministrazione tenuta, ai sensi dell’art. 27 del Codice, ad osservare il principio di rotazione nell’assegnazione degli incarichi di cui all’allegato IIB al Codice.
In materia la giurisprudenza ha affermato che è legittima la scelta della P.A. di non prendere in considerazione l’offerta di una ditta del settore, non invitata ad una procedura semplificata ed accelerata di cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha presentato comunque l’offerta, ove sia stata motivata con riferimento al fatto che -nonostante la partecipazione di un solo concorrente dei cinque formalmente invitati- la ditta interessata sia stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario, e, in un caso, sia risultata aggiudicataria (Tar Lombardia, Brescia, II, 21.01.2011 n. 137).
Analoghe considerazioni valgono per il caso in questione, avendo il ricorrente già fruito di plurimi incarichi senza gara, ed in mancanza di prova del fatto che il ricorrente fosse l’unico in grado di fornire il servizio richiesto. L’amministrazione ha quindi correttamente applicato principi di parità di trattamento e di concorrenza che hanno permesso ad altri legali, aventi gli stessi titoli del ricorrente, di instaurare una collaborazione con il Comune in una materia particolarmente complessa come la redazione di atti di gara e di costituzione di società.
...
13.
Il nono motivo di ricorso va respinto in quanto la giurisprudenza (TAR LAZIO, Roma, Sez. II-bis - 07/05/2009, n. 4893) ha chiarito che l'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005, che ha introdotto il contributo a favore dell'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un interesse erariale a contenuto economico-finanziario, connesso alle esigenze di copertura delle spese (generali e di funzionamento) dell’Autorità di vigilanza, e traduce tale interesse in una nuova imposizione di carattere fiscale a carico delle imprese interessate, mediante la pretesa sostanziale all’ottenimento del pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma, viceversa, non si traduce né può tradursi, nella previsione di filtri formali insuscettibili di regolarizzazione formale e quindi capaci di causare l’esclusione di imprese che comunque adempiono al previsto onere contributivo e che sono inoltre in possesso dei prescritti requisiti economici e professionali, e che consentirebbero dunque di estendere la competizione per la scelta della migliore offerta (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.05.2012 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Bellagamba, Antiquata pronuncia del Consiglio di Stato: il singolo affidamento al legale è incarico fiduciario e non appalto pubblico di servizio (commento a Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 (link a www.giustizia-amministrativa.it e link a www.linobellagamba.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALICompete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione.
E’ infondato anche il motivo d’appello diretto contestare il capo della sentenza appellata con cui i Primi Giudici hanno sancito la violazione del principio che attribuisce al dirigente ratione materiae competente il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del patrocinio legale.
La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall’orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALICosa cambia per i legali con il dl liberalizzazioni. Il cliente deve poter confrontare i prezzi. Ora il tariffario è personalizzato.
Onorari forfettari o compenso orario; palmario o patto di quota lite: sono alcune delle possibili tecniche di definizione del compenso dell'avvocato, che, abrogate le tariffe di categoria, è chiamato a stabilire un tariffario di studio da proporre ai clienti. Con la clientela i legali sono chiamati a stipulare contratti scritti, dopo avere fornito una esaustiva informazione sul costo presumibile del processo ed eventualmente dopo avere fornito un preventivo di massima (scritto se richiesto dal cliente). E dal 13.08.2012 obbligo per gli avvocati di dotarsi di una polizza assicurativa contro i rischi professionali.
Sono queste in sintesi le novità portate da ultimo dall'articolo 9 del decreto 1/2012, a seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 27 del 24.03.2012, in vigore dal 25.03.2012. L'obiettivo dichiarato è di favorire la concorrenza nel mercato delle professioni legali, anche se il provvedimento potrà avere l'effetto di calmierare i compensi per le toghe.
Vediamo di illustrare le ricadute pratiche delle ultime novità.
Le tariffe. Per quanto concerne le tariffe il decreto ha disposto l'abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
Risolvendo un problema sorto a causa della formulazione originaria del decreto legge la legge di conversione ha dettato la disciplina per la liquidazione giudiziale degli onorari degli avvocati al termine di una causa. In questo caso il compenso del professionista sarà determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro della giustizia, da adottare nel termine di 120 giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Fino ad allora (23.07.2012), in virtù di una disposizione transitoria, continuano ad applicarsi le tariffe forensi, anche se limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali.
Preventivo e contratto col cliente. Cosa diversa dalla liquidazione giudiziale è il contratto tra avvocato e cliente. A questo proposito l'articolo 9 in commento disciplina due fattispecie: il preventivo e il contratto con il cliente.
Per il preventivo la legge dispone che in ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, che deve essere adeguata all'importanza dell'opera e che va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Inoltre il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.
Il preventivo non deve essere necessariamente fornito per iscritto e può essere «di massima»: la legge sembra chiedere al singolo avvocato di costruirsi il personale tariffario, così da fornire ai clienti la possibilità di confrontare i prezzi praticati.
Il preventivo deve essere articolato per voci di costo e quindi si potranno articolare le attività di consulenza, difensive e quelle accessorie di segreteria e di accesso agli uffici giudiziari.
Diverso dal preventivo è il contratto con il cliente, nel quale si pattuisce il compenso.
Mentre il preventivo potrebbe essere pattuito anche oralmente, ai sensi dell'articolo 2233 del codice civile, sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati e i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
Quindi il contratto con il cliente deve essere redatto in forma scritta.
A questo proposito l'articolo 9 prevede che il compenso per le prestazioni professionali deve essere pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale.
Per il compenso è possibile usare anche una delle seguenti tecniche:
-forfait
-palmario
-patto di quota lite
-compenso orario (anche per le attività giudiziali).
Il compenso forfettario è quello che vincola l'avvocato a un compenso fisso, ma potrebbe dare adito a diversi problemi: se sottostimato potrebbe non essere remunerativo per l'avvocato e, quindi, essere contrario al principio di corrispondenza del compenso al decoro della professione; se troppo alto potrebbe essere disincentivante per il cliente a conferire l'incarico; d'altra parte l'avvocato potrebbe essere portato a stimare tutta la possibile attività con una lievitazione dell'importo.
Le altre fattispecie. Il palmario è il premio pattuito in aggiunta all'onorario per il caso di vittoria o di risultato positivamente valutabile per il cliente.
Il patto di quota lite è l'accordo con cui si stabilisce un compenso dell'avvocato esclusivamente in caso di vittoria (totale o parziale) ed è quantificato in una quota del risultato utile conseguito dal cliente.
Il compenso orario era già previsto dal Tariffario forense, ma solo per l'attività stragiudiziale (assistenza e pareri). Con le nuove disposizioni si può pattuire un compenso orario anche per l'attività giudiziale. Anche se questo obbliga ad una analitica registrazione del tempo impiegato. Peraltro è opportuno osservare una registrazione dettagliata delle attività svolte, qualunque sia la tecnica seguita di pattuizione del compenso.
Le tecniche di determinazione del compenso potrebbero anche essere combinate insieme: ad esempio un compenso fisso forfettario combinato con un compenso orario, oppure un compenso fisso forfettario combinato con un onorario aggiuntivo in caso di risultato favorevole o, ancora, un compenso orario ridotto con l'aggiunta di un onorario di risultato favorevole.
Quanto alle condizioni contrattuali, in relazione all'esigenza di poter tenere conto di eventi non prevedibili soprattutto dei processi, si possono inserire clausole di rinegoziazione del compenso o clausole pattizie alternative (articolo ItaliaOggi Sette del 14.05.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIP.a., incarico al legale senza gara. L'affidamento per la difesa in giudizio è contratto d'opera. Il Consiglio di stato esclude che il singolo conferimento costituisca un appalto di servizi.
L'affidamento, da parte di una amministrazione pubblica, di un incarico a un avvocato per la difesa in giudizio non richiede l'esperimento di una procedura selettiva; il singolo conferimento non costituisce un appalto di servizi legali, di assistenza e consulenza giuridica di durata determinata, soggetto al Codice dei contratti pubblici, bensì un contratto d'opera professionale affidabile in via diretta.

È quanto ha affermato il
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 (estensore Francesco Caringella) rispetto ad una vicenda che prende le mosse dal conferimento senza gara –da parte di una amministrazione provinciale– di un incarico a favore di due avvocati per l'impugnativa di un lodo arbitrale che, come spesso accade, aveva visto l'amministrazione soccombente.
In primo grado il Tar Lazio, Latina, sezione prima, con sentenza 604 del 2011, nel presupposto che l'atto di conferimento dell'incarico legale dovesse rientrare nell'ambito dei «servizi legali» di cui all'allegato II B del codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006), aveva affermato la violazione dei principi di evidenza pubblica e conseguentemente aveva accolto il ricorso.
In appello i giudici di Palazzo Spada ribaltano il giudizio di primo grado contestando in toto l'assunto per cui sia l'attività di assistenza e consulenza giuridica di carattere continuativo, sia il singolo conferimento di un incarico di patrocinio legale, possano essere ricondotti all'interno della nozione di «servizi legali» di cui al punto 21 dell'allegato II B del Codice degli appalti. La sentenza di appello afferma che l'equiparazione delle due fattispecie di affidamento non corrisponde ad un dato fondamentale che, invece, differenzia le due ipotesi: nel singolo incarico di patrocinio legale vi sono puntuali esigenze di difesa dell'ente locale da difendere, viceversa l'assistenza e la consulenza giuridica si caratterizzano per la presenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell'oggetto e per la predeterminazione della durata.
Per i giudici di Palazzo Spada, se nel primo caso si è in presenza di un contratto d'opera intellettuale, nel secondo caso, invece, si può aderire alla qualificazione del contratto come appalto di servizi in cui le attività professionali si inseriscono all'interno di una organizzazione rispondente ai bisogni dell'amministrazione appaltante. Il Consiglio di stato ricorda anche che fin dal decreto legislativo n. 157/1995 i servizi legali non erano comunque soggetti all'applicazione di tutte le norme del decreto, ma soltanto di quelle in materia di pubblicità successiva e specifiche tecniche.
La sentenza di appello afferma quindi che nella nozione di servizi legali rientrano i «soli affidamenti di servizi legali conferiti mediante un appalto - ossia un contratto caratterizzato da un quid pluris, sotto il profilo dell'organizzazione, della continuità e della complessità»; a tale riguardo il Consiglio di stato cita come esempio la disciplina speciale prevista per i servizi di ingegneria e architettura. Ben altra cosa è quindi il contratto di conferimento dell'incarico difensivo specifico, «integrante mero contratto d'opera intellettuale, come tale esulante dalla nozione di contratto di appalto abbracciata dal legislatore comunitario». In sostanza è la complessità e articolazione della prestazione, unita ad una specifica organizzazione, a differenziare l'appalto di servizi legali rispetto al contratto d'opere professionale.
Da ciò i giudici fanno discendere che al conferimento del singolo e puntuale incarico legale non si applica neanche l'articolo 27 del codice dei contratti pubblici, che delinea una procedura concorsuale (con invito a cinque) «incompatibile con la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell'aleatorietà dell'iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici» (articolo ItaliaOggi del 17.05.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Consiglio di Stato: il conferimento del patrocinio legale non è soggetto a gara.
Con sentenza 11.05.2012 n. 2730 la Sez. IV del Consiglio di Stato -ribaltando la decisione di primo grado del TAR Lazio, sez. staccata di Latina, sez. I n. 604/2011- ha ritenuto che
l’affidamento diretto di un incarico legale finalizzato all’impugnazione di lodo arbitrale non rientri tra i servizi giuridici di cui all'allegato B, n. 21, del Codice degli Appalti.
Al tempo stesso, sottolinea il Consiglio di Stato,
l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è comunque soggetta "ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare".
In definitiva,
le norme in tema di appalti di servizi vengono in rilievo "quando il professionista sia chiamato a organizzare e strutturare una prestazione, altrimenti atteggiantesi a mera prestazione di lavoro autonomo in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità indicate dall’ente, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato", ma non nel caso di conferimento di "singolo incarico episodico, legato alla necessità contingente, non costituisca appalto di servizi legali ma integri un contatto d’opera intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in materia di procedure di evidenza pubblica".
La decisione del Consiglio di Stato sembra distinguere tra incarichi giudiziali e non: di questo, tuttavia, non vi è certezza assoluta, in quanto l'elemento discriminatore non è individuato nella natura del patrocinio ma "tra singole prestazioni d’opera e servizi intesi come complesso organizzato di utilità erogate con prestazioni ripetute ed organizzate" (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.it).
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2. L’appello è fondato.
2.1 I primi giudici hanno posto a fondamento del decisum di accoglimento l’assunto della riconduzione dell’atto di conferimento del singolo incarico legale nella categoria dei “servizi legali” di cui all’allegato II B, n. 21, al codice dei contratti pubblici, traendo da tale premessa i precipitato dell’applicazione a tale fattispecie, ai sensi dell’articolo 20, delle norme di cui agli articoli 65, 68 e 225 del medesimo codice e dei principi valevoli per i contratti esclusi ai sensi dell’articolo 27.
Il Tribunale ha mostrato, in tal guisa, di aderire all’orientamento ermeneutico secondo cui tanto l’attività di assistenza e consulenza giuridica di carattere continuativo quanto il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale sarebbero annoverabili nell’unica ed omnicomprensiva nozione di “servizi legali” di cui al punto 21 dell’allegato II B del Codice degli appalti.
A sostegno della tesi il Tribunale ha valorizzato l’ampiezza della nozione di appalto di servizi abbracciata dal codice, comprensiva anche di affidamenti a beneficio di liberi professionisti oltre che di imprenditori, in una con la considerazione che il riferimento letterale ai “servizi”, sarebbe sintomatico, con l’uso del plurale, della volontà di comprendere sia il caso del conferimento del singolo incarico che l’ipotesi dell’attribuzione, in termini generali, di un incarico di consulenza-difesa dell’ente per un determinato periodo di tempo.
Il Tribunale ha soggiunto che alla differenziazione delle due fattispecie non è dato pervenire per il tramite della valorizzazione del carattere fiduciario del singolo incarico, posto che l’intuitus personae è tratto che permea in modo identico e indefettibile qualsiasi incarico professionale, ivi compreso quello sostanziantesi nell’affidamento del complesso delle attività di consulenza e di patrocinio per un certo periodo di tempo.
2.2.
La Sezione, in adesione ai rilievi svolti dall’appellante, reputa che l’assimilazione sostenuta dal Tribunale non tenga nel debito conto la differenza ontologica che, ai fini della qualificazione giuridica delle fattispecie e delle ricadute ad essa conseguenti in materia di soggezione alla disciplina recata dal codice dei contratti pubblici, connota l’espletamento del singolo incarico di patrocinio legale, occasionato da puntuali esigenze di difesa dell’ente locale, rispetto all’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata.
Tali elementi di differenziazione consentono, infatti, di concludere che, diversamente dall’incarico di consulenza e di assistenza a contenuto complesso, inserito in un quadro articolato di attività professionali organizzate sulla base dei bisogni dell’ente, il conferimento del singolo incarico episodico, legato alla necessità contingente, non costituisca appalto di servizi legali ma integri un contatto d’opera intellettuale che esula dalla disciplina codicistica in materia di procedure di evidenza pubblica.

2.2.1. A sostegno dell’assunto depone, in prima battuta, il rilievo che le disposizioni che riguardano i “servizi legali” non rappresentano affatto una novità introdotta nell’ordinamento interno a seguito della direttiva 2004/18/CE, in quanto già il D.Lgs 17.03.1995, n. 157 (“Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”), indicava, nell’allegato 2, una serie di servizi, tra cui i “servizi legali”, relativamente ai quali non si applicava la disciplina generale nella sua integralità ma solo alcune disposizioni del citato decreto legislativo e, segnatamente: l’eventuale pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione (art. 8, co. 3); l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di definire le “specifiche tecniche” del servizio nei capitolati d’oneri o nei documenti contrattuali relativi a ciascun appalto (art. 20), obbligo quest’ultimo, soggetto peraltro a deroghe (art. 21).
Tutta una serie di servizi erano poi esclusi, in via integrale, dall’assoggettamento alle norme del decreto. Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando” delle premesse alla direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995, che “la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; nel caso in cui la prestazione del servizio si fondi su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, detta prestazione esula dal campo d'applicazione della presente direttiva”.
2.2.2. Detto dato storico consente di lumeggiare la riproposizione della nozione di servizi legali nella legislazione, comunitaria e nazionale, successiva, nel senso di limitare l’ambito di operatività della categoria al soli affidamenti di servizi legali conferiti mediante un appalto -ossia un contratto caratterizzato da un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità- rispetto al contratto di conferimento dell’incarico difensivo specifico, integrante mero contratto d’ opera intellettuale, species del genus contratto di lavoro autonomo, come tale esulante dalla nozione di contratto di appalto ratione materiae abbracciata dal legislatore comunitario.
In altre parole, il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce (cfr. determinazione n. 4 del 07.07.2011, dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture).
2.2.3. In tal senso depone, sul piano normativo, anche la prescrizione che, per l’affidamento di tali servizi, pretende l’indicazione delle specifiche tecniche fissate dal committente (art. 68 del codice), così configurando la condizione, non compatibile con un mero contratto di patrocinio legale isolato, per permettere l’apertura dell’appalto alla concorrenza (cfr. il ventinovesimo “considerando” alla direttiva n. 18 del 2004).
Ed ancora, una conferma in tal senso può desumersi dal quarantasettesimo “considerando” della medesima direttiva n. 18/2004 alla stregua dei condivisibili rilevi svolti da Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Basilicata deliberazione n. 19/2009. “Posto che negli appalti pubblici di servizi, i criteri di aggiudicazione non devono influire sull'applicazione delle disposizioni nazionali relative alla rimunerazione di taluni servizi, quali ad esempio le prestazioni degli architetti, degli ingegneri o degli avvocati, il prezzo di tali servizi, così determinato, di per sé solo, non sarebbe idoneo a garantire quella valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza, che ammette soltanto l'applicazione di uno dei due criteri di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e quello della offerta economicamente più vantaggiosa. Da quanto precede non sembra, dunque, che il legislatore comunitario si sia preoccupato di regolare le modalità di affidamento dei contratti del tutto esclusi dall’ambito della disciplina degli appalti pubblici. Tra questi, il contratto di lavoro autonomo avente a oggetto il patrocinio legale, stipulato con un’amministrazione aggiudicatrice”.
2.2.4.
Le norme di tema di appalti di servizi vengono, in definitiva, in rilievo quando il professionista sia chiamato a organizzare e strutturare una prestazione, altrimenti atteggiantesi a mera prestazione di lavoro autonomo in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità indicate dall’ente, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato.
Si può così affermare, in adesione alla parabola argomentativa a tracciata dalla richiamata deliberazione n. 19/2009 della Corte dei conti, sez. reg. Basilicata, che,
solo con riguardo ad un appalto così strutturato, l’obbligo del committente di indicare, adeguandole alla natura del servizio, le specifiche tecniche che consentono di definire l’oggetto dell’appalto e le modalità della prestazione, assume concreta valenza selettiva delle offerte presentate proprio nell’ambito di un servizio organizzato e strutturato.
Per converso,
il contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, presidiato dalle specifiche disposizioni comunitarie volte a tutelare la libertà di stabilimento del prestatore in quanto lavoratore, non può soggiacere, neanche nei sensi di cui all’articolo 27 del codice dei contratti pubblici, ad una procedura concorsuale di stampo selettivo che si appalesa incompatibile con la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici.
Lo stesso codice dei contratti pubblici, nel dettare una specifica disciplina, di natura speciale, dei servizi di ingegneria e di architettura volta a enucleare un sistema di qualificazione e di selezione per determinate tipologie di prestazioni d’opera, conferma l’inesistenza di un principio generale di equiparazione tra singole prestazioni d’opera e servizi intesi come complesso organizzato di utilità erogate con prestazioni ripetute ed organizzate.
Si deve aggiungere che, come osservato da attenta dottrina, l’attività del professionista nella difesa e nella rappresentanza dell’ente è prestazione d’opera professionale che non può essere qualificata in modo avulso dal contesto in cui si colloca, id est l’ambito dell’amministrazione della giustizia, settore statale distinto e speciale rispetto ai campi dell’attività amministrativa regolati del codice dei contratti pubblici.
Resta inteso che
l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare.
2.2.5. Alla stregua dei rilievi che precedono deve essere accolto il motivo di appello volto a censurare il capo della sentenza che ha accolto il motivo di ricorso diretto a censurare l’omesso espletamento della procedura di evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALICompete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione.
E’ infondato anche il motivo d’appello diretto contestare il capo della sentenza appellata con cui i Primi Giudici hanno sancito la violazione del principio che attribuisce al dirigente ratione materiae competente il compito di scegliere il legale e, comunque, di autorizzare il conferimento del patrocinio legale.
La Sezione non ravvisa ragione di discostarsi dall’orientamento interpretativo secondo cui compete al Sindaco o al Presidente della Provincia, ai sensi del D.lgs. n. 267/2000, quale organo di rappresentanza dell’ente, il conferimento della procura alle liti del difensore senza la necessità di alcuna preventiva autorizzazione (Cons. St., Sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; Cons. St., Sez. VI, 09.06.2006, n. 3452; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05.12.2006 n. 10402; Cass. civ., Sez. Un., 10.12.2002, n. 17550) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: M. Gargano, Incarichi legali esterni solo in assenza di una struttura interna competente - Tutta la disciplina per il conferimento di incarichi esterni da parte delle PA (tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 3/2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: In attesa dell’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 2 dell’art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, si deve comunque farsi luogo alla liquidazione giudiziale delle spese di lite, comprensive degli onorari di difesa, qualora l’organo giudicante non ritenga di procedere alla loro compensazione ai sensi dell’art. 26 c.p.a., che a sua volta rinvia agli artt. 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c..
In particolare, ritiene il Collegio che –fintanto che non saranno stabiliti i parametri in forza dei quali determinare il compenso professionale– possano continuare ad applicarsi, all’attività processuale svolta, le tariffe professionali precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del 2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare le spese di lite e, in particolare, gli onorari di difesa, deve procedere, in mancanza di qualsivoglia parametro normativo, in via equitativa: detta equità può ben essere esercitata tramite il riferimento alle precedenti tariffe professionali.
Ne consegue che la liquidazione degli onorari di difesa e dei diritti e il rimborso delle spese sarà effettuato impiegando, quale mero parametro, il D.M. n. 127 del 2004, contenente le tariffe precedentemente in vigore, ancorché esso non sia più obbligatorio perché abrogato dal decreto legge n. 1 del 2012.

...
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
In proposito, il Collegio osserva quanto segue.
Come noto, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2012, gli “onorari di difesa” venivano liquidati dall’organo giudicante facendo riferimento alle tariffe adottate mediante deliberazione del Consiglio nazionale forense, approvata dal Ministro della Giustizia. L’art. 9, comma 1, del suddetto decreto-legge ha abrogato “le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico”. Tuttavia, il medesimo articolo, al comma 2, ha previsto che “nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante". Il suddetto decreto non è ancora stato adottato.
Tanto premesso, ritiene questo Tribunale che, in attesa dell’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 2 dell’art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, debba comunque farsi luogo alla liquidazione giudiziale delle spese di lite, comprensive degli onorari di difesa, qualora l’organo giudicante non ritenga di procedere alla loro compensazione ai sensi dell’art. 26 c.p.a., che a sua volta rinvia agli artt. 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c..
In particolare, ritiene il Collegio che –fintanto che non saranno stabiliti i parametri in forza dei quali determinare il compenso professionale– possano continuare ad applicarsi, all’attività processuale svolta, le tariffe professionali precedentemente in vigore (D.M. n. 127 del 2004). Ciò perché il giudice, nel liquidare le spese di lite e, in particolare, gli onorari di difesa, deve procedere, in mancanza di qualsivoglia parametro normativo, in via equitativa: detta equità può ben essere esercitata tramite il riferimento alle precedenti tariffe professionali.
Ne consegue che la liquidazione degli onorari di difesa e dei diritti e il rimborso delle spese sarà effettuato impiegando, quale mero parametro, il D.M. n. 127 del 2004, contenente le tariffe precedentemente in vigore, ancorché esso non sia più obbligatorio perché abrogato dal decreto legge n. 1 del 2012 (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.03.2012 n. 262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2012

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIGli incarichi di assistenza legale sono competenza solo dei dirigenti. Consiglio di Stato. Stop al sindaco nelle amministrazioni che hanno l'avvocatura.
Gli incarichi di assistenza legale negli enti locali che hanno l'avvocatura devono essere conferiti esclusivamente dal dirigente della stessa e non dal sindaco.
È l'importante e, per molti aspetti innovativa, indicazione contenuta nella
sentenza 14.02.2012 n. 730 del Consiglio di Stato (Sez. V).
Sulla base di questo principio viene messa in discussione la legittimità di molti degli incarichi di nomina dei legali delle Pa. Nella pronuncia è inoltre chiarito che i regolamenti di organizzazione di Comuni e Province non possono limitare l'autonomia dell'avvocatura.
Si chiarisce espressamente che «il rappresentante legale dell'ente manifesta la volontà di costituirsi in un eventuale giudizio, ma non può anche provvedere (né lui né la Giunta) alla nomina del difensore, né interno, cosa che compete sicuramente al capo dell'ufficio legale, né esterno, vicenda che si articola, innanzitutto, in una dichiarazione che sussistono elementi per poter affidare la difesa tecnica all'esterno ad opera dell'ufficio legale e successiva nomina del difensore del libero foro, che compete necessariamente al capo dell'ufficio legale, trattandosi di un vero e proprio contratto di prestazione intellettuale, ricadente come tale nelle attività gestionali di competenza dei dirigenti dell'amministrazione».
Come si vede, la sentenza innova la giurisprudenza precedente, secondo cui il rappresentante legale dell'ente, cioè il sindaco o il presidente della provincia, può scegliere il legale o quanto meno concorrere alla sua scelta. Il che obbliga la stragrande maggioranza delle amministrazioni a modificare regolamenti e abitudini.
La sentenza stabilisce i termini della «sottoposizione dell'ufficio legale alle direttive e agli ordini del direttore generale, il quale, se certamente può intervenire a coordinare gli uffici (tutti gli uffici, anche quello legale), non può indubbiamente interferire sull'organizzazione interna e sulle modalità di organizzazione del lavoro, innanzitutto perché si tratta di un'attività tecnica (in senso giuridico) e, poi, perché gli uffici legali degli enti pubblici devono godere di quella particolare autonomia di pensiero e di organizzazione che sola può consentire l'esplicazione corretta e proficua della loro attività». Viene così riaffermata con nettezza l'autonomia di cui devono godere gli uffici legali delle Pa locali.
Ciò significa che gli enti hanno un'ampia discrezionalità che non può essere messa in discussione, ma va esercitata «nel rispetto delle statuizioni esistenti e, in particolare, delle guarentigie attribuite a determinate categorie di soggetti operanti nell'ambito della pubblica amministrazione». Tra esse occorre fare riferimento, alla necessità che l'avvocatura delle Pa non sia «sottoposta né a condizionamenti, né a valutazioni che possano in qualche modo svilirne il modo di essere» (articolo Il Sole 24 Ore del 06.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Il Sindaco e il Presidente della Provincia hanno la rappresentanza in giudizio dell'Ente Locale senza necessità di preventiva autorizzazione salvo diversa previsione statutaria.
Negli enti locali, nella vigenza della legge n. 142/1990, il potere di autorizzazione a stare in giudizio era di competenza della Giunta Comunale e il potere di conferire la procura del Sindaco (Cass. civ., sez. I, 21.12.2002 n. 18224 e 10.09.2003 n.13218).
Dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Enti Locali (d.lgs. n. 267/2000), la giurisprudenza ha affermato che la rappresentanza in giudizio dell’ente locale spetta al Sindaco o al Presidente della Provincia, senza necessità di preventiva autorizzazione a stare in giudizio, e ciò salvo diversa previsione dello Statuto, il quale può sia prevedere la necessità della persistenza dell’autorizzazione, attribuendone il relativo potere, sia affidare la rappresentanza dell’ente ad un dirigente, o anche al dirigente dell’ufficio legale, con riferimento all’intero contenzioso (Cass. Sez. Un., 27.06.2005 n. 13710; Cons. St., sez. V, 07.09.2007 n. 4721; Cass. civ., sez. I, 13.01.2010 n. 387; sez. III, 05.08.2010 n. 18158) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.02.2012 n. 701 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Non compete né alla Giunta né al Dirigente conferire il mandato all'avvocato per la difesa dell'Ente Locale, bensì al Sindaco salvo diversa disposizione statutaria.
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato è chiamato, tra l'altro, ad esaminare l'eccezione formulata dall'appellante di asserita incompetenza dell’organo giuntale a decidere di proporre appello avverso la sentenza di primo grado, trattandosi, secondo la tesi dell’appellante, di atto rientrante nella competenza propria dei dirigenti.
Sul punto il Collegio osserva che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, dall’esame degli articoli 35 e 36 della legge 08.06.1990, n. 142, poi trasfusi negli articoli 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, si ricava il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle lite è il sindaco, non essendo più necessaria l’autorizzazione della Giunta Municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell’ente (Cass. SS.UU. 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550), con la conseguenza che la decisione di agire e resistere in giudizio ed il conferimento del mandato alle liti competono in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell’ente, senza bisogno di autorizzazione della giunta o dei dirigente competente ratione materiae (C.d.S., sez. V, 18.03.2010, n. 1588; 07.09.2007, n. 4721, 16.02.2009, n. 848; sez. VI, 01.10.2008, n. 4744; 09.06.2006, n. 3452; Cass. civ. sez. I, 17.05.2007, n. 11516), ferma restando tuttavia la possibilità dello statuto (competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio) di prevedere l’autorizzazione della giunta (ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l’uno e l’altro intervento) (Cass. SS.UU., 16.06.2005, n. 12868) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.02.2012 n. 650 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L'illegittimità della delibera di conferimento dell'incarico difensivo all'avvocato non incide sulla regolarità e validità della costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale, essendo tutt’al più causa di responsabilità amministrativa o penale dell’organo che l’ha adottata.
Nel giudizio in esame il Consiglio di Stato rileva l'inammissibilità per difetto di interesse della censura relativa all'inammissibilità della delibera di conferimento dell’incarico difensivo per non essere stato scelto il difensore con un’apposita procedura ad evidenza pubblica.
Sul punto il Collegio osserva che l’eventuale illegittimità della delibera di conferimento dell’incarico defensionale, come prospettato dall’appellante, non incide affatto sulla regolarità e validità della costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale, essendo tutt’al più causa di responsabilità (amministrativa o penale) dell’organo che l’ha adottata, senza perciò spiegare nessun effetto favorevole, diretto ed immediato, sulla posizione giuridica dell’appellata; legittimati a dolersi di tale pretesa illegittimità sarebbero stati soltanto altri avvocati, eventualmente interessati a partecipare alla procedura di evidenza pubblica, della cui necessità tuttavia può ragionevolmente dubitarsi, sia perché l’affidamento (in mancanza di ulteriori elemento di giudizio) riguarda sola la controversia in esame (e non già i servizi legali da prestare in favore dell’amministrazione comunale), sia in ragione del modestissimo ammontare della spesa impegnata (€. 2.000,00) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.02.2012 n. 650 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2012

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALILIBERALIZZAZIONI/ Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che elimina l'obbligo per i professionisti. Compensi, il preventivo non serve. Tutti gli oneri vanno comunicati. Non necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito per iscritto solo se è il cliente a chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno il mero obbligo di comunicare il compenso al momento del conferimento dell'incarico indicando il dettaglio delle voci di costo, delle spese e dei contributi.
È quanto emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, in tema di professioni regolamentate.
Tra la prima versione del dl uscita dal Cdm e quella (rivisitata) oggi disponibile la differenza è sostanziale giacché il preventivo, pena l'apertura di una procedura disciplinare, si rendeva necessario a prescindere che il cliente avesse conferito l'incarico (ante), mentre ora si parla chiaramente di determinazione degli onorari nel momento in cui il cliente ha effettuato la scelta (post), tenendo conto ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato professionale» (definizione più corretta), peraltro sempre predisposto dall'iscritto all'albo più oculato anche al fine di evitare ripensamenti ingiustificati da parte del cliente, oltre che all'indicazione presuntiva dell'onorario, debba indicare le singole prestazioni e tutte le ulteriori voci di costo, come spese, oneri e contributi. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va coperto da assicurazione per eventuali danni causati nell'esercizio dell'attività professionale e i dati della polizza vanno comunicati ali cliente. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare del professionista. Va ancora evidenziata la discriminazione tra gli obblighi posti a carico dei professionisti iscritti agli ordini, rispetto a quelli non iscritti che, guarda caso, non dovendo tenere conto di queste disposizioni, creano vere e proprie «alterazioni» del mercato (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIPreventivo scritto su richiesta. Il cliente potrà sollecitare il conteggio - Tirocinio anche negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto Giustizia-Economia con parametri per calcolare oneri e contribuzioni per la previdenza notarile.

Contrordine: il preventivo del professionista va messo per iscritto solo se a richiederlo è il cliente stesso. Si attenua la formulazione dell'articolo 9 del Dl liberalizzazioni (atteso per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale») che individua l'obbligo deontologico di fornire per iscritto la pattuizione del compenso e una previsione di onorario. Il testo conferma il vincolo, tra cliente e professionista, di mettere nero su bianco il compenso per le prestazioni richieste (e i dati della copertura assicurativa) con il conferimento dell'incarico, la misura è «previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto ministeriale che dovrà fornire i parametri che servono al giudice nei casi di contenzioso e di liquidazione delle spese giudiziali, si profila un altro decreto Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i parametri per oneri e contribuzioni alla Casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe». Un riferimento alla Cassa dei notai che basa i versamenti sul valore degli atti iscritti dai professionisti nel repertorio notarile. «Dall'onorario di repertorio –ha spiegato Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del notariato– dipendeva non solo il calcolo dei contributi, ma anche le spese di funzionamento di Ordini e Consiglio nazionale, oltre che la cosiddetta tassa archivio di cui noi siamo solo esattori, visto che la giriamo allo Stato. Speriamo solo che il decreto con i nuovi parametri arrivi presto, perché la Cassa rischia di non poter avere versamenti per settimane. Se dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi parametri tariffari solo per calcolare gli oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri possano rientrare come tariffe "mascherate" nella determinazione degli onorari, la norma chiarisce che ogni pattuizione di compenso fatta sulla loro base è nulla. Nessuna retromarcia, almeno in questa fase, sull'equo compenso per il praticante, già approvato lo scorso agosto con la legge 148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una possibilità in più. Confermata la possibilità –previa convenzione tra Ordini e ministero dell'Istruzione– di svolgere i primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al massimo) in concomitanza con i corsi universitari, analoghe convenzioni possono essere stipulate tra Consigli nazionali e ministero della Pubblica amministrazione per consentire, a laurea ottenuta, di poter svolgere il tirocinio, in tutto o in parte, presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle sigle sindacali Sic e Andoc non si scandalizzano tanto per le misure sulle tariffe, quanto piuttosto per «i danni» delle semplificazioni su collegio sindacali e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la riduzione da tre a uno dei "controllori" nelle Srl «non comporterà un risparmio a carico delle piccole imprese destinatarie ma solo maggiori responsabilità a carico dei professionisti incaricati, sempre nominati dalla maggioranza societaria». Nel secondo caso, si profila la «mortificazione» del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati dell'Aiga, che se la prendono contro l'abolizione dell'equo compenso da erogare al praticante, introdotto con la manovra d'agosto: «È evidente –sottolinea il presidente di Aiga, Dario Greco– che il Governo è a favore dei giovani soltanto a parole, ma nei fatti è capace di sfornare esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di pattuizione scritta dei compensi e, a richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza) prevedono parametri per la liquidazione giurisdizionale dei compensi e per la determinazione di oneri e contribuzioni a fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi all'università non sono subito applicabili perché necessitano di un accordo quadro tra Consigli nazionali degli Ordini e Miur. Stessa cosa per la possibilità di svolgere il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai liberi professionisti il patrimonio dei condifi. Si applicano le norme del Dl 201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta è atteso il decreto con la distribuzione per Comuni della nuova pianta organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le procedure del concorso per la nomina di 200 notai e per i concorsi da 200 e 150 posti banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia le norme relative al vincolo, per il notaio, di trascorrere almeno tre giorni la settimana nel suo studio e almeno uno ogni 15 per ciascun Comune o frazione aggregati, sia quelle che riguardano l'avvio dell'azione disciplinare da parte di procuratore della Repubblica e presidente del Consiglio notarile (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILIBERALIZZAZIONI/ Approvato in consiglio dei ministri il decreto legge sulla concorrenza. Professioni, nuovi adempimenti. Scatta l'obbligo del preventivo scritto e dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti. Debutta l'obbligo del preventivo scritto da rilasciare al cliente sulla prestazione richiesta. E soprattutto scatta il vincolo della polizza assicurativa sui danni eventualmente causati dall'esercizio dell'attività professionale. Vanno quindi in soffitta i tariffari (non più vincolanti dal 2006 ma comunque indicativi) per definire l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover calcolare tale compenso. In questo caso sarà possibile utilizzare i parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante (cioè gli stessi tariffari vietati fra privati). Sono queste alcune delle previsioni contenute nel decreto legge sulle liberalizzazioni approvato ieri in consiglio dei ministri.

Tariffe. Il governo sceglie la linea soft (rispetto alle ipotesi della prima ora). Se in una prima versione la definizione del compenso era rimessa alla completa contrattazione fra le parti, nel decreto approvato si rimane confermata l'abrogazione delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di liquidazione dei compensi, potrà fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante.
Questa parte, in un primo momento non c'era. Ma non solo. Restando in tema di compensi, questi devono essere calcoli in base all'importanza dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che vuol dire che il professionista avrà la possibilità di quantificare la qualità e il rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il decreto conferma che il professionista deve rilasciare un preventivo scritto con il prezzo della prestazione richiesta dal cliente. L'atto deve essere corredato del grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare e in quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità del provvedimento. In una prima versione del Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per il professionista di indicare nel preventivo se era titolare o meno di una polizza assicurativa. Nella versione approvata ieri invece scatta un vero e proprio vincolo. Anticipando così una misura contenuta all'articolo 3, comma 5, della legge nella legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha inteso anticipare, infatti, è quella sui tirocini. Nel confermare che il periodo di pratica in studio utile ai fini della partecipazione all'esame di stato non potrà essere superiore ai 18 mesi, si prevede che sei mesi potranno essere svolti durante il corso di laurea. Servirà però una convenzione quadro ad hoc stipulata fra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell'istruzione, università e ricerca.
Questa disposizione non si applica alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente. In materia di tirocinio però, il governo ha fatto saltare (indirettamente) l'equo compenso previsto per il giovane che nella legge 148/2011 era previsto. Il decreto, sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra di Ferragosto alcune sue parti. Una di queste (articolo 3, comma 5, lettera c - secondo periodo) è proprio la previsione della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai. L'attuale pianta organica (che prevede sulla carta 5.779 professionisti in servizio anche se al momento ce ne sono poco meno di 4.700), come revisionata da ultimo con i decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è aumentata di 500 posti. Per arrivare a questo risulto si procederà con una serie di concorsi a raffica. Non prima, però, di aver concluso quelli in corso.
Al momento infatti ci sono tre bandi che aspettano di essere conclusi per 550 posti. Il decreto prevede che entro il 2012 siano espletate tutte le procedure per la nomina dei professionisti nei vari distretti che ne necessitano. In un secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500 posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad altri 470 notai. Così facendo, a giudizio dell'esecutivo, ci saranno abbastanza professionisti sul mercato da creare la concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere nel comune o nella frazione assegnatagli studio aperto con il deposito degli atti, registri e repertori notarili, e deve assistere personalmente allo studio stesso almeno tre giorni a settimana e almeno uno ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale sociale dei consorzi fidi e delle società cooperative che esercitano l'attività di garanzia collettiva fidi spazio ai liberi professionisti. È quanto emerge dal decreto che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011 (cosiddetta «manovra Monti»), convertito nella legge n. 214/2011. I consorzi di garanzia collettiva dei fidi sono enti costituiti nella veste giuridica di cooperativa o società consortile, che esercitano in forma mutualistica attività di garanzia collettiva dei finanziamenti in favore delle imprese socie o consorziate.
La modifica introdotta estende la partecipazione anche ai liberi professionisti (soci) a prescindere dall'attività esercitata che, insieme alle piccole e medie imprese (Pmi), devono detenere almeno la metà più uno dei voti esercitabili in assemblea, con il diritto a nominare gli organi con funzione di gestione e controllo strategico, di cui al richiamato art. 39, dl n. 201/2011 (articolo ItaliaOggi del 21.01.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIObbligo di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione delle professioni sarà l'obbligatorietà di procedure di gara da parte delle pubbliche amministrazioni per selezionare i professionisti cui affidare servizi, compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni incide sulle professioni con due mosse. In primo luogo, abroga tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime (resta il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche le tariffe notarili: il testo attualmente circolante si rivolge anche ai notai). In secondo luogo, elemento maggiormente importante per i comportamenti che dovranno assumere le pubbliche amministrazioni, introduce l'obbligo per tutti i professionisti di concordare in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. Il decreto stabilisce che la redazione del preventivo è un obbligo deontologico del professionista, la cui inottemperanza costituisce illecito disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il professionista è obbligato nei confronti di ciascun cliente privato a presentare un preventivo scritto, ciò deve valere a maggior ragione per la pubblica amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per gli enti pubblici debbono essere regolamentati in forma scritta a pena di nullità. Come il professionista ha l'obbligo deontologico di fornire il preventivo, simmetricamente l'amministrazione pubblica deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe e della necessità del preventivo rompe per sempre il fronte della «fiduciarietà» di alcuni tipi di incarichi professionali, tra i quali soprattutto quelli ad avvocati. Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per effetto dell'allegato II B, punto 21, del codice dei contratti, che gli incarichi ad avvocati non sono «incarichi» di consulenza o collaborazione, tuttavia è rimasta forte in dottrina e anche giurisprudenza la teoria secondo la quale non si debbano rispettare i canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra avvocato e committente e in presenza di un tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre le amministrazioni a considerare l'aspetto economico come elemento o tra gli elementi fondamentali per la scelta del professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo e impostare una procedura concorrenziale, applicando le procedure comunque semplificate previste per i contratti ai quali non si applica interamente la disciplina del codice dei contratti dall'articolo 27 del codice stesso, oppure il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo 125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu personae è destinata al definitivo tramonto, tranne per casi da motivare di specifica urgenza e necessità, indotte, nel caso degli incarichi ai legali, dai termini procedimentali previsti dalle leggi processuali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

anno 2011

INCARICHI PROFESSIONALIPa, contratti con i legali al ribasso. Parcelle da contrattare, forfetarie e anche sotto i minimi. La manovra di ferragosto spinge gli enti locali a risparmiare dovunque, pure sulle spese.
Tariffari calmierati per i legali delle amministrazioni locali. Ai professionisti si chiede di tenere basse le parcelle. La manovra-bis (decreto legge 138/2011) spinge gli enti pubblici, sempre alla ricerca di un difficile equilibrio tra bisogno di consulenza e assistenza legale e vincoli di finanza pubblica, a preferire risparmi di spesa.
L'articolo 5, comma 5, lettera d), del decreto legge 138/2011, infatti, assoggetta al tariffario forense le prestazioni legali a favore di un ente pubblico, ma solo se l'ente non abbia pattuito con il professionista deroghe al tariffario stesso, anche nei minimi. Quindi all'ente conviene stipulare un contratto con tariffe derogate.
Al comune e all'ente locale rimane sempre un'altra possibilità e cioè la gestione associata di un ufficio avvocatura: è la strada preferita dai piccoli enti.
Peraltro, anche prima del decreto 138/2011, si è, ormai, affermata la procedura della selezione tra professionisti per l'affidamento di incarichi legali. E proprio nei bandi di selezione saltavano fuori alcune sorprese per gli avvocati. Soprattutto quanto al riconoscimento economico.
Estrapolando dai bandi per l'affidamento di incarichi (ad hoc oppure per la formazione di un elenco di professionisti, cui affidare di volta in volta gli incarichi), pubblicati e reperibili su internet, di regola, si chiede all'avvocato di impegnarsi ad applicare e a percepire i minimi tariffari per diritti, onorari e spese.
Talvolta questa richiesta è accompagnata anche alla riduzione percentuale del livello minino. Con ciò l'avvocato si impegna contrattualmente ad andare sotto i minimi di tariffa.
Tra l'altro il compenso assume sempre più la natura forfetaria.
Molto spesso i bandi impegnano l'avvocato, al momento dell'affidamento del singolo incarico, a fare pervenire all'amministrazione il preventivo di spesa in forma forfetaria. In sostanza si chiede al professionista di formulare un preventivo, immaginando le possibili fasi processuali future. Anche se il giudizio potrà avere svolte difficilmente prevedibili.
Ma se, come previsto nei bandi, nulla verrà versato dall'ente per qualunque tipo di attività suppletiva che il legale incaricato non avesse prima comunicato e concordato con l'amministrazione, allora si tenderà a formulare un preventivo con tutte le attività in astratto possibili, gonfiando così il preventivo e rischiando di non prendere l'incarico. A meno che il legale non si accontenti, pur di prendere l'incarico, di compensi sottostimati.
Del tutto penalizzanti per l'avvocato sono, poi, alcune clausole che consentono all'ente locale di non pagare o pagare parzialmente il compenso stabilito contrattualmente.
Per esempio si può leggere in alcuni bandi che, in caso di soccombenza della controparte con contestuale e conseguente condanna alle spese di lite, il legale nominato deve procedere in primo luogo a recuperare presso la parte soccombente le sue spettanze e solo in caso di insolvenza di quest'ultima avrà diritto a essere soddisfatto dall'ente suo cliente.
Con regole di questo tipo, quindi, si inserisce una clausola di preventiva escussione del soccombente, prima di poter chiedere il saldo all'ente. Peraltro, anche nell'interesse dell'ente, sarebbe opportuno che di volta in volta si valutasse la possibilità effettiva di recupero. In caso di soggetto inesigibile, ad esempio perché irreperibile, sarebbe meglio, anche per l'ente, evitare costose procedure esecutive. Anche perché in questi casi all'ente verranno alla fine comunque addebitate sia le spese per il procedimento di cognizione sia per quello esecutivo (necessario a fronte dell'obbligo di preventiva escussione del soccombente): insomma, l'ente pagherà le spese legali del processo terminato e pagherà gli onorari del processo di esecuzione terminato senza recupero dal soggetto inesigibile.
All'obbligo di preventiva escussione si aggiunge, talvolta, la riduzione del compenso pattuito a quello liquidato dal giudice: per esempio si stabilisce che il legale incaricato dall'ente potrà esigere dall'ente stesso il compenso nella cifra minore tra quella liquidata dal giudice e quella definita in contratto e non potrà pretendere ulteriori somme dall'ente a qualsiasi titolo.
Una tale riduzione assume criteri di illogica sottostima dell'attività del legale nel caso in cui il giudice compensi parzialmente le spese. Si prenda il caso in cui il giudice valuti una soccombenza parziale dell'ente a causa della illegittimità degli atti o delle condotte dei pubblici funzionari e quindi l'ipotesi in cui il giudice stabilisca che l'ente possa recuperare solo una percentuale delle spese sostenute per la difesa, liquidando conseguentemente le cifre dovute per l'intervento del legale: sarebbe paradossale che l'avvocato incassasse di meno a causa delle negligenze dell'amministrazione o dei propri funzionari, che hanno determinato la soccombenza parziale.
Più in generale non corrisponde a un corretto equilibrio contrattuale che il valore del compenso dovuto all'avvocato sia determinato dal giudice (nella liquidazione delle spese ripetibili dal soccombente) e che, quindi, l'accordo contrattuale diventi carta straccia.
Non a caso in altri bandi più correttamente si prevede che il compenso stabilito contrattualmente rimane fermo e che lo stesso può essere aumentato nella più alta misura della liquidazione contenuta nel provvedimento giurisdizionale definitivo e non più impugnabile. Tra l'altro, in quest'ultima ipotesi, l'ente non potrebbe pretendere di tenere per sé la maggiore cifra liquidata dal giudice, visto che la stessa è determinata per remunerare l'attività di rappresentanza in giudizio.
In altri bandi lo scopo di abbassare la parcella dell'avvocato si ottiene chiedendo al legale di rinunciare ad alcune poste previste dal Tariffario forense, ad esempio il rimborso forfetario delle spese generali (calcolato al 12,5% di diritti e onorari).
Altre tecniche usate tendono ad agganciare il compenso al risultato: un collegamento di questo tipo risponde a un criterio di applicazione del Tariffario (si deve tenere conto dell'esito del giudizio). Bisognerebbe, comunque, capire se tale regola sia in grado di legittimare riduzioni del compenso sotto i minimi tariffari in relazione a esiti di parziale o totale soccombenza dell'ente: a questo scopo bisogna tenere conto della possibilità di derogare ai livelli minimi di tariffa (dl n. 223/2006 , «Decreto Bersani»).
Una possibilità ampiamente confermata dal decreto dall'articolo 3 del decreto 138/2011. Questa disposizione impone un contratto scritto tra ente pubblico e avvocato (e fin qui niente di nuovo) e ammette pattuizione di compensi in deroga alle tariffe. Se non c'è pattuizione espressa si applica il tariffario forense (con minimi e massimi). Peraltro proprio il richiamo ai minimi tariffari, in caso di mancata pattuizione, porterà le amministrazioni a trattare al ribasso con il professionista.
Anzi vi è da chiedersi se l'ente non sia obbligata a trattare al ribasso, in quanto altrimenti si troverebbe esposta al rischio di responsabilità erariale per avere scelto un professionista più caro di altri. Anche se così facendo sarebbe completamente azzerato il principio della fiduciarietà del rapporto tra cliente (anche se ente pubblico) e avvocato. Rapporto fiduciario che ha, comunque, una chance: l'ente pubblico può determinarsi, con apposita motivazione, a scegliere il professionista (non solo in base al fattore prezzo), ma anche in base alla professionalità e alla specializzazione, mediante valutazione del curriculum e delle esperienze (articolo ItaliaOggi Sette del 05.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIMANOVRA BIS/ Difesa in giudizio piena di lacci. Moltiplicate le formalità burocratiche per incaricare un legale. La manovra estiva chiede all'avvocato e al cittadino di disciplinare in dettaglio il loro rapporto.
Formalità moltiplicate per incaricare un avvocato. Non basta firmare la procura alle liti. Stando alla manovra di Ferragosto (decreto 138/2011, articolo 3) si devono, innanzitutto, stipulare per iscritto le clausole relative agli onorari.
Per questo, e non solo per questo, la burocrazia al momento del conferimento dell'incarico si sta facendo pesante: si ricordi che l'avvocato deve farsi sottoscrivere il modello su informativa e consenso per la legge sulla privacy e il modello di informativa sulla conciliazione delle liti e deve farsi firmare dal cliente una attestazione sui redditi ai fini del contributo unificato nelle cause di lavoro (ai fini dell'eventuale esenzione) e, ancora, si aggiunga che l'avvocato, in base al citato decreto 138/2011, deve dare anche esplicite informative sulla stima della spesa complessiva e sulla propria assicurazione contro i rischi professionali.
Se, poi, il cliente è un ente pubblico si devono aggiungere le dichiarazioni introdotte dalle disposizioni sulla tracciabilità e la presentazione del Durc per farsi pagare la parcella.
Gli aspetti amministrativi connessi all'affidamento dell'incarico al legale sono stati, dunque, incrementati dalla manovra economica-bis, che contiene, tuttavia, anche disposizioni di liberalizzazione per l'accesso alla professione (da specificare entro 12 mesi con nuove norme ordinamentali) e con un'apertura alla possibilità di promuovere lo studio con pubblicità informativa. Ma vediamo di illustrare le novità principali.
CONTRATTO SCRITTO
L'articolo 3 del decreto 138/2011 elenca una serie di principi per la riforma delle professioni (da attuare entro 12 mesi). In particolare si dovrà stabilire che il compenso spettante al professionista deve essere pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale, prendendo come riferimento le tariffe professionali: si noti che le tariffe sono solo un mero riferimento, visto che è ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe stesse.
Questa regola implica la formazione di un contratto scritto in cui l'avvocato e il cliente si accordano sulla parcella. In questo atto si deve precisare se le parti applicheranno la tariffa forense oppure se derogheranno a minimi e massimi stabiliti con decreto ministeriale. Avvocato e cliente possono anche individuare clausole particolari che fanno innalzare o abbassare il compenso, ad esempio con riferimento all'esito della causa. La disposizione di principio non chiarisce se si inciderà o meno sul cosiddetto patto di «quota lite», e cioè in sostanza una ripartizione dei vantaggi economici che si spera di conseguire dalla causa.
Il contratto professionale con il cliente sarà anche la sede migliore per attuare un altro adempimento posto a carico dell'avvocato: informare il cliente sul livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. Si tratta di una sorta di preventivo di spesa, che il legale molto probabilmente accompagnerà da clausole che facciano salva l'applicazione di compensi per attività non prevista o imprevedibile.
Su questa ipotesi si noti che vi è una norma deontologica del codice etico forense che tratta la materia: è l'articolo 40 (sull'obbligo di informazione), anche se tale disposizione limita l'obbligo dell'avvocato di informare la parte assistita, sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo, solo nei casi in cui «è richiesto».
Quindi, la regola sui compensi è il contratto scritto, con derogabilità delle tariffe. L'articolo 3 citato ripristina, invece, il tariffario per i seguenti casi: mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico; liquidazione giudiziale dei compensi, prestazione professionale resa nell'interesse dei terzi.
Peraltro il caso di rispetto della tariffa, in caso di committenza pubblica, presumibilmente nella prassi non avrà attuazione, in quanto gli enti tenderanno a una determinazione contrattuale, prevedibilmente con deroghe ai minimi di tariffa.
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE
Un altro criterio per la riforma dell'ordinamento professionale obbliga il professionista ad assicurarsi contro i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale; in seconda battuta obbliga il professionista ad informare il cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, degli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e del relativo massimale.
Un obbligo deontologico (tutelare il proprio cliente) diventa un obbligo normativo, con ricadute sulle formalità da osservare al momento in cui il cliente affida un incarico al proprio legale.
Anche qui la cosa migliore è inserire una clausola ad hoc nel contratto professionale con il cliente.
Tra l'altro si sottolinea che l'attuale codice deontologico forense prevede l'indicazione della polizza assicurativa quale facoltà dell'avvocato nel dare informazioni sul proprio studio (articolo 17-bis). Da facoltà a scopo di informativa di carattere promozionale, l'adempimento si trasforma in obbligo a piena tutela della posizione del cliente.
PUBBLICITÀ INFORMATIVA
Nell'articolo 3 del decreto 138/2011 si prescrive un altro importante criterio per la riforma delle professioni e cioè la possibilità di pubblicità informativa.
Già oggi il codice deontologico forense (articolo 17-bis) consente all'avvocato di dare informazioni sulla propria attività professionale. Ma l'articolo 3 sembra superare alcuni limiti del codice nella parte in cui dichiara che è libera la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio e i compensi delle prestazioni.
Le informazioni, tuttavia, come già prevede il codice deontologico forense, devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALIAl Sindaco e al Presidente della provincia, quali legali rappresentanti dell’ente, può riconoscersi solo il potere di conferire il mandato al difensore, fermo restando che la decisione in ordine all’opportunità o meno di agire o resistere in giudizio spetta al dirigente nella cui sfera di competenza rientra il rapporto sostanziale che viene in rilievo.
Il Collegio è consapevole che gran parte della giurisprudenza ritiene che negli enti locali –e nel sistema del d.lgs. 17.08.2000, n. 267- il potere di agire e resistere in giudizio (e il conseguente conferimento del mandato alle liti al difensore) è funzione spettante al Sindaco o al Presidente della provincia, quali rappresentanti legali dell’ente, senza che occorra, in difetto di diverse disposizioni statutarie o regolamentari che attribuiscano il potere in questione alla giunta o al personale munito di qualifica dirigenziale, un’autorizzazione da parte di questi ultimi organi (Consiglio di Stato, sez. IV, 01.10.2008, n. 4744, Cassazione civile, sez. un., 10.12.2002, n. 17550); di conseguenza il Presidente della provincia (e il Sindaco) legittimamente conferiscono al difensore il mandato professionale senza che occorra che siano autorizzati da altri organi (ciò tra l’altro significherebbe che il mandato conferito ai controinteressati dal Presidente della provincia resterebbe valido e efficace anche in caso di annullamento della delibera della giunta impugnata, che sarebbe un atto sostanzialmente non necessario o “inutile”).
Tuttavia questa impostazione non è condivisibile.
La decisione di agire e resistere in giudizio e, se è per questo e a maggior ragione, la scelta del professionista cui affidare il patrocinio, non possono che esser considerate una decisione di carattere gestionale attinente ai rapporti di carattere sostanziale che volta a volta vengono in rilievo, che è pertanto riservata, in base all’articolo 107 del d.lgs. 17.08.2000, n. 267, al personale burocratico e non agli organi di governo, cui è riservato invece l’esercizio del potere di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.
Del resto, ad es., non potrebbe dubitarsi che la decisione di transigere in ordine alla controversia e la definizione dei termini della transazione siano un compito dei dirigenti (cui spetta, per espressa disposizione di legge, la stipulazione dei contratti); insomma –una volta affermato il principio che spetta ai dirigenti la gestione della sfera di attribuzioni dell’ente rientrante nella competenza degli organi cui sono preposti e l’adozione di tutti i relativi atti che impegnano l’ente nei rapporti con i terzi- non può non ritenersi che questa competenza abbracci ogni aspetto e decisione attinente alla gestione dei rapporti giuridici facenti capo all’organo, ivi comprese le decisioni inerenti alla eventuale instaurazione (o resistenza) a giudizi e alla definizione (d’intesa con il difensore dell’ente) delle relative strategie processuali.
Ciò, del resto, trova conferma nella disposizione citata che espressamente assegna ai dirigenti il compito di presiedere le commissioni di gara e stipulare i contratti; di conseguenza al Sindaco e al Presidente della provincia, quali legali rappresentanti dell’ente, può riconoscersi solo il potere di conferire il mandato al difensore, fermo restando che la decisione in ordine all’opportunità o meno di agire o resistere in giudizio spetta al dirigente nella cui sfera di competenza rientra il rapporto sostanziale che viene in rilievo (Cassazione civile, sez. trib., 17.12.2003, n. 19380, Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2005, n. 155) (TAR Lazio-Latina, sentenza 20.07.2011 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Illegittimo e produttivo di danno erariale l'incarico ad un avvocato per svolgere, in via continuativa, l'incarico di consigliere giuridico del Sindaco.
Il ricorso a consulenze esterne non può essere finalizzato a sopperire a presunte carenze di organico e, in ogni caso, l'incarico deve essere conferito a persona di elevata professionalità e per lo svolgimento di compiti specifici e determinati (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Calabria, sentenza 21.04.2011 n. 282 - link a www.corteconti.it).

anno 2010

COMPETENZE GESTIONALIIl sindaco non necessita dell’autorizzazione della giunta o del consiglio per stare in giudizio.
Quanto alla lamentata mancanza di autorizzazione al sindaco a stare in giudizio, è ampiamente noto che nel nuovo ordinamento delle autonomie locali delineato dalla legge n. 142/1990 e dal T.U. EE. LL. n. 267/2000, il Sindaco e il Presidente della Provincia hanno assunto (anche in relazione alla legge 25.03.1993, n. 81, che ne ha previsto l'elezione diretta) un ruolo di vertice politico-amministrativo centrale, in quanto titolari di funzioni di direzione e di coordinamento dell'esecutivo comunale e provinciale, onde l'autorizzazione del Consiglio prima e della Giunta poi, se trovava ragione in un assetto in cui essi erano eletti dal Consiglio e la Giunta costituiva espressione del Consiglio stesso, non ha più ragione di esistere in un assetto nel quale i medesimi traggono direttamente la propria investitura dal corpo elettorale e costituiscono loro stessi la fonte di legittimazione degli assessori che compongono la Giunta, cui il citato T.U. affida il compito di collaborare (con il Sindaco o con il Presidente della Provincia) e di compiere tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadono nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del Sindaco (o del Presidente della Provincia) o degli organi di decentramento (cfr. in tal senso: Cons. Stato, sez. VI, 07.01.2008, n. 33; sez. IV, 19.06.2006, n. 3622; Cass. SS.UU. 16.06.2005 n. 12868) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.12.2010 n. 8730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento incarico di consulenza legale.
Per l'affidamento di un incarico di consulenza legale, si segnala la necessità di indire una procedura comparativa al fine di individuare il soggetto cui affidare l'incarico de quo.
L'ente necessita di conoscere le modalità per l'affidamento di un incarico di consulenza legale.

Rinviando alla lettura di due pareri già formulati dallo scrivente
[1], si segnala la necessità di indire una procedura comparativa al fine di individuare il soggetto cui affidare l'incarico de quo.
Si evidenzia, invero, che i servizi legali rientrano in una delle categorie di servizi menzionati nell'allegato II B al codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12.04.2006, n. 163) e che, ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del medesimo codice
[2], l'aggiudicazione degli appalti, aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B, è soggetta all'applicazione dei noti principi -di derivazione comunitaria- dell'evidenza pubblica, della trasparenza, della par condicio, della parità di trattamento.
È, pertanto, in tal modo, confermata la necessità che l'individuazione del legale -comunque operatore economico nella lata accezione europeista
[3]- avvenga tramite una procedura competitiva e, pertanto, comparativa. L'incarico all'avvocato, nel contesto dei contratti pubblici, non può reputarsi di natura fiduciaria, venendo, in ogni caso, in gioco una spesa pubblica capace di creare opportunità e sollecitazioni per il mercato, bene giuridico -quest'ultimo- massimamente tutelato dalla normativa comunitaria.
La procedura di gara richiede, ex articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 163/2006, di rivolgere invito ad almeno cinque liberi professionisti. Questi saranno scelti o tramite indagine di mercato ovvero dall'elenco dei professionisti avvocati già redatto dall'ente
[4], elenco al quale gli avvocati che possiedono i requisiti chiedono di iscriversi.
In sede comparativa, sarà valutato l'aspetto economico e la competenza professionale dell'aspirante contraente con la pubblica amministrazione: quali indici di valutazione di quest'ultima potranno essere utilizzati, ad esempio, il numero di pubblicazioni o docenze o di seminari tenuti
[5].
Si segnala, inoltre, che, nell'ipotesi di scelta del contraente attingendo all'elenco degli operatori economici già redatto dall'ente, la pubblica amministrazione appaltante ha l'obbligo di individuare i soggetti da invitare alla procedura di gara con il criterio -imparziale e trasparente- della rotazione fra gli iscritti al predetto elenco dei liberi professionisti.
Si ricorda, in conclusione, che, anche al fine dell'individuazione dei concorrenti tramite rotazione, è, pur sempre, necessario il previo sorteggio, per determinare da quale soggetto, tra gli iscritti all'elenco, inizierà la rotazione medesima. Tale procedura deve essere, in ogni caso, previamente, disciplinata dalla pubblica amministrazione, ad esempio nel regolamento dei contratti dell'ente.
Dopo di che, formulato l'invito e ricevute le offerte, il Comune procederà alla valutazione comparativa delle stesse.
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[1] Pareri protocollo n. 6255 del 21.04.2009 e n. 3911 del 29.02.2008, consultabili nella banca dati di cui all'indirizzo internet http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[2] Il comma citato statuisce: 'L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto'.
[3] In tal senso, parere protocollo n. 3911 del 29.02.2008 cit.
[4] Si segnala che, nella giornata di studio, tenutasi in Udine, nel mese di marzo 2010, intitolata 'La procedura negoziata e le spese in economia negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi', organizzata dalla casa editrice Maggioli, il relatore, avvocato Alberto Ponti, ha suggerito di dividere, per categoria, l'elenco dei professionisti redatto dall'ente (ad esempio avvocati appaltisti, avvocati espropriativisti, eccetera), elenco al quale coloro che possiedono i requisiti chiedono di iscriversi.
[5] In tal senso, 'La procedura negoziata e le spese in economia negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi', avvocato Alberto Ponti, Maggioli, giornata di studio in Udine, marzo 2010
(04.10.2010 - link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALILimiti agli incarichi legali esterni. La mappatura delle cause pendenti deve essere svolta all'interno. La Corte dei conti ha condannato il presidente dell'Anas a risarcire 700 mila per danno erariale.
Le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono. È ammesso il ricorso a incarichi e consulenze professionali esterne soltanto in presenza di specifiche condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e di personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e l'oggetto circoscritto dell'incarico o della consulenza.
Questo importante principio è stato confermato, ancora una volta, dalla Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. della regione Lazio, con la sentenza 03.08.2010 n. 1598.
Nel caso in esame il presidente dell'Anas era stato convenuto in giudizio per rispondere del danno erariale derivato all'ente per effetto dell'illecito conferimento di incarichi professionali.
Più precisamente la controversia concerne due contratti stipulati e aventi entrambi per oggetto «l'incarico di provvedere alla ricognizione e mappatura, intesa come analisi delle cause, valutazione e determinazione e classificazione dei rischi collegati, del contenzioso pendente presso il medesimo ente (circa 11.800 controversie)».
I due contratti, sostanzialmente uguali per le condizioni, gli importi e il numero di controversie da monitorare, prevedevano l'esame delle pratiche e i corrispettivi previsti erano determinati con l'indicazione di un importo forfettario per ciascuna pratica di monitoraggio, variabile da euro 2.390,00 +Iva ed euro 4.185,00 +Iva in relazione alle tipologie di contenzioso.
Il procuratore regionale aveva ritenuto comprovato un grave danno patrimoniale per l'erario consistente nel compenso pagato per le prestazioni oggetto dei contratti che potevano essere svolte da personale assegnato all' ufficio legale dell'ente il cui numero di dipendenti era comunque sufficiente per affidare la gestione dell'analisi del contenzioso.
Il presidente convenuto aveva, invece, evidenziato che la stipula dei due contratti era stata determinata dalla necessità di sopperire temporaneamente alla grave carenza di personale e all'esistenza di notevoli difficoltà, in termini di gestione ed organizzazione, dovute all'esigenza di una ristrutturazione dell'ente.
La Corte dei conti ha condannato il presidente dell'Anas a pagare a favore dell'ente la somma di euro 700 mila.
Secondo i giudici contabili, infatti, è indubbia la responsabilità amministrativa del presidente dell'Anas per aver conferito a soggetti esterni, secondo un criterio «avulso da qualsiasi previa ricognizione della effettiva insufficienza di risorse professionali interne», l'incarico di provvedere alla ricognizione e mappatura di tutto il contenzioso pendente.
È imputabile, poi, un comportamento improntato a «colpa grave» dal momento che ha agito in mancanza di un'idonea e preventiva valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo conferimento degli incarichi esterni, e per il conseguente pagamento della prestazione professionale. Questo comportamento non può che ritenersi ingiustificabile, approssimativo e in aperto contrasto con il principio di economicità nella spesa e, quindi, in aperto contrasto con il principio di buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost.
Con la decisione in oggetto il collegio ha anche precisato che, in casi particolari e contingenti, può essere ammessa la legittimazione della p.a. ad affidare determinate attività all'opera di estranei dotati di provata capacita professionale e specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi. È però necessario che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo.
Sebbene nell'ordinamento non sussista un generale divieto per la p.a. di ricorrere a esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti , tuttavia, il ricorso a incarichi esterni non può essere attuato violando tali condizioni e limiti (articolo ItaliaOggi del 02.09.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIPa, sì agli incarichi a legali esterni. Legittimo l'affidamento diretto e senza svolgere la gara. Il principio è stato affermato di recente da una decisione del Consiglio di Stato sugli enti locali.
È illegittimo l'affidamento diretto e senza gara, a favore di un avvocato, di un incarico professionale di consulenza legale, a supporto dello svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'ente.
Nel caso in esame un Consorzio di Bonifica toscano aveva deciso di affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di consulenza legale per la durata di un anno, in considerazione della sua comprovata professionalità e della specifica competenza amministrativa già sperimentata nel corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta del sopra citato incarico di consulenza di tipo normativo - legale, aveva deciso di impugnare la determina di affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare il proprio interesse allo svolgimento di una procedura selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel settore degli appalti e dei contratti pubblici ... (articolo ItaliaOggi del 02.08.2010 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: S. Bigolaro, L'incarico conferito da un ente pubblico a un avvocato di difenderlo in giudizio è una collaborazione autonoma o un appalto di servizi? E' un affidamento in economia? (link a http://venetoius.myblog.it).

COMPETENZE GESTIONALIEnti Locali - Responsabile del Servizio - Rappresentanza a stare in giudizio - Legittimità - Condizioni.
In riferimento alla procura rilasciata dal Responsabile del Servizio anziché dal Sindaco deve richiamarsi l'ormai consolidato orientamento per cui nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, delineato dagli art. 6, 50 e 107 dell'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, interpretati alla luce della successiva evoluzione normativa e in particolare della riforma dell'art. 114, comma 2, cost. e dell'art. 4 L. n. 131 del 2003 di attuazione di tale riforma, lo statuto del Comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune (per tutte: Cass., sez. I, 19.12.2008, n. 29837) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze legali nella p.a. a dieta.
MANOVRA CORRETTIVA/ Tutte le misure del decreto legge che riguardano di riflesso gli avvocati. Dal 2011 ridotto al minimo il ricorso a professionalità esterne.
Ridotte ai minimi termini le consulenze per le pubbliche amministrazioni. Dal 2011 gli enti pubblici potranno spendere per consulenze solo il 20% della cifra spesa nel 2009. Anche le spese per la consulenza legale rientrano nei provvedimenti taglia-spese della manovra Tremonti (decreto legge 31.05.2010 n. 78).

L'articolo 6 del decreto, che introduce misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31.05.2010), prevede, infatti, che, al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009 ... (articolo ItaliaOggi del 03.06.2010, pag. 35 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: No all'affidamento diretto della consulenza legale.
È illegittimo l'affidamento diretto e senza gara, in favore di un avvocato, di un incarico professionale di consulenza legale, a supporto dello svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'ente.
Lo ha sancito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 28.05.2010 n. 3405.
Nel caso in esame un Consorzio di bonifica toscano aveva deciso di affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di consulenza legale per la durata di un anno, in considerazione della sua comprovata professionalità e della specifica competenza amministrativa già sperimentata nel corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta del sopra citato incarico di consulenza di tipo normativo-legale, aveva deciso di impugnare la determina di affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare il proprio interesse allo svolgimento di una procedura selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel settore degli appalti e dei contratti pubblici.
Il Tar aveva dichiarato inammissibile il ricorso. Il ricorrente, in appello, aveva perseverato nel segnalare l'illegittimità della decisione assunta dal Consorzio violando non solo le proprie norme regolamentari in materia di affidamento di incarichi professionali, ma anche i principi più volte affermati dai giudici amministrativi e contabili secondo cui l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla p.a. non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata.
Il Consiglio di stato accoglie il ricorso. Il collegio, infatti, accertato che la comparazione pubblica è prevista dalle stesse norme del Regolamento del Consorzio, in armonia con le norme di legge vigenti in materia, ritiene che questa debba essere considerata la regola da applicare in via generale. E sebbene all'art. 6 del Regolamento consortile, in materia di incarichi di particolare rilevanza, sia stata prevista la possibilità dell'affidamento diretto di un incarico fiduciario derogando al normale criterio fissato dal Regolamento, nel caso in esame la norma risulta palesemente violata.
Nella stessa delibera impugnata, infatti, viene precisato testualmente che l'incarico in questione doveva essere conferito 'non già per la cura di una speciale e particolarmente rilevante esigenza dell'Ente, ma al solo fine di supportare lo svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'Ente stesso.
Dovendosi, dunque, far fronte alle «ordinarie» attività amministrative del Consorzio, è evidente che l'amministrazione non poteva, in questo caso, avvalersi della predetta disposizione di carattere eccezionale ed evitare di affidare lo stesso incarico a mezzo di una pubblica selezione (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 44).

COMPETENZE GESTIONALILa decisione di agire e resistere in giudizio compete in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente.
Non può condividersi il rilievo secondo cui il Sindaco alla data della sottoscrizione del ricorso (27 agosto 1999) non aveva alcun potere di conferire il mandato al difensore, essendo intervenuta la relativa autorizzazione da parte della G.M. solo in data 1° settembre 1999.
In realtà, dagli articoli 36 e 35 della legge 142/1990, poi trasfusi negli artt. 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del t.u. sugli ordinamenti degli enti locali, approvato con d.lgs. 267/2000, si evince il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il Sindaco, non essendo più necessaria l'autorizzazione della Giunta municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'Ente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550).
La decisione di agire e resistere in giudizio e il conseguente conferimento del mandato alle liti competono quindi, in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721 e 16.02.2009 n. 848) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.03.2010 n. 1588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALILa rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente e non al Dirigente.
La rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente, e non al Dirigente per cui è nulla -per violazione dell'art. 145 c.p.c. che disciplina le notificazioni alle persone giuridiche- la notifica del ricorso qualora lo stesso sia stato notificato al Comune in persona del Dirigente (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 25.01.2005, n. 155; TAR Lazio-Roma, sez. II, 06.05.2009, n. 4743; TAR Basilicata, 21.05.2007, n. 413; TAR Sicilia-Palermo, sez. II, 13.03.2007, n. 799; TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 06.06.2005, n. 954) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 26.02.2010 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L'avvocato incassa la parcella se l'incarico della p.a. è scritto.
L'avvocato che vuole riscuotere la parcella dalla pubblica amministrazione deve avere il conferimento dell'incarico scritto. Non solo. In una eventuale causa il giudice può rilevare d'ufficio «la mancanza della delibera di conferimento dell'incarico».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. II civile, che, con la sentenza 27.01.2010 n. 1741, ha respinto il ricorso di un legale che voleva riscuotere la parcella da una comunità montana, contestando, fra l'altro, anche la rinuncia ai minimi tariffari. Un punto, questo, sul quale la seconda sezione civile non ha potuto pronunciarsi dato che era mancata la prova dell'esistenza del conferimento dell'intero incarico.
Nelle motivazioni i giudici hanno rispolverato vecchi principi secondo cui «il contratto con il quale l'amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta, onde è da escludersi che la sussistenza di un siffatto requisito formale possa essere ricavata in altro modo, ad esempio attraverso la produzione di altri documenti che non costituiscono il contratto, ma lo presuppongono». Pertanto, il legale che vuole riscuotere la parcella da una amministrazione deve produrre in giudizio il contratto.
Non solo. Nel passaggio successivo si legge inoltre che «presupposto essenziale e imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un simile rapporto, grava sull'attore» (articolo ItaliaOggi del 29.01.2010, pag. 29).

INCARICHI PROFESSIONALI: Pa, meno incarichi al legale esterno. Ecco cosa prevedono i principali orientamenti giurisprudenziali in materia di consulenze.
Gli avvocati interni all'amministrazione restano i preferiti.
Avvocato interno all'ente pubblico protetto o dimezzato. I legali delle avvocature pubbliche oscillano da una situazione di tutela, che implica un regime controllato di affidamenti di incarichi all'esterno, all'opposta situazione di sottovalutazione del ruolo e di confusione all'interno della macchina amministrativa.
Peraltro le restrizioni agli enti pubblici al conferimento di incarichi professionali esterni, che colpisce in particolar modo gli avvocati, finiscono talvolta con il provocare una diminuzione di tutela per l'ente stesso.
Migliore è la situazione degli enti che hanno una propria avvocatura, mentre per quelli senza una unità organizzativa interna dedicata alla consulenza e al contenzioso le restrizioni costituiscono talvolta una barriera invalicabile.
Vediamo, dunque, in base alla recente giurisprudenza quali possono essere le opportunità per il giurista d'amministrazione.
Cosa prevede la giurisprudenza.
Partiamo innanzitutto dalle tutele per chi svolge l'attività all'interno dell'ente, quale dipendente dello stesso, e che, al di là delle rivendicazioni di carattere economico, si trova anche a difendere spazio alla propria professionalità.
Una mano la dà il Tar Lazio, sez. II, 07.07.2009 n. 6257, che ha bocciato un bando di gara di un ministero avente per oggetto la «fornitura dei servizi legali comprensivi di quelli di assistenza nelle procedure contenziose», in quanto sostanzia violazione del r.d. 30.10.1933 n. 1611 che prevede il cosiddetto patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello stato e non consente alle amministrazioni dello stato, salvo eccezionali motivi conducenti ad apposita autorizzazione in deroga al detto patrocinio obbligatorio, di affidare le dette attività agli avvocati del libero foro attraverso una pubblica gara di appalto, anche per la consulenza stragiudiziale.
Si dirà che siamo in presenza di una legge che tutela l'Avvocatura dello stato. Ma il principio si può estendere anche alle altre avvocature pubbliche, per esempio quelle comunali. In questi casi le delibere istitutive e gli accordi di natura contrattuale riservano l'attività legale appunto agli uffici interni e, d'altra parte, una barriera significativa deriva dal fatto che un incarico all'esterno può esserci solo se all'interno dell'ente non vi siano professionalità adeguate: la stessa presenza di una avvocatura interna argina a ipotesi eccezionali l'affidamento all'esterno.
Vista dal lato del legale esterno che ha interesse a conseguire l'incarico va però detto che un bando illegittimo non può essere revocato dall'amministrazione senza conseguenze a carico.
Nel caso che ha dato origine alla sentenza citata del Tar Lazio il ministero è stato condannato a risarcire il danno precontrattuale, quantificato in 30 mila euro.
L'affidamento diretto dell'incarico.
Sempre vista dal lato del legale esterno va considerato l'orientamento che accorda la possibilità di un incarico diretto e fiduciario.
Così è stato deciso che da un lato l'affidamento dei servizi legali, come complesso di consulenze e patrocinio di un comune dinanzi a tutti i tribunali, non può essere affidato direttamente, ma deve rispondere ai principi espressi dal dlgs n. 163 del 2006, art. 27, comma 1, (codice dei contratti), con l'obbligo del confronto concorrenziale con almeno cinque offerenti, e un'adeguata pubblicità preventiva finalizzata alla possibilità di un'adeguata valutazione comparativa dei candidati, potendosi ammettere un affidamento diretto solo casi eccezionalmente previsti dalla medesima legge; dall'altro resta invece escluso da tale normativa ed è legittimo l'affidamento del solo patrocinio legale che potrà pertanto essere affidato direttamente senza l'espletamento di alcuna gara (Tar Calabria-Reggio Calabria, 04.05.2007, n. 330). Insomma quest'ultimo orientamento lascia spazio a incarichi fiduciari tout court.
Nessuna alternativa, invece, e nessuno spazio per incarichi fiduciari, invece, per l'ipotesi di attività di assistenza tecnica, economica e legale per esempio per l'affidamento e l'indizione di una nuova gara relativamente a un servizio pubblico svolta da una società di capitali con presenza di professionalità diversificate: un'attività di questo tipo deve essere qualificata come servizio di consulenza gestionale e non come consulenza professionale e quindi il suo affidamento ricade nell'ambito di applicazione del codice dei contratti (dlgs 12.04.2006 n. 163) con obbligo di gara.
Dunque il legale esterno può intervenire ad assistere l'ente pubblico, sempreché la stessa non abbia professionalità adeguate al suo interno, e l'incarico su base continuativa deve avvenire mediante un percorso selettivo.
Dovrebbe avere ancora spazio l'affidamento diretto di un singolo incarico di rappresentanza in giudizio. Una chiusura, invece, si ha nel campo della consulenza, che non è facile assegnare su base diretta fiduciaria. Una serie di regole queste che rappresentano un equilibrio tra delle esigenze della tutela delle professionalità sia dell'avvocato interno sia di quello esterno all'amministrazione (articolo ItaliaOggiSette del 04.01.2010).

anno 2009

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Oliveri, Incarichi ad avvocati: sono servizi ex allegato IIB al Codice dei contratti (15.06.2009 - link a www.gedit.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento di incarico di assistenza e rappresentanza in giudizio.
1) Gli incarichi di prestazioni di servizi legali, consistenti in un complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, devono essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata.
2) L'atto di conferimento dei servizi legali, inclusi la consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i Tribunali, rientra nel novero di quegli atti e provvedimenti che, non essendo in alcun modo riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministartivo, sono riservati alla dirigenza.

Il Comune chiede di conoscere un parere in merito ad uno schema di convenzione, predisposto dall'Ente, avente ad oggetto l'affidamento diretto di un incarico di assistenza legale e rappresentanza in giudizio ad un avvocato. In particolare, il mandato sarebbe riferito 'ad ogni contenzioso attualmente pendente e a quelli che il Comune avesse da promuovere per i propri interessi patrimoniali o morali ovvero con riferimento a quei procedimenti civili, penali o amministrativi che fossero avviati nei confronti del Comune'.
L'Ente desidera, altresì, sapere quale sia il soggetto competente a decidere lo strumento e le modalità con cui procedere all'affidamento dell'incarico in riferimento.
Premesso che rientra nelle competenze dello scrivente Ufficio fornire consulenza giuridico-amministrativa in termini generali, senza entrare nel merito del singolo caso concreto, si forniscono, di seguito, in via collaborativa, alcuni elementi che possono risultare utili in relazione alla fattispecie descritta.
Circa il primo quesito posto si osserva come rientri nella discrezionalità dell'Ente decidere di individuare un unico studio legale cui rivolgersi per tutte le cause che possano coinvolgere il Comune, suoi amministratori o funzionari e con lo stesso stipulare apposito contratto/convezione diretto a regolare i reciproci diritti ed obblighi.
Si esprimono, invece, delle perplessità circa la possibilità di procedere ad un affidamento diretto di un tale incarico, ciò sia che si faccia rientrare la fattispecie nell'alveo degli incarichi esterni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 sia che, invece, la si annoveri nella prestazione di servizi soggetta alla normativa di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
[1]
Nel primo caso, si rammenta come il comma 6-bis dell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001 recita: 'Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione'.
Nel secondo caso, l'affidamento dell'incarico legale rientrerebbe tra i 'servizi legali' previsti nell'allegato IIB del d.lgs. 163/2006 e soggiacerebbe, quindi, in particolare, all'articolo 27, il quale dispone che: 'L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto'
[2].
Come evidenziato da certa dottrina
[3], gli incarichi di prestazioni di servizi legali, consistenti in un 'complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo', come il caso in esame, 'oppure dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero predeterminato di pareri legali', qualora siano oggetto di affidamento, dovranno essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata. In questo caso, inevitabilmente, il procedimento deve obbedire ai principi di trasparenza, non discriminazione e pubblicità ed occorre predeterminare criteri oggettivi di valutazione, seppur nell'esercizio della discrezionalità della loro individuazione. [4]
A favore della necessaria previa indizione di una procedura selettiva depone anche la giurisprudenza. Si consideri, al riguardo il TAR Campania, sez. II, del 21.05.2008, n. 4855, il quale ha affermato la necessità della previa adozione di procedure comparative, rese adeguatamente note attraverso idonea pubblicità, ed ha statuito l'illegittimità del conferimento di un incarico di collaborazione e di consulenza legale non preceduto dalle predette procedure selettive, in diretta applicazione dell'art. 7, comma 6-bis, del d.lgs. 165/2001 (si trattava di un caso di attribuzione di un incarico di patrocinio e consulenza legale in sede amministrativa e civile, di durata annuale, ad un professionista esterno all'amministrazione, con compenso mensile predeterminato).
[5]
Con riferimento alla seconda questione posta, si osserva come la giurisprudenza abbia sottolineato che 'l'atto di conferimento dei servizi legali, inclusi la consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i Tribunali, rientri nel novero di quegli atti e provvedimenti che, non essendo in alcun modo riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministartivo, sono riservati alla dirigenza'
[6].
Nulla vieta, tuttavia, che l'organo politico manifesti, con un atto di indirizzo, la propria volontà circa l'opportunità di procedere all'affidamento dei servizi legali ad unico studio legale, che si occupi delle controversie che possano coinvolgere l'ente in un determinato arco temporale, fermo rimanendo che la susseguente procedura di individuazione del professionista esterno competerà agli organi burocratici competenti.
---------------
[1] Sulla questione dell'inquadramento giuridico degli incarichi professionali legali si veda il parere reso da questo Ufficio in data 29.02.2008, prot. n. 3911/1.3.16, consultabile sul seguente sito internet: http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri.
[2] Si ricorda come gli appalti di servizi elencati nell'allegato IIB rientrino tra i 'contratti esclusi'.
[3] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione', consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[4] Si discute, invece, circa la possibilità di procedere mediante affidamento diretto nella diversa ipotesi, che esula dalla fattispecie in esame, del conferimento del solo patrocinio giudiziale relativo ad una specifica vertenza.
[5] La sentenza citata è stata richiamata, condividendola, anche dal TAR Piemonte, sez. I, sentenza del 29.09.2008, n. 2106. Nello stesso senso si è espresso il TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, con sentenza del 04.05.2007, n. 330.
[6] TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, sentenza sopra citata. Nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 09.09.2005, n. 4654
(21.04.2009 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI SERVIZI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Teana circa il conferimento di incarichi di patrocinio legale ad avvocati esterni all'ente (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 03.04.2009 n. 8).
Dal tenore dei quesiti si desume che
il caso al quale si riferisce il Comune istante riguarda l’incarico di patrocinio legale che un Ente, sprovvisto di avvocatura interna, si trova a dover necessariamente conferire al professionista esterno nel momento in cui sorge la necessità di agire in giudizio (quale parte attrice) ovvero di resistere ad esso (se parte convenuta o resistente). Si desume, altresì, che il patrocinio non si intende limitato alla rappresentanza in giudizio dell’Ente ma, in generale, comprende anche l’assistenza e la difesa del patrocinato.
Il primo interrogativo posto riguarda le modalità di conferimento di detto incarico.
Il Sindaco del Comune di Teana sostiene trattarsi di “servizio legale”, come tale riconducibile alla disciplina dell’appalto di servizi, regolato dall’art. 20 del D.Lgs. n. 163/2006 (in appresso, per brevità, “Codice dei contratti pubblici” o “Codice”).
Al riguardo si osserva che vi sono, invero, indici rilevanti di un orientamento tendente a qualificare le prestazioni professionali rese da avvocati, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale, quali “servizi”, sia pure in una accezione talmente ampia da farvi rientrare non solo il compimento di un servizio inteso quale risultato della prestazione, ma anche la c.d. prestazione di diligenza professionale in sé considerata (o di mezzi), di natura intellettuale, resa da professionisti iscritti in appositi albi. In tal senso, già la legge n. 31 del 09.02.1982, regolante la libera prestazione “di servizi” da parte degli avvocati cittadini comunitari, rubricava come “servizi professionali” quelli di cui qui trattasi. Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani”) ricorre anch’esso all’espressione “servizi professionali” con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, secondo una linea di continuità con la elencazione dei “servizi” contenuta nell’art. 50 del Trattato C.E., che in tale categoria espressamente include anche le “attività delle libere professioni”, fornite normalmente dietro retribuzione, al fine di vietare restrizioni alla loro libera prestazione all’interno della Comunità.
Ritiene, tuttavia, la Sezione che gli argomenti ai quali fare ricorso per dare soluzione al complesso quesito sottoposto alla sua attenzione non possano fondarsi sulla mera coincidenza nominalistica di un dato letterale, sicché non sembra sufficiente l’aver qualificato “servizio” la prestazione libero professionale resa dall’avvocato per ritenerla senz’altro compresa nella categoria dei “servizi legali”, di cui all’allegato II B richiamato dall’art. 20 del Codice dei contratti pubblici.
D’altro canto, occorre costatare che non sempre l’incarico di patrocinio legale, di cui qui si discute, è conferito a un legale solo nel momento in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale. Si tratta, in tal caso di un incarico episodico, legato alla necessità contingente. In altri casi –rilevabili dall’esame della giurisprudenza di cui si dirà in seguito- la prestazione in argomento è inserita in un più articolato quadro di attività professionali, organizzate sulla base dei bisogni rappresentati dall’Ente.
Orbene, l’indagine che segue dovrà verificare se la soluzione ritenuta adeguata a dare risposta a un caso valga anche per l’altro, ovvero se le due ipotesi sopra indicate richiedano soluzioni diverse, in tutto o in parte.
Appare, allora, necessario sottoporre ad un più penetrante scrutinio le norme in vigore, senza ignorare il livello e la natura degli interessi protetti sui quali queste norme finiscono per incidere. Non sembra irrilevante, infatti, la considerazione che, a differenza di altre prestazioni professionali, il patrocinio legale si lega a interessi costituzionalmente protetti, che assurgono a veri e propri diritti inviolabili, quale il diritto alla difesa e, pur senza implicare l’esercizio di pubblici poteri (Corte Giust., 21.06.1974, causa 2/74, Reyners c/ Stato belga), partecipa dell’amministrazione della giustizia quale servizio pubblico essenziale volto alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati (C.Cost., 27.05.1996, n. 171). Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza comunitaria, l’esigenza di tutela del prestatore del servizio, in uno con la tutela del destinatario della prestazione stessa e, più in generale, con l’esigenza di una corretta ed efficiente amministrazione della giustizia, rappresentano “obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 12.12.1996, causa C 3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I 6511, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21.09.1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc. pag. I 6067, punto 33)” (così il punto 64 della decisione nelle cause riunite C.giust. C‑94/04 e C‑202/04).
Si procederà, pertanto, previo inquadramento della disciplina delle prestazioni professionali (rese da avvocati) secondo l’ordinamento interno, all’esame delle norme di derivazione comunitaria alle quali il Comune istante ha inteso fare riferimento ed a quelle, non indicate, che si ritengono rilevanti ai fini della corretta impostazione dei quesiti.
Appare senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il contratto di patrocinio legale –tanto circoscritto alla rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale- nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato dall’art. 2230 c.c. e ss..
Depongono in tal senso: la necessarietà e la non volontarietà (propria del mandato) di una rappresentanza processuale affidata a tecnici dotati di competenze particolari per il compimento di atti non negoziali, che la parte non potrebbe comunque compiere da sé (tranne eccezioni che non rilevano come regola); la circostanza che detti tecnici (avvocati), iscritti in appositi albi, esercitano professionalmente tale attività, alla quale si accompagna di regola anche la difesa, scritta o orale, della parte mediante una complessa attività intellettuale per mezzo della quale l’avvocato assume la difesa e dà sostegno alle ragioni di fatto e di diritto dell’assistito; il fine pubblicistico dell’amministrazione della giustizia con cui questa attività concorre; il richiamo espresso a disposizioni dettate a proposito di tale tipo contrattuale quando si tratta di sindacare la validità dell’accordo stipulato con chi non sia iscritto all’apposito albo (art. 2229 c.c.) o l’inesigibilità della retribuzione (art. 2231 c.c.); la determinazione del compenso secondo tariffe professionali (art. 2233 c.c.; Cass. Civ., II, 19.02.2007, n. 3740), nonché la misura della colpa professionale rilevante ai fini del giudizio di inadempimento (art. 2236 c.c.; Cass. Civ., II, 23.04.2002, n. 5928).
Tale sistematico inquadramento non sembra possa subire modifiche a seconda la natura del committente, se esso cioè sia un privato o un Ente pubblico. In disparte il dibattito, tutt’altro che sopito, circa le differenze tra appalto e contratto d’opera in generale, non potrebbe sostenersi che, se il patrocinio è richiesto da (e reso a) un soggetto privato, l’oggetto del contratto sia una prestazione d’opera intellettuale, mentre se a richiederlo è un soggetto pubblico essa diventi, per ciò stesso, oggetto di un contratto di appalto (di servizi). Al riguardo, e in generale per le prestazioni professionali, la giurisprudenza amministrativa è costantemente orientata a escludere la mutevolezza della natura giuridica del contratto d’opera intellettuale nelle due ipotesi (così Cons. Stato, IV, 27.06.2001 n. 3483, a proposito del contratto concluso fra una p.a. ed i componenti la commissione di collaudo di un’opera pubblica; Cons. Stato, IV, 28.08.2001, n. 4573, a proposito dell’attività professionale di redazione di strumenti urbanistici; TAR Liguria, 22.06.2002, n. 705; TAR Campania, II, 11.11.2003, n. 13477. Per Cass. Civ., II, 18.04.2003, n. 6326, la natura di contratto d’opera intellettuale, “caratterizzato, in quanto tale, dall’autonomia del prestatore”, è esclusa solo nel caso in cui l’avvocato sia un dipendente dell’Ente, prevalendo in tal caso il rapporto di subordinazione con il datore di lavoro).
Ciò posto, ci si deve preliminarmente chiedere se il contratto di patrocinio (qui inteso come quello volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente), in quanto prestazione di lavoro autonomo, rientri o meno nella disciplina delle collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate dall’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni con legge n. 133/2008. Si tratta di un tema che, non essendo stato sollevato nella richiesta di parere, non può essere trattato dalla Sezione se non nei ristretti limiti in cui è funzionale a dare contezza del complesso intreccio normativo che, per la soluzione del quesito stesso, si presenta all’attenzione dell’interprete.
In tale disciplina rientra, da un lato, il conferimento di incarichi individuali, con contratto di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, dal contenuto professionale particolarmente specializzato, per sopperire ad esigenze cui gli enti non possono far fronte con personale in servizio. Per siffatta tipologia di incarichi l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, commi 6 e 6-bis, ha indicato i presupposti del conferimento e ha procedimentalizzato la modalità di scelta del professionista, sia imponendo la previa procedura comparativa (art. 7, comma 6-bis), sia imponendo la preventiva determinazione degli elementi del contratto. Si tratta di disposizioni alle quali devono adeguarsi anche i regolamenti degli EE.LL., ex art. 110, comma 6, del T.U.E.L.
Dall’altro lato, vi rientrano gli altri contratti di collaborazione autonoma che, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, sono riferiti ad attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.. Per tali contratti è il Regolamento previsto dall’art. 89 del T.U.E.L. che fissa i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento degli incarichi, il tutto in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, tra cui il citato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.
Si richiama quanto argomentato, sul punto, dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede di controllo, con la delibera n. 6/2005. Sebbene l’occasione fosse rappresentata dall’esame della disciplina legislativa allora vigente regolante le modalità per il conferimento di incarichi di studio, ricerca, ovvero di consulenza, le Sezioni Riunite conclusero che, pur trattandosi di incarichi il cui contenuto “coincide (…) con il contratto di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229–2238 del codice civile”, dagli stessi restano esclusi (oltre ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, “che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato”), gli incarichi di “rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione”, in quanto incarichi “conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.
Tale conclusione è stata poi confermata anche dalla successiva delibera della Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, n. 6/AUT/2008, che si è espressa con riguardo alle evoluzioni normative di epoca più recente.
Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto dalla norma.
In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che quel potere attribuisce.
Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione (Cass. Civ., III, 26.07.2005, n. 15607), non appare configurabile il mero patrocinio legale alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L..
In tale ultimo caso, poi, non si vede come possa essere programmabile, se non in via del tutto generica e ipotetica, un’attività che circostanze non dipendenti dalla volontà del soggetto programmatore rendono necessaria e non diversamente esercitabile se non nella forma dell’incarico a professionista esterno abilitato.
Altra cosa, invece, (con riguardo alla riferibilità alle attività istituzionali dell’Ente e alla programmabilità) è il conferimento di incarico per prestazioni che prevedano, oltre al patrocinio legale delle vertenze che sorgeranno entro un arco di tempo determinato, anche l’attività di consulenza legale a favore dell’Ente (TAR Campania-Napoli, II, 21.05.2008, n. 4855. In tale circostanza il Giudice adìto ha ritenuto di annullare l’affidamento fiduciario, senza la preventiva procedura selettiva e comparativa, di un incarico di patrocinio e consulenza legale, di durata annuale, per un compenso mensile fisso, per violazione del comma 6bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, piuttosto che per violazione delle regole sull’appalto di servizi legali, diversamente da quanto ritenuto dal altri TT.AA.RR., come in appresso si dirà).
Riassumendo quanto fin qui detto, se ne ricava che l’incarico professionale di patrocinio, che viene conferito a un legale nel momento stesso in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale dell’ente: a) è riconducibile al contratto d’opera intellettuale; b) il suo inquadramento sistematico lo colloca nell’ambito delle prestazioni di lavoro autonomo; c) resta escluso dall’ambito delle collaborazioni autonome, pur essendo queste prestazioni d’opera intellettuale.
Si tratta ora di verificare se le conclusioni fin qui raggiunte sono coerenti con la normativa di fonte comunitaria, ovvero se quest’ultima spinga verso soluzioni diverse quale il ritenere, necessariamente o solo sussistendone le condizioni, il patrocinio legale oggetto di appalto di servizi legali. È all’interno di tale indagine che potranno trovare collocazione sistematica le altre ipotesi, sopra solo accennate, in cui cioè la prestazione di patrocinio legale si lega a scelte organizzative più complesse e articolate.
Contrariamente a quanto ritenuto dall’Ente, va osservato che le disposizioni che riguardano i “servizi legali” non rappresentano affatto una novità introdotta nell’ordinamento interno a seguito della direttiva 2004/18/CE, in quanto già il D.Lgs 17.03.1995, n. 157 (“Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”), indicava, nell’allegato 2, una serie di servizi, tra cui i “servizi legali”, relativamente ai quali non si applicava la disciplina generale nella sua integralità ma solo alcune disposizioni del citato decreto legislativo e, segnatamente: l’eventuale pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione (art. 8, co. 3); l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di definire le “specifiche tecniche” del servizio nei capitolati d’oneri o nei documenti contrattuali relativi a ciascun appalto (art. 20), obbligo, quest’ultimo, soggetto peraltro a deroghe (art. 21). Tutta una serie di servizi erano poi esclusi tout court dall’assoggettamento alle norme del decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando” delle premesse alla direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995, che “la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; [nel caso in cui la prestazione del servizio si fondi] su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, [detta prestazione] esula dal campo d'applicazione della presente direttiva”.
I servizi legali sono stati ora riproposti nell’allegato II B al D.Lgs. n. 163/2006 tra quei servizi per il cui affidamento (in virtù del richiamo operato dall’art. 20) trovano applicazione, esclusivamente, gli artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Gli appalti di servizi in questione, giova ribadire, non sono disciplinati, dunque, da tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 163/2006, ma soggiacciono solo a quel nucleo minimo di specifiche regole sopra indicate (TAR Puglia-Lecce, 30.03.2007, n. 1333), oltre al rispetto dei principi generali richiamati dall’art. 27 del Codice (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità), previo invito ad almeno cinque concorrenti, “se compatibile con l’oggetto del contratto”.
La direttiva 2004/18/CE, trasfusa nel Codice dei contratti pubblici, non riproduce la limitazione contenuta nell’ottavo “considerando” alle premesse della precedente direttiva, sopra riportato, ma raccomanda che “Per quanto riguarda i servizi di cui all'allegato II B [tra cui, appunto, i servizi legali], le disposizioni della presente direttiva dovrebbero far salva l'applicazione di norme comunitarie specifiche per i servizi in questione” (diciottesimo “considerando”).
A parere di questa Sezione il legislatore comunitario ha voluto con ciò intendere che la disciplina introdotta con l’ultima direttiva sugli appalti non va a sovrapporsi a quella risultante dalle direttive specificamente regolanti i singoli servizi le quali, senza ricondurre la prestazione professionale da conferire allo schema dell’appalto, hanno già posto le condizioni per garantire al prestatore di tali servizi l’accesso libero al mercato dei paesi comunitari, in ossequio ai diritti di libertà sanciti dal Trattato CE.
In proposito, deve osservarsi, infatti, che molto incisivamente il legislatore comunitario è intervenuto quando si è trattato di indicare, con espresso riferimento alle prestazioni professionali, le modalità attraverso le quali raggiungere il risultato di dare effettività e concretezza all’obiettivo indicato dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del Trattato CE, eliminando ogni ostacolo alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri. Tale obiettivo si è inteso raggiungere, innanzitutto, prevedendo l'approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli abilitativi che consentano l’esercizio della professione in ogni paese comunitario.
È soprattutto con la direttiva 2005/36/CE del 07.09.2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali -che ha superato la precedente direttiva 1998/5/CE, recepita con D.Lgs. n. 96 del 02.02.2001– che sono state poste le condizioni idonee a garantire la libera circolazione e il libero accesso al mercato delle professioni.
Non è casuale, del resto, che la stessa giurisprudenza comunitaria sia sempre stata investita, con riguardo alla professione forense, di questioni riconducibili al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi all’interno degli Stati membri, censurando, perché di ostacolo alla concorrenza, la inderogabilità dei minimi tariffari, sulla quale è poi intervenuto il legislatore interno col richiamato “decreto Bersani” (C.giust., 21.06.1974, causa 74/2; Id., 03.12.1974, causa 33/74; Id., 28.04.1997, causa 71/76; Id., 12.07.1984, causa C-107/83; Id., 19.01.1988, causa 292/86; Id., 30.11.1995, causa C- 55/94; Id., 19.02.2002, causa C-303/99; Id., 05.12.2006, cause C‑94/04 e C‑202/04).
Ora, non pare dubitabile che in siffatto contesto la normativa comunitaria sopra riportata si preoccupi di tutelare la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento del prestatore di essi in quanto lavoratore, autonomo o subordinato. “Per i cittadini degli Stati membri, essa (libertà) comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale” (così il primo “considerando” della direttiva 36 del 2005). Ed ancora: “la presente direttiva si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali” (così l’art. 2, comma 1, della citata direttiva).
Sembra, allora, che se il prestatore di servizi professionali è libero di poter esercitare la sua attività quale lavoratore, autonomo o subordinato, all’interno degli Stati membri, il relativo contratto debba ritenersi escluso dall’applicazione del Codice ex art. 19, comma 1, let. e). Di conseguenza, i “servizi legali” di cui all’allegato II B sarebbero oggetto di appalto solo se e quando la prestazione sia riconducibile a tale tipo di contratto. In altre parole, il servizio legale per essere oggetto di appalto richiederebbe un quid pluris, per prestazione o per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. In tal senso depone la prescrizione che, per l’affidamento di tali servizi, pretende l’indicazione delle specifiche tecniche fissate dal committente (art. 68 del Codice), che rappresentano la condizione per permettere l’apertura dell’appalto alla concorrenza (cfr. il ventinovesimo “considerando” alla direttiva n. 18 del 2004). Ed ancora, una conferma in tal senso può desumersi anche dal quarantasettesimo “considerando”: posto che “negli appalti pubblici di servizi, i criteri di aggiudicazione non devono influire sull'applicazione delle disposizioni nazionali relative alla rimunerazione di taluni servizi, quali ad esempio le prestazioni degli architetti, degli ingegneri o degli avvocati”, il prezzo di tali servizi, così determinato, di per sé solo, non sarebbe idoneo a garantire quella valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza, che ammette soltanto l'applicazione di uno dei due criteri di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e quello della offerta economicamente più vantaggiosa.
Da quanto precede non sembra, dunque, che il legislatore comunitario si sia preoccupato di regolare le modalità di affidamento dei contratti del tutto esclusi dall’ambito della disciplina degli appalti pubblici. Tra questi, il contratto di lavoro autonomo avente a oggetto il patrocinio legale, stipulato con un’amministrazione aggiudicatrice.
Si potrebbe, allora, ritenere che la fonte della disciplina interna per l’affidamento di detti contratti sia da rinvenire nelle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, recate dal R.D. n. 2440/1923, in particolare nell’art. 3, comma 2, in quanto compreso tra le “disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni” alle quali rinvia l’art. 192, comma 1, let. c) del T.U.E.L. per individuare le modalità di scelta del contraente ammesse per i contratti degli Enti Locali.
D’altro canto, tale lacuna, lasciata dalla normativa comunitaria, potrebbe, invece, essere colmata attingendo alle “procedure previste dalla normativa della Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento giuridico italiano” (art. 192, u.c., T.U.E.L.).
In effetti, l’estensione, in tal senso operata dal legislatore nazionale di principi comunitari a fattispecie che, a rigore, sarebbero escluse dall’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti pubblici (cfr. art. 121 ss. del Codice a proposito degli appalti sotto soglia), risponde anche a precisi orientamenti tanto della Corte di Giustizia –secondo la quale “sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato” (C.giust., 03.12.2001, causa C-59/00, par. 20, Bent Mousten Vestergaard)– quanto del Consiglio di Stato –secondo il quale “i principi generali del Trattato [libertà di stabilimento (art. 43); libera prestazione dei servizi (art. 49); parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 43 e 49); trasparenza e non discriminazione (art. 86)], valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti” (Ad. Pl., 1/2008)– e trova positivo riscontro nell’art. 27 del Codice dei contratti pubblici, che ha esteso a tutti i contratti di servizi, sebbene totalmente esclusi dall’ambito proprio della direttiva sugli appalti, l’osservanza dei principi generali di derivazione comunitaria, tra cui il principio di concorrenzialità che impone la valutazione comparativa tra almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.
Ciò consente, peraltro, di rendere applicabili anche ai contratti di lavoro autonomo di patrocinio legale le indicazioni elaborate dalla Commissione europea con la “Comunicazione interpretativa” relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici” (Comunicazione 2006/C 179/02, in G.U.C.E., 01.08.2006 – comunicazioni e informazioni), sulla quale si tornerà in seguito.
L’excursus che precede si è reso necessario per tracciare i temi rilevanti ai fini del richiesto parere.
In primo luogo, la normativa interna relativa al conferimento di “collaborazioni autonome” non si applica alla prestazione professionale di patrocinio legale, giuste le osservazioni delle Sezioni Riunite e della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, sopra riportate.
In secondo luogo,
così come aveva già indicato la direttiva 1992/50/CE, già citata, la disciplina comunitaria relativa agli appalti di servizi legali -con quanto ne consegue in ordine alle modalità di conferimento della prestazione professionale che ne costituisce oggetto, ex art. 20 del Codice- si applica solo se il contratto di appalto rappresenta lo schema negoziale concretamente adottato, rimanendo esclusa quella (prestazione) che trovi fondamento in leggi o regolamenti ovvero in altri rapporti, quali, a titolo esemplificativo, quelli riconducibili ad attività lavorativa, autonoma o subordinata.
In terzo luogo, si chiarisce l’equivoco nel quale, sembra, essere incorso il Comune istante: quello cioè di aver ritenuto sufficiente considerare la prestazione di patrocinio legale un servizio per assoggettarlo alla disciplina comunitaria dell’appalto (di servizi). Vero è, invece, che il contratto di patrocinio legale, quale fonte di un rapporto di lavoro autonomo, ove non inserito in un contesto strutturato e organizzato più ampio, soggiace ai principi del diritto comunitario richiamati dall’art. 27 del Codice, che impone una procedura selettiva “se compatibile con l’oggetto del contratto”, con le ulteriori precisazioni e i suggerimenti operativi indicati nella Comunicazione della Commissione europea.
Tanto premesso, occorre ora indagare in quali casi ricorre l’appalto di servizi, con conseguente applicazione anche delle disposizioni indicate nell’art. 20 del codice stesso.
Non essendo questa la sede per affrontare il tema, ancora dibattuto, sulla natura (necessariamente o meno) imprenditoriale del prestatore di servizi negli appalti pubblici regolati dal D.Lgs. n. 163/2006, ovvero sulla natura della prestazione, se di risultato o anche solo di mezzi (Cons. Stato, IV, n. 263/2008), può soccorrere allo scopo l’esame dei casi nei quali la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la sussistenza della fattispecie, potendosi ivi trarre motivi di riflessione.
Diversamente da quanto ritenuto nella richiesta di parere, le decisioni segnalate attinenti all’argomento non riguardano l’affidamento del patrocinio legale nei termini di cui si è detto nell’esposizione che precede, ma piuttosto l’affidamento, per un periodo di tempo determinato e dietro un corrispettivo anch’esso determinato, di una più articolata attività legale, che comprende anche l’assistenza e la consulenza oltre l’eventualità del patrocinio legale a favore dell’Ente.
Così nel caso deciso dal TAR Puglia, n. 5053/2006, l’affidamento riguardava il servizio di consulenza legale e patrocinio dell’ente, in ambito amministrativo e civile, per un periodo di cinque anni e per un corrispettivo annuo predeterminato.
Parimenti, nel caso deciso dal TAR Calabria, Sezione R.C., n. 330/2007, la fattispecie all’esame del Giudice riguardava l’affidamento diretto, senza alcuna previa procedura selettiva, dell’attività di consulenza professionale e di difesa giudiziale dell’Ente per un compenso predeterminato, attività espressamente qualificata come “servizio legale”.
Si è già detto, sopra, della fattispecie portata alla decisione del TAR Campania-Napoli, (sentenza n. 4855/2008), sebbene nella circostanza il G.A. abbia ritenuto di applicare la disciplina degli incarichi di collaborazione autonoma (secondo l’attuale terminologia) in luogo di quella sull’appalto di servizi.
Sembra, dunque, assumere un sempre più marcato rilievo la possibilità (solo di recente) concessa al professionista di organizzare e strutturare quella che, tradizionalmente, era una prestazione di lavoro autonomo, in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità che spetta solo all’ente conferente dover indicare, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato, avvalendosi degli spazi consentiti dall’art. 2 del citato D.L. 04.07.2006, n. 223, (c.d. Decreto Bersani). In esso, infatti, si afferma non solo la possibilità di convenire compensi inferiori ai minimi tariffari oppure parametrati al raggiungimento degli obiettivi prefissati (co. 1, let. a), o ancora di indicare il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni (co. 1, let. b), ma soprattutto si afferma la possibilità di “fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità” (co 1, let. c).
Si può così affermare che l’obbligo del committente di indicare, adeguandole alla natura del servizio, le specifiche tecniche che consentono di definire l’oggetto dell’appalto e le modalità della prestazione, affinché il servizio sia reso in modo da corrispondere alle esigenze del committente stesso –obbligo, non derogabile, posto dall’art. 68 ed espressamente richiamato dall’art. 20 del Codice- assume concreta valenza selettiva delle offerte presentate proprio nell’ambito di un servizio organizzato e strutturato.
Sembra allora alla Sezione che l’appalto di servizi legali sia configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce. Ciò comporta che, in quanto modalità organizzativa, essa sia strutturata e organizzata dal professionista, con mezzi propri, per far fronte alle utilità indicate dall’ente conferente in un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato.
Così inteso, il servizio legale non può, evidentemente, essere affidato se non con le più specifiche modalità indicate dall’art. 20 del Codice, come interpretate dalla più volte citata Comunicazione della Commissione europea, alle quali si aggiungono quelle residuali dell’art. 27, che espressamente prevedono l’invito ad almeno cinque concorrenti (TAR Sardegna, I, 26.06.2007, n. 1355).
Seppure la procedura di affidamento non ricalchi, in questi casi, i rigidi canoni previsti dal Codice dei contratti pubblici
-(l’art. 25, co.1, let. b, della legge di delega n. 62/2005, espressamente prevedeva la “semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici”)- occorre comunque considerare che l’invito deve essere adeguatamente pubblicizzato (ove non ricorrano situazioni di estrema urgenza, risultanti da eventi imprevedibili) e formulato in modo da rendere espliciti gli elementi minimi affinché sia salvaguardato il risultato utile voluto dal legislatore in ordine al rispetto dei principi sopra indicati (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità) (TAR Lazio, III-quater, 08.07.2008, n. 6443).
Va, altresì, detto che l’Ente non potrebbe, espletata la procedura comparativa in esame, disattenderne l’esito, conferendo l’incarico ad altro professionista, ovvero a colui, tra quelli invitati, che, sulla base dei criteri predeterminati dall’Ente stesso, non appaia il concorrente più idoneo (Cons. Stato, IV, n. 263/2008).
Per ulteriori elementi di conoscenza, utili al rispetto della procedura di affidamento, si rinvia alla più volte citata “Comunicazione interpretativa della Commissione” del l'01.08.2006.
Quanto all’organo deputato a esprimersi in ordine all’opportunità di iniziare o resistere alla lite, come anche al soggetto dotato di legittimazione, che sottoscriverà la procura alla lite, in generale occorre fare riferimento a quanto indicato nello Statuto (art. 6 T.U.E.L.), dal momento che esso potrebbe attribuire la legittimazione attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass. Civ., V, 04.02.2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a stipulare il contratto di patrocinio o di appalto di servizio con il professionista, questi non può che essere il Dirigente, ai sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già la Giunta (Cons. Stato, IV, n. 263/2008, cit.; TAR Calabria, R.C., n. 330/2007; TAR Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n. 3081/2004).
In ogni caso, si segnala che per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una p.a., è richiesta la forma scritta a pena di nullità, ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923 (Cass., 08.06.2007, n. 13508).
Relativamente al compenso spettante al professionista, occorre distinguere. Se nell’invito per la selezione era stato richiesta anche l’indicazione di detto compenso, ovvero il modo di determinarlo in riferimento alla tariffa vigente, l’affidamento al professionista porta già con sé la determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la preventiva determinazione della componente economica, occorre che sia indicato l’importo del compenso o il criterio della sua determinazione, dovendosi richiamare l’Ente all’osservanza, comunque, di misure di natura prudenziale, quali ad esempio quelle indicate dalla Sezione regione di controllo per l’Abruzzo con la delibera n. 360/2008, del 14.07.2008.
Giova ribadire, sul punto, che
proprio le possibilità di determinazione del compenso professionale, anche al di sotto dei minimi tariffari, impone all’Ente -al fine della tutela del pubblico erario- di convenire sempre e preventivamente gli onorari dovuti, vigilando e controllando che le altre voci di spesa siano congrue rispetto all’attività effettivamente svolta.

COMPETENZE GESTIONALIPer rilasciare la procura alle liti -al difensore- il sindaco non ha bisogno della preventiva autorizzazione della giunta comunale.
Dagli articoli 36 e 35 della legge 142/1990, poi trasfusi negli artt. 48, comma 2, e 50, commi 2 e 3, del t.u. sugli ordinamenti degli enti locali, approvato con d.lgs. 267/2000, si evince il principio secondo cui competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è il Sindaco, non essendo più necessaria l'autorizzazione della Giunta municipale, atteso che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'Ente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 10.05.2001, n. 186; 10.12.2002, n. 17550).
La decisione di agire e resistere in giudizio e il conseguente conferimento del mandato alle liti competono quindi, in via ordinaria e salva deroga statutaria, al rappresentante legale dell'ente senza bisogno di autorizzazione della giunta o del dirigente ratione materiae competente (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4721) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.02.2009 n. 848 - link a www.g
iustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: La spettanza del legale non è riconducibile ad una sentenza esecutiva quale obbligo cogente nei confronti dell’amministrazione, bensì al rapporto professionale intercorso e alla successiva circostanza dell’insolvenza che ha determinato l’insorgenza a carico dell’Ente locale di adempiere il debito.
Essendo tale obbligo insorto al momento della nuova richiesta può essere adempiuto mediante semplice integrazione dello stanziamento di bilancio.
Tuttavia, qualora intervenga nell’esercizio finanziario successivo ed il relativo capitolo non sia stato impegnato, non sussistendo residui si dovrà procedere con il riconoscimento di debito fuori bilancio.

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Il Comune di Frontone ha formulato richiesta di parere concernente la necessità o meno di procedere al riconoscimento di debito fuori bilancio derivante da una parcella professionale posta dall’Autorità Giudiziaria a carico della controparte insolvente ed irreperibile.
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La spettanza del legale non è riconducibile ad una sentenza esecutiva quale obbligo cogente nei confronti dell’amministrazione, bensì al rapporto professionale intercorso e alla successiva circostanza dell’insolvenza che ha determinato l’insorgenza a carico dell’Ente locale di adempiere il debito.
Essendo tale obbligo insorto al momento della nuova richiesta può essere adempiuto mediante semplice integrazione dello stanziamento di bilancio.
Tuttavia,
qualora intervenga nell’esercizio finanziario successivo ed il relativo capitolo non sia stato impegnato, non sussistendo residui si dovrà procedere con il riconoscimento di debito fuori bilancio (Corte dei Conti, Sez. controllo Marche, parere 02.02.2009 n. 4).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Calitri (Av) sulla possibilità di conoscere se -per la liquidazione delle parcelle professionali relative agli incarichi conferiti- occorra attivare il procedimento del debito, ai sensi dell'art. 194, co. 1, del TUEL n. 267/2000 o se sia sufficiente procedere ad un impegno integrativo su apposito capitolo di bilancio corrente con capienza finanziaria, provvedendo, quindi, alla relativa liquidazione.
Pur in presenza di difficoltà nella individuazione della somma esatta relativa alla parcelle del professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei canoni di buona amministrazione (fra gli altri a quello del prudente apprezzamento), delle regole giuscontabili in materia di spesa e dei principi che caratterizzano la corretta gestione dei pubblici bilanci.
Prima della determinazione dell’impegno di spesa va acquisita dall’avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del Comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall’espletamento dell’incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria.
Nel caso in cui non venga seguita la descritta procedura, si verifica una fattispecie tipica di debito fuori bilancio, in quanto l’Ente ha impegnato e coperto finanziariamente solo la spesa necessaria per corrispondere l’acconto al professionista. Si determina, di conseguenza, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 191 del d.lgs. 267/2000 che disciplinano le modalità attraverso le quali le spese degli enti locali devono essere assunte prevedendo dei procedimenti di natura tecnico-contabile per evitare il formarsi dei debiti fuori bilancio e per garantire l’equilibrio tra entrate e spese.
Nella fattispecie si da luogo a spese al di fuori dell’impegno costituito ed in assenza di una specifica previsione nel bilancio dell’esercizio in cui si manifestano.
In conclusione per la differenza tra la somma destinata al pagamento degli acconti e quella scaturente dalla liquidazione della parcella definitiva si dovrà procedere al loro riconoscimento ai sensi dell’art. 194 del T.U.E.L. n. 267/2000 e secondo le procedure ivi previste (cfr. in termini l’indirizzo delle Sezioni Riunite per la Regione Sicilia in sede consultiva, da ultimo deliberazione n. 2/2007)
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 04.02.2009 n. 8 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Comune di Marcon (TV) - Parere in tema di conferimento di incarichi esterni da parte degli enti locali (in particolare di rappresentanza e difesa in giudizio), alla luce delle novità introdotte dall'art. 46 del DL. 25.06.2008, n. 112, convertito nella legge 06.08.2008, n. 133 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.01.2009 n. 7).
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Regole doc per i legali dei comuni. Incarichi in appalto. Un parere della Corte dei conti del Veneto sui servizi.
Gli incarichi a legali per la difesa e la rappresentanza in giudizio sono appalti di servizi. Non rientrano, dunque, nella regolamentazione contenuta nell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, ma nella disciplina del dlgs 163/2006.

Questo è quanto ha precisato la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto con il parere n. 7/2009, chiarendo una volta per tutte un argomento discusso.
Nel caso in esame il sindaco del comune di Marcon aveva posto il quesito se un comune, privo di avvocatura civica interna e costretto a conferire la rappresentanza in giudizio dell'ente a un avvocato esterno all'amministrazione, dovesse classificare tale incarico tra quelli di collaborazione autonoma, con la conseguenza del suo assoggettamento alla disciplina relativa alle previsioni circa i limiti di spesa, alla comunicazione alla Corte dei conti dei relativi atti d'impegno, alla pubblicazione sul sito web dell'ente ecc. O se piuttosto la fattispecie in esame rientrasse nella categoria 21 «Servizi Legali» di cui all'all. II B del dlgs 163/2006.
L'affidamento del servizio di difesa in giudizio, ad avviso della Sezione Veneto, non può rientrare nella disciplina «lavoristica» del dlgs 165/2001, perché non può configurarsi come incarico di collaborazione professionale.
Infatti, sebbene la nuova disposizione dell'art. 7 del dlgs 30.03.2001, n. 165 che disciplina la «gestione delle risorse umane», consenta di ricorrere a incarichi individuali di natura occasionale e coordinata e continuativa per esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio, l'oggetto della prestazione deve comunque corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione, ad obiettivi e progetti specifici e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità della p.a. che conferisce l'incarico.
Deve essere, poi, preventivamente determinata la durata e il luogo della collaborazione.
Anche l'ulteriore condizione posta per gli enti locali, per la quale le collaborazioni, se non riferite ad attività istituzionali stabilite dalla legge, devono essere previste nel programma approvato dal consiglio ai sensi dell'art. 42, comma 2, del dlgs 18.08.2000, n. 267, non appare compatibile con la natura essenzialmente imprevedibile e difficilmente programmabile a priori di tale tipo di incarichi.
Ad avviso della Sezione, quindi, gli incarichi, inseriti nel contesto della gestione delle risorse umane, intendono riferirsi ad attività temporanee ed altamente qualificate da svolgersi all'interno delle competenze istituzionali dell'ente. In tale categoria non può farsi rientrare l'incarico di rappresentare e difendere in giudizio l'amministrazione trattandosi di affidamento di un'attività non rientrante nei compiti istituzionali dell'ente, ma riguardante il generale potere/dovere di opporsi (o far valere) a eventuali pretese di terzi non prevedibili né riconducibili ad obiettivi o progetti individuati dall'amministrazione.
La fattispecie in questione è più correttamente inquadrabile nella categoria 21 «Servizi Legali» contemplata nell'all. II B del dlgs n. 163/2006 (articolo ItaliaOggi del 14.05.2009, pag. 16).

anno 2008

INCARICHI PROFESSIONALI: Per gli incarichi esterni la gara è la regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza - Procedura comparativa per valutare i curricula dei candidati - Obbligo di prevedere una procedura comparativa per l'attribuzione di incarichi esterni - Necessità di argomentare chiaramente l'accertamento della mancanza di professionalità interne - Esclusione dei servizi tecnici professionali di ingegneria e architettura.

1. L’incarico deve rispondere ai compiti istituzionali dell’Ente o alla programmazione approvata dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che ad una reale ed indifferibile necessità dell’amministrazione.
2. All’interno della propria organizzazione, l’amministrazione deve riscontrare in concreto (cioè con riferimento a precisi parametri quali il numero e la qualificazione professionale dl personale incardinato nel servizio istituzionalmente deputato a quella attività) la carenza, sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico.
3. Criterio generale è che l’incarico a soggetti esterni all’amministrazione deve essere conferito ad “esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria” (articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165, così come novellato da ultimo dall’articolo 46, comma 1, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133).
Tale espressione va interpretata nel senso che “…la specializzazione universitaria deve costituire un imprescindibile elemento di valutazione del livello di professionalità e della particolare specializzazione dell’incaricato…” (Sezione di controllo della Corte dei conti per il Piemonte - parere n. 27 del 14.10.2008), talché potrà prescindersi dalla “comprovata specializzazione universitaria” solo per ipotesi tassative e, cioè, per attività che devono essere svolte da “professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore” (cfr. comma 1, secondo periodo, del citato art. 46 del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.133).
4. E’ necessario prevedere, come criterio generale di assegnazione degli incarichi esterni, una procedura comparativa per la valutazione dei curricula con criteri predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve rappresentare una eccezione, da motivarsi di volta in volta nella singola determinazione di incarico con riferimento all’ ipotesi in concreto realizzatasi, e può considerarsi legittima solo ove ricorra il requisito della “particolare urgenza” connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico, ovvero quando l’amministrazione dimostri di avere necessità di prestazioni professionali tali da non consentire forme di comparazione con riguardo alla natura dell’incarico, all’oggetto della prestazione ovvero alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della procedura comparativa il riferimento a leggi speciali regolanti settori diversi dell’azione amministrativa, quali, ad esempio, i servizi in economia o i lavori pubblici.
A titolo esemplificativo deve conseguentemente rilevarsi che presentano aspetti di non conformità alla ratio legis previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con riferimento ad un compenso “non superiore a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle procedure di selezione facciano riferimento a generiche “circostanze speciali ed eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso in cui la “procedura comparativa sia andata deserta o la selezione dei candidati sia stata infruttuosa”, senza precisare che in tali ipotesi le condizioni previste dall’avviso di selezione non possono essere sostanzialmente modificate dall’amministrazione.
5. La prestazione fornita all’amministrazione deve essere “altamente qualificata”, espressione da intendersi in senso oggettivo quale contenuto della prestazione, che non può essere generica o coincidere con la normale competenza posseduta dai titolari degli organi burocratici.
6. Deve essere verificata la straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, dovendosi, al contrario, escludere la legittimità degli incarichi per soddisfare esigenze ordinarie.
7. L’incarico non può essere generico o indeterminato, ma deve contenere, invece, l’individuazione specifica dei contenuti e dei parametri utili per l’esecuzione dell’incarico. A tal proposito opportuna appare la previsione di una norma regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo, per il responsabile del servizio competente, di formalizzare l’incarico conferito mediante la stipulazione di un disciplinare, inteso come atto contrattuale, in cui siano specificati gli obblighi per il soggetto incaricato ed in particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere carattere temporaneo e predeterminato sin dal provvedimento di conferimento, dovendosi considerare la proroga come evento del tutto eccezionale;
c- le modalità di determinazione del corrispettivo, quantificato secondo criteri di mercato o tariffe e comunque proporzionato alla tipologia, alla qualità ed alla quantità della prestazione richiesta, in modo da perseguire, comunque, il massimo risparmio e la maggiore utilità per l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve essere, comunque, condizionato all’effettiva realizzazione dell’oggetto dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o di risoluzione e/o di clausole ritenute necessarie per il raggiungimento del risultato atteso dall’Ente, con la previsione regolamentare, per il responsabile del servizio competente, di un potere di verifica dell’esecuzione e del buon esito dell’incarico. Conseguentemente, ove i risultati della prestazione non risultino conformi a quanto richiesto dall’amministrazione nel disciplinare d’incarico o siano del tutto insoddisfacenti, appare congruo prevedere la fissazione di un termine per l’integrazione del risultato, o la possibilità per l’amministrazione di risolvere il contratto per inadempimento, ovvero di ridurre proporzionalmente il corrispettivo, ove il risultato parziale risulti di utilità per l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di adempimento della prestazione.
8. Si precisa inoltre che, come più sopra rilevato, l’art. 3, comma 54, della legge 24.12.2007, n. 244, modificando l’articolo 1, comma 127, della legge 662/1996, ha previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito web dell’Ente per i provvedimenti di affidamento di incarico con indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel riportare in sede regolamentare il citato disposto normativo, individuare sia il funzionario responsabile del procedimento, sia il tempo massimo per procedere alla pubblicazione.
9. Si ritiene, altresì, che i suindicati principi regolamentari possano costituire linee guida per la definizione dei criteri e delle modalità per l’affidamento degli incarichi da parte di società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica e/o da parte di società a totale partecipazione pubblica o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
10. La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione degli Enti sulla centralità ed importanza della motivazione di ciascun provvedimento di incarico a soggetti esterni all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo chiaro ed argomentato (e non con motivazioni generiche e/o stereotipate) l’accertamento compiuto dall’Ente circa la reale mancanza di professionalità interne in grado di adempiere all’incarico conferito, nonché l’iter logico-procedimentale che ha portato l’amministrazione all’individuazione del soggetto incaricato ed ogni altro elemento sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento, riscontrato in alcuni regolamenti pervenuti, di disposizioni volte a disciplinare il conferimento di servizi tecnici professionali di ingegneria ed architettura in quanto, tale tipologia di incarichi, rientrante nella materia dei lavori pubblici, trova regolamentazione nella normativa di cui al D.Lgs. 12.06.2006, n. 163 e successive modificazioni (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 18.12.2008 n. 105).

INCARICHI PROFESSIONALIRisponde del danno erariale l'amministratore comunale che affida una consulenza esterna per mere ragioni di "opportunità.
Rispondono del danno erariale gli amministratori di un Comune i quali conferiscono un incarico di consulenza giuridico-fiscale ad un professionista esterno, senza che la relativa decisione sia fornita di un'adeguata motivazione in ordine alla necessità dell'incarico stesso (Corte dei Conti, Sez. giurisd. Veneto, sentenza 02.10.2008 n. 1046 -
link a www.eius.it).

COMPETENZE GESTIONALILa procura alle liti può essere conferita al difensore direttamente dal Sindaco, cui è attribuita la rappresentanza dell’Ente, senza previa autorizzazione della Giunta Municipale, spettando a quest’ultima solo una competenza residuale, per le materie non riservate al Sindaco dalla legge o dallo statuto del Comune interessato; quanto ai poteri del dirigente, disciplinati dall’art. 107 del citato Testo Unico, sembra corretto ritenere che tra essi non rientri in via generale –salvo esplicita previsione statutaria in tal senso– l’autorizzazione a stare in giudizio.
Il Collegio non condivide la tesi della difesa della ... s.p.a., secondo cui, a norma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non sarebbe “la Giunta comunale, bensì…il Dirigente del competente ufficio a dover autorizzare, con propria determina, il Sindaco a promuovere o a resistere ad una determinata lite, a pena della inammissibilità della costituzione in giudizio”.
A quest’ultimo riguardo, infatti, il Collegio stesso non ritiene di doversi discostare dal proprio precedente orientamento (Cons. St., sez. VI, 09.06.2006, n. 3452) –conforme sul punto ad autorevole indirizzo della Cassazione (Cass. SS.UU. nn. 186/2001 e 17750/2002)– secondo cui la procura alle liti può essere conferita al difensore direttamente dal Sindaco, cui è attribuita la rappresentanza dell’Ente, senza previa autorizzazione della Giunta Municipale, spettando a quest’ultima solo una competenza residuale, per le materie non riservate al Sindaco dalla legge o dallo statuto del Comune interessato; quanto ai poteri del dirigente, disciplinati dall’art. 107 del citato Testo Unico, sembra corretto ritenere che tra essi non rientri in via generale –salvo esplicita previsione statutaria in tal senso– l’autorizzazione a stare in giudizio (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.10.2008 n. 4744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Corte conti Calabria sulle spese per patrocini e soccombenze. Comuni, in bilancio le parcelle degli avvocati.
Su patrocini e soccombenze, l'ente locale deve attivare gli scudi. Infatti, i comuni devono prevedere nel bilancio di previsione appositi stanziamenti di spesa per la copertura degli oneri derivanti da competenze da riconoscere ai liberi professionisti per la rappresentanza o il patrocinio dell'ente ovvero di spese scaturenti da risarcimento danni. Ciò in quanto, in sede di formazione del bilancio di previsione l'amministrazione deve presentare un quadro più fedele possibile delle proprie condizioni finanziarie.

Lo ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Calabria, nel testo del parere 30.09.2008 n. 241 con la quale ha fornito opportune precisazioni e chiarimenti in ordine alla corretta esposizione in bilancio delle poste riguardanti le spese inerenti la rappresentanza legale e il patrocinio dell'ente in sede giudiziale.
Il quesito posto dal comune di Laino Borgo (Cs) verteva proprio sulla possibilità di iscrivere, in sede di bilancio di previsione, appositi stanziamenti cui attingere per poter far fronte alle parcelle dei legali o dei professionisti chiamati al patrocinio legale o alla rappresentanza dell'ente ovvero per sopperire a possibili oneri correlati a procedimenti giudiziari pendenti.
La Corte calabra ha quindi precisato che innanzitutto è lo stesso Tuel (all'articolo 151) che sancisce l'obbligo di integrità e veridicità del bilancio di previsione. Questo significa che tutte le spese, anche quelle di minima entità, devono essere attendibili e rispecchiare le reali condizioni finanziarie in cui l'amministrazione locale verrà a trovarsi nell'esercizio.
Ne consegue che l'amministrazione deve presentare un quadro delle condizioni finanziarie che sia il più attendibile possibile. Pertanto, le spese che sono imputabili a titolo di oneri legali ovvero di risarcimento danni, devono trovare allocazione nello stato di previsione del bilancio annuale e, per gli enti che sono tenuti a redigerlo, anche nel bilancio pluriennale.
La Corte comunque fornisce anche una diversa possibilità. Se, infatti, al momento della formazione del bilancio gli oneri di cui si tratta non possono essere previsti nella misura necessaria, perché, per esempio, mancano precisi elementi indicativi, l'amministrazione può sopperire utilizzando il fondo di riserva ex articolo 166 del Tuel. A tal fine, si potrà pertanto dimensionare lo stanziamento del predetto fondo, con le possibili somme derivanti dalle competenze per i patrocini e per le soccombenze. Ovviamente, secondo quanto prescrive lo stesso testo unico, entro il limite massimo del 2% del totale delle spese correnti.
A rafforzare la necessità di dotarsi di uno stanziamento di spesa che possa coprire le eventuali soccombenze, la Corte rileva come non di rado può succedere che il tesoriere dell'ente provveda direttamente al pagamento forzato di una somma prima che l'ente emetta il mandato, come nel caso di provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima si sostituisce all'amministrazione, la quale deve provvedere «tempestivamente» alla regolazione contabile. Regolazione che necessiterà di una variazione di bilancio se l'amministrazione «non ha oculatamente provveduto allo stanziamento in sede di formazione del bilancio di previsione».
In conclusione, si legge nel testo del parere, è demandata alle valutazioni dell'ente l'opportunità di effettuare un accertamento preventivo in previsione di una possibile soccombenza dell'ente. Ma, al contempo, si suggerisce di non sovradimensionare lo stanziamento dell'importo, in quanto così operando si riducono le risorse destinate al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente stesso (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2008, pag. 39).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Limbiate (Mi) “sulla legittimità della liquidazione di onorari a favore di un collegio di difensori in misura superiore a quanto stabilito in sentenza (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 12.09.2008 n. 64 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Per scegliere il legale serve la gara. Illegittimo affidare l’incarico senza una procedura selettiva. Il Tar Campania ha accolto il ricorso di un avvocato. Il conferimento spetta al dirigente.
È da considerarsi illegittima la deliberazione con la quale la giunta comunale ha conferito l’incarico di patrocinio e consulenza legale dell’ente a un avvocato, senza l’indizione di una procedura selettiva.
È quanto ha precisato, con la
sentenza 21.05.2008 n. 4855, il TAR Campania-Napoli Sez. II, accogliendo il ricorso di un avvocato che aveva spontaneamente presentato il proprio curriculum vitae, impegnandosi, peraltro, a svolgere l’incarico per un importo inferiore ... (articolo ItaliaOggi del 30.05.2008, pag. 20).

INCARICHI PROFESSIONALIIl Comune deve effettuare una selezione pubblica per il conferimento di un incarico di patrocinio e consulenza legale.
I principi costituzionali di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione ed  i principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, pubblicità e proporzionalità risultano recepiti dall’art. 7, commi 6 e ss., del dlgs. n. 165/2001 successivamente modificato, il quale stabilisce che “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
Tra le “pubbliche amministrazioni” rientrano anche i Comuni e tali principi impongono la predisposizione di un bando o avviso pubblico e la previa individuazione di criteri obiettivi per la valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura di valutazione comparativa dei curricula presentati nonché l'obbligo di motivare congruamente la scelta, onde consentire il controllo sull’imparzialità della procedura (TAR Campania, Sezione II,
sentenza 21.05.2008 n. 4855 - link a www.litis.it).

INCARICHI PROFESSIONALIENTI LOCALI – INCARICHI DI COLLABORAZIONE – CONFERIMENTO – DISCIPLINA – ART. 7 D.LGS. N. 165/2001 ss.mm. – INCARICO DI PATROCINIO E CONSULENZA LEGALE DELL’ENTE A PROFESSIONISTA ESTERNO – CONFERIMENTO IN VIA DIRETTA SENZA PROCEDURA SELETTIVA – DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA – ILLEGITTIMITÀ.
È illegittima -per violazione del principio costituzionale di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e dei principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, pubblicità e proporzionalità- la deliberazione con la quale la Giunta comunale ha conferito l’incarico di patrocinio e consulenza legale del Comune, in sede amministrativa e civile, di durata annuale, a professionista esterno, nel caso in cui l’ente abbia conferito in via diretta l’incarico senza indire una procedura selettiva e senza valutare in alcun modo le istanze, con allegato curriculum, presentate.
I summenzionati principi di derivazione comunitaria e l’esigenza di rendere più concorrenziali gli assetti di mercato, oltre che di contenere i livelli di spesa pubblica, che hanno ispirato la nuova normativa (cfr. Preambolo e art. 1 del D.L. n. 223 del 2006 - c.d. decreto Bersani), impongono la predisposizione di un bando o avviso pubblico, la previa individuazione di criteri obiettivi per la valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura di valutazione comparativa dei curricula presentati nonché l’obbligo di motivare congruamente la scelta, onde consentire il controllo sull’imparzialità della procedura (TAR Campani-Napoli, Sez. II, sentenza 21.05.2008 n. 4855 - link a www.mediagraphic.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Modalità conferimento incarico ad un avvocato.
1) Pare sia preferibile procedere all'individuazione del professionista cui affidare la difesa legale dell'ente in giudizio mediante apposita procedura pubblica.
2) Il conferimento dell'incarico di rappresentanza in giudizio non è soggetto alle norme di cui all'art. 3, commi 55-57, della finanziaria 2008.

Il Comune chiede di conoscere un parere in merito a quali siano le modalità di affidamento di un incarico ad un avvocato, nel caso in cui l'ente debba intraprendere un'azione ovvero resistere in giudizio.
Il quesito posto attiene alla più ampia tematica dell'inquadramento giuridico degli incarichi professionali da cui discende, poi, l'individuazione della procedura da adottare per l'affidamento dell'incarico stesso.
Il tema, si è, di recente, riacceso, stante le disposizioni legislative introdotte con la legge 24.12.2007, n. 244 che, all'articolo 3, commi 55-57, pone delle specifiche incombenze agli enti locali in materia di affidamenti di incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenze, nonché di incarichi di collaborazione.
In generale si tratta di definire se gli incarichi professionali si configurino come contratti di prestazione d'opera ovvero come appalto.
Entrambe le tesi sono sostenute sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Infatti, un primo orientamento
[1] afferma che la disciplina degli 'incarichi professionali' sia soggetta alla normativa di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, essendo gli stessi nient'altro che prestazioni di servizi e considerato, altresì, che il D.Lgs. 163/2006 espressamente li menziona negli allegati IIA e IIB.
In particolare si rileva come la distinzione, esistente nell'ordinamento italiano interno, tra imprenditore
[2] e libero professionista [3] sia stata profondamente modificata a seguito della ricezione, nell'ordinamento italiano, della nozione di imprenditore formulata dall'ordinamento europeo. Quest'ultima mette in discussione seriamente la configurazione degli articoli 2222-2238 del Codice civile come norme che regolano una fattispecie lavorativa tipica, a metà strada tra l'attività di impresa ed il lavoro subordinato, quale la professione d'opera, per attrarla definitivamente nell'ambito del vero e proprio appalto di servizi.
Si osserva, infatti, come, l'art. 3, comma 19, del D.Lgs. n. 163/2006 specifica che ''I termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica, o una persona giuridica, [...] che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi.'.
Ciò che conta, allora, è la presenza del soggetto nel mercato aperto: imprenditore è chi offre prestazioni di servizi ad un parco potenzialmente indefinito di committenti, reperiti sul mercato aperto, offrendo le proprie capacità, a prezzi convenienti.
Il codice dei contratti, nella sostanza, si presenterebbe come ordinamento 'concorrente' con il decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 nella regolamentazione dei rapporti di lavoro autonomo con le amministrazioni pubbliche.
Diretta conseguenza di una tale impostazione è che l'affidamento di tali incarichi non potrebbe prescindere dal rispetto delle procedure concorsuali o quanto meno para-concorsuali.
Afferma al riguardo certa dottrina
[4] che: 'Il fatto che prestazione d'opera e appalto, civilisticamente, siano distinti non rileva [5], in quanto la prestazione d'opera è assimilata all'appalto ai fini della normativa pubblica in materia di assegnazione dei contratti della p.a., con scopi diversi, cioè di assicurare la concorrenza (mediante l'evidenza pubblica) anche in tale settore.........è ben presente la possibilità (ricorrente nelle prestazioni intellettuali) che le specifiche di queste ultime non possano essere stabilite dalle stazioni appaltanti con sufficiente precisione perché possano essere aggiudicate selezionando l'offerta migliore in base alle norme delle procedure aperte o ristrette. Ciò, pur tuttavia, non legittima l'affidamento diretto, ma l'attivazione di una procedura negoziata tra più concorrenti, preceduta dalla pubblicazione di un bando'.
Con specifico riferimento alle modalità di affidamento dell'incarico professionale, pertanto, secondo tale impostazione, lo stesso non potrebbe avvenire sulla base della sola valutazione di idoneità di un candidato, dando rilievo unicamente al requisito fiduciario.
Il riferimento alla scelta 'eminentemente fiduciaria', infatti, che giustificherebbe l'affidamento non in base alla disciplina degli appalti di servizi, si fonda su una decisione della Cassazione risalente, del 1998, quando la giurisprudenza, in particolare proprio quella amministrativa, non aveva ancora sviluppato l'orientamento divenuto consolidato e pacifico dopo il 2001, secondo il quale tutte le prestazioni di servizi, anche intellettuali, sono soggette a procedure quanto meno para-concorsuali. Con esclusione pressoché assoluta del criterio solo fiduciario, contrario ai principi di trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa, i quali impongono la piena sindacabilità delle scelte amministrative, sulla base di una chiara motivazione delle scelte compiute.
[6]
Quanto alla giurisprudenza, in questo senso il TAR Puglia
[7] afferma che: 'L'art. 32 della L. 248/2006, recante la conversione in legge del D.L. 223/2006, dopo aver stabilito precisi limiti al conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. di cui al D.Lgs 165/2001, impone che il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (quindi non si tratta di incarichi che possono essere conferiti intuitu personae)'.
Passando, ora, al diverso orientamento secondo il quale gli incarichi professionali andrebbero ascritti tra i contratti di prestazione d'opera e, come tali, non rientranti nell'ambito applicativo della disciplina degli appalti pubblici, si afferma come 'il modello di produzione del servizio nell'ambito dell'incarico professionale (tradotto nel contratto di prestazione d'opera) è caratterizzato dalla personalità della prestazione e da un'obbligazione di risultato. Ben diverso è il caso in cui l'amministrazione intenda acquisire prestazioni più articolate, rese da soggetti con organizzazione strutturata, prodotte senza caratterizzazione personale e con obbligazione di mezzi. [...] l'affidamento non è sottoposto alle regole degli appalti, poiché questi si distinguono dal contratto di prestazione d'opera in quanto l'appaltatore deve essere una media o grande impresa'
[8].
A sostegno di questa linea interpretativa si è espresso, di recente, il Consiglio di Stato, il quale, nella sentenza del 29.01.2008, n. 263
[9], ha affermato che: 'Il conferimento di un incarico professionale di consulenza per gli aspetti geologici nell'ambito della redazione di un piano urbanistico e di un regolamento edilizio non rientra né nell'ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi invero di un'attività professionale -qualificata locatio operis- riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista, né in quella degli appalti di servizi (non rinvenendosi i caratteri propri dell'appalto di servizio ex art. 1655 cod. civ. ed art. 3 del decreto legislativo 17.03.1995, n. 157, giacché l'appalto si distingue dal contratto d'opera in quanto l'appaltatore deve essere una media o grande impresa); trattandosi invece di incarico fiduciario, non occorre per il suo conferimento una procedura ad evidenza pubblica'.
Da ultimo si segnala un ulteriore orientamento dottrinario
[10] che distingue, all'interno dei servizi legali, quelli che comportano il conferimento di incarichi per 'prestazioni di servizi legali' dall'incarico di difesa in giudizio.
I primi consisterebbero in un complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, oppure dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero predeterminato di pareri legali. Tali servizi, qualora siano oggetto di affidamento, dovranno essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata.
Qualora, invece, l'oggetto dell'affidamento sia unicamente il patrocinio giudiziale nell'ambito di una specifica vertenza, si sarebbe fuori dall'ambito di applicazione del codice dei contratti.
Il patrocinio in giudizio vero e proprio, non accompagnato da altri servizi legali, resterebbe una prestazione professionale specifica, non considerata dal codice dei contratti, e rientrante esclusivamente nella disciplina normativa regolante la professione.
In questo caso l'ente potrebbe procedere ad un affidamento anche diretto al singolo professionista, sulla base di valutazioni anche influenzate dall'intuitu personae, tenendo sempre conto che la fiducia rimane, prevalentemente, tecnica e, dunque, legata alla competenza professionale dimostrata dal legale che si incarica.
A conclusione di quanto sopra esposto, e con specifico riferimento al quesito posto, relativo all'affidamento di un incarico ad un legale limitato alla solo patrocino giudiziale, pare a chi scrive che l'orientamento da ultimo esposto, benché, in linea teorica, condivisibile, sia contestato da alcune pronunce giurisprudenziali.
Al riguardo significativa, in quanto relativa proprio all'affidamento di un incarico di assistenza legale da parte di un ente locale, è la sentenza emessa dal TAR Calabria, in data 04.05.2007
[11], la quale recita che l'affidamento di detto incarico non può avvenire in assenza di un bando o un invito, in quanto deve scaturire da una valutazione comparativa dei curricula presentati dai candidati e deve essere necessariamente preceduto da una adeguata pubblicità dell'avviso contenente i criteri di valutazione, dai quali deve emergere l'iter logico con la motivazione che ha comportato la scelta.
In particolare, la sentenza, citando altra giurisprudenza conforme
[12], afferma che: 'La procedura finalizzata all'aggiudicazione di un appalto di servizi, anche per gli appalti di servizi sotto soglia, è soggetta, in fase di individuazione del contraente privato, a regole comunitarie quali la trasparenza, la non discriminazione e la pubblicità delle procedure'.
Alla luce di un tanto sembrerebbe preferibile procedere all'individuazione del professionista mediante una procedura pubblica.
In particolare, normativa di riferimento sarebbe la legge regionale 30.04.2003, n. 12, la quale all'articolo 4, prevede che i contratti di appalto di servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario possono essere stipulati con contraenti scelti mediante procedura negoziata qualora trattasi di servizi il cui valore stimato sia di importo non inferiore a 20.001 euro e non superiore a 200.000 euro al netto dell'IVA, previo esperimento di gara ufficiosa tra un numero di imprese non inferiori a cinque. Per i servizi il cui valore stimato sia di importo inferiore a 20.000 euro al netto di IVA, si prescinde dall'espletamento della gara ufficiosa
[13].
Per quanto riguarda l'assoggettabilità di un incarico come quello in oggetto alla disciplina introdotta con la legge 244/2007, l'ANCI, in un recente parere
[14], ha fornito risposta negativa.
A sostegno della tesi per cui gli incarichi di rappresentanza in giudizio non sono da ricomprendere tra gli incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenza, si era già pronunciata la Corte dei conti, con la delibera 15.02.2005, n. 6, la quale nell'individuare quali atti di conferimento rientrassero nella disciplina di cui alla legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), aveva escluso espressamente 'la rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell'amministrazione'. La motivazione di una tale esclusione risiede nel fatto che si tratta di incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell'amministrazione.
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[1] L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni non sono prestazioni personali, ma veri e propri appalti, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it.
[2] Inteso come soggetto che organizza a scopo di lucro capitale, risorse umane e strumentali.
[3] Inteso come colui che pone in essere la locatio operis, cioè si impegna a conseguire risultati operativi, in assenza, tuttavia, di un'organizzazione tipicamente imprenditoriale, avendo prevalenza la sua capacità lavorativa, anche di tipo intellettuale.
[4] M. Greco 'L'art. 24 della finanziaria (289/2002) si applica anche agli incarichi professionali...', in www.appaltiecontratti.it: la presente dottrina viene riportata, in quanto ritenuta rilevante per il principio che essa enuncia di 'assimilazione', a determinati fini, tra appalto di servizi e prestazione d'opera, prescindendo, quindi, dal riferimento legislativo che essa reca.
[5] Per le differenze tra appalto e contratto d'opera, riguardanti la maggiore struttura e organizzazione del primo (li accomuna, invece, l'assunzione di rischio dell'esecutore e la mancanza di subordinazione), si vedano C. Cass. sent. 7606/1999 e sent. 5451/1999.
[6] In questo senso L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni non sono prestazioni personali, ma veri e propri appalti, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it
[7] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 19.02.2007, n. 494.
[8] A. Barbiero, 'Consulenze e collaborazioni sono prestazioni personali', in il Sole 24 Ore, del 18.02.2008.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 29.01.2008, n. 263, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it
[10] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione', consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[11] TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza del 04.05.2007, n. 330.
[12] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 25.10.2006, n. 5053.
[13] Sarebbe opportuno, ad ogni buon conto, considerato il complesso quadro normativo di riferimento e gli orientamenti emersi anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 165/2001, che, anche nell'ipotesi di servizi il cui valore stimato sia di importo inferiore ai 20.000 euro, fossero previste e garantite procedure comparative. In questo senso, si veda nostro parere del 22.12.2006 (Prot. n. 21242/1.3.16) consultabile sul seguente sito internet: http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri
[14] ANCI, parere del 14.02.2008, consultabile sul seguente sito internet: www.ancitel.it
(29.02.2008 - link a www.regione.fvg.it).

anno 2007

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALILa giurisprudenza ha statuito che ai fini dell'equiparazione di fronte ai terzi, ex art. 46 c.c., della sede effettiva della persona giuridica alla sede legale, deve intendersi per sede effettiva il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'Ente e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi: si tratta in buona sostanza del luogo deputato o stabilmente utilizzato per lo svolgimento dei rapporti interni e con i terzi, in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'Ente stesso.
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La rappresentanza in giudizio del Comune (o della Provincia) spetta in via generale al Sindaco (o al Presidente), e tuttavia lo Statuto dell’Ente può attribuire la rappresentanza stessa ai dirigenti nell’ambito dei rispettivi settori di competenza.
Anche la Corte di Cassazione ha affermato che lo Statuto può legittimamente affidare ai dirigenti la potestà di stare in giudizio per conto dell’Ente nell'ambito delle rispettive aree di riferimento –quale espressione del potere gestionale loro proprio– mentre qualora una specifica previsione statutaria non sussista il Sindaco ed il Presidente della Provincia restano i soli soggetti titolari del potere di rappresentanza processuale, ai sensi dell'art. 50 del T.U.E.L..

L’eccezione è infondata.
1. E’ pur vero che una parte della giurisprudenza ritiene che la notifica del ricorso fatta ad un Comune presso una direzione centrale (o presso altra articolazione organizzativa) nella persona del dirigente pro tempore –anziché al Comune nella persona del Sindaco, legale rappresentante dell’Ente, presso la sua sede– violi la regola stabilita dall’art. 145 c.p.c. in tema di notificazione di atti giudiziari alle persone giuridiche (Consiglio di stato, sez. V – 25/01/2005 n. 155).
Peraltro va rilevato in linea generale che l’art. 46, comma 2, del c.c. stabilisce testualmente, con riferimento alle persone giuridiche, che nei casi in cui la sede stabilita è “diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima”.
Orbene, la giurisprudenza ha statuito che ai fini dell'equiparazione di fronte ai terzi, ex art. 46 c.c., della sede effettiva della persona giuridica alla sede legale, deve intendersi per sede effettiva il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'Ente e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi: si tratta in buona sostanza del luogo deputato o stabilmente utilizzato per lo svolgimento dei rapporti interni e con i terzi, in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'Ente stesso (Corte di Cassazione, sez. I – 18/01/1997 n. 497; TAR Umbria – 02/10/2000 n. 769).
Nella specie va detto che il dirigente responsabile della procedura d’appalto in esame è il titolare dell’area organizzativa ubicata nella sede staccata di Via Don Maraglio n. 4, e dagli uffici ivi dislocati viene esercitata l’attività amministrativa che contempla anche i rapporti con i soggetti terzi.
E’ noto il principio guida di netta separazione tra le funzioni di indirizzo spettanti agli organi di direzione politica e le attribuzioni gestionali demandate ai dirigenti: i primi, infatti, fissano “a monte” le linee generali dell’azione amministrativa mediante l’adozione di direttive e l’elaborazione di programmi ed al contempo esercitano “a valle” il controllo sull’attività svolta e sul raggiungimento degli obiettivi prestabiliti; i secondi assumono tutte le iniziative a rilevanza esterna esplicando autonomi poteri di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa (cfr. sentenza Sezione n. 1151 del 05/10/2004).
L’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 30/03/2001 n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” recita testualmente: “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa della gestione e dei relativi risultati.” Analoga disposizione è stata adottata dal legislatore all’art. 107 del D.Lgs. 18/08/2000 n. 267 (Testo unico delle autonomie locali) il cui comma 3, lett. a), puntualizza che è attribuita ai dirigenti, tra l’altro, “la presidenza delle commissioni di gara e di concorso” e “la responsabilità delle procedure di appalto e di concorso”.
Presso l’amministrazione provinciale il dirigente dell’area gestione del territorio e infrastrutture compie l’attività amministrativa dell’unità operativa di cui è titolare, e coordina tutte le operazioni necessarie instaurando rapporti con i terzi direttamente vincolanti per l’Ente di appartenenza.
A riprova di ciò è stato correttamente rilevato dalla ricorrente che la lettera di trasmissione degli atti richiesti in copia reca l’intestazione della Provincia di Mantova –Area gestione territorio e infrastrutture servizio trasporti– Via Don Maraglio n. 4 (cfr. doc. 7 ricorrente). Allo stesso modo il disciplinare di gara (cfr. doc. 2 controinteressata) racchiude la medesima informazione nella parte in cui riporta la denominazione della stazione appaltante. Parimenti il verbale delle operazioni di gara del 07/07/2006 contempla la medesima statuizione nel preambolo che dà conto della riunione in seduta riservata della commissione.
Se è pur vero che in altri documenti viene citata la sede di Via Principe Amedeo, ciò non esclude che anche la sede staccata di Via Don Maraglio n. 4 –ove è dislocata ed opera l’unità organizzativa– possa qualificarsi come sede effettiva.
2. L’impostazione delineata è avvalorata da un elemento ulteriore, ossia dalla circostanza che l’art. 42 dello Statuto provinciale –pubblicato sul B.U.R.L. serie straordinaria inserzioni n. 51/1 del 16/12/2002– al comma 1 stabilisce che “Fermo il generale potere di rappresentanza istituzionale assegnato al Presidente della Provincia dalla legge, secondo il modello di riparto delle competenze previsto dall’ordinamento giuridico e dal presente statuto, rientrano nell’ambito delle competenze gestionali dirigenziali anche quelle concernenti il contenzioso, la promozione e la resistenza alle liti, nelle materie di rispettiva competenza, con il potere di rappresentare l’amministrazione in giudizio e di transigere le controversie”; il successivo comma 2 precisa che “La rappresentanza processuale, compresa la possibilità di conciliare, transigere e rinunciare agli atti spetta al Presidente in caso di contenziosi riguardanti atti emanati dagli organi di governo di indirizzo politico- amministrativo propri della giunta o dello stesso Presidente, o in caso di azioni giudiziali a tutela o difesa dell’immagine e del ruolo istituzionale dell’ente e dei suoi apparati”.
E’ chiaro dunque che la Provincia ha affidato ai dirigenti, nelle materie di competenza, anche il potere di rappresentanza processuale, in linea con il recente indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la rappresentanza in giudizio del Comune (o della Provincia) spetta in via generale al Sindaco (o al Presidente), e tuttavia lo Statuto dell’Ente può attribuire la rappresentanza stessa ai dirigenti nell’ambito dei rispettivi settori di competenza (Consiglio di Stato, sez. V – 07/09/2007 n. 4721).
Anche la Corte di Cassazione ha affermato che lo Statuto può legittimamente affidare ai dirigenti la potestà di stare in giudizio per conto dell’Ente nell'ambito delle rispettive aree di riferimento –quale espressione del potere gestionale loro proprio– mentre qualora una specifica previsione statutaria non sussista il Sindaco ed il Presidente della Provincia restano i soli soggetti titolari del potere di rappresentanza processuale, ai sensi dell'art. 50 del T.U.E.L. (cfr. Corte di Cassazione, sez. unite civili – 16/06/2005 n. 12868).
In definitiva, poiché presso la Provincia di Mantova i dirigenti hanno la rappresentanza processuale generale nei settori di appartenenza, deve qualificarsi come rituale la notifica del ricorso presso la sede staccata dell’amministrazione ove il dirigente agisce al vertice della propria unità organizzativa (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.12.2007 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere in ordine all’ammissibilità di sottoposizione al Consiglio comunale di proposte di deliberazioni di riconoscimento debiti fuori bilancio per la liquidazione di parcelle di professionisti legali, risultando insufficiente l’impegno di spesa assunto contestualmente al conferimento dell’incarico (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 18.07.2007 n. 9 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale, il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune.
Il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune.

La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale (che ha emanato l’atto impugnato con il ricorso giurisdizionale), il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune e con apposita norma statutaria (cfr. art. 6, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, ai sensi del quale spetta allo Statuto stabilire, tra l’altro, “i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’Ente, anche in giudizio”) può essere stabilito che la decisione di promuovere o resistere ad una lite giudiziaria può essere attribuita (anziché alla Giunta Comunale) ai competenti Dirigenti comunali, come già previsto per i Dirigenti statali dall’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 29/1993 (vedi ora l’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 165/2001), ma il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune (TAR Basilicata, sentenza 12.06.2007 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIRAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO DEL COMUNE ESCLUSIVAMENTE DEL SINDACO.
In base all'ordinamento degli Enti locali (v. gli artt. 6, 50 e 107 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267), la rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante dell'ente e non già al dirigente, al quale è riservato unicamente il potere di promuovere le liti che interessano l'ente, con compiti di rappresentanza sostanziale.
In particolare il TAR salentino ha rilevato un vizio nella deliberazione di conferimento dell'incarico difensivo al difensore dell'Amministrazione comunale che, a dire del G.A., sarebbe stata rilasciata da soggetto incompetente, sì da determinare una pretesa irritualità della attività difensiva svolta dal difensore.
A parere di chi scrive trattasi di assunto che si discosta dai più recenti ed autorevolissimi arresti cui sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno ripetutamente affermato, con riferimento alla rappresentanza in giudizio dei comuni che "lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all'intero contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria" (Cassazione civile, Sez. Un., 27.06.2005, n. 13710).
Tale è stata appunto la scelta effettuata dall'A.C. con gli artt. 58 e ss. dello Statuto comunale (che attribuiscono alla sfera dirigenziale tale competenza) che la determinazione 21/05/2001 n. 418 espressamente richiamava; così come richiamava la deliberazione 03/05/2001 della Giunta comunale, rispetto alla quale la già citata determinazione dirigenziale si dichiarava conforme (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.01.2007 n. 161 - link a www.filodiritto.com).

anno 2006

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Oliveri, La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione (dicembre 2006 - link a www.lexitalia.it).

anno 2005

COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI PROFESSIONALILa rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale.
Il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
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La proposizione di appello giurisdizionale, da parte del sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, necessita la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
Invero, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari.

Né ha alcun fondamento la tesi dell’appellato, secondo la quale la notifica sarebbe rituale, perché il vigente (anche all’epoca in cui il ricorso è stato proposto) statuto comunale attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione siffatta -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale (cfr., tra le sentenze più recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004 n. 10787)- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio, con il precedente invocato a sostegno di detta argomentazione (Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n. 19380) è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2005 n. 155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: A prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione statutaria secondo cui si attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
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Per quanto concerne l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari.

La notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è, infatti, avvenuta, come si è appena visto, al Comune di Roma presso il II Dipartimento Ufficio Contravvenzioni, nella persona del dirigente pro tempore, anziché al Comune di Roma -nella persona del sindaco, legale rappresentante dell’ente- presso la sua sede, e, pertanto, in difformità da quanto disposto dall’art. 145 c.p.c. per le notifiche alle persone giuridiche.
Né ha alcun fondamento la tesi dell’appellato, secondo la quale la notifica sarebbe rituale, perché il vigente (anche all’epoca in cui il ricorso è stato proposto) statuto comunale attribuisce ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti.
Invero, a prescindere dalla dubbia legittimità di una disposizione siffatta -considerato che, secondo un fermo orientamento della Corte di Cassazione, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al Sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così preveda lo statuto comunale (cfr., tra le sentenze più recenti, Cass. civ., Sez. Trib., 07.06.2004 n. 10787)- il riconosciuto potere dei dirigenti di promuovere o resistere alle liti riguarda la loro legittimazione processuale e non già la rappresentanza dell’ente, che è l’elemento rilevante in materia di notifica degli atti.
Per quanto concerne, poi, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per essere stato proposto dal sindaco senza la previa delibera del competente dirigente comunale, si deve convenire che, al riguardo, non solo da questo Consiglio, con il precedente invocato a sostegno di detta argomentazione (Sez. IV, 05.07.1999 n. 1164), ma, in epoca più recente, anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 17.12.2003 n. 19380) è stato affermato che occorre la previa determinazione del dirigente in ordine alla opportunità di promuovere una lite o resistere in giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel vigore dell’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18.08.2000 n. 267, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell’attribuzione al medesimo del potere di determinazione -in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale- in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che tale determinazione non appartiene all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo generale del Comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell’amministrazione ed esclusivo rappresentante dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2005 n. 155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

COMPETENZE GESTIONALI: Il ricorso per Cassazione deve essere considerato ammissibile. Esso è stato proposto dal Sindaco pro-tempore previa delibera del dirigente degli affari legali, organo tecnico preposto alla valutazione di proponibilità del ricorso stesso.
E’ noto che, a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001, sono state apportate innovazioni in materia di decentramento amministrativo e di poteri degli organi amministrativi locali. Mentre appartiene al Sindaco ed alla Giunta l’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, il dirigente è preposto all’attuazione dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la valutazione di opportunità e di proponibilità della proposizione di un ricorso per Cassazione contro una decisione della Commissione tributaria regionale non appartiene all’indirizzo amministrativo generale del Comune, ma alla gestione del singolo caso.
Nella fattispecie, la determinazione del dirigente degli affari legali assume il carattere di una proposta e di una valutazione tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal Sindaco, quale capo dell’Amministrazione e rappresentante pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari. Appare evidente che il regolamento generale delle entrate comunali, emanato nel 1999, è superato quanto alla necessità di delibera della Giunta per proporre ogni singolo ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione considera tuttora il Sindaco come legale rappresentante pro-tempore del Comune per quanto attiene alla capacità di stare in giudizio, previa delibera della Giunta, mentre il dirigente amministrativo degli affari legali è configurabile quale organo tecnico deputato a proporre ogni iniziativa giudiziaria, apparendo incongruo che detto dirigente “autorizzi” il Sindaco a stare in giudizio.
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DIRITTO

Deve essere preliminarmente presa in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta per la prima volta dalla difesa del C.Z.A.I. di Verona con la discussione orale e relative “note di udienza”. Il Consorzio resistente deduce che la delibera intesa alla proposizione del ricorso per Cassazione doveva essere assunta dalla Giunta Comunale e non per determinazione del dirigente del settore affari legali del Comune.
6. L’eccezione è infondata e il ricorso per Cassazione deve essere considerato ammissibile. Esso è stato proposto dal Sindaco pro-tempore previa delibera del dirigente degli affari legali, organo tecnico preposto alla valutazione di proponibilità del ricorso stesso. E’ noto che, a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 165/2001, sono state apportate innovazioni in materia di decentramento amministrativo e di poteri degli organi amministrativi locali. Mentre appartiene al Sindaco ed alla Giunta l’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, il dirigente è preposto all’attuazione dell’indirizzo amministrativo. Orbene, la valutazione di opportunità e di proponibilità della proposizione di un ricorso per Cassazione contro una decisione della Commissione tributaria regionale non appartiene all’indirizzo amministrativo generale del Comune, ma alla gestione del singolo caso.
Orbene, in questo caso la determinazione del dirigente degli affari legali assume il carattere di una proposta e di una valutazione tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal Sindaco, quale capo dell’Amministrazione e rappresentante pro-tempore dell’ente locale dinanzi agli organi giudiziari. Appare evidente che il regolamento generale delle entrate comunali, emanato nel 1999, è superato quanto alla necessità di delibera della Giunta per proporre ogni singolo ricorso.
7. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione considera tuttora il Sindaco come legale rappresentante pro-tempore del Comune per quanto attiene alla capacità di stare in giudizio, previa delibera della Giunta, mentre il dirigente amministrativo degli affari legali è configurabile quale organo tecnico deputato a proporre ogni iniziativa giudiziaria, apparendo incongruo che detto dirigente “autorizzi” il Sindaco a stare in giudizio.
8. Per vero, Cass. 11.05.2001, n. 6546, cui la difesa del C.Z.A.I. di Verona ha fatto riferimento, mentre afferma il principio che solo il Sindaco può stare in giudizio ed è necessaria la delibera della Giunta, fa carico al Comune di produrre lo Statuto, “alla cui sola stregua si sarebbe potuta ipotizzare la potestà autorizzatoria”, lasciando intendere come sulla base dello statuto comunale o dei relativi regolamenti sia possibile conferire al dirigente il potere di proporre se stare in giudizio nelle liti passive.
Cassazione 05.04.2002, n. 4845 ritiene che la rappresentanza del Comune spetta in via primaria al Sindaco, ma i dirigenti di Uffici generali possono essere incaricati di promuovere le liti e resistervi, mediante trasposizione nello statuto comunale o in un regolamento della norma secondo la quale i dirigenti stanno in giudizio per il Comune.
9. Ed è quanto operato dal Comune di Verona, il quale col proprio statuto -art. 80, comma 4- ha attribuito alla dirigenza la funzione di gestione amministrativa, nella quale deve essere ricompresa anche la delibera-proposta al Sindaco di resistere ad un ricorso in materia tributaria.
Vale la pena di puntualizzare che, nel caso di specie, sta in giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione il Sindaco e che la questione si pone unicamente in ordine all’atto presupposto, vale a dire alla delibera preliminare alla proposizione del ricorso per Cassazione, laddove nei casi sopra ricordati si poneva (anche) la questione se il Comune potesse essere rappresentato in giudizio dal dirigente.
10. Non risultano utilizzabili nel caso di specie i precedenti di questa Corte 10.02.2003, n. 1949 e 26.02.2003, n. 2878, nei quali la sez. III ha ritenuto che la legittimazione a rappresentare il Comune in giudizio spetti al Sindaco, al vice-sindaco in caso di suo impedimento e al Segretario generale in caso di delega del Sindaco o di attribuzione per statuto o regolamento: infatti non si discute della rappresentanza in giudizio del Comune da parte del Sindaco (che in questo caso è costituito in giudizio quale legale rappresentante pro-tempore dell’ente) ma della delibera preliminare.
Lo stesso è a dirsi per la sentenza n. 2878/2003, la quale si occupa della legittimazione a stare in giudizio -per negarla in capo al dirigente- ma non della delibera preliminare. Può quindi passarsi all’esame del merito. ... (Corte di Cassazione, Sez. civile, sentenza 17.12.2003 n. 19380).