dossier CERTIFICATO DI
DESTINAZIONE URBANISTICA |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di destinazione urbanistica,
redatto dal pubblico ufficiale, “è atto meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano,
effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti,
i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata
con il certificato; se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e,
dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la
conseguenza che la domanda di risarcimento del danno
derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato
non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo”.
Pertanto, nel rilascio di un certificato urbanistico, il
Comune esplica un’attività indubbiamente certativa, ma non
integrante l’esercizio di un “potere” amministrativo
rilevante ai fini della giurisdizione in ordine al
risarcimento del danno: a tali fini, l’esercizio del potere
viene in rilievo quale presupposto che (tramite l’adozione
di atti o comportamenti) consente all’Amministrazione di
definire l’assetto di interessi, producendo quindi effetti
nella sfera giuridica del destinatario in via unilaterale (o autoritativa).
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Con l’ordinanza nr. 9203/2023, il Collegio ha sollevato d’ufficio un
dubbio relativo alla giurisdizione, che parte ricorrente,
con apposita memoria, ha affermato sussistere, argomentando
circa il fatto che il rilascio di un certificato urbanistico
errato non costituirebbe un “mero” comportamento dell’Ente,
ma sarebbe da ricondurre pur sempre all’esercizio di un
potere (certificativo) della PA, con conseguente radicamento
della domanda di risarcimento di fronte al G.A.;
soccorrerebbero la tesi delle ricorrenti un precedente
specifico (TAR Napoli, Sez. II, 29.12.2020, n. 6451) ed i
principi di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria nr. 20
del 29.11.2021 (secondo la quale vanno ricondotte alla
giurisdizione del giudice amministrativo tutte quelle
ipotesi nelle quali il risarcimento richiesto dipenda da
comportamenti i quali costituiscano “comunque espressione di
poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle
finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura”); nel
caso in esame, non si verterebbe esclusivamente in ordine
all’errata emissione di certificati urbanistici, bensì anche
di titoli abilitativi dei quali l’amministrazione aveva
emesso preavviso di rilascio prima di disporne il rigetto;
ne deriverebbe che nell’ipotesi di richiesta risarcitoria
avanzata in ragione della “fiducia” posata in base ad
un’azione della P.A. esercitata nell’alveo dell’esercizio
del potere amministrativo, quale l’emissione di un
certificato urbanistico, si integrerebbe quel
“comportamento” che ai sensi dell’art. 7 del c.p.a. radica
la giurisdizione nell’A.G.A., vieppiù nelle ipotesi di cui
all’art. 133 comma 1 lett. f) del c.p.a.
Nonostante l’evidente impegno difensivo, le argomentazioni
che la difesa delle ricorrenti hanno svolto non consentono
al Collegio di sciogliere la riserva in senso favorevole
alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Si osserva, preliminarmente, che la decisione del TAR
Catania n. 2550/2015, richiamata nell’ordinanza ex art. 73
c.p.a. si colloca entro un orientamento più ampio (rispetto
al quale la decisione di TAR Napoli 6451/2020 appare
isolata), che il Collegio ritiene di dover confermare.
Invero, è dirimente –anche rispetto a quanto argomentato
dalla difesa dei ricorrenti– quanto chiarito da Consiglio
di Stato, sez. IV, 04/02/2014, n. 505, secondo cui il
certificato di destinazione urbanistica, redatto dal
pubblico ufficiale, “è atto meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano,
effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti,
i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata
con il certificato; se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e,
dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la
conseguenza che la domanda di risarcimento del danno
derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato
non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo”
(cfr. altresì, TAR Brescia, sez. I, 24/04/2012, n.
687, e Cassazione civile, sez. un., 23/09/2010, n.
20072).
Pertanto, nel rilascio di un certificato urbanistico, il
Comune esplica un’attività indubbiamente certativa, ma non
integrante l’esercizio di un “potere” amministrativo
rilevante ai fini della giurisdizione in ordine al
risarcimento del danno: a tali fini, l’esercizio del potere
viene in rilievo quale presupposto che (tramite l’adozione
di atti o comportamenti) consente all’Amministrazione di
definire l’assetto di interessi, producendo quindi effetti
nella sfera giuridica del destinatario in via unilaterale (o autoritativa) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio,
sentenza 10.07.2023 n. 11569 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In merito alla domanda di risarcimento del danno
conseguente ad erronea certificazione urbanistica, la
giurisprudenza è orientata pacificamente ad ascrivere la
relativa fattispecie alla cognizione del giudice ordinario.
Invero, “rientra
nella giurisdizione dell'A.G.O. una controversia avente ad
oggetto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei
confronti di un ente locale da un soggetto che, sulla scorta
del rilascio di un certificato di destinazione urbanistica
dal contenuto non corrispondente alla realtà, è stato
indotto all'acquisto di un terreno qualificato erroneamente
come edificabile.
Infatti, il rilascio del certificato di
destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello
svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale
della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo)
del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza,
astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con
la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione
(e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della
tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di
diritto soggettivo che si assumono lese in tali
fattispecie”.
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Rilevato che, nell’odierno giudizio, parte
ricorrente agisce contro il Comune intimato per il
risarcimento del danno che assume di aver subito per aver
confidato nella legittimità di un certificato di
destinazione urbanistica che la induceva a sostenere
investimenti onerosi nell’acquisto di lotti di terreno e
nella predisposizione di progetti di edificazione che,
all’esito del relativo procedimento, si rivelava non essere
assentibile;
Rilevato che, più precisamente,
- le ricorrenti si determinavano nelle proprie iniziative
imprenditoriali sulla base dell’attestata destinazione
urbanistica dei lotti meglio precisati in atti, datata 30.07.2004, (prot. 11460) nella quale il terreno (foglio 11
particelle 482,484, 487 e 488) veniva dichiarato avente
“destinazione urbanistica” F5 parco privato;
- a detto documento veniva allegato l’estratto di PRG a
mente del quale si specificava che “Riguarda aree nelle
quali possono essere realizzati impianti sportivi ed
interventi di iniziativa privata. Sono anche ammessi
interventi per la costruzione di case di abitazione e di
impianti destinati allo svolgimento di attività culturali
ricreative e turistiche, nell’osservanza delle seguenti
prescrizioni …” (segue come in atti);
- presentata la necessaria documentazione edilizia
(28.04.2005), e nonostante il Comune avesse in un primo
tempo preannunciato l’accoglimento delle relative domande (prot.
7373 e 7376 del 10.05.2005) il procedimento si concludeva
con un rigetto della domanda (nota prot. 10229 del
14.06.2006), essendo risultato erroneo il certificato del 30.07.2004 (per omessa considerazione di varianti
medio tempore intervenute), in quanto la destinazione di zona del
lotto d’interesse risultava “G - Verde privato vincolato”
del tutto inedificabile, salvo una parte ad “F4 - Servizi
privati” con una minima edificabilità (che le parti assumono
comunque insufficiente);
Ritenuto che, in merito alla domanda di risarcimento del
danno conseguente ad erronea certificazione urbanistica, la
giurisprudenza è orientata pacificamente ad ascrivere la
relativa fattispecie alla cognizione del giudice ordinario (cfr.
TAR Catania, sez. II, 04/11/2015, n. 2550: “rientra
nella giurisdizione dell'A.G.O. una controversia avente ad
oggetto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei
confronti di un ente locale da un soggetto che, sulla scorta
del rilascio di un certificato di destinazione urbanistica
dal contenuto non corrispondente alla realtà, è stato
indotto all'acquisto di un terreno qualificato erroneamente
come edificabile; infatti, il rilascio del certificato di
destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello
svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale
della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo)
del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza,
astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con
la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione
(e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della
tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di
diritto soggettivo che si assumono lese in tali
fattispecie”; cfr. anche Consiglio di Stato , sez. IV,
04/02/2014 , n. 505);
Ritenuto che, secondo tale orientamento, il ricorso andrebbe
dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo che andrebbe declinata in favore del
giudice ordinario, con facoltà di riassunzione nei limiti ed
alle condizioni di cui all’art. 11 del c.p.a.;
Ritenuto di invitare pertanto le parti a dedurre in ordine
alla questione esposta, che il Collegio solleva d’ufficio,
con termine per presentare memorie entro venti giorni dalla
comunicazione della presente ordinanza ex art. 73 del c.p.a.,
con riserva di ogni altra decisione, in rito, come nel
merito e sulle spese;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione
II Stralcio) invita le parti a dedurre sulla questione
rilevata d’ufficio di cui in parte motiva, nei termini pure
ivi indicati e con riserva di ogni altra decisione, in rito,
come nel merito e sulle spese (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-stralcio,
ordinanza 30.05.2023 n. 9203 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va richiamato l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa secondo cui “il certificato di
destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, è
atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che da esso risultano, effetti che discendono,
invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno
determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato”.
Si desume da ciò che tale atto non avente natura
provvedimentale è sprovvisto di concreta lesività e, dunque,
non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che
la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio
di un certificato urbanistico errato non rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo.
"Il rilascio del certificato di
destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello
svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale
della p.a., bensì del comportamento (sicuramente colposo)
del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza,
astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con
la conseguenza che spetta al g.o. la cognizione della
sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio,
delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese”.
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2.2. Le ricorrenti inoltre imputano la concorrente responsabilità
del Comune per non aver rappresentato nel certificato di
destinazione urbanistica quale fosse lo stato ambientale del
terreno affermando che “l’inserimento di detto fondo tra
quelli non idonei ad ospitare l’impianto avrebbe determinato
le società attrici a non acquistare il terreno” e che “la
responsabilità del Comune si fonda sulla violazione di
precetti normativi che regolano la specifica attività degli
enti predetti”.
Secondo le ricorrenti il diritto al risarcimento dei danni
troverebbe la propria fonte nella violazione da parte del
Comune dell’obbligo, legislativamente predeterminato, di
inserire nel certificato di destinazione urbanistica del
terreno acquistato le informazioni sullo stato ambientale.
Al riguardo va richiamato l’orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo cui “il certificato di
destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, è
atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che da esso risultano, effetti che discendono,
invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno
determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04/02/2014, n. 505;
Tar Lazio, Roma, sez. II, 06/03/2012, n. 2241; Tar Piemonte,
sez. II, 18/06/2016, n. 887; Tar Sicilia, Catania, sez. II,
03/07/2019, n. 1696; Tar Campania, Napoli, sez. VIII,
26/11/2020, n. 5564).
Si desume da ciò che tale atto non avente natura
provvedimentale è sprovvisto di concreta lesività e, dunque,
non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che
la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio
di un certificato urbanistico errato non rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato,
cit. sez. IV, n. 505 del 2014; Cass. civile, sez. un.,
23/09/2010, n. 20072); “il rilascio del certificato di
destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello
svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale
della p.a., bensì del comportamento (sicuramente colposo)
del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza,
astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con
la conseguenza che spetta al g.o. la cognizione della
sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio,
delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese”
(cfr. Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 24/04/2012, n. 687).
Pertanto anche in relazione alla rappresentata
responsabilità del Comune riguardo alla dedotta omessa
specificazione dello stato ambientale del terreno nel
certificato urbanistico non sussiste la giurisdizione di
questo giudice (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 02.05.2023 n. 7334 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per consolidato orientamento giurisprudenziale,
il certificato di destinazione urbanistica è un atto dal
carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che dallo stesso risultano, sicché allo
stesso non è possibile ricollegare alcun contenuto provvedimentale.
In termini:
- “Il certificato di destinazione urbanistica si
configura come una certificazione redatta da un pubblico
ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso
risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel
predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti
provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Pertanto,
il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale,
non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la
sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso
contenuti potranno essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo
potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli
eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi,
adottati sulla base dell'erroneo certificato di destinazione
urbanistica”;
- “Il certificato di destinazione
urbanistica è atto meramente dichiarativo e non costitutivo
degli effetti giuridici che da esso risultano con la
conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della
certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa
impugnazione”;
- “La destinazione urbanistica di un'area
non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma
quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici,
sicché in caso di contrasto l'indicazione contenuta nella
certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o
dichiarazione di falso del certificato per poter far valere
la reale previsione urbanistica”;
- “Il certificato di
destinazione urbanistica, di cui ai commi 2º e seguenti
dell'art. 30 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura
quale atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che da esso risultano: effetti che
discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali
hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e,
dunque, non è suscettibile di impugnazione”.
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1. Il ricorso è inammissibile, rivolgendosi l’impugnativa
avverso atto non immediatamente lesivo degli interessi della
parte ricorrente.
Ed infatti, con il gravame in disamina la società Ge. spa
ha impugnato il certificato di destinazione urbanistica,
prot. n. 18875 del 05.12.2017, rilasciato dal Comune di Teano
in riferimento al fondo del quale la deducente è
proprietaria.
Giova, in proposito, rimarcare che, per consolidato
orientamento giurisprudenziale, il certificato di
destinazione urbanistica è un atto dal carattere meramente
dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che
dallo stesso risultano, sicché allo stesso non è possibile
ricollegare alcun contenuto provvedimentale.
In termini:
- “Il certificato di destinazione urbanistica si
configura come una certificazione redatta da un pubblico
ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso
risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel
predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti
provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Pertanto,
il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale,
non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la
sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso
contenuti potranno essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo
potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli
eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi,
adottati sulla base dell'erroneo certificato di destinazione
urbanistica” (cfr. TAR Catania, (Sicilia) sez. II,
06/06/2022, n. 1539);
- “Il certificato di destinazione
urbanistica è atto meramente dichiarativo e non costitutivo
degli effetti giuridici che da esso risultano con la
conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della
certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa
impugnazione” (cfr. TAR Palermo, (Sicilia) sez. II,
07/03/2022, n. 719);
- “La destinazione urbanistica di un'area
non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma
quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici,
sicché in caso di contrasto l'indicazione contenuta nella
certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o
dichiarazione di falso del certificato per poter far valere
la reale previsione urbanistica” ( cfr. TAR Pescara,
(Abruzzo) sez. I, 05/09/2018, n. 260);
- “Il certificato di
destinazione urbanistica, di cui ai commi 2º e seguenti
dell'art. 30 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura
quale atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che da esso risultano: effetti che
discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali
hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e,
dunque, non è suscettibile di impugnazione” (cfr. TAR
Bari, (Puglia) sez. III, 03/01/2018, n. 5).
Del resto, la ricorrente non ha allegato il pregiudizio
concreto ai propri interessi a derivare dal rilascio del
certificato in commento, ma ha dedotto di aver proposto il
ricorso in commento in ragione del fatto che esso “potrebbe
incidere negativamente sulla conferenza di servizi (per il
rilascio dell’autorizzazione ex art. 208 d.lgs. 152/2016) e
pregiudicarne il buon esito”.
2. In questo contesto non è, dunque, dato apprezzare alcuna
lesività dell’atto impugnato, con la conseguenza che il
gravame deve essere dichiarato inammissibile (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.02.2023 n. 904 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di destinazione urbanistica,
secondo una consolidata giurisprudenza, “si configura come
una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente
carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia
provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che
rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al
giudice amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base
dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica”.
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... per l'annullamento:
del provvedimento del Comune di -OMISSIS- del 10.11.2010 n. 6004,
con cui il responsabile dell’Ufficio Tecnico ha emesso
l’attestazione “di esistenza di vincoli” preclusivi
alla prosecuzione dell’attività estrattiva nella cava di
gneiss denominata “-OMISSIS-”, sita in quel Comune, e
delle correlate note dell’A.R.T.A. -OMISSIS- e del Servizio
Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Messina n.
-OMISSIS-;
con richiesta di risarcimento danni.
...
4.- Il ricorso è inammissibile.
4.1- La Società -OMISSIS-, cui l'odierna Società ricorrente
è subentrata con autorizzazione del 27.11.2006, conseguiva,
con decreto -OMISSIS- dell'Assessorato regionale territorio
e ambiente, il nulla osta all'impianto di una cava di "gneiss"
in contrada -OMISSIS- del comune di -OMISSIS-. La -OMISSIS-,
ottenuto il nulla osta all'impianto, chiedeva al Distretto
Minerario di Catania l'autorizzazione all'esercizio della
cava. Il Distretto Minerario autorizzava l'esercizio
dell'attività di cava per la durata di quindici anni, con
scadenza al 26.02.2011.
Con istanza del 16.11.2010, acquisita in pari data al
protocollo del Comune di -OMISSIS- al n. 6004, la -OMISSIS-.
chiedeva al Sindaco “il rilascio di un attestato circa la
esistenza di vincoli”, ai sensi dell’art. 7 della L.R.
15.05.1991 n. 24, sull’area interessata.
In riscontro a tale richiesta, il Responsabile dell’Area
Tecnica, effettuata la relativa istruttoria, con atto
spedito alla Società in data 15.12.2010, attestava che la
particella in questione “corrispondente all’area in cui
risulta ubicata la cava di gneiss in oggetto indicata,
ricade in una zona E (agricola) in cui l’attività di cava è
da considerarsi vietata in quanto non espressamente compresa
nell’elenco tassativo della destinazione d’uso in tale zona
consentita, in conformità a quanto previsto dalla tavola 4
(tipologia edilizia) allegata al Programma di fabbricazione,
approvato con D.A. n. 105 del 16.05.1977 [..]”, e che “l’area
in oggetto indicata, pur non essendo espressamente compresa
nel “Bacino Idrografico […] -OMISSIS- (098) per il quale è
stato approvato il Piano per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.)
con D.P.R.S. del 05.05.2007 […], per il forte degrado
ambientale che potrebbe comportare grave rischio per la
pubblica e privata incolumità, è da considerarsi, comunque,
“sito di attenzione”, concludendo con l’affermazione che “la
presente attestazione costituisce dichiarazione di esistenza
di vincoli ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera c), Legge
Regione Sicilia 15.05.1991, n. 24”.
Parte ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento di tale
nota e degli altri correlati provvedimenti.
Con l’attestato impugnato, l’Ufficio tecnico del Comune di
-OMISSIS-, per esitare la richiesta della -OMISSIS-. di cui
si è appena detto, ha verificato e attestato, alla luce
della disciplina urbanistica vigente, il regime vincolistico
dell’area su cui ricade la cava (che non consentiva e non
consente l’attività per la quale la Società richiede il
rinnovo dell’autorizzazione): sulla scorta delle varie
comunicazioni intercorse sia con l’Assessorato territorio e
ambiente, sia con il Genio civile, ha concluso che la
stessa, per il forte degrado ambientale, era da ritenere,
comunque, “sito di attenzione”.
Ciò detto, va rilevato che l’impugnata nota costituisce un
atto che si inserisce all’interno del procedimento di
rinnovo dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di
cava (il cui provvedimento finale avrebbe dovuto essere
emanato dal Distretto Minerario) e che consiste in una
semplice manifestazione di scienza e di conoscenza, priva di
manifestazione di volontà e non autonomamente impugnabile.
Fra l’altro, la dichiarazione dell’esistenza di vincoli
urbanistici nella zona interessata dalla cava è assimilabile
al certificato di destinazione urbanistica che, secondo una
consolidata giurisprudenza, “si configura come una
certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente
carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla. Pertanto, il certificato, in
quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna
concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma
impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti
potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare
davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base
dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (ex
multis, Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505; TAR
Sicilia, Catania, II, 03.07.2019, n. 1696; TAR Lombardia,
Milano, I, 24.03.2016, n. 586; TAR Lombardia, Brescia, I,
24.04.2012, n. 687; 21.12.2011, n. 1779; TAR Lombardia,
Milano, II, 14.03.2011, n. 729; IV, 06.10.2010, n. 6863) …”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 04.11.2019 n. 2296) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 06.06.2022 n. 1539 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con
riferimento al certificato di destinazione urbanistica, è
consolidato il principio secondo cui il detto certificato è
atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che da esso risultano con la conseguenza che,
attesa la natura non provvedimentale della certificazione de
qua, rispetto ad essa non è ammessa impugnazione.
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Passando all’esame
dei motivi aggiunti il Collegio ne rileva l’inammissibilità
stante la natura non provvedimentale degli atti impugnati.
Ed invero la nota della Soprintendenza n. -OMISSIS- non ha
all’evidenza tale natura contenendo esclusivamente la
richiesta ai ricorrenti di ulteriore documentazione.
Del pari, con riferimento al certificato di destinazione
urbanistica, è consolidato il principio secondo cui il detto
certificato è atto meramente dichiarativo e non costitutivo
degli effetti giuridici che da esso risultano con la
conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della
certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa
impugnazione (cfr., da ultimo, TAR Lombardia, Brescia, Sez.
I, 08.07.2019, n. 638 che a sua volta richiama Cons. Stato,
sez. IV, 04.02.2014 n. 505; TAR Lazio, Latina, 16.05.2013 n.
427; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 19.12.2015 n. 1990)
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 07.03.2022 n. 719 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di destinazione urbanistica – Invalidità compravendita –
Obblighi informativi.
L'allegazione all'atto di compravendita di un certificato di destinazione
urbanistica afferente un'area più vasta di quella che è oggetto di
negoziazione si riverbera sulla invalidità dello stesso se ed in quanto i
dati ivi riportati siano inidonei ad assolvere gli obblighi informativi
dovuti per legge dal venditore in ordine alla natura edificabile del suolo
(Cassazione civile sez. II - 21/09/2011, n. 19219)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.12.2021 n. 1668 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.01.2022).
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Ve. dei Fr.Be. di Be.Al. & C. S.n.c., premesso:
a) di aver stipulato con il comune di Pescia un contratto di
cessione di un terreno inserito in un piano p.i.p. in esecuzione di un
precedente atto di assegnazione;
b) che al predetto contratto era stato allegato un certificato di
destinazione urbanistica che attestava il suo inserimento nel predetto
comparto a destinazione industriale;
c) che l’area acquistata è poi risultata essere destinata a
parcheggio e quindi priva di edificabilità con conseguente impossibilità di
raggiungere lo scopo negozialmente programmato.
Tutto ciò premesso la Società ricorrente chiede che il contratto venga
dichiarato nullo in quanto l’allegazione di un certificato di destinazione
urbanistica errato equivarrebbe a mancata allegazione ponendosi in tal modo
in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 18 della L. 47/1985 e,
comunque perché privo di causa.
Il ricorso è fondato.
Secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la allegazione
all’atto di compravendita di un certificato di destinazione urbanistica
afferente una area più vasta di quella che è oggetto di negoziazione si
riverbera sulla invalidità dello stesso se ed in quanto i dati ivi riportati
siano inidonei ad assolvere gli obblighi informativi dovuti per legge dal
venditore in ordine alla natura edificabile del suolo (Cassazione civile
sez. II - 21/09/2011, n. 19219).
Sicché se è vero che non necessariamente la fotografia urbanistica di
un’area di maggiori dimensioni risulta essere fuorviante ciò è invece quanto
è accaduto nel caso di specie dal momento che la attestazione relativa
all’inserimento dell’area ceduta nell’ambito di un p.i.p., lasciava pensare
che si trattasse di lotto destinato alla edificazione di fabbricati
industriali o artigianali secondo l’intento comune delle parti dichiarato
nell’atto di compravendita, mentre la concreta destinazione a parcheggio,
precludendo ogni forma di edificazione produttiva, si poneva in totale
distonia rispetto a tale obiettivo.
Indi per cui il certificato allegato non assolveva la funzione che la legge
gli assegna.
Oltre a ciò occorre considerare che la costruzione di edifici ad uso
produttivo non costituiva mero motivo soggettivo della parte acquirente ma
assurgeva a causa concreta della operazione pubblico/privata di cui l’atto
di cessione costituiva il momento terminale essendo lo stesso stato
preceduto da un procedimento amministrativo di assegnazione del terreno
specificamente preordinato ad agevolare lo sviluppo economico di quella
parte del territorio comunale mediante l’acquisto di aree produttive a
prezzi calmierati.
La cessione di un’area con destinazione a parcheggio si poneva quindi in
distonia anche con la funzione pubblicistica della richiamata cessione
andando a costituire ragione non solo di nullità del contratto ma anche del
provvedimento di assegnazione che ne stava a monte, il quale, avendo uno
scopo pubblicistico irrealizzabile risultava essere carente di uno dei suoi
elementi essenziali (quale appunto è la causa) secondo il disposto dell’art.
21-septies della L. 241/1990.
Occorre quindi dichiarare la nullità del contratto di cessione con i
conseguenti obblighi restitutivi a carico del comune di Pescia. |
EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO
URBANISTICO – EDILIZIA – Atto di compravendita – Allegazione di un
certificato di destinazione urbanistica afferente un’area più vasta di
quella oggetto di negoziazione – Inidoneità degli atti ad assolvere agli
obblighi informativi – Invalidità dell’atto di compravendita – Fattispecie:
insediamento di un’area ceduta nell’ambito di un PIP.
L’allegazione all’atto di
compravendita di un certificato di destinazione urbanistica afferente una
area più vasta di quella che è oggetto di negoziazione si riverbera sulla
invalidità dello stesso se ed in quanto i dati ivi riportati siano inidonei
ad assolvere gli obblighi informativi dovuti per legge dal venditore in
ordine alla natura edificabile del suolo
(cfr. Cassazione civile sez. II – 21/09/2011, n. 19219; nella specie, la
attestazione relativa all’inserimento dell’area ceduta nell’ambito di un
p.i.p., lasciava pensare che si trattasse di lotto destinato alla
edificazione di fabbricati industriali o artigianali secondo l’intento
comune delle parti dichiarato nell’atto di compravendita, mentre la concreta
destinazione a parcheggio, precludendo ogni forma di edificazione
produttiva, si poneva in totale distonia rispetto a tale obiettivo, andando
a costituire ragione non solo di nullità del contratto ma anche del
provvedimento di assegnazione che ne stava a monte, il quale, avendo uno
scopo pubblicistico irrealizzabile risultava essere carente di uno dei suoi
elementi essenziali, la causa, secondo il disposto dell’art. 21-septies
della L. 241/1990) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 20.12.2021 n. 1668 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione
urbanistica di cui all’art. 30, co. 2 e ss., del D.P.R. n. 380/2001 si
configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale avente
carattere meramente dichiarativo e ricognitivo.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato secondo il quale il CDU non
ha carattere costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano,
atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato altro
non è che la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla.
Nello specifico, trattasi delle disposizioni degli strumenti urbanistici
vigenti sull’area di interesse che lo stesso riporta. Sono queste ultime, in
concreto, ad essere lesive della sfera giuridica del cittadino.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di una efficacia provvedimentale
propria, non ha alcuna concreta lesività; il che rende impossibile la sua
autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno
essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure
quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali
successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base
dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica.
---------------
La
domanda con cui il ricorrente chiede l’annullamento del certificato di
destinazione urbanistica rilasciatogli dal Comune deve essere dichiarata
inammissibile per originaria carenza d’interesse perché proposta contro un
atto non provvedimentale, privo di autonoma efficacia lesiva.
Secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione
urbanistica di cui all’art. 30, co. 2 e ss., del D.P.R. n. 380/2001 si
configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale avente
carattere meramente dichiarativo e ricognitivo.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, sez. IV, 26/08/2014 n.
4306 secondo il quale il CDU non ha carattere costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica
attestata nel predetto certificato altro non è che la conseguenza di altri
precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (parimenti TAR
Roma, Sez. II, 06/03/2012 n. 2241; TAR Brescia, Sez. I, 24/04/2012 n. 687;
TAR Torino, Sez. II, 18/06/2016 n. 887; TAR Bari, Sez. III, 03/01/2018 n. 5;
TAR Milano, Sez. II, 21/07/2017 n. 434).
Nello specifico, trattasi delle disposizioni degli strumenti urbanistici
vigenti sull’area di interesse che lo stesso riporta. Sono queste ultime, in
concreto, ad essere lesive della sfera giuridica del cittadino. Pertanto, il
certificato, in quanto privo di una efficacia provvedimentale propria, non
ha alcuna concreta lesività; il che rende impossibile la sua autonoma
impugnazione.
Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare
davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti
concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di
destinazione urbanistica (TAR Milano, Sez. II, 04.11.2019 n. 2296; Consiglio
di Stato, Sez. IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Catania, Sez. II, 03/07/2019, n.
1696; TAR Milano, Sez. I, 24/03/2016, n. 586; TAR Latina, Sez. II,
22/05/2013 n. 482, TAR Brescia, Sez. I, 24/04/2012, n. 687 e 21/12/2011, n.
1779; TAR. Milano, Sez. II, 14/03/2011, n. 729 e Sez. IV, 06/10/2010, n.
6863)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2021 n. 913 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di destinazione urbanistica ha
carattere meramente dichiarativo, e non costitutivo degli
effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
contribuito a determinarla; facendosi, ovviamente,
riferimento ai provvedimenti di programmazione
urbanistico-edilizia.
---------------
D. – Deve preliminarmente essere respinta la domanda di
annullamento/cancellazione del certificato di destinazione
urbanistica, nella parte in cui è indicato il vincolo
(strada di progetto) seppure decaduto.
Deve, invero, essere chiarito in primo luogo che il
certificato di destinazione urbanistica ha carattere
meramente dichiarativo, e non costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
contribuito a determinarla; facendosi, ovviamente,
riferimento ai provvedimenti di programmazione
urbanistico-edilizia, i cui effetti nel caso in esame
risultano essere consolidati (v., su tale profilo, TAR
Sicilia, Sez. III, 26.06.2020, n. 1293)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 19.10.2020 n. 2138 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Pedace,
CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA: VALORE MERAMENTE DICHIARATIVO O
INTRINSECAMENTE COSTITUTIVO? (20.04.2020 – link a
www.pausania.it).
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Il Certificato di Destinazione Urbanistica (CDU) è un certificato
rilasciato dall’Ufficio Tecnico Comunale competente al fine di accertare i
dati catastali, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici
dell’immobile per il quale questo è stato richiesto. Consente, insomma, a
chi lo ottiene di capire quali sono le reali possibilità edificatorie del
suo bene e la sua conformità a quanto riportato nel P.R.G. comunale. (...continua). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione
di un certificato di destinazione
urbanistica.
Secondo una consolidata
giurisprudenza, il
certificato di destinazione urbanistica, di
cui all’art. 30, commi 2 e ss., del D.P.R.
n. 380 del 2001, si configura come una
certificazione redatta da un pubblico
ufficiale, avente carattere meramente
dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano, visto
che la situazione giuridica attestata nel
predetto certificato è la conseguenza di
altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di
efficacia provvedimentale, non ha alcuna
concreta lesività, il che rende impossibile
la sua autonoma impugnazione; gli eventuali
errori in esso contenuti potranno essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest’ultimo
potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati
sulla base dell’erroneo certificato di
destinazione urbanistica.
Altresì, eventuali danni discendenti
dall’erroneo contenuto del certificato
possono essere risarciti adendo il giudice
ordinario, munito di giurisdizione sulla
materia
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2019 n. 2296 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
1.1. Secondo una consolidata giurisprudenza,
condivisa dal Collegio, il certificato di
destinazione urbanistica, di cui all’art.
30, commi 2 e ss., del D.P.R. n. 380 del
2001, si configura come una certificazione
redatta da un pubblico ufficiale, avente
carattere meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che
dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto
certificato è la conseguenza di altri
precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di
efficacia provvedimentale, non ha alcuna
concreta lesività, il che rende impossibile
la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali
errori in esso contenuti potranno essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest’ultimo
potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati
sulla base dell’erroneo certificato di
destinazione urbanistica (ex multis,
Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505;
TAR Sicilia, Catania, II, 03.07.2019, n.
1696; TAR Lombardia, Milano, I, 24.03.2016,
n. 586; TAR Lombardia, Brescia, I,
24.04.2012, n. 687; 21.12.2011, n. 1779; TAR
Lombardia, Milano, II, 14.03.2011, n. 729;
IV, 06.10.2010, n. 6863).
Va precisato che eventuali danni discendenti
dall’erroneo contenuto del certificato –di
cui, come già evidenziato in precedenza, la
parte privata può chiedere la rettifica (TAR
Toscana, I, 21.07.2017, n. 946)– possono
essere risarciti adendo il giudice
ordinario, munito di giurisdizione sulla
materia (cfr. Cass. civ., III, 05.07.2017,
n. 16496; Consiglio di Stato, IV,
04.02.2014, n. 505).
1.2. Alla stregua delle suesposte
considerazioni, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile. |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di destinazione urbanistica: mancato rilascio.
Invio degli atti alla Procura regionale della Corte dei
Conti.
Illegittimo il silenzio dell’ufficio tecnico comunale sulla
richiesta di rilascio del certificato di destinazione
urbanistica da parte dell’interessato.
Il certificato di destinazione
urbanistica, pur rientrando nella categoria degli atti di
certificazione redatti da pubblico ufficiale e non avendo,
pertanto, natura provvedimentale ma dichiarativa di
situazioni giuridiche già esistenti
(cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 04.02.2014 n.
505; TAR Puglia-Bari, Sez. III, 03.01.2018 n. 5),
costituisce comunque un atto amministrativo
di manifestazione del potere certificativo della pubblica
autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse
legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e
correlativi obblighi di “provvedere” in capo
all’amministrazione, da intendere, questi ultimi,
evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento
espresso
(cfr. TAR Veneto,
Sez. III, 25.03.2013 n. 450).
Peraltro, nella presente materia, l’obbligo
dell’amministrazione di pronunciarsi in maniera espressa
sull’istanza del privato assume ancora maggiore consistenza
a cagione dell’indispensabilità del certificato di
destinazione urbanistica ai fini della regolare stipula (o
sanatoria) degli atti di compravendita di terreni, come si
evince dalla piana lettura dell’art. 30, commi 2 e ss., del
d.P.R. n. 380/2001: infatti tale normativa, rimettendo al
libero apprezzamento dell’interessato la possibilità di
produrre, in alternativa, la dichiarazione sostitutiva del
certificato non emesso, non esclude che costui possa
insistere nel pretendere il rilascio della più attendibile
certificazione urbanistica comunale.
Ai sensi del richiamato quadro normativo, sussiste l’obbligo
dell’amministrazione comunale di provvedere in merito
all’istanza di rilascio del certificato in questione,
concludendo il relativo procedimento mediante un atto
espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della
legge n. 241/1990.
---------------
... per la declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune di Crispano in merito all’istanza
presentata dalla ricorrente il 28.06.2018, finalizzata
al rilascio del certificato di destinazione urbanistica
relativo al terreno ubicato nel territorio comunale alla
Prima Traversa a destra di Via ... s.n.c.,
riportato in catasto al foglio 3, mappale 1386;
e per l’annullamento del silenzio-rigetto formatosi sulla
contestuale richiesta di accesso ai documenti indicati nella
suddetta istanza, ossia ai titoli edilizi, comprensivi degli
elaborati grafici, relativi al fabbricato insistente su tale
terreno.
...
Considerato, quanto all’azione avverso il silenzio-rifiuto,
che:
- il certificato di destinazione urbanistica, pur rientrando nella
categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico
ufficiale e non avendo, pertanto, natura provvedimentale ma
dichiarativa di situazioni giuridiche già esistenti (cfr.
per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 04.02.2014 n.
505; TAR Puglia Bari, Sez. III, 03.01.2018 n. 5),
costituisce comunque un atto amministrativo di
manifestazione del potere certificativo della pubblica
autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse
legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e
correlativi obblighi di “provvedere” in capo
all’amministrazione, da intendere, questi ultimi,
evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento
espresso (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 25.03.2013 n. 450);
- peraltro, nella presente materia, l’obbligo dell’amministrazione
di pronunciarsi in maniera espressa sull’istanza del privato
assume ancora maggiore consistenza a cagione
dell’indispensabilità del certificato di destinazione
urbanistica ai fini della regolare stipula (o sanatoria)
degli atti di compravendita di terreni, come si evince dalla
piana lettura dell’art. 30, commi 2 e ss., del d.P.R. n.
380/2001: infatti tale normativa, rimettendo al libero
apprezzamento dell’interessato la possibilità di produrre,
in alternativa, la dichiarazione sostitutiva del certificato
non emesso, non esclude che costui possa insistere nel
pretendere il rilascio della più attendibile certificazione
urbanistica comunale;
- con riguardo al caso di specie, va ravvisata l’inutile scadenza
del termine procedimentale di trenta giorni, fissato
dall’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, per il
rilascio del certificato di destinazione urbanistica
richiesto dalla ricorrente;
- ai sensi del richiamato quadro normativo, sussiste l’obbligo
dell’amministrazione comunale di provvedere in merito
all’istanza di rilascio del certificato in questione,
concludendo il relativo procedimento mediante un atto
espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della
legge n. 241/1990;
- pertanto, l’azione avverso il silenzio-rifiuto è suscettibile di
accoglimento, con assegnazione al Comune di Crispano di un
termine di trenta giorni per adottare e comunicare le
proprie determinazioni;
- è nominato commissario ad acta il dirigente responsabile della
Direzione Generale per il governo del territorio, i lavori
pubblici e la protezione civile della Regione Campania, o un
dirigente/funzionario da questi delegato, onde provvedere
nel termine di ulteriori trenta giorni, nel caso di
perdurante inerzia della predetta amministrazione,
all’emanazione dell’atto di riscontro dell’istanza della
ricorrente. Le spese di espletamento della funzione
commissariale sono poste a carico dell’amministrazione
comunale inadempiente e sono liquidate fin d’ora in € 500,00
(cinquecento/00), comprensivi di ogni onere e spesa, in
favore del suddetto commissario;
Considerato, quanto all’azione in materia di accesso
documentale, che:
- sulla richiesta di accesso ai titoli edilizi, essendo trascorsi
trenta giorni dalla sua presentazione, si è formato il
provvedimento silenzioso di rigetto ai sensi dell’art. 25,
comma 4, della legge n. 241/1990;
- tale silenzio-rigetto è privo di giustificazione e deve essere
rimosso per le seguenti ragioni:
i) in tema di rilascio dei
titoli edilizi è attualmente vigente l’art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, il quale, in linea di continuità con
quanto già prescritto dall’art. 31 della legge n. 1150/1942
(come modificato dalla cd. legge ponte n. 765/1967), ha
previsto un regime di pubblicità antesignano di quello più
esteso poi introdotto dal d.lgs. n. 33/2013 in materia di
trasparenza, con la conseguenza che la predetta
disposizione, nella parte in cui stabilisce che
dell’avvenuto rilascio di un permesso di costruire va dato
avviso all’albo pretorio, non può che essere interpretata
nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a
consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli
atti del procedimento, in ragione di quel controllo diffuso
sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso
garantire (cfr. anche art. 27, comma 3, del d.P.R. n.
380/2001).
Pertanto, può ben affermarsi, anche nell’ottica
dell’accesso documentale disciplinato dalla legge n.
241/1990, che i titoli edilizi sono tutti atti pubblici
pienamente accessibili, nei cui confronti sussiste una linea
di massima trasparenza non suscettibile di subire deroghe o
sottrazioni nemmeno per esigenze di riservatezza del singolo
(cfr. TAR Valle d’Aosta, 15.03.2017 n. 12; TAR Campania
Napoli, Sez. VI, 01.03.2017 n. 1183; TAR Marche, Sez. I,
07.11.2014 n. 923);
ii) il suddetto discorso involge,
per evidente identità di ratio, tutti i titoli edilizi via
via disciplinati dalla legge, indipendentemente dalla loro
natura giuridica, e cioè il permesso di costruire, la DIA e
la SCIA;
iii) nella presente fattispecie, trattandosi di
fabbricato edificato in area di cui la richiedente è
comproprietaria, il richiesto accesso ai titoli edilizi è in
re ipsa assistito dalla sussistenza dell’interesse diretto,
concreto ed attuale ad ottenere l’ostensione e denota,
comunque, la carenza di ipotetiche ragioni di riservatezza,
nemmeno astrattamente configurabili attesa la natura di bene
personale del cespite;
- in definitiva, alla luce di quanto sopra esposto, l’azione in
esame merita accoglimento con conseguente annullamento del
gravato silenzio-rigetto, ordinandosi all’amministrazione
comunale di consentire la richiesta ostensione e di
rilasciare, nel termine indicato in dispositivo, copia
conforme degli atti oggetto della richiesta di accesso;
Ritenuto, in conclusione, che:
- l’odierno gravame deve essere integralmente accolto mediante la
declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto serbato
dal Comune di Crispano in ordine all’istanza di rilascio del
certificato di destinazione urbanistica presentata dalla
ricorrente il 28.06.2018, nonché mediante l’annullamento
del silenzio-rigetto maturatosi sulla contestuale richiesta
di accesso ai titoli edilizi e relativi elaborati grafici,
nei termini meglio sopra precisati;
- le spese del presente giudizio seguono, come di norma, la
soccombenza e sono liquidate in dispositivo;
- ai sensi dell’art. 2, comma
8, della legge n. 241/1990, sostituito dall’articolo 1,
comma 1, del decreto legge n. 5/2012, convertito nella legge
n. 35/2012, va disposta la comunicazione della presente
decisione alla competente Procura Regionale della Corte dei
Conti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda), in accoglimento del ricorso in epigrafe
indicato, così statuisce:
- dichiara l’illegittimità del silenzio-rifiuto e, per l’effetto,
ordina al Comune di Crispano di provvedere sull’istanza di
rilascio del certificato di destinazione urbanistica
presentata dalla ricorrente il 28.06.2018 nel termine di
trenta giorni decorrente dalla comunicazione in via
amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se
anteriore, della presente decisione.
Nomina commissario ad acta il dirigente responsabile della Direzione Generale per
il governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione
civile della Regione Campania, o un dirigente/funzionario da
questi delegato, onde provvedere in via sostitutiva nel
termine di ulteriori trenta giorni all’emanazione dell’atto
di riscontro dell’istanza della ricorrente. Regola il
governo delle spese di espletamento della funzione
commissariale nei termini di cui in motivazione;
- annulla il silenzio-rigetto maturatosi sulla contestuale
richiesta di accesso ai titoli edilizi e relativi elaborati
grafici e, per l’effetto, ordina al Comune di Crispano di
consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed
estrarre copia conforme, previo rimborso del costo di
riproduzione e dei diritti di ricerca e visura, dei predetti
documenti nel termine di trenta giorni decorrente dalla
comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a
cura di parte, se anteriore, della presente decisione.
Condanna il Comune di Crispano al pagamento in favore della
ricorrente delle spese di giudizio, liquidate in complessivi
€ 700,00 (settecento/00), oltre IVA, CPA ed importo del
contributo unificato come per legge.
Dispone che,
a cura della Segreteria, il presente
provvedimento sia trasmesso in via telematica alla Procura
Regionale della Corte dei Conti territorialmente competente (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 12.02.2019 n. 766 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Certificato
edilizio errato, il Comune paga per l'errore del funzionario.
Il rilascio, da parte dell'ufficio tecnico comunale, di un certificato
attestante una situazione urbanistica non rispondente al Piano regolatore
generale, è un fatto illecito imputabile a colpa del funzionario incaricato,
e quindi riconducibile all'ente locale. L'errata attestazione determina una
violazione dell'affidamento ingenerato nel privato nella correttezza
dell'atto amministrativo e comporta il risarcimento del danno in favore del
privato.
Questo è quanto affermato dal TRIBUNALE di Frosinone, Sez. civile, nella
sentenza
05.09.2018 n.
803 (tratta da www.upel.va.it).
La vicenda - La
controversia prende le mosse da un errore commesso da un funzionario del
Comune di Frosinone il quale, su richiesta dei futuri acquirenti di un
terreno, rilasciava il certificato di destinazione urbanistica dell'area
confondendo la zona F (servizi collettivi) con la zona CE (agricola).
In seguito, i richiedenti acquistavano tale terreno al fine di costruirvi
un'abitazione compatibile con la presunta destinazione urbanistica.
Tuttavia, al momento della richiesta dell'autorizzazione sismica, un diverso
funzionario del Comune riteneva improcedibile l'istanza di concessione
edilizia, in quanto l'area interessata incideva su una zona dedicata
all'ampliamento dell'eliporto adiacente.
Gli acquirenti citavano così in giudizio l'ente locale chiedendo il
risarcimento dei danni da essi subiti proprio a causa dell'errato
certificato, comprensivi delle spese inutilmente sostenute correlate alla
non edificabilità dell'area. Dal canto suo, il Comune si difendeva
sostenendo che l'errore del suo funzionario non poteva essere considerato
causalmente determinante, in quanto gli stessi acquirenti avrebbero dovuto
tenere un comportamento più diligente nell'acquisto dei terreni.
La decisione - Il
Tribunale accoglie la domanda degli acquirenti riconoscendo il fatto
illecito del Comune, ovvero il rilascio di un certificato attestante
erroneamente la vocazione edificatoria dei terreni, circostanza che ha
determinato gli acquirenti a comprare il terreno e a dare luogo a tutti gli
adempimenti necessari per edificare su di esso. Tale atto è senz'altro
imputabile a colpa del funzionario, e quindi alla stessa Amministrazione,
con conseguente «violazione dell'affidamento ingenerato nel privato
dell'atto amministrativo».
Circa la quantificazione del danno poi, precisa il giudice, questo va
calcolato, anche equitativamente, avuto riguardo ai costi affrontati dagli
acquirenti per l'edificazione, quali spese per notaio e architetto,
eziologicamente riconducibili all'errata trasposizione nei certificati di
una «connotazione non rispondente alla realtà»
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 29.03.2019). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come noto, la destinazione urbanistica di un’area
non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma
quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici,
sicché in caso di contrasto l’indicazione contenuta nella
certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia
conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o
dichiarazione di falso del certificato per poter far valere
la reale previsione urbanistica.
---------------
Ciò premesso, si rileva innanzitutto che, come noto, la
destinazione urbanistica di un’area non è quella risultante
dalla certificazione urbanistica ma quella realmente
impressa dagli strumenti urbanistici, sicché in caso di
contrasto l’indicazione contenuta nella certificazione è del
tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa
(Consiglio di Stato 476 del 2016), sicché non è necessaria
alcuna impugnazione o dichiarazione di falso del certificato
per poter far valere la reale previsione urbanistica (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 05.09.2018 n. 260 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato
di destinazione urbanistica è un documento volto a far
conoscere la destinazione urbanistica dei terreni e, quindi,
a certificare in via generale l'edificabilità o l'inedificabilità
dei suoli, con una chiara valenza dichiarativa circa
l'inserimento di un'area o di un immobile in una zona
urbanistica anziché in un'altra del territorio comunale.
Sicché, è inidoneo a fondare un ragionevole affidamento
sulla concreta realizzazione di ulteriore edificazione del
terreno che dipende non solo dalla diretta applicazione
delle norme urbanistiche ed edilizie ma anche dallo stato di
fatto del terreno e dall’esistenza di precedente
edificazione ed utilizzazione della densità del fondo
agricolo.
---------------
Quanto al certificato di destinazione urbanistica è
sufficiente rilevare come si tratti di un documento volto a
far conoscere la destinazione urbanistica dei terreni e,
quindi, a certificare in via generale l'edificabilità o l'inedificabilità
dei suoli, con una chiara valenza dichiarativa circa
l'inserimento di un'area o di un immobile in una zona
urbanistica anziché in un'altra del territorio comunale,
inidoneo, pertanto a fondare un ragionevole affidamento
sulla concreta realizzazione di ulteriore edificazione del
terreno che, come sopra detto, dipende non solo dalla
diretta applicazione delle norme urbanistiche ed edilizie ma
anche dallo stato di fatto del terreno e dall’esistenza di
precedente edificazione ed utilizzazione della densità del
fondo agricolo (TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 24.04.2018 n. 840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'impugnazione
del certificato di destinazione urbanistica è inammissibile, per difetto di
interesse ad agire, in ragione della natura non provvedimentale e, quindi,
non lesiva che ne esclude l’impugnabilità in via autonoma.
Secondo il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, infatti,
il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti
dell'art. 30 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale “atto
meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso
risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i
quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è
sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di
impugnazione”.
Tale assunto trova conferma anche nelle ultime pronunce ai sensi delle quali
“il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli
atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere
dichiarativo".
Deve, pertanto, ritenersi che tale atto ha portata meramente ricognitiva di
situazioni di fatto e di diritto altrove definite, e come tale è sfornito di
ogni efficacia provvedimentale e quindi privo di concreta lesività, il che
non rende ammissibile la sua autonoma impugnazione.
Ne consegue che “gli eventuali asseriti errori contenuti nel certificato
possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi,
adottati dall’Amministrazione in base all'erroneo certificato di
destinazione urbanistica, in riscontro a specifica richiesta edificatoria o
ai fini della riqualificazione dell’area”.
---------------
1. - La società Ge.Im.Tu. a r.l. ha impugnato, domandandone l’annullamento,
il certificato di destinazione urbanistica rilasciatole dal Responsabile
Servizio Settore III, Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Vieste,
relativamente alle particelle di cui al fg. 39, nn. 997, 999, 1000, 1001,
1004, 1128, 1138, 1140 del Catasto Terreni, nella parte in cui ha omesso
l’indicazione dell’indice di fabbricabilità fondiaria pari a 0,50 mc/mq.
...5. - Il ricorso è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, in
ragione della natura non provvedimentale e, quindi, non lesiva, del
certificato di destinazione urbanistica, che ne esclude l’impugnabilità in
via autonoma.
5.1 - Secondo il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale,
infatti, il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e
seguenti dell'art. 30 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale “atto
meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso
risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i
quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è
sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di
impugnazione” (Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505).
Tale assunto trova conferma anche nelle ultime pronunce ai sensi delle quali
“il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli
atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere
dichiarativo” (Cons Stato sez. IV, sent n. 5481 del 24.11.2017).
Deve, pertanto, ritenersi che tale atto ha portata meramente ricognitiva di
situazioni di fatto e di diritto altrove definite, e come tale è sfornito di
ogni efficacia provvedimentale e quindi privo di concreta lesività, il che
non rende ammissibile la sua autonoma impugnazione (TAR Lombardia, sez. II,
sent. 434 del 21.02.1017).
Ne consegue che “gli eventuali asseriti errori contenuti nel certificato
possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi,
adottati dall’Amministrazione in base all'erroneo certificato di
destinazione urbanistica, in riscontro a specifica richiesta edificatoria o
ai fini della riqualificazione dell’area (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez.
II, 14.03.2011, n. 279; idem, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, sez.
II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55)” (TAR
Puglia, Lecce, sez. III, sent. 1098 del 12.07.2016; TAR Lazio, II-bis,
06.03.2012, n. 2241; si veda anche TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
21.12.2011 n. 1779; TAR Puglia, Lecce, I, 18.07.2009, n. 1886).
5.3. - Nel caso in esame il ricorso si fonda sulla pretesa di illegittimità
del certificato di destinazione urbanistica e ogni questione riferita circa
l’indice di fabbricabilità fondiaria, come evidenziata nella nota del
12.08.2016, anch’essa gravata, non assume autonoma rilevanza, inserendosi
nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio del predetto
certificato, tanto da doversi escludere la valenza provvedimentale e,
dunque, l’autonoma lesività, di ciascuno degli atti impugnati.
Tale assunto trova conferma negli stessi atti depositati dalla ricorrente,
nei quali espressamente si definisce la nota del 12.08.2016 come “controdeduzioni
alla memoria di partecipazione al procedimento e alla nota di diffida della
società istante”.
6. - Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso va dichiarato
inammissibile per difetto di interesse ad agire
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 03.01.2018 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di destinazione urbanistica ha portata meramente
ricognitiva di situazioni di fatto e di diritto altrove
definite e, come tale, è sfornito di ogni efficacia
provvedimentale e, quindi, privo di concreta lesività, il
che ne rende inammissibile l’autonoma impugnazione.
---------------
3.2 E’, invece, inammissibile –come correttamente eccepito
dalla difesa comunale– l’impugnazione del certificato di
destinazione urbanistica prot. n. 49489, rilasciato dal
Comune di Desio in data 21.12.2007.
Sul punto, è sufficiente richiamare il consolidato
orientamento giurisprudenziale per il quale il certificato
di destinazione urbanistica ha portata meramente ricognitiva
di situazioni di fatto e di diritto altrove definite e, come
tale, è sfornito di ogni efficacia provvedimentale e,
quindi, privo di concreta lesività, il che ne rende
inammissibile l’autonoma impugnazione (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Lombardia Milano, Sez. I,
24.03.2016, n. 586; TAR Lazio, Latina, 22.05.2013, n. 482;
TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 06.03.2012, n. 2241; TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n. 21)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.02.2017 n. 434 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di destinazione urbanistica rientra nella
categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico
ufficiale aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti
pubblici preesistenti e pertanto esso non può essere
sussunto nella categoria del documento amministrativo così
come definito dall’art. 22 l. 07.08.1990, n. 241,
costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o
certificativa sulla base degli atti di strumentazione
urbanistica.
Pertanto, il suo rilascio non può avvenire
nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche
fonti normative, legislative e regolamentari, che
precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi.
In sostanza, il certificato di destinazione urbanistica non
è soggetto alle norme in materia di accesso ai documenti
amministrativi, non essendo un “documento” già formato e
“detenuto” dalla Pubblica Amministrazione –come richiesto
dalla normativa di settore- ma implicando lo svolgimento di
un’attività ulteriore di carattere accertativo e
dichiarativo della P.A., sulla scorta delle risultanze della
strumentazione urbanistica: attività inammissibile in sede
di accesso agli atti, che presuppone il carattere già
formato e precostituito del documento oggetto dell’istanza,
suscettibile di essere osteso all’interessato attraverso una
semplice attività di ricerca e di rilascio di copia
---------------
... per l'accertamento del diritto della ricorrente ad
ottenere il rilascio del certificato di destinazione
urbanistica.
...
1. Con ricorso notificato il 18-22.03.2016 e depositato il
1° aprile successivo, la signora Fe.Gi., agendo in
proprio ai sensi dell’art. 23 cod. proc. amm., ha premesso
di aver presentato in data 21.01.2016 al Segretario Comunale
del Comune di Maglione un’istanza concernente il rilascio
del certificato di destinazione urbanistica (storicizzato
dal 10.01.2012), relativo alle seguenti particelle
catastali: Foglio 18 nn. 38 e 39; Foglio 18 nn. 24, 25 e 28;
Foglio 17 nn. 87 AA e 88, autocertificandone la comproprietà
con i signori Fe.Gi. e Ga. geom. Gi., a
dimostrazione della titolarità di una situazione soggettiva
giuridicamente rilevante all’accesso; tuttavia, l’istanza in
questione sarebbe stata respinta dall’Amministrazione.
Attraverso una serie di considerazioni di carattere
generale, non sempre di agevole percezione, la ricorrente ha
chiesto a questo Tribunale di dichiarare il suo diritto di
accedere al predetto documento, con conseguente condanna
dell’amministrazione comunale a rilasciarne copia alla
ricorrente.
2. Il Comune di Maglione non si è costituito in giudizio.
3. All’udienza in camera di consiglio dell’08.06.2016,
nessuna delle parti presente, la causa è stata trattenuta
per la decisione.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile, non essendo stati
prodotti in giudizio né l’asserito provvedimento di diniego
di accesso adottato dall’amministrazione comunale, né
l’istanza di accesso asseritamente presentata dalla
ricorrente in data 21.01.2016, rispetto alla quale valutare
l’eventuale formazione del silenzio rigetto di cui all’art.
25 L. n. 241/1990.
5. Solo per completezza –e fermo il rilievo
dell’inammissibilità– il ricorso è pure infondato nel
merito.
La giurisprudenza ha infatti affermato che “Il certificato
di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli
atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi
carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti
pubblici preesistenti e pertanto esso non può essere
sussunto nella categoria del documento amministrativo così
come definito dall’art. 22 l. 07.08.1990, n. 241,
costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o
certificativa sulla base degli atti di strumentazione
urbanistica; pertanto, il suo rilascio non può avvenire
nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche
fonti normative, legislative e regolamentari, che
precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi”
(TAR Potenza, sez. I 29.01.2016 n. 55; TAR Lecce, sez. II
17.09.2009 n. 2121.
In sostanza, il certificato di destinazione urbanistica non
è soggetto alle norme in materia di accesso ai documenti
amministrativi, non essendo un “documento” già formato e
“detenuto” dalla Pubblica Amministrazione –come richiesto
dalla normativa di settore- ma implicando lo svolgimento di
un’attività ulteriore di carattere accertativo e
dichiarativo della P.A., sulla scorta delle risultanze della
strumentazione urbanistica: attività inammissibile in sede
di accesso agli atti, che presuppone il carattere già
formato e precostituito del documento oggetto dell’istanza,
suscettibile di essere osteso all’interessato attraverso una
semplice attività di ricerca e di rilascio di copia
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.06.2016 n. 887 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Con
riguardo alla richiesta di ostensione del certificato di
destinazione urbanistica, il predetto atto rientra nella
categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico
ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del
contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere
sussunto nella categoria del "documento amministrativo",
così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n.
241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto
di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico
procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica
della loro disciplina sostanziale"), costituendo l'esercizio
di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base
degli atti di strumentazione urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione
urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di
accesso, ma secondo le specifiche fonti normative,
legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano
tali tipi di atti amministrativi.
---------------
5. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla
richiesta di ostensione del certificato di destinazione
urbanistica, tenuto conto che il predetto atto rientra nella
categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico
ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del
contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere
sussunto nella categoria del "documento amministrativo",
così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n.
241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto
di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico
procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica
della loro disciplina sostanziale"), costituendo
l'esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa
sulla base degli atti di strumentazione urbanistica (cfr. in
tal senso TAR Puglia Lecce, sez. II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione
urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di
accesso, ma secondo le specifiche fonti normative,
legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano
tali tipi di atti amministrativi.
La relativa domanda va pertanto respinta (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 13.04.2016 n. 1793
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: IPOTESI IN CUI DEVE ESSERE PRODOTTO IL CERTIFICATO DI
DESTINAZIONE URBANISTICA E VALENZA DI DESTINAZIONI
IN ITINERE.
Il certificato di destinazione urbanistica è necessario
soltanto per la valida conclusione del contratto definitivo,
posto che l’art. 18, comma 2, L. n. 47/1985 si riferisce
ai soli contratti che determinano effetti reali e non
anche a quelli con effetti obbligatori, come il preliminare
di compravendita: se ne ha che il c.d.u. va allegato
nel solo primo caso oppure -in ipotesi di azione ex art.
2932 c.c.- va prodotto nel fascicolo di giudizio, attesa la
funzione sostitutiva di tale azione del contratto definitivo
non concluso.
La vocazione agricola o edificatoria del terreno va
scrutinata
con riguardo al momento della conclusione del
contratto, senza che possa avere incidenza la destinazione
urbanistica in itinere, salva l’ipotesi -eccezionale
e non suscettibile d’interpretazione estensiva- prevista
dall’art. 8, comma 2, L. n. 590/1965 che impone di dare
rilievo alle utilizzazioni future laddove lo strumento
urbanistico
in itinere preveda un cambio di destinazione
da agricola ad urbanistica.
Sorge controversia tra alcuni privati, circa un contratto
preliminare
relativo all’acquisto di un appezzamento di terreno
agricolo con entro-stanti fabbricati rurali, condotto in
affitto
per uso agricolo e zootecnico da un terzo soggetto.
Le parti
previdero che -in caso di esercizio della prelazione da
parte dei conduttori, aventi diritto- il preliminare si
sarebbe
risolto con restituzione al promissario acquirente del solo
acconto versato.
Il promittente venditore comunicava che gli affittuari
avevano
manifestavano la volontà di esercitare la prelazione e
di ritenersi perciò sciolto dal preliminare sottoscritto,
manifestando
disponibilità a restituire l’importo ricevuto. Il
promissario
acquirente, ritenendo che il terreno oggetto del
contratto non avesse vocazione agricola, sicché alcun
diritto di prelazione ex lege n. 590/1965, potesse spettare
agli
affittuari, convenne in giudizio il promittente venditore
con
un’azione ex art. 2932 c.c.
Il Tribunale ordinario rigettò la domanda.
La Corte territoriale viceversa accolse il gravame sul
rilievo
che, ai fini della configurabilità o meno del diritto di
prelazione
agraria e in particolare circa il requisito della natura
agricola del terreno oggetto della prelazione e del
riscatto,
occorresse far riferimento al PRG vigente al momento della
conclusione del contratto e non al successivo piano, ancora
in itinere al momento della stipula del preliminare.
Insorge, contro la sentenza della Corte territoriale,
l’originario
convenuto e promittente venditore, con un ricorso che
la Suprema Corte respinge, così confermando la statuizione
finale dei giudici del merito.
In particolare, il Giudice di legittimità, ribadisce che la
vocazione
agricola o edificatoria del terreno va verificata al
momento della conclusione del contratto. Questo, benché
l’art. 8, comma 2, della L. n. 590/1965 -invocato dal
ricorrente- introduca eccezione a tale principio, laddove impone
di dare rilievo alle utilizzazioni future nel solo caso in
cui
lo strumento urbanistico in itinere preveda un cambio di
destinazione. Tuttavia, osserva la Suprema Corte, non rileva
a tal fine un qualsiasi cambio di destinazione, ma la sola
ipotesi del cambio di destinazione da agricola ad
urbanistica.
È questa un’eccezione al principio generale, che trova
la sua ratio nella necessità di evitare speculazioni,
realizzabili
laddove - attraverso l’apparenza di voler realizzare unità
produttive agricole - si miri in realtà a lucrare il
prossimo incremento
di valore del bene, allorché questo passerà da
una utilizzazione agricola a quella edilizia.
In ragione del fatto che la norma in questione ha carattere
eccezionale, essa non è suscettibile d’interpretazione
estensiva sicché non può applicarsi al caso inverso,
caratterizzato
da un assetto di interessi del tutto differente, in
mancanza di un’espressa disposizione normativa che preveda
che ai fini della individuazione della natura del terreno
si debba in ogni caso aver riguardo alle previsioni dello
strumento urbanistico in itinere.
Attraverso l’eccezione
contenuta
nella norma in commento, si ripristina il principio
della libera disponibilità del fondo da parte del suo
proprietario,
la cui compressione (che consegue alla previsione
del diritto di prelazione in favore del proprietario
coltivatore
diretto del fondo confinante e dell’affittuario) si
giustifica in
virtù della particolare tutela assicurata al mantenimento e
all’incentivazione delle attività agricole dalla L. n.
590/1965. Quindi, se il fondo è coltivato ma in base alle
disposizioni
del PRG vigente esso non ha vocazione pienamente
agricola, non sussiste il diritto di prelazione e riscatto
in capo all’affittuario coltivatore diretto.
La Suprema Corte respinge anche il terzo motivo, recante
doglianza di violazione, tra gli altri, dell’art. 2932 c.c.,
e dell’art.
40 della L. n. 47/1985 e dell’art. 46, d.P.R. n.
380/2001 (T.U. Edilizia) per la mancanza del c.d.u.
(certificato
di destinazione urbanistica) nel contratto, preliminare,
che avrebbe comportato nullità del medesimo.
Osserva,
sul punto la S.C. che il certificato di destinazione
urbanistico
è necessario solo per la valida conclusione del contratto
definitivo e non anche del preliminare, secondo un principio
ormai consolidato secondo il quale la disposizione dell’art.
18, comma 2, L. 28.02.1985, n. 47, che sancisce
la nullità degli atti tra vivi, aventi a oggetto
trasferimento,
costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali
relativi a terreni, quando a essi non sia allegato il
certificato
di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni
urbanistiche
riguardanti l’area interessata, si riferisce esclusivamente
ai contratti che determinano l’effetto reale indicato
dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori,
come
il contratto preliminare di compravendita.
Per l’effetto, il preliminare è valido pur non contenendo la
dichiarazione di cui agli artt. 17 e 40 della legge citata e
l’allegazione del c.d.u., fatta salva l’esigenza di
allegazione
del detto certificato al contratto definitivo o nel caso di
azione ex art. 2932 c.c., attesa la funzione sostitutiva del
contratto definitivo non concluso da essa spiegata (inter
alias, Cass. n. 24460/2007) (Corte
di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 12.06.2015 n. 12230
- Urbanistica
e appalti n. 8-9/2015). |
anno 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
NON OCCORRE LA PRODUZIONE DEL CERTIFICATO DI DESTINAZIONE
URBANISTICA IN CASO DI FRAZIONAMENTO DI FONDI SENZA FINALITÀ
EDIFICATORIE.
L’art. 30, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001 definisce l’ipotesi di lottizzazione abusiva e il
successivo comma 2 impone di allegare il certificato di
destinazione urbanistica allo scopo di prevenire abusi
edilizi, sicché sono nulli gli atti tra vivi, aventi ad
oggetto il trasferimento di diritti reali relativi a terreni
senza allegazione del certificato di destinazione
urbanistica, salvo che non si verta in fattispecie negoziale
in cui non sussistono finalità edificatorie.
Tra due coppie di coniugi, comproprietarie di alcuni fondi
confinanti, sorgevano dissidi di natura dominicale che
portarono alla sottoscrizione d’una scrittura privata
transattiva con la quale era regolato l’uso delle parti
comuni e ripartite le porzioni d’una strada promiscua, con
rinuncia alla relativa servitù di passo.
Una delle parti, sul presupposto dell’inottemperanza
dell’altra, la evocava in giudizio per ottenere
l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo di dare
esecuzione alla scrittura privata transattiva, con ogni
seguente pronuncia costituiva ex art. 2932 c.c. Il Tribunale
accoglieva la domanda, dichiarando che la scrittura privata
era da qualificarsi come un atto di divisione di proprietà
del comune fondo, con attribuzione a ciascuna delle porzioni
immobiliari conformemente al tenore della scrittura privata.
La convenuta appellava la decisione, dolendosi che il
giudice di primo grado non avesse dichiarato la nullità
della scrittura privata in ragione della mancata allegazione
del certificato di destinazione urbanistica, obbligatorio ex
art. 18 della L. n. 47/1985.
L’appello era reietto, sulla scorta della ritenuta
infondatezza del mezzo posto che -in forza dell’art. 30,
comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001, introdotto dalla L. n.
246/2005, applicabile anche agli atti stipulati prima
dell’entrata in vigore della novella ("purché la nullità
non sia stata accertata con sentenza divenuta definitiva
prima di tale data")- il legislatore aveva introdotto la
possibilità di sanatoria degli atti nulli (indicati
dall’art. 30, comma 2, D.P.R. n. 380/2001) e che tal
circostanza vanificava il motivo d’appello.
La Corte di merito aggiungeva che, nella specie, neppur
ricorressero le ipotesi previste dall’art. 30, comma 2,
D.P.R. n. 380/2001, perché tal norma riconduce la sanzione
di nullità dell’atto alle ipotesi di lottizzazione abusiva:
dal che, era irrilevante la specifica mancanza del
certificato di destinazione urbanistica in questa concreta
fattispecie negoziale, in cui -ad avviso della Corte- non
ricorrevano finalità lottizzatorie e/o edificatorie, avendo
la convenzione a oggetto una transazione sulla divisione di
un fondo e l’estinzione di una servitù di passaggio,
compiuta di comune accordo.
Per la cassazione di tale sentenza l’appellante soccombente
propone ricorso, che il Supremo Collegio rigetta.
Osserva il Giudice di legittimità che correttamente la Corte
di merito ha fatto applicazione della novella legislativa di
cui all’art. 30, comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001. L’art. 30,
comma 1, T.U. edilizia (D.P.R. n. 380/2001) definisce
l’ipotesi di lottizzazione abusiva e il successivo comma 2
pone l’obbligo di allegazione del certificato di
destinazione urbanistica: dalla lettura combinata delle due
disposizioni si scorge la ratio sottesa alla norma
che impone l’allegazione di quel certificato, quale
strumento per prevenire abusi edilizi.
In tal senso si è orientata la giurisprudenza della Corte
allorché ha riferito la nullità degli atti tra vivi aventi
ad oggetto il trasferimento di diritti reali relativi a
terreni, per mancata allegazione del certificato di
destinazione urbanistica (già ex art. 18, comma 2, L. n.
47/1985), come poi anche dall’art. 30 T.U. edilizia “a
tutti quegli atti negoziali che concretino consapevoli
tentativi di aggirare le previsioni urbanistiche e di
derogarvi” (Cass. 09.09.2013, n. 20649).
Nella stessa ottica -afferma la Corte- si pone il principio
(cfr. Cass. n. 4984/2012) secondo cui, ai fini del divieto
di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, la lottizzazione
"negoziale" o "indiziaria" (cosiddetta per la
necessità di ricercare la volontà di eludere le prescrizioni
degli strumenti urbanistici) si configura solo quando il
negozio sia accompagnato da un’ulteriore attività diretta
all’inveramento dello scopo elusivo: non è sufficiente,
quindi, lo scorporo di un appezzamento minore da uno
maggiore (seppur nella previsione della destinazione
edificatoria del lotto), in quanto la direzione della
volontà verso una condotta potenzialmente lesiva deve essere
indagata nelle sue manifestazioni concrete e nel suo
carattere univoco.
In armonia con il richiamato orientamento si colloca,
dunque, la sentenza annotata che ha affermato l’irrilevanza
del certificato di destinazione urbanistica in fattispecie
negoziali rispetto alle quali non sussistono finalità
lottizzatorie o edificatorie, avendo la convenzione a
oggetto una transazione su di una servitù di passaggio
estinta di comune accordo tra i coeredi, dietro compenso
(Corte
di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 07.03.2014 n.
5419
- tratto da Urbanistica e appalti n. 5/2014).
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di destinazione urbanistica redatto dal pubblico
ufficiale è atto meramente dichiarativo e non costitutivo
degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che
discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali
hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il
certificato.
Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed
è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è
suscettibile di impugnazione. Pertanto, la domanda di
risarcimento del danno derivante dal rilascio di un
certificato urbanistico errato non rientra nella
giurisdizione del G.A.
---------------
Sennonché, va dato atto della circostanza che l’appello non
appare del tutto esplicito nel chiarire la natura del danno
asseritamente risarcibile: esso appare appunto ricollegato
(nella prospettazione appellatoria) alla successiva
procedura localizzativa dell’opera, (come in particolare si
evince dal penultimo capoverso della pag. 18 dell’appello,
laddove si fa riferimento –qual circostanza già ammessa dal
Tar e “fondante” la propria domanda- all’ordinanza
cautelare in cui è stato stigmatizzato l’originario asserito
mancato coinvolgimento del privato “aggravato” dal
rilascio del certificato di destinazione urbanistica “parziale”.
In altra porzione dell’appello, si parrebbe preconizzare
–senza però decisamente avanzare la detta ipotesi- un danno
ex art. 2043 cc “puro” (e/o ex art. 1337 e 1338 cc) a
cagione della circostanza in ultimo citata, senza però
allegare e/o indicare gli elementi decisivi a conforto di
tale opzione.
3.1. Ritiene in proposito il Collegio di evidenziare quanto
segue.
La già rilevata non perspicua prospettazione contenuta
nell’atto di appello, la connessione della proposta domanda
con quella di annullamento della localizzazione, la asserita
incidenza del detto rilascio del certificato parzialmente
incompleto sulla omessa informazione della procedura
localizzativa, inducono il Collegio a ritenere che il
petitum, in quanto posto in connessione con la detta
localizzazione, fosse inteso a corroborare la domanda
risarcitoria coinvolgente il detto segmento procedimentale
ed a dimostrare la illegittimità della detta scelta.
Detta domanda in tali termini è stata (correttamente, a
parere del Collegio, anche per quanto si chiarirà di
seguito) intesa dal Tar, né l’appellante ha gravato ex art.
112 cpc (almeno in parte qua) la sentenza di primo grado per
omissione di pronuncia (come avrebbe dovuto fare laddove
avesse ritenuto di potere dimostrare che il petitum
risarcitorio era “slegato” dalla procedura
localizzativa e proposto ex artt. 2043, 1337, 1338 CC) il
che appare tanto più significativo in quanto il motivo ex
art. 112 cpc è stato sollevato con riguardo ad altra parte
della decisione.
Intesa nei detti termini essa, in parte qua, è del
tutto infondata, per le già chiarite ragioni.
3.2. Ove invece la stessa avesse dovuto intendersi qual
slegata dalla predetta procedura localizzativa la
giurisdizione, ad avviso del Collegio, perterrebbe al
Giudice ordinario (si vedano gli arresti della
giurisprudenza di legittimità secondo i quali: la
responsabilità della p.a. per illecito extracontrattuale
-che può essere fatta valere dal privato con azione di
risarcimento del danno davanti al giudice ordinario- è
astrattamente configurabile anche nella diffusione di
informazioni inesatte -Cass. 22.11.1999, n. 12941): esclusa
infatti, per le già chiarite ragioni la interferenza di tale
falsa/inesatta/incompleta informazione catastale sulla
parallela attività espropriativa intrapresa (ed esclusa
quindi qualsivoglia ipotesi di giurisdizione esclusiva in
subiecta materia) residuerebbe una condotta non
diligente afferente ad una attività di natura ricognitiva e
non provvedimentale e totalmente vincolata.
Ed è ben noto l’orientamento della Suprema Corte sulla
sostanziale inesistenza di spendita di “potere
amministrativo” che giustifichi l’attribuzione delle
controversie al plesso giurisdizionale amministrativo in
ipotesi di attività totalmente vincolata, ivi essendosi
ravvisato (secondo la risalente teoria della c.d. “degradazione
dell’atto”) il permanere di una posizione di diritto
soggettivo pieno (e ciò, sia con riguardo ai c.d. “diritti
soggettivi non degradabili” che ad altre invero non
frequenti fattispecie in cui l’amministrazione si limita a
dare pedissequa applicazione a principi già integralmente
prefissati dalla norma superiore: ex aliis Cass. civ.
Sez. Unite Ordinanza, 16.09.010, n. 19577).
Più in particolare, è stato di recente condivisibilmente
osservato che (TAR Lazio-Latina, Sez. I, 22.05.2013, n. 482)
”il certificato di destinazione urbanistica redatto dal
pubblico ufficiale è atto meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano:
effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti,
i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata
con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura
provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e,
dunque, non è suscettibile di impugnazione. Pertanto, la
domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di
un certificato urbanistico errato non rientra nella
giurisdizione del G.A.”.
Ove in tal senso dovesse essere intesa la domanda
dell’appellante (ma non ritiene il Collegio vi siano indici
univoci per ciò ritenere) questo Collegio dovrebbe declinare
in parte qua la giurisdizione: pur tenendo conto del
disposto di cui all’art. 9 del cpa, pienamente applicabile
alla fattispecie per cui è causa, va rilevato che nel
presente procedimento il Tar ha respinto la domanda, non
ritenendo la giurisdizione neppure in modo implicito quanto
a tale prospettazione del petitum risarcitorio, e non
prendendola neppure in esame, ritenendola all’evidenza
legata alla procedura localizzativa (così si esprime il Tar,
in proposito: “la parziale improcedibilità e comunque la
non fondatezza delle censure dedotte da parte ricorrente
determinano, a propria volta, la reiezione dell’ulteriore
domanda di risarcimento del danno, in mancanza di
un’attività amministrativa illegittima cui ricondurre la
genesi di un danno ingiusto ed in presenza di una specifica
procedura prevista dalla legge per il ristoro economico del
danno derivante dall’esproprio della porzione di area in
esame”).
Questo Giudice d’appello sarebbe quindi facultizzato (così
qualificata la domanda, rilevato il –comunque non dedotto da
parte appellante- vizio ex art. 112 cpc, e decidendola nel
merito) a rilevare ex officio e per la prima volta la
carenza di giurisdizione, non essendovi accertamento né
esplicito né implicito sul punto (arg: Cons. Giust. Amm.
Sic., 04.06.2013, n. 548 il ”G.A. può rilevare in ufficio
per la prima volta in appello il difetto di giurisdizione
ogni qualvolta in primo grado le questioni controverse
estranee all'ambito della cognizione amministrativa non
siano state esaminate, nemmeno implicitamente, dal Tar”).
Sennonché, a cagione appunto della equivocità del gravame in
parte qua, il Collegio non ritiene di potere in tali termini
qualificare il petitum, e quindi si limita a
respingerlo in parte qua nei termini sopra
evidenziati, il che non precluderebbe all’odierno
appellante, eventualmente, di riproporre il petitum
risarcitorio finalizzato ex art. 2043 cc e 1337 e 1338 CC
innanzi all’Autorità giurisdizionale competente (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.02.2014 n. 505 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
TRASFERIMENTO DI IMMOBILI EX ART. 2932 C.C. IN ASSENZA DEL
CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA O DEL TITOLO
EDILIZIO.
Nelle controversie ex art. 2932 c.c., in
applicazione di quanto previsto dagli artt. 30 e 46 del
D.P.R. n. 380/2001, è necessaria l’allegazione -agli atti di
trasferimento, di costituzione o di scioglimento della
comunione di diritti reali relativi a terreni- del
certificato di destinazione urbanistica e d’indicazione
degli estremi del titolo abilitativo edilizio rilasciato
dall’autorità competente.
La questione concerne un terreno con annesso rustico del
quale il promissario acquirente aveva scoperto -solo dopo la
firma del preliminare di compravendita e malgrado la
garanzia di libertà dell’immobile da pesi, prestata dal
venditore- l’inedificabilità.
Ne seguì una controversia traslativa ex art. 2932 c.c. con
domanda di riduzione del prezzo ex art. 1489 c.c., in
dipendenza del predetto vincolo, e di risarcimento danni.
Dopo un’originaria reiezione del Tribunale, argomentata sul
fatto che il vincolo era conoscibile tanto facendo
riferimento al PRG quanto ad una specifica legge regionale
che lo aveva introdotto, la Corte d’appello accolse la
domanda, così trasferendo la proprietà del terreno e del
rustico in questione, con prezzo decurtato.
La Cassazione riforma la sentenza di merito, enunciando un
importante principio valido per le controversie aventi a
oggetto l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un
contratto preliminare di compravendita immobiliare ex art.
2932 c.c., ossia che ai sensi degli artt. 17, 18 e 40 della
L. n. 47/1985, quanto -oggi- degli artt. 30 e 46 del D.P.R.
n. 380/2001 deve dedursi la nullità di ogni atto di
trasferimento privo, per i terreni, dell’allegazione del
certificato di destinazione urbanistica, e, per gli edifici,
della indicazione degli estremi della concessione edilizia.
Tale dovuta allegazione -agli atti di trasferimento, o di
costituzione o di scioglimento della comunione di diritti
reali relativi a terreni- del certificato di destinazione
urbanistica nonché di indicazione (per gli edifici o parte
di essi) degli estremi del titolo abilitativo edilizio
rilasciato dall’autorità competente (ovvero di allegazione
della domanda di sanatoria corredata della prova
dell’avvenuto pagamento degli importi dovuti) determina
l’impossibilità, anche per il giudice, come per il notaio,
di pronunciare una sentenza traslativa dell’immobile ex art.
2932 c.c. (Corte
di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.10.2013 n.
23339 - tratto
da Urbanistica e appalti n. 12/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Comune di Arnara - Parere in merito al rilascio dei
certificati di destinazione urbanistica nel periodo di
coesistenza tra disposizioni urbanistiche approvate e
disposizioni urbanistiche adottate (Regione
Lazio,
parere
06.02.2013 n. 340076 di prot.). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Rientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta
la condanna di un Comune al risarcimento dei
danni subiti in conseguenza del rilascio, da
parte dell'ente territoriale, del
certificato di destinazione urbanistica
erroneamente attestante la qualità
edificatoria di un terreno risultato, in
realtà, soltanto in minima parte
edificabile.
In via preliminare deve essere
dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo in favore del giudice
ordinario.
Infatti, secondo un indirizzo
giurisprudenziale consolidato, tra cui
Cassazione civile sez. un., 23.09.2010, n. 20072, cui questo collegio ritiene
di aderire, “Rientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta
la condanna di un Comune al risarcimento dei
danni subiti in conseguenza del rilascio, da
parte dell'ente territoriale, del
certificato di destinazione urbanistica
erroneamente attestante la qualità
edificatoria di un terreno risultato, in
realtà, soltanto in minima parte
edificabile”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 01.06.2012 n. 422 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di destinazione urbanistica
rientra nella categoria degli atti di
certificazione, redatti da pubblico
ufficiale, aventi carattere dichiarativo o
certificativo del contenuto di atti pubblici
preesistenti e non può essere sussunto nella
categoria del "documento amministrativo",
così come definito dall'art. 22 lett. "d"
della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di
accesso agli atti ("ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie
del contenuto di atti, anche interni o non
relativi ad uno specifico procedimento,
detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale"), costituendo l'esercizio di
una funzione dichiarativa o certificativa
sulla base degli atti di strumentazione
urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati
di destinazione urbanistica non può avvenire
nelle forme del diritto di accesso, ma
secondo le specifiche fonti normative,
legislative e regolamentari, che
precipuamente riguardano tali tipi di atti
amministrativi.
Quanto al certificato di destinazione
urbanistica, possono condividersi le
controdeduzioni formulate
dall’amministrazione resistente, tenuto
conto che il predetto atto rientra nella
categoria degli atti di certificazione,
redatti da pubblico ufficiale, aventi
carattere dichiarativo o certificativo del
contenuto di atti pubblici preesistenti e
non può essere sussunto nella categoria del
"documento amministrativo", così come
definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n.
241/1990 e s.m.i., in materia di accesso
agli atti ("ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie
del contenuto di atti, anche interni o non
relativi ad uno specifico procedimento,
detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale"), costituendo l'esercizio
di una funzione dichiarativa o certificativa
sulla base degli atti di strumentazione
urbanistica (cfr. in tal senso TAR Puglia
Lecce, sez. II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne consegue che, il rilascio dei certificati
di destinazione urbanistica non può avvenire
nelle forme del diritto di accesso, ma
secondo le specifiche fonti normative,
legislative e regolamentari, che
precipuamente riguardano tali tipi di atti
amministrativi
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.05.2012 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di destinazione urbanistica, di
cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo
Unico dell'Edilizia, si configura
come una certificazione redatta da un
pubblico ufficiale, avente natura ed effetti
meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche, le quali discendono
invece da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione
giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di
efficacia provvedimentale, non ha alcuna
concreta lesività, il che rende impossibile
la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali
errori contenuti in esso potranno essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest'ultimo
potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati
in base all'erroneo certificato di
destinazione urbanistica.
---------------
Circa la domanda di risarcimento del danno
derivante dall’erronea indicazione resa nel
certificato di destinazione urbanistica,
vale ricordare quanto statuito con
l’ordinanza 23.09.2010 n. 20072 dalle SS.UU.
della Cassazione civile.
In detta ordinanza si è rilevato che “Parte
ricorrente si duole della (incontroversa)
erroneità del certificato di destinazione
urbanistica, erroneità che ne aveva indotto
una falsa rappresentazione della realtà (la
legittimità di un intervento edilizio
relativo all'intera area in questione) cui
era conseguita la decisione di acquistare il
terreno - decisione che non sarebbe mai
stata adottata se fossero stata fedelmente e
correttamente riportate, nella
certificazione de qua, le reali condizioni
del terreno quoad inaedificationis.
La controversia esula, dunque, dal campo
(impropriamente evocato dal comune
resistente) riservato alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, non
controvertendosi, nella specie, in ordine ad
alcuna ipotesi di gestione del territorio,
che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34,
riserva alla competenza esclusiva del G.A.
Diversamente da quanto opinato dal
resistente (secondo il quale il certificato
in parola era un semplice attestato
rilasciato a richiesta del privato, tale,
pertanto, da non esonerare quest'ultimo
dallo svolgimento di ulteriori attività di
verifica e controllo), il rilascio della
certificazione in parola integra gli estremi
non già dello svolgimento di una
qualsivoglia attività provvedimentale della
P.A., bensì del comportamento (sicuramente
colposo) del funzionario, riconducibile
all'ente di appartenenza, astrattamente
idoneo a risolversi in un illecito civile,
con la conseguenza che spetta al giudice
ordinario la cognizione (e l'accertamento in
concreto) della sussistenza e della
tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle
posizioni di diritto soggettivo che si
assumono lese nella specie.”
... per l’accertamento del diritto
della ricorrente al risarcimento del danno
causato dall’emissione, da parte
dell’Amministrazione convenuta, di un
certificato di destinazione urbanistica dal
contenuto non corrispondente alla realtà,
che ha indotto la ricorrente ad acquistare
un terreno qualificato erroneamente come
edificabile e per la contestuale condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei
danni subiti a causa dell’illegittimo
comportamento dell’Amministrazione
convenuta, da quantificarsi in corso di
causa.
...
La Sezione ha avuto recentemente modo di
affermare (cfr. Sez. I , 21.12.2011 n. 1779)
che il certificato di destinazione
urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti
dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo
Unico dell'Edilizia, si configura -secondo
l'indirizzo giurisprudenziale prevalente-
come una certificazione redatta da un
pubblico ufficiale, avente natura ed effetti
meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche, le quali discendono
invece da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione
giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di
efficacia provvedimentale, non ha alcuna
concreta lesività, il che rende impossibile
la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali
errori contenuti in esso potranno essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest'ultimo
potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati
in base all'erroneo certificato di
destinazione urbanistica.
Nel caso all’esame, si domanda il
risarcimento del danno derivante
dall’erronea indicazione resa nel
certificato sicché la fattispecie è del
tutto identica a quella sulla quale si sono
pronunciate, con l’ordinanza 23.09.2010 n.
20072, le SS.UU. della Cassazione civile.
In detta ordinanza si è rilevato che “Parte
ricorrente si duole della (incontroversa)
erroneità del certificato di destinazione
urbanistica, erroneità che ne aveva indotto
una falsa rappresentazione della realtà (la
legittimità di un intervento edilizio
relativo all'intera area in questione) cui
era conseguita la decisione di acquistare il
terreno - decisione che non sarebbe mai
stata adottata se fossero stata fedelmente e
correttamente riportate, nella
certificazione de qua, le reali condizioni
del terreno quoad inaedificationis.
La controversia esula, dunque, dal campo
(impropriamente evocato dal comune
resistente) riservato alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, non
controvertendosi, nella specie, in ordine ad
alcuna ipotesi di gestione del territorio,
che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34,
riserva alla competenza esclusiva del G.A.
Diversamente da quanto opinato dal
resistente (secondo il quale il certificato
in parola era un semplice attestato
rilasciato a richiesta del privato, tale,
pertanto, da non esonerare quest'ultimo
dallo svolgimento di ulteriori attività di
verifica e controllo), il rilascio della
certificazione in parola integra gli estremi
non già dello svolgimento di una
qualsivoglia attività provvedimentale della
P.A., bensì del comportamento (sicuramente
colposo) del funzionario, riconducibile
all'ente di appartenenza, astrattamente
idoneo a risolversi in un illecito civile,
con la conseguenza che spetta al giudice
ordinario la cognizione (e l'accertamento in
concreto) della sussistenza e della
tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle
posizioni di diritto soggettivo che si
assumono lese nella specie.”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 24.04.2012 n. 687 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Errori
nel certificato di destinazione urbanistica:
il privato può presentare
all'Amministrazione un'istanza di correzione
o impugnare davanti al giudice
amministrativo i successivi provvedimenti
concretamente lesivi non potendo impugnare
autonomamente il solo certificato.
Il certificato di destinazione urbanistica
(di cui all’art. 30 del D.Lgs. 380 del 2001
- Testo Unico dell'Edilizia) è un atto di
certificazione redatto da un pubblico
ufficiale avente natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni
giuridiche, infatti tali posizioni
discendono da altri provvedimenti, che hanno
a loro volta determinato la situazione
giuridica acclarata dal certificato stesso
(cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. IV,
06.10.2010, 6863).
Conseguentemente deve ritenersi che tale
atto, essendo sfornito di ogni efficacia
provvedimentale, è altresì privo di concreta
lesività, il che non rende ammissibile la
sua autonoma impugnazione. Gli eventuali
asseriti errori contenuti nel certificato
possono semmai essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato,
oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti
al giudice amministrativo gli eventuali
successivi provvedimenti concretamente
lesivi, adottati dall’Amministrazione in
base all'erroneo certificato di destinazione
urbanistica, in riscontro a specifica
richiesta edificatoria o ai fini della
riqualificazione dell’area (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 14.03.2011, n.
279; idem, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania,
Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR
Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 06.03.2012 n.
2241 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di destinazione
urbanistica non è un provvedimento amministrativo.
Non è autonomamente impugnabile il certificato di
destinazione urbanistica che, per le caratteristiche
proprie, si configura come una certificazione redatta da un
pubblico ufficiale, avente natura e effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche che,
invero, discendono da altri provvedimenti, che hanno a loro
volta determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso.
I ricorrenti, proprietari di un compendio immobiliare
costituito da una civile abitazione con annessa area di
pertinenza, hanno impugnato la deliberazione della
resistente P.A. con cui era stato approvato il Piano di
Governo del Territorio, nella parte in cui aveva rigettato
le osservazioni da essi presentate a seguito dell’adozione
del P.G.T.
In particolare, hanno esposto che l’area di pertinenza era
costituita da: a) una striscia di terreno consistente in una
rampa di accesso carraio a ovest dell’edificio che
costituisce l’unico accesso carraio alla proprietà; b) una
porzione di giardino e marciapiede a nord; c) una porzione
di giardino a est, a sud e a sud-ovest.
A seguito dell’adozione del P.G.T., gli stessi avevano
presentato due osservazioni, con le quali rispettivamente
facevano rilevare la presenza di "errori grafici" contenuti
nella planimetria, nonché l’indicazione come strada di una
pertinenza.
Il Consiglio comunale, tuttavia, non aveva accolto le
predette osservazioni, rilevando non solo che "la
cartografia di base del nuovo P.G.T. è frutto di un accurato
rilievo", ma anche che "considerati i vari atti notarili di
provenienza degli immobili oggetto di osservazione e i
frazionamenti catastali a essi collegati, si può constatare
che quanto osservato non corrisponde al vero”.
Avverso quest’ultima determinazione sono insorti gli
interessati, all’uopo eccependo la violazione della L. n.
241/1990, nonché eccesso di potere per travisamento dei
fatti, manifesta irragionevolezza, contraddittorietà,
sviamento della causa tipica, carenza di motivazione.
Il Collegio di Brescia, in via preliminare, ha esaminato
l’eccezione d’inammissibilità sollevata dal Comune che, sul
punto, ha rintracciato una carenza d’interesse dei
ricorrenti in quanto, già prima della proposizione del
gravame, sarebbero state risolte in senso favorevole agli
stessi entrambe le questioni sollevate con il ricorso (e
precedentemente con le due osservazioni).
L’eccezione è stata ritenuta parzialmente fondata.
Invero, in relazione alla questione della rampa di accesso
carraia indicata come strada, il TAR lombardo ha condiviso
la prospettazione dell’Amministrazione comunale, dato che
–accolta l’osservazione presentata dall’U.T.C finalizzata
alla correzione di refusi contenuti negli elaborati
cartografici- l’area in contestazione non veniva più
indicata come strada, ma era stata ricondotta all’ambito
residenziale consolidato.
Per quanto riguarda, invece, l’altra osservazione, non vi
era stata alcuna correzione di quanto segnalato dai
ricorrenti (errori grafici e mancata indicato nelle tavole
del marciapiede), sicché per tale parte il ricorso è stato
ritenuto ammissibile.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato ex officio che i
ricorrenti, nel corso del giudizio, avevano progressivamente
ampliato l’oggetto del contendere rispetto a quello
delimitato dall’atto gravato e dai motivi di ricorso
contenuti nell’atto introduttivo, estendendolo a questioni
ulteriori e diverse attinenti ad altri atti o a motivi nuovi
rispetto a quelli originari, anche in relazione ad alcune
osservazioni svolte dalla difesa del Comune.
Siffatto modus procedendi è stato ritenuto
inammissibile.
Il giudicante, invero, non ha mancato di precisare che, in
termini generali, l’oggetto del giudizio amministrativo
impugnatorio è quello delimitato dall’individuazione
dell’atto impugnato e per i motivi di censura articolati
nell’atto introduttivo del giudizio, risultando
inammissibili le doglianze ulteriori dedotte con semplici
atti depositati e non notificati.
Di conseguenza, sono state dichiarate inammissibili le
questioni sollevate mediante le memorie non notificate, con
le quali erano state svolte contestazioni in ordine alla
data di consegna della cartografia corretta, alle risultanze
contenute nel certificato di destinazione urbanistica e
all’inibizione della D.I.A. presentata dai ricorrenti per la
realizzazione di un cancello.
Relativamente al certificato di destinazione urbanistica di
cui ai commi 2 e ss. dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001,
l’adito TAR, invece, richiamando un fermo indirizzo
esegetico, ha rilevato come tale atto si configurasse come
certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente
natura e effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri
provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la
situazione giuridica acclarata dal certificato stesso (cfr.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR
Campania, Napoli, Sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR
Toscana, Sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d'Aosta,
15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
04.11.2004, n. 5585; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 28.05.1999, n.
542).
Sicché ha precisato, in termini generali, che il
certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale,
non possiede alcuna concreta lesività, il che rende
impossibile la sua autonoma impugnazione; gli eventuali
errori in esso contenuti, ha sottolineato, possono essere
corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest'ultimo può impugnare davanti al
Giudice amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base
all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Così perimetrato l’effettivo ambito del giudizio, il
Collegio è passato alla disamina delle dedotte doglianze,
con particolare riferimento alla presunta indicazione nel
P.G.T. di linee e punti inesistenti o traslati.
Il rilievo, sebbene ritenuto fondato, ha indotto il TAR ad
affrontare la problematica se l’erronea indicazione
contenuta nelle tavole del Piano di Governo del Territorio
poteva mostrarsi lesiva e impugnabile in via
giurisdizionale.
Al riguardo, ha osservato che, nella specie, non assumeva
rilievo l’impugnativa di mappe catastali, né la
contestazione di profili proprietari, bensì la
contestazione, da parte del cittadino dell’esattezza e
corrispondenza alla realtà effettuale di rappresentazioni
cartografiche delle tavole annesse al P.G.T..
In siffatto contesto è sembrata palese la sussistenza di un
interesse del privato a chiedere la correzione di discrasie
riscontrate, le quali avrebbero potuto lederlo con specifico
riguardo alla tematiche urbanistico-edilizie, frapponendo
ostacoli o limitazioni all’attività edificatoria in
relazione all’indicazione di elementi di cui si contesta
l’esistenza.
E così, in virtù dell’ammissibilità e fondatezza delle
eccezioni sollevate dai ricorrenti, il gravame è stato
accolto con conseguente annullamento della deliberazione
consiliare nella parte in cui era stata rigettata, invece di
essere accolta, l’osservazione oggetto di esame giudiziale
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 21.12.2011 n. 1779 - link a
www.giustizia-amministrativa.it |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di destinazione
urbanistica si configura come una certificazione redatta da
un pubblico ufficiale, avente natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le
quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia
provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che
rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli
eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti
dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure
quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti
concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo
certificato di destinazione urbanistica.
Relativamente al certificato di destinazione urbanistica (di
cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001,
Testo Unico dell'Edilizia), occorre rilevare che -secondo
l'indirizzo giurisprudenziale prevalente (cfr. TAR
Lombardia, sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, sez. II,
20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n.
55; TAR Valle d'Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia,
sez. II, 04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio, sez. I,
28.05.1999, n. 542)– tale atto si configura come una
certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente
natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi
di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri
provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la
situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia
provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che
rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli
eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti
dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure
quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti
concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo
certificato di destinazione urbanistica (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.12.2011 n. 1779 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Urbanistica
- Atti tra vivi di trasferimento di diritti reali relativi a terreni -
Mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica - Nullità ex
art. 18, secondo comma, della legge n. 47 del 1985 (art. 30 D.P.R. n. 380
del 2001) - Finalità - Certificato relativo ad area più vasta rispetto a
quella compravenduta - Nullità - Esclusione - Limiti - Valutazione -
Necessità - Criteri.
La disposizione del secondo comma dell'art. 18 della
legge 28.02.1985, n. 47, poi recepita nell'art. 30, comma 2, del D.P.R.
06.06.2001, n. 380 -che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad
oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione
di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il
certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni
riguardanti l'area interessata- è finalizzata, da un lato, a reprimere e a
scoraggiare gli abusi edilizi e, dall'altro, ad informare il Comune sulle
vicende negoziali riguardanti l'area affinché possa svolgere i dovuti
controlli.
Ne consegue che, ove il certificato allegato riguardi un'area più vasta
rispetto a quella compravenduta -ma comprensiva di quest'ultima- non può
ritenersi di per sé integrata la nullità prevista dalla legge, dovendosi
verificare s il certificato sia idoneo a realizzare gli obiettivi per cui è
richiesto.
Riferimenti normativi: Cod. Civ. artt. 1418 e 1421; Legge 28/02/1985 n. 47
art. 18; D.P.R. 06/06/2001 n. 380 (Corte
di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 21.09.2011 n. 19219 - tratto
da ww.studiocastellini-notai.it).
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SENTENZA
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della L.
n. 47 del 1985, art. 18, in relazione ai criteri di interpretazione della
legge nonché in relazione agli artt. 1418 e 1427 c.c., e il vizio di
motivazione. Al riguardo rileva che sarebbe stata applicata la sanzione di
nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18, in una fattispecie diversa
rispetto a quella considerata in quanto il certificato di destinazione
urbanistica non mancava, ma era semplicemente impreciso essendo relativo ad
una porzione di terreno più ampia (foglio 1, mappale 497) nella quale
ricadeva anche la parte di terreno oggetto del negozio; non potendosi e non
dovendosi applicare l’art. 18 avrebbe semmai potuto applicarsi la
disposizione dell’art. 1427 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto
concluso per errore.
Il motivo è fondato nel limiti qui di seguito esposti.
Per i disposto della L. 28.02.1985, n. 47, art. 18, l’allegazione del
certificato di destinazione urbanistica non costituisce una condizione di
efficacia, ma un requisito di validità dei negozi traslativi dei terreni, la
cui mancanza determina la nullità dell’atto.
Occorre premettere che non è più in discussione che il certificato di
destinazione dovesse essere allegato all’atto di trasferimento; infatti non
ha formato oggetto di impugnazione la statuizione dei giudici del merito per
la quale, nella fattispecie, non ricorrono le condizioni per escludere
l’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica. La
disposizione della L. 28.02.1985, n. 47, art. 18, comma 2 (poi recepita nel
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2) è diretta a reprimere e a
scoraggiare gli abusi edilizi attraverso lo strumento della invalidazione
degli atti di trasferimento aventi ad oggetto lotti di terreno per
l’edificazione; per questo motivo la nullità che consegue alla mancata
allegazione del certificato di destinazione urbanistica (che, salva la
discrezionalità dei singoli Comuni, normalmente deve almeno indicare i dati
del terreno, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici come
l’indice di fabbricabilità) è rilevabile anche di ufficio (cfr. ex multis,
Cass. 4811/2001) ed è irrilevante l’acquiescenza dell’acquirente o il suo
stato di buona o mala fede.
Infatti, il suddetto certificato, oltre allo scopo di informare le parti
sull’assetto urbanistico dell’area, ha altresì lo scopo di informare il
Comune sulle vicende negoziali riguardanti l’area, al fine di porre l’ente
locale in condizione di svolgere in via preventiva il suo ruolo di autorità
che vigila per impedire eventuali speculazioni lottizzazione. Quest’ultima
funzione è soddisfatta per il fatto che, attivatasi la richiesta di
certificato di destinazione urbanistica, il Comune è avvertito che un
determinato terreno è oggetto di negoziazione; le norme garantiscono in ogni
caso detta funzione informativa prevedendo che per la validità della
dichiarazione sostitutiva del certificato, è necessaria l’attestazione della
presentazione della domanda di rilascio al Comune (v. D.P.R. n. 380 del
2001, art. 30, comma 4).
Pertanto nel caso in cui un certificato di destinazione urbanistica sia
stato allegato, per contestare che sia stato adempiuto l’onere di
allegazione, occorre valutare l’idoneità o meno del certificato che si
allega a realizzare il presupposto di validità richiesto in considerazione
della finalità che esso riveste nella L. n. 47 del 1985.
Nella concreta fattispecie il certificato di destinazione urbanistica era
stato rilasciato dal Comune ed era stato allegato all’atto, ma il giudice di
appello ha rilevato che il certificato urbanistico concerneva altra
particella originaria, più vasta, seppur comprendente quella compravenduta
(pag. 9 della sentenza) e che il certificato di destinazione urbanistica non
può riguardare più vasti comprensori di cui l’area compravenduta faccia
parte (pag. 10 della sentenza).
In presenza di un certificato di destinazione urbanistica regolarmente
rilasciato dall’ente locale e comprendente l’area oggetto dell’atto di
trasferimento, non può ritenersi che la mera circostanza che il documento
allegato comprenda un’area più vasta possa integrare la nullità comminata
dalla legge; per altro verso e sotto il profilo del vizio di motivazione,
occorre considerare che la certificazione riguardante la più vasta area può
comprendere anche la destinazione urbanistica del terreno oggetto di vendita
e che tale certificazione non esclude che siano stati egualmente raggiunti
gli scopi informativi sopra evidenziati e a tutela dei quali la Legge
commina la sanzione di nullità, specie considerando che la certificazione
proviene dal soggetto pubblico destinatario dell’informazione e non
dall’alienante.
La declaratoria di nullità dell’atto per mancanza del certificato prescritto
è stata pronunciata senza una sufficiente motivazione in ordine alla
idoneità o inidoneità del certificato allegato all’atto medesimo, per come
richiesto e per i suoi contenuti, a realizzare la sua funzione informativa
sia nei confronti dell’acquirente per quanto attiene al regime di
edificabilità o d’inedificabilità e alle prescrizioni urbanistiche nell’area
oggetto dell’atto, sia nei confronti del Comune in merito alle vicende
negoziali relative a tale specifica area.
Sotto questi profili il motivo di ricorso è fondato e, in questi limiti,
deve essere accolto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 e il vizio di motivazione;
assume che la Corte di Appello avrebbe ingiustamente respinto il terzo
motivo di appello sostenendo che la nullità comminata dal citato art. 18
potesse estendersi anche al preliminare di vendita, mentre può estendersi ai
soli contratti a effetti, reali e non a quelli con effetti obbligatori come
il preliminare di vendita.
Il motivo è fondato.
Occorre qui richiamare la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi
sono motivi per discostarsi, secondo la quale la disposizione della L.
28.02.1985, n. 47, art. 18, comma 2, che sancisce la nullità degli atti tra
vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento
della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia
allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le
prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, si riferisce
esclusivamente ai contratti che determinano l’effetto reale indicato dalla
norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto
preliminare di compravendita, (Cass. 24/11/2007 n. 24460); pertanto il
preliminare non poteva essere dichiarato nullo per la semplice circostanza
della mancanza del certificato di destinazione urbanistica ferma restando la
necessità del certificato di destinazione urbanistica per la conclusione del
contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo
di concludere il contratto definitivo, di cui all’art. 2932 cod. proc. civ.
(v. Cass. sez. 3^, 09.07.1994, n. 6493; Cass. 17/01/2003 n. 628).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento ad entrambi i
motivi e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per il
regolamento delle spese, ad altra sezione della Corte di Appello di
Catanzaro, tenuta ad uniformarsi a principi e ai criteri sopra enunciati. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato
di destinazione urbanistica ha carattere meramente
dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che
dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica
attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri
precedenti provvedimenti che hanno provveduto a
determinarla. Ciò impedisce all'amministrazione, una volta
avvedutasi che la certificazione contiene un’attestazione
non veritiera, di rilasciare un permesso di costruire basato
su un erroneo presupposto.
Va premesso che il certificato di destinazione urbanistica
ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli
effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla (TAR Campania, Napoli, Sezione II,
20.09.2010 n. 17479; TAR Lombardia, Milano, Sezione IV,
06.10.2010 n. 6863; TAR Toscana, Sezione I, 28.01.2008, n.
55).
Ciò impedisce all'amministrazione, una volta avvedutasi che
la certificazione contiene un’attestazione non veritiera, di
rilasciare un permesso di costruire basato su un erroneo
presupposto (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n. 1604 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Impugnazione certificato di destinazione
urbanistica - Natura dichiarativa - Manca l'efficacia
provvedimentale - Illegittimità.
Considerato che il certificato di destinazione urbanistica
(di cui all'art. 30 D.P.R. n. 380/2001), in quanto atto di
certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura
ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche che discendono in realtà da altri
provvedimenti, è privo di concreta lesività, il che rende
inammissibile la sua autonoma impugnazione (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificati di destinazione urbanistica,
contestazioni al G.O..
La sentenza affronta il caso di una società che ha impugnato
davanti al Tribunale Amministrativo Regionale il certificato
di destinazione urbanistica, sostenendone l'illegittimità,
in quanto nell'atto sarebbe erroneamente indicato come
saturo un comparto edificatorio, privando così
ingiustificatamente un mappale della propria volumetria e di
conseguenza rendendo non attuabile un progetto edilizio
proposto dalla ricorrente. La sentenza, conformandosi alla
giurisprudenza assolutamente prevalente, afferma il difetto
di giurisdizione in merito alla controversia, che rientra,
invece, nella giurisdizione del giudice ordinario.
A favore della tesi sostenuta dal TAR militano diversi
elementi.
In primo luogo deve ritenersi che il certificato in
questione non sia un vero e proprio provvedimento
amministrativo, bensì un mero atto.
Sin dagli inizi del secolo scorso la dottrina e la
giurisprudenza amministrative distinguono la nozione di
provvedimento da quella più generale di atto amministrativo.
Il primo riassume tutti i requisiti propri delle
manifestazioni della funzione pubblica, è l'atto conclusivo
del procedimento e produce effetti nei confronti dei
destinatari: è quindi la più importante specie di atto
amministrativo.
Il termine atto amministrativo in senso stretto è stato
spesso utilizzato, invece, per individuare gli atti posti in
essere dalla pubblica amministrazione, ma che sono privi dei
caratteri propri dei provvedimenti.
Secondo la teoria classica sono atti amministrativi non
provvedimentali:
a) gli atti paritetici, cioè gli atti di volontà privi del
carattere dell'autoritarietà;
b) gli atti di mero accertamento (ad es. certificazioni,
registrazioni, verbalizzazioni).
Secondo la dottrina prevalente i caratteri propri del
provvedimento sono i seguenti:
a) unilateralità;
b) tipicità e nominatività;
c) imperatività o autoritarietà;
d) inoppugnabilità;
e) esecutività.
L'unilateralità segnala che il provvedimento non ha bisogno
del concorso della volontà dei destinatari per esistere.
Ciò lo distingue dai contratti, anche di diritto pubblico,
che richiedono il concorso della volontà di due parti.
Si differenzia, invece, dai negozi unilaterali di diritto
privato perché, essendo espressione di un potere
amministrativo, il provvedimento può modificare
unilateralmente le posizioni giuridiche dei terzi anche in
senso negativo, mentre gli atti unilaterali di diritto
privato possono modificare la sfera giuridica dei terzi
senza il loro consenso solo in senso favorevole.
La tipicità significa che i provvedimenti sono definiti nei
loro elementi costitutivi dalla legge, mentre con il termine
nominatività si sottolinea che essi solo quelli previsti dal
legislatore.
La tipicità è espressione del principio di legalità, in
quanto il potere di sacrificare unilateralmente le posizioni
giuridiche dei terzi dev'essere espressamente previsto dalla
legge, che ne determina anche i presupposti e gli effetti.
Il principio di tipicità comporta che il provvedimento è
legittimo solo vi è corrispondenza tra potere amministrativo
e provvedimento: qualora un atto sia posto in essere per
perseguire un interesse, anche pubblico, diverso da quello
per il quale è previsto, esso è viziato da eccesso di potere
per sviamento dall'interesse pubblico o dalla causa tipica.
Ulteriore conseguenza del principio di tipicità, secondo la
giurisprudenza, è che la qualificazione del provvedimento va
operata in base all'esclusiva considerazione del potere
effettivamente esercitato, e non in base alla qualificazione
ad esso attribuita dalle parti o alle norme in esso citate.
Il requisito dell'imperatività o autoritarietà è il più
discusso.
Secondo la teoria classica il provvedimento è la
manifestazione di un potere d'impero della pubblica
amministrazione e tale potere è l'essenza stessa del
provvedimento.
Con questo termine si intende il potere di costituire,
modificare ed estinguere le posizioni giuridiche dei terzi
mediante un proprio atto unilaterale, esercizio di quel
potere.
La dottrina della fine dell'ottocento e del primo novecento
ha identificato nell'imperatività il carattere tipico del
provvedimento.
Diverse erano le conseguenze che si desumevano dal requisito
dell'imperatività del provvedimento.
In primo luogo il divieto del giudice ordinario di
modificare il provvedimento; in secondo luogo la sua
esecutorietà, cioè la possibilità di portarlo ad esecuzione
forzata senza bisogno dell'intervento del giudice; in terzo
luogo l'autotutela, cioè il potere della p.a. di modificare
o revocare una sua precedente manifestazione di volontà
unilateralmente; in quarto luogo il potere di degradare i
diritti soggettivi ad interessi legittimi per assoggettarli
al potere amministrativo.
Gran parte di questi poteri della p.a., oggi, però sono
stati ridimensionati. In particolare, come vedremo, la L.
11.02.2005, n. 15, che ha dettato lo statuto del
provvedimento amministrativo, ha escluso che tali poteri
siano insiti nel potere amministrativo, ma li ha ricondotti
all'unica fonte che in un regime democratico li può
giustificare, cioè la legge.
Così l'esecutorietà non è più un principio generale ma si
applica ai soli provvedimenti ai quali la legge la
conferisce (art. 21-ter, L. n. 241 del 1990); l'autotutela
trova fondamento e disciplina nella legge (artt.
21-quinquies e 21-octies, L. n. 241 del 1990); il divieto
imposto al giudice ordinario di modificare e revocare il
provvedimento consegue al principio di separazione dei
poteri e trova nella legge diverse eccezioni; la teoria
della degradazione è ormai superata a favore della teoria
secondo cui le situazione soggettive di diritto e di
interesse legittimo convivono dall'inizio e si manifestano a
secondo del soggetto (pubblico o privato) che pone in essere
l'aggressione del bene tutelato. Sembra lecito quindi
concludere che l'autorità o imperatività del provvedimento
consiste oggi nella sua idoneità a modificare situazioni
giuridiche altrui, senza necessità dell'altrui consenso.
Il concetto di autoritatività resta, in ogni caso, centrale
quale criterio di riparto di giurisdizione in quanto la
Corte costituzionale (Sent. 06.07.2004, n. 204) ha affermato
che una materia può essere oggetto di giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo solo se in essa la
pubblica amministrazione agisce anche esercitando il suo
potere autoritativo.
Ha elevato così l'autoritatività a criterio di riparto di
giurisdizione.
Le certificazioni, invece, sono prive del requisito
dell'imperatività in quanto non esprimono una volontà
dell'amministrazione e non hanno effetto costitutivo sulle
posizioni giuridiche dei privati.
Dai certificati ordinari vanno poi distinti gli atti di
accertamento costitutivo i quali, pur avendo contenuto di
accertamento, producono effetti costitutivi e, quindi, sono
inquadrati tra i provvedimenti.
La sentenza in commento riconosce che il certificato di
destinazione urbanistica è un certificato ordinario "in
quanto atto di certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non
costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in
realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta
determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso. Di conseguenza, essendo sfornito di ogni
efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta
lesività, il che rende impossibile la sua autonoma
impugnazione".
Parzialmente diverso, nel contenuto ma non negli effetti, è
l'orientamento della Cassazione (Cass. Civile, Sez. Unite,
23.09.2010, n. 20072) la quale ha chiarito che "la
controversia in merito al contenuto del certificato di
destinazione urbanistica esula dal campo riservato alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non
controvertendosi, nella specie, in ordine ad alcuna ipotesi
di gestione del territorio, che del D.Lgs. n. 80 del 1998,
art. 34, riserva alla competenza esclusiva del G.A.
Infatti il rilascio della certificazione in parola integra
gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia
attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento
(sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile
all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi
in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al
giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in
concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano
risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si
assumono lese da un certificato errato".
Vediamo quindi come la Cassazione abbia regredito il
certificato in questione addirittura a mero comportamento
amministrativo, che, in quanto tale non costituisce attività
illegittima dell'amministrazione ma solo un comportamento
foriero di danni lesivi di diritti soggettivi.
Questa degradazione è la conseguenza del carattere meramente
compilativo dell'atto, nel quale non si rinviene alcun
esercizio della funzione amministrativa, neppure vincolata.
Infatti esso è la mera sintesi di precedenti provvedimenti
(le concessione edilizie che hanno disposto della
volumetria) e non produce alcun effetto vincolante, neppure
nei confronti dell'amministrazione che potrà discostarsene.
Si tratta quindi, secondo la Cassazione, di una mera
operazione che non comporta alcuna elaborazione mentale e
tecnica con la conseguenza che non rientra neppure negli
atti amministrativi.
Le conseguenze sul riparto della giurisdizione sono però le
medesime: degli eventuali errori del certificato conosce il
giudice ordinario perché ledono una posizione di diritto
soggettivo (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di destinazione
urbanistica è privo di efficacia provvedimentale, perciò non
può essere impugnato autonomamente.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente
prevalente, al quale aderisce anche la scrivente Sezione, il
certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2°
e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico
dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da
un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che
discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso.
Di conseguenza, essendo sfornito di ogni efficacia
provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il
che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori contenuti nel certificato possono
semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su
istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare
davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi
provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base
all’erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Su tali conclusioni, come già ricordato, la giurisprudenza
appare largamente maggioritaria: si vedano in particolare,
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR
Campania, Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR
Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d’Aosta,
15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio, sez. I, 28.05.1999, n. 542.
Nel Comune di Milano, tale orientamento risulta confermato
dalla lettura dell’art. 114 del Regolamento Edilizio (norma
espressamente richiamata nell’atto impugnato, cfr. doc. 1
della ricorrente), in forza del quale (vedesi comma 2°), il
documento ivi gravato <<...ha carattere certificativo
rispetto alla disciplina vigente al momento del suo
rilascio, ma non vincola i futuri atti che l’Amministrazione
Comunale può emanare nel rispetto delle norme vigenti in
materia>>; il che esclude che un eventuale certificato
erroneo possa avere effetti cogenti sulle successive
determinazioni del Comune (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA
– NATURA ED EFFICACIA – ESCLUSIVAMENTE DICHIARATIVA –
CONSEGUENZE.
Il certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi
2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico
dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da
un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che
discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a
loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso.
Difettando, pertanto, di efficacia provvedimentale, esso non
può formare oggetto di autonoma impugnativa giurisdizionale,
dovendo gli eventuali errori essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo
potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli
eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi,
adottati in base all’erroneo certificato di destinazione
urbanistica (massima tratta da
www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR
Lombardia–Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Edificazione - Indici di densità -
Densità territoriale e densità fondiaria - Nozione.
L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente,
nello strumento urbanistico, dagli indici di densità.
Tra questi, la densità territoriale indica la quantità
massima di volumi realizzabili in una zona territoriale
omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato
da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità
fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno
specifico lotto, in funzione della prima.
Cessione di cubatura - Contratto di
trasferimento - Conseguente inedificabilità - Qualità
obiettiva del fondo - Opponibilità ai terzi - Certificato di
destinazione urbanistica - Art. 30, c. 2 d.P.R. n. 380/2001.
La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere
alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o
dalla cessione del terreno medesimo, a determinate
condizioni. Questo perché la cubatura (ossia la possibilità
di edificare un determinato volume edilizio) pur se
intrinsecamente collegata al terreno che la esprime,
costituisce una utilità separata da questo, autonomamente
valutabile e con una propria commerciabilità e
patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto
di un contratto di trasferimento con il quale il
proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte
delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo
scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area
di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel
rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene,
per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale
inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che
inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al
trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi,
sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il
sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la
cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per
il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la
relativa cessione risulterà dalla trascrizione).
Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal
certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art.
art. 30, comma 2, dpr 06.06.2001 n. 380.
Cessione di cubatura - Presupposti di
legittimità - Omogeneità del’area territoriale - Contiguità
territoriale - Condizione giuridica.
La legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello
sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio
da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè
la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si
trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la
cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due
fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si
stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla
rilevazione della volumetria esistente, in modo da
determinare, secondo gli standard del DM 1444/1968, a quale
tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se
fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi
qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe
che l’indice di densità territoriale potrebbe essere
alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come
una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma
giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano
una o più aree aventi destinazioni urbanistiche
incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se
non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi
accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree
ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania,
Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549; Consiglio Stato, sez. V,
30.10.2003, n. 6734) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.10.2010 n. 4113 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificato di destinazione urbanistica
- Natura dichiarativa.
Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere
meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla (TAR Toscana Firenze, I,
28.01.2008, n. 55): ciò impedisce all'Amministrazione di
rilasciare una certificazione contenente attestazioni non
veritiere, ossia riportante una qualificazione differente da
quella attribuita all'immobile dalla normativa urbanistica
vigente (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.10.2010 n. 6863 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificato di destinazione urbanistica
- Natura dichiarativa.
Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere
meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti
giuridici che dallo stesso risultano, visto che la
situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la
conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno
provveduto a determinarla (TAR Toscana Firenze, I,
28.01.2008, n. 55): ciò impedisce all’Amministrazione di
rilasciare una certificazione contenente attestazioni non
veritiere, ossia riportante una qualificazione differente da
quella attribuita all’immobile dalla normativa urbanistica
vigente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.10.2010 n. 6863 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Certificato di destinazione
urbanistica - Natura - Assenza di carattere provvedimentale
- Impugnazione - Inammissibilità.
2. Certificato urbanistico - Danno da errate attestazioni -
Risarcimento - Competenza G.A. - Non sussiste.
1.
Il certificato di destinazione urbanistica, in quanto atto
amministrativo di certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha carattere meramente dichiarativo e non
costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso
risultano, effetti che discendono da altri precedenti
provvedimenti che hanno determinato la situazione giuridica
acclarata con il certificato: ne consegue che esso è
sprovvisto di concreta lesività ed è pertanto inammissibile
la sua autonoma impugnazione (cfr. TAR Milano, sent. n.
5585/2004; TAR Firenze, sent. n. 55/2008).
2.
Nel caso in cui il danno lamentato derivi dalle attestazioni
contenute nel certificato urbanistico, essendo questo un
atto privo di natura provvedimentale e in quanto tale non
suscettibile di impugnazione, ne discende che la domanda di
risarcimento conseguente al rilascio di un certificato
urbanistico errato non può rientrare nella giurisdizione del
GA, privo di poteri demolitori rispetto al certificato,
fonte del danno (cfr. TAR Valle d'Aosta Aosta, sent. n.
16/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.01.2010 n. 21 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il rilascio dei certificati di
destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del
diritto di accesso.
Il certificato di
destinazione urbanistica è stato introdotto dall’art. 8 del
d.l. 23.01.1982 n. 9 (Norme per l’edilizia residenziale e
provvidenze in materia di sfratti), convertito, con
modificazioni, con la l. 25.03.1982 n. 94, che, al comma 9,
riconosce la legittimazione alla richiesta di rilascio del
suddetto certificato “a chi abbia titolo alla concessione
edilizia”.
Successivamente l’art. 18, comma 2, della l. 28.02.1985 n.
47, ora trasfuso nell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, ha
imposto l’obbligo formale di allegazione dei certificati di
destinazione urbanistica agli atti tra vivi, sia in forma
pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto il
trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della
comunione di diritti reali su terreni, sanzionandone la
violazione con la nullità insanabile dell’atto e con
l’impossibilità di procederne alla trascrizione nei pubblici
registri immobiliari.
Il certificato di destinazione urbanistica contiene la
indicazione della vocazione (agricola o edificatoria) di un
determinato terreno, in base alla strumentazione urbanistica
vigente, con la specificazione di tutte le relative
prescrizioni urbanistiche ed edilizie; esso è redatto e
rilasciato dagli uffici tecnici comunali, a specifica
richiesta di soggetto giuridicamente legittimato (di regola,
proprietario, titolare di altro diritto reale, possessore
dell’entità immobiliare interessata alla richiesta), previo
versamento di particolari oneri (imposta di bollo, diritti
di segreteria).
Il certificato di destinazione urbanistica rientra, dunque,
nella categoria degli atti di certificazione, redatti da
pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o
certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. V 25.09.1998 n. 1328).
In relazione alla sua qualificazione giuridica, il
certificato di destinazione urbanistica non può essere
sussunto nella categoria del “documento amministrativo”,
così come definito dall’art. 22, lett. “d”, della l. n.
241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti (“ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto
di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico
procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica
della loro disciplina sostanziale”), costituendo
l’esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa
sulla base degli atti di strumentazione urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione
urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di
accesso, ma secondo le specifiche fonti normative,
legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano
tali tipi di atti amministrativi (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 2121 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla natura dichiarativa del
certificato di destinazione urbanistica.
Il certificato di destinazione urbanistica non ha carattere
costitutivo ma meramente dichiarativo e gli effetti
giuridici che dallo stesso risultino discendono da altri
precedenti provvedimenti che hanno determinato la situazione
giuridica acclarata con il certificato. Infatti questo è una
tipica dichiarazione di scienza proveniente dalla pubblica
amministrazione circa il contenuto degli strumenti
urbanistici.
Ne consegue che nel documento in questione deve essere
riportato solo quanto risulta dagli atti, senza che possano
essere compiute valutazioni circa l’attualità e l’efficacia
delle prescrizioni relative all’area del richiedente (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 07.05.2009 n. 957 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 3 -
Sulla sussistenza del divieto di autorizzazione
paesaggistica in sanatoria anche con riferimento agli
interventi, realizzati in assenza di nulla osta
paesaggistico, prima del 1° maggio 2004 e sulla mancata
indicazione del vincolo paesaggistico nel certificato di
destinazione urbanistica (Geometra Orobico n. 6/2008). |
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