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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
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99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
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dossier CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA
anno 2023

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, “è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano, effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato; se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo”.
Pertanto, nel rilascio di un certificato urbanistico, il Comune esplica un’attività indubbiamente certativa, ma non integrante l’esercizio di un “potere” amministrativo rilevante ai fini della giurisdizione in ordine al risarcimento del danno: a tali fini, l’esercizio del potere viene in rilievo quale presupposto che (tramite l’adozione di atti o comportamenti) consente all’Amministrazione di definire l’assetto di interessi, producendo quindi effetti nella sfera giuridica del destinatario in via unilaterale (o autoritativa).
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Con l’ordinanza nr. 9203/2023, il Collegio ha sollevato d’ufficio un dubbio relativo alla giurisdizione, che parte ricorrente, con apposita memoria, ha affermato sussistere, argomentando circa il fatto che il rilascio di un certificato urbanistico errato non costituirebbe un “mero” comportamento dell’Ente, ma sarebbe da ricondurre pur sempre all’esercizio di un potere (certificativo) della PA, con conseguente radicamento della domanda di risarcimento di fronte al G.A.; soccorrerebbero la tesi delle ricorrenti un precedente specifico (TAR Napoli, Sez. II, 29.12.2020, n. 6451) ed i principi di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria nr. 20 del 29.11.2021 (secondo la quale vanno ricondotte alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte quelle ipotesi nelle quali il risarcimento richiesto dipenda da comportamenti i quali costituiscano “comunque espressione di poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura”); nel caso in esame, non si verterebbe esclusivamente in ordine all’errata emissione di certificati urbanistici, bensì anche di titoli abilitativi dei quali l’amministrazione aveva emesso preavviso di rilascio prima di disporne il rigetto; ne deriverebbe che nell’ipotesi di richiesta risarcitoria avanzata in ragione della “fiducia” posata in base ad un’azione della P.A. esercitata nell’alveo dell’esercizio del potere amministrativo, quale l’emissione di un certificato urbanistico, si integrerebbe quel “comportamento” che ai sensi dell’art. 7 del c.p.a. radica la giurisdizione nell’A.G.A., vieppiù nelle ipotesi di cui all’art. 133 comma 1 lett. f) del c.p.a.
Nonostante l’evidente impegno difensivo, le argomentazioni che la difesa delle ricorrenti hanno svolto non consentono al Collegio di sciogliere la riserva in senso favorevole alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Si osserva, preliminarmente, che la decisione del TAR Catania n. 2550/2015, richiamata nell’ordinanza ex art. 73 c.p.a. si colloca entro un orientamento più ampio (rispetto al quale la decisione di TAR Napoli 6451/2020 appare isolata), che il Collegio ritiene di dover confermare.
Invero, è dirimente –anche rispetto a quanto argomentato dalla difesa dei ricorrenti– quanto chiarito da Consiglio di Stato, sez. IV, 04/02/2014, n. 505, secondo cui il certificato di destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, “è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano, effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato; se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo” (cfr. altresì, TAR Brescia, sez. I, 24/04/2012, n. 687, e Cassazione civile, sez. un., 23/09/2010, n. 20072).
Pertanto, nel rilascio di un certificato urbanistico, il Comune esplica un’attività indubbiamente certativa, ma non integrante l’esercizio di un “potere” amministrativo rilevante ai fini della giurisdizione in ordine al risarcimento del danno: a tali fini, l’esercizio del potere viene in rilievo quale presupposto che (tramite l’adozione di atti o comportamenti) consente all’Amministrazione di definire l’assetto di interessi, producendo quindi effetti nella sfera giuridica del destinatario in via unilaterale (o autoritativa) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio, sentenza 10.07.2023 n. 11569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In merito alla domanda di risarcimento del danno conseguente ad erronea certificazione urbanistica, la giurisprudenza è orientata pacificamente ad ascrivere la relativa fattispecie alla cognizione del giudice ordinario.
Invero, “rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. una controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di un ente locale da un soggetto che, sulla scorta del rilascio di un certificato di destinazione urbanistica dal contenuto non corrispondente alla realtà, è stato indotto all'acquisto di un terreno qualificato erroneamente come edificabile.
Infatti, il rilascio del certificato di destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese in tali fattispecie”.
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Rilevato che, nell’odierno giudizio, parte ricorrente agisce contro il Comune intimato per il risarcimento del danno che assume di aver subito per aver confidato nella legittimità di un certificato di destinazione urbanistica che la induceva a sostenere investimenti onerosi nell’acquisto di lotti di terreno e nella predisposizione di progetti di edificazione che, all’esito del relativo procedimento, si rivelava non essere assentibile;
Rilevato che, più precisamente,
   - le ricorrenti si determinavano nelle proprie iniziative imprenditoriali sulla base dell’attestata destinazione urbanistica dei lotti meglio precisati in atti, datata 30.07.2004, (prot. 11460) nella quale il terreno (foglio 11 particelle 482,484, 487 e 488) veniva dichiarato avente “destinazione urbanistica” F5 parco privato;
   - a detto documento veniva allegato l’estratto di PRG a mente del quale si specificava che “Riguarda aree nelle quali possono essere realizzati impianti sportivi ed interventi di iniziativa privata. Sono anche ammessi interventi per la costruzione di case di abitazione e di impianti destinati allo svolgimento di attività culturali ricreative e turistiche, nell’osservanza delle seguenti prescrizioni …” (segue come in atti);
   - presentata la necessaria documentazione edilizia (28.04.2005), e nonostante il Comune avesse in un primo tempo preannunciato l’accoglimento delle relative domande (prot. 7373 e 7376 del 10.05.2005) il procedimento si concludeva con un rigetto della domanda (nota prot. 10229 del 14.06.2006), essendo risultato erroneo il certificato del 30.07.2004 (per omessa considerazione di varianti medio tempore intervenute), in quanto la destinazione di zona del lotto d’interesse risultava “G - Verde privato vincolato” del tutto inedificabile, salvo una parte ad “F4 - Servizi privati” con una minima edificabilità (che le parti assumono comunque insufficiente);
Ritenuto che, in merito alla domanda di risarcimento del danno conseguente ad erronea certificazione urbanistica, la giurisprudenza è orientata pacificamente ad ascrivere la relativa fattispecie alla cognizione del giudice ordinario (cfr. TAR Catania, sez. II, 04/11/2015, n. 2550: “rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. una controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di un ente locale da un soggetto che, sulla scorta del rilascio di un certificato di destinazione urbanistica dal contenuto non corrispondente alla realtà, è stato indotto all'acquisto di un terreno qualificato erroneamente come edificabile; infatti, il rilascio del certificato di destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese in tali fattispecie”; cfr. anche Consiglio di Stato , sez. IV, 04/02/2014 , n. 505);
Ritenuto che, secondo tale orientamento, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che andrebbe declinata in favore del giudice ordinario, con facoltà di riassunzione nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 11 del c.p.a.;
Ritenuto di invitare pertanto le parti a dedurre in ordine alla questione esposta, che il Collegio solleva d’ufficio, con termine per presentare memorie entro venti giorni dalla comunicazione della presente ordinanza ex art. 73 del c.p.a., con riserva di ogni altra decisione, in rito, come nel merito e sulle spese;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione II Stralcio) invita le parti a dedurre sulla questione rilevata d’ufficio di cui in parte motiva, nei termini pure ivi indicati e con riserva di ogni altra decisione, in rito, come nel merito e sulle spese (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio, ordinanza 30.05.2023 n. 9203 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Va richiamato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “il certificato di destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano, effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato”.
Si desume da ciò che tale atto non avente natura provvedimentale è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
"Il rilascio del certificato di destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della p.a., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al g.o. la cognizione della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese”.
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2.2. Le ricorrenti inoltre imputano la concorrente responsabilità del Comune per non aver rappresentato nel certificato di destinazione urbanistica quale fosse lo stato ambientale del terreno affermando che “l’inserimento di detto fondo tra quelli non idonei ad ospitare l’impianto avrebbe determinato le società attrici a non acquistare il terreno” e che “la responsabilità del Comune si fonda sulla violazione di precetti normativi che regolano la specifica attività degli enti predetti”.
Secondo le ricorrenti il diritto al risarcimento dei danni troverebbe la propria fonte nella violazione da parte del Comune dell’obbligo, legislativamente predeterminato, di inserire nel certificato di destinazione urbanistica del terreno acquistato le informazioni sullo stato ambientale.
Al riguardo va richiamato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “il certificato di destinazione urbanistica, redatto dal pubblico ufficiale, è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano, effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04/02/2014, n. 505; Tar Lazio, Roma, sez. II, 06/03/2012, n. 2241; Tar Piemonte, sez. II, 18/06/2016, n. 887; Tar Sicilia, Catania, sez. II, 03/07/2019, n. 1696; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 26/11/2020, n. 5564).
Si desume da ciò che tale atto non avente natura provvedimentale è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, cit. sez. IV, n. 505 del 2014; Cass. civile, sez. un., 23/09/2010, n. 20072); “il rilascio del certificato di destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della p.a., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al g.o. la cognizione della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese” (cfr. Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 24/04/2012, n. 687).
Pertanto anche in relazione alla rappresentata responsabilità del Comune riguardo alla dedotta omessa specificazione dello stato ambientale del terreno nel certificato urbanistico non sussiste la giurisdizione di questo giudice (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 02.05.2023 n. 7334 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per consolidato orientamento giurisprudenziale, il certificato di destinazione urbanistica è un atto dal carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, sicché allo stesso non è possibile ricollegare alcun contenuto provvedimentale.
In termini:
   - “Il certificato di destinazione urbanistica si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell'erroneo certificato di destinazione urbanistica”;
   - “Il certificato di destinazione urbanistica è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano con la conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa impugnazione”;
   - “La destinazione urbanistica di un'area non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici, sicché in caso di contrasto l'indicazione contenuta nella certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o dichiarazione di falso del certificato per poter far valere la reale previsione urbanistica”;
   - “Il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2º e seguenti dell'art. 30 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione”.
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1. Il ricorso è inammissibile, rivolgendosi l’impugnativa avverso atto non immediatamente lesivo degli interessi della parte ricorrente.
Ed infatti, con il gravame in disamina la società Ge. spa ha impugnato il certificato di destinazione urbanistica, prot. n. 18875 del 05.12.2017, rilasciato dal Comune di Teano in riferimento al fondo del quale la deducente è proprietaria.
Giova, in proposito, rimarcare che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il certificato di destinazione urbanistica è un atto dal carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, sicché allo stesso non è possibile ricollegare alcun contenuto provvedimentale.
In termini:
   - “Il certificato di destinazione urbanistica si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell'erroneo certificato di destinazione urbanistica” (cfr. TAR Catania, (Sicilia) sez. II, 06/06/2022, n. 1539);
   - “Il certificato di destinazione urbanistica è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano con la conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa impugnazione” (cfr. TAR Palermo, (Sicilia) sez. II, 07/03/2022, n. 719);
   - “La destinazione urbanistica di un'area non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici, sicché in caso di contrasto l'indicazione contenuta nella certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o dichiarazione di falso del certificato per poter far valere la reale previsione urbanistica” ( cfr. TAR Pescara, (Abruzzo) sez. I, 05/09/2018, n. 260);
   - “Il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2º e seguenti dell'art. 30 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione” (cfr. TAR Bari, (Puglia) sez. III, 03/01/2018, n. 5).
Del resto, la ricorrente non ha allegato il pregiudizio concreto ai propri interessi a derivare dal rilascio del certificato in commento, ma ha dedotto di aver proposto il ricorso in commento in ragione del fatto che esso “potrebbe incidere negativamente sulla conferenza di servizi (per il rilascio dell’autorizzazione ex art. 208 d.lgs. 152/2016) e pregiudicarne il buon esito”.
2. In questo contesto non è, dunque, dato apprezzare alcuna lesività dell’atto impugnato, con la conseguenza che il gravame deve essere dichiarato inammissibile (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.02.2023 n. 904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica, secondo una consolidata giurisprudenza, “si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica”.
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... per l'annullamento:
   del provvedimento del Comune di -OMISSIS- del 10.11.2010 n. 6004, con cui il responsabile dell’Ufficio Tecnico ha emesso l’attestazione “di esistenza di vincoli” preclusivi alla prosecuzione dell’attività estrattiva nella cava di gneiss denominata “-OMISSIS-”, sita in quel Comune, e delle correlate note dell’A.R.T.A. -OMISSIS- e del Servizio Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Messina n. -OMISSIS-;
con richiesta di risarcimento danni.
...
4.- Il ricorso è inammissibile.
4.1- La Società -OMISSIS-, cui l'odierna Società ricorrente è subentrata con autorizzazione del 27.11.2006, conseguiva, con decreto -OMISSIS- dell'Assessorato regionale territorio e ambiente, il nulla osta all'impianto di una cava di "gneiss" in contrada -OMISSIS- del comune di -OMISSIS-. La -OMISSIS-, ottenuto il nulla osta all'impianto, chiedeva al Distretto Minerario di Catania l'autorizzazione all'esercizio della cava. Il Distretto Minerario autorizzava l'esercizio dell'attività di cava per la durata di quindici anni, con scadenza al 26.02.2011.
Con istanza del 16.11.2010, acquisita in pari data al protocollo del Comune di -OMISSIS- al n. 6004, la -OMISSIS-. chiedeva al Sindaco “il rilascio di un attestato circa la esistenza di vincoli”, ai sensi dell’art. 7 della L.R. 15.05.1991 n. 24, sull’area interessata.
In riscontro a tale richiesta, il Responsabile dell’Area Tecnica, effettuata la relativa istruttoria, con atto spedito alla Società in data 15.12.2010, attestava che la particella in questione “corrispondente all’area in cui risulta ubicata la cava di gneiss in oggetto indicata, ricade in una zona E (agricola) in cui l’attività di cava è da considerarsi vietata in quanto non espressamente compresa nell’elenco tassativo della destinazione d’uso in tale zona consentita, in conformità a quanto previsto dalla tavola 4 (tipologia edilizia) allegata al Programma di fabbricazione, approvato con D.A. n. 105 del 16.05.1977 [..]”, e che “l’area in oggetto indicata, pur non essendo espressamente compresa nel “Bacino Idrografico […] -OMISSIS- (098) per il quale è stato approvato il Piano per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.) con D.P.R.S. del 05.05.2007 […], per il forte degrado ambientale che potrebbe comportare grave rischio per la pubblica e privata incolumità, è da considerarsi, comunque, “sito di attenzione”, concludendo con l’affermazione che “la presente attestazione costituisce dichiarazione di esistenza di vincoli ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera c), Legge Regione Sicilia 15.05.1991, n. 24”.
Parte ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento di tale nota e degli altri correlati provvedimenti.
Con l’attestato impugnato, l’Ufficio tecnico del Comune di -OMISSIS-, per esitare la richiesta della -OMISSIS-. di cui si è appena detto, ha verificato e attestato, alla luce della disciplina urbanistica vigente, il regime vincolistico dell’area su cui ricade la cava (che non consentiva e non consente l’attività per la quale la Società richiede il rinnovo dell’autorizzazione): sulla scorta delle varie comunicazioni intercorse sia con l’Assessorato territorio e ambiente, sia con il Genio civile, ha concluso che la stessa, per il forte degrado ambientale, era da ritenere, comunque, “sito di attenzione”.
Ciò detto, va rilevato che l’impugnata nota costituisce un atto che si inserisce all’interno del procedimento di rinnovo dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di cava (il cui provvedimento finale avrebbe dovuto essere emanato dal Distretto Minerario) e che consiste in una semplice manifestazione di scienza e di conoscenza, priva di manifestazione di volontà e non autonomamente impugnabile.
Fra l’altro, la dichiarazione dell’esistenza di vincoli urbanistici nella zona interessata dalla cava è assimilabile al certificato di destinazione urbanistica che, secondo una consolidata giurisprudenza, “si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Sicilia, Catania, II, 03.07.2019, n. 1696; TAR Lombardia, Milano, I, 24.03.2016, n. 586; TAR Lombardia, Brescia, I, 24.04.2012, n. 687; 21.12.2011, n. 1779; TAR Lombardia, Milano, II, 14.03.2011, n. 729; IV, 06.10.2010, n. 6863) …” (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 04.11.2019 n. 2296) (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 06.06.2022 n. 1539 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento al certificato di destinazione urbanistica, è consolidato il principio secondo cui il detto certificato è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano con la conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa impugnazione.
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Passando all’esame dei motivi aggiunti il Collegio ne rileva l’inammissibilità stante la natura non provvedimentale degli atti impugnati.
Ed invero la nota della Soprintendenza n. -OMISSIS- non ha all’evidenza tale natura contenendo esclusivamente la richiesta ai ricorrenti di ulteriore documentazione.
Del pari, con riferimento al certificato di destinazione urbanistica, è consolidato il principio secondo cui il detto certificato è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano con la conseguenza che, attesa la natura non provvedimentale della certificazione de qua, rispetto ad essa non è ammessa impugnazione (cfr., da ultimo, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 08.07.2019, n. 638 che a sua volta richiama Cons. Stato, sez. IV, 04.02.2014 n. 505; TAR Lazio, Latina, 16.05.2013 n. 427; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 19.12.2015 n. 1990)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 07.03.2022 n. 719 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Certificato di destinazione urbanistica – Invalidità compravendita – Obblighi informativi.
L'allegazione all'atto di compravendita di un certificato di destinazione urbanistica afferente un'area più vasta di quella che è oggetto di negoziazione si riverbera sulla invalidità dello stesso se ed in quanto i dati ivi riportati siano inidonei ad assolvere gli obblighi informativi dovuti per legge dal venditore in ordine alla natura edificabile del suolo (Cassazione civile sez. II - 21/09/2011, n. 19219) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.12.2021 n. 1668 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.01.2022).
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Ve. dei Fr.Be. di Be.Al. & C. S.n.c., premesso:
   a) di aver stipulato con il comune di Pescia un contratto di cessione di un terreno inserito in un piano p.i.p. in esecuzione di un precedente atto di assegnazione;
   b) che al predetto contratto era stato allegato un certificato di destinazione urbanistica che attestava il suo inserimento nel predetto comparto a destinazione industriale;
   c) che l’area acquistata è poi risultata essere destinata a parcheggio e quindi priva di edificabilità con conseguente impossibilità di raggiungere lo scopo negozialmente programmato.
Tutto ciò premesso la Società ricorrente chiede che il contratto venga dichiarato nullo in quanto l’allegazione di un certificato di destinazione urbanistica errato equivarrebbe a mancata allegazione ponendosi in tal modo in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 18 della L. 47/1985 e, comunque perché privo di causa.
Il ricorso è fondato.
Secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la allegazione all’atto di compravendita di un certificato di destinazione urbanistica afferente una area più vasta di quella che è oggetto di negoziazione si riverbera sulla invalidità dello stesso se ed in quanto i dati ivi riportati siano inidonei ad assolvere gli obblighi informativi dovuti per legge dal venditore in ordine alla natura edificabile del suolo (Cassazione civile sez. II - 21/09/2011, n. 19219).
Sicché se è vero che non necessariamente la fotografia urbanistica di un’area di maggiori dimensioni risulta essere fuorviante ciò è invece quanto è accaduto nel caso di specie dal momento che la attestazione relativa all’inserimento dell’area ceduta nell’ambito di un p.i.p., lasciava pensare che si trattasse di lotto destinato alla edificazione di fabbricati industriali o artigianali secondo l’intento comune delle parti dichiarato nell’atto di compravendita, mentre la concreta destinazione a parcheggio, precludendo ogni forma di edificazione produttiva, si poneva in totale distonia rispetto a tale obiettivo. Indi per cui il certificato allegato non assolveva la funzione che la legge gli assegna.
Oltre a ciò occorre considerare che la costruzione di edifici ad uso produttivo non costituiva mero motivo soggettivo della parte acquirente ma assurgeva a causa concreta della operazione pubblico/privata di cui l’atto di cessione costituiva il momento terminale essendo lo stesso stato preceduto da un procedimento amministrativo di assegnazione del terreno specificamente preordinato ad agevolare lo sviluppo economico di quella parte del territorio comunale mediante l’acquisto di aree produttive a prezzi calmierati.
La cessione di un’area con destinazione a parcheggio si poneva quindi in distonia anche con la funzione pubblicistica della richiamata cessione andando a costituire ragione non solo di nullità del contratto ma anche del provvedimento di assegnazione che ne stava a monte, il quale, avendo uno scopo pubblicistico irrealizzabile risultava essere carente di uno dei suoi elementi essenziali (quale appunto è la causa) secondo il disposto dell’art. 21-septies della L. 241/1990.
Occorre quindi dichiarare la nullità del contratto di cessione con i conseguenti obblighi restitutivi a carico del comune di Pescia.

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Atto di compravendita – Allegazione di un certificato di destinazione urbanistica afferente un’area più vasta di quella oggetto di negoziazione – Inidoneità degli atti ad assolvere agli obblighi informativi – Invalidità dell’atto di compravendita – Fattispecie: insediamento di un’area ceduta nell’ambito di un PIP.
L’allegazione all’atto di compravendita di un certificato di destinazione urbanistica afferente una area più vasta di quella che è oggetto di negoziazione si riverbera sulla invalidità dello stesso se ed in quanto i dati ivi riportati siano inidonei ad assolvere gli obblighi informativi dovuti per legge dal venditore in ordine alla natura edificabile del suolo (cfr. Cassazione civile sez. II – 21/09/2011, n. 19219; nella specie, la attestazione relativa all’inserimento dell’area ceduta nell’ambito di un p.i.p., lasciava pensare che si trattasse di lotto destinato alla edificazione di fabbricati industriali o artigianali secondo l’intento comune delle parti dichiarato nell’atto di compravendita, mentre la concreta destinazione a parcheggio, precludendo ogni forma di edificazione produttiva, si poneva in totale distonia rispetto a tale obiettivo, andando a costituire ragione non solo di nullità del contratto ma anche del provvedimento di assegnazione che ne stava a monte, il quale, avendo uno scopo pubblicistico irrealizzabile risultava essere carente di uno dei suoi elementi essenziali, la causa, secondo il disposto dell’art. 21-septies della L. 241/1990) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.12.2021 n. 1668 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione urbanistica di cui all’art. 30, co. 2 e ss., del D.P.R. n. 380/2001 si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale avente carattere meramente dichiarativo e ricognitivo.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato secondo il quale il CDU non ha carattere costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato altro non è che la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Nello specifico, trattasi delle disposizioni degli strumenti urbanistici vigenti sull’area di interesse che lo stesso riporta. Sono queste ultime, in concreto, ad essere lesive della sfera giuridica del cittadino.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di una efficacia provvedimentale propria, non ha alcuna concreta lesività; il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica.

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L
a domanda con cui il ricorrente chiede l’annullamento del certificato di destinazione urbanistica rilasciatogli dal Comune deve essere dichiarata inammissibile per originaria carenza d’interesse perché proposta contro un atto non provvedimentale, privo di autonoma efficacia lesiva.
Secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione urbanistica di cui all’art. 30, co. 2 e ss., del D.P.R. n. 380/2001 si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale avente carattere meramente dichiarativo e ricognitivo.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, sez. IV, 26/08/2014 n. 4306 secondo il quale il CDU non ha carattere costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato altro non è che la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (parimenti TAR Roma, Sez. II, 06/03/2012 n. 2241; TAR Brescia, Sez. I, 24/04/2012 n. 687; TAR Torino, Sez. II, 18/06/2016 n. 887; TAR Bari, Sez. III, 03/01/2018 n. 5; TAR Milano, Sez. II, 21/07/2017 n. 434).
Nello specifico, trattasi delle disposizioni degli strumenti urbanistici vigenti sull’area di interesse che lo stesso riporta. Sono queste ultime, in concreto, ad essere lesive della sfera giuridica del cittadino. Pertanto, il certificato, in quanto privo di una efficacia provvedimentale propria, non ha alcuna concreta lesività; il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (TAR Milano, Sez. II, 04.11.2019 n. 2296; Consiglio di Stato, Sez. IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Catania, Sez. II, 03/07/2019, n. 1696; TAR Milano, Sez. I, 24/03/2016, n. 586; TAR Latina, Sez. II, 22/05/2013 n. 482, TAR Brescia, Sez. I, 24/04/2012, n. 687 e 21/12/2011, n. 1779; TAR. Milano, Sez. II, 14/03/2011, n. 729 e Sez. IV, 06/10/2010, n. 6863)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2021 n. 913 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo, e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno contribuito a determinarla; facendosi, ovviamente, riferimento ai provvedimenti di programmazione urbanistico-edilizia.
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D. – Deve preliminarmente essere respinta la domanda di annullamento/cancellazione del certificato di destinazione urbanistica, nella parte in cui è indicato il vincolo (strada di progetto) seppure decaduto.
Deve, invero, essere chiarito in primo luogo che il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo, e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno contribuito a determinarla; facendosi, ovviamente, riferimento ai provvedimenti di programmazione urbanistico-edilizia, i cui effetti nel caso in esame risultano essere consolidati (v., su tale profilo, TAR Sicilia, Sez. III, 26.06.2020, n. 1293)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 19.10.2020 n. 2138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Pedace, CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA: VALORE MERAMENTE DICHIARATIVO O INTRINSECAMENTE COSTITUTIVO? (20.04.2020 – link a www.pausania.it).
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Il Certificato di Destinazione Urbanistica (CDU) è un certificato rilasciato dall’Ufficio Tecnico Comunale competente al fine di accertare i dati catastali, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici dell’immobile per il quale questo è stato richiesto. Consente, insomma, a chi lo ottiene di capire quali sono le reali possibilità edificatorie del suo bene e la sua conformità a quanto riportato nel P.R.G. comunale. (...continua).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione di un certificato di destinazione urbanistica.
Secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione urbanistica, di cui all’art. 30, commi 2 e ss., del D.P.R. n. 380 del 2001, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione; gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Altresì, eventuali danni discendenti dall’erroneo contenuto del certificato possono essere risarciti adendo il giudice ordinario, munito di giurisdizione sulla materia
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2019 n. 2296 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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1.1. Secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, il certificato di destinazione urbanistica, di cui all’art. 30, commi 2 e ss., del D.P.R. n. 380 del 2001, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Sicilia, Catania, II, 03.07.2019, n. 1696; TAR Lombardia, Milano, I, 24.03.2016, n. 586; TAR Lombardia, Brescia, I, 24.04.2012, n. 687; 21.12.2011, n. 1779; TAR Lombardia, Milano, II, 14.03.2011, n. 729; IV, 06.10.2010, n. 6863).
Va precisato che eventuali danni discendenti dall’erroneo contenuto del certificato –di cui, come già evidenziato in precedenza, la parte privata può chiedere la rettifica (TAR Toscana, I, 21.07.2017, n. 946)– possono essere risarciti adendo il giudice ordinario, munito di giurisdizione sulla materia (cfr. Cass. civ., III, 05.07.2017, n. 16496; Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505).
1.2. Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

EDILIZIA PRIVATA: Certificato di destinazione urbanistica: mancato rilascio. Invio degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti.
Illegittimo il silenzio dell’ufficio tecnico comunale sulla richiesta di rilascio del certificato di destinazione urbanistica da parte dell’interessato.
Il certificato di destinazione urbanistica, pur rientrando nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale e non avendo, pertanto, natura provvedimentale ma dichiarativa di situazioni giuridiche già esistenti (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 04.02.2014 n. 505; TAR Puglia-Bari, Sez. III, 03.01.2018 n. 5), costituisce comunque un atto amministrativo di manifestazione del potere certificativo della pubblica autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e correlativi obblighi di “provvedere” in capo all’amministrazione, da intendere, questi ultimi, evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento espresso (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 25.03.2013 n. 450).
Peraltro, nella presente materia, l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi in maniera espressa sull’istanza del privato assume ancora maggiore consistenza a cagione dell’indispensabilità del certificato di destinazione urbanistica ai fini della regolare stipula (o sanatoria) degli atti di compravendita di terreni, come si evince dalla piana lettura dell’art. 30, commi 2 e ss., del d.P.R. n. 380/2001: infatti tale normativa, rimettendo al libero apprezzamento dell’interessato la possibilità di produrre, in alternativa, la dichiarazione sostitutiva del certificato non emesso, non esclude che costui possa insistere nel pretendere il rilascio della più attendibile certificazione urbanistica comunale.
Ai sensi del richiamato quadro normativo, sussiste l’obbligo dell’amministrazione comunale di provvedere in merito all’istanza di rilascio del certificato in questione, concludendo il relativo procedimento mediante un atto espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990.
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... per la declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune di Crispano in merito all’istanza presentata dalla ricorrente il 28.06.2018, finalizzata al rilascio del certificato di destinazione urbanistica relativo al terreno ubicato nel territorio comunale alla Prima Traversa a destra di Via ... s.n.c., riportato in catasto al foglio 3, mappale 1386;
e per l’annullamento del silenzio-rigetto formatosi sulla contestuale richiesta di accesso ai documenti indicati nella suddetta istanza, ossia ai titoli edilizi, comprensivi degli elaborati grafici, relativi al fabbricato insistente su tale terreno.
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Considerato, quanto all’azione avverso il silenzio-rifiuto, che:
   - il certificato di destinazione urbanistica, pur rientrando nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale e non avendo, pertanto, natura provvedimentale ma dichiarativa di situazioni giuridiche già esistenti (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 04.02.2014 n. 505; TAR Puglia Bari, Sez. III, 03.01.2018 n. 5), costituisce comunque un atto amministrativo di manifestazione del potere certificativo della pubblica autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e correlativi obblighi di “provvedere” in capo all’amministrazione, da intendere, questi ultimi, evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento espresso (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 25.03.2013 n. 450);
   - peraltro, nella presente materia, l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi in maniera espressa sull’istanza del privato assume ancora maggiore consistenza a cagione dell’indispensabilità del certificato di destinazione urbanistica ai fini della regolare stipula (o sanatoria) degli atti di compravendita di terreni, come si evince dalla piana lettura dell’art. 30, commi 2 e ss., del d.P.R. n. 380/2001: infatti tale normativa, rimettendo al libero apprezzamento dell’interessato la possibilità di produrre, in alternativa, la dichiarazione sostitutiva del certificato non emesso, non esclude che costui possa insistere nel pretendere il rilascio della più attendibile certificazione urbanistica comunale;
   - con riguardo al caso di specie, va ravvisata l’inutile scadenza del termine procedimentale di trenta giorni, fissato dall’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, per il rilascio del certificato di destinazione urbanistica richiesto dalla ricorrente;
   - ai sensi del richiamato quadro normativo, sussiste l’obbligo dell’amministrazione comunale di provvedere in merito all’istanza di rilascio del certificato in questione, concludendo il relativo procedimento mediante un atto espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990;
   - pertanto, l’azione avverso il silenzio-rifiuto è suscettibile di accoglimento, con assegnazione al Comune di Crispano di un termine di trenta giorni per adottare e comunicare le proprie determinazioni;
   - è nominato commissario ad acta il dirigente responsabile della Direzione Generale per il governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione civile della Regione Campania, o un dirigente/funzionario da questi delegato, onde provvedere nel termine di ulteriori trenta giorni, nel caso di perdurante inerzia della predetta amministrazione, all’emanazione dell’atto di riscontro dell’istanza della ricorrente. Le spese di espletamento della funzione commissariale sono poste a carico dell’amministrazione comunale inadempiente e sono liquidate fin d’ora in € 500,00 (cinquecento/00), comprensivi di ogni onere e spesa, in favore del suddetto commissario;
Considerato, quanto all’azione in materia di accesso documentale, che:
   - sulla richiesta di accesso ai titoli edilizi, essendo trascorsi trenta giorni dalla sua presentazione, si è formato il provvedimento silenzioso di rigetto ai sensi dell’art. 25, comma 4, della legge n. 241/1990;
   - tale silenzio-rigetto è privo di giustificazione e deve essere rimosso per le seguenti ragioni:
   i) in tema di rilascio dei titoli edilizi è attualmente vigente l’art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, il quale, in linea di continuità con quanto già prescritto dall’art. 31 della legge n. 1150/1942 (come modificato dalla cd. legge ponte n. 765/1967), ha previsto un regime di pubblicità antesignano di quello più esteso poi introdotto dal d.lgs. n. 33/2013 in materia di trasparenza, con la conseguenza che la predetta disposizione, nella parte in cui stabilisce che dell’avvenuto rilascio di un permesso di costruire va dato avviso all’albo pretorio, non può che essere interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo diffuso sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire (cfr. anche art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001).
Pertanto, può ben affermarsi, anche nell’ottica dell’accesso documentale disciplinato dalla legge n. 241/1990, che i titoli edilizi sono tutti atti pubblici pienamente accessibili, nei cui confronti sussiste una linea di massima trasparenza non suscettibile di subire deroghe o sottrazioni nemmeno per esigenze di riservatezza del singolo (cfr. TAR Valle d’Aosta, 15.03.2017 n. 12; TAR Campania Napoli, Sez. VI, 01.03.2017 n. 1183; TAR Marche, Sez. I, 07.11.2014 n. 923);
   ii) il suddetto discorso involge, per evidente identità di ratio, tutti i titoli edilizi via via disciplinati dalla legge, indipendentemente dalla loro natura giuridica, e cioè il permesso di costruire, la DIA e la SCIA;
   iii) nella presente fattispecie, trattandosi di fabbricato edificato in area di cui la richiedente è comproprietaria, il richiesto accesso ai titoli edilizi è in re ipsa assistito dalla sussistenza dell’interesse diretto, concreto ed attuale ad ottenere l’ostensione e denota, comunque, la carenza di ipotetiche ragioni di riservatezza, nemmeno astrattamente configurabili attesa la natura di bene personale del cespite;
   - in definitiva, alla luce di quanto sopra esposto, l’azione in esame merita accoglimento con conseguente annullamento del gravato silenzio-rigetto, ordinandosi all’amministrazione comunale di consentire la richiesta ostensione e di rilasciare, nel termine indicato in dispositivo, copia conforme degli atti oggetto della richiesta di accesso;
Ritenuto, in conclusione, che:
   - l’odierno gravame deve essere integralmente accolto mediante la declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune di Crispano in ordine all’istanza di rilascio del certificato di destinazione urbanistica presentata dalla ricorrente il 28.06.2018, nonché mediante l’annullamento del silenzio-rigetto maturatosi sulla contestuale richiesta di accesso ai titoli edilizi e relativi elaborati grafici, nei termini meglio sopra precisati;
   - le spese del presente giudizio seguono, come di norma, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo;
   - ai sensi dell’art. 2, comma 8, della legge n. 241/1990, sostituito dall’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 5/2012, convertito nella legge n. 35/2012, va disposta la comunicazione della presente decisione alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), in accoglimento del ricorso in epigrafe indicato, così statuisce:
   - dichiara l’illegittimità del silenzio-rifiuto e, per l’effetto, ordina al Comune di Crispano di provvedere sull’istanza di rilascio del certificato di destinazione urbanistica presentata dalla ricorrente il 28.06.2018 nel termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente decisione.
Nomina commissario ad acta il dirigente responsabile della Direzione Generale per il governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione civile della Regione Campania, o un dirigente/funzionario da questi delegato, onde provvedere in via sostitutiva nel termine di ulteriori trenta giorni all’emanazione dell’atto di riscontro dell’istanza della ricorrente. Regola il governo delle spese di espletamento della funzione commissariale nei termini di cui in motivazione;
   - annulla il silenzio-rigetto maturatosi sulla contestuale richiesta di accesso ai titoli edilizi e relativi elaborati grafici e, per l’effetto, ordina al Comune di Crispano di consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed estrarre copia conforme, previo rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e visura, dei predetti documenti nel termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente decisione.
Condanna il Comune di Crispano al pagamento in favore della ricorrente delle spese di giudizio, liquidate in complessivi € 700,00 (settecento/00), oltre IVA, CPA ed importo del contributo unificato come per legge.
Dispone che, a cura della Segreteria, il presente provvedimento sia trasmesso in via telematica alla Procura Regionale della Corte dei Conti territorialmente competente (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 12.02.2019 n. 766 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATACertificato edilizio errato, il Comune paga per l'errore del funzionario.
Il rilascio, da parte dell'ufficio tecnico comunale, di un certificato attestante una situazione urbanistica non rispondente al Piano regolatore generale, è un fatto illecito imputabile a colpa del funzionario incaricato, e quindi riconducibile all'ente locale. L'errata attestazione determina una violazione dell'affidamento ingenerato nel privato nella correttezza dell'atto amministrativo e comporta il risarcimento del danno in favore del privato.

Questo è quanto affermato dal TRIBUNALE di Frosinone, Sez. civile, nella sentenza 05.09.2018 n. 803 (tratta da www.upel.va.it).
La vicenda - La controversia prende le mosse da un errore commesso da un funzionario del Comune di Frosinone il quale, su richiesta dei futuri acquirenti di un terreno, rilasciava il certificato di destinazione urbanistica dell'area confondendo la zona F (servizi collettivi) con la zona CE (agricola).
In seguito, i richiedenti acquistavano tale terreno al fine di costruirvi un'abitazione compatibile con la presunta destinazione urbanistica. Tuttavia, al momento della richiesta dell'autorizzazione sismica, un diverso funzionario del Comune riteneva improcedibile l'istanza di concessione edilizia, in quanto l'area interessata incideva su una zona dedicata all'ampliamento dell'eliporto adiacente.
Gli acquirenti citavano così in giudizio l'ente locale chiedendo il risarcimento dei danni da essi subiti proprio a causa dell'errato certificato, comprensivi delle spese inutilmente sostenute correlate alla non edificabilità dell'area. Dal canto suo, il Comune si difendeva sostenendo che l'errore del suo funzionario non poteva essere considerato causalmente determinante, in quanto gli stessi acquirenti avrebbero dovuto tenere un comportamento più diligente nell'acquisto dei terreni.
La decisione - Il Tribunale accoglie la domanda degli acquirenti riconoscendo il fatto illecito del Comune, ovvero il rilascio di un certificato attestante erroneamente la vocazione edificatoria dei terreni, circostanza che ha determinato gli acquirenti a comprare il terreno e a dare luogo a tutti gli adempimenti necessari per edificare su di esso. Tale atto è senz'altro imputabile a colpa del funzionario, e quindi alla stessa Amministrazione, con conseguente «violazione dell'affidamento ingenerato nel privato dell'atto amministrativo».
Circa la quantificazione del danno poi, precisa il giudice, questo va calcolato, anche equitativamente, avuto riguardo ai costi affrontati dagli acquirenti per l'edificazione, quali spese per notaio e architetto, eziologicamente riconducibili all'errata trasposizione nei certificati di una «connotazione non rispondente alla realtà» (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 29.03.2019).

EDILIZIA PRIVATA: Come noto, la destinazione urbanistica di un’area non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici, sicché in caso di contrasto l’indicazione contenuta nella certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa, sicché non è necessaria alcuna impugnazione o dichiarazione di falso del certificato per poter far valere la reale previsione urbanistica.
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Ciò premesso, si rileva innanzitutto che, come noto, la destinazione urbanistica di un’area non è quella risultante dalla certificazione urbanistica ma quella realmente impressa dagli strumenti urbanistici, sicché in caso di contrasto l’indicazione contenuta nella certificazione è del tutto irrilevante e priva di efficacia conformativa (Consiglio di Stato 476 del 2016), sicché non è necessaria alcuna impugnazione o dichiarazione di falso del certificato per poter far valere la reale previsione urbanistica (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 05.09.2018 n. 260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica è un documento volto a far conoscere la destinazione urbanistica dei terreni e, quindi, a certificare in via generale l'edificabilità o l'inedificabilità dei suoli, con una chiara valenza dichiarativa circa l'inserimento di un'area o di un immobile in una zona urbanistica anziché in un'altra del territorio comunale.
Sicché, è inidoneo a fondare un ragionevole affidamento sulla concreta realizzazione di ulteriore edificazione del terreno che dipende non solo dalla diretta applicazione delle norme urbanistiche ed edilizie ma anche dallo stato di fatto del terreno e dall’esistenza di precedente edificazione ed utilizzazione della densità del fondo agricolo.

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Quanto al certificato di destinazione urbanistica è sufficiente rilevare come si tratti di un documento volto a far conoscere la destinazione urbanistica dei terreni e, quindi, a certificare in via generale l'edificabilità o l'inedificabilità dei suoli, con una chiara valenza dichiarativa circa l'inserimento di un'area o di un immobile in una zona urbanistica anziché in un'altra del territorio comunale, inidoneo, pertanto a fondare un ragionevole affidamento sulla concreta realizzazione di ulteriore edificazione del terreno che, come sopra detto, dipende non solo dalla diretta applicazione delle norme urbanistiche ed edilizie ma anche dallo stato di fatto del terreno e dall’esistenza di precedente edificazione ed utilizzazione della densità del fondo agricolo (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 24.04.2018 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'impugnazione del certificato di destinazione urbanistica è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, in ragione della natura non provvedimentale e, quindi, non lesiva che ne esclude l’impugnabilità in via autonoma.
Secondo il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, infatti, il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale “atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione”.
Tale assunto trova conferma anche nelle ultime pronunce ai sensi delle quali “il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere dichiarativo".
Deve, pertanto, ritenersi che tale atto ha portata meramente ricognitiva di situazioni di fatto e di diritto altrove definite, e come tale è sfornito di ogni efficacia provvedimentale e quindi privo di concreta lesività, il che non rende ammissibile la sua autonoma impugnazione.
Ne consegue che “gli eventuali asseriti errori contenuti nel certificato possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati dall’Amministrazione in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica, in riscontro a specifica richiesta edificatoria o ai fini della riqualificazione dell’area”.
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1. - La società Ge.Im.Tu. a r.l. ha impugnato, domandandone l’annullamento, il certificato di destinazione urbanistica rilasciatole dal Responsabile Servizio Settore III, Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Vieste, relativamente alle particelle di cui al fg. 39, nn. 997, 999, 1000, 1001, 1004, 1128, 1138, 1140 del Catasto Terreni, nella parte in cui ha omesso l’indicazione dell’indice di fabbricabilità fondiaria pari a 0,50 mc/mq.
...5. - Il ricorso è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, in ragione della natura non provvedimentale e, quindi, non lesiva, del certificato di destinazione urbanistica, che ne esclude l’impugnabilità in via autonoma.
5.1 - Secondo il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, infatti, il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 si configura quale “atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione” (Consiglio di Stato, IV, 04.02.2014, n. 505).
Tale assunto trova conferma anche nelle ultime pronunce ai sensi delle quali “il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere dichiarativo” (Cons Stato sez. IV, sent n. 5481 del 24.11.2017).
Deve, pertanto, ritenersi che tale atto ha portata meramente ricognitiva di situazioni di fatto e di diritto altrove definite, e come tale è sfornito di ogni efficacia provvedimentale e quindi privo di concreta lesività, il che non rende ammissibile la sua autonoma impugnazione (TAR Lombardia, sez. II, sent. 434 del 21.02.1017).
Ne consegue che “gli eventuali asseriti errori contenuti nel certificato possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati dall’Amministrazione in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica, in riscontro a specifica richiesta edificatoria o ai fini della riqualificazione dell’area (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14.03.2011, n. 279; idem, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55)” (TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent. 1098 del 12.07.2016; TAR Lazio, II-bis, 06.03.2012, n. 2241; si veda anche TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 21.12.2011 n. 1779; TAR Puglia, Lecce, I, 18.07.2009, n. 1886).
5.3. - Nel caso in esame il ricorso si fonda sulla pretesa di illegittimità del certificato di destinazione urbanistica e ogni questione riferita circa l’indice di fabbricabilità fondiaria, come evidenziata nella nota del 12.08.2016, anch’essa gravata, non assume autonoma rilevanza, inserendosi nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio del predetto certificato, tanto da doversi escludere la valenza provvedimentale e, dunque, l’autonoma lesività, di ciascuno degli atti impugnati.
Tale assunto trova conferma negli stessi atti depositati dalla ricorrente, nei quali espressamente si definisce la nota del 12.08.2016 come “controdeduzioni alla memoria di partecipazione al procedimento e alla nota di diffida della società istante”.
6. - Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 03.01.2018 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di destinazione urbanistica ha portata meramente ricognitiva di situazioni di fatto e di diritto altrove definite e, come tale, è sfornito di ogni efficacia provvedimentale e, quindi, privo di concreta lesività, il che ne rende inammissibile l’autonoma impugnazione.
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3.2 E’, invece, inammissibile –come correttamente eccepito dalla difesa comunale– l’impugnazione del certificato di destinazione urbanistica prot. n. 49489, rilasciato dal Comune di Desio in data 21.12.2007.
Sul punto, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale il certificato di destinazione urbanistica ha portata meramente ricognitiva di situazioni di fatto e di diritto altrove definite e, come tale, è sfornito di ogni efficacia provvedimentale e, quindi, privo di concreta lesività, il che ne rende inammissibile l’autonoma impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 04.02.2014, n. 505; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 24.03.2016, n. 586; TAR Lazio, Latina, 22.05.2013, n. 482; TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 06.03.2012, n. 2241; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n. 21)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.02.2017 n. 434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e pertanto esso non può essere sussunto nella categoria del documento amministrativo così come definito dall’art. 22 l. 07.08.1990, n. 241, costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica.
Pertanto, il suo rilascio non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi.
In sostanza, il certificato di destinazione urbanistica non è soggetto alle norme in materia di accesso ai documenti amministrativi, non essendo un “documento” già formato e “detenuto” dalla Pubblica Amministrazione –come richiesto dalla normativa di settore- ma implicando lo svolgimento di un’attività ulteriore di carattere accertativo e dichiarativo della P.A., sulla scorta delle risultanze della strumentazione urbanistica: attività inammissibile in sede di accesso agli atti, che presuppone il carattere già formato e precostituito del documento oggetto dell’istanza, suscettibile di essere osteso all’interessato attraverso una semplice attività di ricerca e di rilascio di copia
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... per l'accertamento del diritto della ricorrente ad ottenere il rilascio del certificato di destinazione urbanistica.
...
1. Con ricorso notificato il 18-22.03.2016 e depositato il 1° aprile successivo, la signora Fe.Gi., agendo in proprio ai sensi dell’art. 23 cod. proc. amm., ha premesso di aver presentato in data 21.01.2016 al Segretario Comunale del Comune di Maglione un’istanza concernente il rilascio del certificato di destinazione urbanistica (storicizzato dal 10.01.2012), relativo alle seguenti particelle catastali: Foglio 18 nn. 38 e 39; Foglio 18 nn. 24, 25 e 28; Foglio 17 nn. 87 AA e 88, autocertificandone la comproprietà con i signori Fe.Gi. e Ga. geom. Gi., a dimostrazione della titolarità di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante all’accesso; tuttavia, l’istanza in questione sarebbe stata respinta dall’Amministrazione.
Attraverso una serie di considerazioni di carattere generale, non sempre di agevole percezione, la ricorrente ha chiesto a questo Tribunale di dichiarare il suo diritto di accedere al predetto documento, con conseguente condanna dell’amministrazione comunale a rilasciarne copia alla ricorrente.
2. Il Comune di Maglione non si è costituito in giudizio.
3. All’udienza in camera di consiglio dell’08.06.2016, nessuna delle parti presente, la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile, non essendo stati prodotti in giudizio né l’asserito provvedimento di diniego di accesso adottato dall’amministrazione comunale, né l’istanza di accesso asseritamente presentata dalla ricorrente in data 21.01.2016, rispetto alla quale valutare l’eventuale formazione del silenzio rigetto di cui all’art. 25 L. n. 241/1990.
5. Solo per completezza –e fermo il rilievo dell’inammissibilità– il ricorso è pure infondato nel merito.
La giurisprudenza ha infatti affermato che “Il certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e pertanto esso non può essere sussunto nella categoria del documento amministrativo così come definito dall’art. 22 l. 07.08.1990, n. 241, costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica; pertanto, il suo rilascio non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi” (TAR Potenza, sez. I 29.01.2016 n. 55; TAR Lecce, sez. II 17.09.2009 n. 2121.
In sostanza, il certificato di destinazione urbanistica non è soggetto alle norme in materia di accesso ai documenti amministrativi, non essendo un “documento” già formato e “detenuto” dalla Pubblica Amministrazione –come richiesto dalla normativa di settore- ma implicando lo svolgimento di un’attività ulteriore di carattere accertativo e dichiarativo della P.A., sulla scorta delle risultanze della strumentazione urbanistica: attività inammissibile in sede di accesso agli atti, che presuppone il carattere già formato e precostituito del documento oggetto dell’istanza, suscettibile di essere osteso all’interessato attraverso una semplice attività di ricerca e di rilascio di copia (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.06.2016 n. 887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Con riguardo alla richiesta di ostensione del certificato di destinazione urbanistica, il predetto atto rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere sussunto nella categoria del "documento amministrativo", così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale"), costituendo l'esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi.

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5. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla richiesta di ostensione del certificato di destinazione urbanistica, tenuto conto che il predetto atto rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere sussunto nella categoria del "documento amministrativo", così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale"), costituendo l'esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica (cfr. in tal senso TAR Puglia Lecce, sez. II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi.
La relativa domanda va pertanto respinta
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 13.04.2016 n. 1793 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: IPOTESI IN CUI DEVE ESSERE PRODOTTO IL CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA E VALENZA DI DESTINAZIONI IN ITINERE.
Il certificato di destinazione urbanistica è necessario soltanto per la valida conclusione del contratto definitivo, posto che l’art. 18, comma 2, L. n. 47/1985 si riferisce ai soli contratti che determinano effetti reali e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il preliminare di compravendita: se ne ha che il c.d.u. va allegato nel solo primo caso oppure -in ipotesi di azione ex art. 2932 c.c.- va prodotto nel fascicolo di giudizio, attesa la funzione sostitutiva di tale azione del contratto definitivo non concluso.
La vocazione agricola o edificatoria del terreno va scrutinata con riguardo al momento della conclusione del contratto, senza che possa avere incidenza la destinazione urbanistica in itinere, salva l’ipotesi -eccezionale e non suscettibile d’interpretazione estensiva- prevista dall’art. 8, comma 2, L. n. 590/1965 che impone di dare rilievo alle utilizzazioni future laddove lo strumento urbanistico in itinere preveda un cambio di destinazione da agricola ad urbanistica.

Sorge controversia tra alcuni privati, circa un contratto preliminare relativo all’acquisto di un appezzamento di terreno agricolo con entro-stanti fabbricati rurali, condotto in affitto per uso agricolo e zootecnico da un terzo soggetto.
Le parti previdero che -in caso di esercizio della prelazione da parte dei conduttori, aventi diritto- il preliminare si sarebbe risolto con restituzione al promissario acquirente del solo acconto versato.
Il promittente venditore comunicava che gli affittuari avevano manifestavano la volontà di esercitare la prelazione e di ritenersi perciò sciolto dal preliminare sottoscritto, manifestando disponibilità a restituire l’importo ricevuto. Il promissario acquirente, ritenendo che il terreno oggetto del contratto non avesse vocazione agricola, sicché alcun diritto di prelazione ex lege n. 590/1965, potesse spettare agli affittuari, convenne in giudizio il promittente venditore con un’azione ex art. 2932 c.c.
Il Tribunale ordinario rigettò la domanda.
La Corte territoriale viceversa accolse il gravame sul rilievo che, ai fini della configurabilità o meno del diritto di prelazione agraria e in particolare circa il requisito della natura agricola del terreno oggetto della prelazione e del riscatto, occorresse far riferimento al PRG vigente al momento della conclusione del contratto e non al successivo piano, ancora in itinere al momento della stipula del preliminare.
Insorge, contro la sentenza della Corte territoriale, l’originario convenuto e promittente venditore, con un ricorso che la Suprema Corte respinge, così confermando la statuizione finale dei giudici del merito.
In particolare, il Giudice di legittimità, ribadisce che la vocazione agricola o edificatoria del terreno va verificata al momento della conclusione del contratto. Questo, benché l’art. 8, comma 2, della L. n. 590/1965 -invocato dal ricorrente- introduca eccezione a tale principio, laddove impone di dare rilievo alle utilizzazioni future nel solo caso in cui lo strumento urbanistico in itinere preveda un cambio di destinazione. Tuttavia, osserva la Suprema Corte, non rileva a tal fine un qualsiasi cambio di destinazione, ma la sola ipotesi del cambio di destinazione da agricola ad urbanistica.
È questa un’eccezione al principio generale, che trova la sua ratio nella necessità di evitare speculazioni, realizzabili laddove - attraverso l’apparenza di voler realizzare unità produttive agricole - si miri in realtà a lucrare il prossimo incremento di valore del bene, allorché questo passerà da una utilizzazione agricola a quella edilizia.
In ragione del fatto che la norma in questione ha carattere eccezionale, essa non è suscettibile d’interpretazione estensiva sicché non può applicarsi al caso inverso, caratterizzato da un assetto di interessi del tutto differente, in mancanza di un’espressa disposizione normativa che preveda che ai fini della individuazione della natura del terreno si debba in ogni caso aver riguardo alle previsioni dello strumento urbanistico in itinere.
Attraverso l’eccezione contenuta nella norma in commento, si ripristina il principio della libera disponibilità del fondo da parte del suo proprietario, la cui compressione (che consegue alla previsione del diritto di prelazione in favore del proprietario coltivatore diretto del fondo confinante e dell’affittuario) si giustifica in virtù della particolare tutela assicurata al mantenimento e all’incentivazione delle attività agricole dalla L. n. 590/1965. Quindi, se il fondo è coltivato ma in base alle disposizioni del PRG vigente esso non ha vocazione pienamente agricola, non sussiste il diritto di prelazione e riscatto in capo all’affittuario coltivatore diretto.
La Suprema Corte respinge anche il terzo motivo, recante doglianza di violazione, tra gli altri, dell’art. 2932 c.c., e dell’art. 40 della L. n. 47/1985 e dell’art. 46, d.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) per la mancanza del c.d.u. (certificato di destinazione urbanistica) nel contratto, preliminare, che avrebbe comportato nullità del medesimo.
Osserva, sul punto la S.C. che il certificato di destinazione urbanistico è necessario solo per la valida conclusione del contratto definitivo e non anche del preliminare, secondo un principio ormai consolidato secondo il quale la disposizione dell’art. 18, comma 2, L. 28.02.1985, n. 47, che sancisce la nullità degli atti tra vivi, aventi a oggetto trasferimento, costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando a essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che determinano l’effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita.
Per l’effetto, il preliminare è valido pur non contenendo la dichiarazione di cui agli artt. 17 e 40 della legge citata e l’allegazione del c.d.u., fatta salva l’esigenza di allegazione del detto certificato al contratto definitivo o nel caso di azione ex art. 2932 c.c., attesa la funzione sostitutiva del contratto definitivo non concluso da essa spiegata (inter alias, Cass. n. 24460/2007) (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 12.06.2015 n. 12230 - Urbanistica e appalti n. 8-9/2015).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: NON OCCORRE LA PRODUZIONE DEL CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA IN CASO DI FRAZIONAMENTO DI FONDI SENZA FINALITÀ EDIFICATORIE.
L’art. 30, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 definisce l’ipotesi di lottizzazione abusiva e il successivo comma 2 impone di allegare il certificato di destinazione urbanistica allo scopo di prevenire abusi edilizi, sicché sono nulli gli atti tra vivi, aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali relativi a terreni senza allegazione del certificato di destinazione urbanistica, salvo che non si verta in fattispecie negoziale in cui non sussistono finalità edificatorie.
Tra due coppie di coniugi, comproprietarie di alcuni fondi confinanti, sorgevano dissidi di natura dominicale che portarono alla sottoscrizione d’una scrittura privata transattiva con la quale era regolato l’uso delle parti comuni e ripartite le porzioni d’una strada promiscua, con rinuncia alla relativa servitù di passo.
Una delle parti, sul presupposto dell’inottemperanza dell’altra, la evocava in giudizio per ottenere l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo di dare esecuzione alla scrittura privata transattiva, con ogni seguente pronuncia costituiva ex art. 2932 c.c. Il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando che la scrittura privata era da qualificarsi come un atto di divisione di proprietà del comune fondo, con attribuzione a ciascuna delle porzioni immobiliari conformemente al tenore della scrittura privata.
La convenuta appellava la decisione, dolendosi che il giudice di primo grado non avesse dichiarato la nullità della scrittura privata in ragione della mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, obbligatorio ex art. 18 della L. n. 47/1985.
L’appello era reietto, sulla scorta della ritenuta infondatezza del mezzo posto che -in forza dell’art. 30, comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001, introdotto dalla L. n. 246/2005, applicabile anche agli atti stipulati prima dell’entrata in vigore della novella ("purché la nullità non sia stata accertata con sentenza divenuta definitiva prima di tale data")- il legislatore aveva introdotto la possibilità di sanatoria degli atti nulli (indicati dall’art. 30, comma 2, D.P.R. n. 380/2001) e che tal circostanza vanificava il motivo d’appello.
La Corte di merito aggiungeva che, nella specie, neppur ricorressero le ipotesi previste dall’art. 30, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, perché tal norma riconduce la sanzione di nullità dell’atto alle ipotesi di lottizzazione abusiva: dal che, era irrilevante la specifica mancanza del certificato di destinazione urbanistica in questa concreta fattispecie negoziale, in cui -ad avviso della Corte- non ricorrevano finalità lottizzatorie e/o edificatorie, avendo la convenzione a oggetto una transazione sulla divisione di un fondo e l’estinzione di una servitù di passaggio, compiuta di comune accordo.
Per la cassazione di tale sentenza l’appellante soccombente propone ricorso, che il Supremo Collegio rigetta.
Osserva il Giudice di legittimità che correttamente la Corte di merito ha fatto applicazione della novella legislativa di cui all’art. 30, comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001. L’art. 30, comma 1, T.U. edilizia (D.P.R. n. 380/2001) definisce l’ipotesi di lottizzazione abusiva e il successivo comma 2 pone l’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica: dalla lettura combinata delle due disposizioni si scorge la ratio sottesa alla norma che impone l’allegazione di quel certificato, quale strumento per prevenire abusi edilizi.
In tal senso si è orientata la giurisprudenza della Corte allorché ha riferito la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali relativi a terreni, per mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica (già ex art. 18, comma 2, L. n. 47/1985), come poi anche dall’art. 30 T.U. edilizia “a tutti quegli atti negoziali che concretino consapevoli tentativi di aggirare le previsioni urbanistiche e di derogarvi” (Cass. 09.09.2013, n. 20649).
Nella stessa ottica -afferma la Corte- si pone il principio (cfr. Cass. n. 4984/2012) secondo cui, ai fini del divieto di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, la lottizzazione "negoziale" o "indiziaria" (cosiddetta per la necessità di ricercare la volontà di eludere le prescrizioni degli strumenti urbanistici) si configura solo quando il negozio sia accompagnato da un’ulteriore attività diretta all’inveramento dello scopo elusivo: non è sufficiente, quindi, lo scorporo di un appezzamento minore da uno maggiore (seppur nella previsione della destinazione edificatoria del lotto), in quanto la direzione della volontà verso una condotta potenzialmente lesiva deve essere indagata nelle sue manifestazioni concrete e nel suo carattere univoco.
In armonia con il richiamato orientamento si colloca, dunque, la sentenza annotata che ha affermato l’irrilevanza del certificato di destinazione urbanistica in fattispecie negoziali rispetto alle quali non sussistono finalità lottizzatorie o edificatorie, avendo la convenzione a oggetto una transazione su di una servitù di passaggio estinta di comune accordo tra i coeredi, dietro compenso
(Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 07.03.2014 n. 5419 - tratto da Urbanistica e appalti n. 5/2014).

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di destinazione urbanistica redatto dal pubblico ufficiale è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato.
Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione. Pertanto, la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del G.A
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Sennonché, va dato atto della circostanza che l’appello non appare del tutto esplicito nel chiarire la natura del danno asseritamente risarcibile: esso appare appunto ricollegato (nella prospettazione appellatoria) alla successiva procedura localizzativa dell’opera, (come in particolare si evince dal penultimo capoverso della pag. 18 dell’appello, laddove si fa riferimento –qual circostanza già ammessa dal Tar e “fondante” la propria domanda- all’ordinanza cautelare in cui è stato stigmatizzato l’originario asserito mancato coinvolgimento del privato “aggravato” dal rilascio del certificato di destinazione urbanistica “parziale”.
In altra porzione dell’appello, si parrebbe preconizzare –senza però decisamente avanzare la detta ipotesi- un danno ex art. 2043 cc “puro” (e/o ex art. 1337 e 1338 cc) a cagione della circostanza in ultimo citata, senza però allegare e/o indicare gli elementi decisivi a conforto di tale opzione.
3.1. Ritiene in proposito il Collegio di evidenziare quanto segue.
La già rilevata non perspicua prospettazione contenuta nell’atto di appello, la connessione della proposta domanda con quella di annullamento della localizzazione, la asserita incidenza del detto rilascio del certificato parzialmente incompleto sulla omessa informazione della procedura localizzativa, inducono il Collegio a ritenere che il petitum, in quanto posto in connessione con la detta localizzazione, fosse inteso a corroborare la domanda risarcitoria coinvolgente il detto segmento procedimentale ed a dimostrare la illegittimità della detta scelta.
Detta domanda in tali termini è stata (correttamente, a parere del Collegio, anche per quanto si chiarirà di seguito) intesa dal Tar, né l’appellante ha gravato ex art. 112 cpc (almeno in parte qua) la sentenza di primo grado per omissione di pronuncia (come avrebbe dovuto fare laddove avesse ritenuto di potere dimostrare che il petitum risarcitorio era “slegato” dalla procedura localizzativa e proposto ex artt. 2043, 1337, 1338 CC) il che appare tanto più significativo in quanto il motivo ex art. 112 cpc è stato sollevato con riguardo ad altra parte della decisione.
Intesa nei detti termini essa, in parte qua, è del tutto infondata, per le già chiarite ragioni.
3.2. Ove invece la stessa avesse dovuto intendersi qual slegata dalla predetta procedura localizzativa la giurisdizione, ad avviso del Collegio, perterrebbe al Giudice ordinario (si vedano gli arresti della giurisprudenza di legittimità secondo i quali: la responsabilità della p.a. per illecito extracontrattuale -che può essere fatta valere dal privato con azione di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario- è astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni inesatte -Cass. 22.11.1999, n. 12941): esclusa infatti, per le già chiarite ragioni la interferenza di tale falsa/inesatta/incompleta informazione catastale sulla parallela attività espropriativa intrapresa (ed esclusa quindi qualsivoglia ipotesi di giurisdizione esclusiva in subiecta materia) residuerebbe una condotta non diligente afferente ad una attività di natura ricognitiva e non provvedimentale e totalmente vincolata.
Ed è ben noto l’orientamento della Suprema Corte sulla sostanziale inesistenza di spendita di “potere amministrativo” che giustifichi l’attribuzione delle controversie al plesso giurisdizionale amministrativo in ipotesi di attività totalmente vincolata, ivi essendosi ravvisato (secondo la risalente teoria della c.d. “degradazione dell’atto”) il permanere di una posizione di diritto soggettivo pieno (e ciò, sia con riguardo ai c.d. “diritti soggettivi non degradabili” che ad altre invero non frequenti fattispecie in cui l’amministrazione si limita a dare pedissequa applicazione a principi già integralmente prefissati dalla norma superiore: ex aliis Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 16.09.010, n. 19577).
Più in particolare, è stato di recente condivisibilmente osservato che (TAR Lazio-Latina, Sez. I, 22.05.2013, n. 482) ”il certificato di destinazione urbanistica redatto dal pubblico ufficiale è atto meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che da esso risultano: effetti che discendono, invece, da precedenti provvedimenti, i quali hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Se ne desume che tale atto non ha natura provvedimentale ed è sprovvisto di concreta lesività e, dunque, non è suscettibile di impugnazione. Pertanto, la domanda di risarcimento del danno derivante dal rilascio di un certificato urbanistico errato non rientra nella giurisdizione del G.A.”.
Ove in tal senso dovesse essere intesa la domanda dell’appellante (ma non ritiene il Collegio vi siano indici univoci per ciò ritenere) questo Collegio dovrebbe declinare in parte qua la giurisdizione: pur tenendo conto del disposto di cui all’art. 9 del cpa, pienamente applicabile alla fattispecie per cui è causa, va rilevato che nel presente procedimento il Tar ha respinto la domanda, non ritenendo la giurisdizione neppure in modo implicito quanto a tale prospettazione del petitum risarcitorio, e non prendendola neppure in esame, ritenendola all’evidenza legata alla procedura localizzativa (così si esprime il Tar, in proposito: “la parziale improcedibilità e comunque la non fondatezza delle censure dedotte da parte ricorrente determinano, a propria volta, la reiezione dell’ulteriore domanda di risarcimento del danno, in mancanza di un’attività amministrativa illegittima cui ricondurre la genesi di un danno ingiusto ed in presenza di una specifica procedura prevista dalla legge per il ristoro economico del danno derivante dall’esproprio della porzione di area in esame”).
Questo Giudice d’appello sarebbe quindi facultizzato (così qualificata la domanda, rilevato il –comunque non dedotto da parte appellante- vizio ex art. 112 cpc, e decidendola nel merito) a rilevare ex officio e per la prima volta la carenza di giurisdizione, non essendovi accertamento né esplicito né implicito sul punto (arg: Cons. Giust. Amm. Sic., 04.06.2013, n. 548 il ”G.A. può rilevare in ufficio per la prima volta in appello il difetto di giurisdizione ogni qualvolta in primo grado le questioni controverse estranee all'ambito della cognizione amministrativa non siano state esaminate, nemmeno implicitamente, dal Tar”).
Sennonché, a cagione appunto della equivocità del gravame in parte qua, il Collegio non ritiene di potere in tali termini qualificare il petitum, e quindi si limita a respingerlo in parte qua nei termini sopra evidenziati, il che non precluderebbe all’odierno appellante, eventualmente, di riproporre il petitum risarcitorio finalizzato ex art. 2043 cc e 1337 e 1338 CC innanzi all’Autorità giurisdizionale competente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.02.2014 n. 505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: TRASFERIMENTO DI IMMOBILI EX ART. 2932 C.C. IN ASSENZA DEL CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA O DEL TITOLO EDILIZIO.
Nelle controversie ex art. 2932 c.c., in applicazione di quanto previsto dagli artt. 30 e 46 del D.P.R. n. 380/2001, è necessaria l’allegazione -agli atti di trasferimento, di costituzione o di scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni- del certificato di destinazione urbanistica e d’indicazione degli estremi del titolo abilitativo edilizio rilasciato dall’autorità competente.
La questione concerne un terreno con annesso rustico del quale il promissario acquirente aveva scoperto -solo dopo la firma del preliminare di compravendita e malgrado la garanzia di libertà dell’immobile da pesi, prestata dal venditore- l’inedificabilità.
Ne seguì una controversia traslativa ex art. 2932 c.c. con domanda di riduzione del prezzo ex art. 1489 c.c., in dipendenza del predetto vincolo, e di risarcimento danni.
Dopo un’originaria reiezione del Tribunale, argomentata sul fatto che il vincolo era conoscibile tanto facendo riferimento al PRG quanto ad una specifica legge regionale che lo aveva introdotto, la Corte d’appello accolse la domanda, così trasferendo la proprietà del terreno e del rustico in questione, con prezzo decurtato.
La Cassazione riforma la sentenza di merito, enunciando un importante principio valido per le controversie aventi a oggetto l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita immobiliare ex art. 2932 c.c., ossia che ai sensi degli artt. 17, 18 e 40 della L. n. 47/1985, quanto -oggi- degli artt. 30 e 46 del D.P.R. n. 380/2001 deve dedursi la nullità di ogni atto di trasferimento privo, per i terreni, dell’allegazione del certificato di destinazione urbanistica, e, per gli edifici, della indicazione degli estremi della concessione edilizia.
Tale dovuta allegazione -agli atti di trasferimento, o di costituzione o di scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni- del certificato di destinazione urbanistica nonché di indicazione (per gli edifici o parte di essi) degli estremi del titolo abilitativo edilizio rilasciato dall’autorità competente (ovvero di allegazione della domanda di sanatoria corredata della prova dell’avvenuto pagamento degli importi dovuti) determina l’impossibilità, anche per il giudice, come per il notaio, di pronunciare una sentenza traslativa dell’immobile ex art. 2932 c.c. (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.10.2013 n. 23339 - tratto da Urbanistica e appalti n. 12/2013).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Arnara - Parere in merito al rilascio dei certificati di destinazione urbanistica nel periodo di coesistenza tra disposizioni urbanistiche approvate e disposizioni urbanistiche adottate (Regione Lazio, parere 06.02.2013 n. 340076 di prot.).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATARientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta la condanna di un Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del rilascio, da parte dell'ente territoriale, del certificato di destinazione urbanistica erroneamente attestante la qualità edificatoria di un terreno risultato, in realtà, soltanto in minima parte edificabile.
In via preliminare deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.
Infatti, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, tra cui Cassazione civile sez. un., 23.09.2010, n. 20072, cui questo collegio ritiene di aderire, “Rientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta la condanna di un Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del rilascio, da parte dell'ente territoriale, del certificato di destinazione urbanistica erroneamente attestante la qualità edificatoria di un terreno risultato, in realtà, soltanto in minima parte edificabile” (TAR Lazio-Latina, sentenza 01.06.2012 n. 422 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di destinazione urbanistica rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere sussunto nella categoria del "documento amministrativo", così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale"), costituendo l'esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi.

Quanto al certificato di destinazione urbanistica, possono condividersi le controdeduzioni formulate dall’amministrazione resistente, tenuto conto che il predetto atto rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e non può essere sussunto nella categoria del "documento amministrativo", così come definito dall'art. 22 lett. "d" della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti ("ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale"), costituendo l'esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica (cfr. in tal senso TAR Puglia Lecce, sez. II, 17.09.2009, n. 2121).
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 24.05.2012 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell'Edilizia, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.
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Circa la domanda di risarcimento del danno derivante dall’erronea indicazione resa nel certificato di destinazione urbanistica, vale ricordare quanto statuito con l’ordinanza 23.09.2010 n. 20072 dalle SS.UU. della Cassazione civile.
In detta ordinanza si è rilevato che “Parte ricorrente si duole della (incontroversa) erroneità del certificato di destinazione urbanistica, erroneità che ne aveva indotto una falsa rappresentazione della realtà (la legittimità di un intervento edilizio relativo all'intera area in questione) cui era conseguita la decisione di acquistare il terreno - decisione che non sarebbe mai stata adottata se fossero stata fedelmente e correttamente riportate, nella certificazione de qua, le reali condizioni del terreno quoad inaedificationis.
La controversia esula, dunque, dal campo (impropriamente evocato dal comune resistente) riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non controvertendosi, nella specie, in ordine ad alcuna ipotesi di gestione del territorio, che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, riserva alla competenza esclusiva del G.A. Diversamente da quanto opinato dal resistente (secondo il quale il certificato in parola era un semplice attestato rilasciato a richiesta del privato, tale, pertanto, da non esonerare quest'ultimo dallo svolgimento di ulteriori attività di verifica e controllo), il rilascio della certificazione in parola integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese nella specie.”

... per l’accertamento del diritto della ricorrente al risarcimento del danno causato dall’emissione, da parte dell’Amministrazione convenuta, di un certificato di destinazione urbanistica dal contenuto non corrispondente alla realtà, che ha indotto la ricorrente ad acquistare un terreno qualificato erroneamente come edificabile e per la contestuale condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittimo comportamento dell’Amministrazione convenuta, da quantificarsi in corso di causa.
...
La Sezione ha avuto recentemente modo di affermare (cfr. Sez. I , 21.12.2011 n. 1779) che il certificato di destinazione urbanistica, di cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell'Edilizia, si configura -secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente- come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso. Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Nel caso all’esame, si domanda il risarcimento del danno derivante dall’erronea indicazione resa nel certificato sicché la fattispecie è del tutto identica a quella sulla quale si sono pronunciate, con l’ordinanza 23.09.2010 n. 20072, le SS.UU. della Cassazione civile.
In detta ordinanza si è rilevato che “Parte ricorrente si duole della (incontroversa) erroneità del certificato di destinazione urbanistica, erroneità che ne aveva indotto una falsa rappresentazione della realtà (la legittimità di un intervento edilizio relativo all'intera area in questione) cui era conseguita la decisione di acquistare il terreno - decisione che non sarebbe mai stata adottata se fossero stata fedelmente e correttamente riportate, nella certificazione de qua, le reali condizioni del terreno quoad inaedificationis.
La controversia esula, dunque, dal campo (impropriamente evocato dal comune resistente) riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non controvertendosi, nella specie, in ordine ad alcuna ipotesi di gestione del territorio, che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, riserva alla competenza esclusiva del G.A. Diversamente da quanto opinato dal resistente (secondo il quale il certificato in parola era un semplice attestato rilasciato a richiesta del privato, tale, pertanto, da non esonerare quest'ultimo dallo svolgimento di ulteriori attività di verifica e controllo), il rilascio della certificazione in parola integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese nella specie
.” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 24.04.2012 n. 687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAErrori nel certificato di destinazione urbanistica: il privato può presentare all'Amministrazione un'istanza di correzione o impugnare davanti al giudice amministrativo i successivi provvedimenti concretamente lesivi non potendo impugnare autonomamente il solo certificato.
Il certificato di destinazione urbanistica (di cui all’art. 30 del D.Lgs. 380 del 2001 - Testo Unico dell'Edilizia) è un atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale avente natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, infatti tali posizioni discendono da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 06.10.2010, 6863).
Conseguentemente deve ritenersi che tale atto, essendo sfornito di ogni efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il che non rende ammissibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali asseriti errori contenuti nel certificato possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati dall’Amministrazione in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica, in riscontro a specifica richiesta edificatoria o ai fini della riqualificazione dell’area (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14.03.2011, n. 279; idem, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 06.03.2012 n. 2241 
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica non è un provvedimento amministrativo.
Non è autonomamente impugnabile il certificato di destinazione urbanistica che, per le caratteristiche proprie, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura e effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche che, invero, discendono da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.

I ricorrenti, proprietari di un compendio immobiliare costituito da una civile abitazione con annessa area di pertinenza, hanno impugnato la deliberazione della resistente P.A. con cui era stato approvato il Piano di Governo del Territorio, nella parte in cui aveva rigettato le osservazioni da essi presentate a seguito dell’adozione del P.G.T.
In particolare, hanno esposto che l’area di pertinenza era costituita da: a) una striscia di terreno consistente in una rampa di accesso carraio a ovest dell’edificio che costituisce l’unico accesso carraio alla proprietà; b) una porzione di giardino e marciapiede a nord; c) una porzione di giardino a est, a sud e a sud-ovest.
A seguito dell’adozione del P.G.T., gli stessi avevano presentato due osservazioni, con le quali rispettivamente facevano rilevare la presenza di "errori grafici" contenuti nella planimetria, nonché l’indicazione come strada di una pertinenza.
Il Consiglio comunale, tuttavia, non aveva accolto le predette osservazioni, rilevando non solo che "la cartografia di base del nuovo P.G.T. è frutto di un accurato rilievo", ma anche che "considerati i vari atti notarili di provenienza degli immobili oggetto di osservazione e i frazionamenti catastali a essi collegati, si può constatare che quanto osservato non corrisponde al vero”.
Avverso quest’ultima determinazione sono insorti gli interessati, all’uopo eccependo la violazione della L. n. 241/1990, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, manifesta irragionevolezza, contraddittorietà, sviamento della causa tipica, carenza di motivazione.
Il Collegio di Brescia, in via preliminare, ha esaminato l’eccezione d’inammissibilità sollevata dal Comune che, sul punto, ha rintracciato una carenza d’interesse dei ricorrenti in quanto, già prima della proposizione del gravame, sarebbero state risolte in senso favorevole agli stessi entrambe le questioni sollevate con il ricorso (e precedentemente con le due osservazioni).
L’eccezione è stata ritenuta parzialmente fondata.
Invero, in relazione alla questione della rampa di accesso carraia indicata come strada, il TAR lombardo ha condiviso la prospettazione dell’Amministrazione comunale, dato che –accolta l’osservazione presentata dall’U.T.C finalizzata alla correzione di refusi contenuti negli elaborati cartografici- l’area in contestazione non veniva più indicata come strada, ma era stata ricondotta all’ambito residenziale consolidato.
Per quanto riguarda, invece, l’altra osservazione, non vi era stata alcuna correzione di quanto segnalato dai ricorrenti (errori grafici e mancata indicato nelle tavole del marciapiede), sicché per tale parte il ricorso è stato ritenuto ammissibile.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato ex officio che i ricorrenti, nel corso del giudizio, avevano progressivamente ampliato l’oggetto del contendere rispetto a quello delimitato dall’atto gravato e dai motivi di ricorso contenuti nell’atto introduttivo, estendendolo a questioni ulteriori e diverse attinenti ad altri atti o a motivi nuovi rispetto a quelli originari, anche in relazione ad alcune osservazioni svolte dalla difesa del Comune.
Siffatto modus procedendi è stato ritenuto inammissibile.
Il giudicante, invero, non ha mancato di precisare che, in termini generali, l’oggetto del giudizio amministrativo impugnatorio è quello delimitato dall’individuazione dell’atto impugnato e per i motivi di censura articolati nell’atto introduttivo del giudizio, risultando inammissibili le doglianze ulteriori dedotte con semplici atti depositati e non notificati.
Di conseguenza, sono state dichiarate inammissibili le questioni sollevate mediante le memorie non notificate, con le quali erano state svolte contestazioni in ordine alla data di consegna della cartografia corretta, alle risultanze contenute nel certificato di destinazione urbanistica e all’inibizione della D.I.A. presentata dai ricorrenti per la realizzazione di un cancello.
Relativamente al certificato di destinazione urbanistica di cui ai commi 2 e ss. dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, l’adito TAR, invece, richiamando un fermo indirizzo esegetico, ha rilevato come tale atto si configurasse come certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura e effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, Sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d'Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.11.2004, n. 5585; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 28.05.1999, n. 542).
Sicché ha precisato, in termini generali, che il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non possiede alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione; gli eventuali errori in esso contenuti, ha sottolineato, possono essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo può impugnare davanti al Giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Così perimetrato l’effettivo ambito del giudizio, il Collegio è passato alla disamina delle dedotte doglianze, con particolare riferimento alla presunta indicazione nel P.G.T. di linee e punti inesistenti o traslati.
Il rilievo, sebbene ritenuto fondato, ha indotto il TAR ad affrontare la problematica se l’erronea indicazione contenuta nelle tavole del Piano di Governo del Territorio poteva mostrarsi lesiva e impugnabile in via giurisdizionale.
Al riguardo, ha osservato che, nella specie, non assumeva rilievo l’impugnativa di mappe catastali, né la contestazione di profili proprietari, bensì la contestazione, da parte del cittadino dell’esattezza e corrispondenza alla realtà effettuale di rappresentazioni cartografiche delle tavole annesse al P.G.T..
In siffatto contesto è sembrata palese la sussistenza di un interesse del privato a chiedere la correzione di discrasie riscontrate, le quali avrebbero potuto lederlo con specifico riguardo alla tematiche urbanistico-edilizie, frapponendo ostacoli o limitazioni all’attività edificatoria in relazione all’indicazione di elementi di cui si contesta l’esistenza.
E così, in virtù dell’ammissibilità e fondatezza delle eccezioni sollevate dai ricorrenti, il gravame è stato accolto con conseguente annullamento della deliberazione consiliare nella parte in cui era stata rigettata, invece di essere accolta, l’osservazione oggetto di esame giudiziale (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1779 - link a www.giustizia-amministrativa.it

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.

Relativamente al certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2° e seguenti dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell'Edilizia), occorre rilevare che -secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente (cfr. TAR Lombardia, sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d'Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, sez. II, 04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio, sez. I, 28.05.1999, n. 542)– tale atto si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1779 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Urbanistica - Atti tra vivi di trasferimento di diritti reali relativi a terreni - Mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica - Nullità ex art. 18, secondo comma, della legge n. 47 del 1985 (art. 30 D.P.R. n. 380 del 2001) - Finalità - Certificato relativo ad area più vasta rispetto a quella compravenduta - Nullità - Esclusione - Limiti - Valutazione - Necessità - Criteri.
La disposizione del secondo comma dell'art. 18 della legge 28.02.1985, n. 47, poi recepita nell'art. 30, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 -che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l'area interessata- è finalizzata, da un lato, a reprimere e a scoraggiare gli abusi edilizi e, dall'altro, ad informare il Comune sulle vicende negoziali riguardanti l'area affinché possa svolgere i dovuti controlli.
Ne consegue che, ove il certificato allegato riguardi un'area più vasta rispetto a quella compravenduta -ma comprensiva di quest'ultima- non può ritenersi di per sé integrata la nullità prevista dalla legge, dovendosi verificare s il certificato sia idoneo a realizzare gli obiettivi per cui è richiesto.

Riferimenti normativi: Cod. Civ. artt. 1418 e 1421; Legge 28/02/1985 n. 47 art. 18; D.P.R. 06/06/2001 n. 380 (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 21.09.2011 n. 19219 - tratto da ww.studiocastellini-notai.it).
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SENTENZA
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18, in relazione ai criteri di interpretazione della legge nonché in relazione agli artt. 1418 e 1427 c.c., e il vizio di motivazione. Al riguardo rileva che sarebbe stata applicata la sanzione di nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18, in una fattispecie diversa rispetto a quella considerata in quanto il certificato di destinazione urbanistica non mancava, ma era semplicemente impreciso essendo relativo ad una porzione di terreno più ampia (foglio 1, mappale 497) nella quale ricadeva anche la parte di terreno oggetto del negozio; non potendosi e non dovendosi applicare l’art. 18 avrebbe semmai potuto applicarsi la disposizione dell’art. 1427 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto concluso per errore.
Il motivo è fondato nel limiti qui di seguito esposti.
Per i disposto della L. 28.02.1985, n. 47, art. 18, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non costituisce una condizione di efficacia, ma un requisito di validità dei negozi traslativi dei terreni, la cui mancanza determina la nullità dell’atto.
Occorre premettere che non è più in discussione che il certificato di destinazione dovesse essere allegato all’atto di trasferimento; infatti non ha formato oggetto di impugnazione la statuizione dei giudici del merito per la quale, nella fattispecie, non ricorrono le condizioni per escludere l’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica. La disposizione della L. 28.02.1985, n. 47, art. 18, comma 2 (poi recepita nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2) è diretta a reprimere e a scoraggiare gli abusi edilizi attraverso lo strumento della invalidazione degli atti di trasferimento aventi ad oggetto lotti di terreno per l’edificazione; per questo motivo la nullità che consegue alla mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica (che, salva la discrezionalità dei singoli Comuni, normalmente deve almeno indicare i dati del terreno, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici come l’indice di fabbricabilità) è rilevabile anche di ufficio (cfr. ex multis, Cass. 4811/2001) ed è irrilevante l’acquiescenza dell’acquirente o il suo stato di buona o mala fede.
Infatti, il suddetto certificato, oltre allo scopo di informare le parti sull’assetto urbanistico dell’area, ha altresì lo scopo di informare il Comune sulle vicende negoziali riguardanti l’area, al fine di porre l’ente locale in condizione di svolgere in via preventiva il suo ruolo di autorità che vigila per impedire eventuali speculazioni lottizzazione. Quest’ultima funzione è soddisfatta per il fatto che, attivatasi la richiesta di certificato di destinazione urbanistica, il Comune è avvertito che un determinato terreno è oggetto di negoziazione; le norme garantiscono in ogni caso detta funzione informativa prevedendo che per la validità della dichiarazione sostitutiva del certificato, è necessaria l’attestazione della presentazione della domanda di rilascio al Comune (v. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 4).
Pertanto nel caso in cui un certificato di destinazione urbanistica sia stato allegato, per contestare che sia stato adempiuto l’onere di allegazione, occorre valutare l’idoneità o meno del certificato che si allega a realizzare il presupposto di validità richiesto in considerazione della finalità che esso riveste nella L. n. 47 del 1985.
Nella concreta fattispecie il certificato di destinazione urbanistica era stato rilasciato dal Comune ed era stato allegato all’atto, ma il giudice di appello ha rilevato che il certificato urbanistico concerneva altra particella originaria, più vasta, seppur comprendente quella compravenduta (pag. 9 della sentenza) e che il certificato di destinazione urbanistica non può riguardare più vasti comprensori di cui l’area compravenduta faccia parte (pag. 10 della sentenza).
In presenza di un certificato di destinazione urbanistica regolarmente rilasciato dall’ente locale e comprendente l’area oggetto dell’atto di trasferimento, non può ritenersi che la mera circostanza che il documento allegato comprenda un’area più vasta possa integrare la nullità comminata dalla legge; per altro verso e sotto il profilo del vizio di motivazione, occorre considerare che la certificazione riguardante la più vasta area può comprendere anche la destinazione urbanistica del terreno oggetto di vendita e che tale certificazione non esclude che siano stati egualmente raggiunti gli scopi informativi sopra evidenziati e a tutela dei quali la Legge commina la sanzione di nullità, specie considerando che la certificazione proviene dal soggetto pubblico destinatario dell’informazione e non dall’alienante.
La declaratoria di nullità dell’atto per mancanza del certificato prescritto è stata pronunciata senza una sufficiente motivazione in ordine alla idoneità o inidoneità del certificato allegato all’atto medesimo, per come richiesto e per i suoi contenuti, a realizzare la sua funzione informativa sia nei confronti dell’acquirente per quanto attiene al regime di edificabilità o d’inedificabilità e alle prescrizioni urbanistiche nell’area oggetto dell’atto, sia nei confronti del Comune in merito alle vicende negoziali relative a tale specifica area.
Sotto questi profili il motivo di ricorso è fondato e, in questi limiti, deve essere accolto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 e il vizio di motivazione; assume che la Corte di Appello avrebbe ingiustamente respinto il terzo motivo di appello sostenendo che la nullità comminata dal citato art. 18 potesse estendersi anche al preliminare di vendita, mentre può estendersi ai soli contratti a effetti, reali e non a quelli con effetti obbligatori come il preliminare di vendita.
Il motivo è fondato.
Occorre qui richiamare la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi sono motivi per discostarsi, secondo la quale la disposizione della L. 28.02.1985, n. 47, art. 18, comma 2, che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che determinano l’effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita, (Cass. 24/11/2007 n. 24460); pertanto il preliminare non poteva essere dichiarato nullo per la semplice circostanza della mancanza del certificato di destinazione urbanistica ferma restando la necessità del certificato di destinazione urbanistica per la conclusione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all’art. 2932 cod. proc. civ. (v. Cass. sez. 3^, 09.07.1994, n. 6493; Cass. 17/01/2003 n. 628).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento ad entrambi i motivi e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, tenuta ad uniformarsi a principi e ai criteri sopra enunciati.

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla. Ciò impedisce all'amministrazione, una volta avvedutasi che la certificazione contiene un’attestazione non veritiera, di rilasciare un permesso di costruire basato su un erroneo presupposto.
Va premesso che il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (TAR Campania, Napoli, Sezione II, 20.09.2010 n. 17479; TAR Lombardia, Milano, Sezione IV, 06.10.2010 n. 6863; TAR Toscana, Sezione I, 28.01.2008, n. 55).
Ciò impedisce all'amministrazione, una volta avvedutasi che la certificazione contiene un’attestazione non veritiera, di rilasciare un permesso di costruire basato su un erroneo presupposto (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.03.2011 n. 1604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione certificato di destinazione urbanistica - Natura dichiarativa - Manca l'efficacia provvedimentale - Illegittimità.
Considerato che il certificato di destinazione urbanistica (di cui all'art. 30 D.P.R. n. 380/2001), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche che discendono in realtà da altri provvedimenti, è privo di concreta lesività, il che rende inammissibile la sua autonoma impugnazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Certificati di destinazione urbanistica, contestazioni al G.O..
La sentenza affronta il caso di una società che ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale il certificato di destinazione urbanistica, sostenendone l'illegittimità, in quanto nell'atto sarebbe erroneamente indicato come saturo un comparto edificatorio, privando così ingiustificatamente un mappale della propria volumetria e di conseguenza rendendo non attuabile un progetto edilizio proposto dalla ricorrente. La sentenza, conformandosi alla giurisprudenza assolutamente prevalente, afferma il difetto di giurisdizione in merito alla controversia, che rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario.
A favore della tesi sostenuta dal TAR militano diversi elementi.
In primo luogo deve ritenersi che il certificato in questione non sia un vero e proprio provvedimento amministrativo, bensì un mero atto.
Sin dagli inizi del secolo scorso la dottrina e la giurisprudenza amministrative distinguono la nozione di provvedimento da quella più generale di atto amministrativo.
Il primo riassume tutti i requisiti propri delle manifestazioni della funzione pubblica, è l'atto conclusivo del procedimento e produce effetti nei confronti dei destinatari: è quindi la più importante specie di atto amministrativo.
Il termine atto amministrativo in senso stretto è stato spesso utilizzato, invece, per individuare gli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione, ma che sono privi dei caratteri propri dei provvedimenti.
Secondo la teoria classica sono atti amministrativi non provvedimentali:
   a) gli atti paritetici, cioè gli atti di volontà privi del carattere dell'autoritarietà; b) gli atti di mero accertamento (ad es. certificazioni, registrazioni, verbalizzazioni).
Secondo la dottrina prevalente i caratteri propri del provvedimento sono i seguenti:
   a) unilateralità; b) tipicità e nominatività; c) imperatività o autoritarietà; d) inoppugnabilità; e) esecutività.
L'unilateralità segnala che il provvedimento non ha bisogno del concorso della volontà dei destinatari per esistere.
Ciò lo distingue dai contratti, anche di diritto pubblico, che richiedono il concorso della volontà di due parti.
Si differenzia, invece, dai negozi unilaterali di diritto privato perché, essendo espressione di un potere amministrativo, il provvedimento può modificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei terzi anche in senso negativo, mentre gli atti unilaterali di diritto privato possono modificare la sfera giuridica dei terzi senza il loro consenso solo in senso favorevole.
La tipicità significa che i provvedimenti sono definiti nei loro elementi costitutivi dalla legge, mentre con il termine nominatività si sottolinea che essi solo quelli previsti dal legislatore.
La tipicità è espressione del principio di legalità, in quanto il potere di sacrificare unilateralmente le posizioni giuridiche dei terzi dev'essere espressamente previsto dalla legge, che ne determina anche i presupposti e gli effetti.
Il principio di tipicità comporta che il provvedimento è legittimo solo vi è corrispondenza tra potere amministrativo e provvedimento: qualora un atto sia posto in essere per perseguire un interesse, anche pubblico, diverso da quello per il quale è previsto, esso è viziato da eccesso di potere per sviamento dall'interesse pubblico o dalla causa tipica.
Ulteriore conseguenza del principio di tipicità, secondo la giurisprudenza, è che la qualificazione del provvedimento va operata in base all'esclusiva considerazione del potere effettivamente esercitato, e non in base alla qualificazione ad esso attribuita dalle parti o alle norme in esso citate.
Il requisito dell'imperatività o autoritarietà è il più discusso.
Secondo la teoria classica il provvedimento è la manifestazione di un potere d'impero della pubblica amministrazione e tale potere è l'essenza stessa del provvedimento.
Con questo termine si intende il potere di costituire, modificare ed estinguere le posizioni giuridiche dei terzi mediante un proprio atto unilaterale, esercizio di quel potere.
La dottrina della fine dell'ottocento e del primo novecento ha identificato nell'imperatività il carattere tipico del provvedimento.
Diverse erano le conseguenze che si desumevano dal requisito dell'imperatività del provvedimento.
In primo luogo il divieto del giudice ordinario di modificare il provvedimento; in secondo luogo la sua esecutorietà, cioè la possibilità di portarlo ad esecuzione forzata senza bisogno dell'intervento del giudice; in terzo luogo l'autotutela, cioè il potere della p.a. di modificare o revocare una sua precedente manifestazione di volontà unilateralmente; in quarto luogo il potere di degradare i diritti soggettivi ad interessi legittimi per assoggettarli al potere amministrativo.
Gran parte di questi poteri della p.a., oggi, però sono stati ridimensionati. In particolare, come vedremo, la L. 11.02.2005, n. 15, che ha dettato lo statuto del provvedimento amministrativo, ha escluso che tali poteri siano insiti nel potere amministrativo, ma li ha ricondotti all'unica fonte che in un regime democratico li può giustificare, cioè la legge.
Così l'esecutorietà non è più un principio generale ma si applica ai soli provvedimenti ai quali la legge la conferisce (art. 21-ter, L. n. 241 del 1990); l'autotutela trova fondamento e disciplina nella legge (artt. 21-quinquies e 21-octies, L. n. 241 del 1990); il divieto imposto al giudice ordinario di modificare e revocare il provvedimento consegue al principio di separazione dei poteri e trova nella legge diverse eccezioni; la teoria della degradazione è ormai superata a favore della teoria secondo cui le situazione soggettive di diritto e di interesse legittimo convivono dall'inizio e si manifestano a secondo del soggetto (pubblico o privato) che pone in essere l'aggressione del bene tutelato. Sembra lecito quindi concludere che l'autorità o imperatività del provvedimento consiste oggi nella sua idoneità a modificare situazioni giuridiche altrui, senza necessità dell'altrui consenso.
Il concetto di autoritatività resta, in ogni caso, centrale quale criterio di riparto di giurisdizione in quanto la Corte costituzionale (Sent. 06.07.2004, n. 204) ha affermato che una materia può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo se in essa la pubblica amministrazione agisce anche esercitando il suo potere autoritativo.
Ha elevato così l'autoritatività a criterio di riparto di giurisdizione.
Le certificazioni, invece, sono prive del requisito dell'imperatività in quanto non esprimono una volontà dell'amministrazione e non hanno effetto costitutivo sulle posizioni giuridiche dei privati.
Dai certificati ordinari vanno poi distinti gli atti di accertamento costitutivo i quali, pur avendo contenuto di accertamento, producono effetti costitutivi e, quindi, sono inquadrati tra i provvedimenti.
La sentenza in commento riconosce che il certificato di destinazione urbanistica è un certificato ordinario "in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso. Di conseguenza, essendo sfornito di ogni efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione".
Parzialmente diverso, nel contenuto ma non negli effetti, è l'orientamento della Cassazione (Cass. Civile, Sez. Unite, 23.09.2010, n. 20072) la quale ha chiarito che "la controversia in merito al contenuto del certificato di destinazione urbanistica esula dal campo riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non controvertendosi, nella specie, in ordine ad alcuna ipotesi di gestione del territorio, che del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, riserva alla competenza esclusiva del G.A.
Infatti il rilascio della certificazione in parola integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della P.A., bensì del comportamento (sicuramente colposo) del funzionario, riconducibile all'ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l'accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese da un certificato errato
".
Vediamo quindi come la Cassazione abbia regredito il certificato in questione addirittura a mero comportamento amministrativo, che, in quanto tale non costituisce attività illegittima dell'amministrazione ma solo un comportamento foriero di danni lesivi di diritti soggettivi.
Questa degradazione è la conseguenza del carattere meramente compilativo dell'atto, nel quale non si rinviene alcun esercizio della funzione amministrativa, neppure vincolata.
Infatti esso è la mera sintesi di precedenti provvedimenti (le concessione edilizie che hanno disposto della volumetria) e non produce alcun effetto vincolante, neppure nei confronti dell'amministrazione che potrà discostarsene.
Si tratta quindi, secondo la Cassazione, di una mera operazione che non comporta alcuna elaborazione mentale e tecnica con la conseguenza che non rientra neppure negli atti amministrativi.
Le conseguenze sul riparto della giurisdizione sono però le medesime: degli eventuali errori del certificato conosce il giudice ordinario perché ledono una posizione di diritto soggettivo (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica è privo di efficacia provvedimentale, perciò non può essere impugnato autonomamente.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente prevalente, al quale aderisce anche la scrivente Sezione, il certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Di conseguenza, essendo sfornito di ogni efficacia provvedimentale, è altresì privo di concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione.
Gli eventuali errori contenuti nel certificato possono semmai essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all’erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Su tali conclusioni, come già ricordato, la giurisprudenza appare largamente maggioritaria: si vedano in particolare, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d’Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.11.2004, n. 5585 e TAR Lazio, sez. I, 28.05.1999, n. 542.
Nel Comune di Milano, tale orientamento risulta confermato dalla lettura dell’art. 114 del Regolamento Edilizio (norma espressamente richiamata nell’atto impugnato, cfr. doc. 1 della ricorrente), in forza del quale (vedesi comma 2°), il documento ivi gravato <<...ha carattere certificativo rispetto alla disciplina vigente al momento del suo rilascio, ma non vincola i futuri atti che l’Amministrazione Comunale può emanare nel rispetto delle norme vigenti in materia>>; il che esclude che un eventuale certificato erroneo possa avere effetti cogenti sulle successive determinazioni del Comune (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA – NATURA ED EFFICACIA – ESCLUSIVAMENTE DICHIARATIVA – CONSEGUENZE.
Il certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Difettando, pertanto, di efficacia provvedimentale, esso non può formare oggetto di autonoma impugnativa giurisdizionale, dovendo gli eventuali errori essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all’erroneo certificato di destinazione urbanistica (massima tratta da www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR Lombardia–Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Edificazione - Indici di densità - Densità territoriale e densità fondiaria - Nozione.
L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità.
Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Cessione di cubatura - Contratto di trasferimento - Conseguente inedificabilità - Qualità obiettiva del fondo - Opponibilità ai terzi - Certificato di destinazione urbanistica - Art. 30, c. 2 d.P.R. n. 380/2001.
La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni. Questo perché la cubatura (ossia la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione).
Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, dpr 06.06.2001 n. 380.
Cessione di cubatura - Presupposti di legittimità - Omogeneità del’area territoriale - Contiguità territoriale - Condizione giuridica.
La legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del DM 1444/1968, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania, Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549; Consiglio Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6734) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.10.2010 n. 4113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Certificato di destinazione urbanistica - Natura dichiarativa.
Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (TAR Toscana Firenze, I, 28.01.2008, n. 55): ciò impedisce all'Amministrazione di rilasciare una certificazione contenente attestazioni non veritiere, ossia riportante una qualificazione differente da quella attribuita all'immobile dalla normativa urbanistica vigente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.10.2010 n. 6863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Certificato di destinazione urbanistica - Natura dichiarativa.
Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla (TAR Toscana Firenze, I, 28.01.2008, n. 55): ciò impedisce all’Amministrazione di rilasciare una certificazione contenente attestazioni non veritiere, ossia riportante una qualificazione differente da quella attribuita all’immobile dalla normativa urbanistica vigente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.10.2010 n. 6863 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Certificato di destinazione urbanistica - Natura - Assenza di carattere provvedimentale - Impugnazione - Inammissibilità.
   2. Certificato urbanistico - Danno da errate attestazioni - Risarcimento - Competenza G.A. - Non sussiste.

  
1. Il certificato di destinazione urbanistica, in quanto atto amministrativo di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, effetti che discendono da altri precedenti provvedimenti che hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato: ne consegue che esso è sprovvisto di concreta lesività ed è pertanto inammissibile la sua autonoma impugnazione (cfr. TAR Milano, sent. n. 5585/2004; TAR Firenze, sent. n. 55/2008).
  
2. Nel caso in cui il danno lamentato derivi dalle attestazioni contenute nel certificato urbanistico, essendo questo un atto privo di natura provvedimentale e in quanto tale non suscettibile di impugnazione, ne discende che la domanda di risarcimento conseguente al rilascio di un certificato urbanistico errato non può rientrare nella giurisdizione del GA, privo di poteri demolitori rispetto al certificato, fonte del danno (cfr. TAR Valle d'Aosta Aosta, sent. n. 16/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.01.2010 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso.
Il certificato di destinazione urbanistica è stato introdotto dall’art. 8 del d.l. 23.01.1982 n. 9 (Norme per l’edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti), convertito, con modificazioni, con la l. 25.03.1982 n. 94, che, al comma 9, riconosce la legittimazione alla richiesta di rilascio del suddetto certificato “a chi abbia titolo alla concessione edilizia”.
Successivamente l’art. 18, comma 2, della l. 28.02.1985 n. 47, ora trasfuso nell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, ha imposto l’obbligo formale di allegazione dei certificati di destinazione urbanistica agli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali su terreni, sanzionandone la violazione con la nullità insanabile dell’atto e con l’impossibilità di procederne alla trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
Il certificato di destinazione urbanistica contiene la indicazione della vocazione (agricola o edificatoria) di un determinato terreno, in base alla strumentazione urbanistica vigente, con la specificazione di tutte le relative prescrizioni urbanistiche ed edilizie; esso è redatto e rilasciato dagli uffici tecnici comunali, a specifica richiesta di soggetto giuridicamente legittimato (di regola, proprietario, titolare di altro diritto reale, possessore dell’entità immobiliare interessata alla richiesta), previo versamento di particolari oneri (imposta di bollo, diritti di segreteria).
Il certificato di destinazione urbanistica rientra, dunque, nella categoria degli atti di certificazione, redatti da pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti (Consiglio di Stato, Sez. V 25.09.1998 n. 1328).
In relazione alla sua qualificazione giuridica, il certificato di destinazione urbanistica non può essere sussunto nella categoria del “documento amministrativo”, così come definito dall’art. 22, lett. “d”, della l. n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti (“ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”), costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica.
Ne consegue che, il rilascio dei certificati di destinazione urbanistica non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 2121 - link a www.
giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura dichiarativa del certificato di destinazione urbanistica.
Il certificato di destinazione urbanistica non ha carattere costitutivo ma meramente dichiarativo e gli effetti giuridici che dallo stesso risultino discendono da altri precedenti provvedimenti che hanno determinato la situazione giuridica acclarata con il certificato. Infatti questo è una tipica dichiarazione di scienza proveniente dalla pubblica amministrazione circa il contenuto degli strumenti urbanistici.
Ne consegue che nel documento in questione deve essere riportato solo quanto risulta dagli atti, senza che possano essere compiute valutazioni circa l’attualità e l’efficacia delle prescrizioni relative all’area del richiedente (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.05.2009 n. 957 - link a www.
giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 3 - Sulla sussistenza del divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria anche con riferimento agli interventi, realizzati in assenza di nulla osta paesaggistico, prima del 1° maggio 2004 e sulla mancata indicazione del vincolo paesaggistico nel certificato di destinazione urbanistica (Geometra Orobico n. 6/2008).