dossier ATTI AMMINISTRATIVI: IMPUGNAZIONE
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LEGITTIMAZIONE |
per approfondimenti vedi anche:
F.O.I.A. - Freedom Of Information Act (a cura del
Dipartimento Funzione Pubblica)
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi
(presso la Presidenza Consiglio dei Ministri)
* * *
Legge 07.08.1990 n. 241 <--->
D.P.R. 12.04.2006 n. 184 <--->
D.Lgs. 14.03.2013 n. 33 |
ANNO 2021 |
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dicembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’Adunanza
plenaria pronuncia su legittimazione e interesse a ricorrere contro i titoli
edilizi.
L’Adunanza plenaria ha stabilito che in materia di impugnazione di titoli
edilizi va riaffermata la distinzione e l’autonomia tra legittimazione e
interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, con la conseguenza che,
in via di principio, è necessario verificare che siano presenti entrambe per
scendere all’esame del merito della controversia.
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Giustizia amministrativa – Legittimazione e interesse a ricorrere –
Impugnazione titoli edilizi – Necessità – Vicinitas – Insufficienza ex se
L’Adunanza plenaria ha enunciato i seguenti principi
di diritto:
a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio,
riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse
al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice
accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi
che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della
legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza
dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio
derivante dall’atto impugnato;
b) l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio
derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si
assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni
racchiuse nel ricorso;
c) l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e
comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio
fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio
dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
d) nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo
autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le
costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo
la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del
ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può
essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte
le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del
titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il
ricorrente, e non meramente emulativo (1).
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(1) I. – Con la sentenza in rassegna, l’Adunanza plenaria,
analizzando i quesiti sollevati da Cons. giust. amm.,
27.07.2021, n. 759
(oggetto della
News US n. 72 del
09.09.2021 alla quale si rinvia per
approfondimenti) ha formulato i principi di diritto di cui in massima.
II. – La vicenda oggetto di causa può essere sintetizzata come segue:
a) il Comune di Palermo ha rilasciato nel 2011
una concessione edilizia per la realizzazione di una villetta residenziale
bifamiliare su un terreno contraddistinto in catasto da due particelle
derivanti dal (duplice) frazionamento di una particella originale. Tale
concessione è stata poi volturata in favore di un acquirente e nuovo
proprietario delle suddette particelle. Gli originari proprietari, tuttavia,
erano rimasti proprietari dell’immobile, già edificato, iscritto su una
quota residuale della particella originale oggetto della concessione;
b) avverso la concessione, e prima ancora avverso
il frazionamento che l’aveva preceduta, i proprietari di un altro edificio
sito nella medesima strada ma in una distinta particella, hanno impugnato la
concessione deducendo una serie di vizi concernenti il mancato rispetto
delle distanze, sia nei confronti delle costruzioni vicine, sia rispetto al
confine con le altre proprietà, lamentando nell’insieme la violazione
dell’art. 30 del d.p.r. 380 del 2001, degli artt. 2, 3 e 56 del regolamento
edilizio del Comune di Palermo, degli artt. 873 e 878 del codice civile e
dell’art. 9 del d.m. 1444/1968;
c) con sentenza 06.03.2012, n. 663 il Tar
per la Sicilia sede di Palermo ha dichiarato il ricorso in parte
inammissibile e in altra parte infondato. Il Tar ha ritenuto che la
violazione delle distanze tra le proprietà non arrecasse alcun pregiudizio
alla parte ricorrente, rilevando, inoltre, come tra i primi fosse
intervenuto un accordo negoziale in forza del quale i vicini avevano
rinunciato al rispetto della distanza nei confronti dell’acquirente della
concessione;
d) in sede di appello, il Consiglio di giustizia
ha disposto una verificazione volta ad accertare la corretta
rappresentazione dei luoghi per cui era causa e il reale posizionamento
degli edifici di proprietà, rispettivamente, degli originari proprietari,
dell’acquirente della concessione e dei proprietari vicini. L’esito della
complessa verificazione ha condotto il giudice dell’appello a respingere
tutti i motivi del ricorso, oltre alla domanda di risarcimento del danno, ad
eccezione del settimo, per il quale la causa è stata rimessa all’Adunanza
plenaria;
e) il settimo motivo dell’appello concerne la
censura riferita alla violazione della distanza tra la costruzione di
proprietà dell’acquirente e quella di proprietà dei danti causa, in ordine
alla quale il verificatore ha accertato che sebbene fosse stata rispettata
la distanza minima di cinque metri dal confine, non era stata rispettata
invece la distanza minima di dieci metri tra i fronti dei due fabbricati,
entrambi provvisti di finestra;
f) alla luce di tale esito istruttorio il C.g.a.
ha rilevato la violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968, che prescrive tale
distanza in termini inderogabili ed assoluti, il che comporterebbe
l’annullamento della concessione, ma che prima si dovesse esaminare
l’eccezione in rito sollevata sia dalla parte appellata, sia dall’amministrazione
comunale in ordine alla carenza di interesse delle parti appellanti a far
valere una violazione riguardante la distanza tra la costruzione del proprio
vicino e (anziché la propria) quella di un altro proprietario non
direttamente confinante;
g) il C.g.a. si è interrogato, quindi, se, per
impugnare i titoli edilizi altrui, il requisito della vicinitas, inteso
quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene
oggetto del titolo in contestazione, sia sufficiente a fondare insieme la
legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni
dell’azione di annullamento;
h) ha dunque sollevato i seguenti articolati
quesiti:
se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra
illustrato, è di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione di
singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse
all’impugnazione;
se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione della
legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente
dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere
in violazione delle regole di settore) gli provoca;
in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della
questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo
nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus
patito dal ricorrente;
nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai
punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in
cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla
legge urbanistica:
se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra
l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della
distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate
con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le
distanze fra due immobili di cui nessuno confinante, ma comunque nel raggio
visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della
vicinitas;
se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in
termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal
luogo interessato dalla violazione dedotta.
III. – Il collegio, dopo aver analizzato la vicenda processuale sottesa, le
argomentazioni delle parti e quelli della sezione rimettente, nel decidere
nel merito la controversia, ha osservato quanto segue:
i) nella casistica giurisprudenziale i criteri della qualificazione e della
differenziazione, utilizzati per distinguere gli interessi legittimi dagli
interessi di fatto e da quelli cd. semplici, sono strettamente collegati,
sebbene nell’impostazione più formale la qualificazione discenderebbe dalla
norma attributiva del potere, mentre la differenziazione si coglierebbe
sulla base di criteri materiali o caratteri fattuali;
j) nei casi in cui procedimento e provvedimento
non siano di particolare ausilio, in quanto il soggetto terzo non vi ha
partecipato e l’atto finale di lui non fa menzione, può essere rilevante
l’elemento fisico-spaziale della vicinitas, intesa quale stabile
collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale
sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato;
k) nel quadro storico caratterizzato dal dilagare
del fenomeno dell’abusivismo edilizio, che nel secondo dopoguerra aveva
deturpato le principali città italiane, come risposta all’Adunanza plenaria
08.01.1966, n. l (infra § z3) si colloca l’art. 10, comma 9,
della legge 06.08.1967, n. 765 (cd. legge Ponte), che ha novellato l’art.
31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942, prevedendo che: “Chiunque può
prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei
relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza
edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei
regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani
particolareggiati di esecuzione”;
k1) la giurisprudenza seguita a
tale disposizione ha escluso, però, che potesse rinvenirsi nella norma
citata un’azione popolare, richiedendo che i soggetti ricorrenti dovessero
considerarsi incisi in un proprio interesse all’insediamento abitativo,
ossia alla “radicazione in loco” dei propri “interessi di vita”, familiari,
economici o relativi ad altri “qualificati e consolidati rapporti sociali” (infra
§ bb4). Sicché, dal ripudio della tesi dell’azione popolare, è emerso sin da
allora un criterio o concetto, quello della vicinitas, piuttosto elastico,
la cui concreta individuazione era (e sarebbe stata in seguito) rimessa al
prudente apprezzamento del giudice;
k2) alla luce del suddetto
contesto storico, la decisione in commento esamina la ricostruzione del
quadro giurisprudenziale offerta nella sentenza del C.g.a., dove si dà atto
(al punto 39 della motivazione) di un orientamento maggioritario, per cui la
vicinitas quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli
titoli edilizi assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso; e
di un secondo indirizzo per cui la vicinitas da sola non basta a fondare
anche l’interesse, dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un
pregiudizio sofferto (infra § z);
k3) tale contrasto è
probabilmente meno acuto, e quindi meno problematico, di quanto si potrebbe
a prima vista ritenere, nella misura in cui, da un lato, in molti casi
l’adesione al primo indirizzo fa velo della (riconosciuta o riconoscibile)
presenza, nei fatti, anche del pregiudizio; e, dall’altro, anche i
precedenti più qualificanti ascrivibili al secondo indirizzo “scontano”
situazioni nelle quali a mancare potrebbe essere già la stessa
legittimazione. Quanto alle pronunce della Corte di cassazione rese sul
punto, è necessario considerare che esse hanno ad oggetto giudizi di
impugnazione nei confronti di sentenze in unico grado del Tribunale
superiore delle acque pubbliche e, quindi, vertono su cause che non sono di
edilizia in senso stretto e in cui i temi della protezione ambientale
ricevono preminente attenzione;
l) questa prevalenza delle situazioni di fatto
sugli schemi concettuali può spiegare quel “singolare regime di liquidità”
che, a giudizio di una dottrina più recente, caratterizzerebbe la materia
delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo, caratterizzata
negli ultimi anni dal fiorire di nuovi studi dottrinali, soprattutto in tema
di legittimazione a ricorrere;
l1) di questa categoria gli
studiosi sono tornati ad indagare le differenze con il suo omologo nel
processo civile, interrogandosi se sia ancora giustificato, da parte della
giurisprudenza amministrativa, impostare il problema nei termini
tradizionali di una effettiva titolarità di tale posizione anziché di
semplice affermazione della stessa, come avviene nel giudizio civile;
l2) sono state poi evidenziate
le tendenze in atto nella legislazione degli ultimi dieci anni a costruire
legittimazioni speciali, in capo a talune Amministrazioni indipendenti
(quali AGCM, ART e ANAC), a presidio di determinati beni pubblici (in
particolare la tutela della concorrenza); tendenze che si legano e seguono i
casi, divenuti più frequenti nello Stato policentrico delle autonomie, in
cui a proporre ricorso davanti al giudice amministrativo siano soggetti
pubblici (i Comuni in particolare) nella loro veste di enti esponenziali che
si contrappongono ad altri livelli di governo;
l3) su un piano opposto, altri
mettono in relazione la legittimazione a ricorrere con il principio di
sussidiarietà in senso orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost.,
trovandovi il fondamento per nuovi “diritti civici” sui quali costruire una
cittadinanza attiva, che nella tutela dinanzi al giudice amministrativo
troverebbe una delle sue possibili forme di espressione e manifestazione.
Nella stessa direzione la legittimazione al ricorso “rivisitata” è collegata
alla teoria dei cd. beni comuni e diventerebbe uno strumento per
controllare, anche in forme giurisdizionali, i governanti e i
poteri pubblici, come in parte sembrerebbe confermare la recente disciplina
sull’accesso civico di cui al d.lgs. 33 del 2013 dove all’art. 5, comma 2
riappare, a distanza di molti decenni, la parola “chiunque” (dopo il citato
art. 10, comma 9, della legge Ponte);
l4) sempre nel quadro della
tutela degli interessi meta-individuali, si invoca una sorta di
“liberazione” della vicinitas dal suo perimetro originario, sino a
ritenerla esistente anche quando la relazione di prossimità tra il soggetto
ed il bene protetto non sia fisica, ma assiologica;
m) l’insieme di queste tendenze per così dire
espansive, sul terreno della legittimazione al ricorso, denunciano la
“crisi” dei controlli amministrativi e i limiti sempre maggiori, di tempo e
di spazio, che incontra l’autotutela amministrativa, nella convinzione che
molto spesso, complice anche l’oblio dei ricorsi amministrativi e l’assenza
di validi rimedi alternativi, la sola via per rimediare agli errori, anche
gravi, delle amministrazioni pubbliche sia quella giurisdizionale;
m1) si osserva in proposito che
non a caso, dove l’amministrazione pubblica è considerata più efficace ed
efficiente, come ad esempio in Germania, si registra da sempre un approccio
assai più cauto al tema della legittimazione ad agire nel processo. Mentre
nell’esperienza francese, del pari contrassegnata da un’amministrazione
pubblica tradizionalmente di buona qualità, la legittimazione ad agire è
stata invece riconosciuta con maggiore larghezza, per quanto nel quadro di
una concezione in origine fortemente oggettiva del sindacato giurisdizionale
e che poi si è progressivamente modificata;
m2) l’analisi comparata dei
principali sistemi nazionali di giustizia amministrativa registra piuttosto
da qualche tempo, sotto l’influenza del diritto europeo, una convergenza su
talune linee di fondo; si possono fare gli esempi dell’estensione della
legittimazione ad agire in materia ambientale, realizzatasi un po’ ovunque,
del riconoscimento, nel contenzioso sui contratti pubblici e sotto
l’influenza della Corte di giustizia UE, di interessi meritevoli di tutela
diversi ed ulteriori rispetto a quello, cd. finale, più direttamente
preordinato all’aggiudicazione della procedura;
m3) sempre nella riflessione
dottrinale sulle condizioni dell’azione, l’autonomia della nozione
dell’interesse al ricorso, rispetto a quella della legittimazione, è un dato
oramai acquisito, nonostante i dubbi di carattere teorico sollevati in
passato (quando l’interesse ad agire era stato definito persino come “la
quinta ruota del carro” o considerato, nel processo amministrativo,
“ridondante”). Il suo fondamento è rinvenuto, come noto, nell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno
di cui all’art. 39 c.p.a., ed è caratterizzato dalla “prospettazione di una
lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e
dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale
annullamento dell'atto impugnato”;
n) il codice del processo amministrativo fa più
volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere:
all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13,
comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando
confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse
legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una
verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa, in chiave di filtro
delle domande di annullamento tenuto conto che il processo è una risorsa
scarsa. Verifica da condurre sulla base degli elementi desumibili dal
ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex
officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della
situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver
subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la
situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione”, ma
non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento
attiene al merito della lite;
o) con specifico riferimento alla vicinitas, in
ambito edilizio-urbanistico, dove la “qualificazione” dell’interesse del
terzo può farsi discendere in ultimo dall’art. 872 c.c., dopo l’abrogazione
dell’art. 31 della legge urbanistica ad opera dell’art. 136, comma 1, lett.
a) del d.p.r. 380/2001, il discorso va ora ricondotto entro gli schemi
generali ricavabili dal c.p.a.;
p) il ragionamento intorno all’interesse al
ricorso, inteso come uno stato di fatto, si lega all’utilità ricavabile
dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio, che a sua volta
è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio, a
fronte di un intervento edilizio contra legem, è rinvenuto in giurisprudenza
nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque contiguo,
ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno
di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata. Situazioni
quali possono essere la diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma
anche le menomazioni di valori urbanistici, le degradazioni dell’ambiente in
conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei
servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico;
q) nella vicenda in esame la vicinitas si pone in
termini di stretto collegamento tra la (proprietà di) parte ricorrente e
l’area oggetto dell’intervento edilizio, trattandosi di immobili
direttamente e immediatamente confinanti, sebbene il mancato rispetto delle
distanze non riguardi l’edificio del ricorrente, ma quello di chi a sua
volta confina dall’altro lato con quello confinante (la costruzione
dell’acquirente la licenza edilizia si è incastonata tra quella di parte
ricorrente e quella dei danti causa, dove in precedenza non c’era nulla,
inserendosi per così dire “tra di loro”, diminuendone aria e luce, visuale e
panorama);
r) passando dal pregiudizio all’utilità, si deve
considerare ancora che l’accoglimento del ricorso condurrebbe
all’annullamento, almeno in parte, della concessione edilizia del 2011,
producendo, oltre all’effetto giuridico legato al venir meno del titolo in
termini retroattivi, conseguenze conformative non prevedibili poiché legate
all’applicazione, a valle dell’annullamento giurisdizionale, dell’art. 38
del t.u. 380 del 2021 (quali la possibile rimozione dei vizi amministrativi,
la riduzione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria
alternativa);
s) su un piano più generale, l’interesse ad agire
dovrebbe essere escluso nei casi in cui il titolo edilizio impugnato fosse
affetto da vizi solamente formali o procedurali, sicuramente emendabili,
quand’anche ne fosse possibile l’annullamento, quindi senza che a tale
annullamento possa seguire l’applicazione di una qualunque sanzione; o,
ancora più in radice, laddove al rilascio illegittimo del titolo edilizio
non fosse poi seguita alcuna attività e nel frattempo fosse maturato il
termine di decadenza del permesso;
t) in conclusione, ricostruite le linee generali
della materia, l’Adunanza ritiene che al primo dei quesiti (di cui alla
lettera a) debba rispondersi nel senso che, riaffermata la distinzione e
l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni
dell’azione, è necessario in via di principio che ricorrano entrambi e non
può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di
differenziazione, valga da solo ed in automatico a soddisfare anche
l’interesse al ricorso;
u) in relazione ai quesiti di cui alle lettere b)
e c), si deve rispondere nel senso che lo specifico pregiudizio derivante
dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario
sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme
delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e
comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o
dai rilievi del giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel
rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le
parti;
v) quanto al (sotto)tema della violazione delle
distanze, posto con il quesito di cui alla lettera d), si ritiene che, non
solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante, ma anche
quella tra detto immobile e una terza costruzione possa essere rilevante,
tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento
del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il
ricorrente, e non meramente emulativo.
IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
w) la questione, come già
evidenziato, è stata rimessa all’Adunanza plenaria dalla citata Cons. giust.
amm., 27.07.2021, n. 759; alla relativa News si rinvia, oltre che per
l’esame dei quesiti e delle argomentazioni sviluppate dal collegio: ai §§ f)
e g) per la ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali sul criterio
della vicinitas; ai §§ da h) d m) per i temi della legittimazione al ricorso
e dell’interesse ad agire; ai §§ o), p) e q) sulla compresenza necessaria
delle tre condizioni dell’azione nel processo amministrativo (interesse ad
agire, legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam attiva/passiva); al
§ v) per quanto riguarda la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi
e dei diritti soggettivi lesi dall’azione amministrativa come giurisdizione
di tipo soggettivo e non oggettivo, ad iniziativa di parte, che presuppone
l’accertamento puntuale della situazione soggettiva lesa;
x) sul tema della vicinitas si segnala:
x1) Cons. Stato, sez. VI, 27.09. 2021, n. 6500; sez. IV,
08.06.2021 n. 4387; sez. II, 10.03.2021, n. 2056 (in www.ildirittoammnistrativo.it con nota di M. DE BIASE “Il
valore ambientale e i suoi ambiti problematici”); Cass. civ., sez. un., 30.06.2021, n. 18493 (in Foro,it.Rep, 2021, Acque pubbliche e private, e in
Ced Cass. civ. rv. 661654-01), citate nella decisione in commento, secondo
le quali la vicinitas quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di
singoli titoli edilizi assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al
ricorso;
x2) Cons. St., sez. V, 16.06.2021, n. 4650; idem, sez. IV,
07.02.2020, n. 962; idem, sez. VI,
18.10.2017, n. 4830; C.g.a., 30.06.2020, n. 488; 17.01.2012,
n. 6262, citate nella decisione in commento, secondo le quali la vicinitas
da sola non basta a fondare anche l’interesse, dovendo il ricorrente fornire
la prova concreta di un pregiudizio sofferto. In particolare secondo
l’ultima delle rassegnate decisioni “l'interesse al ricorso del vicino
contro provvedimenti ampliativi della posizione giuridica dei terzi in
materia urbanistico/edilizia presuppone l'allegazione e la dimostrazione di
un concreto pregiudizio che quel provvedimento reca alle facoltà dominicali
del ricorrente”;
x3) l’Adunanza plenaria 08.01.1966, n. l (in Foro it., vol. 89, n. 2 - febbraio 1966 - pag.
75/76-81/82), citata nella decisione in commento, aveva affermato il
principio della inammissibilità del ricorso contro una licenza edilizia
(altrui), per violazione delle prescrizioni del piano regolatore che vincola
la zona a verde pubblico, ove l’attuazione della prescrizione fosse in linea
di fatto divenuta impossibile;
y) sul tema della legittimazione delle
associazioni e dei gruppi si veda
Cons. Stato, Ad. plen, 20.02.2020,
n. 6 (in Foro it., 2020, III, 289 con nota di TRAVI, nonché oggetto della
News US n. 27 del 13.03.2020), citata nella decisione in commento,
secondo cui “gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale
elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in
possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad
esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate
comunità o categorie, e in particolare l'azione generale di annullamento in
sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da
un'espressa previsione di legge in tal senso”.
L'adunanza plenaria afferma
che le associazioni esponenziali sarebbero «titolari» in senso tecnico degli
interessi diffusi negli ambiti corrispondenti: tali interessi non sarebbero
più semplicemente «adespoti», secondo una terminologia spesso utilizzata per
gli interessi ambientali, ma diventerebbero «personali» dell'associazione,
una volta che essa abbia acquisito i tre requisiti citati (cfr. § 10 della
sentenza).
Tale decisione affianca la legittimazione delle associazioni e
dei gruppi a quella molecolare dei singoli, ed evidenzia il ruolo
“suppletivo” che le associazioni portatrici di interessi super-individuali –in questo agevolate anche dalle norme di derivazione europea- sono venute
svolgendo, prima nella giurisprudenza e in seguito nella legislazione
nazionali;
z) sul tema dell’interesse ad agire si segnala:
z1)
Cons. Stato, Ad. plen, 26.04.2018, n. 4 (in Foro. It, 2019, III, 67 con nota di TRAVI; in Dir.
proc. amm. 2018, 1393, con nota di BERTONAZZI, TERRACCIANO; in Urbanistica e
appalti 2018, 785, con nota di MEALE; in Riv. giur. servizi pubbl. 2018, 745
(m), con nota di IMBEMBO; in Riv. amm. 2018, 188 (m); in Nuovo notiziario
giur. 2018, 570, con nota di BARBIERI; in Dir. proc. amm. 2019, 959 (m), con
nota di BERTONAZZI, nonché oggetto della
News US del 10.05.2018), citata
nella decisione in commento, secondo cui il fondamento dell’interesse al
ricorso è rivenuto, come noto, nell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo
amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., ed è
caratterizzato dalla “prospettazione di una lesione concreta ed attuale
della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe
derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato”;
z2) negli stessi termini: Cons.
Stato, sez. V, 23.02.2015, n. 855; Cass. civ., sez. un., 02.11.2007, n. 23031 (in Foro.It.Rep., 2007, voce Tributi in genere, n. 1059),
Cons. Stato, sez. IV, 20.10.1997, n. 1210 (in Foro.It.Rep., 1997, voce
Giustizia amministrativa, n. 509); secondo cui l'interesse a ricorrere deve
essere non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto -e non
ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio;
z3) tali approdi, coerenti con
la funzione svolta dalle condizioni dell'azione nei processi di parte,
innervati dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal
principio dispositivo sono stati esplicitati da Cass. civ., sez. III, 03.03.2015, n. 4228 (in Foro it. Rep., 2015, voce Procedimento civile, n.
125) nonché Cass. civ., sez. un., 22.04.2013, n. 9685 (in Foro it.,
2013, I, 2512);
z4) circa gli effetti
conseguenti all’art. 10, comma 9, della legge n. 765 del 1967 (cd. legge
Ponte), si vedano: Cons. Stato., sez. V, 09.06.1970, n. 523 (in Foro. It,
vol. 93, n. 10, ottobre 1970 e in Giur. It., vol. CXXII, 1970, parte III,
Sez. I, 193 con nota di E. GUICCIARDI, la decisione del “chiunque”), che ha
espresso una posizione poi consolidatasi con Cons. Stato, Ad. plen., 14.07.1977, n. 23 (in Foro.it, vol. 101, parte terza: giurisprudenza
amministrativa, 1978, pag. 449/450-453/454/1977), decisioni entrambe
richiamate nella decisione in commento, le quali hanno escluso che possa
rinvenirsi nella disposizione citata un’azione popolare;
aa) sul tema della concezione soggettiva della
tutela nel processo amministrativo, si vedano le seguenti decisioni
richiamate nella sentenza in commento:
aa1) Cons. Stato, Ad. plen., 07.04.2011, n. 4 (in Foro it., 2011, III, 306, con nota di G. SIGISMONDI),
la quale osserva che all’interesse a ricorrere è attribuita una funzione di
filtro processuale, sino a farne uno strumento di selezione degli interessi
che chiedono tutela secondo la loro “meritevolezza” (cfr. punto 8.3.4), in
una logica non lontana da quella che fonda il divieto degli atti emulativi
nel codice civile (art. 833);
aa2) Corte cost., 13.12.2019, n. 271 (in Foro. it., 2020, I, 1121, con nota di TRAVI);
bb) sul tema dell’utilità concreta che può trarsi
dalla impugnazione di una licenza edilizia, si veda infine Cons. Stato, Ad.
plen., 07.09.2020, n. 17 (in Foro it., 2021, III, 33), citata nella
decisione in commento, secondo cui “l’accoglimento del ricorso dei signori n
caso di annullamento del permesso di costruire, i vizi delle procedure
amministrative cui fa riferimento l'art. 38 d.p.r. 380/2001 sono
esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una
valutazione in concreto operata dall'amministrazione, risultino di
impossibile rimozione”
(Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria,
sentenza 09.12.2021 n. 22 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’Adunanza
plenaria pronuncia sul criterio della vicinitas ai fini della legittimazione
ad impugnare i singoli titoli edilizi.
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●
Processo amministrativo - Legittimazione attiva – Edilizia – Titoli edilizi
– Impugnazione – Legittimazione attiva ed interesse a ricorrere – Necessità
- Vicinitas – Insufficienza ex se.
●
Processo amministrativo – Interesse a ricorrere – Edilizia – Accertamento –
Criterio.
●
Processo amministrativo – Interesse a ricorrere – Edilizia – Violazione
delle distanze – Violazione con edificio diverso da edificio del ricorrente
– Rilevanza ai fini dell’interesse a ricorrere - Condizione.
●
Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio,
riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse
al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice
accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi
che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della
legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza
dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio
derivante dall’atto impugnato (1).
●
L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio
derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si
assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni
racchiuse nel ricorso; l’interesse al ricorso è suscettibile di essere
precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il
pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata
d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a. (2).
●
Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo
autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le
costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo
la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del
ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può
essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte
le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del
titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il
ricorrente, e non meramente emulativo (3).
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La questione è stata rimessa dal
C.g.a. 27.07.2021, n. 759.
(1) Ha ricordato l’Alto consesso che con specifico riferimento alla
vicinitas, in ambito edilizio-urbanistico -dove la “qualificazione”
dell’interesse del terzo può farsi discendere in ultimo dall’art. 872 c.c.,
dopo l’abrogazione dell’art. 31 della legge urbanistica ad opera dell’art.
136, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001- il discorso va ora
ricondotto entro gli schemi generali ricavabili dal c.p.a..
Il ragionamento intorno all’interesse al ricorso, inteso come uno stato di
fatto, si lega quindi necessariamente all’utilità ricavabile dalla tutela di
annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in
funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio, riprendendo
quanto in precedenza accennato al punto 2, a fronte di un intervento
edilizio contra legem è rinvenuto in giurisprudenza, non senza una
serie di varianti, nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o
comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e
dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona
interessata. Si può discutere se tali beni siano il risultato della
scomposizione di un unico interesse per così dire riassuntivo, quello alla
qualità dell’insediamento abitativo (espressione presente già nella
ricordata sentenza 523/1970), o se debbano essere considerati per forza
atomisticamente, sull’assunto che non sarebbe dato un interesse inerente
all’insediamento abitativo come tale.
Il riferimento al godimento dell’immobile in uno con il richiamo a salute e
ambiente è peraltro un piano di indagine già sufficientemente ampio ed è su
di esso che la giurisprudenza ha fatto leva per ravvisare il pregiudizio
sofferto dal terzo non solo ad esempio nella diminuzione di aria, luce,
visuale o panorama, ma anche nelle menomazioni di valori urbanistici e nelle
degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico
in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del
traffico (v., ancora da ultimo, Cons. St., sez. IV, n. 6130 del 2021).
Ha aggiunto l’Alto consesso che l’interesse ad agire dovrebbe ad esempio
escludersi nei casi in cui il titolo edilizio impugnato fosse affetto da
vizi solamente formali o procedurali, sicuramente emendabili, quand’anche ne
fosse possibile l’annullamento, quindi senza che a tale annullamento possa
seguire l’applicazione di una qualunque sanzione; o, ancora più in radice,
laddove al rilascio illegittimo del titolo edilizio non fosse poi seguita
alcuna attività e nel frattempo fosse maturato il termine di decadenza del
permesso.
Tutto ciò chiarito l’Adunanza ha ritenuto che, riaffermata la distinzione e
l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni
dell’azione, è necessario in via di principio che ricorrano entrambi e non
può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di
differenziazione, valga da solo ed in automatico a soddisfare anche
l’interesse al ricorso.
(2) Sulla base dei principi espressi in tema di rapporto tra
legittimazione ad agire ed interesse a ricorrere l’Adunanza plenaria ha
affermato che lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio
che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque
ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni
racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove
il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del
giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art.
73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le parti.
(3) L’Adunanza plenaria ha affermato, con riferimento al
(sotto)tema della violazione delle distanze, che non solo la violazione
della distanza legale con l’immobile confinante ma anche quella tra detto
immobile e una terza costruzione possa essere rilevante, tutte le volte in
cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo
edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e
non meramente emulativo (Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 09.12.2021 n. 22 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. Le numerose questioni sollevate dal Consiglio di giustizia sottopongono
all’esame dell’Adunanza plenaria il tema della tutela del terzo a fronte di
atti ampliativi della sfera di altri soggetti, nel caso di specie al
cospetto di un titolo edilizio espresso che, nella legislazione della
Regione Siciliana, ancora recava alla data del 2011, vigente la l.r.
71/1978, la “vecchia” denominazione di concessione edilizia mutuata
dalla “storica” legge (statale) 10/1977.
Quello dell’interesse, oppositivo, ad impedire o comunque a contrastare un
atto ampliativo della sfera di altri soggetti costituisce una delle tre
principali figure più comunemente discusse nello studio della legittimazione
al ricorso nel processo amministrativo, per differenziare la posizione dei
soggetti legittimati da quella della generalità dei consociati.
Limitando il discorso alla tutela dell’interesse legittimo e data in
premessa la distinzione tra interessi oppositivi e interessi pretensivi, le
altre due figure corrispondono, come noto, all’interesse, oppositivo, ad
impedire un atto restrittivo nella propria sfera giuridica (esempio
paradigmatico quello dei provvedimenti ablatori) e all’interesse, in questo
caso pretensivo, a contestare il diniego ovvero il rifiuto di un atto
ampliativo della propria sfera vanamente richiesto dallo stesso interessato
(ad esempio il rifiuto di un’autorizzazione o di una concessione).
Nella seconda e nella terza figura l’individuazione di un interesse
differenziato, e con essa il riconoscimento della legittimazione a
ricorrere, è certamente agevolata dall’essere il soggetto “legittimato”
destinatario di un provvedimento che –privandolo di un bene che prima aveva
o negandogli un bene che non aveva e che aveva richiesto- lo lede
direttamente e, prima ancora, parte necessaria del procedimento
amministrativo che l’ha preceduto. Nel primo caso invece, laddove
procedimento e provvedimento non contemplino il soggetto terzo, il problema
che da sempre si pone è quello di stabilire se l’interesse di costui a
contrastare un atto ampliativo della sfera altrui sia effettivamente
qualificato e differenziato, rispetto all’interesse della generalità, e in
base a quali criteri.
Nella casistica giurisprudenziale i criteri della qualificazione e della
differenziazione, utilizzati per distinguere gli interessi legittimi dagli
interessi di fatto e da quelli cd. semplici (nozioni invero non coincidenti,
ricevendo i secondi protezione in via amministrativa come evidenziato da CGA,
n. 851/2007), sono peraltro strettamente collegati, sebbene
nell’impostazione più teorica la qualificazione discenderebbe dalla norma
attributiva del potere mentre la differenziazione si coglierebbe sulla base
di criteri materiali o caratteri fattuali.
Nella realtà delle cose è raro che la norma attributiva del potere, occupata
a definire presupposti, forme e modi dell’esercizio del potere
amministrativo, menzioni (tutti) gli interessi privati qualificabili come
legittimi; sicché il criterio materiale, incentrato sulla dinamica
procedimentale e sull’evidenza provvedimentale, svolge un ruolo determinante
ed è quello più comunemente praticato.
2. Dove procedimento e provvedimento non siano di particolare ausilio, in
quanto il terzo non vi ha partecipato e l’atto finale di lui non fa
menzione, può essere rilevante l’elemento fisico-spaziale della vicinitas,
intesa quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il
territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti
dell’atto contestato.
Tale criterio di differenziazione -che la giurisprudenza applica, anche, in
materia urbanistica, ambientale, nelle attività economiche (con particolare
riguardo alle autorizzazioni di commercio), con una serie di specificità– si
è andato affermando in primo luogo in ambito edilizio, all’indomani della
legge 765 del 1967, cd. legge ponte, che come noto rappresentò –naufragati
progetti più ambizioni di riforma complessiva del sistema, che avevano
suscitato fortissime resistenze- il primo tentativo legislativo di porre
rimedio al dilagare del fenomeno dell’abusivismo edilizio che nel secondo
dopoguerra aveva deturpato le principali città italiane (su tutte Roma,
Napoli e Palermo) e che proprio l’anno prima, con la spaventosa frana di
Agrigento, aveva reso non più eludibile, agli occhi della comunità nazionale
e di quella internazionale, il problema della speculazione edilizia nel
nostro Paese.
E’ in questo quadro storico –al quale non dovette evidentemente giovare la
Plenaria n. 1 del 1966 con cui si era affermato il principio per cui fosse
inammissibile il ricorso contro una licenza edilizia (altrui), per
violazione delle prescrizioni del piano regolatore che vincola la zona a
verde pubblico, ove l’attuazione della prescrizione fosse in linea di fatto
divenuta impossibile– che si colloca (e si deve leggere) l’art. 10, comma 9,
della legge ponte, che novellava l’art. 31 della legge urbanistica
1150/1942, prevedendo che: “Chiunque può prendere visione presso gli
uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e
ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto
con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di
piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”.
Leggendo tale disposizione si era autorizzati a ritenere che in luogo del
nessuno, di prima del 1967, la legge avesse ora previsto che davvero
chiunque potesse ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia altrui,
quando in contrasto con leggi, regolamenti e prescrizioni urbanistiche; e
che il legislatore avesse inteso introdurre un’azione popolare a tutela,
rafforzata, di una legalità (e di una “giustizia nell’amministrazione”)
che molti comuni sino a quel momento non avevano voluto o saputo garantire.
L’azione popolare, che ha origini antichissime risalenti al diritto romano,
per quanto scarsamente impiegata dal legislatore (praticamente solo nel
giudizio elettorale e nella legislazione comunale), ha sempre suscitato
attenzione e curiosità in dottrina, sia quando ad essa si era riconosciuta
negli anni 30 del secolo scorso una forte impronta pubblicistica, giungendo
ad identificare l’attore popolare addirittura in un organo dello Stato; sia
quando in epoca repubblicana, in chiave diversa, è stata posta in relazione
con la sovranità popolare recuperando la visione più liberale di chi già nei
primi anni del Novecento aveva osservato che può essere esercitata “solo
quando coincide con interessi individuali o quando sia mossa da particolari
passioni”.
Neppure va dimenticato come, sempre all’alba del Novecento, la distanza tra
l’azione popolare e il ricorso al giudice amministrativo potesse sembrare
meno netta e profonda di oggi, se è vero che nel sistema di giustizia
amministrativa francese il ricorrente pour excès de pouvoir era visto
allora come una sorta di “ministère public poursuivant la répression
d’une infraction”, ovvero un “collaborateur de la légalité”.
Fosse o meno questo il vero disegno del legislatore del 1967 –l’introduzione
di una nuova ipotesi di azione popolare- è noto come la giurisprudenza della
disposizione diede ben presto una lettura diversa, escludendo che potesse
rinvenirsi nella disposizione citata un’azione popolare e richiedendo che i
soggetti ricorrenti potessero considerarsi toccati in un proprio interesse
all’insediamento abitativo, ossia alla “radicazione in loco” dei
propri “interessi di vita”, familiari, economici o relativi ad altri
“qualificati e consolidati rapporti sociali” (Cons. St., V, n.
523/1970, posizione poi consolidatasi con Cons. St., Ad. plen. n. 23/1977).
Sicché dall’esclusione dell’azione popolare emergeva sin da allora un
criterio o concetto, quello della vicinitas, piuttosto elastico, la
cui concreta individuazione era (e sarebbe stata in seguito) rimessa al
prudente apprezzamento giurisprudenziale.
Un criterio, certamente meno totalizzante di un ricorso popolare, ma pur
sempre potenzialmente molto espansivo e che si sarebbe rivelato come una
sorta di cerniera tra il piano sostanziale degli interessi, più o meno
differenziati, e quello processuale della loro tutela, peraltro in questi
ambiti essenzialmente di tipo demolitorio–ripristinatorio, in ragione della
loro natura oppositiva.
Un criterio flessibile, da misurare ogni volta sulla base della situazione
di fatto, del tipo di provvedimento contestato e dei suoi concreti
contenuti, dell’ampiezza e della rilevanza delle aree coinvolte, e che
dunque poco si presta a teorizzazioni astratte e generali, quali quelle che
riguardano il tema delle condizioni dell’azione e la distinzione o il
confine tra la legittimazione al ricorso e l’interesse al ricorso, sul quale
a breve si tornerà.
3. E’ al lume di queste premesse che la Plenaria reputa che debba esaminarsi
la completa ricostruzione del quadro giurisprudenziale offerta nella
sentenza del CGA, dove si dà atto (al punto 39 della motivazione) di un
orientamento maggioritario, per cui la vicinitas quale criterio
idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi assorbe in sé
anche il profilo dell’interesse al ricorso; e di un secondo indirizzo per
cui la vicinitas da sola non basta a fondare anche l’interesse,
dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un pregiudizio sofferto.
Del primo orientamento, in un panorama giurisprudenziale vastissimo, si
rinvengono precedenti pressoché in tutte le sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato che si occupano della materia (v. ad esempio, II, n.
2056/2021; IV, 4387/2021; VI, 6500/2021) e conferme anche nella
giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione (18493 e
21740/2021). Ma anche l’altro orientamento trova seguito, per quanto forse
meno frequentemente, nelle varie sezioni del Consiglio di Stato (v., per un
esempio particolarmente efficace, Cons. St., IV, n. 962/2020, oltre a V,
4650/2021, VI, 4830/2017, CGA, 488/2020 e 62/2012, in quest’ultimo si legge
che “l'interesse al ricorso del vicino contro provvedimenti ampliativi
della posizione giuridica dei terzi in materia urbanistico/edilizia
presuppone l'allegazione e la dimostrazione di un concreto pregiudizio che
quel provvedimento reca alle facoltà dominicali del ricorrente”), sicché
il contrasto sembrerebbe attraversare, per così dire, internamente le
diverse sezioni.
Un contrasto probabilmente meno acuto, e quindi meno problematico, di quanto
si potrebbe a prima vista ritenere, nella misura in cui, da un lato, in
molti casi l’adesione al primo indirizzo fa velo della (riconosciuta o
riconoscibile) presenza, nei fatti, anche del pregiudizio (come si ricava,
ad esempio, dalla lettura della sentenza sopra ricordata 2056/2021); e,
dall’altro, anche i precedenti più qualificanti ascrivibili al secondo
indirizzo “scontano” situazioni nelle quali a mancare potrebbe essere
già la stessa legittimazione (è il caso della richiamata sentenza 962/2020
in cui i ricorrenti non erano proprietari di edifici immediatamente contigui
all’area oggetto dell’intervento).
Quanto ai richiami alle pronunce della
Suprema Corte bisogna considerare come abbiano ad oggetto giudizi di
impugnazione nei confronti delle sentenze in unico grado del Tribunale
superiore delle acque pubbliche e, dunque per definizione, vertano su cause
che non sono di edilizia in senso stretto e in cui i temi della protezione
ambientale ricevono preminente attenzione.
Si vuole quindi sottolineare come nella realtà dei fatti e nella dinamica
dei giudizi la riflessione sulla legittimazione proceda non disgiunta da
quella sull’interesse, e siano entrambe fortemente condizionate dalla
situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa.
4. Questa prevalenza (questa “ipoteca”) delle situazioni di fatto
sugli schemi concettuali può forse spiegare quel “singolare regime di
liquidità” che, a giudizio di una dottrina più recente,
caratterizzerebbe la materia delle condizioni dell’azione nel processo
amministrativo. Una materia che ha registrato negli ultimi anni il fiorire
di nuovi studi dottrinali, soprattutto in tema di legittimazione a
ricorrere.
Di questa categoria gli studiosi sono tornati ad indagare le differenze con
il suo omologo nel processo civile, interrogandosi se sia ancora
giustificato da parte della giurisprudenza amministrativa impostare il
problema nei termini tradizionali di una effettiva titolarità di tale
posizione anziché di semplice affermazione della stessa, come avviene nel
giudizio civile. Sono state poi evidenziate le tendenze in atto nella
legislazione degli ultimi dieci anni a costruire legittimazioni speciali, in
capo a talune Amministrazioni indipendenti (quali AGCM, ART e ANAC), a
presidio di determinati beni pubblici (in particolare la tutela della
concorrenza), tendenze che si legano e seguono i casi, divenuti più
frequenti nello Stato policentrico delle autonomie, in cui a proporre
ricorso davanti al giudice amministrativo siano soggetti pubblici (i comuni
in particolare) nella loro veste di enti esponenziali che si contrappongono
ad altri livelli di governo.
Su un piano diverso, e si direbbe anzi opposto, la legittimazione a
ricorrere è da altri messa in relazione con il principio di sussidiarietà in
senso orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., trovandovi il
fondamento per nuovi “diritti civici” sui quali costruire una
cittadinanza attiva che nella tutela dinanzi al giudice amministrativo
troverebbe una delle sue possibili forme di espressione e manifestazione.
Nella stessa direzione la legittimazione al ricorso “rivisitata” è collegata
alla teoria dei cd. beni comuni e diventerebbe uno strumento per
controllare, anche in forme giurisdizionali, i governanti e i poteri
pubblici, come in parte sembrerebbe confermare la recente disciplina
sull’accesso civico di cui al d.lgs. 33/2013 dove all’art. 5, comma 2,
riappare, a distanza di molti decenni, la parola “chiunque”.
Ancora, sempre nel quadro della tutela degli interessi meta-individuali, si
invoca una sorta di “liberazione” della vicinitas dal suo
perimetro originario, sino a ritenerla esistente anche quando la relazione
di prossimità tra il soggetto ed il bene protetto non sia fisica ma
assiologica.
Molte di queste riflessioni hanno riguardo naturalmente alla legittimazione
delle associazioni e dei gruppi, oltre che a quella molecolare dei singoli,
e al ruolo “suppletivo” che associazioni portatrici di interessi
super-individuali, in questo agevolate anche dalle norme di derivazione
europea, sono venute svolgendo, prima nella giurisprudenza e in seguito
nella legislazione nazionali (nei termini, di complementarietà e non di
alternatività, già posti in luce da questa Plenaria nella recente sentenza
n. 6/2020).
L’insieme di queste tendenze per così dire espansive, sul terreno della
legittimazione al ricorso, denunciano la (o muovono dalla denuncia della) “crisi”
dei controlli amministrativi e i limiti sempre maggiori, di tempo e di
spazio, che incontra l’autotutela amministrativa, nella convinzione che
molto spesso, complice anche l’oblio dei ricorsi amministrativi e l’assenza
di validi rimedi alternativi, la sola via per rimediare agli errori, anche
gravi, delle amministrazioni pubbliche sia quella giurisdizionale.
Si potrebbe allora osservare che non a caso, dove l’amministrazione pubblica
è considerata più efficace ed efficiente, come ad esempio in Germania, si
registra da sempre un approccio assai più cauto al tema della legittimazione
ad agire nel processo. Se non fosse che nell’esperienza francese, del pari
contrassegnata da un’amministrazione pubblica tradizionalmente di buona
qualità, la legittimazione ad agire è stata invece riconosciuta con maggiore
larghezza, per quanto nel quadro di una concezione in origine fortemente
oggettiva del sindacato giurisdizionale e che progressivamente è poi venuta
modificandosi, come dimostra, a proposito dell’interesse ad impugnare un
permesso di costruire, la pronuncia del Conseil d'État, 17.03.2017,
n. 396362.
L’analisi comparata dei principali sistemi nazionali di giustizia
amministrativa registra piuttosto da qualche tempo, sotto l’influenza del
diritto europeo, una convergenza su talune linee di fondo; si possono fare
gli esempi dell’estensione della legittimazione ad agire in materia
ambientale, realizzatasi un po’ ovunque, come anche del riconoscimento, nel
contenzioso sui contratti pubblici e sotto l’influenza della Corte di
giustizia UE, di interessi meritevoli di tutela diversi ed ulteriori
rispetto a quello, cd. finale, più direttamente preordinato
all’aggiudicazione della procedura.
5. Sempre nella riflessione dottrinale sulle condizioni dell’azione
l’autonomia della nozione dell’interesse al ricorso, rispetto a quella della
legittimazione, è un dato oramai acquisito, nonostante i dubbi di carattere
teorico sollevati in passato (quando l’interesse ad agire era stato definito
persino come “la quinta ruota del carro” o considerato, nel processo
amministrativo, “ridondante”). Il suo fondamento è rinvenuto, come
noto, nell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù
del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., ed è caratterizzato dalla “prospettazione
di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e
dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale
annullamento dell'atto impugnato” (v. Cons. St., Ad. plen. n. 4/2018, al
punto 16.8).
Su tale nozione riposa, anche (se non soprattutto), la concezione soggettiva
della tutela propria anche del processo amministrativo (sulla quale v.
soprattutto Cons. St. Ad. plen. n. 4/2011 e più di recente Corte cost., n.
271/2019), e ad esso è attribuita una funzione di filtro processuale, sino a
farne (ma il tema è tra i più sensibili) uno strumento di selezione degli
interessi che chiedono tutela secondo la loro “meritevolezza” (per
uno spunto, in questo senso, v. Cons. St. Ad. plen. 9/2014, al punto 8.3.4),
in una logica non lontana da quella che fonda il divieto degli atti
emulativi nel codice civile (art. 833).
Il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente
o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett.
b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più
sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione
della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento
delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni
dell’azione (più) rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla
base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali
eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo
dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e
della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come
è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva
affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia
subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al
merito della lite.
6. Con specifico riferimento alla vicinitas, in ambito
edilizio-urbanistico, dove la “qualificazione” dell’interesse del
terzo può farsi discendere in ultimo dall’art. 872 c.c., dopo l’abrogazione
dell’art. 31 della legge urbanistica ad opera dell’art. 136, comma 1, lett.
a) del d.p.r. 380/2001, il discorso va ora ricondotto entro gli schemi
generali ricavabili dal c.p.a..
Il ragionamento intorno all’interesse al ricorso, inteso come uno stato di
fatto, si lega quindi necessariamente all’utilità ricavabile dalla tutela di
annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in
funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio, riprendendo
quanto in precedenza accennato al punto 2, a fronte di un intervento
edilizio contra legem è rinvenuto in giurisprudenza, non senza una serie di
varianti, nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque
contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente
in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata. Si
può discutere se tali beni siano il risultato della scomposizione di un
unico interesse per così dire riassuntivo, quello alla qualità
dell’insediamento abitativo (espressione presente già nella ricordata
sentenza 523/1970), o se debbano essere considerati per forza
atomisticamente, sull’assunto che non sarebbe dato un interesse inerente
all’insediamento abitativo come tale.
Il riferimento al godimento dell’immobile in uno con il richiamo a salute e
ambiente è peraltro un piano di indagine già sufficientemente ampio ed è su
di esso che la giurisprudenza ha fatto leva per ravvisare il pregiudizio
sofferto dal terzo non solo ad esempio nella diminuzione di aria, luce,
visuale o panorama, ma anche nelle menomazioni di valori urbanistici e nelle
degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico
in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del
traffico (v., ancora da ultimo, Cons. St., IV, n. 6130/2021).
Un’indagine naturalmente strettamente legata –va detto una volta di più– al
tipo di provvedimento contestato e all’entità e alla destinazione
dell’immobile edificando o edificato, come dimostra il peculiare caso dal
quale ha tratto origine l’odierna remissione.
E’ questo un caso nel quale la vicinitas è in termini di stretto
collegamento tra la (proprietà di) parte ricorrente e l’area oggetto
dell’intervento edilizio, trattandosi di immobili direttamente e
immediatamente confinanti, sebbene la violazione, ossia il mancato rispetto
delle distanze, come ricordato in premessa, si abbia non nei confronti
dell’edificio di parte ricorrente ma di quello di chi a sua volta confina
dall’altro lato con quello confinante. Non di meno si deve anche considerare
come la costruzione del signor O si è andata incastonando tra quella di
parte ricorrente e quella dei signori G e C, dove in precedenza non c’era
nulla, inserendosi per così dire “tra di loro”, diminuendone aria e
luce, visuale e panorama.
Se poi dal pregiudizio passiamo all’utilità, si deve considerare ancora come
l’accoglimento del ricorso dei signori B condurrebbe all’annullamento,
almeno in parte, della concessione edilizia del 2011, il che produrrebbe
oltre all’effetto giuridico legato al venir meno retroattivamente del
titolo, conseguenze conformative al momento non prevedibili poiché legate
all’applicazione, a valle dell’annullamento giurisdizionale, dell’art. 38
del t.u. 380/2021 che come noto contempla diversi scenari possibili quali la
rimozione dei vizi amministrativi, la riduzione in pristino, l’applicazione
di una sanzione pecuniaria alternativa (ma alle condizioni ribadite da
ultimo da Cons. St., Ad. plen. n. 17/2020); e dove quanto meno la riduzione
in pristino, anche solo parziale, sarebbe misura certamente utile e
vantaggiosa nella prospettiva demolitoria-ripristinatoria di parte
ricorrente.
7. Tornando a ragionare sul piano generale, l’interesse ad agire dovrebbe ad
esempio escludersi nei casi in cui il titolo edilizio impugnato fosse
affetto da vizi solamente formali o procedurali, sicuramente emendabili,
quand’anche ne fosse possibile l’annullamento, quindi senza che a tale
annullamento possa seguire l’applicazione di una qualunque sanzione; o,
ancora più in radice, laddove al rilascio illegittimo del titolo edilizio
non fosse poi seguita alcuna attività e nel frattempo fosse maturato il
termine di decadenza del permesso.
Ulteriori esempi sono prospettabili, magari più legati al tipo di violazione
denunciato e alla sua concreta incidenza, in una materia nella quale
l’estrema varietà dei casi rende pressoché impossibile fornirne una
classificazione o anche solo una ricognizione appena soddisfacente. Con
riferimento all’impugnazione di titoli edilizi correlati ad autorizzazioni
commerciali, assume rilevanza anche la nozione di bacino d’utenza, che deve
essere ricostruita tenendo conto della natura e delle dimensioni dell’opera.
8. Tirando le fila di tutto questo ragionamento, ricostruite le linee
generali della materia, questa Adunanza ritiene che al primo dei quesiti (di
cui alla lettera a) debba rispondersi nel senso che, riaffermata la
distinzione e l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali
condizioni dell’azione, è necessario in via di principio che ricorrano
entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale
elemento di differenziazione, valga da solo ed in automatico a soddisfare
anche l’interesse al ricorso.
Dopodiché, ai quesiti di cui alle lettere b) e c), si deve rispondere nel
senso che lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si
assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in
termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel
ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il
pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del
giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art.
73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le parti.
Venendo poi al (sotto)tema della violazione delle distanze, posto con il
quesito di cui alla lettera d), si ritiene che, traendo anche spunto dalla
vicenda che ha originato la rimessione, non solo la violazione della
distanza legale con l’immobile confinante ma anche quella tra detto immobile
e una terza costruzione possa essere rilevante, tutte le volte in cui da
tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un
effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non
meramente emulativo.
9. Sulla base di tutto quanto finora considerato possono
quindi essere formulati i principi di diritto
sulle questioni deferite ai sensi dell'art. 99, comma 1, cod. proc. amm.
all'Adunanza plenaria dal Consiglio di giustizia, al quale la causa va
restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione:
a) Nei casi di impugnazione di un titolo
autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la
legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è
necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di
entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale
elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in
automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va
inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
b) L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio
derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si
assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni
racchiuse nel ricorso;
c) L’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e
comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio
fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio
dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
d) Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo
autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le
costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo
la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del
ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può
essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte
le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del
titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il
ricorrente, e non meramente emulativo
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 09.12.2021 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
legittimazione ad impugnare il titolo edilizio abilitativo.
Il Collegio ricorda preliminarmente che:
a) nel processo amministrativo impugnatorio mentre la
legittimazione ad agire spetta di regola al soggetto che è titolare della
situazione giuridica soggettiva sostanziale, in termini di interesse
legittimo o di diritto soggettivo, l’interesse al ricorso consiste nel
vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente
dall’accoglimento dell’impugnativa;
b) l’interesse al ricorso deve essere personale, concreto e attuale
e tali connotati devono caratterizzarlo sia in relazione al profilo della
lesione che a quello dell’utilità che può derivare dall’esercizio
dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita;
c) peraltro, la compresenza necessaria delle tre (interesse ad
agire, legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam attiva/passiva)
condizioni dell’azione nel processo amministrativo (quale processo innervato
dal principio dispositivo) ha visto molteplici affermazioni, sotto diversi
profili, nella recente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria di questo
Consiglio.
Del resto, non fa eccezione ai principi generali del processo
amministrativo -che come è noto è un processo di parti, e quindi richiede
che rispetto al ricorrente sussistano i normali presupposti di trattabilità
della causa nel merito, ovvero la legittimazione e l’interesse ad agire-
l’impugnazione dei titoli edilizi ovvero, più in generale, degli atti di
assenso alla realizzazione di qualsiasi costruzione che incida sul
territorio.
Per ritenere sussistenti le condizioni dell’azione, il ricorrente deve
quindi dimostrare sia la titolarità di una situazione di interesse
differenziato e qualificato, diverso da quello della generalità dei
consociati, ad impugnare un dato provvedimento (legittimazione) che il
rapporto di utilità fra l’esito favorevole dell’impugnazione, l’annullamento
dell’atto, e il proprio interesse (interesse ad agire).
Ciò nonostante, la giurisprudenza, nella materia edilizia, ha
affermato che la legittimazione e l’interesse ad agire dei singoli ruotano
intorno al concetto di “vicinitas”, che si definisce in generale come
lo “stabile collegamento” del soggetto con il terreno interessato
dall’intervento cui ci si oppone, seppur in concreto lo stesso assuma
connotati di volta in volta diversi.
Al riguardo il Collegio deve tuttavia osservare che -laddove il
ricorso non abbia ad oggetto la violazione delle distanze tra gli edifici e
sia proposto da categorie di soggetti differenti dalle persone fisiche
proprietarie di immobili vicini alla sede dell’intervento, come nel caso in
cui ad agire siano i titolari di attività commerciali insediate nelle
vicinanze ovvero nell’ipotesi (come nella specie) che ad essere proprietario
dell’immobile confinante sia una persona giuridica avente finalità di lucro-
non può ritenersi sufficiente a radicare l’interesse ad agire la mera
vicinitas, perché occorrerebbe dimostrare un interesse fondato su un
pregiudizio almeno potenziale ai propri fatturati che dall’intervento in
questione potrebbe derivare.
In questi casi la vicinitas, sebbene sia idonea a radicare la
legittimazione ad agire, non può ritenersi di per sé elemento sufficiente a
fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che
quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere
negativamente sulla proprietà del ricorrente.
A tal fine, pertanto, il
ricorrente, anche in presenza della vicinitas, sarà sempre tenuto a
fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati
alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene di
proprietà.
Pertanto, è onere del ricorrente rappresentare la sussistenza di detta
condizione e subire le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere di
allegazione e sono gli istituti processuali delle eccezioni di parte e del
rilievo d’ufficio ad attualizzare l’onere del ricorrente di indicare la
sussistenza degli specifici presupposti dell’interesse a ricorrere, pena
l’inammissibilità della domanda di tutela.
---------------
1. L’oggetto del giudizio è rappresentato dalla determinazione del comune di
Treviso del 14.08.2019, recante il diniego opposto all’istanza del
06.06.2019 presentata dalla società M.Im. S.r.l. per ottenere, in sede di
esercizio dell’autotutela ex artt. 19, comma 4, e 21-nonies della legge n.
241 del 1990, l’annullamento della s.c.i.a. presentata dalla società Ca.Co.
s.r.l. per la realizzazione di un compendio immobiliare a destinazione
residenziale, sito in viale ... n. 54, previa demolizione di un opificio
dismesso.
2. In particolare, il progetto di cui alla s.c.i.a. presentata, ex art. 23
d.P.R. n. 380 del 2001, in data 04.06.2018 dalla società Ca.Co. s.r.l. al
comune di Treviso (n. 1311/18/AE), noto con il nome di “Cà delle Alzaie”
a firma dell’arch. St.Bo., consisteva nella “riqualificazione e
rigenerazione degli edifici dismessi nell’area (ambito degradato – lettera
“g”, art. 2, L.R. 14/2017) mediante ristrutturazione, con demolizione e
ricostruzione con diversa sagoma ed ampliamento e cambio d’uso (da
artigianale/produttivo a residenziale)”, in applicazione dell’art. 3
della l.r. Veneto 08.07.2009, n. 14 e successive modificazioni ed
integrazioni sul cd. “Piano casa”.
...
15. Il Collegio ricorda preliminarmente che:
a) nel processo amministrativo impugnatorio mentre la
legittimazione ad agire spetta di regola al soggetto che è titolare della
situazione giuridica soggettiva sostanziale, in termini di interesse
legittimo o di diritto soggettivo, l’interesse al ricorso consiste nel
vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente
dall’accoglimento dell’impugnativa;
b) l’interesse al ricorso deve essere personale, concreto e attuale
e tali connotati devono caratterizzarlo sia in relazione al profilo della
lesione che a quello dell’utilità che può derivare dall’esercizio
dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita;
c) peraltro, la compresenza necessaria delle tre (interesse ad
agire, legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam
attiva/passiva) condizioni dell’azione nel processo amministrativo (quale
processo innervato dal principio dispositivo) ha visto molteplici
affermazioni, sotto diversi profili, nella recente giurisprudenza
dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio (Cons. Stato, Ad. plen.,
20.02.2020, n. 6; 27.04.2015, n. 5; 13.04.2015, n. 4; 25.02.2014, n. 9).
15.1. Del resto, non fa eccezione ai principi generali del processo
amministrativo -che come è noto è un processo di parti, e quindi richiede
che rispetto al ricorrente sussistano i normali presupposti di trattabilità
della causa nel merito, ovvero la legittimazione e l’interesse ad agire-
l’impugnazione dei titoli edilizi ovvero, più in generale, degli atti di
assenso alla realizzazione di qualsiasi costruzione che incida sul
territorio.
Per ritenere sussistenti le condizioni dell’azione, il ricorrente deve
quindi dimostrare sia la titolarità di una situazione di interesse
differenziato e qualificato, diverso da quello della generalità dei
consociati, ad impugnare un dato provvedimento (legittimazione) che il
rapporto di utilità fra l’esito favorevole dell’impugnazione, l’annullamento
dell’atto, e il proprio interesse (interesse ad agire) (per tutte, sul
punto, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 25.02.2014, n. 9).
15.2. Ciò nonostante, la giurisprudenza, nella materia edilizia, ha
affermato che la legittimazione e l’interesse ad agire dei singoli ruotano
intorno al concetto di “vicinitas”, che si definisce in generale come
lo “stabile collegamento” del soggetto con il terreno interessato
dall’intervento cui ci si oppone, seppur in concreto lo stesso assuma
connotati di volta in volta diversi.
15.3. Al riguardo il Collegio deve tuttavia osservare che -laddove il
ricorso non abbia ad oggetto la violazione delle distanze tra gli edifici e
sia proposto da categorie di soggetti differenti dalle persone fisiche
proprietarie di immobili vicini alla sede dell’intervento, come nel caso in
cui ad agire siano i titolari di attività commerciali insediate nelle
vicinanze ovvero nell’ipotesi (come nella specie) che ad essere proprietario
dell’immobile confinante sia una persona giuridica avente finalità di lucro-
non può ritenersi sufficiente a radicare l’interesse ad agire la mera
vicinitas, perché occorrerebbe dimostrare un interesse fondato su un
pregiudizio almeno potenziale ai propri fatturati che dall’intervento in
questione potrebbe derivare (cfr., Cons. Stato, sez. V, 21.04.2021, n. 3247;
sez. IV, 27.03.2019 n. 2025; sez. IV, 19.11.2015 n. 5278).
In questi casi la vicinitas, sebbene sia idonea a radicare la
legittimazione ad agire, non può ritenersi di per sé elemento sufficiente a
fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che
quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere
negativamente sulla proprietà del ricorrente. A tal fine, pertanto, il
ricorrente, anche in presenza della vicinitas, sarà sempre tenuto a
fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati
alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene di
proprietà.
Pertanto, è onere del ricorrente rappresentare la sussistenza di detta
condizione e subire le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere di
allegazione e sono gli istituti processuali delle eccezioni di parte e del
rilievo d’ufficio ad attualizzare l’onere del ricorrente di indicare la
sussistenza degli specifici presupposti dell’interesse a ricorrere, pena
l’inammissibilità della domanda di tutela
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.10.2021 n. 7136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sebbene
la mera allegazione della vicinitas (intesa come stabile collegamento
materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori)
risulta di per sé insufficiente a comprovare la legittimazione a ricorrere e
l’interesse al ricorso, “necessitando per contro la positiva dimostrazione
di un pregiudizio che attinga colui che insorge in sede giudiziale”, il
pregiudizio della situazione soggettiva di soggetti terzi “è ritenuto
sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione
abusiva incide se non sulla visuale, quantomeno sull’equilibrio urbanistico
del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno
necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o
situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi”.
---------------
10. Il motivo è parzialmente
fondato.
10.1. Va premesso che, sebbene la mera allegazione della vicinitas
(intesa come stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e
quello interessato dai lavori) risulta di per sé insufficiente a comprovare
la legittimazione a ricorrere e l’interesse al ricorso, “necessitando per
contro la positiva dimostrazione di un pregiudizio che attinga colui che
insorge in sede giudiziale” (Cons. St., sez. II, n. 3440/2020), il
pregiudizio della situazione soggettiva di soggetti terzi “è ritenuto
sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione
abusiva incide se non sulla visuale, quantomeno sull’equilibrio urbanistico
del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno
necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o
situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi” (Cons.
St., sez. II, n. 6519 del 2019) (Consiglio
di
Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2021 n. 6458 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione
ad impugnare il provvedimento autorizzativo unico regionale - Enti
strumentali regionali preposti al rilascio di autorizzazioni ambientali.
---------------
●
Processo amministrativo – Legittimazione attiva - Provvedimento
autorizzativo unico regionale – Abitanti limitrofi – Legittimazione.
●
Ambiente - Enti strumentali regionali preposti al rilascio di autorizzazioni
ambientali – Sentenza n. 132 del 2017 della Corte costituzionale – Ambito di
applicazione.
●
I cittadini che abitano in prossimità di un sito prescelto per allevamento
avicolo sono legittimati ad impugnare il provvedimento autorizzativo unico
regionale (comprensivo di VIA, AIA e permesso di costruire), ai sensi
dell’art 27-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, relativo al “Progetto di
demolizione e ricostruzione di fabbricati destinati all’allevamento
avicolo”, non potendosi negare quantomeno a livello potenziale effetti
dannosi per la salute dei residenti e la stessa salubrità delle
coltivazioni, estendendo lo stesso progetto approvato la verifica degli
impatti delle emissioni fino a 500 metri dall’impianto e sino a 670 mt. per
le case esistenti (1).
●
Le statuizioni della Consulta recate dalla sentenza n. 132 del
2017 circa la necessità di separazione delle funzioni tecnico-scientifiche,
di consulenza e di controllo con quelle di amministrazione attiva in tema di
attribuzione delle funzioni agli enti strumentali regionali preposti al
rilascio di autorizzazioni ambientali non sono applicabili alla normativa di
cui alle leggi regionali intervenute in subjecta materia, trattandosi di
competenze connotate da discrezionalità di tipo tecnico senza che vengono in
rilievo funzioni tipicamente discrezionali spettanti agli organi politici
(2).
---------------
(1) Ha ricordato la Sezione che con specifico riferimento alla
materia ambientale, viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del
paesaggio e del patrimonio storico-artistico, garantiti dall'art. 9, comma
2, Cost., il bene primario della salute umana, garantito dall'art. 32 Cost.
come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»,
la cui soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di
salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di
oggettiva presunzione di lesione. Conseguentemente, ai fini della
sussistenza della legittimazione e dell'interesse ad agire risulta
sufficiente la vicinitas, intesa come vicinanza dei soggetti che si
ritengono lesi al sito prescelto per l'ubicazione di una struttura avente
potenzialità inquinanti e/o degradanti, non potendo loro addossarsi il
gravoso onere dell'effettiva prova del danno subito o subendo.
Peraltro, la vicinitas in parola non può intendersi a guisa di
stretta contiguità geografica col sito assunto come potenzialmente dannoso,
giacché la portata delle possibili esternalità negative di una installazione
avente impatto sull'ambiente non si limita, di certo, a investire i soli
terreni confinanti, che, al più, sono destinati a sopportarne le conseguenze
più gravi (Tar
Salerno, sez. II, 24.02.2020, n. 259).
Pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all'ambiente o alla
salute, ai fini della legittimazione e dell'interesse a ricorrere,
costituirebbe in effetti -come condivisibilmente evidenziato dai ricorrenti-
una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale
di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, essendo
sufficiente la “vicinitas” (Cons. Stato,
sez. II, 10.03.2021, n. 2056; id., sez. V, 09.11.2020, n. 6862; id.
31.05.2012, n. 3254).
Può aggiungersi, quantomeno in riferimento alle doglianze più strettamente
ambientali, che la stessa procedura di VIA di cui alla parte II del Codice
Ambiente -di cui i ricorrenti contestano l’esito positivo- è diretta ad
individuare e misurare gli impatti “potenziali” negativi che una
determinata opera potrebbe avere sull’ambiente circostante, nell’ottica di
una tutela di norma doverosamente preventiva (ex multis C.G.U.E.,
sez. I, 26.07.2017, C-97).
(2) Ha ricordato il Tar che l’Arpae svolga anzitutto funzioni di
supporto tecnico ed istruttorio a favore della Regione, pienamente in linea
con le previsioni dell’art. 1, d.l. n. 496 del 1993, ripreso testualmente
dalla l.reg. Emilia Romagna n. 44 del 1995, che ricomprende tra le funzioni
dell’Agenzia, all’art. 5, comma 1, lett. p), quella di “fornire il
supporto tecnico alle attività istruttorie connesse alla approvazione di
progetti e al rilascio di autorizzazioni in materia ambientale”.
Se in materia di VIA la competenza decisoria appare saldamente ancorata in
capo all’organo politico regionale, non appare decisiva nemmeno la
competenza attribuita all’Arpae al rilascio dell’AIA e della concessione di
derivazione idrica sotteranea, trattandosi di provvedimenti al più connotati
da discrezionalità di tipo tecnico (Tar
Catanzaro, sez. I, 31.05.2018, n. 1147) e fermo restando la
sottoposizione al potere regionale di indirizzo, pianificazione e
programmazione (art. 15, comma 1, l.reg. Emilia Romagna n. 13 del 2015).
La su indicata normativa regionale, per quanto effettivamente attributiva di
svariate funzioni in senso ampio di amministrazione attiva, appare dunque
sensibilmente diversa da quella molisana oggetto della sentenza n. 132 del
2017 dichiarativa della incostituzionalità, quest’ultima caratterizzata
dall’attribuzione all’Arpa di funzioni tipicamente discrezionali
amministrative quali la pianificazione ambientale e l’attribuzione tout
court delle funzioni regionali in materia di ambiente ed energia (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 18.08.2021 n. 756 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1.- E’ materia del contendere la legittimità della deliberazione G.R. n.
1760/2020 con cui è stata disposta l’autorizzazione unica (comprensiva di
VIA, AIA e permesso di costruire) ai sensi dell’art 27-bis d.lgs. 152/2006
relativa al “Progetto di demolizione e ricostruzione di fabbricati
destinati all’allevamento avicolo” ubicato in San Mauro Pascoli e
presentato dalla società Ci.Ve. s.r.l.
Lamentano i ricorrenti in qualità di proprietari di immobili o di titolari
di imprese agricole posti nelle vicinanze dell’intervento, articolati vizi
sostanziali sotto plurimi profili (edilizio, urbanistico ed ambientale)
nonché sul piano formale-procedimentale quanto all’omessa riapertura della
fase di consultazione pubblica.
Contestano in primis la stessa qualificazione edilizia di ristrutturazione
previa demolizione e ricostruzione operata dall’Amministrazione essendosi al
cospetto di intervento del tutto nuovo risultando il precedente impianto
completamente dismesso dal 1983. Confutano infine i compiti attribuiti ad
Arpae dalla legislazione regionale, asseritamente di vera e propria
amministrazione attiva, nei cui confronti sollevano questione di
costituzionalità per contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. s), Cost. e con
le norme interposte (D.L. n. 496/1993, conv. in l. n. 61/1994 e D.lgs. n.
132/2016).
2.- Preliminarmente va esaminata la questione di ammissibilità per difetto
di legittimazione e/o interesse sollevata in giudizio.
2.1. - Ad avviso delle amministrazioni resistenti e dalla società
controinteressata i ricorrenti, alcuni persone fisiche altri persone
giuridiche, avrebbero lamentato esclusivamente la lesione dell’interesse
all’integrità ambientale il quale è come noto tutelabile soltanto dagli enti
esponenziali (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V, 02.10.2014,
n. 4928) mentre non sarebbero stati allegati specifici pregiudizi in termini
di danno o di pericolo che i ricorrenti subirebbero “uti singuli” dalla
realizzazione dell’allevamento autorizzato, non essendo sufficiente il mero
criterio della “vicinitas” ovvero dello stabile collegamento con l’area in
cui è ubicato l’intervento.
2.2. - Va rilevato in punto di fatto come la difesa dei ricorrenti abbia
depositato in giudizio planimetria “google maps” indicativa della
localizzazione delle singole proprietà o residenze rispetto all’allevamento
con indicazione delle distanze (varianti da soli 9 metri per alcuni
ricorrenti sino ad 1 Km. per altri) unitamente a documentazione con cui i
clienti di alcune delle imprese agricole esigono l’assenza di allevamenti di
animali in prossimità dei terreni orticoli. Va rilevato come la maggior
parte degli odierni istanti risieda o eserciti l’attività agricola in un
raggio di distanza comunque inferiore ai 500 mt.
2.3. - E’ noto come in riferimento alla materia edilizia sussista un annoso
contrasto di giurisprudenza nello stabilire le condizioni di legittimazione
ed interesse che abilitano all’impugnazione di un titolo edilizio
asseritamente illegittimo, non essendo previste forme di azione popolare
(TAR Campania Napoli sez. VII, 05.01.2017, n. 107).
Secondo una prima tesi ai fini della legittimazione è sufficiente il
criterio dello stabile collegamento con l’area interessata, di per sé
sufficiente ad integrare la condizione dell’azione, senza che occorra
dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale, “senza cioè che occorra procedere in concreto ad alcuna
ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto
impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che
propone l’impugnazione” (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 08.06.2021, n. 4387; id. sez. IV, 23.05.2019, n. 3386; id. sez IV, 16.03.2010, n. 1535, id. sez IV, 12.05.2009, n. 2908, id. sez IV, 15.01.2009, n. 177, id. sez. V, 15.09.2003, n. 5172, id sez. V, 13.07.2000, n. 3904; Cassazione sez. unite ord. 30.06.2021, n. 18493).
Secondo invece altro orientamento -pur invalso sia presso la giurisprudenza
di prime cure che d’appello- la sola “vicinitas” non può reputarsi
sufficiente a supportare il requisito dell’interesse a ricorrere della
domanda di annullamento di un titolo edilizio, dal momento che tale
condizione deve apprezzarsi non già in senso assoluto bensì relativo, ossia
con riferimento alle peculiari caratteristiche dell’opera e quindi anche
alla sua natura e dimensioni, destinazione, implicazioni urbanistiche ed
agli effetti ragionevolmente dispiegabili in ordine alla qualità della vita
di relazione esplicantesi nel contesto spaziale (ex multis Consiglio di
Stato sez. V, 21.04.2021, n. 3247; sez IV, 29.12.2010, n. 9537; id.
sez IV, 31.05.2007, n. 2849; id. sez V, 28.06.2004, n. 4790; id. sez.
II, 23.12.2020, n. 8289; TAR Friuli-Venezia Giulia 15.10.2020,
n. 360; TAR Puglia-Bari sez III, 25.02.2008, n. 325; id sez. III, 16.12.2010, n. 4217; TAR Lombardia-Milano sez. II,
09.07.2009, n. 4345;
TAR Calabria-Catanzaro sez. II, 10.05.2007, n. 404).
Secondo tale ricostruzione giurisprudenziale -a cui invero ha recentemente
aderito questa Sezione (TAR Emilia Romagna-Bologna sez. I, 02.04.2021,
n. 342)- deve essere tenuta distinta la condizione della legittimazione al
ricorso -coincidente con la titolarità della situazione soggettiva sulla
quale si innesta l’interesse legittimo che si vuol far valere in giudizio
(ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 10.04.2009, n. 2235)- con quella
ben distinta dell’interesse ad agire ex art 100 c.p.c. quale generale
condizione dell’azione di annullamento innanzi al g.a., che deve essere
personale, attuale e concreto e che onera il ricorrente della relativa
prova, quale specifico pregiudizio arrecato dal provvedimento gravato ad un
proprio bene della vita.
2.4.- Tanto premesso, con specifico riferimento alla materia ambientale,
viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, garantiti dall'art. 9, comma 2, Cost., il bene primario
della salute umana, garantito dall'art. 32 Cost. come «fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettività», la cui soglia di tutela
giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori
ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione
di lesione.
Conseguentemente, ai fini della sussistenza della legittimazione
e dell'interesse ad agire risulta sufficiente la “vicinitas”, intesa come
vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi al sito prescelto per
l'ubicazione di una struttura avente potenzialità inquinanti e/o degradanti,
non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell'effettiva prova del danno
subito o subendo.
Peraltro, la vicinitas in parola non può intendersi a
guisa di stretta contiguità geografica col sito assunto come potenzialmente
dannoso, giacché la portata delle possibili esternalità negative di una
installazione avente impatto sull'ambiente non si limita, di certo, a
investire i soli terreni confinanti, che, al più, sono destinati a
sopportarne le conseguenze più gravi (così TAR Campania Salerno, sez. II,
24.02.2020, n. 259).
Pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all'ambiente o alla
salute, ai fini della legittimazione e dell'interesse a ricorrere,
costituirebbe in effetti -come condivisibilmente evidenziato dai ricorrenti- una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di
tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, essendo
sufficiente la “vicinitas” (Consiglio di Stato sez. II, 10.03.2021, n.
2056; id. sez. V, 09.11.2020, n. 6862; id. 31.05.2012, n. 3254).
Può aggiungersi, quantomeno in riferimento alle doglianze più strettamente
ambientali, che la stessa procedura di VIA di cui alla parte II del Codice
Ambiente -di cui i ricorrenti contestano l’esito positivo- è diretta ad
individuare e misurare gli impatti “potenziali” negativi che una determinata
opera potrebbe avere sull’ambiente circostante, nell’ottica di una tutela di
norma doverosamente preventiva (ex multis C.G.U.E. sez. I, 26.07.2017,
C-97).
2.5. - Ne consegue, ad avviso del Collegio, l’infondatezza dell’eccezione,
avendo fornito i ricorrenti dimostrazione di vivere abitualmente in
prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell'intervento e/o di
ivi intraprendere l’attività agricola, non potendosi poi negare quantomeno a
livello potenziale effetti dannosi per la salute dei residenti e la stessa
salubrità delle coltivazioni, estendendo lo stesso progetto approvato la
verifica degli impatti delle emissioni fino a 500 metri dall’impianto e sino
a 670 mt. per le case esistenti.
2.6. - Il ricorso è pertanto ammissibile per tutti i ricorrenti, poiché non
è possibile escludere pregiudizi di carattere potenziale nemmeno per coloro
che si collocano oltre tale fascia distanziale, comunque ricompresa nel
raggio di un chilometro.
3.- Venendo al merito il primo motivo non merita positiva
considerazione.
3.1. - Giova premettere una breve ricostruzione -per quel che qui interessa- del quadro normativo regionale di riferimento in merito alle competenze
attribuite all’Arpae, definito dall’art. 4 L.R. n. 44/1995 ente strumentale
della Regione.
Ai sensi dell’art. 14, comma 2, della L.R. n. 13/2015, Arpae costituisce
centro di competenza inter-istituzionale, ovvero uno strumento utile a
“superare le sovrapposizioni di competenza, assicurare il rispetto dei tempi
di conclusione dei procedimenti pluri-livello, nonché ridurre gli oneri a
carico dei destinatari dei conseguenti provvedimenti”, cui sono attribuite
“funzioni di supporto tecnico e amministrativo nella gestione dei
procedimenti che richiedono un coordinamento unitario tra le amministrazioni
coinvolte e con il compito di definire interventi di semplificazione
nell'ambito dei processi di riordino legislativo previsti dalla presente
legge” (art. 11, comma 2, della L.R. n. 13/2015).
L’art. 16, comma 2, della L.R. n. 13/2015, prevede che “Mediante
l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia, la Regione
esercita, in materia ambientale, le funzioni di concessione, autorizzazione,
analisi, vigilanza e controllo nelle materie previste all'articolo 14, comma
1, lett. a), b), c), d) ed e) ... Nelle stesse materie sono esercitate
attraverso l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia
tutte le funzioni già esercitate dalle Province in base alla legge
regionale”.
L’art. 15, comma 4, della L.R. n. 13/2015, in materia di VIA prevede che “La
Regione, inoltre, esercita le funzioni ... previa istruttoria dell'Agenzia
regionale ...”.
A livello provvedimentale poi la D.G.R. n. 1795/2016, ha previsto che “per i
procedimenti in materia di VAS, VIA, AIA ed AUA questo rinnovato riparto di
competenze si concretizza come segue [..]
a) la Regione, previa istruttoria dell’ARPAE, in materia di VIA,
svolge le funzioni finora esercitate dalle Province per i progetti di cui
agli allegati A.2 e B.2 di cui all’art. 5, comma 2, della L.R. n. 9 del
1999;
b) la Regione, tramite l’ARPAE, in materia di AIA, svolge le
funzioni finora esercitate dalle Province in materia di istruttoria e di
emanazione delle autorizzazioni”.
3.2. - Quanto al procedimento di VIA se è vero che ad Arpae è demandata
l’attività istruttoria comprensiva della verifica di conformità e della
redazione del rapporto ambientale conclusivo della conferenza (par. 3, c. 2,
Direttiva regionale n. 1795/2016) nonché la funzione di rappresentante unico
della Regione nella conferenza di servizi decisoria, va evidenziato come ai
sensi dell’art. 15 c. 4, L.R. 13/2015 la valutazione di impatto ambientale
di un progetto quale espressione di discrezionalità al contempo sia tecnica
che amministrativa (ex multis Consiglio di Stato sez. II, 07.09.2020,
n. 5379) pertiene esclusivamente alla Regione, secondo la struttura
rigorosamente dicotomica della VIA prevista dalla legge regionale n. 4/2018.
Va altresì evidenziato che in virtù delle norme sopra richiamate è sempre
Arpae a rilasciare l’AIA nonché la concessione di derivazione idrica
sotterranea.
3.3. - Come rilevato dalle parti, con la sentenza n. 132 del 07.06.2017
la Consulta ha censurato l’art. 16 della legge della Regione Molise n. 4 del
2016 per contrasto con l’art. 117 c. 2 lett. s) Cost., affermando la
necessità di separazione delle funzioni tecnico-scientifiche di consulenza e
controllo, attribuite alle suddette agenzie, dalle funzioni della c.d.
“amministrazione attiva”, che vanno esercitate dai distinti livelli
“politici” territoriali: statale, regionale o provinciale.
Tuttavia, la Corte, nell’esplicitare che cosa debba intendersi per funzioni
di “amministrazione attiva” nella ratio del principio come sopra affermato,
ha chiarito doversi trattarsi di “attività" che, essendo espressione di
discrezionalità amministrativa in senso proprio, comportano una ponderazione
degli interessi coinvolti e quindi sono soggette alle direttive degli organi
rappresentativi titolari della “politica” ambientale.
3.4. - Sulla base di tal presupposto deve indagarsi, al fine del giudizio
incidentale di non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità da parte dell’adito Tribunale, se la suesposta normativa
regionale assegni o meno ad Arpae funzioni di amministrazione attiva nel
senso ristretto sopra precisato.
Ritiene il Collegio che Arpae svolga anzitutto funzioni di supporto tecnico
ed istruttorio a favore della Regione, pienamente in linea con le previsioni
dell’art. 1, del D.L. n. 496/1993, ripreso testualmente dalla L.R. n.
44/1995, che ricomprende tra le funzioni dell’Agenzia, all’art. 5, comma 1,
lett. p, quella di “fornire il supporto tecnico alle attività istruttorie
connesse alla approvazione di progetti e al rilascio di autorizzazioni in
materia ambientale”.
Se in materia di VIA la competenza decisoria appare saldamente ancorata in
capo all’organo politico regionale, non appare decisiva nemmeno la
competenza attribuita all’Arpae al rilascio dell’AIA e della concessione di
derivazione idrica sotteranea, trattandosi di provvedimenti al più connotati
da discrezionalità di tipo tecnico (TAR Calabria-Catanzaro, sez. I, 31.05.2018, n. 1147) e fermo restando la sottoposizione al potere regionale
di indirizzo, pianificazione e programmazione (art. 15, c. 1, L.R. 13/2015).
La su indicata normativa regionale, per quanto effettivamente attributiva di
svariate funzioni in senso ampio di amministrazione attiva, appare dunque
sensibilmente diversa da quella molisana oggetto della sentenza n. 132/2017
dichiarativa della incostituzionalità, quest’ultima caratterizzata
dall’attribuzione all’Arpa di funzioni tipicamente discrezionali
amministrative quali la pianificazione ambientale e l’attribuzione tout
court delle funzioni regionali in materia di ambiente ed energia.
3.5. - Va dunque dichiarata la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 15-16 L.R. n. 13/2015 e dell’art. 7
L.R. n. 4/2018 per violazione dell’art. 117, lett. s), Cost. e relative norme
interposte (D.L. n. 496/1993, conv. in l. n. 61/1994 e D.lgs. n. 132/2016)
in tema di competenze attribuite all’Arpae.
3.6. - Conclusivamente il primo motivo è infondato.
4.- Anche il secondo motivo è privo di pregio.
Come noto in attuazione della direttiva 2011/92/UE la quale impone
“tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alle procedure
decisionali in materia ambientale” l’art. 27-bis d.lgs. 152/2006 prevede
l’obbligo di consultazione pubblica dei progetti soggetti a VIA di
competenza regionale. Il comma quinto del richiamato art. 27 stabilisce che
l’autorità competente ove motivatamente ritenga che le modifiche o le
integrazioni siano sostanziali e rilevanti per il pubblico dispone la
ripubblicazione del progetto.
E’ evidente, anzitutto, che la decisione di riavviare la consultazione
pubblica è prevista solamente in presenza dei su indicati presupposti, avendo
solo in tal caso l’Amministrazione un obbligo di puntuale motivazione, non
invece richiesta in ipotesi negativa.
Nel caso di specie le pur innegabili integrazioni apportate al progetto
sottoposto a VIA in seguito ai rilievi formulati da Arpae in sede di
conferenza di servizi non hanno modificato nella sua interezza il progetto
di demolizione e ricostruzione del dismesso allevamento, si da aver
consentito il raggiungimento dello scopo partecipativo voluto dal citato
art. 27, il quale ha espresso valore di comunicazione di avvio del
procedimento (art. 27, c. 4, d.lgs. 15272006) dovendosi dunque escludere
l’invocato effetto invalidante (ex plurimis Consiglio di Stato sez. IV, 12.07.2018, n. 4263; TAR Sicilia-Catania, sez. II, 13.01.2016, n.
31) nell’ottica sostanzialistica che permea in generale tutti gli istituti
partecipativi
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 18.08.2021 n. 756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Posto che per i titoli edilizi ordinari il “dies a quo” per proporre
l’impugnativa va in genere individuato nell’ultimazione dei lavori, nel caso di specie il condono edilizio è stato rilasciato nel
lontano 14.02.2014 sì da essersi definitivamente consolidato, non
potendo nemmeno i titoli a sanatoria essere soggetti “sine die” ad
impugnativa giurisdizionale.
---------------
7.- Inammissibile per tardività è invece il settimo motivo.
Posto che per i titoli edilizi ordinari il “dies a quo” per proporre
l’impugnativa va in genere individuato nell’ultimazione dei lavori
(Consiglio di Stato., sez. II, 09.04.2020, n. 2328; id., sez. IV, 23.05.2018, n. 3075; id.,
07.12.2017, n. 5754; id., sez. VI, 18.10.2017, n. 4830; id., 18.04.2012, n. 2209; id., sez. V, 16.04.2013, n. 2107) nel caso di specie il condono edilizio è stato rilasciato nel
lontano 14.02.2014 sì da essersi definitivamente consolidato, non
potendo nemmeno i titoli a sanatoria essere soggetti “sine die” ad
impugnativa giurisdizionale (ex multis TAR Calabria Reggio Calabria sez.
I, 12.10.2015, n. 1024)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 18.08.2021 n. 756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: All’Adunanza
plenaria il criterio della vicinitas ai fini della legittimazione ad
impugnare i singoli titoli edilizi.
---------------
Processo amministrativo - Legittimazione attiva – Edilizia – Titoli
edilizi – Impugnazione – Vicinitas – Rimessione all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato.
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni:
a) se la vicinitas è di per sé idonea non solo a legittimare
l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo
dell’interesse all’impugnazione;
b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola
condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario
che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa
edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli
provoca;
c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento
della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo
nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus
patito dal ricorrente;
d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di
cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle
cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni)
imposte dalla legge urbanistica:
d1) se il solo interesse deducibile sia la
lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o
anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza
costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più
generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno
confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire
sulla base del requisito della vicinitas;
d2) se, a tal fine, rilevi la conseguenza
evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera
del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta
(1).
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(1) Ha chiarito il C.g.a. che l’orientamento maggioritario (ma non
univoco) il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i
ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la
realizzazione dell'intervento o abbiano uno stabile e significativo
collegamento con esso, è di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di
singoli titoli edilizi, assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse
all’impugnazione.
L’orientamento si è formato nel vigore dell’art. 10, l. n. 765 del 1967 (che
consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il rilascio
della concessione edilizia’), norma non riprodotta nel d.P.R. n. 380 del
2001.
Da tempo risalente l’Adunanza plenaria (07.11.1977, n. 23) ha
attribuito decisivo rilievo, ai fini dell’inquadramento del “sistema della
legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo fondato
sull’esistenza di un interesse attuale, personale e diretto sia pure inteso
in una considerazione adeguata alle esigenze dei tempi e della materia”, al
criterio della vicinitas. E ciò al precipuo scopo di evitare che l’utilizzo
del lemma “chiunque” potesse consentire di ammettere un’actio popularis,
posto l’“indirizzo assolutamente fermo nel negare che la disposizione in
questione abbia inteso introdurre un’azione popolare”.
Successivamente detto orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza,
pur non essendo stata riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001 la disposizione
contenuta nell’art. 10, l. n. 765 del 1967, sulla base della quale il
medesimo si è formato.
In base ad esso, in materia edilizia, la vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio, è
“circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della
legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al
ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per
effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo” (Cons. St.,
sez. IV,
08.06.2021, n. 4387; id.,
sez. VI, 28.04.2021, n. 3430; id.,
sez. II, 10.03.2021, n. 2056; id.,
sez. VI,
06.03.2018, n. 1448; id.
23.05.2019, n. 3386; id.,
sez. IV, 17.06.2014, n. 3094; id., sez. V, 10.07.1981, n. 360; id. 17.04.1973, n. 399).
In tale prospettiva al criterio della vicinitas è riconosciuta non solo
l’idoneità a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma anche
l’attitudine a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione,
qualora ad impugnare sia il proprietario confinante. E detta considerazione
assume un rilievo generale nel settore, valevole non solo quando si impugna
un titolo edilizio, allorquando sussiste “indubbiamente una lesione della
propria sfera giuridica –e non occorrendo la prova di uno specifico
pregiudizio- quando si deduca che la violazione edilizia sia idonea a
procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente sulla qualità della
vita o sulla salute”, ma anche quando si impugna un atto che pianifica
diversamente un terreno vicino, o che localizza un’opera pubblica o una
discarica di rifiuti o una stazione radio base o un atto che consente
l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente e
comunque “qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio”
(Cons. St., sez. IV, 24.12.2020, n. 8313).
Con specifico riferimento agli abusi la giurisprudenza ritiene che “il
pregiudizio del confinante [sia] in re ipsa, dato che ogni edificazione
abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del
territorio” (Cons. St., sez. VI, 29.03.2019, n. 2100).
Ne deriva che il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti
vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione
dell'intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso,
tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative, rappresenta
quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere,
“mentre pretendere la dimostrazione di uno specifico pregiudizio
costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto
costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive”
(Cons. St., sez. II, 10.03.2021, n. 2056).
A detto orientamento ha aderito la Corte di cassazione, secondo la quale il
requisito della vicinitas è sufficiente al fine di radicare la
legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di
un’opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità
della stessa, né ricercare un soggetto collettivo che assuma la titolarità
della corrispondente situazione giuridica, non potendosi pretendere altresì
la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute ai fini
della legittimazione e dell’interesse a ricorrere (ss. uu., ordinanze
30.06.2021, n. 18493; id.
27.08.2019, n. 21740).
Nel corso del tempo si è andato però affermando anche un diverso approdo
giurisprudenziale, che ha poi dato vita ad un’ulteriore evoluzione del
medesimo (su cui infra), che si è affermata di recente.
In base a detto orientamento la vicinitas è idonea a radicare la
legittimazione ad agire ma non è di per sé elemento sufficiente a fondare
l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto
contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente
sulla proprietà del ricorrente (Cons. St.,
sez. V, 16.06.2021, n. 4650,
sez. II,
01.06.2020, n. 3440,
sez. IV, 13.03.2019, n. 1656,
sez. IV,
22.06.2018, n. 3843).
Ciò in quanto la vicinitas, nell’identificare una posizione qualificata
idonea a rappresentare “la legittimazione a impugnare” il titolo edilizio,
non assorbe ogni ulteriore valutazione relativa all’interesse a ricorrere,
come in precedenza ritenuto (Cons. St., sez. II,
08.06.2021, n. 4375),
dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico
inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il
deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto
alla salute e all'ambiente, o alla proprietà. Deve infatti essere sempre
fornita “la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di
carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di
peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione
dell'intervento edificatorio”.
Piuttosto il ricorrente sarebbe tenuto a fornire la prova concreta del
vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica,
quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del
diritto alla salute ed all'ambiente. “Ciò in quanto il criterio della vicinitas, se è idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica
qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse
legittimo, tuttavia non esaurisce le condizioni necessarie cui è subordinata
la legittimazione al ricorso, dovendosi da parte di chi ricorre fornire
invece la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di
carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di
peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione
dell'intervento edificatorio” (Cons. St., sez. II,
08.06.2021, n. 4375).
Sarebbe quindi necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del
vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica,
quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del
diritto alla salute ed all'ambiente” (Cons. St.,
sez. II,
01.06.2020, n.
3440 e
sez. IV, 13.03.2019, n. 1656; id.
22.06.2018, n. 3843).
A ciò consegue che la rilevanza del pregiudizio allegato sarà oggetto di
valutazione sulla sussistenza della condizione dell’interesse a ricorrere.
In tale prospettiva, ad esempio, si è ritenuto che la riduzione del panorama
non integri il requisito, a meno che, come ritenuto da
Cons. St., sez. IV 27.01.2015, n. 362, la visuale relativa non assuma un valore economico,
che però va dimostrato (Cons. St.,
sez. IV, 14.06.2021, n. 4557; id.,
sez. VI, 18.10.2017, n. 4830; id.,
sez. IV,
02.02.2016, n. 383).
Tale secondo orientamento è stato ulteriormente declinato, in alcune
pronunce (specie recenti), nel senso che il concetto di vicinitas, anche in
termini logici, è una sintesi verbale, una formula riassuntiva che sta a
indicare una situazione nella quale, nella normalità dei casi, il
pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune apprezzamento
sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni. Costituisce una
situazione che può comportare, nel concreto rispetto al tipo di impianto di
cui si parla, “un pregiudizio almeno presumibile al vicino”. Si tratta di
“una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso che ove vi sia
una specifica contestazione della controparte, l’allegazione non basta,
bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero”. L’onere della
relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte
interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà
essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse (Cons. St.,
sez. V,
21.04.2021, n. 3247; id.,
sez. IV, 14.06.2021, n. 4557).
Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto, il
C.g.a. ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., deferire
l’affare all’Adunanza plenaria.
In coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di
parte, il controllo della legittimazione al ricorso e dell’interesse a
ricorrere assume carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della
domanda, così come disposto dall’art. 76, comma 4, c.p.a. e dell’art. 276,
comma 2, c.p.c. (Ad. plen.,
07.04.2011, n. 4).
Nel processo amministrativo impugnatorio la legittimazione ad agire spetta
di regola al soggetto che è titolare della situazione giuridica sostanziale,
in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo (così anche la
recente
Adunanza plenaria con sentenza 20.02.2020, n. 6, in merito
alla legittimazione delle associazioni).
L’interesse al ricorso consiste invece nel vantaggio pratico e concreto che
può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (Cons. St.,
sez. IV,
01.06.2018, n. 3321; id.
19.07.2017, n. 3563), cioè
nell’utilità o nel vantaggio, materiale o morale, ottenibile dal processo
amministrativo al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Nel processo amministrativo è infatti applicabile, in virtù della clausola
di rinvio esterno recata dall’art. 39, comma 1, c.p.a., l’art. 100 c.p.c.
secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è
necessario avervi interesse” (nel codice del processo amministrativo l’art.
34, comma 3, fa espressamente riferimento al concetto di utilità).
Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale, l’interesse al ricorso
deve essere personale, concreto e attuale. “Nel processo amministrativo
l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi
requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c.,
vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della
sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe
derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”,
cui segue il richiamo di Cassazione civile, sez. un., 02.11.2007, n.
23031, “secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto
personale e diretto, ma anche attuale e concreto -e non ipotetico o
virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio” (Ad. plen., 26.04.2018, n. 4).
I connotati della personalità, attualità e concretezza debbono
caratterizzare l’interesse a ricorrere in entrambi i profili nei quali si
articola, quello della lesione e quello dell’utilità che può derivare
dall’esercizio dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Così descritte le due condizioni dell’azione, si rileva che la
legittimazione collega la posizione di chi presenta ricorso all’ordinamento
giuridico mentre l’interesse a ricorrere sposta l’attenzione sul rapporto
fra l’azione giudiziaria esercitata e lo scopo perseguito in concreto dal
soggetto agente, laddove per vantaggio concreto deve intendersi un risultato
che, per quanto possa realizzarsi anche solo sul piano degli effetti
giuridici, sia percepibile in modo tangibile dal ricorrente.
Nel suddetto quadro sistematico si è inserita la giurisprudenza della Corte
di giustizia, che, seppur in relazione al solo (ma rilevante) settore degli
appalti pubblici, ha introdotto, per quanto di interesse in questa sede e
con specifico riferimento ai rapporti fra ricorso principale e ricorso
incidentale reciprocamente escludenti, due prospettive interpretative che
hanno inciso sulla nozione di legittimazione a ricorrere e (soprattutto) di
interesse a ricorrere.
In una prima prospettiva la Corte di giustizia ritiene sufficiente, quale
interesse al ricorso, un interesse ipoteticamente strumentale, dato che
nell’evenienza fattuale del caso Lombardi (C. giust., sez. X, 05.09.2019 C-333/18).
In una seconda prospettiva, l’impostazione della Corte di giustizia ha
sovrapposto l’istituto dell’interesse al ricorso rispetto a quello della
legittimazione ad agire allorquando e, affermato il primato del diritto
eurounitario in ordine al diritto a un ricorso effettivo rispetto alle
regole nazionali relative all’ordine di esame delle questioni (di cui alla
richiamata
Ad. plen., n. 4 del 2011), ha fatto prevalere la condizione
dell’interesse al ricorso su quella della legittimazione ad agire, che è
rimasta quindi assorbita dalla prima.
Il C.g.a. ha quindi esaminato dapprima gli aspetti positivi e negativi degli
orientamenti giurisprudenziali sopra esaminati, per poi prendere posizione.
Con riferimento all’orientamento in base al quale la vicinitas è
circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione
che dell'interesse a ricorrere, si rileva che:
rappresenta l’orientamento maggioritario (e garantisce quindi stabilità al
sistema);
- àncora la sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione a un
unico presupposto, la vicinitas, così semplificando il canone di
accesso alla giustizia, anche in ragione del fatto che il criterio riceve
oggi un’applicazione uniforme, che garantisce certezza in ordine alla
fruibilità del servizio giustizia nel settore;
-
la circostanza che entrambe le condizioni dell’azione siano attestate da un
unico presupposto riflette il fatto che la situazione giuridica soggettiva è
collegata (in punto di legittimazione) a un bene immobile che è per natura
localizzato in modo stabile in una certa zona e che l’utilità pratica
anelata con il ricorso, collegandosi a detto bene, è circostanziata dal
punto di vista spaziale in ragione proprio di quella localizzazione (in
punto di interesse);
-
nella maggioranza dei casi il criterio della vicinitas è idoneo a rendere
evidente il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato senza bisogno di
speciali dimostrazioni, rendendo così giustiziabili tali casi senza
richiedere un sforzo aggravato ai fruitori del servizio giustizia;
-
può essere apprezzato in termini di coerenza con le sollecitazioni
provenienti dalla sopra illustrata impostazione eurounitaria sia in punto di
sovrapponibilità delle due condizioni dell’azione, la legittimazione a
ricorrere e l’interesse a ricorrere, sia in punto di interesse a ricorrere.
In senso negativo si osserva che:
- non sembra avere un sicuro fondamento normativo dopo
l’abrogazione dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967 senza riproduzione
nel d.P.R. n. 380/2001;
- riconduce ad unità due istituti processuali aventi contenuto e
ratio differenti, come sopra esposto;
- assume in sé il rischio di rendere recessiva la condizione
dell’interesse a ricorrere, delineata nei caratteri tipici della
concretezza, personalità e attualità, rispetto alla legittimazione, atteso
che il concetto di vicinitas proviene da quest’ultima prospettiva
(quella della legittimazione), rispetto alla quale è autosufficiente (dal
momento che il relativo interesse legittimo è di norma connesso a un diritto
autoindividuato), laddove il collegamento stabile con il luogo non rende
invece evidente sempre (ma solo nella maggioranza dei casi) il ricorrere di
un interesse concreto e personale;
- in particolare, la circostanza che ogni edificazione
“illegittima” sia potenzialmente idonea a incidere sull'equilibrio
urbanistico e sull'ordinato sviluppo del territorio (Cons. St., sez. VI, 29.03.2019, n. 2100) evidenzia aspetti di possibile contiguità rispetto alle
prerogative proprie di una giurisdizione di diritto oggettivo, tesa ad
assicurare il legittimo dispiegarsi del rapporto di diritto pubblico
nell’interesse generale, laddove la prospettiva soggettiva richiede la prova
dello specifico pregiudizio derivante dall’iniziativa edilizia nella sfera
del ricorrente;
- né le “possibili esternalità negative” scaturenti da un
intervento edilizio (di cui alla richiamata pronuncia
Cons. St., sez. II, 10.03.2021, n. 2056) rappresentano un elemento di per sé qualificante
dell’interesse a ricorrere, che deriva solo dall’allegazione della specifica esternalità capace di pregiudicare il ricorrente.
In relazione all’orientamento in base al quale la vicinitas non è
sufficiente a radicare l’interesse a ricorrere, dovendo sempre il ricorrente
fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati
alla propria sfera giuridica, si osserva che esso consente di riconoscere la
diversità di presupposti e di ratio delle due condizioni dell’azione,
ancorando la legittimazione allo stabile collegamento e l’interesse
all’utilità concreta cui aspira il ricorrente, nel rispetto dei connotati di
concretezza e personalità che caratterizzano l’interesse a ricorrere.
Inoltre tale orientamento si fonda sulle condizioni dell’azione nel c.p.a. e
prescinde dall’art. 10, l. n. 765 del 1967, che è stato abrogato senza
riproduzione nel d.P.R. n. 380 del 2001, sicché sembra avere un più solido
fondamento normativo rispetto all’altra tesi.
Nondimeno detto orientamento:
- rende l’interesse a ricorrere, che sconterebbe una declinazione
ogni volta diversa a seconda del caso concreto, maggiormente aleatorio, così
riverberandosi negativamente anche sulla certezza dei presupposti di accesso
alla tutela;
- potrebbe inutilmente aggravare l’accesso alla giustizia in tutti
i casi in cui la vicinitas rende di per sé evidente la sussistenza
dell’interesse a ricorrere.
Con riferimento alla seconda declinazione del secondo orientamento (solo
alcuni casi richiedono l’allegazione di un pregiudizio specifico, che si
aggiunga al requisito della vicinitas) si rileva che:
- pare cogliere con maggiore precisione le varie casistiche di
accesso alla tutela giurisdizionale nel settore di riferimento distinguendo
la maggior parte delle cause, nelle quali la vicinitas è indice di un
interesse concreto, dalle rimanenti domande di tutela, rispetto alle quali
l’anelata utilità non pare ancorata in modo evidente allo stabile
collegamento con il luogo dell’iniziativa edilizia;
- lascia l’accertamento di una condizione dell’azione (rilevabile
d’ufficio) alla dinamica fra le parti che caratterizza le presunzioni
semplici.
Il C.g.a. ha ritenuto di aderire seppur con una precisazione di chiusura, al
primo orientamento, in quanto si pone in linea di continuità con la
condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere, così come si è
evoluta nell’ambito del processo amministrativo, oltre a costituire, per i
motivi già detti, un viatico sicuro per l’accesso alla tutela
giurisdizionale (CGARS,
sentenza non definitiva 27.07.2021 n. 759 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
38. Tuttavia l’appellato e l’Amministrazione resistente hanno dedotto, con
memoria 27.04.2020 e 09.11.2018, la carenza di interesse degli
appellanti rispetto a una violazione riguardante sì la costruzione del
proprio vicino, il signor -OMISSIS-, ma nei confronti di una costruzione
terza, quella dei signori -OMISSIS-, non rispetto all’immobile dei fratelli
-OMISSIS- (qui appellanti) e la non configurabilità di una giurisdizione di
diritto oggettivo.
Sul punto si è già anticipato come il Tar si sia pronunciato circa la
carenza di interesse personale e concreto dei ricorrenti a sollevare il
vizio di mancato rispetto della prescritta distanza fra costruzioni, nel
capo in cui ha erroneamente ritenuto che detta censura fosse stata dedotta
con il primo motivo del ricorso introduttivo (laddove invece è stata dedotta
con motivi aggiunti che il Tar ha dichiarato inammissibili per tardività,
con pronuncia riformata sopra da questo CGARS).
38.1. Nel presente grado di giudizio l’appellato e l’Amministrazione
resistente hanno dedotto, con memoria 27.04.2020 e 09.11.2018, la
carenza di interesse degli appellanti rispetto a una violazione riguardante
sì la costruzione del proprio vicino, il signor -OMISSIS-, ma nei confronti
di una costruzione terza, quella dei signori -OMISSIS-, non rispetto
all’immobile dei fratelli -OMISSIS- (qui appellanti).
Questi ultimi si sono difesi richiamando la giurisprudenza (su cui infra)
che ritiene sufficiente la vicinitas al fine di riscontrare legittimazione
ad agire e interesse a ricorrere avverso i titoli edilizi, senza addurre
specifici pregiudizi allo stesso derivanti dalla violazione in esame.
39. Posto quindi che è rimasta da valutare la censura della violazione della
distanza fra la costruzione di proprietà del signor -OMISSIS- e la
costruzione di proprietà dei signor -OMISSIS- e che gli esiti della
verificazione depongono nel senso dell’accertamento della medesima
violazione, risulta dirimente stabilire se il requisito della vicinitas è di
per sé idoneo a supportare, oltre alla condizione della legittimazione ad
agire, la condizione dell’interesse a ricorrere di parte appellante, atteso
che detta parte non ha supportato la propria domanda di tutela di
un’ulteriore e più specifico interesse.
In punto di legittimazione a ricorrere infatti il criterio della vicinitas,
quale stabile collegamento tra il ricorrente e il contesto territoriale nel
quale si trova l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato, è
generalmente ritenuto idoneo a definire la sussistenza di una posizione
giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come
interesse legittimo (Cons. St., sez. V, 16.06.2021 n. 4650 e sez. IV, 15.12.2017 -OMISSIS-908).
La questione che si pone riguarda quindi essenzialmente l’interesse a
ricorrere.
39.1. Viene in rilievo il tema del criterio giuridicamente rilevante per
verificare la sussistenza di detta ultima condizione dell’azione.
39.2. Secondo l’orientamento maggioritario (ma non univoco) il criterio
della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in
prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell'intervento o abbiano
uno stabile e significativo collegamento con esso, è di per sé idoneo a
legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbendo in sé anche
il profilo dell’interesse all’impugnazione.
L’orientamento si è formato nel vigore dell’art. 10 della legge n. 765 del
1967 (che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il
rilascio della concessione edilizia’), norma non riprodotta nel d.P.R. n.
380 del 2001.
Da tempo risalente l’Adunanza plenaria ha attribuito decisivo rilievo, ai
fini dell’inquadramento del “sistema della legittimazione a ricorrere nel
processo amministrativo fondato sull’esistenza di un interesse attuale,
personale e diretto sia pure inteso in una considerazione adeguata alle
esigenze dei tempi e della materia”, al criterio della vicinitas. E ciò al
precipuo scopo di evitare che l’utilizzo del lemma “chiunque” potesse
consentire di ammettere un’actio popularis, posto l’“indirizzo assolutamente
fermo nel negare che la disposizione in questione abbia inteso introdurre
un’azione popolare” (Ad. plen. 07.11.1977 n. 23).
Successivamente detto orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza,
pur non essendo stata riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001 la disposizione
contenuta nell’art. 10 della legge n. 765 del 1967, sulla base della quale
il medesimo si è formato.
In base ad esso, in materia edilizia, la vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio, è
“circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della
legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al
ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per
effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo” (fra le
molte Cons. St., sez. IV, 08.06.2021 n. 4387, sez. VI, 28.04.2021 n.
3430, sez. II, 10.03.2021, n. 2056, sez. VI, 06.03.2018 n. 1448, 23.05.2019 n. 3386 e sez. IV 17.06.2014 n. 3094 V sez., n. 6082/2013
Sez. V, 10.07.1981, n. 360; Sez. V, 17.04.1973, n. 399).
In tale prospettiva al criterio della vicinitas è riconosciuta non solo
l’idoneità a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma anche
l’attitudine a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione,
qualora ad impugnare sia il proprietario confinante. E detta considerazione
assume un rilievo generale nel settore, valevole non solo quando si impugna
un titolo edilizio, allorquando sussiste “indubbiamente una lesione della
propria sfera giuridica –e non occorrendo la prova di uno specifico
pregiudizio- quando si deduca che la violazione edilizia sia idonea a
procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente sulla qualità della
vita o sulla salute”, ma anche quando si impugna un atto che pianifica
diversamente un terreno vicino, o che localizza un’opera pubblica o una
discarica di rifiuti o una stazione radio base o un atto che consente
l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente e
comunque “qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio” (Cons.
St. sez. IV, 24.12.2020 n. 8313).
Con specifico riferimento agli abusi la giurisprudenza ritiene che “il
pregiudizio del confinante [sia] in re ipsa, dato che ogni edificazione
abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del
territorio” (Cons. St., sez. VI, 29.03.2019 n. 2100).
Ne deriva che il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti
vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione
dell'intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso,
tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative, rappresenta
quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere,
“mentre pretendere la dimostrazione di uno specifico pregiudizio
costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto
costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive”
(Cons. St., sez. II, 10.03.2021 n. 2056).
A detto orientamento ha aderito la Corte di cassazione, secondo la quale il
requisito della vicinitas è sufficiente al fine di radicare la
legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di
un’opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità
della stessa, né ricercare un soggetto collettivo che assuma la titolarità
della corrispondente situazione giuridica, non potendosi pretendere altresì
la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute ai fini
della legittimazione e dell’interesse a ricorrere (ss. uu., ordinanze 30.06.2021 n. 18493 e 27.08.2019 n. 21740).
39.3. Nel corso del tempo si è andato però affermando anche un diverso
approdo giurisprudenziale, che ha poi dato vita ad un’ulteriore evoluzione
del medesimo (su cui infra), che si è affermata di recente.
In base a detto orientamento la vicinitas è idonea a radicare la
legittimazione ad agire ma non è di per sé elemento sufficiente a fondare
l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto
contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente
sulla proprietà del ricorrente (Cons. Stato, sez. V, 16.06.2021 n. 4650,
sez. II, 01.06.2020 n. 3440, sez. IV, 13.03.2019 n. 1656, sez. IV, 22.06.2018 n. 3843, sez. IV, 15.12.2017 -OMISSIS-908, sez. VI, 18.10.2017 n. 4830 e sez. IV 19.11.2015, -OMISSIS-278). Ciò in
quanto la vicinitas, nell’identificare una posizione qualificata idonea a
rappresentare “la legittimazione a impugnare” il titolo edilizio, non
assorbe ogni ulteriore valutazione relativa all’interesse a ricorrere, come
in precedenza ritenuto (Cons. St., sez. II, 08.06.2021 n. 4375), dovendo
sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto
dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento
del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute e
all'ambiente, o alla proprietà. Deve infatti essere sempre fornita “la prova
del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere
patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento
dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione dell'intervento
edificatorio” (Cons. St., sez. IV, 15.12.2017 -OMISSIS-908).
Piuttosto il ricorrente sarebbe tenuto a fornire la prova concreta del
vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica,
quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del
diritto alla salute ed all'ambiente. “Ciò in quanto il criterio della vicinitas, se è idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica
qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse
legittimo, tuttavia non esaurisce le condizioni necessarie cui è subordinata
la legittimazione al ricorso, dovendosi da parte di chi ricorre fornire
invece la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di
carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di
peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione
dell'intervento edificatorio” (Cons. St., sez. II, 08.06.2021 n. 4375 e
sez. IV, 15.12.2017 -OMISSIS-908). Sarebbe quindi necessario che il
ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus specifico inferto dagli
atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del
valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed
all'ambiente” (Cons. St., sez. II, 01.06.2020 n. 3440 e sez. IV, 13.03.2019 n. 1656, nonché 22.06.2018 n. 3843, 15.12.2017 -OMISSIS-908 e
sez. VI, 18.10.2017 n. 4830).
A ciò consegue che la rilevanza del pregiudizio allegato sarà oggetto di
valutazione sulla sussistenza della condizione dell’interesse a ricorrere.
In tale prospettiva, ad esempio, si è ritenuto che la riduzione del panorama
non integri il requisito, a meno che, come ritenuto da Cons. St., sez. IV 27.01.2015 n. 362, la visuale relativa non assuma un valore economico, che
però va dimostrato (Cons. St., sez. IV, 14.06.2021 n. 4557, sez. VI 18.10.2017 n. 4830 e IV
02.02.2016 n. 383).
39.4. Come anticipato, tale secondo orientamento è stato ulteriormente
declinato, in alcune pronunce (specie recenti), nel senso che il concetto di
vicinitas, anche in termini logici, è una sintesi verbale, una formula
riassuntiva che sta a indicare una situazione nella quale, nella normalità
dei casi, il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune
apprezzamento sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni. Costituisce
una situazione che può comportare, nel concreto rispetto al tipo di impianto
di cui si parla, “un pregiudizio almeno presumibile al vicino”. Si
tratta di “una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso
che ove vi sia una specifica contestazione della controparte, l’allegazione
non basta, bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero”. L’onere della
relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte
interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà
essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse (Cons. St., sez. V,
21.04.2021 n. 3247 e sez. IV 14.06.2021 n. 4557).
40. Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto,
il Collegio ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.,
deferire l’affare all’Adunanza plenaria.
Ciò in quanto, essendo rimasta da valutare, in punto di domanda demolitoria
(essendo stata anche formulata domanda risarcitoria), la censura della
violazione della distanza fra la costruzione di proprietà del signor
-OMISSIS- e la costruzione di proprietà dei signor -OMISSIS- ed essendo che,
sulla base della verificazione da ultimo disposta, si configurano i
presupposti per ritenere sussistente la violazione, risulta dirimente sapere
se il requisito della vicinitas è di per sé idoneo a supportare l’interesse
a ricorrere di parte appellante (oltre che la sua indiscussa, legittimazione
ad agire), atteso che detta parte non ha allegato alla propria domanda di
tutela un ulteriore e più specifico interesse.
40.1. Prima di riferire in ordine agli argomenti a favore delle varie tesi,
si premette che il combinato disposto degli artt. 24, 103, 111 e 113 Cost.
configura la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi e dei diritti
soggettivi lesi dall’azione amministrativa come una giurisdizione di tipo
soggettivo e non oggettivo, ad iniziativa di parte, sulla base di una
puntuale situazione soggettiva lesa, cui consegue un interesse ad agire
concreto e attuale, di modo che l’azione giudiziale possa far conseguire
alla parte privata un risultato utile in termini di effettivo vantaggio
conseguente dalla vittoria in giudizio (Corte cost. n. 271 del 2019).
In coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di
parte, il controllo della legittimazione al ricorso e dell’interesse a
ricorrere assume carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della
domanda, così come disposto dall’art. 76, comma 4, c.p.a. e dell’art. 276,
comma 2, c.p.c. (Ad. plen. 07.04.2011 n. 4 e 27.04.2015 -OMISSIS-).
Nel processo amministrativo impugnatorio la legittimazione ad agire spetta
di regola al soggetto che è titolare della situazione giuridica sostanziale,
in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo (così anche la
recente Adunanza plenaria con sentenza 20.02.2020 n. 6, in merito alla
legittimazione delle associazioni).
L’interesse al ricorso consiste invece nel vantaggio pratico e concreto che
può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (Cons. Stato,
sez. IV, 01.06.2018, n. 3321; 19.07.2017, n. 3563), cioè nell’utilità
o nel vantaggio, materiale o morale, ottenibile dal processo amministrativo
al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Nel processo amministrativo è infatti applicabile, in virtù della clausola
di rinvio esterno recata dall’art. 39, comma 1, c.p.a., l’art. 100 c.p.c.
secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è
necessario avervi interesse” (nel codice del processo amministrativo l’art.
34, comma 3, fa espressamente riferimento al concetto di utilità).
Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale, l’interesse al ricorso
deve essere personale, concreto e attuale. “Nel processo amministrativo
l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi
requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c.,
vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della
sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe
derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”,
cui segue il richiamo di Cassazione civile, sez. un., 02.11.2007, n.
23031, “secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto
personale e diretto, ma anche attuale e concreto -e non ipotetico o
virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio” (Ad. plen. 26.04.2018 n. 4).
I connotati della personalità, attualità e concretezza debbono
caratterizzare l’interesse a ricorrere in entrambi i profili nei quali si
articola, quello della lesione e quello dell’utilità che può derivare
dall’esercizio dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Così descritte le due condizioni dell’azione, si rileva che la
legittimazione collega la posizione di chi presenta ricorso all’ordinamento
giuridico mentre l’interesse a ricorrere sposta l’attenzione sul rapporto
fra l’azione giudiziaria esercitata e lo scopo perseguito in concreto dal
soggetto agente, laddove per vantaggio concreto deve intendersi un risultato
che, per quanto possa realizzarsi anche solo sul piano degli effetti
giuridici, sia percepibile in modo tangibile dal ricorrente.
Nel suddetto quadro sistematico si è inserita la giurisprudenza della Corte
di giustizia, che, seppur in relazione al solo (ma rilevante) settore degli
appalti pubblici, ha introdotto, per quanto di interesse in questa sede e
con specifico riferimento ai rapporti fra ricorso principale e ricorso
incidentale reciprocamente escludenti, due prospettive interpretative che
hanno inciso sulla nozione di legittimazione a ricorrere e (soprattutto) di
interesse a ricorrere.
In una prima prospettiva la Corte di giustizia ritiene sufficiente, quale
interesse al ricorso, un interesse ipoteticamente strumentale, dato che
nell’evenienza fattuale del caso Lombardi (C. giust., sez. X, 05.09.2019 C-333/18).
In una seconda prospettiva, l’impostazione della Corte di giustizia ha
sovrapposto l’istituto dell’interesse al ricorso rispetto a quello della
legittimazione ad agire allorquando e, affermato il primato del diritto
eurounitario in ordine al diritto a un ricorso effettivo rispetto alle
regole nazionali relative all’ordine di esame delle questioni (di cui alla
richiamata Ad. plen. n. 4 del 2011), ha fatto prevalere la condizione
dell’interesse al ricorso su quella della legittimazione ad agire, che è
rimasta quindi assorbita dalla prima.
40.2. Detto ciò, si esaminano dapprima gli aspetti positivi e negativi degli
orientamenti giurisprudenziali sopra esaminati, per poi prendere posizione.
Con riferimento all’orientamento in base al quale la vicinitas è circostanza
sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, si rileva che:
- rappresenta l’orientamento maggioritario (e garantisce quindi stabilità al
sistema);
- àncora la sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione a un unico
presupposto, la vicinitas, così semplificando il canone di accesso alla
giustizia, anche in ragione del fatto che il criterio riceve oggi
un’applicazione uniforme, che garantisce certezza in ordine alla fruibilità
del servizio giustizia nel settore;
- la circostanza che entrambe le condizioni dell’azione siano attestate da
un unico presupposto riflette il fatto che la situazione giuridica
soggettiva è collegata (in punto di legittimazione) a un bene immobile che è
per natura localizzato in modo stabile in una certa zona e che l’utilità
pratica anelata con il ricorso, collegandosi a detto bene, è circostanziata
dal punto di vista spaziale in ragione proprio di quella localizzazione (in
punto di interesse);
- nella maggioranza dei casi il criterio della vicinitas è idoneo a rendere
evidente il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato senza bisogno di
speciali dimostrazioni, rendendo così giustiziabili tali casi senza
richiedere un sforzo aggravato ai fruitori del servizio giustizia;
- può essere apprezzato in termini di coerenza con le sollecitazioni
provenienti dalla sopra illustrata impostazione eurounitaria sia in punto di
sovrapponibilità delle due condizioni dell’azione, la legittimazione a
ricorrere e l’interesse a ricorrere, sia in punto di interesse a ricorrere.
In senso negativo si osserva che:
- non sembra avere un sicuro fondamento normativo dopo l’abrogazione
dell’art. art. 10 della legge n. 765 del 1967 senza riproduzione nel d.P.R.
n. 380/2001;
- riconduce ad unità due istituti processuali aventi contenuto e ratio
differenti, come sopra esposto;
- assume in sé il rischio di rendere recessiva la condizione dell’interesse
a ricorrere, delineata nei caratteri tipici della concretezza, personalità e
attualità, rispetto alla legittimazione, atteso che il concetto di vicinitas
proviene da quest’ultima prospettiva (quella della legittimazione), rispetto
alla quale è autosufficiente (dal momento che il relativo interesse
legittimo è di norma connesso a un diritto autoindividuato), laddove il
collegamento stabile con il luogo non rende invece evidente sempre (ma solo
nella maggioranza dei casi) il ricorrere di un interesse concreto e
personale;
- in particolare, la circostanza che ogni edificazione “illegittima” sia
potenzialmente idonea a incidere sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato
sviluppo del territorio (Cons. St., sez. VI, 29.03.2019 n. 2100)
evidenzia aspetti di possibile contiguità rispetto alle prerogative proprie
di una giurisdizione di diritto oggettivo, tesa ad assicurare il legittimo
dispiegarsi del rapporto di diritto pubblico nell’interesse generale,
laddove la prospettiva soggettiva richiede la prova dello specifico
pregiudizio derivante dall’iniziativa edilizia nella sfera del ricorrente;
- né le “possibili esternalità negative” scaturenti da un intervento
edilizio (di cui alla richiamata pronuncia Cons. St., sez. II, 10.03.2021
n. 2056) rappresentano un elemento di per sé qualificante dell’interesse a
ricorrere, che deriva solo dall’allegazione della specifica esternalità
capace di pregiudicare il ricorrente.
In relazione all’orientamento in base al quale la vicinitas non è
sufficiente a radicare l’interesse a ricorrere, dovendo sempre il ricorrente
fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati
alla propria sfera giuridica, si osserva che esso consente di riconoscere la
diversità di presupposti e di ratio delle due condizioni dell’azione,
ancorando la legittimazione allo stabile collegamento e l’interesse
all’utilità concreta cui aspira il ricorrente, nel rispetto dei connotati di
concretezza e personalità che caratterizzano l’interesse a ricorrere.
Inoltre tale orientamento si fonda sulle condizioni dell’azione nel c.p.a. e
prescinde dall’art. 10 della legge n. 765 del 1967, che è stato abrogato
senza riproduzione nel d.P.R. n. 380/2001, sicché sembra avere un più solido
fondamento normativo rispetto all’altra tesi.
Nondimeno detto orientamento:
- rende l’interesse a ricorrere, che sconterebbe una declinazione ogni volta
diversa a seconda del caso concreto, maggiormente aleatorio, così
riverberandosi negativamente anche sulla certezza dei presupposti di accesso
alla tutela;
- potrebbe inutilmente aggravare l’accesso alla giustizia in tutti i casi in
cui la vicinitas rende di per sé evidente la sussistenza dell’interesse a
ricorrere.
Con riferimento alla seconda declinazione del secondo orientamento (solo
alcuni casi richiedono l’allegazione di un pregiudizio specifico, che si
aggiunga al requisito della vicinitas) si rileva che:
- pare cogliere con maggiore precisione le varie casistiche di accesso alla
tutela giurisdizionale nel settore di riferimento distinguendo la maggior
parte delle cause, nelle quali la vicinitas è indice di un interesse
concreto, dalle rimanenti domande di tutela, rispetto alle quali l’anelata
utilità non pare ancorata in modo evidente allo stabile collegamento con il
luogo dell’iniziativa edilizia;
- lascia l’accertamento di una condizione dell’azione (rilevabile d’ufficio)
alla dinamica fra le parti che caratterizza le presunzioni semplici.
41. Così illustrati per sommi capi gli orientamenti che si confrontano sulla
questione in esame, questo CGARS ritiene di aderire seppur con una
precisazione di chiusura, al primo orientamento, in quanto si pone in linea
di continuità con la condizione dell’azione costituita dall’interesse a
ricorrere, così come si è evoluta nell’ambito del processo amministrativo,
oltre a costituire, per i motivi già detti, un viatico sicuro per l’accesso
alla tutela giurisdizionale.
E’ utile, per giustificare detta posizione, riferirsi alla sopra illustrata
nozione di interesse a ricorrere quale interesse concreto, attuale e
personale a conseguire un’utilità dall’iniziativa giurisdizionale.
Detta utilità non può che misurarsi sulla situazione giuridica soggettiva
lesa.
Nel caso di specie detta situazione, da qualificare in termini di interesse
legittimo (dal momento che l’annullamento della concessione edilizia chiama
in causa un potere pubblico), si innesta su quello stabile collegamento con
il luogo dell’intervento edilizio che generalmente è assicurato dalla
titolarità di un diritto reale, specie di proprietà, su un immobile sito
nelle vicinanze.
Se l’interesse legittimo si impernia sulla situazione giuridica di base,
esso riflette nel contempo il rapporto di diritto pubblico che si stabilisce
con l’Amministrazione.
Il diritto di proprietà ne costituisce il presupposto ma l’interesse
legittimo, chiamando in causa il rapporto con il potere pubblico, contiene
in sé ulteriori pretese, che non si esauriscono nelle prerogative del
diritto domenicale.
Il proprietario di un immobile vanta infatti una posizione qualificata in
quanto titolare del diritto di proprietà (che quindi è legittimato a
tutelare) ma anche in quanto titolare di un interesse legittimo che da quel
diritto consegue (a determinate condizioni, nel caso di specie enucleate
sulla base della nozione di vicinitas) e che lo legittima a far valere
ulteriori prerogative, collegate all’uso (legittimo) del potere pubblico di
governo del territorio. Che, altrimenti, verrebbe meno la stessa nozione di
interesse legittimo, così “schiacciando” la posizione del privato nella sola
titolarità del diritto reale.
Quanto sopra si apprezza rispetto alla regola sulle distanze fra
costruzioni, che viene in evidenza nella presente controversia, distinguendo
le distanze legali previste dal regolamento edilizio a fini pubblicistici da
quelle previste dal codice civile a fini privatistici.
La ratio sottesa alla vigente normativa codicistica sull'apertura e la
tutela delle vedute è mutuata dal codice civile del 1865, che ha
predeterminato un contemperamento legale tra gli interessi confliggenti dei
proprietari di fondi contigui, nel quadro di un armonico assetto dei
rapporti di vicinato.
Il legislatore ha tenuto presente che il conflitto si pone essenzialmente
tra due situazione giuridiche soggettive determinate, facenti capo ad
altrettanti soggetti di diritto, l'interesse del proprietario del muro di
ricevere luce, aria e amenità all'interno della sua costruzione, anche
mediante la possibilità di spaziare con lo sguardo al di fuori di questa, e
l'interesse del vicino di impedire che l'esercizio delle facoltà altrui
incida sull’esclusività del suo dominio cagionando la lesione o la messa in
pericolo della sua sfera di sicurezza e riservatezza.
La normativa compone proprio il contrasto immanente alle reciproche
interferenze che derivano dall'uso normale di beni immobili contigui
appartenenti a soggetti determinati, conformando il diritto di proprietà in
modo da tutelare gli specifici interessi contrapposti.
Le distanze fissate dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 sono invece
coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la
tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla
nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina
predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
La funzione della norma è infatti quella di assicurare che fra edifici
frontistanti non si creino intercapedini dannose per la salubrità, tali da
non permettere un adeguato afflusso di aria e di luce, vale a dire che la
distanza minima fissata dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 di dieci metri
dalle pareti finestrate è volta alla salvaguardia delle imprescindibili
esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra
edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad
aerazione luminosità ed altro, e trattasi di una norma che in ragione delle
prevalenti esigenze di interesse pubblico ad essa sottese ha carattere
cogente e tassativo, prevalendo sulle disposizioni regolamentari degli enti
locali che dispongano in maniera riduttiva (Cons. St., sez. IV, 04.03.2021, n. 1841).
Il titolare del diritto reale, quindi, può far valere le prerogative che il
codice civile riconosce al titolare ma è nel contempo titolare
dell’interesse legittimo a che il potere pubblico del governo del territorio
si esplichi nel rispetto della disciplina di settore.
L’interesse a ricorrere, e l’utilità che ne costituisce il portato, risente
della diversa posizione del privato nell’ambito del rapporto di diritto
pubblico, rispetto alla posizione del medesimo nel confronto con il vicino,
nella relazione che tipicamente si instaura fra due proprietari di fondi
finitimi.
Quell’utilità si apprezza rispetto alla specificità degli interessi chiamati
in causa dalla domanda giudiziale e quindi, nel caso di specie, rispetto
alla nozione di governo del territorio, che possiede una dimensione non
parcellizzata. La prospettiva verso cui si dispiega non è infatti quella del
rapporto fra due soggetti determinati ma quella più generale dell’assetto di
una determinata area, che, per natura, non ha riguardo a specifici rapporti
fra interessi particolari e soggetti che ne sono portatore ma all’assetto
complessivo di una porzione di territorio. Che, anzi, tale connotato, cioè
la localizzazione del medesimo in un’area che non può riguardare in modo
parcellizzato due soggetti, costituisce l’aspetto peculiare di detto
interesse pubblico.
L’utilità perseguita con la domanda di annullamento di un titolo edilizio
quindi non si riduce a quanto ottenibile dal vicino a vantaggio del diritto
domenicale in quanto tale ma chiama in causa il vantaggio personale
ottenibile da un corretto governo del territorio.
In tale prospettiva la circostanza che la regola in tesi violata (che
costituisce la ragione della domanda di tutela) riguardi una parte di
immobile del vicino che non si interfaccia con la costruzione del
ricorrente, non appare dirimente, se è apprezzabile l’interesse a conseguire
l’utilità (personale) derivante da un corretto governo del territorio, nei
limiti in cui si espande la vicinitas.
Il requisito della vicinitas infatti circoscrive e differenzia gli interessi
qualificati in quanto facenti parte di una comunità identificata in base ad
un prevalente criterio territoriale, rispetto ai quali si misura l’attività
conformativa dell’Amministrazione, delimitando al contempo lo specifico
ambito geografico in cui quelle posizioni si realizzano e possono aspirare a
essere tutelate.
Nella zona rispetto alla quale sussiste uno stabile collegamento nel senso
sopra delineato, pertanto, ogni edificazione “illegittima” è potenzialmente
idonea a incidere sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del
territorio (Cons. St., sez. VI, 29.03.2019 n. 2100) e ciò non in quanto
la materia sia sottoposta a una giurisdizione di diritto oggettivo, ma in
quanto l’utilità perseguita non è quella derivante dal diritto di proprietà
ma quella che scaturisce dall’interesse legittimo ad un corretto governo del
territorio.
Ne deriva che nella maggior parte dei casi alla vicinitas consegue
l’evidenza non solo della legittimazione a ricorrere ma anche
dell’interesse.
41.1. Questo CGARS non può peraltro negare in via generale (e preventiva)
che non possano ricorrere casi controversi rispetto ai quali la nozione di
vicinitas non sia idonea a evidenziare di per sé la sussistenza
dell’interesse a ricorrere. Sono i casi in cui le eccezioni di parte e il
rilievo d’ufficio ex art. 73 c.p.a. possono far risaltare la mancata
evidenza dell’interesse a ricorrere sulla base della sola vicinitas, così
attualizzando l’onere del ricorrente di indicare la sussistenza dei
presupposti dell’interesse a ricorrere, pena l’inammissibilità della domanda
di tutela.
In riferimento a questi casi si ritiene di richiamare l’evoluzione di
recente formatosi quale diramazione del secondo orientamento sopra
richiamato, che richiede che (solo in tali casi) il ricorrente sia onerato
di dimostrare uno specifico pregiudizio, che non risulta evidente sulla base
della sola vicinitas.
Rispetto a tale evenienza si formulano due considerazioni, l’una tesa a
restringerne l’ambito di rilevanza e l’altra volta a individuarne le
modalità processuali di gestione.
Quanto al prima aspetto, si ritiene che detta evenienza, cioè il verificarsi
di casi nei quali la sussistenza della vicinitas non evidenzia la
sussistenza dell’interesse a ricorrere, con conseguente attualizzazione
dell’onere del ricorrente di fornirne la dimostrazione, non si configuri
tutte le volte in cui, indipendentemente dalla violazione commessa, è
apprezzabile il risultato ottenibile a seguito dell’accertamento della
violazione.
In tale prospettiva il criterio della vicinitas non si apprezza solo al fine
di individuare la prossimità della posizione del ricorrente rispetto al
luogo in cui si è verificata la (asserita) violazione, quindi nella
prospettiva della lesione subita, così andando a rinvenire, come illustrato
con riferimento al secondo orientamento richiamato, il vulnus specifico
inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica del ricorrente, quali il
deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto
alla salute e all'ambiente.
Piuttosto merita di essere valorizzato il profilo dell’interesse a ricorrere
riguardante l’utilità conseguibile con l’esercizio dell’azione, così
apprezzando anche il luogo sul quale si riverberano gli effetti
dell’accertamento di quella violazione.
In tale prospettiva, nei casi in cui la regola violata non attiene
specificamente ai rapporti fra il ricorrente e il vicino confinante, non si
pone un problema di carenza di interesse a ricorrere tutte le volta in cui
il risultato concreto cui aspira l’iniziativa giudiziaria è comunque
vantaggioso per il ricorrente.
E’ il caso, ad esempio, in cui la regola violata, indipendentemente dal
luogo nel quale si è concretizzata, comporti la demolizione dell’intera
opera costruita dal vicino.
Nondimeno, nelle (rare e residuali) occasioni in cui la vicinitas non
evidenzia l’interesse a ricorrere, onerando l’interessato dell’allegazione
di un (ulteriore) pregiudizio specifico, si ritiene che la dinamica
processuale che ne deriva non possa essere risolta sulla base dell’istituto
della presunzione.
Le presunzioni costituiscono prove indiziarie o critiche del fatto, agendo,
in particolare per quanto attiene alle presunzioni semplici, sulla regola di
cui all’art. 2697 c.c. attraverso l’inversione dell’onere della prova. Esse
costituiscono uno dei meccanismi con cui il legislatore ripartisce il
rischio della mancata prova. In tal senso esse scontano, per quanto di
rilievo in questa sede, il particolare atteggiarsi dell’interesse a
ricorrere.
Questo, appartenendo alla categoria delle condizioni dell’azione, oltre a
dover sussistere a far tempo dalla proposizione della domanda e fino alla
decisione, ricorre, nella normalità dei casi, se viene esibito il
pregiudizio subito e l’utilità anelata, non ponendosi un problema di prova
(nel cui ambito agiscono le presunzioni) ma di mera allegazione.
Inoltre è onere del ricorrente rappresentare la sussistenza di detta
condizione e subire le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere, non
potendosi ammettere una diversa ripartizione del rischio della mancata
prova.
Piuttosto, sono i già richiamati istituti processuali delle eccezioni di
parte e del rilievo d’ufficio ex art. 73 c.p.a. ad attualizzare l’onere del
ricorrente di indicare la sussistenza degli specifici presupposti
dell’interesse a ricorrere, pena l’inammissibilità della domanda di tutela.
42. Detto ciò sull’inquadramento della tematica giuridica, nel caso di
specie la risoluzione della questione della sufficienza o meno della
vicinitas (intesa come criterio presuntivo della sussistenza sia della
legittimazione che dell’interesse a ricorrere), al fine attestare
l’interesse a ricorrere è dirimente, atteso che gli appellanti, in seguito
alla sollevazione da parte di controparte del tema della mancanza di
interesse di questi rispetto a una violazione che non vede coinvolto
l’immobile di loro proprietà, non hanno evidenziato uno specifico interesse,
in termini di pregiudizio o di utilità, limitandosi a richiamare
l’orientamento giurisprudenziale che ritiene a tal fine sufficiente la
vicinitas.
43. Si sottopongono, pertanto, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., le
seguenti questioni:
a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra
illustrato, è di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione di
singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse
all’impugnazione;
b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione
della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il
ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia
(posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;
c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della
questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo
nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus
patito dal ricorrente;
d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai
punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in
cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla
legge urbanistica:
- se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra
l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della
distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate
con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le
distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio
visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della
vicinitas;
- se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in
termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal
luogo interessato dalla violazione dedotta.
44. In conclusione, l’appello deve essere accolto in parte quanto alle
questioni di rito, mentre nel merito deve essere in parte respinto, con
conseguente conferma della sentenza di primo grado, e per la restante parte
va rimesso all’Adunanza plenaria, come sopra indicato.
Atteso che sarà l’Adunanza plenaria a valutare se limitarsi a enunciare il
principio di diritto e restituire gli atti a questo CGARS o se decidere
l’intera controversia, ogni ulteriore determinazione, anche relativa alla
domanda risarcitoria, così come ogni statuizione sulle spese, viene rinviata
al definitivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede
giurisdizionale,
parzialmente e non definitivamente pronunciando sull'appello, come in
epigrafe proposto, lo accoglie in parte in rito mentre nel merito in parte
lo respinge e in parte ne
dispone il deferimento all'Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99 c.p.a., in relazione alle seguenti
questioni di diritto:
a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario
sopra illustrato, è di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione
di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse
all’impugnazione;
b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola
condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario
che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa
edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli
provoca;
c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento
della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo
nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus
patito dal ricorrente;
d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di
cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle
cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni)
imposte dalla legge urbanistica:
- se il solo interesse deducibile sia la lesione
della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la
lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione,
non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se
rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma
comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base
del requisito della vicinitas;
- se, a tal fine, rilevi la conseguenza
evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera
del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione
dedotta.
Ogni ulteriore determinazione, compresa quella sulle spese, è rinviata al
definitivo
(CGARS,
sentenza non definitiva 27.07.2021 n. 759 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
criterio giuridicamente rilevante per verificare la sussistenza non solo
della legittimazione ma anche dell’interesse a ricorrere.
Il criterio giuridicamente rilevante per verificare la
sussistenza non solo della legittimazione, ma anche dell’interesse a
ricorrere, è dato dallo ‘stabile collegamento’ tra il ricorrente e il
contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal
provvedimento impugnato;
- tale principio ha un rilievo generale, non solo quando si
impugna un titolo edilizio, sussistendo
indubbiamente una lesione della propria sfera giuridica –e non occorrendo
la prova di uno specifico pregiudizio- quando si deduca che la violazione
edilizia sia idonea a procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente
sulla qualità della vita o sulla salute, ma anche quando si impugna un atto che
pianifica diversamente un terreno vicino, o che localizza un’opera pubblica
o una discarica di rifiuti o una stazione radio base o un atto che consente
l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente e comunque qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio;
-
va ribadita la perdurante attualità del consolidato orientamento di questo
Consiglio, formatosi nel vigore dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967
(che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il
rilascio della concessione edilizia’), che –dapprima con la sentenza leading case della Sez. V,
09.06.1970, n. 523, e poi con sentenze
conformi- ha attribuito decisivo rilievo proprio al
criterio della vicinitas, per evitare che si giunga ad ammettere un’actio
popularis, che il legislatore non ha introdotto in materia di tutela del
territorio.
...
Il Collegio non ignora che in altro e più recente precedente, questo
Consiglio, dopo una ricostruzione
altrettanto ampia, ha rilevato come “Il concetto di vicinitas, anche in
termini logici, è infatti una sintesi verbale, una formula riassuntiva che
sta a indicare una situazione nella quale, nella normalità dei casi, il
pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune apprezzamento
sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni”.
Si tratterebbe, insomma, di “una situazione che di regola –ma non per
assoluta necessità- può comportare, nel concreto rispetto al tipo di
impianto di cui si parla, un pregiudizio almeno presumibile al vicino.
Si
tratta di una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso che
ove vi sia una specifica contestazione della controparte, l’allegazione non
basta, bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero. L’onere della
relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte
interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà
essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse”.
---------------
22.1. Le censure in esame sono infondate.
22.2. Il Collegio condivide quell’orientamento recentemente espresso dalla
Sezione (sez. IV, 24.12.2020, n. 8313), pertinente al caso in esame,
secondo cui “il criterio giuridicamente rilevante per verificare la
sussistenza non solo della legittimazione, ma anche dell’interesse a
ricorrere, è dato dallo ‘stabile collegamento’ tra il ricorrente e il
contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal
provvedimento impugnato;
-
tale principio ha un rilievo generale, non solo quando si impugna un titolo
edilizio (Cons. Stato, Sez. IV, 18.11.2014, n. 5662; Sez. IV, 18.04.2014, n. 1995; Sez. V, 21.05.2013, n. 2757), sussistendo
indubbiamente una lesione della propria sfera giuridica –e non occorrendo
la prova di uno specifico pregiudizio- quando si deduca che la violazione
edilizia sia idonea a procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente
sulla qualità della vita o sulla salute (Cons. Stato, Sez. IV, 16.03.2020, n. 1882; Sez. VI, 10.12.2019, n. 8402; Sez. VI, 23.05.2019,
n. 3386; Sez. IV, 24.04.2019, n. 2654; Sez. IV, 26.07.2018, n. 4583; Sez. VI, 21.03.2016, n. 1156; Sez. III, 17.11.2015, n. 5257; Sez.
IV, 13.03.2014, n. 1217), ma anche quando si impugna un atto che
pianifica diversamente un terreno vicino (Cons. Stato, Sez. IV, 13.12.2019, n. 8492), o che localizza un’opera pubblica (Cons. Stato, Sez. IV,
09.11.2020, n. 6895) o una discarica di rifiuti (Cons. Stato, Sez. IV, 29.11.2018, n. 6777; Sez. V, 22.01.2015, n. 263) o una stazione
radio base (Sez. IV, 05.11.2019, n. 7552) o un atto che consente
l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente (Cons,
Stato, Sez. IV, 09.11.2020, n. 6895; Sez. IV, 19.11.2015, n.
5278) e comunque qualsiasi atto che consenta la trasformazione del
territorio (Sez. V, 14.02.2011, n. 946);
-
va ribadita la perdurante attualità del consolidato orientamento di questo
Consiglio, formatosi nel vigore dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967
(che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il
rilascio della concessione edilizia’), che –dapprima con la sentenza leading case della Sez. V,
09.06.1970, n. 523, e poi con sentenze
conformi (Ad. Plen., 07.11.1977, n. 23; Sez. V, 10.07.1981, n. 360; Sez. V, 17.04.1973, n. 399)- ha attribuito decisivo rilievo proprio al
criterio della vicinitas, per evitare che si giunga ad ammettere un’actio
popularis, che il legislatore non ha introdotto in materia di tutela del
territorio”.
22.3. Il Collegio non ignora che in altro e più recente precedente, questo
Consiglio, sez. V, 21.04.2021, n. 3247 del 2021, dopo una ricostruzione
altrettanto ampia, ha rilevato come “Il concetto di vicinitas, anche in
termini logici, è infatti una sintesi verbale, una formula riassuntiva che
sta a indicare una situazione nella quale, nella normalità dei casi, il
pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune apprezzamento
sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni”.
Si tratterebbe, insomma, di “una situazione che di regola –ma non per
assoluta necessità- può comportare, nel concreto rispetto al tipo di
impianto di cui si parla, un pregiudizio almeno presumibile al vicino. Si
tratta di una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso che
ove vi sia una specifica contestazione della controparte, l’allegazione non
basta, bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero. L’onere della
relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte
interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà
essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse”.
22.3.1. Nel caso in esame, nondimeno, le deduzioni articolate dall’appellata
società sono sufficienti a dimostrare, a fronte delle contestazioni
articolate dalle controparti, il pregiudizio adeguato a fondare l’interesse
a ricorrere, perché essa ha sostenuto che, in ragione della nuova fabbrica
che andrebbe a sorgere in esecuzione della s.c.i.a., verrebbe a realizzarsi
un edificio che sovrasterebbe il palazzo storico di cui è proprietaria,
privandolo di luce e della visibilità nel contesto territoriale del centro
storico, così da diminuirne il pregio e, in definitiva, il valore economico.
22.3.2. Dunque, anche a voler applicare i principi posti da questo ulteriore
precedente, il Collegio ritiene comunque sussistente l’interesse (e la
legittimazione) ad agire della società proprietaria dell’immobile ubicato
nelle immediate vicinanze dell’edificio denominato “ex cinema Edison” e,
pertanto, ritiene infondate le relative censure d’appello.
22.4. La seconda censura del primo motivo del primo appello e il terzo
motivo del terzo appello vanno pertanto respinti
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.07.2021 n. 5339 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione
di un titolo edilizio: i due orientamenti giurisprudenziali contrapposti
sulla sufficienza, o meno, della cd. "vicinitas".
La legittimazione ad agire costituisce una condizione
dell’azione diretta all’ottenimento di una “qualsiasi”
decisione di merito.
L’esistenza della condizione deve riscontrarsi “esclusivamente alla
stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo,
quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si
riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di
accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza”.
Con riguardo specifico alle controversie relative all’impugnazione di
un titolo edilizio, deve darsi atto di due orientamenti contrapposti.
Il primo e tradizionale orientamento, tutt’ora seguito, è
quello che ritiene la vicinitas, intesa quale stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato,
elemento sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse ad agire in
giudizio, senza che sia necessario, da parte del ricorrente, fornire la
prova di un pregiudizio concreto ed effettivo arrecato alla sua sfera
giuridica dal provvedimento impugnato.
Una recente sentenza di questo Consiglio ha
puntualizzato come “la giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della
vicinitas di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli
edilizi, assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse all’impugnazione,
qualora ad impugnare sia il proprietario confinante.
… deve aggiungersi che, nell’ambito degli abusi edilizi, la giurisprudenza
ritiene il pregiudizio del confinante in re ipsa, dato che ogni edificazione
abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del
territorio”, così ribadendo e confermando
l’orientamento tradizionale.
Il secondo e più recente orientamento, invece, ritiene
necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus
specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali
il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del
diritto alla salute ed all’ambiente”.
---------------
22. Prima di esaminare nel merito i menzionati motivi, occorre, tuttavia,
scrutinare le eccezioni di inammissibilità e irricevibilità formulate dal
Comune di Terni.
22.1. Nell’ordine di trattazione, il Collegio ritiene di procedere
dall’esame della eccezione di inammissibilità.
22.2. L’Amministrazione civica sostiene che gli appellanti non avrebbero
comprovato la propria legittimazione ad agire, per avere gli stessi omesso
di allegare un concreto pregiudizio derivante alla personale sfera
patrimoniale, distinta dalla mera vicinitas, essa s’appalesa
infondata. Il rilievo è stato formulato in primo grado e riproposto in
appello.
23. Il Collegio osserva che la legittimazione ad agire costituisce una
condizione dell’azione diretta all’ottenimento di una “qualsiasi”
decisione di merito.
23.1. L’esistenza della condizione deve riscontrarsi “esclusivamente alla
stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo,
quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si
riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di
accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza” (Cons. Stato,
Sez. VI, 27.07.2015, n. 3657).
23.2. Con riguardo specifico alle controversie relative all’impugnazione di
un titolo edilizio, deve darsi atto di due orientamenti contrapposti (v. Cons. Stato, Sez. IV, 27.03.2019, n. 2025).
23.4. Il primo e tradizionale orientamento, tutt’ora seguito, è
quello che ritiene la vicinitas, intesa quale stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato (cfr.
Cons. Stato, Sez. II, 30.09.2019, n. 6521), elemento sufficiente a radicare
la legittimazione e l’interesse ad agire in giudizio, senza che sia
necessario, da parte del ricorrente, fornire la prova di un pregiudizio
concreto ed effettivo arrecato alla sua sfera giuridica dal provvedimento
impugnato (Cons. Stato, Sez. II, 14.10.2019, n. 6938; Sez. IV, 24.04.2019,
n. 2645; sez. VI, 10.09.2018, n. 5307; Cons. Stato, Sez. IV, 20.08.2018, n.
4969; id., sez. IV, 26.07.2018, n. 4583).
Una recente sentenza di questo Consiglio (Sez. VI, 29.03.2019, n. 2100) ha
puntualizzato come “la giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della
vicinitas di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli
edilizi (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 04.05.2010 n. 2565), assorbendo in sé
anche il profilo dell’interesse all’impugnazione, qualora ad impugnare sia
il proprietario confinante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29.12.2010 n. 9537).
… deve aggiungersi che, nell’ambito degli abusi edilizi, la giurisprudenza
ritiene il pregiudizio del confinante in re ipsa, dato che ogni edificazione
abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del
territorio (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 11.06.2015, n. 2861; Cons. di
Stato, Sez. IV, 23.06.2015, n. 3180)”, così ribadendo e confermando
l’orientamento tradizionale.
23.5. Il secondo e più recente orientamento, invece, ritiene
necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus
specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali
il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del
diritto alla salute ed all’ambiente” (Cons. Stato, Sez. II, 01.06.2020,
n. 3440; Sez. IV, 13.03.2019 n. 1656; Sez. IV, 22.06.2018, n. 3843; Sez. IV,
15.12.2017 n. 5908; Sez. VI, 18.10.2017, n. 4830).
23.6. Sotto quest’ultimo profilo, va dato atto che gli appellanti hanno
lamentato in primo grado il pregiudizio ad essi derivante dalle
superfetazioni condonate (tra cui, la sopraelevazione dell’Albergo Li. di un
piano e di un ulteriore torrino scale e vano di accesso al piano di
copertura; un locale uso ristorante) che “incombono sull'edificio del
quale sono parte le unità residenziali dei ricorrenti”. In particolare,
essi hanno prospettato che “la sopraelevazione da un lato confina con lo
stabile al civico n. 44/a, di ...”, e che le superfetazioni condonate “si
interpongono tra gli affacci e terrazzi da/di detti appartamenti e le sponde
del lago, restringendo il cono visuale goduto dalle dette unità abitative”.
23.7. Tale circostanza non è stata contestata dalle controparti.
23.8. La fattispecie concreta all’esame del Collegio permette di prescindere
dal prendere posizione per uno o per l’altro orientamento, in quanto è
incontestato che l’abitazione degli appellanti è posta nelle vicinanze
dell’area dove dovrebbe realizzarsi la assentita ristrutturazione (i cui
lavori non sono ancora iniziati in attesa che venga definita l’intera
controversia: vedi istanza di prelievo datata 20.07.2020, versata agli atti
del fascicolo di appello n. 4825/2017) ed è parimenti comprovato che da essa
scaturirà una compromissione della veduta panoramica.
23.9. La circostanza che la compromissione della fruizione del panorama
–quale elemento di pregio del bene di cui gli appellati sono proprietari–
potrebbe avvenire anche solo in misura minima, parziale o marginale non
assume, invero, alcun rilievo per disconoscere la titolarità di un interesse
da difendere in giudizio e, dunque, la stessa legittimazione ad agire,
rilevando come unico valore la tutela del proprio bene, cui si correlano gli
interessi giuridici di protezione che l’ordinamento riconosce a prescindere
dalla consistenza materiale o economica dei medesimi.
23.10. Le considerazioni che precedono, in punto di fatto, fanno ragione
anche sulla sussistenza, in capo agli appellanti, dell’interesse ad agire,
compiutamente rappresentato dai ricorrenti in primo grado laddove è stato
evidenziato come, dal rilascio dei titoli edilizi reputati illegittimi,
sarebbe scaturita, in mancanza della proposizione dell’azione di
annullamento, la preclusione della vista panoramica.
23.11. Va soggiunto, infine, che l’interesse ad agire neppure potrebbe
essere revocato in dubbio dalla circostanza che le opere abusive, ritenute
pregiudizievoli, fossero preesistenti al condono edilizio, così che la
condizione dell’azione si sarebbe inverata in epoca precedente al rilascio
dei titoli edilizi oggi avverati.
Lo stato di abusività delle opere, se permette, infatti, al confinante di
sollecitare i poteri di controllo e repressivi contemplati dalla
legislazione di settore, non altrettanto consente di legittimarlo all’azione
di annullamento in difetto di un titolo da impugnare. Ragion per cui,
soltanto nel momento in cui l’amministrazione competente avrà adottato i
provvedimenti del caso (demolitori, di sanatoria, di condono, ecc…)
insorgerà l’interesse ad agire in capo ai rispettivi soggetti lesi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.07.2021 n. 5078 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Giova rammentare che la vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con l’immobile interessato dall'intervento edilizio
posto in contestazione, può costituire circostanza, in re ipsa, sufficiente
a comprovare la sussistenza di un interesse qualificato ad agire, senza che
sia necessario per il ricorrente allegare e provare di subire uno specifico
pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo
limitrofo.
Nella specie, tale rapporto di vicinitas o di stabile collegamento non è da
reputarsi escluso dall’assenza di una stretta contiguità materiale tra il
cespite in proprietà della S. e quello in comproprietà dei coniugi S. – D.G.,
essendo stata sufficientemente dedotta e documentata la veduta prospettante
da quest’ultimo nella direzione del primo.
In questo senso, la giurisprudenza ha pacificamente riconosciuto che è
legittimato a tutelarsi giurisdizionalmente avverso l’abilitazione edilizia
di opere altrui chi, anche lamentando la lesione dell'interesse a godere
della veduta, dimostri la titolarità di immobile in area limitrofa a quella
di esecuzione dei lavori, sebbene non abbia fornito la prova che questi
ultimi abbiano cagionato un danno, costituendo questa una questione di
merito irrilevante sulla condizione dell'azione.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe, Sa.It. (in appresso, S.I.) impugnava,
chiedendone l’annullamento, la nota del 28.06.2017, prot. n. 113652, con la
quale il Dirigente del Settore Trasformazioni Edilizie del Comune di Salerno
aveva rigettato l’istanza-diffida del 18.06.2017, prot. n. 105402, volta
all’esercizio di misure inibitorie in relazione alla SCIA del 03.03.2017,
prot. n. 51576;
- i lavori contemplati dalla menzionata SCIA del 03.03.2017, prot.
n. 51576, afferivano al lastrico solare sovrastante l’appartamento
condominiale in comproprietà dei coniugi Sa.Vi. (in appresso, S.V.) e Di
Gi.Ro. (in appresso, D.G.R.), ubicato in Salerno, via ..., n. 29/L, censita
in catasto al foglio 67, particella 76, sub 17, e assoggettata a vincolo
paesaggistico giusta d.m. 27.02.1957;
- essi consistevano, segnatamente:
a) nel mutamento della destinazione d’uso del predetto lastrico solare in
terrazza con installazione di una ringhiera perimetrale di protezione,
pavimentazione della superficie di copertura e frazionamento della stessa in
due terrazze, ciascuna delle quali avente estensione pari a mq 250,43;
b) realizzazione di un muretto divisorio tra le due terrazze;
c) apertura di una porta in corrispondenza del torrino delle scale;
d) installazione di un gazebo avente superficie pari a mq 29,16;
- in relazione a tali opere, il Comune di Salerno, con la gravata
nota del 28.06.2017, prot. n. 113652, aveva escluso l’abusività denunciata
dalla S., avendo ritenuto le stesse correttamente legittimate ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001, in base alla SCIA del 03.03.2017, prot.
n. 51576, nonché assistite da autorizzazione paesaggistica n. 106 del
26.09.2016 ed autorizzazione sismica del 14.06.2017, prot. n. GC.SA.2017.002125.AUT.PRD;
- nell’avversare il pronunciato diniego di inibitoria, la S.,
in qualità di proprietaria di una unità immobiliare (ubicata in Salerno, via
C. Sorgente, n. 98, e censita in catasto al foglio 59, particella 371, sub
18) prospiciente sull’edificio condominiale sormontato dal lastrico solare
in contestazione, lamentava, in estrema sintesi, che:
a) il provvedimento impugnato sarebbe inficiato da deficit
motivazionale;
b) l’intervento posto in essere dai coniugi S. – D.G. non sarebbe stato
ritualmente autorizzato dall’assemblea condominiale;
c) l’attuata trasformazione materiale e funzionale del preesistente lastrico
solare in terrazza, siccome comportante un considerevole incremento della
superficie utile residenziale, avrebbe dovuto essere assentita mediante
permesso di costruire, non essendo per essa sufficiente la presentazione di
una mera SCIA;
d) ingiustificato sarebbe stato il frazionamento del preesistente lastrico
solare in due distinte terrazze, nonostante l’unità immobiliare sottostante,
di relativa pertinenza, fosse rimasta indivisa;
e) l’installazione del gazebo su una delle due terrazze anzidette avrebbe
costituito il presupposto per l’installazione di un secondo gazebo
sull’altra terrazza, con conseguente inosservanza del limite planimetrico
(mq 30) previsto dall’art. 191.02 del RUEC di Salerno per simili manufatti;
...
Considerato, in rito, che:
- a dispetto di quanto eccepito dai coniugi S.–D.G., è
ravvisabile, in capo alla S., un interesse qualificato a impugnare il
diniego di inibitoria di cui alla nota del 28.06.2017, prot. n. 113652;
- in argomento, giova rammentare che la vicinitas, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento con l’immobile interessato
dall'intervento edilizio posto in contestazione, può costituire circostanza,
in re ipsa, sufficiente a comprovare la sussistenza di un interesse
qualificato ad agire, senza che sia necessario per il ricorrente allegare e
provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività
edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n.
5662/2014; n. 5278/2015; n. 4583/2018; n. 4969/2018; sez. VI, n. 5307/2018;
TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1580/2017);
- nella specie, tale rapporto di vicinitas o di stabile
collegamento non è da reputarsi escluso dall’assenza di una stretta
contiguità materiale tra il cespite in proprietà della S. e quello in
comproprietà dei coniugi S.–D.G., essendo stata sufficientemente dedotta e
documentata la veduta prospettante da quest’ultimo nella direzione del
primo;
- in questo senso, la giurisprudenza ha pacificamente riconosciuto
che è legittimato a tutelarsi giurisdizionalmente avverso l’abilitazione
edilizia di opere altrui chi, anche lamentando la lesione dell'interesse a
godere della veduta, dimostri la titolarità di immobile in area limitrofa a
quella di esecuzione dei lavori, sebbene non abbia fornito la prova che
questi ultimi abbiano cagionato un danno, costituendo questa una questione
di merito irrilevante sulla condizione dell'azione (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. VI, n. 3744/2010; n. 1861/2016; TAR Campania, Salerno,
sez. II, n. 212/2014)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.06.2021 n. 1578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Concetto di vicinitas ai fini della
legittimazione al ricorso in materia
ambientale.
Il TAR Milano aderisce
alla giurisprudenza amministrativa più
recente che ha chiarito che in materia
ambientale, il parametro della vicinitas
–inteso come vicinanza al sito prescelto per
l'ubicazione di una discarica avente
potenzialità inquinanti e fondante l’accesso
alla tutela giurisdizionale– non deve essere
accompagnato, a pena di inammissibilità
dell’azione, dalla prova del pregiudizio
patito
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 23.06.2021 n. 1533 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
1.1.1. - Con una prima eccezione, formulata
nella memoria del 15.12.2017, la
controinteressata sostiene il difetto di
legittimazione attiva e la carenza di
interesse dei ricorrenti, in ragione
dell’insufficienza del criterio della
vicinitas, se non sorretto (come, a suo
dire, nel caso di specie) dalla prova del
danno subito dalla
localizzazione/realizzazione dell’impianto.
L’eccezione è infondata.
Con orientamento cui il Collegio ritiene, in
questo caso, di aderire, la giurisprudenza
amministrativa più recente ha infatti
chiarito che in materia ambientale, il
parametro della vicinitas -inteso
come “vicinanza […] al sito prescelto per
l'ubicazione di una discarica avente
potenzialità inquinanti” e fondante
l’accesso alla tutela giurisdizionale– non
deve essere accompagnato, a pena di
inammissibilità dell’azione, dalla prova del
pregiudizio patito (“in materia
ambientale, e specialmente di gestione dei
rifiuti, ai fini della sussistenza della
legittimazione ad agire è sufficiente la
vicinitas, intesa come vicinanza dei
soggetti che si ritengono lesi al sito
prescelto per l’ubicazione di una discarica
avente potenzialità inquinanti, non potendo
loro addossarsi il gravoso onere
dell’effettiva prova del danno subito”;
“Inoltre, va rilevato che il
riconoscimento della legittimazione attiva
non può essere subordinato alla produzione
di una prova puntuale della concreta
pericolosità dell’impianto di discarica,
dovendosi ritenere sufficiente una
prospettazione delle temute ripercussioni su
un territorio comunale collocato nelle
immediate vicinanze dell'impianto da
realizzare”, cfr. TAR Lazio Roma Sez.
I-quater, 31/03/2020, n. 3728, in termini,
idem (ud. 16/10/2018) 27.06.2020, n. 7252 in
senso conforme anche TAR Abruzzo-Pescara
Sez. I Sent., 31/07/2014, n. 368). |
ATTI AMMINISTRATIVI: E'
nulla la notifica dell’avviso di perenzione di un giudizio amministrativo
effettuata ad un indirizzo PEC non validamente censito nei pubblici elenchi
all’uopo previsti dalla legge.
Ai fini della notifica telematica di un atto processuale
ad una amministrazione pubblica (e anche all’Avvocatura Generale dello
Stato) non rileva ogni indirizzo PEC, ma solamente quello inserito negli
appositi registri dai quali l’indirizzo vada estratto.
Nel caso in cui l’indirizzo PEC riferito all’amministrazione non sia
presente nei predetti registri, la notificazione è da ritenersi nulla.
Nella specie, l’avviso di perenzione è stato inviato ad un indirizzo PEC non
presente in nessuno dei suddetti registri, sicché la sua notifica risulta
nulla.
---------------
6.2. Con riferimento alla notificazione degli atti processuali nei confronti
delle Amministrazioni difese dall’Avvocatura dello Stato (e in genere delle
pubbliche Amministrazioni), è stato da tempo chiarito che l’uso di un
indirizzo PEC diverso da quello presente nei pubblici elenchi è causa di
nullità della notifica.
I pubblici registri degli indirizzi PEC rilevanti per effettuare valide
notificazioni al domicilio digitale delle Pubbliche Amministrazioni sono:
1) il Registro PP.AA;
2) il
Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (REGINDE),
gestito dal Ministero della Giustizia, che contiene gli indirizzi PEC delle
amministrazioni pubbliche, nonché l’indirizzo di posta elettronica
certificata dei soggetti abilitati esterni, ovverosia:
a) appartenenti ad un
ente pubblico;
b) professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con
legge;
c) ausiliari del giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o
che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato
l’albo al Ministero della Giustizia;
3) il
Registro IPA–Indice
delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi), il quale –ai sensi dell’art. 28 del decreto
legge n. 76 del 2020, che ha inciso nel quadro normativo introdotto con
l’art. 16, comma 8, del d.l. n. 185 del 2008, con la legge n. 228 del 2012 e
l’art. 6-ter del d.lgs. n. 179 del 2016– rileva quale pubblico elenco, in
via sussidiaria, per le amministrazioni che non abbiano provveduto a
comunicare il proprio indirizzo PEC ai fini dell’inserimento nel registro REGINDE, utilizzabile per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni
e per l'invio di documenti validi a tutti gli effetti di legge tra le
pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati.
6.3. Per quanto riguarda il processo amministrativo, il D.P.C.M. del 16.02.2016, n. 40, ha disciplinato reca le regole tecnico-operative per
l’attuazione del PAT e secondo quanto previsto, le notificazioni alle
pubbliche amministrazioni non costituite in giudizio vengono eseguite agli
indirizzi PEC presenti nel predetto registro.
Il REGINDE è, anche per la Giustizia amministrativa, un registro da cui
estrarre gli indirizzi PEC ai fini delle comunicazioni di segreteria: “in
conformità con quanto previsto dal comma 1-bis dell’art. 16-ter del medesimo
D.L. n. 179 (2012 (aggiunto dal D.L. 24.06.2014, n. 90, conv. in L. 11.08.2014, n. 114) che ha reso applicabile alla giustizia amministrativa
il comma 1 dello stesso art. 16-ter”.
Tale comma 1 prevede che "a decorrere dal 15.12.2013, ai fini della
notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale,
amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi
quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo
07.03.2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto,
dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29.11.2008, n. 185,
convertito con modificazioni dalla legge 28.01.2009, n. 2, nonché il
registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della
giustizia”.
8. Da tali disposizioni, emerge che ai fini della notifica telematica di un
atto processuale ad una amministrazione pubblica (e anche all’Avvocatura
Generale dello Stato) non rileva ogni indirizzo PEC, ma solamente quello
inserito negli appositi registri dai quali l’indirizzo vada estratto.
Nel caso in cui l’indirizzo PEC riferito all’amministrazione non sia
presente nei predetti registri, la notificazione è da ritenersi nulla.
Nella specie, l’avviso di perenzione in data 24.02.2020 è stato
inviato ad un indirizzo PEC non presente in nessuno dei suddetti registri,
sicché la sua notifica risulta nulla (sulla nullità della notifica
effettuata ad una PEC non inserita negli elenchi, cfr. Cons. Stato, Sez. III,
22.10.2919, n. 7170; Sez. VI, 06.04.2020, n. 2256).
Pertanto, l’opposizione va accolta
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.06.2021 n. 4489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di parete finestrata ai fini del rispetto
della distanza tra edifici.
Avendo la
controinteressata progettato una costruzione
in aderenza, va applicato il disposto di cui
all’art. 904 cod. civ., che ammette la
possibilità per il confinante di chiudere le
luci in un muro se si costruisce in aderenza
allo stesso o se ne acquista la comunione.
A conferma di tale conclusione, può essere
richiamata la consolidata giurisprudenza
della Cassazione, secondo la quale la tutela
(possessoria) delle aperture lucifere è
consentita salvo il caso in cui «il vicino
voglia costruire in aderenza, oppure
acquistare la comunione del muro e quindi
costruire in aderenza. In questo caso la
tutela della luce, intesa come
estrinsecazione di una facoltà compresa nel
diritto di proprietà, viene meno sia in sede
petitoria, sia, posto che dette luci non
possono fruire in sede possessoria di una
tutela maggiore di quella che loro compete
in sede petitoria, nella predetta sede
possessoria. Né può, quindi, essere concessa
la tutela possessoria nel caso in cui il
vicino le chiuda nei modi consentiti
dall'art. 904 c.c.».
In coerenza con il riferito indirizzo, anche
la giurisprudenza amministrativa ha
sottolineato come, «a norma dell’art. 904
del codice civile, “la presenza di luci in
un muro non impedisce al vicino di
acquistare la comunione del muro medesimo né
di costruire in aderenza”, ed introduce la
possibilità, una volta acquistata la detta
comunione, chiudere le luci solo nel caso di
costruzione in aderenza. Dal punto di vista
delle possibilità edificatorie, quindi, la
realizzazione in aderenza è ammessa, alle
condizioni sopra viste, sia se il muro sia
del tutto privo di aperture sia anche se
esso contenga delle luci, mentre non è
possibile nel caso dell’esistenza di vedute.
Da questo peculiare angolo di osservazioni,
la presenza di luci non è ostativa alla
costruzione e quindi il muro, sia esso del
tutto omogeneo sia anche se presenti delle
aperture non costituenti vedute, è trattato
in maniera normativamente identica».
Pertanto, la chiusura (di due) delle
finestre-luci poste al piano terra risulta
del tutto regolare e non contestabile.
---------------
La giurisprudenza ha rilevato che la
realizzazione di balconi al confine della
proprietà, in violazione dell’art. 905 cod.
civ. (“Distanza per l’apertura di vedute
dirette e balconi”), può essere
neutralizzata, senza il necessario ricorso
alla sanzione demolitoria, «anche attraverso
la predisposizione di idonei accorgimenti
che impediscano di esercitare la veduta sul
fondo altrui, come l’arretramento del
parapetto o l’apposizione di idonei pannelli
che rendano impossibile il “prospicere” e
l’“inspicere in alienum”».
Ne deriva che l’impossibilità di un affaccio
diretto sul fondo del vicino qualifica come
luce e non come veduta l’apertura ottenuta
tramite l’abbassamento del muro posto sul
terrazzo dell’immobile di proprietà delle
parti ricorrenti.
---------------
La presenza di una luce sull’immobile delle
parti ricorrenti non consente di applicare
alla fattispecie de qua le prescrizioni di
cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968,
che impongono una distanza minima
inderogabile di dieci metri tra pareti
finestrate.
Difatti, secondo l’orientamento della
Sezione «“l’art. 9 del D. M. n. 1444 del
1968, in materia di distanze tra edifici, fa
espresso ed esclusivo riferimento alle
pareti finestrate, per tali dovendosi
intendere unicamente le pareti munite di
finestre qualificabili come vedute, senza
ricomprendere quelle sulle quali si aprono
semplici luci”. L’operatività della
previsione è, quindi, condizionata dalla
natura delle aperture …».
L’assenza di una parete finestrata
nell’immobile di proprietà delle odierne
ricorrenti rende inapplicabile, in via
diretta, la prescrizione di cui al predetto
art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968.
---------------
A questo punto diviene irrilevante stabilire
se le pareti dell’erigendo edificio di
proprietà della controinteressata siano
finestrate e quindi siano assoggettate al
richiamato divieto; nessun interesse ad
agire sussiste in capo alle ricorrenti nel
far valere una prescrizione posta a garanzia
della controparte, quale unico soggetto
leso, in ipotesi, dal mancato rispetto della
distanza di dieci metri dalle pareti
finestrate (poste sul proprio edificio), in
correlazione alle finalità di tutela della
salubrità dei luoghi.
In tal senso, il Collegio condivide
l’orientamento secondo cui il concetto di
“stabile collegamento” non è sufficiente a
radicare la legittimazione a ricorrere,
quando –per il tipo di violazione edilizia
denunciata e per le condizioni di contesto
territoriale in cui si trovano gli immobili–
la vicinitas non rappresenti un indice
inequivocabile del pregiudizio subito dal
soggetto che propone l’azione di
annullamento del titolo edilizio, con la
conseguenza che, se si tratta della distanza
sussistente tra edifici, non è sufficiente
il mero rapporto di prossimità tra chi
agisce in giudizio e l’opera oggetto del
provvedimento amministrativo contestato,
occorrendo piuttosto dare plausibile
riscontro dei danni, o delle potenziali
lesioni, ricollegabili all’avversata
struttura, ovvero dell’incidenza negativa
sulla propria sfera giuridica, per non
elevare un astratto interesse alla legalità
a criterio di legittimazione, alla stregua
di un’azione popolare.
---------------
Con ricorso notificato in data 13.09.2020 e
depositato il 30 settembre successivo, i
sigg.ri Eg. ed El.Ma.Gr.To. hanno impugnato
il permesso di costruire n. 10/2020
rilasciato il 25.05.2020 dalla Città di
Cesano Maderno in favore della società
Sa.Ma. S.r.l., con sede in Lissone (MB), Via
... n. 5, e richiesto per la “demolizione
di esposizione e deposito commerciale e
realizzazione di edificio residenziale
plurifamiliare”.
I ricorrenti, in qualità di comproprietari
per una parte e di proprietari esclusivi dei
restanti vani di un compendio immobiliare
residenziale (in cui è collocato anche un
laboratorio dismesso), situato in Cesano
Maderno (MB), Via ... n. 4 (foglio 23,
mappale 110, subalterni nn. 1, 2 e 701),
hanno appreso che il proprietario del
terreno confinante a sud, successivamente
ceduto alla società controinteressata
(foglio 23, mappali nn. 111, 114, 334 e
662), ha inoltrato al Comune di Cesano
Maderno una richiesta di permesso di
costruire al fine di realizzare un
fabbricato residenziale in sostituzione del
preesistente capannone destinato a deposito
e ad attività commerciale.
Una prima richiesta di permesso di
costruire, avanzata dal proprietario
confinante nel mese di aprile 2019, è stata
respinta sulla base di alcuni aspetti
ostativi, e in particolare in ragione del
mancato rispetto delle distanze tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti;
tuttavia, in seguito alla parziale modifica
del progetto originario, il Comune ha,
infine, rilasciato a Sa.Ma. S.r.l. il
permesso di costruire in data 25.05.2020.
Nel predetto procedimento, culminato con il
rilascio del titolo edilizio in favore della
controinteressata, è intervenuta anche la
ricorrente, Avv. Ma.Gr.To., che, sul
presupposto di una inesatta e incompleta
descrizione dello stato dei luoghi, ha
segnalato
(i) la violazione della distanza minima di 10 metri tra gli edifici
dei ricorrenti, dotati di pareti finestrate,
e quello nuovo, anch’esso dotato di finestre
e
(ii) la violazione delle disposizioni (artt. 21 e 25) delle N.T.A.
del Piano delle Regole che impongono la
necessità di garantire una fascia di
salvaguardia ambientale di almeno 10 metri,
caratterizzata dalla piantumazione di alberi
ed arbusti, allorquando vi sia contiguità
tra un lotto a destinazione produttiva (come
quello del ricorrente, sig. To.) e un lotto
a destinazione residenziale; la
realizzazione dell’intervento costruttivo, a
giudizio dei ricorrenti, avrebbe determinato
un peggioramento delle condizioni generali
dei luoghi, nonché un sicuro e consistente
deprezzamento della loro proprietà
immobiliare.
...
2. Con la prima doglianza si assume
la violazione delle distanze tra costruzioni
stabilita dall’art. 907 cod. civ. e dal D.M.
n. 1444 del 1968, in quanto gli edifici
delle parti ricorrenti, dotati di pareti
finestrate e vedute, e quello in fase di
costruzione, provvisto anch’esso di vedute,
sarebbero posti ad una distanza inferiore ai
10 m: difatti il piano terra ed il primo
piano dell’erigendo edificio sarebbero posti
proprio sul confine ed in aderenza
all’immobile dei ricorrenti, con il primo
piano che dovrebbe presentare anche una
veduta diretta per tutta la larghezza, pari
ad oltre 13 m, prospiciente alle suddette
proprietà ed in aderenza, mentre il secondo
piano dovrebbe disporre di una veduta
diretta per l’intera lunghezza, pari ad
oltre 15 m, posta a soli 5 m dal confine.
2.1. La doglianza è in parte infondata e in
parte inammissibile.
In primo luogo, deve essere chiarita la
natura delle aperture poste sull’edificio
delle parti ricorrenti, ovvero se si tratta
di vedute o semplici luci.
Nello specifico, su tale edificio insistono,
al primo piano, una apertura ricavata con
l’abbassamento di un muro posto sul terrazzo
confinante, che in teoria consentirebbe una
veduta diretta ed obliqua larga circa 4 m
sull’immobile in fase di realizzazione da
parte della controinteressata (all. 20 al
ricorso), e, al piano terra, quattro
finestre-luci aperte sul muro comune che
conferiscono aria e luce, poste a 2,75 m da
terra e alte 1,20 m e larghe 1,70 m (all. 1
di Santa Margherita e Tavole all. 10 al
ricorso).
2.2. Quanto alle quattro finestre-luci che
si trovano al piano terra dell’edificio
delle parti ricorrenti –si ripete, poste a
2,75 m da terra e alte 1,20 m e larghe 1,70
m (cfr. all. 1 di Sa.Ma.; all. 38, 39 e 57
al ricorso)– le stesse sono da qualificare
come luci irregolari, in quanto sono poste
su un muro realizzato al confine con la
proprietà della controinteressata e
risultano idonee a garantire soltanto il
passaggio della luce (e forse dell’aria), ma
non di consentire la veduta nel fondo del
vicino, avuto riguardo alle loro
caratteristiche costruttive (altezza da
terra di 2,75 m: cfr. artt. 900 e 901 cod.
civ.).
Avendo la controinteressata progettato una
costruzione in aderenza, va applicato il
disposto di cui all’art. 904 cod. civ., che
ammette la possibilità per il confinante di
chiudere le luci in un muro se si costruisce
in aderenza allo stesso o se ne acquista la
comunione.
A conferma di tale conclusione, può essere
richiamata la consolidata giurisprudenza
della Cassazione, secondo la quale la tutela
(possessoria) delle aperture lucifere è
consentita salvo il caso in cui «il
vicino voglia costruire in aderenza, oppure
acquistare la comunione del muro e quindi
costruire in aderenza. In questo caso la
tutela della luce, intesa come
estrinsecazione di una facoltà compresa nel
diritto di proprietà, viene meno sia in sede
petitoria, sia, posto che dette luci non
possono fruire in sede possessoria di una
tutela maggiore di quella che loro compete
in sede petitoria, nella predetta sede
possessoria. Né può, quindi, essere concessa
la tutela possessoria nel caso in cui il
vicino le chiuda nei modi consentiti
dall'art. 904 c.c.» (Cass. civ., II,
30.05.2013, n. 13618; anche, ord.
09.11.2018, n. 28804; 30.12.2015, n. 26124;
04.12.2014, n. 25635).
In coerenza con il riferito indirizzo, anche
la giurisprudenza amministrativa ha
sottolineato come, «a norma dell’art. 904
del codice civile, “la presenza di luci in
un muro non impedisce al vicino di
acquistare la comunione del muro medesimo né
di costruire in aderenza”, ed introduce la
possibilità, una volta acquistata la detta
comunione, chiudere le luci solo nel caso di
costruzione in aderenza. Dal punto di vista
delle possibilità edificatorie, quindi, la
realizzazione in aderenza è ammessa, alle
condizioni sopra viste, sia se il muro sia
del tutto privo di aperture sia anche se
esso contenga delle luci, mentre non è
possibile nel caso dell’esistenza di vedute.
Da questo peculiare angolo di osservazioni,
la presenza di luci non è ostativa alla
costruzione e quindi il muro, sia esso del
tutto omogeneo sia anche se presenti delle
aperture non costituenti vedute, è trattato
in maniera normativamente identica»
(Consiglio di Stato, IV, 13.01.2010, n. 69).
Pertanto, la chiusura (di due) delle
finestre-luci poste al piano terra risulta
del tutto regolare e non contestabile.
2.3. Con riferimento all’apertura, posta al
primo piano dell’immobile delle parti
ricorrenti e ricavata con l’abbassamento di
un muro posto sul terrazzo confinante con la
proprietà della controinteressata, che in
teoria consentirebbe una veduta diretta ed
obliqua larga circa 4 m sull’immobile in
fase di realizzazione (all. 20 al ricorso e
all. 21 di Sa.Ma.), va segnalato che la
stessa è stata realizzata tramite s.c.i.a.
nel mese di marzo 2019, ossia quasi
contestualmente alla presentazione della
richiesta del titolo edilizio da parte del
dante causa della controinteressata (di cui
gli originari ricorrenti erano a conoscenza
già dal mese di febbraio 2019: all. 6 di
Sa.Ma.), avvenuto formalmente in data
17.04.2019 (cfr. all. 6 al ricorso); nella
Relazione di accompagnamento alla s.c.i.a.
del 27.03.2019 presentata dai ricorrenti
(all. 7 di Sa.Ma.), si specifica che «l’intervento
di manutenzione consiste nella parziale
demolizione del muro che delimita il
terrazzo a sud creando un’apertura (h muro
1100 mm da soletta) della larghezza di 4
metri per consentire il passaggio di aria e
luce. In corrispondenza di detta veduta
verrà realizzato un parapetto (posto a 1,5
metri dal confine) con una rete metallica
sostenuta da pali. La porzione del parapetto
che si innesta sul muro di confine avrà
un’altezza di 2 m e sarà dotata di opportuno
materiale schermante per una larghezza di
circa 0,5 m (in modo da mantenere una fascia
di rispetto della di 0,75 m complessivi dai
confine come previsto dal C.C.)».
Risulta evidente che l’apertura –a
prescindere dalla sua legittimità,
contestata dalla difesa di Sa.Ma. (all.
17-19 di Sa.Ma.)– non costituisce, per
espressa ammissione degli stessi autori, una
veduta, ma è finalizzata soltanto a
garantire il “passaggio di aria e luce”:
a riprova della insussistenza di una veduta
è stato previsto –e poi realizzato– un
parapetto posto a 1,50 m dal confine, al
fine di impedire la vista sul fondo e/o
immobile contiguo (cfr. all. 20 e 48 al
ricorso).
Sul punto la giurisprudenza ha rilevato che
la realizzazione di balconi al confine della
proprietà, in violazione dell’art. 905 cod.
civ. (“Distanza per l’apertura di vedute
dirette e balconi”), può essere
neutralizzata, senza il necessario ricorso
alla sanzione demolitoria, «anche
attraverso la predisposizione di idonei
accorgimenti che impediscano di esercitare
la veduta sul fondo altrui, come
l’arretramento del parapetto o l’apposizione
di idonei pannelli che rendano impossibile
il “prospicere” e l’“inspicere in alienum”»:
Cass. civ., II, ord. 19.02.2019, n. 4834).
Ne deriva che l’impossibilità di un affaccio
diretto sul fondo del vicino qualifica come
luce e non come veduta l’apertura ottenuta
tramite l’abbassamento del muro posto sul
terrazzo dell’immobile di proprietà delle
parti ricorrenti (cfr. Consiglio di Stato,
IV, 04.02.2020, n. 907).
2.4. La presenza di una luce sull’immobile
delle parti ricorrenti non consente di
applicare alla fattispecie de qua le
prescrizioni di cui all’art. 9 del D.M. n.
1444 del 1968, che impongono una distanza
minima inderogabile di dieci metri tra
pareti finestrate.
Difatti, secondo l’orientamento della
Sezione «“l’art. 9 del D. M. n. 1444 del
1968, in materia di distanze tra edifici, fa
espresso ed esclusivo riferimento alle
pareti finestrate, per tali dovendosi
intendere unicamente le pareti munite di
finestre qualificabili come vedute, senza
ricomprendere quelle sulle quali si aprono
semplici luci” (Consiglio di Stato, sez. IV,
05.10.2015, n. 4628; cfr., nella
giurisprudenza civile, Cassazione civile,
sez. II, 20.12.2016, n. 26383).
L’operatività della previsione è, quindi,
condizionata dalla natura delle aperture …»
(TAR Lombardia, Milano, II, 26.06.2019, n.
1484; 23.05.2019, n. 1168; 30.11.2018, n.
2706; anche Consiglio di Stato, IV,
04.02.2020, n. 907; II, 14.01.2020, n. 347;
TAR Liguria, I, 01.02.2021, n. 76; in senso
contrario, Consiglio di Stato, V,
11.09.2019, n. 6136).
L’assenza di una parete finestrata
nell’immobile di proprietà delle odierne
ricorrenti rende inapplicabile, in via
diretta, la prescrizione di cui al predetto
art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968.
Difatti, a questo punto diviene irrilevante
stabilire se le pareti dell’erigendo
edificio di proprietà della
controinteressata Sa.Ma. siano finestrate e
quindi siano assoggettate al richiamato
divieto; nessun interesse ad agire sussiste
in capo alle ricorrenti nel far valere una
prescrizione posta a garanzia della
controparte, quale unico soggetto leso, in
ipotesi, dal mancato rispetto della distanza
di dieci metri dalle pareti finestrate
(poste sul proprio edificio), in
correlazione alle finalità di tutela della
salubrità dei luoghi (cfr. Consiglio di
Stato, IV, 16.09.2020, n. 5466).
In tal senso, il Collegio condivide
l’orientamento secondo cui il concetto di “stabile
collegamento” non è sufficiente a
radicare la legittimazione a ricorrere,
quando –per il tipo di violazione edilizia
denunciata e per le condizioni di contesto
territoriale in cui si trovano gli immobili–
la vicinitas non rappresenti un
indice inequivocabile del pregiudizio subito
dal soggetto che propone l’azione di
annullamento del titolo edilizio, con la
conseguenza che, se si tratta della distanza
sussistente tra edifici, non è sufficiente
il mero rapporto di prossimità tra chi
agisce in giudizio e l’opera oggetto del
provvedimento amministrativo contestato,
occorrendo piuttosto dare plausibile
riscontro dei danni, o delle potenziali
lesioni, ricollegabili all’avversata
struttura, ovvero dell’incidenza negativa
sulla propria sfera giuridica, per non
elevare un astratto interesse alla legalità
a criterio di legittimazione, alla stregua
di un’azione popolare (cfr. TAR Lombardia,
Milano, II, 04.05.2015, n. 1081).
In ragione di ciò, sarebbe stato necessario
provare, o almeno allegare, la sussistenza
di effettivi pregiudizi in grado di ledere
le posizioni soggettive delle parti
ricorrenti, al fine della positiva verifica
della sussistenza dell’interesse ad agire;
nella specie ciò non è avvenuto.
Quindi, la censura, nella parte relativa al
mancato rispetto della distanza di dieci
metri delle pareti finestrate dell’edificio
erigendo, è inammissibile per difetto di
interesse ad agire (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 09.06.2021 n. 1406 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il tardivo esercizio del diritto di
accesso è inidoneo a procrastinare il dies a quo di decorrenza del termine
d'impugnativa del titolo edilizio, in quanto lesivo del principio di
stabilità dei rapporti giuridici e dell'affidamento dei soggetti titolari
dell'autorizzazione.
Per condiviso indirizzo anche di questa Sezione, infatti, «il principio di
trasparenza sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il
diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale
diritto rimane uno strumento che il terzo ha l'onere di attivare non appena
abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l'attività materiale
pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo
amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente».
Come pure si è affermato, «la
tutela dell'amministrato non può ritenersi operante ogni oltre limite
temporale ed in base ad elementi puramente esteriori e formali o atti
d'iniziativa di parte (quali richieste d'accesso, istanze, segnalazioni) di
modo che l'attività dell'amministrazione e le iniziative dei controinteressati siano soggette indefinitivamente
o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione, anche quando
l'interessato non si renda parte diligente nel far valere la pretesa entro i
limiti temporali assicuratigli dalla legge».
---------------
4. Infine, con il
sesto motivo del ricorso introduttivo e con il terzo
motivo del primo ricorso per motivi aggiunti si censura l’autorizzazione
paesaggistica rilasciata in relazione all’intervento edilizio in commento.
Rileva il Collegio che, come eccepito dalle controparti processuali, le
censure proposte con il ricorso introduttivo del giudizio avverso tale atto
sono inammissibili in quanto generiche (del resto, era stata fatta riserva
di motivi aggiunti una volta presa visione della motivazione
dell’autorizzazione), mentre quelle sollevate in sede di primi motivi
aggiunti sono irricevibili poiché tardivamente proposte.
Infatti, la società La., pur conoscendo l’esistenza dell’autorizzazione
paesaggistica impugnata quantomeno a far data dall’epoca di introduzione del
giudizio, non si è diligentemente e tempestivamente attivata al fine di
prendere cognizione dei relativi contenuti, ma si è limitata a sviluppare
puntuali censure in sede di proposizione dei primi motivi aggiunti
(depositati in data 09.06.2020), pretendendo di far decorrere il termine per
impugnare dalla conoscenza dell’atto conseguita a seguito del relativo
deposito in giudizio da parte dell’Amministrazione.
Ciò contrasta con l’onere di diligenza sussistente a carico di chi intende
contestare in giudizio la legittimità dei titoli rilasciati in favore del
vicino, e non consente di procrastinare la decorrenza del termine per
impugnare nel senso voluto dalla ricorrente.
E’ stato affermato in proposito: “Il tardivo esercizio del diritto di
accesso è inidoneo a procrastinare il dies a quo di decorrenza del termine
d'impugnativa, in quanto lesivo del principio di stabilità dei rapporti
giuridici e dell'affidamento dei soggetti titolari dell'autorizzazione (C.d.S.,
sez. VI, 13.08.2020, n. 5034).
Per condiviso indirizzo anche di questa Sezione, infatti, «il principio di
trasparenza sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il
diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale
diritto rimane uno strumento che il terzo ha l'onere di attivare non appena
abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l'attività materiale
pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo
amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente»
(tra altre, C.d.S., sez. II, 23.03.2020, n. 2011; id., 18.11.2019,
n. 7857; id., 11.11.2019, n. 7692; come pure si è affermato, «la
tutela dell'amministrato non può ritenersi operante ogni oltre limite
temporale ed in base ad elementi puramente esteriori e formali o atti
d'iniziativa di parte (quali richieste d'accesso, istanze, segnalazioni) di
modo che l'attività dell'amministrazione e le iniziative dei controinteressati siano soggette indefinitivamente o per tempi dilatati alla
possibilità di impugnazione, anche quando l'interessato non si renda parte
diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli
dalla legge»: tra molte, C.G.A.R.S. in s.g., 15.04.2016, n. 109; C.d.S.,
sez. V, 16.02.2016, n. 777; sez. IV, 12.06.2009, n. 3730)” (cfr.
Cons. St., Sez. II, nr. 5864, 05.10.2020).
5. Conclusivamente, il ricorso introduttivo del giudizio e il primo ricorso
per motivi aggiunti possono trovare accoglimento limitatamente alle censure
di illegittimità prospettate in relazione al calcolo dell’altezza
dell’edificio autorizzato, con conseguente annullamento del permesso di
costruire impugnato in parte de qua, nonché della delibera comunale gravata
nella parte di interesse: entro gli stessi limiti deve trovare accoglimento
il secondo ricorso per motivi aggiunti, con cui sono stati impugnati i
titoli in variante e le correlate autorizzazioni paesaggistiche per
invalidità derivata di tali atti, mentre detto ricorso deve essere rigettato
nel resto (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.02.2021 n. 187 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2020 |
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agosto 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
materia edilizia la mera vicinitas, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento con
il terreno interessato dall'intervento
edilizio è sufficiente a comprovare la
sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, senza che sia
necessario al ricorrente anche allegare e
provare di subire uno specifico pregiudizio
per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo.
In pratica è sufficiente che il ricorrente
lamenti l'illegittimità del provvedimento
che comporta una modifica contra ius dello
stato dei luoghi, non rilevando l'eventuale
conseguenza secondo cui la regula iuris
affermata dal giudice amministrativo
potrebbe far dedurre l'illegittimità della
realizzazione di una costruzione già
realizzata dal ricorrente, ovvero
l'impossibilità per questi di considerare
edificabile un proprio fondo.
---------------
Passando, quindi, ad analizzare l’eccezione
d’inammissibilità dell’impugnativa, per
carenza d’interesse ad agire, agitata dalla
difesa del Comune, nella propria memoria in
atti, rileva il Collegio come la stessa sia
ugualmente priva di pregio.
La stessa, integralmente riportata in
narrativa, concerne a ben vedere non
l’ammissibilità in toto del ricorso,
bensì potrebbe –eventualmente– venire in
considerazione, esclusivamente ai fini della
verifica, da parte del Tribunale, circa
l’ammissibilità della terza doglianza
dell’atto introduttivo del giudizio.
Per il resto, la condizione del ricorrente,
di proprietario confinante rispetto al
terreno, sul quale doveva realizzarsi la
divisata attività costruttiva, e quindi il
criterio della vicinitas,
costituiscono, ad avviso del Tribunale,
situazioni, pienamente legittimanti il
medesimo alla proposizione del presente
gravame.
In giurisprudenza, cfr. Consiglio di Stato,
Sez. V, 17/06/2014, n. 3094: “In materia
edilizia la mera vicinitas, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento con
il terreno interessato dall'intervento
edilizio è sufficiente a comprovare la
sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, senza che sia
necessario al ricorrente anche allegare e
provare di subire uno specifico pregiudizio
per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo; in pratica è
sufficiente che il ricorrente lamenti
l'illegittimità del provvedimento che
comporta una modifica contra ius dello stato
dei luoghi, non rilevando l'eventuale
conseguenza secondo cui la regula iuris
affermata dal giudice amministrativo
potrebbe far dedurre l'illegittimità della
realizzazione di una costruzione già
realizzata dal ricorrente, ovvero
l'impossibilità per questi di considerare
edificabile un proprio fondo” (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.08.2020 n. 1047 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Per
consolidati principi giurisprudenziali, il dies a quo ai fini della
decorrenza del termine di impugnazione dei titoli edilizi va individuato nel
momento in cui il soggetto, che assume di esser leso dai menzionati titoli,
ha acquisito con certezza piena conoscenza degli stessi.
E, proprio da ultimo, la quarta Sezione del Consiglio di Stato, nel
richiamare tali principi sulla verifica della piena conoscenza dei titoli
edilizi, ha in particolare chiarito quanto segue:
a) ove si contesti l’an dell’edificazione, l’inizio dei lavori
segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso;
b) ove si contesti invece il quomodo dell’edificazione, la piena
conoscenza del provvedimento si intende ordinariamente acquisita al
completamento dei lavori, salvo che non sia data prova di una conoscenza
anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso.
In estrema sintesi il giudice di appello ha sancito -ai fini della
decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte
di terzi- che la percezione dell’effetto lesivo si atteggi diversamente a
seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che
esso sia stato rilasciato ovvero che se ne contesti il contenuto specifico.
---------------
2.1.- Con una prima eccezione, il sig. -OMISSIS- ha sostenuto l’irricevibilità
del ricorso per esser stato il gravame proposto soltanto il -OMISSIS- 2012,
trascorsi ben oltre sessanta giorni dall’apposizione del cartello di
cantiere esposto in data -OMISSIS-; cartello da cui sarebbe derivata la
percezione dell’asserita portata lesiva dell’intervento.
L’eccezione non può trovare accoglimento.
Per consolidati principi giurisprudenziali, il dies a quo ai fini
della decorrenza del termine di impugnazione dei titoli edilizi va
individuato nel momento in cui il soggetto, che assume di esser leso dai
menzionati titoli, ha acquisito con certezza piena conoscenza degli stessi (ex
multis: C.d.S., IV, n. 3075 del 2018; Sez. IV, n. 5675 del 2017; Sez. IV,
n. 4701 del 2016; Sez. IV, n. 1135 del 2016).
E, proprio da ultimo, la quarta Sezione del Consiglio di Stato, nel
richiamare tali principi sulla verifica della piena conoscenza dei titoli
edilizi, ha in particolare chiarito quanto segue:
a) ove si contesti l’an dell’edificazione, l’inizio dei
lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del
ricorso;
b) ove si contesti invece il quomodo dell’edificazione, la
piena conoscenza del provvedimento si intende ordinariamente acquisita al
completamento dei lavori, salvo che non sia data prova di una conoscenza
anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso.
In estrema sintesi il giudice di appello ha sancito -ai fini della
decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte
di terzi- che la percezione dell’effetto lesivo si atteggi diversamente a
seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che
esso sia stato rilasciato ovvero che se ne contesti il contenuto specifico
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 08.01.2020 n. 18 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Questa
amministrazione regionale è regolarmente iscritta all'IPA ma non ha ancora
registrato l'indirizzo PEC nel "Reginde".
E' possibile eccepire la nullità
della notifica effettuata tramite PEC di atti, provvedimenti e soprattutto
ricorsi amministrativi avverso i propri atti?
Non è possibile o quantomeno è estremamente improbabile l'accoglimento di
tale eccezione e non corrisponderebbe ai criteri di buona fede nei rapporti
con il cittadino.
L'indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori
di pubblici servizi (IPA), gestito dall'Agenzia per l'Italia Digitale, è
l'elenco pubblico (attualmente disponibile liberamente su indicepa.gov.it)
di fiducia contenente i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni
e per lo scambio di informazioni e per l'invio di documenti validi a tutti
gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici
servizi e i privati.
Esso è istituito dall'art. 6-quater, D.Lgs. 07.03.2005, n. 82 (CAD) "al
fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche
amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi".
Lo stesso CAD rafforza l'obbligo di fornire i dati per implementare il
registro attraverso il comma 3 del citato articolo che dispone "3. Le
amministrazioni di cui al comma 1 e i gestori di pubblici servizi aggiornano
gli indirizzi e i contenuti dell'Indice tempestivamente e comunque con
cadenza almeno semestrale, secondo le indicazioni dell'AgID. La mancata
comunicazione degli elementi necessari al completamento dell'Indice e del
loro aggiornamento è valutata ai fini della responsabilità dirigenziale e
dell'attribuzione della retribuzione di risultato ai dirigenti responsabili".
Ciò premesso sono intervenute sul punto varie pronunce della giurisprudenza
(consolidata anche a livello di Consiglio di Stato) nelle quali si legge:
- "In materia di notificazioni al difensore, l'introduzione del
domicilio digitale che corrisponde all'indirizzo di posta elettronica
certificata che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di
appartenenza, preclude la possibilità che le comunicazioni o le
notificazioni possano essere fatte presso la cancelleria dell'ufficio
giudiziario innanzi al quale pende la lite".
- "La notifica di un ricorso effettuata all'amministrazione
pubblica a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo tratto
dall'elenco presso l'Indice PA è pienamente valida ed efficace essendo
quest'ultimo un pubblico elenco ancora utilizzabile per le notificazioni
alla pubblica amministrazione soprattutto nel caso in cui la stessa sia
rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo di
posta elettronica certificata da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal
Ministero della Giustizia".
- "Dopo l'entrata in vigore del Pat, la notificazione del
ricorso, a mezzo posta elettronica certificata, effettuata
all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA è
pienamente valida ed efficace in quanto comunque effettuata presso un
domicilio telematico PEC contenuto in un elenco pubblico a tutti gli
effetti. D'altra parte, l'amministrazione, secondo i canoni di
autoresponsabilità e legittimo affidamento cui deve ispirarsi il suo leale
comportamento, non può trincerarsi -a fronte di un suo inadempimento- dietro
il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli
indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne
benefici in termini processuali, così impedendo di fatto alla controparte di
effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche".
Alla luce di tali orientamenti ne deriva l'obbligo per l'amministrazione di
tenere aggiornato l'indice e di considerare validamente notificati ogni tipo
di atti, compresi quelli di natura processuale, ricevuti da parte degli
interessati.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 07.03.2005, n. 82, art. 6-quater - D.Lgs. 02.07.2010, n. 104, art. 52
- D.P.C.M. 16.02.2016, n. 40 - L. 12.08.2016, n. 161, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. IV, 04.09.2019, n. 6089 - Cons. Stato Sez. II, 05.06.2019,
n. 3805 - Cons. Stato Sez. V, 14.03.2019, n. 1687 - Cons. Stato Sez. III,
27.02.2019, n. 1379 - Cons. Stato Sez. V, 12.12.2018, n. 7026 - Cons. Stato
(Ad. Plen.), 19.09.2017, n. 6 (08.01.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia edilizia, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere
o a intervenire in giudizio, è sufficiente la mera vicinitas,
ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale tra l’immobile
del soggetto istante e quello interessato dalle opere abusive (nella specie,
come visto, palesemente sussistente), escludendosi in linea di principio la
necessità di comprovare l’esistenza di un pregiudizio specifico ed
ulteriore, atteso che tale pregiudizio deve ragionevolmente ritenersi
integrato in re ipsa, in quanto conseguenza ineludibile della minore qualità
urbanistica, panoramica, ambientale e paesaggistica dell’area compromessa
dall’illecita edificazione.
---------------
2. In via preliminare, occorre soffermarsi sull’eccezione di
inammissibilità dell’intervento ad opponendum formulata dal ricorrente,
fondata sul rilievo della carenza di interesse all’attivazione di tale mezzo
processuale, atteso che il terzo “non subirebbe alcun pregiudizio
all’interno della propria sfera giuridica dall’annullamento dei
provvedimenti gravati”.
L’eccezione va disattesa in virtù del dato pacifico che il Sig. Sa. è
proprietario di un’unità immobiliare situata nello stesso fabbricato
interessato dall’attività edilizia sanzionata, più precisamente di una
porzione immobiliare posta nelle immediate vicinanze del manufatto abusivo.
Invero in materia edilizia, ai fini della legittimazione e dell’interesse a
ricorrere o a intervenire in giudizio, è sufficiente la mera vicinitas,
ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale tra l’immobile
del soggetto istante e quello interessato dalle opere abusive (nella specie,
come visto, palesemente sussistente), escludendosi in linea di principio la
necessità di comprovare l’esistenza di un pregiudizio specifico ed
ulteriore, atteso che tale pregiudizio deve ragionevolmente ritenersi
integrato in re ipsa, in quanto conseguenza ineludibile della minore qualità
urbanistica, panoramica, ambientale e paesaggistica dell’area compromessa
dall’illecita edificazione (orientamento consolidato: cfr. per tutte
Consiglio di Stato, Sez. II, 30.09.2019 n. 6519; Consiglio di Stato, Sez. VI, 23.05.2019 n. 3386; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 17.09.2019
n. 4515)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.01.2020 n. 46 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impugnazione di una variante ad un permesso
di costruire già oggetto di gravame.
L'omessa impugnazione di
una variante non essenziale di un permesso
di costruire, che si innesta su un
precedente titolo edilizio, non determina l’improcedibilità
del ricorso avverso il permesso edilizio
originario, restando infatti caducata
dall'annullamento del permesso originario,
in considerazione del rapporto di
presupposizione e continuità intercorrente
fra i titoli edilizi succedutisi nel tempo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.01.2020 n. 13 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
I.2) Sotto altro profilo, la difesa comunale
deduce l’improcedibilità del ricorso in
relazione alla mancata impugnazione del
permesso di costruire in variante n.
4025/2009, rilasciato nelle more del
giudizio.
Anche tale eccezione va respinta.
Successivamente alla presentazione del
ricorso, il controinteressato si è infatti
limitato a chiedere ed ottenere una variante
per la realizzazione di talune opere
marginali, quali la riduzione di un
intercapedine mediante la realizzazione di
c.d. “bocche di lupo”, ed altre
interne, finalizzate al mero consolidamento
della struttura, che non hanno alterato in
modo significativo il progetto originario.
Per giurisprudenza costante, l’omessa
impugnazione di una variante non essenziale,
che si innesta su un precedente titolo
edilizio, non determina l’improcedibilità
del ricorso, restando infatti caducata
dall'annullamento del permesso originario,
in considerazione del rapporto di
presupposizione e continuità intercorrente
fra i titoli edilizi succedutisi nel tempo (C.S.,
Sez. VI, 12.11.2014, n. 5552, che ha
confermato TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
n. 1956/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nelle controversie che hanno ad
oggetto i titoli edilizi, la vicinitas,
intesa come situazione di stabile
collegamento con l'immobile interessato
dalle opere, costituisce infatti elemento di
per sé sufficiente a fondare l'interesse ad
agire.
---------------
I.3) Infine, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa comunale, va
pacificamente riconosciuta la legittimazione
ad agire dei ricorrenti, in quanto
proprietari di immobili contigui a quello
oggetto del provvedimento impugnato.
Nelle controversie che hanno ad oggetto i
titoli edilizi, la vicinitas, intesa
come situazione di stabile collegamento con
l'immobile interessato dalle opere,
costituisce infatti elemento di per sé
sufficiente a fondare l'interesse ad agire
(TAR Campania, Salerno, Sez. II, 06.11.2017,
n. 1580) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.01.2020 n. 13 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Associazioni
di categoria in giudizio, ma con giudizio. Sono legittimate a stare in
giudizio solo in caso di lesione di un interesse omogeneo comune all’intera
categoria. Lo ha precisato il Tar per la Lombardia.
Le associazioni di categoria sono legittimate a stare in giudizio solo in
caso di lesione di un interesse omogeneo comune all'intera categoria.
Lo ha precisato il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con la
sentenza 02.01.2020 n. 2.
La controversia verte sulla delibera della Regione Lombardia con la quale
era stata riorganizzata la rete di offerta e modalità di presa in carico dei
pazienti cronici e fragili. A seguito di tale delibera i medici di medicina
generale non avrebbero più potuto assumere il ruolo di clinical manager
del proprio assistito e redigere il Piano di assistenza individuale in modo
autonomo, ma lo avrebbero fatto solo in forma associata, previa iscrizione
in un apposito elenco di idonei, con altri medici generici o assumendo il
ruolo di co-gestore.
Il sindacato Italiano medici del territorio aveva, quindi, impugnato la
delibera lamentando la lesione e la dequotazione del ruolo del medico di
medicina generale nella presa in carico del paziente cronico.
Il Tribunale amministrativo regionale dichiara il difetto di legittimazione
ad agire del sindacato.
Il collegio premette, infatti, che il sistema di tutela giurisdizionale
amministrativa ha «il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa
dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, alla stregua di
un'azione popolare». Non è concesso, pertanto, un ampliamento della
legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla
legge.
Detto ciò, le associazioni di categoria sono legittimate a stare in giudizio
solo in caso di lesione di un interesse omogeneo comune all'intera categoria
e non anche quando si verta su questioni capaci di dividere la categoria in
posizioni contrastanti.
L'interesse collettivo dell'associazione, infatti, deve identificarsi con
l'interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente
considerata non potendo l'associazione agire dove vi sia disomogeneità delle
posizioni al suo interno.
Ora, nel caso di specie va osservato che diversi medici iscritti al
sindacato ricorrente hanno aderito, fin dall'esordio, al nuovo modello
gestionale, manifestando dunque un interesse contrario a quello tutelato con
il presente ricorso dal sindacato di appartenenza.
In altri termini i giudici rilevano l'eterogeneità delle posizioni assunte
dal sindacato e da alcuni medici appartenenti allo stesso e il conflitto di
interessi tra l'associazione e alcuni dei suoi iscritti.
Tale circostanza porta inevitabilmente all'inammissibilità del ricorso
(articolo ItaliaOggi dell'11.01.2020). |
ANNO 2019 |
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aprile 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio ritiene, in continuità al consolidato indirizzo giurisprudenziale
sussistente nella materia che occupa, che il termine di decadenza per
l’impugnativa dell’ordinario permesso di costruire decorra, in mancanza di
altri inequivoci elementi probatori, dal completamento dei lavori, cioè dal
momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata
dell'intervento in precedenza assentito.
---------------
1.- I sig.ri Do.Ca. e Te.Lo. sono
comproprietari dell’area edificabile sita nel Comune di Gravina in Puglia di
cui al foglio di mappa 104, p.lla 1833, confinante con la porzione di
terreno contraddistinto al Foglio di mappa 104, p.lla 1782 di proprietà
della Ir.Eu. srl.
2.- Con il ricorso in esame, spedito per la notifica il 16.11.2018 e
depositato il 14.12.2018, i predetti ricorrenti hanno impugnato il permesso
di costruire n. 75/2014 del 20.04.2018 rilasciato alla Ir.Eu.
srl (odierna controinteressata) dal Comune di Gravina di Puglia per la
realizzazione di un edificio di tipo residenziale alla via Ga. s.n.c.,
contestando la violazione delle distanze dal confine con il terreno di loro
proprietà e, comunque, la realizzazione dei balconi con una larghezza
superiore rispetto a quella prevista dal regolamento comunale.
3.- Nel premettere la tempestività dell’impugnativa, parte ricorrente
affida, in particolare, il ricorso ai seguenti motivi:
I. Eccesso di potere
per carenza di istruttoria e/o erronea presupposizione e travisamento dei
fatti. Illegittimità per violazione dell’articolo 9 delle N.T.A. del piano
particolareggiato del Comune di Gravina in Puglia. Violazione del diritto
dei ricorrenti in materia di distanze dal confine.
II. Illegittimità per
violazione di legge in particolare dell’art. 8.3, 5) del regolamento
edilizio del Comune di Gravina in Puglia.
4.- Si è costituito in giudizio il Comune intimato rappresentando di aver
più volte segnalato alla società controinteressata la necessità del consenso
dei confinanti in merito all’intervento edilizio in contestazione e di aver
comunque avviato, una volta constatata l’opposizione espressa dei
ricorrenti, un procedimento in autotutela, allo stato, non ancora concluso.
5.- La controinteressata, invece, pur avendo provveduto all’eliminazione
fisica degli aggetti, a cui è stato imputato il mancato rispetto delle
distanze minime dal confine previste dall’art. 9 NTA del Piano
Particolareggiato vigente per le zone B4, si è costituita per resistere al
ricorso ritenendo, melius re perpensa, non sussistere la dedotta violazione
delle distanze dal confine, ribadendo, con ciò, la legittimità dell’atto
assentivo rilasciatole e confermando, con ciò, la permanenza dell’interesse
all’odierna impugnativa.
...
7.- In via preliminare, va rilevato che l’odierno ricorso, concernente
l’impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che assume la
violazione delle distanze legali, costituisce una disputa tra privato e p.a.,
nella quale la posizione del primo, che assume di essere leso dall’atto
abilitativo, ha natura di interesse legittimo, con conseguente spettanza
della giurisdizione al giudice amministrativo.
8.- Deve rilevarsi, altresì, contrariamente a quanto eccepito dalla società
controinteressata, la tempestività del ricorso.
9.- Il Collegio, infatti, ritiene, in continuità al consolidato indirizzo
giurisprudenziale sussistente nella materia che occupa, che il termine di
decadenza per l’impugnativa dell’ordinario permesso di costruire decorra, in
mancanza di altri inequivoci elementi probatori, dal completamento dei
lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale
portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr. Consiglio di Stato
sez. IV, 06/12/2016, n. 5125).
Nel caso in esame, premesso che i lavori sono
ancora in corso, l’effettiva percezione della potenzialità lesiva dell’atto
impugnato è stata possibile solo a seguito dell’effettiva ostensione (del
20.9.2018) a favore degli odierni ricorrenti, degli elaborati tecnici (cfr.
documentazione depositata dal Comune di Gravina di Puglia) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 02.04.2019 n. 485 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
consolidato orientamento giurisprudenziale
in ordine all'impugnativa dei titoli edilizi
è nel senso che il termine per impugnare
decorre dal momento in cui divenga
percepibile la piena portata dell'intervento
medesimo, onde poterne apprezzare
l’eventuale lesività dei propri interessi.
Come sostenuto in modo esaustivo da questo
TAR <<… per quanto attiene titoli
edificatori, lo stesso Giudice d’appello ha rilevato che
“il principio secondo cui, ai fini della
decorrenza del termine per l’impugnazione di
una concessione edilizia da parte di un
proprietario di immobile limitrofo occorre
la piena conoscenza della stessa, che si
verifica con la consapevolezza del contenuto
specifico della concessione o del progetto
edilizio ovvero quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo e univoco le
essenziali caratteristiche dell’opera, va applicato tenendo conto della
singola fattispecie e alla luce dei motivi
di impugnazione fatti valere dal ricorrente.
Laddove … un soggetto, diverso da quelli cui
l’atto è stato rilasciato, impugni un titolo
edilizio sulla base dell’asserita divergenza
dell’intervento realizzato (o in corso di
realizzazione) con quello astrattamente
autorizzabile in base alla disciplina
urbanistica vigente, deve essere ribadita la
regola di giudizio, secondo cui la
decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi
dell’edificazione deve essere collegata alla
data in cui risulti certa la percepibilità
–da parte di chi propone il ricorso– della
concreta entità dell’intervento o della sua
incidenza effettiva sulla propria posizione
giuridica.
Di conseguenza, nel caso d’impugnazione del
titolo edilizio ordinario, il termine di
decadenza −salvo che non venga fornita la
prova certa di una conoscenza anticipata o
successiva del provvedimento abilitativo−
decorre, secondo una consolidata
giurisprudenza, da quando vi sia il
completamento dei lavori e questi siano
visibili, cioè dal momento in cui sia
materialmente apprezzabile la reale portata
dell’intervento in precedenza assentito e
sia dunque giuridicamente configurabile
l’inerzia rispetto alla possibilità di
ricorrere>>.
Altresì, vanno richiamati i principi
elaborati dalla giurisprudenza circa la
decorrenza del termine di impugnazione di
titoli edilizi
in forza dei quali:
“a) il termine per impugnare il permesso di costruzione edilizia
decorre dalla piena conoscenza del
provvedimento, che ordinariamente s'intende
avvenuta al completamento dei lavori, a meno
che (come nel caso di specie) è data prova
di una conoscenza anticipata da parte di chi
eccepisce la tardività del ricorso;
b) l’inizio dei lavori segna il dies a quo sella tempestiva
proposizione del ricorso laddove si contesti
l’an dell’edificazione;
c) al momento della constatazione della presenza dello scavo è
possibile ricorrere enucleando le censure
(ivi comprese quelle in ordine all'asserito
divieto di nuova edificazione) senza
differire il termine di proposizione del
ricorso all'avvenuto positivo disbrigo della
pratica di accesso agli atti avviata né, a
monte, che si possa differire quest'ultima;
d) la richiesta di accesso, invero, non è idonea ex se a far
differire i termini di proposizione del
ricorso, perché se da un lato, infatti, deve
essere assicurata al vicino la tutela in
sede giurisdizionale dei propri interessi
nei confronti di un intervento edilizio
ritenuto illegittimo, dall'altro lato deve
parimenti essere salvaguardato l'interesse
del titolare del permesso di costruire a che
l'esercizio di detta tutela venga attivato
senza indugio e non irragionevolmente
differito nel tempo, determinando una
situazione di incertezza delle situazioni
giuridiche contraria ai principi
ordinamentali".
Se il termine per ricorrere in sede
giurisdizionale contro il rilascio del
titolo abilitativo decorre dalla data in cui
è palese ed oggettivamente apprezzabile la
lesione del bene della vita protetto, ciò si
verifica quando è percepibile dal
controinteressato la concreta entità del
manufatto, la sua effettiva incidenza sulla
propria posizione giuridica e l’eventuale
non conformità alla disciplina urbanistico
edilizia.
---------------
0.1 I controinteressati eccepiscono la
tardività dell’impugnazione degli 8 titoli
abilitativi (concessioni edilizie, permesso
di costruire, certificato di agibilità, DIA,
puntualmente enunciati al paragrafo D
dell’esposizione in fatto), in quanto gli
interventi edilizi assentiti sono stati
ultimati negli anni 2003/2004, e il
confinante non poteva non esserne a
conoscenza; allo stesso modo, le due
autorizzazioni per l’esercizio dell’attività
sono state emesse nel 2000 e nel 2006, e già
a quell’epoca l’esponente ha preso
cognizione dell’avvio (e dello svolgimento)
dell’attività ricettiva.
L’eccezione è fondata.
0.1a Il TAR Campania-Napoli (con sentenza
della sez. III – 21/09/2018 n. 5571, che
risulta appellata) ha sostenuto che il
consolidato orientamento giurisprudenziale
in ordine all'impugnativa dei titoli
edilizi, è nel senso che il termine per
impugnare decorre dal momento in cui divenga
percepibile la piena portata dell'intervento
medesimo, onde poterne apprezzare
l’eventuale lesività dei propri interessi.
Come sostenuto in modo esaustivo da questo
TAR (cfr. sez. I – 18/12/2017 n. 1453) <<…
per quanto attiene titoli edificatori, lo
stesso Giudice d’appello (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 25.10.2017 n. 4931) ha rilevato che
“il principio secondo cui, ai fini della
decorrenza del termine per l’impugnazione di
una concessione edilizia da parte di un
proprietario di immobile limitrofo occorre
la piena conoscenza della stessa, che si
verifica con la consapevolezza del contenuto
specifico della concessione o del progetto
edilizio ovvero quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo e univoco le
essenziali caratteristiche dell’opera (ex
plurimis: C.G.A.R.S. Sez. I, 28.05.2007
n. 421; Consiglio Stato Sez. V, 23.09.2005
n. 5033), va applicato tenendo conto della
singola fattispecie e alla luce dei motivi
di impugnazione fatti valere dal ricorrente.
Laddove … un soggetto, diverso da quelli cui
l’atto è stato rilasciato, impugni un titolo
edilizio sulla base dell’asserita divergenza
dell’intervento realizzato (o in corso di
realizzazione) con quello astrattamente
autorizzabile in base alla disciplina
urbanistica vigente, deve essere ribadita la
regola di giudizio, secondo cui la
decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi
dell’edificazione deve essere collegata alla
data in cui risulti certa la percepibilità
–da parte di chi propone il ricorso– della
concreta entità dell’intervento o della sua
incidenza effettiva sulla propria posizione
giuridica.
Di conseguenza, nel caso d’impugnazione del
titolo edilizio ordinario, il termine di
decadenza −salvo che non venga fornita la
prova certa di una conoscenza anticipata o
successiva del provvedimento abilitativo−
decorre, secondo una consolidata
giurisprudenza, da quando vi sia il
completamento dei lavori e questi siano
visibili, cioè dal momento in cui sia
materialmente apprezzabile la reale portata
dell’intervento in precedenza assentito e
sia dunque giuridicamente configurabile
l’inerzia rispetto alla possibilità di
ricorrere (cfr. Consiglio di Stato, IV,
23.07.2009, n. 4616; Consiglio di Stato, IV,
10.12.2007, n. 6342)>>.
Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. IV,
23.06.2017 n. 3067, che ha richiamato i
principi elaborati dalla giurisprudenza
circa la decorrenza del termine di
impugnazione di titoli edilizi (Cons. Stato,
sez. IV, n. 1135 del 2016 e 4701 del 2016),
in forza dei quali:
“a) il termine per impugnare il permesso di costruzione edilizia
decorre dalla piena conoscenza del
provvedimento, che ordinariamente s'intende
avvenuta al completamento dei lavori, a meno
che (come nel caso di specie) è data prova
di una conoscenza anticipata da parte di chi
eccepisce la tardività del ricorso;
b) l’inizio dei lavori segna il dies a quo sella tempestiva
proposizione del ricorso laddove si contesti
l’an dell’edificazione;
c) al momento della constatazione della presenza dello scavo è
possibile ricorrere enucleando le censure
(ivi comprese quelle in ordine all'asserito
divieto di nuova edificazione) senza
differire il termine di proposizione del
ricorso all'avvenuto positivo disbrigo della
pratica di accesso agli atti avviata né, a
monte, che si possa differire quest'ultima;
d) la richiesta di accesso, invero, non è idonea ex se a far
differire i termini di proposizione del
ricorso, perché se da un lato, infatti, deve
essere assicurata al vicino la tutela in
sede giurisdizionale dei propri interessi
nei confronti di un intervento edilizio
ritenuto illegittimo, dall'altro lato deve
parimenti essere salvaguardato l'interesse
del titolare del permesso di costruire a che
l'esercizio di detta tutela venga attivato
senza indugio e non irragionevolmente
differito nel tempo, determinando una
situazione di incertezza delle situazioni
giuridiche contraria ai principi
ordinamentali".
0.1b Se il termine per ricorrere in sede
giurisdizionale contro il rilascio del
titolo abilitativo decorre dalla data in cui
è palese ed oggettivamente apprezzabile la
lesione del bene della vita protetto, ciò si
verifica quando è percepibile dal
controinteressato la concreta entità del
manufatto, la sua effettiva incidenza sulla
propria posizione giuridica e l’eventuale
non conformità alla disciplina urbanistico
edilizia (TAR Campania-Napoli, sez. VIII –
15/05/2018 n. 3185; Consiglio di Stato, sez.
IV – 17/01/2018 n. 245).
0.1c Nella propria memoria di replica del
27/11/2018, parte ricorrente obietta che la
percezione della lesione patita non può
essere dimostrata in via ipotetica (per cui
il Sig. Ma. “non poteva non sapere”)
occorrendo la prova rigorosa della “piena
conoscenza” da parte di colui che
eccepisce la tardività, che nella
fattispecie non sarebbe stata fornita dai
controinteressati.
Detto ordine di idee non è persuasivo.
0.1d Come sopra sottolineato, la “piena
conoscenza” si realizza in coincidenza
con il completamento dei lavori, mentre la
necessità della “prova” si pone
qualora venga dedotta una conoscenza
anticipata rispetto alla conclusione delle
opere.
Nel caso all’esame, i controinteressati
sostengono che i lavori di ristrutturazione
contestati sono stati ultimati tra il 2003 e
il 2004. La circostanza è comprovata dalle
date delle autorizzazioni all’esercizio
dell’attività (n. 3 del 23/10/2000 e n. 1
del 03/04/2005) e dei certificati di agibilità
(n. 7/2004 e n. 29 del 25/11/2003, pur se il
Comune non dispone di copia di quest’ultimo),
che giuridicamente e logicamente
presuppongono l’intervenuta conclusione
degli interventi.
Rispetto alla scansione temporale indicata
il ricorrente (il quale è pacificamente
proprietario della porzione immobiliare
limitrofa, comprendente il mappale 93) non
poteva non avvedersi con immediatezza
dell’avvenuta realizzazione di un manufatto
con caratteristiche diverse da quelle
originarie, e con una destinazione d’uso
peculiare (ricettiva).
Ciononostante, egli
ha atteso diversi anni per proporre
impugnazione, mentre era suo onere gravare
gli atti abilitativi nel termine decadenziale dall’acquisita conoscenza.
Pertanto, il ricorso proposto contro i
titoli edilizi (n. 8) e le autorizzazioni
all’esercizio dell’attività (n. 2), a circa
7 anni dal rilascio dell’ultimo certificato
di agibilità, è irricevibile per tardività
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.01.2019 n. 70 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2018 |
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settembre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La controversia, derivante
dall’impugnazione di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle distanze legali,
costituisce una disputa non già tra privati, ma tra privato
e p.a., nella quale la posizione del primo –in correlazione
all’atto autoritativo abilitativo lesivo- si atteggia a
interesse legittimo, con conseguente spettanza della
giurisdizione al giudice amministrativo.
---------------
In materia edilizia, la vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con il terreno interessato
dall'intervento edilizio, è circostanza sufficiente a
comprovare la sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al
ricorrente allegare e provare di subire uno specifico
pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo.
---------------
6. Con il primo motivo d’appello, si deduce l’errore
di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure
nel respingere l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per
difetto di giurisdizione del TAR.
L’appellante deduce che nella specie si verserebbe in
ipotesi di una mera controversia fra proprietari confinanti,
avente a oggetto la violazione degli obblighi civilistici in
tema di distanze e di costruzioni in aderenza.
7. Il motivo è infondato.
7.1 Va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale
consolidato per il quale la controversia, derivante
dall’impugnazione di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle distanze legali,
costituisce una disputa non già tra privati, ma tra privato
e p.a., nella quale la posizione del primo –in correlazione
all’atto autoritativo abilitativo lesivo- si atteggia a
interesse legittimo, con conseguente spettanza della
giurisdizione al giudice amministrativo (cfr. Cass. civ.,
sez. un., 10.06.2004, nr. 11023; Cons. Stato, sez. IV,
06.07.2009, nr. 4300; Id., sez. V, 28.06.2004, nr. 4759; Id.,
sez. V, 13.01.2004, nr. 46).
8. Ad analoga conclusione deve giungersi sul secondo
motivo d’appello, che ripropone l’eccezione
d’inammissibilità per difetto di legittimazione attiva al
ricorso del ricorrente di primo grado, parte appellata.
8.1 In materia edilizia, la vicinitas, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento con il terreno
interessato dall'intervento edilizio, è circostanza
sufficiente a comprovare la sussistenza sia della
legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia
necessario al ricorrente allegare e provare di subire uno
specifico pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. VI, 06.03.2018, n. 1448).
8.2 Nel caso di specie la documentazione cartografica,
fotografica e progettuale –in particolare la relazione
tecnica del geom. Pa.– versata in atti attesta la vicinanza
e l'identità del contesto territoriale ed urbanistico fra
l’immobile del sig. Ma. e quello oggetto delle opere
contestate (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.09.2018 n. 5307 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso d'impugnazione del titolo
edilizio in sanatoria, il termine decorre dalla data in cui
si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva
già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in
sanatoria.
In conformità alla natura e alla modalità d’esecuzione delle
opere, in materia occorre tenere separato il regime
d’impugnazione del titolo edilizio “ordinario” da quello
applicabile al titolo edilizio “in sanatoria”.
Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal
completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia
materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento
in precedenza assentito; nel secondo caso, il termine
decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una
determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata
la concessione edilizia in sanatoria.
Pertanto, il termine d'impugnazione di un titolo in
sanatoria decorre dal momento in cui si conosca la
circostanza del rilascio del medesimo atto per una
determinata opera già esistente; la cui conoscenza deve
essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la
tardività dell'impugnazione.
---------------
9. Con il terzo motivo d’appello, si deduce l’errore
di diritto in cui sarebbe incorso il TAR nel respingere
l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado.
Limitatamente all’impugnazione dell’autorizzazione in
sanatoria n. 68 del 17.07.1998 ed agli annessi pareri
favorevoli della Soprintendenza, l’appellante ribadisce la
tardività dell’impugnazione.
10. Il motivo è infondato.
10.1 In caso d'impugnazione del titolo edilizio in
sanatoria, il termine decorre dalla data in cui si abbia
conoscenza che, per una determinata opera abusiva già
esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in
sanatoria.
10.2 In conformità alla natura e alla modalità d’esecuzione
delle opere, in materia occorre tenere separato il regime
d’impugnazione del titolo edilizio “ordinario” da
quello applicabile al titolo edilizio “in sanatoria”.
Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal
completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia
materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento
in precedenza assentito (cfr. fra le tante, Cons. St., Ad.
Plen., 29.07.2011, n. 15; Cons. St., sez. VI, 10.12.2010, n.
8705); nel secondo caso, il termine decorre dalla
data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata
opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la
concessione edilizia in sanatoria (cfr., Cons. Stato, sez.
VI, 27.12.2007, n. 6674).
10.3 Pertanto, in continuità all’indirizzo giurisprudenziale
consolidato, qui condiviso, il termine d'impugnazione di un
titolo in sanatoria decorre dal momento in cui si conosca la
circostanza del rilascio del medesimo atto per una
determinata opera già esistente; la cui conoscenza deve
essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la
tardività dell'impugnazione (cfr. Consiglio di Stato, sez.
V, 21.12.2004, n. 8147; sez. IV, 26.03.2013, n. 1699).
10.4 Nel caso di specie, la parte appellante non ha fornito
specifici elementi da cui si possa desumere la piena
conoscenza in una data rispetto alla quale il ricorso
originario risulterebbe tardivo (cfr., fra le tante, Cons.
Stato, sez. VI, 12.11.2003, n. 7258).
Viceversa, risulta che l’originario ricorrente si è attivato
nei termini richiesti dalla giurisprudenza (cfr. ad es.
Cons. di Stato, sez. IV, 21.01.2013, n. 322), impugnando
l’autorizzazione entro il termine di 60 giorni decorrente
dall’ostensione degli atti (avvenuta in data 18.03.2016), in
risposta all’istanza d’accesso formulata al Comune
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.09.2018 n. 5307 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Il solo criterio dello stabile collegamento
territoriale con il contesto nel quale è destinato a sorgere
l’intervento edilizio contestato non può essere considerato,
di per sé, dato sufficiente a dimostrare l’esistenza di un
concreto pregiudizio a carico di chi invoca l’annullamento
del titolo abilitativo, quanto meno in tutti i casi in cui la modifica
del preesistente assetto edilizio non si dimostri ictu oculi,
ovvero sulla scorta di sicure basi statistiche tratte
dall'esperienza, pregiudizievole per la qualità
(urbanistica, paesaggistica, ambientale) dell'area in cui
insiste la proprietà del ricorrente, ovvero sia suscettibile
di comportarne un deprezzamento commerciale.
Ed infatti, se
tali condizioni non si verificano, spetterà a chi agisce in
giudizio fornire la dimostrazione dei danni (o delle
potenziali lesioni) ricollegabili all'avversata struttura,
in quanto, se si volesse aderire a una diversa impostazione
e ritenere che i proprietari di immobili in zone confinanti
o limitrofe con quelle interessate da un permesso di
costruzione siano sempre legittimati ad impugnare i titoli
edilizi si giungerebbe ad “elevare un astratto interesse
alla legalità a criterio di legittimazione, senza che sia
necessario far valere un interesse giuridicamente protetto,
per tale via coniando (senza autorizzazione legislativa) una
sorta di azione popolare”.
Ancor più di recente, è stato osservato: “Il Collegio
ritiene di condividere l'affermata insufficienza del solo
requisito della vicinitas a radicare un concreto ed attuale
interesse all'impugnazione, pur senza pervenire alla
posizione diametralmente opposta che richiedendo la prova di
una lesione eccessivamente caratterizzata, si risolverebbe
nei fatti in una irragionevole limitazione degli ambiti di
tutela in materia edilizia. Ai fini della legittimazione ad
agire in presenza di abusi incombe, pertanto, sul
ricorrente/interventore la dimostrazione del duplice
requisito dello stabile collegamento con il luogo
dell'intervento che si afferma abusivo e la allegazione di
una lesione che non potrà essere riconosciuta come
sussistente solo in ragione del carattere abusivo dell'opera
realizzata ma che dovrà essere allegata (e comprovata) anche
se come solo eventuale o potenziale ma sulla base di
puntuali allegazioni”.
Del resto, si tratta di un orientamento avallato altresì in
occasione di molteplici arresti del Consiglio di Stato: “…la
sussistenza del requisito della mera vicinitas -in caso di
impugnazione di titoli edilizi- non costituisce elemento
sufficiente a comprovare la legittimazione a ricorrere e
l'interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva
dimostrazione di un danno che attingerebbe la posizione di
colui il quale insorge giudizialmente…il sistema così
disegnato è armonico rispetto alla disciplina disegnata
anche dal codice civile e dalle leggi speciali succedutesi:
a ben guardare, il vicino vede protetta la propria sfera
giuridica attraverso la inderogabile disciplina dettata in
materia di distanze; ma laddove ipotizzi in suo danno un
pregiudizio discendente da altre violazioni ha il dovere di
dedurlo e provarlo” con la conseguenza che “la
legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi
allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata
a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius,
siccome volti nella sostanza a contrastare la libera
concorrenza e la libertà di stabilimento”.
---------------
2. Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari
di inammissibilità del ricorso sollevate dal Comune
resistente e dalla società controinteressata, prendendo le
mosse da quella relativa alla carenza di interesse che
appare logicamente prioritaria.
Il Collegio ritiene che tale eccezione sia fondata, in
quanto l’impugnazione non risulta sostenuta da un interesse
concreto al ricorso, nel senso chiarito dalla più aggiornata
e condivisibile giurisprudenza.
Appare opportuno ripercorrere, seppur sinteticamente, le
coordinate ermeneutiche tracciate in proposito dai più
recenti arresti, per poi farne applicazione al caso
concreto.
Come noto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti,
il solo criterio dello stabile collegamento territoriale con
il contesto nel quale è destinato a sorgere l’intervento
edilizio contestato non può essere considerato, di per sé,
dato sufficiente a dimostrare l’esistenza di un concreto
pregiudizio a carico di chi invoca l’annullamento del titolo
abilitativo, quanto meno in tutti i casi in cui la modifica
del preesistente assetto edilizio non si dimostri ictu oculi,
ovvero sulla scorta di sicure basi statistiche tratte
dall'esperienza, pregiudizievole per la qualità
(urbanistica, paesaggistica, ambientale) dell'area in cui
insiste la proprietà del ricorrente, ovvero sia suscettibile
di comportarne un deprezzamento commerciale.
Ed infatti, se
tali condizioni non si verificano, spetterà a chi agisce in
giudizio fornire la dimostrazione dei danni (o delle
potenziali lesioni) ricollegabili all'avversata struttura,
in quanto, se si volesse aderire a una diversa impostazione
e ritenere che i proprietari di immobili in zone confinanti
o limitrofe con quelle interessate da un permesso di
costruzione siano sempre legittimati ad impugnare i titoli
edilizi si giungerebbe ad “elevare un astratto interesse
alla legalità a criterio di legittimazione, senza che sia
necessario far valere un interesse giuridicamente protetto,
per tale via coniando (senza autorizzazione legislativa) una
sorta di azione popolare” (in termini: Tar Lombardia,
Milano, Sez. II, 04.05.2015, n. 1081; Tar Veneto, Sez. II,
15.02.2018, n. 324).
Ancor più di recente, è stato osservato: “Il Collegio
ritiene di condividere l'affermata insufficienza del solo
requisito della vicinitas a radicare un concreto ed attuale
interesse all'impugnazione, pur senza pervenire alla
posizione diametralmente opposta che richiedendo la prova di
una lesione eccessivamente caratterizzata, si risolverebbe
nei fatti in una irragionevole limitazione degli ambiti di
tutela in materia edilizia. Ai fini della legittimazione ad
agire in presenza di abusi incombe, pertanto, sul
ricorrente/interventore la dimostrazione del duplice
requisito dello stabile collegamento con il luogo
dell'intervento che si afferma abusivo e la allegazione di
una lesione che non potrà essere riconosciuta come
sussistente solo in ragione del carattere abusivo dell'opera
realizzata ma che dovrà essere allegata (e comprovata) anche
se come solo eventuale o potenziale ma sulla base di
puntuali allegazioni” (Tar Campania, Salerno, Sez. I, 18.04.2018, nr. 755).
Del resto, si tratta di un orientamento avallato altresì in
occasione di molteplici arresti del Consiglio di Stato: “…la
sussistenza del requisito della mera vicinitas -in caso di
impugnazione di titoli edilizi- non costituisce elemento
sufficiente a comprovare la legittimazione a ricorrere e
l'interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva
dimostrazione di un danno che attingerebbe la posizione di
colui il quale insorge giudizialmente…il sistema così
disegnato è armonico rispetto alla disciplina disegnata
anche dal codice civile e dalle leggi speciali succedutesi:
a ben guardare, il vicino vede protetta la propria sfera
giuridica attraverso la inderogabile disciplina dettata in
materia di distanze; ma laddove ipotizzi in suo danno un
pregiudizio discendente da altre violazioni ha il dovere di
dedurlo e provarlo” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 15.12.2017, n. 5908) con la conseguenza che “la
legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi
allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata
a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius,
siccome volti nella sostanza a contrastare la libera
concorrenza e la libertà di stabilimento” (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. V, 22.11.2017, n. 5442) (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 04.09.2018 n. 873 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In quanto proprietari confinanti con l’erigendo
fabbricato e soggetti direttamente interessati
dall’approvazione del progetto, il termie di impugnazione
decorre dalla data di comunicazione o di effettiva piena
conoscenza del provvedimento ritenuto lesivo, e non dalla
data di pubblicazione del provvedimento medesimo nelle forme
di legge.
Va, al riguardo, data continuità all’indirizzo
giurisprudenziale qui condiviso a mente del quale “il
termine per l’impugnazione di un atto amministrativo per il
quale non vi è stata la notificazione o comunicazione
decorre dalla piena conoscenza dello stesso da parte
dell’interessato".
La “piena conoscenza” coincide con la percezione
dell’esistenza del provvedimento amministrativo e degli
aspetti che ne rendono evidenti la lesività della sfera
giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere
percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di
esso.
La consapevolezza dell’esistenza del provvedimento
unitamente alla sua lesività integra infatti la sussistenza
di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni
ostacolo all’impugnazione dell’atto, determinandosi in tal
modo la piena conoscenza indicata dalla norma.
---------------
Le eccezioni sono infondate.
In quanto proprietari confinanti con l’erigendo fabbricato e
soggetti direttamente interessati dall’approvazione del
progetto, il termie di impugnazione decorre dalla data di
comunicazione o di effettiva piena conoscenza del
provvedimento ritenuto lesivo, e non –come suppone il
Comune– dalla data di pubblicazione del provvedimento
medesimo nelle forme di legge.
Va, al riguardo, data continuità all’indirizzo
giurisprudenziale qui condiviso a mente del quale “il
termine per l’impugnazione di un atto amministrativo per il
quale non vi è stata la notificazione o comunicazione
decorre dalla piena conoscenza dello stesso da parte
dell’interessato".
La “piena conoscenza” coincide con la percezione
dell’esistenza del provvedimento amministrativo e degli
aspetti che ne rendono evidenti la lesività della sfera
giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere
percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di
esso.
La consapevolezza dell’esistenza del provvedimento
unitamente alla sua lesività integra infatti la sussistenza
di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni
ostacolo all’impugnazione dell’atto, determinandosi in tal
modo la piena conoscenza indicata dalla norma (cfr., fra le
tante, Cons. Stato, sez. IV, 08.09.2016 n 3825).
Alla medesima conclusione deve giungersi sull’eccezione di
inammissibilità per omessa notificazione all’Agenzia del
Demanio.
L’acquisizione dell’opera al patrimonio del demanio è evento
successivo alla realizzazione e, ovviamente,
all’approvazione del progetto: sicché l’Agenzia al momento
della notificazione del ricorso avverso la delibera
d’approvazione del progetto non era legittimata passiva del
gravame.
Aggiungasi che i ricorrenti, una volta venuti a conoscenza
per il deposito degli atti della successiva acquisizione al
patrimonio del Demanio, hanno tempestivamente impugnato gli
atti ad essa riferibili con motivi aggiunti ritualmente
notificati a tutte le Amministrazioni interessate (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.08.2018 n. 5071 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In linea
generale non sussiste, ai sensi dell’art. 7 della L.
241/1990, l’obbligo di notiziare dell’attivazione del
procedimento per il rilascio del titolo edilizio i soggetti
viciniori dell’istante i quali, pur essendo legittimati
all’impugnazione, non rivestono nemmeno la qualifica di
controinteressati in senso tecnico.
Invero, è stato precisato che "ove sia stata proposta una
domanda di concessione edilizia, il vicino del richiedente o
il soggetto legittimato possono intervenire nel procedimento
ed impugnare il provvedimento che accoglie l'istanza, ma non
hanno titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento".
E’ stato altresì puntualizzato che i vicini non sono
annoverabili tra i soggetti destinatari della comunicazione
ex art. 7 della L. 241/1990, pur quando si tratti di
soggetti che si siano in precedenza opposti all’attività
edilizia del proprietario confinante, giacché l’estensione
ad essi della predetta informativa comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi di economicità e
di efficienza dell’attività amministrativa.
Certamente, il principio generale appena illustrato può
subire eccezioni per la specificità e peculiarità della
vicenda dalla quale trae giustificazione l’affermazione
dell’obbligo comunicativo, come ad esempio nel caso della
natura abusiva di un manufatto oggetto di condono –accertata
da un giudicato amministrativo– che il Comune avrebbe dovuto
demolire.
Ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990, la notizia
dell’impulso dato al procedimento deve pervenire ai soggetti
nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono
intervenirvi, nonché ai soggetti individuati o facilmente
individuabili –diversi dai primi– ai quali possa derivare un
pregiudizio dallo stesso provvedimento.
---------------
La Società ricorrente censura il provvedimento comunale
18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in
sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto
e di un balcone.
...
1. Il primo motivo non è suscettibile di positivo
apprezzamento.
1.1 In linea generale non sussiste, ai sensi dell’art. 7
della L. 241/1990, l’obbligo di notiziare dell’attivazione
del procedimento per il rilascio del titolo edilizio i
soggetti viciniori dell’istante i quali, pur essendo
legittimati all’impugnazione, non rivestono nemmeno la
qualifica di controinteressati in senso tecnico (Consiglio
di Stato, sez. IV – 20/07/2017 n. 3573, che richiama sez. VI
– 10/04/2014 n. 1718, con la quale aveva precisato che, ove
sia stata proposta una domanda di concessione edilizia, il
vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono
intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento
che accoglie l'istanza, ma non hanno titolo a ricevere
l'avviso di avvio del procedimento; si veda nello stesso
senso TAR Piemonte – sez. II – 26/02/2016 n. 230).
E’ stato altresì puntualizzato che i vicini non sono
annoverabili tra i soggetti destinatari della comunicazione
ex art. 7 della L. 241/1990, pur quando si tratti di
soggetti che si siano in precedenza opposti all’attività
edilizia del proprietario confinante, giacché l’estensione
ad essi della predetta informativa comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi di economicità e
di efficienza dell’attività amministrativa (cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II – 21/03/2017 n. 497; TAR Emilia
Romagna-Parma – 04/04/2017 n. 127; TAR Lombardia Milano,
sez. II – 14/06/2017 n. 1348; TAR Emilia Romagna-Bologna,
sez. I – 02/11/2017 n. 722).
1.2 Certamente, il principio generale appena illustrato può
subire eccezioni per la specificità e peculiarità della
vicenda dalla quale trae giustificazione l’affermazione
dell’obbligo comunicativo, come ad esempio nel caso della
natura abusiva di un manufatto oggetto di condono –accertata
da un giudicato amministrativo– che il Comune avrebbe dovuto
demolire (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 07/08/2015 n.
3891).
1.3 Ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990, la notizia
dell’impulso dato al procedimento deve pervenire ai soggetti
nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono
intervenirvi, nonché ai soggetti individuati o facilmente
individuabili –diversi dai primi– ai quali possa derivare un
pregiudizio dallo stesso provvedimento.
Questo Collegio non ritiene che, nel caso di specie, dalle
note depositate dalla ricorrente il 29/08/2014 e il
13/02/2015 potessero evincersi chiaramente e univocamente
gli effetti dannosi provocati dalle opere nei suoi
confronti: in occasione delle due segnalazioni/istanze di
accesso, -OMISSIS- non ha fornito sufficienti indicazioni
sul punto, avendo fatto riferimento ai lavori in corso (sui
quali non aveva dato la necessaria autorizzazione in quanto
comproprietaria della copertura), al pericolo di caduta di
materiale e alla necessità di verificare il rispetto delle
NTA su distanze, altezze e sicurezza.
Appare insufficiente la generica deduzione di una
violazione afferente a interessi pur rilevanti, che non dà
conto della rilevante incisione su beni giuridici di
appartenenza (e l’effettività e la concretezza dei
pregiudizi sono state adeguatamente rappresentate soltanto
con la proposizione del ricorso) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2017 |
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settembre 2017 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Sul
termine di impugnazione della sentenza di I grado non
notificata.
Secondo
la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, “Nel caso in cui la sentenza di primo grado non sia
stata notificata, l'appello può essere proposto entro e non
oltre il termine lungo divisato dall'art. 327 c.p.c., non
potendo trovare applicazione l'art. 36, comma 1, t.u. Cons.
St., che fa decorrere il termine per la notificazione
dell'impugnazione, alternativamente dalla notificazione
della decisione amministrativa ovvero dalla data in cui
risulti che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza; tale
disposizione, che in origine disciplinava le modalità di
proposizione del ricorso al Consiglio di Stato quale giudice
di unico grado, è superata da quella sancita dall'art. 28,
comma 2, l. 06.12.1971 n. 1034, che fa riferimento
espresso alla sola notificazione della sentenza di primo
grado ed implicito, secondo l'unanime giurisprudenza, al
decorso del termine lungo in base al richiamato art. 327 c.p.c.”.
In senso conforme, in epoca anche più risalente: “In mancanza della notificazione della sentenza di primo
grado è applicabile al ricorso in appello al Consiglio di
Stato il termine di un anno dalla pubblicazione della
sentenza medesima di cui all'art. 327 c.p.c.”.
---------------
1. La presente controversia riguarda l’impugnazione, da
parte del signor Gr.Sa., del provvedimento n. 263
del 26.10.1993 con cui il Sindaco del comune di Bollate
(ora comune di Baranzate) gli ha ingiunto la demolizione
delle seguenti opere: due scale in metallo, la
pavimentazione in piastrelle di un terrazzo e la
pavimentazione in calcestruzzo di un piazzale in ghiaia.
2. Il Tar per la Lombardia, sede di Milano, Sezione II, con
la sentenza n. 3226 del 05.07.2005 ha:
a) dichiarato improcedibile il ricorso limitatamente
all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione nella parte
relativa alle scale per intervenuta concessione in
sanatoria;
b) respinto per il resto, nel merito, il ricorso;
c) compensato tra le parti le spese di lite.
3. Il signor Gr.Sa. ha impugnato la sentenza
limitatamente al capo d’interesse, ovvero nella parte in cui
ha respinto il ricorso di primo grado avverso l’ingiunzione
di demolizione delle opere di pavimentazione di cui in
epigrafe.
4. Il Comune di Bollate, dapprincipio, non si è costituito.
5. All’udienza pubblica del 19.01.2017 la causa è stata
discussa e trattenuta in decisione.
6. Il Collegio, tuttavia, rilevata d’ufficio ai sensi
dell’art. 73, comma 3, ultimo alinea, c.p.a. l’esistenza di
una questione da porre a fondamento della decisione, ha
riservato la stessa assegnando alle parti termine per il
deposito di memorie (ordinanza n. 252/2017).
7. Il signor Gr.Sa. ha depositato la memoria
difensiva in data 12.04.2017; il comune di Bollate (ora
comune di Baranzate) nella medesima data del 16.02.2017 ha provveduto a depositare l’atto di costituzione in
giudizio (chiedendo pronunciarsi l’irricevibilità o
l’infondatezza, nel merito, dell’avverso appello, vinte le
spese di lite), la memoria difensiva autorizzata ai sensi
dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e alcuni documenti. Soltanto il
comune di Bollate ha replicato con memoria del 20.04.2017.
8. Alla nuova udienza pubblica del 18.05.2017 la causa è
stata discussa e trattenuta per la decisione.
9. Si impone al Collegio la declaratoria di irricevibilità
dell’appello per la tardività della notificazione ai sensi
dell’art. 35, comma 1, lett. a), c.p.a..
9.1. Il Tar per la Lombardia, sede di Milano, Sezione II, ha
pronunciato la sentenza n. 3226 in data 05.07.2005.
9.2. La sentenza non risulta essere stata notificata, sicché
l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro il
termine di un anno dalla pubblicazione della medesima, oltre
all’eventuale periodo di sospensione feriale dei termini di
cui all’art. 1 della legge n. 742 del 1969 (all’epoca -prima della modifica intervenuta a far data dal
01.01.2015 ad opera dell’art. 16 della legge n. 162 del 2014- dal
01 agosto al 15 settembre, per un numero complessivo pari a
giorni 46).
9.3. Nel caso di specie, l’atto di appello è stato portato
alla notificazione soltanto in data 18.10.2006, oltre
quindi il termine consentito, il quale veniva a scadere il
giorno 05.10.2006.
9.4. La Difesa dell’appellante chiede la concessione
dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a., con
conseguente rimessione in termini, adducendo difficoltà di
calcolo involgenti modalità di computo complesse e dubbi
interpretativi circa il contenuto delle norme di
riferimento, soprattutto quelle relative alla sospensione
dei termini durante il periodo feriale.
9.5. L’assunto non può essere condiviso.
9.5.1. Secondo la pacifica giurisprudenza del Consiglio di
Stato, “Nel caso in cui la sentenza di primo grado non sia
stata notificata, l'appello può essere proposto entro e non
oltre il termine lungo divisato dall'art. 327 c.p.c., non
potendo trovare applicazione l'art. 36, comma 1, t.u. Cons.
St., che fa decorrere il termine per la notificazione
dell'impugnazione, alternativamente dalla notificazione
della decisione amministrativa ovvero dalla data in cui
risulti che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza; tale
disposizione, che in origine disciplinava le modalità di
proposizione del ricorso al Consiglio di Stato quale giudice
di unico grado, è superata da quella sancita dall'art. 28,
comma 2, l. 06.12.1971 n. 1034, che fa riferimento
espresso alla sola notificazione della sentenza di primo
grado ed implicito, secondo l'unanime giurisprudenza, al
decorso del termine lungo in base al richiamato art. 327 c.p.c.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2001, n.
6192).
In senso conforme, in epoca anche più risalente,
Consiglio di Stato, sez. IV, 02.06.1981, n. 430, secondo
cui “In mancanza della notificazione della sentenza di primo
grado è applicabile al ricorso in appello al Consiglio di
Stato il termine di un anno dalla pubblicazione della
sentenza medesima di cui all'art. 327 c.p.c.”.
9.5.2. Alla luce dei suddetti arresti giurisprudenziali,
pertanto, non possono ravvisarsi le invocate oggettive
ragioni di incertezza interpretativa: la questione di
diritto è stata affrontata funditus da questo Consiglio di
Stato, già in epoca risalente, e mantenuta costante, nella
formulazione del principio di diritto, senza contrasti o
revirement giurisprudenziali.
Né, del resto, risulta essere stata altrimenti addotta (e
documentata), dalla parte istante, l’esistenza dell’altra
(alternativa) ragione di concessione della rimessione in
termini per errore scusabile, ovvero il grave impedimento di
fatto.
10. L’appello, pertanto, va dichiarato irricevibile
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.09.2017 n. 4325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di
risarcimento del danno, "il soggetto
legittimato all'azione civile è il danneggiato che non
necessariamente si identifica con il
soggetto passivo del reato in senso stretto, ma è chiunque
abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione o all'omissione del
soggetto attivo del reato (fattispecie
relativa a vicino di casa parte civile in processo per abuso
edilizio".
In particolare, il proprietario confinante è legittimato a
costituirsi parte civile nei
procedimenti penali aventi ad oggetto abusi edilizi non
soltanto quando siano violate le norme
civilistiche che stabiliscono le distanze nelle costruzioni
(art. 873 cod. civ.), ma anche nel caso di
inosservanza delle regole da osservarsi nelle costruzioni
(art. 872 cod. civ.);
vale a dire quando la
realizzazione dell'abuso edilizio violi
non solo le norme, poste a tutela del regolare assetto del
territorio, ma anche le norme
civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema
di distanze, volumetria ed altezza delle
costruzioni, essendo in tal caso ipotizzabile un danno
patrimoniale che dà luogo all'azione di
risarcimento del danno.
E' stato sottolineato che colui che edifica
nei modi consentiti è immune da responsabilità nei confronti
dei vicini; "le conseguenze sono
diverse, invece, se la edificazione sia avvenuta in
contrasto con la disciplina concernente
l'assetto del territorio: vale a dire se le norme relative
all'edilizia, in funzione della tutela degli
interessi generali ad un ordinato regime urbanistico e
territoriale, quali le limitazioni del
volume, dell'altezza, della densità degli edifici, le
esigenze dell'igiene e della viabilità, la
conservazione dell'ambiente o la tutela delle bellezze
naturali garantiscono (sia pure
indirettamente) il vantaggio del panorama e, implicitamente,
vietano che il panorama sia
diminuito od escluso dalle nuove costruzioni. Da siffatte
norme dettate nell'interesse pubblico,
anche gli interessi privati vengono a beneficiare. La
concezione tradizionale, secondo cui le
norme urbanistiche, in favore dei privati avvantaggiati,
danno luogo ad una situazione di
interesse legittimo e dalla lesione di un interesse
legittimo non ha origine il diritto al
risarcimento del danno, risulta superata dal disposto
testuale dell'art. 872, comma 2, cod. civ.,
da cui scaturisce un diritto soggettivo perfetto,
indipendentemente dal fatto che le norme
urbanistiche richiamate siano o non integrative del codice
civile....".
Sicché "La violazione delle
norme di edilizia e di tutela ambientale contenute negli
strumenti urbanistici ... è fonte di
responsabilità risarcitoria nei confronti dei privati
confinanti, dovendosi ravvisare nei loro confronti un danno
oggettivo o "in re ipsa": tale danno non consiste solo nel
deprezzamento
commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di
esso (aspetti che vengono superati
dalla tutela ripristinatoria) ma anche dalla indebita
limitazione del pieno godimento del fondo
in termini di diminuzione di amenità, comodità e
tranquillità, trattandosi di effetti
pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione
patrimoniale.
---------------
4. In ordine alla dedotta mancata indicazione nell'atto di
costituzione di parte civile della causa petendi e del
petitum (terzo motivo di ricorso),
l'eccezione era stata già proposta in
primo grado.
Il Tribunale, con ordinanza del 05/11/2009, aveva ammesso la
parte civile, respingendo le
eccezioni difensive, dal momento che l'atto di costituzione
conteneva "gli elementi essenziali e
sufficienti per individuare, non solo l'entità della pretesa
risarcitoria, ma anche i presupposti
della stessa: la persona offesa asserisce di essere
comproprietaria di un fondo confinante -la
circostanza non è contestata-; l'imputazione riguarda un
asserito ampliamento di volume con
sopraelevazione".
La Corte territoriale, richiamando le statuizioni sul punto
del Tribunale, ha ribadito che la
costituzione della parte civile era perfettamente
ammissibile.
I Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei
principi più volte affermati, in
proposito, da questa Corte, secondo cui, in tema di
costituzione di parte civile, l'indicazione
delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è
funzionale esclusivamente
all'individuazione della pretesa fatta valere in giudizio
non essendo necessaria un'esposizione
analitica della "causa petendi", sicché per soddisfare i
requisiti di cui all'art. 78 lett. d),
cod. proc. pen., è sufficiente il mero richiamo al capo di
imputazione descrittivo del fatto,
allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa
risarcitoria azionata risulti con
immediatezza (tra le altre: Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014,
Coccia, Rv. 260325; sez. 5 n. 22034
del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500).
Nell'atto di costituzione di parte civile (venendo eccepita
una nullità è consentito l'accesso
agli atti) erano riportate integralmente le imputazioni
dalle quali emergeva chiaramente, come
si è visto in precedenza, una falsa rappresentazione dello
stato dei luoghi, al fine, di consentire
un incremento volumetrico (sopraelevazione) del fabbricato
preesistente; inoltre il Cu. si
dichiarava comproprietario, unitamente al figlio Giacomo, di
una casa per abitazione, con
terreno, posta al confine del fabbricato di proprietà dei
geom. Ma. e Si., per il quale era
stata presentata la DIA con una falsa rappresentazione dello
stato dei luoghi, realizzando così
"un'opera edilizia abusiva che lede i diritti del comparente
quale comproprietario del fondo
limitrofo".
Il Cu. chiedeva, quindi, avendone titolo per i motivi
prima indicati, di costituirsi in
giudizio per ottenere il risarcimento del danno-patrimoniale
ed extrapatrimoniale- subito a
seguito dell'attività illecita posta in essere dagli
imputati.
Risultava, pertanto, sufficientemente chiaro dall'atto di
costituzione, emergendo dalla
esposizione e dal contenuto stesso delle imputazioni, che il Cu. assumeva di essere stato
danneggiato dalla sopraelevazione dl fabbricato, confinante
con la sua proprietà, eseguita
attraverso la presentazione di una DIA in cui era stato
rappresentato falsamente lo stato
originario del fabbricato medesimo (in modo cioè da farlo
apparire come avente la stessa
altezza sui lati nord e sud e comunque una altezza maggiore
rispetto al fabbricato confinante).
Lamentava, cioè, il Cu., quale proprietario del fondo
confinante di essere stato
danneggiato dalla condotta illecita (sopraelevazione con
incremento volumetrico del fabbricato
preesistente) posta in essere dagli imputati (causa petendi)
e chiedeva, pertanto di essere
risarcito dai danni subiti per effetto di siffatta condotta
(petitum).
5. Altrettanto correttamente i Giudici di merito hanno
condannato gli imputati al risarcimento
dei danni in favore della costituita parte civile, da
liquidarsi in separata sede.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di
risarcimento del danno, "il soggetto
legittimato all'azione civile è il danneggiato che non
necessariamente si identifica con il
soggetto passivo del reato in senso stretto, ma è chiunque
abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione o all'omissione del
soggetto attivo del reato (fattispecie
relativa a vicino di casa parte civile in processo per abuso
edilizio" -cfr. Cass. sez. V n. 5613
dell'11.04.2000-Toscano).
In particolare, il proprietario confinante è legittimato a
costituirsi parte civile nei
procedimenti penali aventi ad oggetto abusi edilizi non
soltanto quando siano violate le norme
civilistiche che stabiliscono le distanze nelle costruzioni
(art. 873 cod. civ.), ma anche nel caso di
inosservanza delle regole da osservarsi nelle costruzioni
(art. 872 cod. civ.) - (sez. 3 n. 45285 del
21/10/2009), Vespa, Rv. 245270); vale a dire quando la
realizzazione dell'abuso edilizio violi
non solo le norme, poste a tutela del regolare assetto del
territorio, ma anche le norme
civilistiche, quali i limiti al diritto di proprietà in tema
di distanze, volumetria ed altezza delle
costruzioni, essendo in tal caso ipotizzabile un danno
patrimoniale che dà luogo all'azione di
risarcimento del danno (sez. 3 n. 10106 del 21/01/2016, Torzini, Rv. 266290; sez. 3 n. 21222
del 04/04/2008, Chianese, Rv. 240044).
E' stato sottolineato (sez. F. del 31/07/2008, Valente, non
massimata) che colui che edifica
nei modi consentiti è immune da responsabilità nei confronti
dei vicini; "le conseguenze sono
diverse, invece, se la edificazione sia avvenuta in
contrasto con la disciplina concernente
l'assetto del territorio: vale a dire se le norme relative
all'edilizia, in funzione della tutela degli
interessi generali ad un ordinato regime urbanistico e
territoriale, quali le limitazioni del
volume, dell'altezza, della densità degli edifici, le
esigenze dell'igiene e della viabilità, la
conservazione dell'ambiente o la tutela delle bellezze
naturali garantiscono (sia pure
indirettamente) il vantaggio del panorama e, implicitamente,
vietano che il panorama sia
diminuito od escluso dalle nuove costruzioni. Da siffatte
norme dettate nell'interesse pubblico,
anche gli interessi privati vengono a beneficiare. La
concezione tradizionale, secondo cui le
norme urbanistiche, in favore dei privati avvantaggiati,
danno luogo ad una situazione di
interesse legittimo e dalla lesione di un interesse
legittimo non ha origine il diritto al
risarcimento del danno, risulta superata dal disposto
testuale dell'art. 872, comma 2, cod. civ.,
da cui scaturisce un diritto soggettivo perfetto,
indipendentemente dal fatto che le norme
urbanistiche richiamate siano o non integrative del codice
civile....".
Sicché "La violazione delle
norme di edilizia e di tutela ambientale contenute negli
strumenti urbanistici ... è fonte di
responsabilità risarcitoria nei confronti dei privati
confinanti, dovendosi ravvisare nei loro confronti un danno
oggettivo o "in re ipsa": tale danno non consiste solo nel
deprezzamento
commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di
esso (aspetti che vengono superati
dalla tutela ripristinatoria) ma anche dalla indebita
limitazione del pieno godimento del fondo
in termini di diminuzione di amenità, comodità e
tranquillità, trattandosi di effetti
pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione
patrimoniale (Sez. 2, 17.05.2000,
n. 6414)".
Per la costituzione di parte civile del proprietario
confinante nei procedimenti penali aventi ad
oggetto abusi edilizi si è positivamente espressa anche la
Corte europea dei diritti dell'uomo
(17.07.2007, c. 6970/03, Vitello).
Tanto premesso è indubitabile che dall'abuso edilizio, posto
in essere dagli imputati, possa
essere derivato, attraverso la sopraelevazione dell'immobile
preesistente, un danno alla
proprietà confinante sotto il profilo della compressione del
diritto al pieno godimento della
stessa in termini di visuale ed areazione.
Infine, ineccepibilmente, ha ricordato la Corte di merito
che la condanna generica al
risarcimento del danno postula per il suo accoglimento
l'accertamento di un fatto da ritenersi,
alla stregua di un giudizio di probabilità, anche solo
potenzialmente produttivo di conseguenze
dannose.
E' onere della parte civile dare, poi, la prova, nel
separato e susseguente giudizio civile, della
sussistenza in concreto del danno e del suo ammontare.
6. La manifesta infondatezza del ricorso non consentendo
l'instaurazione di un valido
rapporto processuale, preclude la possibilità di rilevare la
prescrizione, maturata dopo la
sentenza impugnata.
Gli stessi ricorrenti rilevano che, risultando il reato
commesso in data 25/05/2007 (data di
presentazione della DIA), il termine massimo di prescrizione
sarebbe maturato il 25/11/2014
(la sentenza della Corte di Appello è stata emessa in data
25/09/2014 e quindi prima del
maturare di detto termine).
In ogni caso, non avrebbero potuto venir meno le statuizioni
civili: l'art. 578 cod. proc. pen.
prevede infatti che, ove nei confronti dell'imputato sia
stata pronunciata condanna anche
generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni, il
giudice di appello e la Corte di
cassazione, nel dichiarare la prescrizione, debbano decidere
sugli effetti civili.
7. Va, infine, rilevato che l'omessa espressa revoca
dell'ordine di demolizione da parte della
Corte di Appello, che ha dichiarato estinto per prescrizione
il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. 380 del 2001, al quale detto ordine era "collegato",
non comporta alcun vizio della
sentenza.
Invero, l'estinzione del reato di costruzione abusiva per
prescrizione travolge l'ordine di
demolizione dell'opera , indipendentemente da una espressa
statuizione di revoca, atteso che
tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorìo
che trova la propria giustificazione
nella accessorietà alla sentenza di condanna. La revoca
dell'ordine si produce, cioè, ex lege, a
prescindere da una esplicita statuizione di revoca (Sez. 3
n. 756 del 02/12/2010, Sicignano, Rv.
249154; sez. 3 n. 10209 del 02/02/2006, Cirillo, Rv. 233673;
sez. 3 n. 3099 del 06/10/2000,
Bifulco, Rv. 217853)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.03.2017 n. 11051). |
ANNO 2016 |
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marzo 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Il Collegio, al fine di verificare la sussistenza
dell’interesse ad agire, ritiene necessario focalizzare le
due condizioni dell’azioni (legittimazione ad
agire ed interesse ad agire) alla luce degli arresti
della giurisprudenza amministrativa in materia di
impugnazione di piani di governo del territorio.
Secondo un preciso orientamento la legittimazione ad
impugnare va riconosciuta ai proprietari di fondi confinanti
con l'area interessata ad un intervento edilizio in ragione
della semplice "vicinitas", trovandosi, il terzo in una
situazione di stabile collegamento con la zona interessata
dall'edificazione, senza che sia necessario dimostrare
ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato
alla tutela giurisdizionale, giacché tale situazione vale a
differenziare una posizione di interesse qualificato
rispetto al "quisque de populo".
La citata giurisprudenza è stata integrata da pronunce che
contemperano il criterio della “vicinitas” con quello
dell'interesse ad agire, affermandosi che la legittimazione
attiva sussiste ogni qual volta le previsioni del piano
territoriale, pur concernenti un'area non di appartenenza
del ricorrente, incidano negativamente sul bene di proprietà
o in godimento del vicino sì da comprometterne la fruizione
o il valore.
Così, si è detto, occorre che dall'approvazione e
dall'esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al
ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai
molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua
sfera giuridica.
Ai fini del radicamento delle condizioni dell’azione è
necessario che per i vicini si verifichi una specifica
lesione alla loro sfera giuridica, che si concretizza e si
attualizza immediatamente -e quindi a prescindere dalla
richiesta e dal rilascio del titolo edilizio- nella
sussistenza di un pregiudizio di natura economico
patrimoniale comunque derivante per il bene.
---------------
1.- Oggetto principale del presente giudizio sono i
provvedimenti con i quali il Comune di Castel di Sangro, in
accoglimento delle istanza delle cooperative
controinteressate, ha approvato una variante al P.E.E.P.
approvato nel 1995.
I ricorrenti, quali assegnatari di una porzione del lotto U6
del P.E.E.P. lamentano che l’invocata variante arrecherebbe
un pregiudizio alle potenzialità edificatorie del lotto loro
assegnato e ancora da edificare, in termini di riduzione di
dimensioni, volumetria e superficie coperta realizzabile.
2.- In via preliminare, il ricorso va dichiarato in parte
improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse nei
confronti del ricorrente Sa.Pe., il quale ha dichiarato di
non avere più interesse alla decisione del ricorso nel
merito, per aver effettuato la cessione volontaria al Comune
della quota di proprietà delle particelle 1077, 1078 e 1079
e per aver raggiunto con l’ente locale un accordo
transattivo.
In simili casi, non avendo né il potere di procedere
d’ufficio né quello di sostituirsi al ricorrente nella
valutazione dell’interesse ad agire, il giudice è tenuto
alla declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse (v., ex multis,
Cons. giust. amm. Reg. Sic. 05.09.2008 n. 708).
3.- Con riferimento agli altri ricorrenti, il Collegio, al
fine di verificare la sussistenza dell’interesse ad agire,
ritiene necessario focalizzare le due condizioni
dell’azioni (legittimazione ad agire ed
interesse ad agire) alla luce degli arresti della
giurisprudenza amministrativa in materia di impugnazione di
piani di governo del territorio.
Secondo un preciso orientamento la legittimazione ad
impugnare va riconosciuta ai proprietari di fondi confinanti
con l'area interessata ad un intervento edilizio in ragione
della semplice "vicinitas", trovandosi, il terzo in
una situazione di stabile collegamento con la zona
interessata dall'edificazione, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse
qualificato alla tutela giurisdizionale, giacché tale
situazione vale a differenziare una posizione di interesse
qualificato rispetto al "quisque de populo" (Cons.
Stato Sez. VI 26.07.2001 n. 4123; idem 15.06.2010 n. 3744;
Cons. Stato Sez. V 07.05.2008 n. 2086; Cons. Stato Sez. IV
17.09.2012 n. 4926; idem 30.11.2009 n. 7491; 16.03.2010 n.
1535; 20.05.2004 n. 3263).
La citata giurisprudenza è stata integrata da pronunce che
contemperano il criterio della “vicinitas” con quello
dell'interesse ad agire, affermandosi che la legittimazione
attiva sussiste ogni qual volta le previsioni del piano
territoriale, pur concernenti un'area non di appartenenza
del ricorrente, incidano negativamente sul bene di proprietà
o in godimento del vicino sì da comprometterne la fruizione
o il valore.
Così, si è detto, occorre che dall'approvazione e
dall'esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al
ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai
molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua
sfera giuridica (Cons. Stato Sez. IV 24.12.2007 n. 6619;
22.06.2006 n. 3947; idem 10.06.2004 n. 3755; 05.09.2003 n.
4980; 09.11.2010 n. 8364).
Ai fini del radicamento delle condizioni dell’azione è
necessario che per i vicini si verifichi una specifica
lesione alla loro sfera giuridica, che si concretizza e si
attualizza immediatamente -e quindi a prescindere dalla
richiesta e dal rilascio del titolo edilizio- nella
sussistenza di un pregiudizio di natura economico
patrimoniale comunque derivante per il bene
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 23.03.2016 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2015 |
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novembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Chi
può impugnare il permesso di costruire?
Impugnare il permesso di costruire: il Consiglio di Stato
chiarisce che oltre al proprietario confinante può farlo
anche un operatore economico che risulti realmente
danneggiato.
Il Consiglio di Stato con la
sentenza 19.11.2015 n. 5278
fornisce ulteriori indicazioni su chi è legittimato a
impugnare il permesso di costruire e sul concetto di “vicinitas”
.
Nel caso in esame, il titolare di una struttura alberghiera
impugna il permesso di costruire con cui una società aveva
ottenuto l’autorizzazione a riqualificare un vicino
complesso industriale dismesso, attraverso la demolizione e
realizzazione di 3 nuovi edifici, uno dei quali destinato ad
uso turistico-alberghiero.
Ritenendo detto permesso illegittimo e soprattutto lesivo
dei propri interessi (la costruzione di un nuovo albergo
nelle vicinanze lo avrebbe danneggiato), il titolare
dell’attività avanza ricorso al Tar Abruzzo chiedendo
l’annullamento del titolo edilizio.
Sia il Comune che parte resistente sostengono, tra le altre
cose, l’illegittimità a procedere da parte del ricorrente.
Il Tar, respingendo le eccezioni sollevate dal Comune e
dalla società titolare del permesso di costruire, accoglie
il ricorso e annulla il permesso di costruire.
La società resistente e il Comune ricorrono a loro volta al
Consiglio di Stato che accoglie il ricorso.
Il Consiglio di Stato si sofferma sulla nozione di “vicinitas”:
ad impugnare il permesso di costruire può essere il
proprietario di un immobile confinante, adiacente o
prospiciente su quell’oggetto dell’intervento assentito
oppure da altri soggetti che si trovano in una situazione di
“stabile collegamento” con la zona.
Nel corso degli anni il concetto di “vicinitas” si è
via via affinato, fino a riconoscere una più ampia platea di
soggetti abilitati al ricorso: anche agli operatori
economici è consentito far ricorso contro un permesso di
costruire cui è correlata un’autorizzazione commerciale, a
condizione che siano in grado di dimostrare che l’intervento
autorizzato comporterebbe una lesione dei loro diritti.
L’impugnazione del permesso di costruire non deve essere un
modo per ostacolare la concorrenza e la libertà di
stabilimento e deve essere supportata da valide motivazioni
da valutare caso per caso.
Se il nuovo insediamento commerciale serve in tutto o in
parte lo stesso bacino di clientela circoscrivibile in un
determinato ambito spaziale, può rappresentare un danno per
l’operatore alberghiero già presente; se, invece, il bacino
di clientela non è facilmente determinabile, il ricorso deve
essere considerato come un tentativo di porre limiti alla
libera concorrenza.
Nel caso in esame, quindi, in base a una serie di
considerazioni, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso e
conferma la validità del permesso di costruire (commento
tratto da www.acca.it).
---------------
MASSIMA
3. Osserva in via preliminare il collegio, in coerenza
con la costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da
ultimo e per tutte Ad. Plen. 25.02.2014 n. 9), come l'azione
di annullamento davanti al giudice amministrativo sia
soggetta a tre condizioni fondamentali: il c.d.
titolo o possibilità giuridica dell'azione (cioè la
posizione giuridica configurabile in astratto da una norma
come di interesse legittimo, ovvero come altri dice la
legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale
posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal
quisque de populo rispetto all'esercizio del potere
amministrativo) ; l'interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.)
; la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva,
discendente dall'affermazione di colui che agisce in
giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal
lato attivo) .
Tutte le condizioni dell'azione giudiziale anzidette,
quindi, devono necessariamente sussistere anche nel caso di
impugnativa di titoli edilizi.
Infatti, è ormai ius receptum come
l'art. 10 della legge n. 765 del 1967
(che ha novellato in parte qua l'art. 31, comma 9,
della legge n. 1150 del 1942) non abbia
introdotto un'azione popolare (che consentirebbe a qualsiasi
cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la
realizzazione di un'opera per far valere comunque
l'osservanza delle prescrizioni che regolano
l'edificazione), ma abbia più semplicemente voluto
riconoscere una posizione qualificata e differenziata in
favore di chi si trovi in una specifica situazione
giuridico-fattuale rispetto all'intervento edilizio
assentito, per cui il provvedimento impugnato venga
oggettivamente ad incidere la sua posizione sostanziale,
determinandone una lesione concreta, immediata e attuale.
E tale assunto, giova evidenziarlo, risulta in oggi ancora
più corroborato a seguito dell'intervenuta abrogazione del
richiamato art. 31 della legge n. 1150/1942, ad opera
dell'art. 136, comma 1, lettera a), del Testo Unico
dell'Edilizia.
3.1. Così la giurisprudenza amministrativa ha elaborato al
riguardo la nozione di vicinitas riconoscendo, in
linea di principio, la legittimazione a contestare in sede
giurisdizionale i titoli edilizi, solo a chi sia titolare di
immobili nella zona in cui è stata assentita l'edificazione
e a coloro che si trovino in una situazione di “stabile
collegamento” con la stessa.
La richiamata nozione di vicinitas, peraltro, è stata
nel tempo affinata e più adeguatamente specificata nella sua
concreta portata attraverso significativi e sostanziali
correttivi .
Da un lato, infatti, dopo le prime pronunce tendenti
a circoscrivere la legittimazione ad agire ai soli
proprietari frontisti, si è progressivamente estesa la
platea dei soggetti abilitati al ricorso, riconoscendo un
più ampio interesse di zona con riguardo, altresì, alla
posizione degli operatori economici che intendano
contrastare un titolo edilizio a cui si accompagni una
contestuale autorizzazione di natura commerciale.
Dall'altro lato, però, si è sempre più avuto modo di
precisare come il semplice dato materiale della vicinitas,
non sempre costituisca oggettivo ed incontrovertibile
elemento di individuazione della legittimazione e
dell'interesse ad agire, dovendosi comprovare il reale
pregiudizio che venga a derivare dalla realizzazione
dell'intervento assentito, specificando con riferimento alla
situazione concreta e fattuale come, perché, ed in quale
misura il provvedimento impugnato incida la posizione
sostanziale dedotta in causa, determinandone una lesione
concreta, immediata e di carattere attuale.
Infatti, una diversa posizione che non tenga conto di una
più attenta e oculata disamina della situazione dedotta in
causa, al di là della rappresentazione formulata dal
ricorrente, finirebbe per avallare una inammissibile sorta
di azione popolare nei confronti dell'operato
dell'amministrazione, per conseguire l'annullamento di ogni
provvedimento che consenta interventi non graditi da parte
dei vicini.
3.2. Allo stato attuale, quindi, va
osservato come la nozione di vicinitas vada
diversamente apprezzata, quanto meno con riguardo alla
circostanza per cui :
a) ad impugnare il permesso di costruire sia o meno il
titolare di un immobile confinante, adiacente o prospiciente
su quello oggetto dell'intervento assentito;
b) ad impugnare il permesso di costruire cui è correlata
un'autorizzazione commerciale, sia un operatore economico.
3.3. Invero, nel caso di cui alla lettera a) che precede, la
giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte precisato
con un indirizzo assolutamente prevalente che, ai fini della
legittimazione a impugnare un titolo edilizio da parte del
proprietario confinante (o di chi si trovi in una posizione
analoga), è sufficiente la semplice vicinitas, ossia
la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra
l'immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori,
escludendosi in linea di principio la necessità di dare
dimostrazione di un pregiudizio specifico e ulteriore.
Tale pregiudizio, infatti, deve ragionevolmente ritenersi
sussistente “in re ipsa in quanto consegue
necessariamente dalla maggiore tropizzazzione (traffico,
rumore), dalla minore qualità panoramica, ambientale,
paesaggistica e dalla possibile diminuzione di valore
dell'immobile” ( cfr. da ultimo e per tutte Cons. Stat.
Sez IV, 22.09.2014 n. 4764 ed i richiami giurisprudenziali
ivi operati) .
Diversamente, nel caso in cui ad impugnare
il titolo edilizio non sia il proprietario confinante (o un
soggetto che si trovi in posizione analoga) la medesima
giurisprudenza, ed in particolare quella di questa Sezione
che il collegio pienamente condivide, ha precisato con
indirizzo pressoché univoco che il mero criterio della
vicinitas riguardato in senso solo materiale non può di
per sé radicare la legittimazione al ricorso giurisdizionale
“prescindendo dal generale principio dell'interesse ad
agire in relazione alla lesione concreta, attuale e
immediata della posizione sostanziale dell'interessato……..,
presupponendo altresì la detta legittimazione la
specificazione, con riferimento alla situazione concreta e
fattuale del come, del perché ed in quale misura il
provvedimento impugnato si rifletta sulla propria posizione
sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata
e di carattere attuale”
(Sez. IV 5.11.2004 n. 7245; 17.09.2012 n. 4924; 27.01.2012
n. 420; 30.11.2010 n. 8364; 04.12.2007 n. 6157) .
Ed al riguardo è stato aggiunto “che la
sussistenza dell'interesse ad agire deve essere valutata in
astratto, con riferimento al contenuto della domanda, e non
secundum eventum litis, e che requisiti imprescindibili per
la configurazione di questa condizione dell'azione sono il
suo carattere personale, la sua attualità e la sua
concretezza…… per cui la lesione arrecata dal provvedimento
impugnato deve essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via immediata e diretta
un danno certo alla sfera giuridica della ricorrente,ovvero
potenziale, intendendosi come tale, però, quello che
sicuramente (o molto probabilmente) si verificherà in futuro”
(Sez. IV 30.11.2010 n. 8364) .
Infatti, ”al fine di evitare il
proliferare di ricorsi non effettivamente rispondenti al
principio della tutela di un interesse qualificato……… in
concreto devono ritenersi titolati alla impugnativa solo i
soggetti che possono lamentare una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione
dell'intervento controverso……. in termini, ad esempio, di
deprezzamento del valore del bene o di concreta
compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente”
(Sez. IV 17.09.2012 n. 4924) .
Ed in questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha avuto
modo di precisare ulteriormente che mentre
la comprovata vicinitas è elemento sufficiente a
legittimare l’impugnativa di un titolo edilizio da parte del
proprietario confinante, non può viceversa “ambire alla
stessa tutela il proprietario confinante con l'edificio a
sua volta confinante con quello oggetto di intervento
edilizio, in quanto ciò determinerebbe una vera e propria
sostituzione processuale, in violazione dell'articolo 181
c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere in giudizio
in nome proprio un editto altrui se non nei casi
espressamente previsti dalla legge”
(Sez. IV 01.07.2013 n. 3543) .
3.4. Nel caso in cui ad impugnare il permesso di costruire
correlato ad una autorizzazione commerciale sia un operatore
economico, il requisito della vicinitas ha poi subito
una peculiare elaborazione da parte della giurisprudenza di
questo Consiglio .
In particolare il criterio dello stabile “collegamento
territoriale” che deve legare il ricorrente all'area di
operatività del controinteressato per poterne qualificare la
posizione processuale e conseguentemente il diritto di
azione, deve essere riguardato in un'ottica più ampia
rispetto a quella usuale.
Così il concetto di vicinitas nella
contestazione di una struttura commerciale, “si specifica
identificandosi nella nozione di stesso bacino d'utenza
della concorrente, tale potendo essere ritenuto anche con un
raggio di decine di chilometri”
(cfr. tra le tante Cons. St. Sez. IV 12.09.2007 n. 4821;
20.11.2007 n. 6613) .
Pertanto, nell'ipotesi in cui ad impugnare
il permesso di costruire sia il titolare di una struttura di
vendita, affinché il suo interesse processuale possa
qualificarsi personale, attuale e diretto, deve potersi
ravvisare la coincidenza, totale o quanto meno parziale, del
bacino di clientela, tale da poter oggettivamente
determinare un'apprezzabile calo del volume d'affari del
ricorrente.
In sostanza, l'insediamento commerciale
realizzato ex novo nella zona può considerarsi
pregiudizievole e radicare un interesse tutelabile, quando
venga a servire oggettivamente in tutto o in parte uno
stesso bacino di clientela, oggettivamente circoscrivibile
in un determinato ambito spaziale.
Così, la legittimazione al ricorso non può
di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del
giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi,
di mero fatto o contra ius, siccome volti nella
sostanza a contrastare la libera concorrenza e la libertà di
stabilimento.
E ciò in coerenza con la funzione svolta dalle condizioni
dell'azione nei processi di parte, innervati come sono dal
principio della domanda e dal suo corollario rappresentato
dal principio dispositivo; sul punto va richiamata la tesi
(corroborata dalla più recente giurisprudenza nelle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, cfr. 22.04.2013 n. 9685),
secondo cui tali condizioni (ed in
particolare il titolo e l'interesse ad agire), assolvono una
funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande
proposte al giudice, fino ad assumere l'aspetto di un
controllo di meritevolezza dell'interesse sostanziale in
gioco, alla luce dei valori costituzionali ed internazionali
rilevanti, desumibili dagli articoli 24 e 111 della
Costituzione.
Ne consegue che il riconoscimento della
legittimazione ad agire non è genericamente ammesso nei
confronti di tutti gli esercenti commerciali, ma è
subordinato al riconoscimento di determinati presupposti, e
ciò al fine di poter ritenere giuridicamente rilevante,
nonché qualificato e differenziato, l'interesse
all'impugnazione.
Pertanto, è necessario che l’operatore
economico che intende impugnare un titolo edilizio a cui
accede una valida e formale autorizzazione commerciale
eserciti nelle immediate adiacenze, che l’attività
commerciale esercitata sia dello stesso tipo in tutto o in
parte di quella relativa ai provvedimenti in contestazione,
e che le due attività vengano a servire uno stesso bacino di
clientela oggettivamente circoscritto o comunque
circoscrivibile con sufficiente certezza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2015 n. 5278 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per l'impugnazione da parte del terzo occorre la
conoscenza cartolare del titolo edilizio e dei suoi allegati
progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori,
che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche
essenziali dell'opera, l'eventuale non conformità della
stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l'incidenza
effettiva sulla posizione giuridica del terzo.
In ogni caso, nel dubbio, deve comunque farsi applicazione
degli artt. 24 e 113 Cost., per i quali la tutela in
giudizio dei diritti e interessi legittimi è un diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
E’ stato però ritenuto in giurisprudenza che, nel caso in
cui si contesti l'edificabilità stessa del terreno non si
possa attendere il completamento dell'opera, né possa
riconoscersi al terzo la libertà di decidere, se e quando
accedere agli atti, e ciò a tutela del principio di certezza
dei rapporti giuridici, non potendo lasciarsi il soggetto
titolare di un permesso edilizio nella perpetua incertezza
circa la sorte del proprio titolo, perché, nelle more, il
ritardo nell'impugnazione si risolverebbe in un danno
aggiuntivo connesso all'ulteriore avanzamento dei lavori che
ex post potrebbero essere dichiarati illegittimi. Il
principio della certezza delle situazioni giuridiche è
infatti posto a tutela di tutte le parti direttamente o
indirettamente interessate al provvedimento, compreso il
soggetto titolare del permesso di costruire.
Il diritto del terzo alla piena conoscenza della
documentazione amministrativa, è uno strumento che il terzo
ha l'onere di attivare non appena abbia contezza od anche il
ragionevole sospetto che l'attività materiale
pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia
sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non
conosciuto o non conosciuto sufficientemente.
E’ stato quindi ritenuto in giurisprudenza che nel sistema
delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo
esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva
conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che,
così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi
deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad
individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di
equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da
una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche
e legittimo affidamento dall'altra.
---------------
Nell'ordinamento vigente la c.d. "vicinitas", cioè la
situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento edilizio assentito, è sufficiente a
radicare la legittimazione a ricorrere dei confinanti, non
essendo necessario che la parte ricorrente alleghi e provi
anche di subire uno specifico pregiudizio per effetto
dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo,
atteso che la realizzazione di interventi edificatori, che
comportino contra legem l'alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, deve ritenersi
pregiudizievole in re ipsa: non è pertanto necessaria la
prova di un danno specifico, in quanto il danno a tutti i
membri di quella collettività è insito nella violazione
edilizia.
---------------
Come
è noto, la giurisprudenza ritiene che per l'impugnazione da
parte del terzo occorre la conoscenza cartolare del titolo
edilizio e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa,
il completamento dei lavori, che disveli in modo certo e
univoco le caratteristiche essenziali dell'opera,
l'eventuale non conformità della stessa rispetto alla
disciplina urbanistica, l'incidenza effettiva sulla
posizione giuridica del terzo (cfr. TAR Lazio Sez. II 07/07/2015 n. 9046; Consiglio di Stato, Ad. Pen. 29.07.2011, n. 15; sez. VI, 16.09.2011, n. 5170; V n. 3777
del 27.06.2012).
In ogni caso, nel dubbio, deve comunque
farsi applicazione degli artt. 24 e 113 Cost., per i quali
la tutela in giudizio dei diritti e interessi legittimi è un
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (Consiglio di Stato n. 2781 del 2014).
E’ stato però ritenuto in giurisprudenza che, nel caso in
cui si contesti l'edificabilità stessa del terreno non si
possa attendere il completamento dell'opera, né possa
riconoscersi al terzo la libertà di decidere, se e quando
accedere agli atti, e ciò a tutela del principio di certezza
dei rapporti giuridici, non potendo lasciarsi il soggetto
titolare di un permesso edilizio nella perpetua incertezza
circa la sorte del proprio titolo, perché, nelle more, il
ritardo nell'impugnazione si risolverebbe in un danno
aggiuntivo connesso all'ulteriore avanzamento dei lavori che
ex post potrebbero essere dichiarati illegittimi. Il
principio della certezza delle situazioni giuridiche è
infatti posto a tutela di tutte le parti direttamente o
indirettamente interessate al provvedimento, compreso il
soggetto titolare del permesso di costruire (Consiglio di
Stato n. 2959 del 2014).
Il diritto del terzo alla piena conoscenza della
documentazione amministrativa, è uno strumento che il terzo
ha l'onere di attivare non appena abbia contezza od anche il
ragionevole sospetto che l'attività materiale
pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia
sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non
conosciuto o non conosciuto sufficientemente.
E’ stato quindi ritenuto in giurisprudenza che nel sistema
delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo
esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva
conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che,
così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi
deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad
individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di
equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da
una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche
e legittimo affidamento dall'altra (Consiglio di Stato IV
n. 322 del 21.01.2013).
Nel caso di specie, i lavori sono iniziati il 04.10.2006 e
sono terminati il 20.11.2006; nel cantiere non è stato
apposto il cartello dal quale desumere gli estremi
dell’autorizzazione e della data di inizio/fine lavori;
l’istanza di accesso è stata inoltrata al Comune di Costa
Volpino il 24.11.2006, a distanza di soli 4 giorni dalla
data del completamento dei lavori ed il Comune ha rilasciato
la copia degli atti a distanza di mesi, dopo reiterate
richieste da parte dell’interessato; la mancata indicazione
dell’esistenza di un titolo autorizzatorio sul cantiere non
consentivano al ricorrente neppure di valutare se
l’intervento fosse stato previamente autorizzato o se fosse
abusivo, né di conoscere se pur realizzato in prossimità
delle mura perimetrali del cimitero, ricadesse nella fascia
di rispetto del cimitero, e se fosse stato autorizzato dal
Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 388 c. 5 del T.U.
delle sanitarie, né se fosse compatibile con la destinazione
urbanistica dell’area.
In sostanza, prima dell’esercizio del diritto di accesso il
ricorrente non disponeva di alcun elemento certo sul quale
fondare la propria pretesa in sede giurisdizionale, con la
conseguenza che imporgli la proposizione di un ricorso
“veramente al buio” tenuto conto dei connessi oneri che
comporta, appare oggettivamente sproporzionato e lesivo dei
suoi diritti ed interessi legittimi.
Appare quindi corretta la decisione del primo giudice che ha
respinto l’eccezione di tardività del ricorso di primo
grado, tenuto anche conto del principio espresso in
precedenza secondo cui, in ogni caso, nel dubbio, deve farsi
applicazione degli artt. 24 e 113 Cost., per i quali la
tutela in giudizio dei diritti e interessi legittimi è un
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
L’eccezione deve essere pertanto respinta.
Anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva è
destituita di fondamento.
Nell'ordinamento vigente la c.d. "vicinitas", cioè la
situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento edilizio assentito, è sufficiente a
radicare la legittimazione a ricorrere dei confinanti, non
essendo necessario che la parte ricorrente alleghi e provi
anche di subire uno specifico pregiudizio per effetto
dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo,
atteso che la realizzazione di interventi edificatori, che
comportino contra legem l'alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, deve ritenersi
pregiudizievole in re ipsa (cfr., tra le tante, Cons. Stato
sez. IV 12.03.2015 n. 1315; Cons. Stato sez. IV 09.09.2014 n. 4547): non è pertanto necessaria la prova
di un danno specifico, in quanto il danno a tutti i membri
di quella collettività è insito nella violazione edilizia
(cfr. Cons. Stato sez. VI 11/09/2013 n. 4493; Cons. Stato
Sez. IV 04/06/2013 n. 3055).
Nel caso di specie, l’appellato, ricorrente in primo grado,
ha dimostrato di risiedere a pochissima distanza dalla
stazione radio base, circostanza che consente di
riconoscergli la legittimazione attiva all’impugnativa.
L’eccezione deve essere pertanto respinta (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 17.11.2015 n. 5257 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I ricorrenti non possono coltivare alcun
interesse nell'impugnare
gli atti di assenso
relativi all’apertura del nuovo accesso carraio servente la
proprietà limitrofa.
Essi non hanno indicato, nei propri atti
difensivi, quale specifico loro interesse e/o posizione
giuridica viene pregiudicata dall’apertura dell’accesso
carraio nell’ambito della proprietà del loro vicino
confinante.
E’ del resto evidente, in proposito, che nessuna posizione
legittimante, per questa parte del gravame, può discendere
dalla loro posizione di vicinitas (quale elemento che
distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella
della generalità dei consociati) rispetto al fondo
confinante: se tale posizione può, invero, radicare
l’interesse all’impugnazione nei confronti degli atti di
assenso di un’opera edilizia realizzata nel fondo
confinante, senza necessità di offrire neanche un principio
di prova in ordine al pregiudizio paventato (ciò, in linea
con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa,
secondo cui “la mera vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con il terreno interessato
dall'intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la
sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a
ricorrere, senza che sia necessario dare dimostrazione di
uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività
edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo”), analogamente
non può dirsi allorché si contesti non la realizzazione di
un’opera edilizia ma, più largamente, l’ampliamento della
sfera giuridica soggettiva del confinante quale derivante da
altri e diversi atti di assenso dell’amministrazione.
Se infatti può ben dirsi che la realizzazione di interventi
che comportano un’alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio possa risultare pregiudizievole per
il vicino anche “in re ipsa” (in quanto consegue
necessariamente dalla maggiore tropizzazione, dalla minore
qualità panoramica, ambientale, paesaggistica e/o dalla
possibile diminuzione di valore dell’immobile), altrettanto
non può con certezza dirsi –in assenza di un’apposita
dimostrazione dell’effettivo pregiudizio che ne deriva–
quando si tratta di provvedimenti amministrativi che, di per
sé, non determinano un diverso assetto edilizio della zona,
come nell’ipotesi (che viene qui in considerazione)
dell’autorizzazione all’apertura di un nuovo accesso carraio
presso il fondo del vicino.
In tali circostanze, quindi, la semplice prossimità non può,
di per sé, essere considerata elemento sufficiente a fondare
l'interesse al ricorso, ma ad essa dovrà aggiungersi un
elemento ulteriore, costituito dal fatto che dal
provvedimento ampliativo in favore del vicino possa derivare
un peggioramento della situazione patrimoniale o personale
del ricorrente; ciò, anche per evitare che lo strumento del
ricorso giurisdizionale possa impropriamente assumere
risvolti unicamente emulativi.
Occorrerà, pertanto, l'allegazione e la prova di uno
specifico e concreto pregiudizio riveniente ai suoli in
proprietà degli istanti per effetto degli atti impugnati dai
quali, per definizione, quei suoli non sono incisi
direttamente. Ma nel caso di specie, come detto, i
ricorrenti non hanno fornito alcuna prova del pregiudizio
che loro deriverebbe dall’apertura del passo carrabile
presso la proprietà del loro vicino, così lasciando
nell’ombra, in parte qua, il pregiudiziale aspetto della
loro legittimazione ad agire.
---------------
4. Il ricorso
introduttivo, nonché i motivi aggiunti, devono invece essere
dichiarati inammissibili nella parte in cui hanno impugnato
gli atti di assenso relativi all’apertura del nuovo accesso
carraio servente la proprietà Ga..
Come segnalato dal Collegio nel corso della pubblica udienza
di discussione del 29.09.2015, infatti, i ricorrenti non
possono coltivare alcun interesse per simile contestazione.
Essi non hanno indicato, nei propri atti difensivi, quale
specifico loro interesse e/o posizione giuridica viene
pregiudicata dall’apertura dell’accesso carraio nell’ambito
della proprietà del loro vicino confinante.
E’ del resto evidente, in proposito, che nessuna posizione
legittimante, per questa parte del gravame, può discendere
dalla loro posizione di vicinitas (quale elemento che
distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella
della generalità dei consociati) rispetto al fondo
confinante: se tale posizione può, invero, radicare
l’interesse all’impugnazione nei confronti degli atti di
assenso di un’opera edilizia realizzata nel fondo
confinante, senza necessità di offrire neanche un principio
di prova in ordine al pregiudizio paventato (ciò, in linea
con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa,
secondo cui “la mera vicinitas, ossia l'esistenza di uno
stabile collegamento con il terreno interessato
dall'intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la
sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a
ricorrere, senza che sia necessario dare dimostrazione di
uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività
edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo”: così, tra
le tante, di recente, TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I,
sent. n. 699 del 2015; Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4764
del 2014), analogamente non può dirsi allorché si contesti
non la realizzazione di un’opera edilizia ma, più
largamente, l’ampliamento della sfera giuridica soggettiva
del confinante quale derivante da altri e diversi atti di
assenso dell’amministrazione.
Se infatti può ben dirsi che la realizzazione di interventi
che comportano un’alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio possa risultare pregiudizievole per
il vicino anche “in re ipsa” (in quanto consegue
necessariamente dalla maggiore tropizzazione, dalla minore
qualità panoramica, ambientale, paesaggistica e/o dalla
possibile diminuzione di valore dell’immobile), altrettanto
non può con certezza dirsi –in assenza di un’apposita
dimostrazione dell’effettivo pregiudizio che ne deriva–
quando si tratta di provvedimenti amministrativi che, di per
sé, non determinano un diverso assetto edilizio della zona,
come nell’ipotesi (che viene qui in considerazione)
dell’autorizzazione all’apertura di un nuovo accesso carraio
presso il fondo del vicino.
In tali circostanze, quindi, la semplice prossimità non può,
di per sé, essere considerata elemento sufficiente a fondare
l'interesse al ricorso, ma ad essa dovrà aggiungersi un
elemento ulteriore, costituito dal fatto che dal
provvedimento ampliativo in favore del vicino possa derivare
un peggioramento della situazione patrimoniale o personale
del ricorrente; ciò, anche per evitare che lo strumento del
ricorso giurisdizionale possa impropriamente assumere
risvolti unicamente emulativi.
Occorrerà, pertanto, l'allegazione e la prova di uno
specifico e concreto pregiudizio riveniente ai suoli in
proprietà degli istanti per effetto degli atti impugnati dai
quali, per definizione, quei suoli non sono incisi
direttamente. Ma nel caso di specie, come detto, i
ricorrenti non hanno fornito alcuna prova del pregiudizio
che loro deriverebbe dall’apertura del passo carrabile
presso la proprietà del loro vicino, così lasciando
nell’ombra, in parte qua, il pregiudiziale aspetto della
loro legittimazione ad agire
(TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 12.11.2015 n. 1557 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Titoli edilizi. Impugnazione Vicinitas
sufficiente.
Ai fini del riconoscimento della sussistenza delle
condizioni che legittimano all'impugnazione di singoli
titoli edilizi, vale il principio della sufficienza della
sola vicinitas, con esclusione di qualunque indagine volta
ad accertare, in concreto, l'esistenza di un obiettivo
pregiudizio per il soggetto che agisce in giudizio.
È quanto hanno ribadito i giudici della I Sez. del
TAR Liguria con la
sentenza
17.09.2015 n. 746.
Circa, poi, l'eccezione di inammissibilità della
domanda di annullamento della Dia i giudici amministrativi
genovesi hanno richiamato il comma 6-ter dell'art.19 della
legge n. 241/1990, aggiunto dall'art. 6, comma 1, lett. c),
del dl n. 138/2001, che espressamente prevede che la Dia non
costituisce un provvedimento tacito direttamente
impugnabile.
È inoltre previsto, al secondo periodo del
comma citato, che «gli interessati possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui
all' art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104». Pertanto la tutela del terzo che si
ritiene leso dalla Dia, atto dichiaratamente non provvedimentale, potrebbe essere affidata esclusivamente a
meccanismi sollecitatori della pubblica amministrazione e,
in sede giurisdizionale, all'attivazione dello speciale rito
del silenzio.
Se si prende, inoltre, in considerazione l'esclusività del
rimedio giurisdizionale approntato dal legislatore, va
altresì esclusa, secondo i giudici liguri, «l'ammissibilità
dell'azione intesa a sindacare il mancato esercizio dei
poteri inibitori che competono all'amministrazione».
Non è, infine, possibile ipotizzare nel caso sottoposto
all'attenzione del tribunale amministrativo ligure, neppure,
d'altronde, la sua convertibilità in azione avverso il
silenzio, poiché non risulta che fosse stata presentata
alcuna istanza diretta a sollecitare l'esercizio dei poteri
inibitori suddetti e conseguentemente non è possibile
ipotizzare nella fattispecie un'ipotesi di silenzio
inadempimento censurabile con il ricorso ex art. 31 cod.
proc. amm.
(articolo ItaliaOggi Sette del 12.10.2015).
---------------
MASSIMA
1) La ricorrente, proprietaria di una porzione di un
fabbricato in Pieve Ligure e residente in altro immobile
sito nello stesso Comune, agisce per conseguire
l’annullamento della denuncia di inizio attività (d.i.a.) e
degli atti presupposti aventi ad oggetto un intervento di
demolizione e ricostruzione, con ampliamento volumetrico,
della porzione dello stesso fabbricato di proprietà del
controinteressato.
Come già precisato in premessa, l’intervento in questione
comporta la sopraelevazione di un piano della parte di
immobile del controinteressato che, in conseguenza, si
eleverà per due piani fuori terra, sovrastando la porzione
di cui è proprietaria la ricorrente.
In alternativa all’azione di annullamento, l’esponente
chiede che sia accertata l’illegittimità del comportamento
del Comune che non ha esercitato i poteri inibitori nei
confronti della d.i.a. asseritamente illegittima.
2) In via preliminare, la difesa del controinteressato
eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancanza di
interesse ad agire.
Infatti, la proprietà immobiliare della ricorrente,
destinata a box auto, non sarebbe in alcun modo
pregiudicata, né in termini di funzionalità né di valore
commerciale, dal contestato intervento edificatorio.
L’interesse all’impugnazione, peraltro, non potrebbe
fondarsi sulla circostanza di essere residente nello stesso
Comune, stante la notevole distanza che separa l’abitazione
della ricorrente dall’immobile del controinteressato.
L’eccezione contrasta con l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui,
nel caso di impugnazione di
singoli titoli edilizi, vale il principio della sufficienza,
ai fini del riconoscimento della sussistenza delle
condizioni che legittimano all’impugnazione, della sola
vicinitas, con esclusione di qualunque indagine volta ad
accertare, in concreto, l’esistenza di un obiettivo
pregiudizio per il soggetto che agisce in giudizio
(cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2014, n.
1217; TAR Lazio, Latina, sez. I, 30.09.2014, n. 752).
Non ravvisando ragioni per discostarsi da tale consolidato
orientamento, il Collegio ritiene che l’eccezione in parola
debba essere disattesa, poiché l’interesse
all’impugnazione della ricorrente deriva dall’evidente
vicinitas tra l’immobile di proprietà e quello che forma
oggetto del contestato intervento edificatorio
(si tratta, anzi, di due porzioni di un fabbricato unico).
3) E’ fondata, invece, l’eccezione di inammissibilità della
domanda di annullamento della d.i.a.
Il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/1990,
aggiunto dall’art. 6, comma 1, lett. c), del d.l. n.
138/2001, prevede espressamente, infatti, che la d.i.a. non
costituisce un provvedimento tacito direttamente
impugnabile.
E’ inoltre previsto, al secondo periodo del comma citato,
che “gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all'art.
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n.
104”.
In forza di tali previsioni, pacificamente applicabili
ratione temporis nella vicenda che forma oggetto della
controversia, la tutela del terzo che si
ritiene leso dalla d.i.a., atto dichiaratamente non
provvedimentale, è affidata esclusivamente a meccanismi
sollecitatori della pubblica amministrazione e, in sede
giurisdizionale, all’attivazione dello speciale rito del
silenzio.
Nel caso in esame, pertanto, la possibilità di esperire
l’azione di annullamento della d.i.a. deve essere esclusa
direttamente in forza della previsione legislativa.
Considerando l’esclusività del rimedio
giurisdizionale approntato dal legislatore, va altresì
esclusa l’ammissibilità dell’azione intesa a sindacare il
mancato esercizio dei poteri inibitori che competono
all’amministrazione.
Non si può neppure ipotizzare, d’altronde, la sua
convertibilità in azione avverso il silenzio, poiché non
risulta che fosse stata presentata alcuna istanza diretta a
sollecitare l’esercizio dei poteri inibitori suddetti e non
può, in conseguenza, configurarsi nella fattispecie
un’ipotesi di silenzio inadempimento censurabile con il
ricorso ex art. 31 cod. proc. amm.
Per tali ragioni, deve essere dichiarata inammissibile
l’azione proposta avverso la d.i.a.. |
agosto 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sulla acquiescenza del titolo edilizio ritirato.
La circostanza che la ricorrente
abbia inizialmente interloquito con gli uffici
comunali sull’importo del contributo di costruzione,
e poi abbia pagato gran parte della somma richiesta
dal Comune, non determina alcuna acquiescenza.
Perché vi possa essere acquiescenza occorre che il
privato sia perfettamente libero da timori o
aspettative. Quando invece l’esecuzione di un
obbligo imposto dall’amministrazione sia anche la
condizione per ottenere un vantaggio immediato (ad
esempio, il rilascio del titolo edilizio) o per non
perdere vantaggi futuri (ad esempio, la proroga del
titolo edilizio, o l’approvazione di varianti) è
evidente che non vi è affatto una piena accettazione
della volontà dell’amministrazione, ma solo una
scelta dettata dall’opportunità di rinviare a un
momento successivo l’inizio della controversia.
In questo caso, opera semplicemente il termine di
prescrizione, che per i diritti di natura economica
collegati a titoli edilizi è quello ordinario
decennale. Una conseguenza secondaria dell’attesa
del privato riguarda la data di decorrenza degli
interessi legali sulle somme di cui è chiesta la
restituzione: poiché il rinvio della controversia
corrisponde anche a un’utilità per il privato
stesso, gli interessi potranno decorrere solo dalla
notifica del ricorso.
---------------
1. Il
Comune di Arcene ha rilasciato alla società
ricorrente E.A.srl il permesso di costruire n. 4 del
14.04.2011, autorizzando la realizzazione di 3
edifici per un totale di 42 appartamenti nel PL “La
Fornace”. Il contributo di costruzione (€
197.535,97) è stato calcolato tenendo conto anche
della superficie destinata ad autorimesse e aree di
manovra (1.870,63 mq).
2. La ricorrente ha versato € 49.384 al momento del
rilascio del titolo edilizio, e ha ottenuto la
rateizzazione del resto (v. provvedimento del
responsabile dell’Ufficio Tecnico del 22.03.2011),
con applicazione degli interessi legali, come
previsto dalla deliberazione giuntale n. 20 del
09.03.2011.
La restituzione doveva avvenire in dieci rate,
ciascuna di importo pari a € 15.324, da
corrispondere a intervalli trimestrali tra il
22.07.2011 e il 22.10.2013.
A garanzia della restituzione la ricorrente ha
presentato una polizza fideiussoria emessa da
Atradius Credit Insurance NV per un valore pari a €
192.598.
3. La ricorrente ha versato per intero le prime
quattro rate, ma senza rispettare, per la quarta, la
scadenza prevista. Dopo il 13.06.2012 (data di
pagamento della quarta rata) la ricorrente ha
effettuato altri versamenti parziali, e ha quindi
interrotto ogni pagamento.
Secondo la ricorrente, il contributo di costruzione,
ricalcolato escludendo la superficie destinata ad
autorimesse e non computando la suddetta superficie
ai fini dell’individuazione della classe degli
edifici, sarebbe pari a € 97.949,90. Una volta
computati gli interessi per la rateizzazione,
l’importo definitivo risulterebbe pari a €
98.394,35.
Questa somma era già stata interamente corrisposta
alla data del 13.06.2012. Rispetto all’importo
dovuto, la ricorrente avrebbe versato un esubero
pari a € 48.257,65.
4. A questo si aggiunge l’escussione parziale della
fideiussione, per un importo pari a € 34.568,10,
effettuata il 17.12.2013.
5. Più recentemente, il Comune con provvedimento del
responsabile dell’Ufficio Tecnico del 19.05.2014 ha
comunicato una nuova escussione parziale della
fideiussione per un importo pari a € 22.475,20.
6. Contro il suddetto provvedimento e contro gli
atti presupposti (tra cui la deliberazione giuntale
n. 20/2011) la ricorrente ha presentato impugnazione
con atto notificato il 23.06.2014 e depositato il
30.06.2014. Le censure possono essere sintetizzate
come segue:
(i) violazione dell’art. 69 della LR 11.03.2005 n.
12, che prevede il regime di gratuità integrale per
i parcheggi pertinenziali e non pertinenziali, ed
esclude le relative superfici dalla definizione
della classe dell'edificio;
(ii) violazione dell’art. 16, comma 3, del DPR
06.06.2001 n. 380, nonché irragionevolezza, con
riferimento alle disposizioni della deliberazione
giuntale n. 20/2011, che ammettono la rateizzazione
solo per importi superiori a € 100.000 e prevedono
che il contributo di costruzione residuo venga
rideterminato qualora il costo di costruzione
subisca degli incrementi;
(iii) mancanza dei presupposti per applicare le
sanzioni da ritardo, in quanto l’intero importo del
contributo di costruzione sarebbe stato versato
ancora in data 13.06.2012. Viene inoltre chiesta una
pronuncia che accerti il contributo di costruzione
nell’importo di € 97.949,90, con la conseguente
condanna alla restituzione della somma versata o
escussa in eccedenza (€ 82.825,75), aumentata di
interessi, rivalutazione e maggior danno.
7. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo
la reiezione del ricorso.
8. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione
si possono svolgere le seguenti considerazioni.
...
Sull’acquiescenza
12. La circostanza che la ricorrente abbia
inizialmente interloquito con gli uffici comunali
sull’importo del contributo di costruzione, e poi
abbia pagato gran parte della somma richiesta dal
Comune, non determina alcuna acquiescenza.
13. Perché vi possa essere acquiescenza occorre che
il privato sia perfettamente libero da timori o
aspettative. Quando invece l’esecuzione di un
obbligo imposto dall’amministrazione sia anche la
condizione per ottenere un vantaggio immediato (ad
esempio, il rilascio del titolo edilizio) o per non
perdere vantaggi futuri (ad esempio, la proroga del
titolo edilizio, o l’approvazione di varianti) è
evidente che non vi è affatto una piena accettazione
della volontà dell’amministrazione, ma solo una
scelta dettata dall’opportunità di rinviare a un
momento successivo l’inizio della controversia.
In questo caso, opera semplicemente il termine di
prescrizione, che per i diritti di natura economica
collegati a titoli edilizi è quello ordinario
decennale. Una conseguenza secondaria dell’attesa
del privato riguarda la data di decorrenza degli
interessi legali sulle somme di cui è chiesta la
restituzione: poiché il rinvio della controversia
corrisponde anche a un’utilità per il privato
stesso, gli interessi potranno decorrere solo dalla
notifica del ricorso
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 31.08.2015 n. 1133 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
è sufficiente invocare il concetto di “stabile collegamento”
per radicare la propria legittimazione a ricorrente quando,
per il tipo di violazione edilizia denunciata e per le
condizioni di contesto territoriale in cui si trovano gli
immobili, la “vicinitas” non rappresenti un indice
inequivocabile del pregiudizio subito dal soggetto che
propone l’azione di annullamento del titolo edilizio.
Il criterio in esame è stato coniato dalla giurisprudenza,
pur sempre al fine di selezionare una posizione giuridica
soggettiva protetta, cosicché può ritenersi sufficiente a
radicare la legittimazione del confinante, solo quando la
modifica del preesistente assetto edilizio debba ritenersi
“ictu oculi”, ovvero sulla scorta di sicure base statistiche
tratte dall’esperienza, pregiudizievole per la qualità
(urbanistica, paesaggistica, ambientale) dell’area in cui
insiste al proprietà del ricorrente, ovvero sia suscettibile
di comportarne un deprezzamento commerciale. Quando, invece,
il pregiudizio non sia di per sé insito nella violazione
edilizia (ad esempio per la distanza sussistente tra gli
edifici), il mero rapporto di prossimità tra chi agisce in
giudizio e l’opera oggetto del provvedimento amministrativo
contestato non è sufficiente.
Occorre, per contro, dare plausibile riscontro dei danni (o
delle potenziali lesioni) ricollegabili all’avversata
struttura.
Ragionare diversamente, ritenendo che i proprietari di
immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle
interessate da un permesso di costruzione siano “sempre”
legittimati ad impugnare i titoli edilizi, anche quando non
sia offerto alcun plausibile riscontro dell’incidenza
negativa sulla propria sfera giuridica, significa elevare un
astratto interesse alla legalità a criterio di
legittimazione, senza che sia necessario far valere un
interesse giuridicamente protetto, per tale via coniando
(senza autorizzazione legislativa) una sorta di azione
popolare.
III.1. Pur in presenza di un quadro giurisprudenziale ancora
non sufficientemente organico, ritiene il Collegio che non
sia sufficiente invocare il concetto di “stabile
collegamento” per radicare la propria legittimazione a
ricorrente quando, per il tipo di violazione edilizia
denunciata e per le condizioni di contesto territoriale in
cui si trovano gli immobili, la “vicinitas” non
rappresenti un indice inequivocabile del pregiudizio subito
dal soggetto che propone l’azione di annullamento del titolo
edilizio.
Il criterio in esame è stato coniato dalla giurisprudenza,
pur sempre al fine di selezionare una posizione giuridica
soggettiva protetta, cosicché può ritenersi sufficiente a
radicare la legittimazione del confinante, solo quando la
modifica del preesistente assetto edilizio debba ritenersi “ictu
oculi”, ovvero sulla scorta di sicure base statistiche
tratte dall’esperienza, pregiudizievole per la qualità
(urbanistica, paesaggistica, ambientale) dell’area in cui
insiste al proprietà del ricorrente, ovvero sia suscettibile
di comportarne un deprezzamento commerciale. Quando, invece,
il pregiudizio non sia di per sé insito nella violazione
edilizia (ad esempio per la distanza sussistente tra gli
edifici), il mero rapporto di prossimità tra chi agisce in
giudizio e l’opera oggetto del provvedimento amministrativo
contestato non è sufficiente.
Occorre, per contro, dare plausibile riscontro dei danni (o
delle potenziali lesioni) ricollegabili all’avversata
struttura. Ragionare diversamente, ritenendo che i
proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con
quelle interessate da un permesso di costruzione siano “sempre”
legittimati ad impugnare i titoli edilizi, anche quando non
sia offerto alcun plausibile riscontro dell’incidenza
negativa sulla propria sfera giuridica, significa elevare un
astratto interesse alla legalità a criterio di
legittimazione, senza che sia necessario far valere un
interesse giuridicamente protetto, per tale via coniando
(senza autorizzazione legislativa) una sorta di azione
popolare (la prospettazione offerta dal Collegio, non è
priva di riscontri in giurisprudenza; cfr., ad esempio,
Consiglio di Stato, sez. V 13/03/2014 n. 1263; sez. V
27/04/2012 n. 2460)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2015 n. 1081 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Urbanistica, abusivo il titolo edilizio contro i
concorrenti.
L'azienda può bloccare l'insediamento di un concorrente
nella sua zona se ritiene che il competitor abbia ottenuto
un permesso di costruire irregolare: il tutto per il
soppalco che intendere realizzare in sede. Chi teme la
riduzione delle vendite risulta infatti autorizzato a
ricorrere al Tar come portatore di un interesse legittimo,
che la legge indica come vicinanza all'abuso edilizio, ma
che in base a un'interpretazione estensiva ben può essere
ritenuto anche di carattere commerciale.
È quanto emerge dalla
sentenza 11.05.2015 n. 1495, pubblicata dalla III
Sez. del TAR Puglia-Lecce.
Parcheggio sufficiente. La legittimazione del concorrente a
impugnare il titolo edilizio dell'azienda rivale davanti
deve ritenersi frutto di una lettura «ampliata ed
eccezionale», ma pur sempre sussistente, della nozione
di interesse ad agire.
La normativa indica come requisito per adire il giudice solo
il collegamento con l'area del presunto abuso senza
specificare altro: l'interesse, dunque, ben può essere
patrimoniale invece che alla tutela del paesaggio, laddove
risulta in grado di distinguere la posizione della società
che vuole l'off limits della concorrenza da tutti gli
altri che vivono o operano nell'area.
Nella specie, però, l'operazione non riesce perché il
parcheggio pertinenziale predisposto dall'agenzia
immobiliare concorrente risulta sufficiente anche se a circa
un chilometro di distanza dalla sede. Bisognerà però vedere
se la nuova società utilizzerà davvero il soppalco come
archivio e non come bagno, secondo i sospetti del rivale: in
tal caso potrebbe scattare una nuova causa
(articolo ItaliaOggi del 19.05.2015).
---------------
MASSIMA
Appartiene infatti ad una
giurisprudenza pressoché consolidata il principio secondo
cui l’impugnazione dei titoli edilizi è consentita in capo a
chiunque si trovi in una situazione di stabile collegamento
con la zona interessata dalla costruzione assentita, a
prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di uno
specifico interesse, essendo sufficiente la “vicinitas”
quale elemento che distingue la posizione giuridica di un
soggetto da quella della generalità dei consociati
(Cons. St. IV sez. 18/04/2014 n. 1995; Cons. St. V sez.
21/05/2013 n. 2757; TAR Molise 26/05/2014 n. 346; TAR
Campania–Salerno I sez. 01/10/2012 n. 1750).
Peraltro, un interesse commerciale
declinato in termini di vicinitas determina “un’ipotesi
allargata ed eccezionale di legittimazione che supera i
tradizionali confini della vicinitas per ampliarla a tutela
dell’interesse commerciale”
(TAR Liguria I sez. 26/11/2012 n. 1507). |
ANNO 2014 |
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novembre 2014 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Il
termine di decadenza per procedere all’impugnazione di atti
amministrativi, di sessanta giorni (art. 29 c.p.a.), decorre
dal momento in cui la parte legittimata all’impugnativa
riceva la notifica dell’atto impugnato, dalla scadenza del
periodo di pubblicazione se previsto (art. 41 co. 2 c.p.a.);
in mancanza, il termine decorre dalla piena conoscenza
dell’atto.
Per piena conoscenza dell’atto si intende, con orientamento
tradizionale e consolidato, la conoscenza degli elementi
essenziali dell’atto ed essi vanno individuati nell'autorità
emanante, nell'oggetto, nel contenuto dispositivo e nel suo
effetto lesivo.
L’orientamento che ritiene conseguita la piena conoscenza
dell’atto solo qualora si conoscano anche le sue
motivazioni, così da poterne anche apprezzare gli eventuali
vizi, pur rappresentato in talune pronunce, resta largamente
minoritario.
Il descritto orientamento maggioritario, cui la Sezione
aderisce, è declinato, quanto all’impugnativa dei titoli
edilizi, nel senso che il termine per impugnare decorra dal
momento in cui divenga percepibile la piena portata
dell'intervento medesimo onde poterne apprezzare l’eventuale
lesività dei propri interessi; di regola, tale conoscenza è
conseguita con l’ultimazione dei lavori, salvo che non sia
provato, a cura di chi ha sollevato l’eccezione, che già in
un momento precedente la costruzione realizzata rivelasse in
modo inequivoco le caratteristiche essenziali dell'opera
agli effetti della sua eventuale difformità rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Com’è noto, il termine di decadenza per
procedere all’impugnazione di atti amministrativi, di
sessanta giorni (art. 29 c.p.a.), decorre dal momento in cui
la parte legittimata all’impugnativa riceva la notifica
dell’atto impugnato, dalla scadenza del periodo di
pubblicazione se previsto (art. 41 co. 2 c.p.a.); in
mancanza, ed è il caso che ci occupa, il termine decorre
dalla piena conoscenza dell’atto.
Per piena conoscenza dell’atto si intende, con
orientamento tradizionale e consolidato, la conoscenza degli
elementi essenziali dell’atto ed essi vanno individuati
nell'autorità emanante, nell'oggetto, nel contenuto
dispositivo e nel suo effetto lesivo (ex multis, v. Cons.
St., IV, 02.09.2011, n. 4973 e Cons. St. VI, n.
5116/2007). L’orientamento che ritiene conseguita la piena
conoscenza dell’atto solo qualora si conoscano anche le sue
motivazioni, così da poterne anche apprezzare gli eventuali
vizi, pur rappresentato in talune pronunce, resta largamente
minoritario (per una attenta ricostruzione degli
orientamenti sul punto si veda Consiglio di Stato, sez. III
23/05/2012, n. 2993 che, comunque, aderisce al menzionato
orientamento maggioritario).
Il descritto orientamento maggioritario, cui la
Sezione aderisce (v., ad es., Sent. n. 1603/2014; v. anche
TAR Napoli, sez. VIII, n. 03240/2013), è declinato,
quanto all’impugnativa dei titoli edilizi, nel senso che il
termine per impugnare decorra dal momento in cui divenga
percepibile la piena portata dell'intervento medesimo onde
poterne apprezzare l’eventuale lesività dei propri interessi
(v., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 12/02/2013, n.
844); di regola, tale conoscenza è conseguita con
l’ultimazione dei lavori, salvo che non sia provato, a cura
di chi ha sollevato l’eccezione, che già in un momento
precedente la costruzione realizzata rivelasse in modo
inequivoco le caratteristiche essenziali dell'opera agli
effetti della sua eventuale difformità rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente (oltre ai precedenti
già richiamati, si vedano: TAR Napoli, sez. II
18/03/2013,n. 1502; Consiglio di Stato, sez. IV 07/11/2012,
n. 5657; Consiglio di Stato, sez. IV 26/11/2013, n. 5633;
Consiglio di Stato, sez. IV 16/04/2014, n. 1890; Consiglio
di Stato, sez. IV 19/12/2012, n. 6557)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 14.11.2014 n. 5902 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di impugnazioni riguardanti titoli
edilizi, la mera vicinitas, ossia l'esistenza di uno stabile
collegamento giuridico con il terreno interessato
dall'intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la
sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a
ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche
allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per
effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo
limitrofo.
Va invero evidenziato che secondo la
tesi prevalente in giurisprudenza, nel caso di impugnazioni
riguardanti titoli edilizi, la mera vicinitas, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento giuridico con il
terreno interessato dall'intervento edilizio, è sufficiente
a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al
ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico
pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo (cfr. fra le tante, Consiglio
di Stato, Consiglio di Stato sez. IV 18.12.2013 n.
6082)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2147 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
In materia edilizia la
mera “vicinitas”, ossia l'esistenza di uno stabile
collegamento con il terreno interessato dall'intervento
edilizio, è sufficiente a comprovare la sussistenza sia
della legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza
che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di
subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività
edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo: è sufficiente
che il ricorrente lamenti l’illegittimità del provvedimento
che comporta una modifica contra ius dello stato dei luoghi,
non rilevando l’eventuale conseguenza secondo cui la regula
iuris affermata dal giudice amministrativo potrebbe far
dedurre l’illegittimità della realizzazione di una
costruzione già realizzata dal ricorrente, ovvero
l’impossibilità per questi di considerare edificabile un
proprio fondo.
Osserva in proposito la
Sezione che, secondo una consolidata giurisprudenza che va
condivisa, in materia edilizia la mera “vicinitas”, ossia
l'esistenza di uno stabile collegamento con il terreno
interessato dall'intervento edilizio, è sufficiente a
comprovare la sussistenza sia della legittimazione che
dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al
ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico
pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria
intrapresa sul suolo limitrofo (Consiglio di Stato, sez. IV,
18.12.2013, n. 6082): è sufficiente che il ricorrente
lamenti l’illegittimità del provvedimento che comporta una
modifica contra ius dello stato dei luoghi, non rilevando
l’eventuale conseguenza secondo cui la regula iuris
affermata dal giudice amministrativo potrebbe far dedurre
l’illegittimità della realizzazione di una costruzione già
realizzata dal ricorrente, ovvero l’impossibilità per questi
di considerare edificabile un proprio fondo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.06.2014 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’impugnazione della concessione edilizia
rilasciata a terzi decorre dalla piena conoscenza del
provvedimento, coincidente con la effettiva conoscenza degli
elementi essenziali del titolo ad aedificandum, del suo
contenuto specifico o della esistenza ed entità delle
violazioni urbanistiche, tali da far desumere la
consapevolezza della portata lesiva dell’intervento
assentito, senza che possa assumere decisiva rilevanza la
conoscenza di solo alcuni elementi esteriori del
provvedimento stesso.
Questo Consesso sempre sul punto, ha avuto modo altresì di
affermare come in assenza di elementi probatori idonei a far
constare una conoscenza anticipata, il termine
d’impugnazione decorre, di solito, dal completamento dei
lavori ed inoltre la prova della tardività facente carico in
capo a chi la eccepisce deve rivestire carattere rigoroso,
non essendo sufficiente fornire degli elementi indiziari.
Avuto riguardo al termine decadenziale di cui
all’art. 21 u.c. della legge n. 1034/1971, la giurisprudenza
si è consolidata nel ritenere che l’impugnazione della
concessione edilizia rilasciata a terzi decorre dalla piena
conoscenza del provvedimento, coincidente con la effettiva
conoscenza degli elementi essenziali del titolo ad aedificandum, del suo contenuto specifico o della esistenza
ed entità delle violazioni urbanistiche, tali da far
desumere la consapevolezza della portata lesiva
dell’intervento assentito, senza che possa assumere decisiva
rilevanza la conoscenza di solo alcuni elementi esteriori
del provvedimento stesso (Cons. Stato Sez. IV 20.07.2011
n. 4374; idem 23/07/2009 n. 4616).
Questo Consesso sempre sul punto, ha avuto modo altresì di
affermare come in assenza di elementi probatori idonei a far
constare una conoscenza anticipata, il termine
d’impugnazione decorre, di solito, dal completamento dei
lavori (Cons. Stato Sez. IV 10.12.2007 n. 6342) ed
inoltre la prova della tardività facente carico in capo a
chi la eccepisce deve rivestire carattere rigoroso, non
essendo sufficiente fornire degli elementi indiziari (Cons.
Stato sez. IV 18.06.2009 n. 4015)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.03.2014 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2014 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Ai sensi degli artt. 13 e 18 della L. 08.07.1986,
n. 349, che attribuiscono alle associazioni ambientalistiche
riconosciute, in via generale, la legittimazione processuale
per la tutela degli interessi di cui le stesse risultano
portatrici, sussiste sempre la legittimazione ad agire in
capo a un organismo associativo con finalità
ambientalistiche avverso provvedimento lesivi degli
interessi diffusi o collettivi, perseguiti e protetti, tra i
quali rientra quello a un corretto rapporto con gli animali
in genere e con gli addomesticati in particolare.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 19 datata 09.07.2012
emessa dal Sindaco del Comune di Cerro al Volturno (Is) e
pubblicata all’albo pretorio dal 09.07.2012 all’08.08.2012,
nella parte in cui vieta <<l’ingresso dei cani, anche
condotti al guinzaglio e con museruola, nei parchi e nei
giardini pubblici comunali>>;
...
Il ricorso è ammissibile e fondato.
La ricorrente è la presidente di un’associazione
ambientalista nazionale per la difesa della biosfera, con
sede in Roma.
Ai sensi degli artt. 13 e 18 della L. 08.07.1986, n. 349,
che attribuiscono alle associazioni ambientalistiche
riconosciute, in via generale, la legittimazione processuale
per la tutela degli interessi di cui le stesse risultano
portatrici, sussiste sempre la legittimazione ad agire in
capo a un organismo associativo con finalità
ambientalistiche avverso provvedimento lesivi degli
interessi diffusi o collettivi, perseguiti e protetti, tra i
quali rientra quello a un corretto rapporto con gli animali
in genere e con gli addomesticati in particolare (cfr.: Tar
Calabria Catanzaro I, 24.05.2011 n. 778). Sotto tale profilo
il ricorso è senz’altro ammissibile
(TAR Molise,
sentenza 17.02.2014 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia di legittimazione all'impugnazione di
permesso di costruire si ritiene necessaria e sufficiente,
come posizione legittimante, la vicinitas, ossia la
dimostrazione di uno stabile collegamento materiale con la
zona coinvolta da un intervento edilizio in capo al
proprietario confinante.
Preliminarmente, va respinta
l’eccezione –opposta dalla contro interessata– di
inammissibilità del ricorso per carenza di interesse: i
ricorrenti sono soggetti che risiedono nelle immediate
vicinanze del parcheggio da costruire, e pertanto sono
senz’altro legittimati ad impugnare il permesso di costruire
medesimo.
Come ritenuto da costante giurisprudenza, “In
materia di legittimazione all'impugnazione di permesso di
costruire si ritiene necessaria e sufficiente, come
posizione legittimante, la vicinitas, ossia la dimostrazione
di uno stabile collegamento materiale con la zona coinvolta
da un intervento edilizio in capo al proprietario
confinante” (CdS, sez. IV, n. 3543/2013, tra le tante)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 24.01.2014 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2013 |
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dicembre 2013 |
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URBANISTICA:
Parte della giurisprudenza sostiene che ogni
cittadino residente in un dato Comune potrebbe per ciò solo
impugnare gli atti di adozione e approvazione del relativo
strumento urbanistico generale, indipendentemente da un
diretto e immediato pregiudizio da essi derivante per un
bene a lui riconducibile, poiché sarebbe titolare di un
interesse alla riedizione dell’attività amministrativa, nel
senso che ove il suo ricorso fosse accolto l’amministrazione
sarebbe tenuta a riapprovare il piano annullato, con
possibilità di un risultato più favorevole.
Il Collegio peraltro condivide l’orientamento maggioritario,
ove citata anche la giurisprudenza minoritaria, osservando
che poter trarre dall’accoglimento del ricorso una qualche
utilità non significa automaticamente essere titolari di una
posizione legittimante che consenta di proporlo: se i due
concetti si identificassero, si finirebbe per consentire il
ricorso stesso anche ai portatori di interessi di mero fatto
e lo si configurerebbe, in ultima analisi, come un’azione
popolare.
Nel caso del piano urbanistico poi, come evidenziato sempre
da TAR Sardegna 1815/2008, dalla cui motivazione si cita,
l’impugnazione generalizzata contraddice la natura stessa
dello strumento urbanistico generale, costituito
“essenzialmente da un insieme di prescrizioni valevoli per
le singole zone omogenee del territorio comunale o per
singole aree o fabbricati… scindibili ai fini del loro
eventuale annullamento in sede giurisdizionale”,
annullamento che va “circoscritto alle aree o ai lotti
interessati dalle prescrizioni giudicate illegittime” senza
che si possa annullare l’intero piano per far conseguire al
privato un’utilità solo strumentale.
In ordine al
secondo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti,
sussiste il difetto di interesse evidenziato nei termini di
cui in narrativa, poiché la ricorrente non ha evidenziato
alcun concreto pregiudizio che le deriverebbe dalla presunta
mancata predisposizione del PUGSS.
Come è noto, parte della
giurisprudenza sostiene che ogni cittadino residente in un
dato Comune potrebbe per ciò solo impugnare gli atti di
adozione e approvazione del relativo strumento urbanistico
generale, indipendentemente da un diretto e immediato
pregiudizio da essi derivante per un bene a lui
riconducibile, poiché sarebbe titolare di un interesse alla
riedizione dell’attività amministrativa, nel senso che ove
il suo ricorso fosse accolto l’amministrazione sarebbe
tenuta a riapprovare il piano annullato, con possibilità di
un risultato più favorevole.
Il Collegio peraltro condivide l’orientamento
maggioritario, enunciato per tutte da C.d.S. sez. IV 13.07.2010 n. 4542 e da TAR Sardegna sez. II
06.10.2008
n. 1815, ove citata anche la giurisprudenza minoritaria,
osservando che poter trarre dall’accoglimento del ricorso
una qualche utilità non significa automaticamente essere
titolari di una posizione legittimante che consenta di
proporlo: se i due concetti si identificassero, si finirebbe
per consentire il ricorso stesso anche ai portatori di
interessi di mero fatto e lo si configurerebbe, in ultima
analisi, come un’azione popolare.
Nel caso del piano urbanistico poi, come evidenziato
sempre da TAR Sardegna 1815/2008, dalla cui motivazione si
cita, l’impugnazione generalizzata contraddice la natura
stessa dello strumento urbanistico generale, costituito
“essenzialmente da un insieme di prescrizioni valevoli per
le singole zone omogenee del territorio comunale o per
singole aree o fabbricati… scindibili ai fini del loro
eventuale annullamento in sede giurisdizionale”,
annullamento che va “circoscritto alle aree o ai lotti
interessati dalle prescrizioni giudicate illegittime” senza
che si possa annullare l’intero piano per far conseguire al
privato un’utilità solo strumentale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.12.2013 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
I proprietari di immobili posti in zone
confinanti o limitrofe con quelle interessate da un permesso
di costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli
edilizi che, incidendo sulle condizioni dell'area, possono
pregiudicare la loro proprietà e, più in generale, possono
modificare l'assetto edilizio, urbanistico ed ambientale
della zona, né è necessaria la prova di un danno specifico,
in quanto il danno a tutti i membri di quella collettività è
insito nella violazione edilizia.
---------------
Il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato
tra quelli a cui va inviata la comunicazione di avvio del
procedimento avviato per il rilascio di un titolo edilizio,
ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n. 241, pur se lo
stesso già risulti essersi opposto in precedenti occasioni
all'attività edilizia dell'altro soggetto confinante.
Per ciò che concerne la contestata vicinitas e
l’assenza di pregiudizio per i ricorrenti, l’eccezione
appare all’evidenza pretestuosa: se in linea di fatto è
incontestato come gli immobili siano distanti solo 15 metri
e collocati nel medesimo contesto urbanistico territoriale,
in linea di diritto costituisce jus receptum, ribadito dalla
sezione e dalla prevalente giurisprudenza, che i proprietari
di immobili posti in zone confinanti o limitrofe con quelle
interessate da un permesso di costruzione sono sempre
legittimati ad impugnare i titoli edilizi che, incidendo
sulle condizioni dell'area, possono pregiudicare la loro
proprietà e, più in generale, possono modificare l'assetto
edilizio, urbanistico ed ambientale della zona, né è
necessaria la prova di un danno specifico, in quanto il
danno a tutti i membri di quella collettività è insito nella
violazione edilizia (cfr. ad es. Consiglio di Stato n.
3055/2013 e 2488/2013, Tar Liguria n. 34/2013).
---------------
La sezione in
materia si è già espressa ribadendo il principio a mente del
quale il vicino controinteressato non è un soggetto
contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di
avvio del procedimento avviato per il rilascio di un titolo
edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n.
241, pur se lo stesso già risulti essersi opposto in
precedenti occasioni all'attività edilizia dell'altro
soggetto confinante (cfr. Tar Liguria n. 1736/2009) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 30.10.2013 n. 1257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
La giurisprudenza
amministrativa accorda la legittimazione all’immediata
impugnativa di un regolamento –per definizione atto generale
ad astratto- solo a particolari categorie di soggetti,
segnatamente a coloro i quali siano autorizzati a svolgere
una certa attività, in concreto avente alcune
caratteristiche, e la vedano dal regolamento in parola
diversamente disciplinata.
In termini non dissimili, accorda poi la legittimazione
anche a coloro i quali facciano parte di una data categoria
di giuridico rilievo, nella specie i partecipanti ad un
concorso, sulla cui situazione il regolamento incide.
In proposito, va anche ricordato l’altro principio generale
proprio con riguardo ad un regolamento, per cui l’interesse
a impugnare sussiste solo a fronte di una diretta ed attuale
lesione della propria sfera giuridica.
... che il ricorso principale, rivolto
avverso un atto regolamentare, va dichiarato inammissibile.
Come è noto, il nostro ordinamento accorda la tutela
giurisdizionale amministrativa solo a quei soggetti i quali,
in relazione all’atto impugnato, siano titolari di un
interesse differenziato e qualificato, diverso quindi da
quello di cui è titolare il comune cittadino.
Pertanto, la
giurisprudenza amministrativa accorda la legittimazione
all’immediata impugnativa di un regolamento –per definizione
atto generale ad astratto- solo a particolari categorie di
soggetti, segnatamente a coloro i quali siano autorizzati a
svolgere una certa attività, in concreto avente alcune
caratteristiche, e la vedano dal regolamento in parola
diversamente disciplinata: così C.d.S. sez. VI 16.02.2002 n. 961, nella giurisprudenza della Sezione Sez. II
04.10.2010 n. 3730 e di recente sez. I 17.06.2013
n. 584; in termini non dissimili, accorda poi la
legittimazione anche a coloro i quali facciano parte di una
data categoria di giuridico rilievo, nella specie i
partecipanti ad un concorso, sulla cui situazione il
regolamento incide: così C.d.S. sez. VI 18.12.2007
n. 6535.
Nessuna di tali fattispecie qui ricorre, dato che i
ricorrenti sono privati cittadini i quali non risultano
svolgere alcuna attività autorizzata o comunque
differenziata dall’ordinamento che rilevi in rapporto alle
norme regolamentari denunziate, tale non essendo l’attività
di cultori dell’ornitologia, che rientra nell’ampio novero
delle lecite e commendevoli attività di interesse
scientifico e culturale cui ciascuno può dedicare il proprio
tempo, senza ovviamente necessità di assensi o
autorizzazioni di sorta da parte dei pubblici poteri.
In
proposito, va anche ricordato l’altro principio generale,
espresso per tutte da C.d.S. sez. VI 08.04.2011 n. 2184
proprio con riguardo ad un regolamento, per cui l’interesse
a impugnare sussiste solo a fronte di una diretta ed attuale
lesione della propria sfera giuridica. Solo apparentemente
contrari sono i precedenti citati dai ricorrenti
nell’articolata loro memoria 31.07.2013. Essi riguardano
o casi in cui il ricorso era stato in realtà dichiarato
inammissibile proprio per carenza di interesse (TAR Toscana
sez. II 07.11.2003 n. 5706, confermata in appello da
C.d.S. sez. IV 22.06.2006 n. 3947), o casi in cui,
secondo la motivazione, non sarebbe stato in realtà spazio
alcuno per provvedimenti applicativi (C.d.S. sez. IV 17.04.2002 n. 2032), o casi in cui la questione viene solo
delibata (ord. di rimessione alla Corte costituzionale TAR
Lazio Roma sez. I 12.04.2011 n. 3202), ovvero infine casi
in cui il ricorrente agiva a difesa di una propria attività
in senso ampio previamente assentita dall’amministrazione,
quella di concessionario di pubblico servizio, nella specie
di distribuzione dell’elettricità, per ciò tenuto a
collocare condutture nel suolo pubblico (TAR Lombardia
Brescia sez. I 15.01.2010 n. 29, Milano sez. I 24.04.2012 n. 1203 e sez. II 17.06.2009 n. 4064), ovvero quella
di concessionario di area pubblica, su cui si voleva imporre
un tributo con effetto anche sui rapporti in essere (TAR
Puglia Bari sez. I 21.10.2010 n. 3736), ovvero ancora di
soggetto autorizzato a far atterrare un elicottero in area
protetta (C.d.S. sez. VI 18.03.2003 n. 1414).
E’ solo per
completezza che si ricorda come i principi appena esposti
non comportino alcun vuoto di tutela, atteso che le norme
regolamentari qui impugnate potranno essere oggetto di pieno
sindacato giurisdizionale là dove rilevino quale presupposto
di un atto applicativo di carattere sanzionatorio,
impugnabile nella sede competente, di norma avanti il G.O.
cui spetta in tal caso il potere di disapplicazione, atto
che peraltro nel periodo di pendenza del processo non
risulta nemmeno adombrato (v. lettera Segretario comunale
Offanengo 18.03.2013 dep. il giorno successivo)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.10.2013 n. 906 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Decorrenza del termine per impugnare il permesso di
costruire.
Ai fini della decorrenza iniziale del
termine di decadenza per impugnare il permesso di costruire
rilasciato a terzi, le iniziative giudiziali e
stragiudiziali poste in essere da uno dei coniugi,
comportanti la necessaria conoscenza dell’esistenza e del
contenuto del permesso di costruire contestato,
costituiscono indizi seri, precisi e concordanti che anche
l’altro coniuge (che ha presentato da solo ricorso al TAR)
avesse piena consapevolezza delle caratteristiche
dell’intervento edilizio autorizzato e della sua lesività.
E’ quindi tardivo il ricorso presentato da uno dei coniugi
oltre il termine di decadenza di 60 giorni dalle iniziative
poste in essere dall’altro coniuge.
Secondo giurisprudenza amministrativa consolidata, il
termine per l'impugnazione del permesso di costruire da
parte dei terzi, che assumano di aver subito pregiudizio
dalla costruzione assentita, decorre dalla effettiva
conoscenza del provvedimento, intendendosi tale conoscenza
come un fatto la cui prova rigorosa incombe alla parte che
eccepisce la tardività (ex multis TAR Marche, sez. I,
26.09.2007, n. 1574; TAR Campania Salerno, sez. II,
19.07.2007, n. 860).
Al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione,
l'effettiva conoscenza dell'atto si verifica quando la
costruzione realizzata rivela in modo certo e univoco le
essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica, con la conseguenza che in mancanza di altri e
inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il
mero inizio dei lavori, ma con il loro completamento a meno
che non venga provata una conoscenza anticipata o si
deducano censure di assoluta inedificabilità dell'area o di
analoga natura, nel qual caso risulta sufficiente la
conoscenza dell'iniziativa in corso (Consiglio Stato, sez.
IV, 10.12.2007, n. 6342).
La pronuncia in esame ribadisce, innanzitutto, che la
conoscenza rilevante ai fini della decorrenza del termine
per impugnare un permesso di costruire, deve consistere
nella consapevolezza del contenuto della concessione o del
progetto edilizio o del manufatto completo dei suoi elementi
essenziali (Cons. St. Sez. V, 12.07.2010, n. 4482; Sez. IV,
10.12.2007, n. 6342; 12.02.2007, n. 599). La prova di tale
conoscenza può essere desunta anche da elementi presuntivi,
quando, per la loro concordanza e precisione, non lascino
dubbi circa la conoscenza dell’entità dell’intervento
edilizio.
Afferma poi, e qui risiede la peculiarità della decisione,
che le iniziative giudiziali e stragiudiziali poste in
essere da uno dei coniugi, comportanti la necessaria
conoscenza dell’esistenza e del contenuto del permesso di
costruire contestato, costituiscono indizi seri, precisi e
concordanti che anche l’altro coniuge (che ha presentato da
solo ricorso al TAR) avesse piena consapevolezza delle
caratteristiche dell’intervento edilizio autorizzato e della
sua lesività, essendo le relative azioni, pur se improntate
sulla legittimazione attiva disgiunta del coniuge in regime
di comunione ex art. 180 cod. civ., tese a difendere
l’integrità del patrimonio comune in ordine ad un rapporto
sostanziale unico dedotto in causa, secondo la
prospettazione del ricorrente, e ad ottenere il bene della
vita da parte di entrambi i coniugi (Cons. Stato Sez. V,
24.02.1990, n. 202).
Le azioni rivolte alla tutela dell’integrità del patrimonio
immobiliare, in cui la rappresentanza in giudizio deve
considerarsi spettante, a norma dell’art. 180 cod. civ., ad
entrambi i coniugi disgiuntamente, rientrano tra quelle a
carattere reale o con effetti reali, dirette alla tutela
della proprietà e del godimento comune, con la conseguenza
che gli effetti si estendono anche nei riguardi nel coniuge
assente, escludendosi il litisconsorzio necessario, sulla
base della natura unica ed inscindibile del rapporto dedotto
in giudizio e l’incidenza sul rapporto medesimo
dell’iniziativa dell’unico coniuge, con effetti sulla
comunione in quanto tale (Cons. St. Sez. IV, 30.11.2006, n.
7014).
Dovendosi ammettere che tutte le iniziative intraprese da
uno dei coniugi a tutela del bene comune producano effetti
anche nei confronti dell’altro coniuge, non è possibile
negare la conoscenza in capo a quest’ultimo dell’atto
produttivo degli effetti lesivi avversati con iniziative
anche in sede giudiziaria. Di conseguenza è tardivo di un
ricorso al TAR presentato da uno dei due coniugi (a
vantaggio sostanziale anche dell’altro) oltre il termine di
decadenza di 60 giorni da quelle iniziative.
---------------
Esito
Riforma TAR Puglia Bari: Sezione II n. 2242/2010
Precedenti giurisprudenziali generali sul
termine per impugnare il permesso di costruire rilasciato a
terzi:
Cons. Stato Sez. IV, 12.02.2013, n. 844; Cons. Stato Sez. IV,
07.11.2012, n. 5657; Cons. Stato Sez. V, 27.06.2012, n.
3777; Cons. Stato Sez. IV, 17.09.2012, n. 4923; Cons. Stato
Sez. IV, 16.07.2012, n. 4132, Cons. Stato Sez. IV,
23.09.2011, n. 5346, Cons. Stato Sez. IV, 16.07.2012, n.
4132, Cons. Stato Sez. IV, 30.07.2012, n. 4287; Cons. St.,
Sez. V, 12.07.2010, n. 4482; Cons. St., Sez. IV, 10.12.2007,
n. 6342; Cons. St., Sez. IV, 12.02.2007, n. 599; TAR Marche,
sez. I, 26.09.2007, n. 1574; TAR Campania Salerno, sez. II,
19.07.2007, n. 860; Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6342
Precedenti giurisprudenziali sugli effetti
ai fini della presunzione di conoscenza di uno dei coniugi
delle azioni poste in essere dall’altro coniuge:
Cons. Stato Sez. V, 24.02.1990, n. 202
Riferimenti normativi
Art. 180 cod. civ. (commento tratto da www.ispoa.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.10.2013 n. 5103 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Domanda
In quali casi un Giudice può legittimare un'Associazione
locale all'impugnazione degli atti amministrativi a tutela
dell'ambiente?
Risposta
Ad esempio quando non si denunci la diretta lesione di un
bene ambientale in senso stretto, ma ci si limiti a
contestare alcune scelte gestionali degli enti coinvolti, la
giurisprudenza (TAR Piemonte Torino Sez. I, 04.09.2009, n.
2258) ha ritenuto che l'incidenza sull'ambiente sia del
tutto ipotetica e indiretta e non ha attenga con le ragioni
di tutela per cui è riconosciuta ex lege la
legittimazione delle associazioni di protezione ambientale.
Altra giurisprudenza (TAR Veneto Venezia Sez. II Sent.,
11.07.2008, n. 1993) ha chiarito che la legittimazione
attribuita alle associazioni ambientaliste non può, dunque,
giustificare l'impugnazione di atti aventi valenza meramente
urbanistica, senza che ne sia dimostrata, in concreto, la
contestuale incidenza negativa su valori ambientali, cosa
che nella specie è avvenuta, in quanto si agisce contro una
supposta minaccia al bene ambientale nella sua integralità.
Le associazioni di protezione ambientale a carattere
nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono
individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla
base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento
interno democratico previsti dallo statuto, nonché della
continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo
parere del Consiglio nazionale per l'ambiente (L.
08.07.1986, n. 349, art. 13).
L'elenco è pubblicato sul sito istituzionale del Ministero
(http://www.minambiente.it) (08.10.2013 - tratto da
www.ispoa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE PROGETTUALI: Gli
ordini professionali hanno la legittimazione ad agire
davanti al giudice amministrativo per difendere gli
interessi dei soggetti di cui hanno la rappresentanza
istituzionale, sia ai fini della tutela della professione
stessa o di attribuzioni proprie, sia ai fini del
perseguimento di vantaggi strumentali giuridicamente
riferibili alla sfera categoriale.
Gli ordini professionali hanno la legittimazione ad agire
davanti al giudice amministrativo per difendere gli
interessi dei soggetti di cui hanno la rappresentanza
istituzionale, sia ai fini della tutela della professione
stessa o di attribuzioni proprie, sia ai fini del
perseguimento di vantaggi strumentali giuridicamente
riferibili alla sfera categoriale (ex plurimis: TAR
Lazio, Sez. III-quater, 18.11.2005 n. 11607; TAR Lazio-Roma
Sez. I, 02.11.1995 n. 1896; Cons. Stato, Sez. V 30.01.2002
n. 505; TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I 18.12.2001 n.
1282)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 01.10.2013 n. 936 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2013 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Il giudice amministrativo
può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad
impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad
associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura
giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non
occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un
adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area
di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il
bene a fruizione collettiva che si assume leso.
Pertanto la legittimazione processuale delle associazioni
ambientaliste deve essere apprezzata, almeno in astratto, in
presenza di tre requisiti tradizionalmente utilizzati al
riguardo in giurisprudenza, rispettivamente relativi alle
finalità statutarie dell'ente, alla stabilità del suo
assetto organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas dello
stesso stesso ente rispetto all'interesse sostanziale che si
assume leso per effetto dell'azione amministrativa e a
tutela del quale, pertanto, l'ente esponenziale intende
agire in giudizio.
A tali considerazioni deve aggiungersi, in relazione ad un
profilo più concreto e vicino alla questione in esame, che,
nonostante la concezione giuridicamente rilevante del
concetto di ambiente, occorre che il provvedimento che si
intenda impugnare leda in modo diretto ed immediato
l'interesse alla preservazione del bene ambiente.
... chiarito il contesto decisionale, si può ben riprendere
la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che in più
occasioni ha evidenziato i limiti alla legittimazione delle
associazioni ambientaliste avverso le varianti urbanistiche.
Si è perciò detto, in via generale, che il giudice
amministrativo può riconoscere, caso per caso, la
legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti
sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente
dalla loro natura giuridica), purché perseguano
statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela
ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività
e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona
in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si
assume leso (Consiglio di Stato, sez. VI, 23.05.2011, n.
3107). Pertanto la legittimazione processuale delle
associazioni ambientaliste deve essere apprezzata, almeno in
astratto, in presenza di tre requisiti tradizionalmente
utilizzati al riguardo in giurisprudenza, rispettivamente
relativi alle finalità statutarie dell'ente, alla stabilità
del suo assetto organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas
dello stesso stesso ente rispetto all'interesse sostanziale
che si assume leso per effetto dell'azione amministrativa e
a tutela del quale, pertanto, l'ente esponenziale intende
agire in giudizio.
A tali considerazioni deve aggiungersi, in relazione ad un
profilo più concreto e vicino alla questione in esame, che,
nonostante la concezione giuridicamente rilevante del
concetto di ambiente, occorre che il provvedimento che si
intenda impugnare leda in modo diretto ed immediato
l'interesse alla preservazione del bene ambiente (Consiglio
di Stato, sez. IV, 09.11.2004 n. 7246).
Nel caso di specie, devono quindi condividersi le
considerazioni del primo giudice, sulla carente indicazione
del rapporto tra i provvedimenti urbanistici adottati e la
lesione lamentata, per cui va ribadito come manchi del tutto
un meccanismo di collegamento tra l’associazione appellante
e la tutela di cui questa si afferma portatrice (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.08.2013
n. 4233 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Impugnazione del permesso più facile per il confinante.
Consiglio
di Stato. Autorizzazioni alla costruzione.
Nella valutazione della legittimità del permesso a
costruire, devono venire in considerazione le proprietà
contermini. Solo il diretto confinante della proprietà
interessata dall'intervento edilizio può contestare il
rilascio del permesso a costruire. Non anche il "confinante
del confinante".
Con questo principio, il Consiglio di Stato
-IV Sez.,
sentenza
01.07.2013 n. 3543- ha affrontato la
delicata questione della cosiddetta vicinitas. A questo
proposito, va detto che anche recentemente –Consiglio di
Stato, quarta sezione, sentenza n. 2974/2013– l'eventuale
contestazione della concessione edilizia o permesso a
costruire può essere fatta valere da chi ha una stabile
situazione di collegamento con il terreno oggetto
dell'intervento. Il che supera ogni esigenza di indagine
diretta a stabilire se i lavori oggetto del permesso
comportino un effettivo pregiudizio alla proprietà vicina.
Il Consiglio di Stato ha ora affermato che il "confinante
del confinante" in quanto tale non è di per sé soggetto
titolare di una posizione sufficiente a giustificare
l'impugnazione. Se così fosse, il proprietario confinante
con edificio a sua volta confinante con quello oggetto di un
intervento edilizio, si verrebbe a trovare nella posizione
di "sostituto" processuale. Ma ciò comporterebbe la
violazione dell'articolo 181 del Codice di procedura civile,
secondo il quale nessuno può far valere in giudizio in nome
proprio un diritto altrui se non nei casi espressamente
previsti dalla legge.
I principi in materia di
legittimazione all'impugnazione di permesso di costruire
(sul punto Consiglio di Stato, quinta sezione, n. 2757/2013;
sesta sezione, n. 3750/2012), portano ad affermare che è
necessaria e sufficiente, come posizione legittimante, la vicinitas. Anche se la cosiddetta
vicinitas, secondo la
giurisprudenza del Consiglio di Stato (quinta sezione, sent.
n. 2234/2012), deve essere intesa in senso ampio. Ciò che
rileva è, infatti, non solo e non tanto la vicinanza
geografica del ricorrente, ma più specificamente la
possibilità di risentire degli effetti sfavorevoli di un
certa situazione.
Deve ritenersi, dunque, sufficiente una
plausibile prospettazione da parte dell'interessato non
potendosi esigere una prova effettiva di un danno attuale.
Tali principi sono poi trasferibili anche nei rapporti di
vicinanza tra gli stessi enti territoriali. Se un Comune è
confinante a quello direttamente interessato dalle possibili
ripercussioni derivanti dalla realizzazione di un impianto
quella situazione rientra nel concetto di vicinitas.
In conclusione, si può dire che, alla luce della
giurisprudenza, le conseguenze della vicinitas, quale
rapporto di vicinanza territoriale, possono essere queste:
- condizione di legittimità per il rilascio del permesso a
costruire;
- idoneità a dare legittimazione alle richieste, mediante
ricorso, di tutela giurisdizionale, per esempio al Tar;
- il rapporto di vicinanza di "secondo grado" ("vicino del
vicino") non legittima in quanto tale il ricorso, contro il
rilasciato permesso a costruire, ma impone l'esigenza di
spiegare quali siano le specifiche situazioni compromesse
dalla realizzanda iniziativa non direttamente confinante
(articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2013). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Associazioni ambientaliste non individuate.
Domanda
Le associazioni ambientaliste non individuate ai sensi
dell'articolo 13 della legge numero 349, del 1986, possono
impugnare provvedimenti, ritenuti lesivi, di interessi
ambientali in ambito territoriale circoscritto?
Risposta
Il Consiglio di stato, sezione V, con la sentenza del 22.03.2012, numero 1640, ha affermato che, in tema di
legittimazione attiva di associazioni ambientaliste non
individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge numero
349, del 1986, a ricorrere avverso provvedimenti
potenzialmente lesivi di interessi ambientali in ambito
territoriale circoscritto, non sussiste detta legittimazione
attiva delle suddette associazioni ambientaliste se le
stesse non posseggono criteri legittimandi, quali quelli:
«Di perseguire la tutela ambientale in modo non occasionale
e per espressa previsione statutaria nonché di godere di un
adeguato grado di rappresentatività e stabilità nell'area
ricollegabile alla zona in cui si trova il bene ambientale
che si presume leso».
In altre parole, le summenzionate
associazioni ambientaliste devono essere in possesso dei
requisiti atti a svolgere, in modo non occasionale e per
espressa previsione contenuta nello statuto, attività
connesse alla tutela ambientale. Le stesse, poi, devono
essere collegate, in modo stabile, con il territorio e
devono godere di un adeguato grado di rappresentatività
delle popolazioni locali.
I succitati Supremi giudici, nel decidere, hanno tenuto bene
in evidenza, e ne hanno fatto tesoro, la precedente sentenza
della stesso Consiglio di stato, Adunanza plenaria (sentenza
numero 4, del 07.04.2011), che, a proposito di
legittimazione attiva di associazioni ambientaliste non
individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge numero
349, del 1986, aveva chiaramente ed esplicitamente
affermato: «Il collegio premette che la legittimazione al
ricorso, in quanto condizione dell'azione, deve essere
accertata con rigore».
Parte della dottrina ha criticato
pesantemente il principio affermato da succitata sezione V,
del Consiglio di stato, sostenendo, che, nella fattispecie,
avrebbe dovuto trovare applicazione il principio della
sussidiarietà orizzontale prevista dall'articolo 118, ultimo
comma, della Carta costituzionale «in alternativa al
complesso accertamento ex iudice dell'esistenza di criteri
quali la vicinanza, lo stabile collegamento e l'adeguata
rappresentatività».
Per questa dottrina, l'articolo 118, summenzionato, è da
solo rappresentativo di un efficace rimedio in difesa di
quelle posizioni giuridiche meritevoli di tutela «che
altrimenti non avrebbero modo di emergere» (articolo ItaliaOggi
Sette dell'01.07.2013). |
giugno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia di
provvedimenti relativi ad interventi edilizi, va esclusa in
capo al progettista dell’opera la titolarità di un interesse
autonomo e differenziato che possa validamente fondare la
legittimazione ad impugnare (il diniego all'istanza
presentata).
Quest’ultima va riconosciuta, infatti, esclusivamente in
capo al committente della attività di progettazione in
quanto titolare di un diritto reale o di godimento ovvero di
altra situazione giuridica qualificata e differenziata da
cui deriva la legittimazione a ricorrere.
Al progettista può essere riconosciuta una mera
legittimazione ad intervenire, accessoria e subordinata, per
la tutela di un interesse di fatto alla realizzazione
dell’opera da lui ideata ma non certo una legittimazione a
ricorrere in via principale spettante ad altro soggetto, il
committente, che non ha inteso avvalersi del rimedio
giurisdizionale.
Con il ricorso in epigrafe
specificato, l’ing. Antonio Positano impugna il prefato
provvedimento di diniego di accertamento di compatibilità
paesaggistica, eccependone numerosi vizi, tutti, a suo dire,
derivanti da una discrepanza tra il contenuto della istanza
da lui presentata ed il provvedimento adottato dal Comune ed
oggetto di impugnazione.
Ritiene il collegio di potere decidere il ricorso con
sentenza semplificata ai sensi degli articoli 74 e 35, c. 1,
lett. b), del c.p.a, dichiarandolo inammissibile per carenza
di legittimazione ad agire in capo al ricorrente, ing.
Positano.
Costituisce, infatti, orientamento consolidato quello
secondo cui, in materia di provvedimenti relativi ad
interventi edilizi, va esclusa in capo al progettista
dell’opera la titolarità di un interesse autonomo e
differenziato che possa validamente fondare la
legittimazione ad impugnare (ex multis, TAR Lombardia,
Milano, II; sentenza 28.01.2011, n. 265 e copiosa
giurisprudenza ivi richiamata).
Quest’ultima va riconosciuta, infatti, esclusivamente in
capo al committente della attività di progettazione in
quanto titolare di un diritto reale o di godimento ovvero di
altra situazione giuridica qualificata e differenziata da
cui deriva la legittimazione a ricorrere (TAR Lombardia
Milano, II, sentenza 02.09.2011, n. 2148).
Al progettista può essere riconosciuta una mera
legittimazione ad intervenire, accessoria e subordinata, per
la tutela di un interesse di fatto alla realizzazione
dell’opera da lui ideata ma non certo una legittimazione a
ricorrere in via principale spettante ad altro soggetto, il
committente, che non ha inteso avvalersi del rimedio
giurisdizionale (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 21.06.2013 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contenzioso. Con la crisi si punta a costruire in base alle
richieste dell'acquirente.
Sugli edifici «su misura» pesa il rischio di ricorsi.
Il termine per impugnare decorre dalla fine dei lavori.
Quanto incide l'incertezza generata dai ricorsi
giurisdizionali in materia edilizia sull'attuale crisi del
mercato immobiliare? Probabilmente poco, la crisi è generata
da fattori diversi. Ma forse quel poco è comunque troppo.
Quando l'economia era favorevole, il mercato immobiliare era
pronto ad accogliere pressoché tutte le tipologie edilizie e
le diverse destinazioni funzionali realizzabili. Il mercato
era push, la domanda era pronta a sostenere la spinta
dell'offerta. La crisi ci ha ora condotto in un mercato
pull, nel quale l'offerta è tirata dalla domanda: si vende
solo quello che è stato costruito "su misura" (il cosiddetto
"chiavi in mano"), assecondando le esigenze specifiche
dell'acquirente.
In questo quadro, chi compra non è assolutamente disposto a
correre il rischio del contenzioso amministrativo, che
potrebbe portare alla demolizione dell'edificio taylor made.
Peccato però che quando si negozia la vendita di un bene che
ancora non c'è (e che normalmente viene pagato "a Sal", in
base allo stato di avanzamento lavori, vale a dire in corso
d'opera), il pericolo del contenzioso sia un'eventualità
lontana nel tempo. Il ricorso al Tar può infatti giungere
anche a cantiere aperto da tempo e fino al momento
dell'ultimazione dei lavori (si veda l'articolo a fianco),
vale a dire anche a distanza di tre o quattro anni dalla
stipula del contratto. Infatti, la giurisprudenza
amministrativa è stabile nel ritenere che la «piena
conoscenza» del titolo edilizio non si forma al momento
dell'apposizione del cartello di cantiere e neppure con
l'inizio dei lavori. Per contro, è necessario che le
lavorazioni abbiano raggiunto un avanzamento tale da svelare
gli eventuali profili di contrasto con la disciplina
urbanistica dell'area.
Di regola, dunque, il termine per impugnare il permesso di
costruire da parte del proprietario confinante o
dell'interessato decorre dalla data di ultimazione dei
lavori, o comunque dal momento in cui i lavori manifestino
le caratteristiche essenziali dell'opera (si veda la
pronuncia 1904 del 05.04.2013 del Consiglio di Stato). Il
principio subisce un'eccezione nei casi in cui il ricorrente
non contesti il profilo quantitativo o qualitativo
dell'opera, ma la sua stessa fattibilità in relazione alla
supposta inedificabilità dell'area interessata. In questi
casi, gli elementi cognitivi necessari all'impugnazione sono
già contenuti nel cartello di cantiere, con l'effetto che il
termine per impugnare il titolo decorre dalla data di
apposizione dello stesso (Consiglio di Stato, pronuncia 365
del 22.01.2013).
In relazione alle modalità per l'impugnativa dei titoli,
occorre invece distinguere tra l'azione esperibile contro i
permessi di costruire e quella prevista per contestare le
lavorazioni oggetto di Dia o Scia.
Nei confronti del permesso di costruire, si può esperire
l'ordinaria azione di annullamento davanti al Tar
competente.
Per le lavorazioni oggetto di Dia e Scia, il rimedio è
invece meno diretto. L'articolo 19, comma 6-ter, della legge
241/1990, introdotto dal decreto legge 138/2011, prevede
infatti che gli interessati abbiano l'onere di sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e
che, in caso di inerzia, possano solo esperire l'azione
contro il silenzio. La norma è stata introdotta con buona
pace dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato che,
qualche giorno prima dell'entrata in vigore del decreto,
aveva stabilito che l'interessato, anche in caso di Dia e
Scia, avrebbe direttamente potuto esperire l'azione di
annullamento, agendo contro il provvedimento tacito
formatosi con l'inerzia protratta dell'amministrazione oltre
al termine previsto dalla legge per inibire le lavorazioni
(Consiglio di Stato, adunanza plenaria 15 del 29.07.2011).
Non solo. L'adunanza plenaria aveva anche apertamente
contestato il sistema di tutela che, dopo qualche giorno, è
stato introdotto nell'ordinamento, affermando, in
particolare, che «la ricostruzione che (...) reputa
praticabile il rimedio avverso il silenzio non significativo
mantenuto dall'amministrazione a fronte dell'istanza
proposta dal terzo al fine di eccitare l'esercizio del
potere di autotutela (...) non è idonea a tutelare in modo
efficace la sfera giuridica del terzo».
Secondo i giudici,
il terzo «avrebbe l'onere, prima di agire in giudizio, di
presentare apposita istanza sollecitatoria alla Pa, così
subendo una procrastinazione del momento dell'accesso alla
tutela giurisdizionale, e, quindi, specie con riguardo alla
Dia a efficacia immediata, un'incisiva limitazione
dell'effettività della tutela giurisdizionale in spregio ai
principi di cui agli articoli 24, 103 e 113 della
Costituzione».
---------------
I rimedi. La conoscenza legale.
Regole da rivedere con i progetti nell'albo pretorio.
È difficile distribuire tra le parti il "rischio ricorso".
Chi compra, infatti, non intende certo correrlo, tanto che
potrebbe voler inserire nel contratto una clausola che
prevede che in caso di notifica del ricorso i lavori e i
pagamenti si fermino e che, decorso qualche mese, se il
contenzioso non si chiude, il rapporto si risolva con
l'obbligo per il costruttore-venditore di restituire gli
acconti ricevuti. Ma anche chi vende non accetta facilmente
di mettere a rischio il proprio investimento, perdendo il
cliente a cui si era legato quasi indissolubilmente
costruendo un bene su misura, a causa di un ricorso che
potrebbe poi essere rigettato fuori tempo massimo. Perché,
in aggiunta al fatto che i ricorsi possono giungere a
distanza di anni, i giudizi al Tar e al Consiglio di Stato
difficilmente durano meno di 18 mesi.
Per garantire la certezza dei diritti connessi alle
edificazione, è necessario rivedere le regole sulle
impugnazioni in materia edilizia, che permettono ai terzi di
contestare il manufatto in via di edificazione sul terreno
confinante sino al momento in cui l'edificio raggiunge la
sua conformazione pressoché definitiva, perché solo in quel
momento l'interessato è in grado di apprezzarne
compiutamente la lesività. Si tratta però di un impianto
oggi superato: l'obiettivo potrebbe essere conseguito in
modo semplice e conforme allo sviluppo tecnologico, dando
valore di conoscenza legale alla pubblicazione sull'albo
pretorio informatizzato comunale del titolo edilizio e degli
elaborati progettuali.
Gli estremi della pubblicazione online potrebbero essere
richiamati sul cartello con gli estremi del titolo edilizio
che già oggi deve essere esposto in cantiere. E le parti
potrebbero introdurre nei loro contratti una clausola di
"stand still" che prevede che il contratto venga ridiscusso
oppure che abbia piena efficacia (e che quindi i lavori
possano partire) solo dopo aver verificato se il rischio
ricorso si avvera o no.
Un intervento normativo sarebbe auspicabile non solo per le
operazioni immobiliari più rilevanti, ma anche per gli
interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio
esistente. È anzi con riferimento alle opere minori che
l'esperienza evidenzia come il ricorso al Tar sia sovente
promosso a ridosso della fine dei lavori di ristrutturazione
o di ampliamento non tanto per inibirli, quanto per
negoziare il ritiro dell'azione sfruttando la debolezza del
vicino, dato che non può più esercitare l'opzione di non dar
corso ai lavori ormai finiti e pagati (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il possesso del titolo di
legittimazione alla proposizione del ricorso per
l'annullamento di una concessione edilizia, che discende
dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato –confinante che
contesta la violazione di distanze e altezze- può
addirittura esimere da qualsiasi indagine al fine di
accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto
impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione.
Con il terzo motivo
gli appelli deducono l’erroneità della sentenza appellata
per inammissibilità del ricorso originario, per l’errato
rigetto delle eccezioni di difetto di prova circa
legittimazione e interesse ad agire in giudizio dei
ricorrenti originari (punto 4 della sentenza) e per
genericità dei motivi.
Alla luce del consolidato orientamento in tema di condizioni
dell’azione dei vicini, non si vede come possano essere
degne di positiva valutazione le sopra riportate motivazioni
di appello: i ricorrenti originari sono comproprietari di
fabbricato con annesso giardino che confina per un lato con
via Matese e per un altro con una traversa interna di via
Matese, mentre il fabbricato oggetto della concessione in
variante sorge proprio al confine con la suddetta traversa
interna di via Matese.
E’ evidente l’interesse dei ricorrenti originari a
contrastare la costruzione di un fabbricato di tre piani
fuori terra, sostenendo essi che gli strumenti urbanistici
consentano soltanto la costruzione di un fabbricato di due
piani.
Al di là della considerazione che è evidente nella specie il
danno temuto dai ricorrenti rispetto al fabbricato di loro
proprietà, la giurisprudenza di questo Consesso, in ordine
alla impugnativa di titoli edilizi, ha da tempo affermato
che il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato
–confinante che contesta la violazione di distanze e
altezze- può addirittura esimere da qualsiasi indagine al
fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti
dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione (da
ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 29.08.2012, n. 4643) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.06.2013 n. 3184 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2013 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE PROGETTUALI: La
giurisprudenza amministrativa <<ha da tempo riconosciuto
ampia legittimazione al ricorso giurisdizionale in capo agli
Ordini e Collegi professionali a tutela sia di interessi
propri dell’ente che di interessi propri ed esponenziali del
gruppo professionale nel suo complesso. Gli Ordini degli
ingegneri, degli architetti, dei geologi, devono ritenersi,
infatti, legittimati ad impugnare avvisi o bandi di gara o,
più in generale, atti di procedure selettive poste in essere
da pubbliche amministrazioni per la scelta dei
professionisti cui affidare incarichi di progettazione, ogni
qual volta le regole di scelta del contraente e gli atti
della procedura siano idonei a determinare la lesione di
profili della professionalità dei professionisti
partecipanti. Detta legittimazione sussiste […] qualora le
regole della procedura siano direttamente incidenti sulle
regole professionali (ad es. ammissione di altre
professionalità allo svolgimento di attività riservate alla
categoria ricorrente>>.
---------------
Non vi è dubbio che nella nozione di “edilizia civile” siano
da comprendere tutte le opere anche connesse ed accessorie,
purché ovviamente si tratti di pertinenze al servizio di
singoli fabbricati o complessi edilizi.
Sennonché, nella specie, la delibera impugnata riguarda
incarichi relativi all’ammodernamento ed all’ampliamento
della rete idrica comunale.
In proposito, tali lavori, concernenti gli impianti della
rete urbana di condotta e distribuzione dell’acqua, non sono
riconducibili all’ambito dell’“edilizia civile”, ma
piuttosto rientrano nell’ingegneria idraulica che, ai sensi
dell’art. 51 del citato regolamento, forma bensì oggetto
riservato alla professione di ingegnere.
Ciò risulta confermato dal successivo art. 54 che, pur
estendendo, in via eccezionale, la competenza ordinaria
degli architetti diplomati entro una certa data, fa
esplicita eccezione per una serie di applicazioni, di
carattere più marcatamente tecnico-scientifico, tra le quali
appunto le “opere idrauliche”.
In definitiva è, quindi, da escludere che gli incarichi in
questione possano essere conferiti ad architetti.
---------------
Quanto all’applicabilità dei principi appena richiamati al
caso in esame, gli stessi non possono non rilevare anche con
riferimento all’attività di direzione lavori.
Invero, gli articoli 51 e 52 del r.d. n. 2537/1925,
confermato nella sua piena vigenza e nel suo contenuto
dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 129/1992 (di attuazione,
tra l’altro, della direttiva Cee n. 384/85), riservano alla
comune competenza di architetti e ingegneri le sole opere di
edilizia civile, mentre rimane riservata alla competenza
generale degli ingegneri la progettazione di costruzioni
stradali, opere igienico-sanitarie, impianti elettrici,
opere idrauliche, operazioni di estimo, estrazione di
materiali, opere industriali.
Né può valere l’obiezione per cui, per la direzione dei
lavori […], varrebbe una diversa regola rispetto a quella
valevole per la progettazione, in quanto ormai la sede della
disciplina della direzione dei lavori si trova nel “Codice
dei contratti pubblici” (art. 130), atteso che l’art. 130
del d.lgs. 163/2011 manifesta solo una opzione per quanto
concerne la direzione dei lavori, da svolgersi
preferibilmente all’interno della stazione appaltante, ma
non è norma che riguarda il riparto di competenze tra
diverse figure professionali, che rimane invece, regolato
dal r.d. n. 2537/1925.
Inoltre, l’art. 148 del d.p.r. 207/2010 (regolamento di
esecuzione del d.lgs. 163/2011), sancisce che il direttore
dei lavori cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a
regola d’arte e in conformità del progetto; sembra pertanto
logico che se la progettazione dei lavori è rimessa, secondo
l’ordine delle competenze professionali di cui si è detto,
alla categoria degli ingegneri anche la direzione dei lavori
deve essere affidata per quelle opere alla stessa categoria.
Né può essere accolta la tesi comunale, in base alla quale
la distinzione delle competenze tra architetti e ingegneri,
in quanto disciplinata da una norma regolamentare (r.d. n.
2357/1925), sarebbe modificabile da regolamenti successivi
dei singoli enti locali, e ciò per due ordini di motivi:
in primo luogo, in ragione della circostanza per cui il
citato r.d., pur non essendo una norma di rango legislativo
primario, è fonte sovraordinata rispetto ai regolamenti
degli enti locali e, in secondo luogo, in quanto il
riparto delle competenze tra le due figure professionali ivi
fissato è stato cristallizzato, come detto, dal d.lgs.
129/1992, che agli articoli 1 e 2 ha attribuito una
specifica riserva a favore degli ingegneri per quanto
concerne la progettazione di opere viarie non connesse con
opere di edilizia civile, qual è all’evidenza l’opera
pubblica in parola.
1.- Premesso che gli Ordini professionali ricorrenti
censurano il provvedimento con il quale l’Amministrazione
Comunale intimata aggiudicava, relativamente ai disposti <<lavori
di adeguamento dei recapiti finali di reti di fognatura
pluviale che scaricano nel sottosuolo attraverso pozzi
assorbenti>>, i servizi di <<direzione lavori, misura
e contabilità, nonché coordinamento in materia di sicurezza
nella fase esecutiva>>.
2.- Rilevato che, in particolare, essi contestano la
riconducibilità dei servizi in parola alle competenze degli
iscritti all’Albo degli Architetti (tale è l’aggiudicataria)
piuttosto che a quelle degli iscritti all’Albo degli
Ingegneri.
3.- Osservato in via preliminare, quanto al tema della
legittimazione al gravame, che la giurisprudenza
amministrativa <<ha da tempo riconosciuto ampia
legittimazione al ricorso giurisdizionale in capo agli
Ordini e Collegi professionali a tutela sia di interessi
propri dell’ente che di interessi propri ed esponenziali del
gruppo professionale nel suo complesso. Gli Ordini degli
ingegneri, degli architetti, dei geologi, devono ritenersi,
infatti, legittimati ad impugnare avvisi o bandi di gara o,
più in generale, atti di procedure selettive poste in essere
da pubbliche amministrazioni per la scelta dei
professionisti cui affidare incarichi di progettazione, ogni
qual volta le regole di scelta del contraente e gli atti
della procedura siano idonei a determinare la lesione di
profili della professionalità dei professionisti
partecipanti. Detta legittimazione sussiste […] qualora le
regole della procedura siano direttamente incidenti sulle
regole professionali (ad es. ammissione di altre
professionalità allo svolgimento di attività riservate alla
categoria ricorrente […])>> (Tar Basilicata, I,
08.06.2011, n. 352; v. anche Tar Veneto, I, 25.11.2003, n.
5909; Tar Campania Napoli, I, 22.02.2000, n. 500).
3.1 Osservato ancora, quanto alla pure dedotta
inammissibilità del gravame per mancata censura degli atti
inditivi della selezione, che gli atti stessi non
esplicitavano, a ben vedere, l’apertura della medesima
-anche- a categorie professionali diverse da quella degli
ingegneri (<<Soggetti che possono presentare
manifestazioni d’interesse per il conferimento
dell’incarico: Liberi professionisti in forma singola o
associata […]>>), sicché di per sé non risultavano
concretamente lesivi dell’interesse oggi azionato.
4.- Ritenuto, quanto al ‘merito’ delle questioni in
esame, che secondo l’indirizzo della giurisprudenza
amministrativa <<il capo IV del regolamento per le
professioni d’ingegnere e di architetto, approvato con regio
decreto n. 2537 del 1925, disciplina l’oggetto ed i limiti
delle competenze spettanti alle due figure professionali.
Al riguardo, non è invero riscontrabile una completa
equiparazione tra tali categorie di professionisti. L’art.
51, concernente la professione di ingegnere, prevede una
competenza di carattere generale comprendente interventi di
vario tipo, relativi alla progettazione, conduzione e stima
relativi alle “costruzioni di ogni specie” ed
all’impiantistica civile ed industriale, alle infrastrutture
ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione,
riconoscendo in senso lato una abilitazione comprendente
ogni forma di applicazione delle tecniche relative alla
fisica, alla rilevazione geometrica ed alle operazioni di
estimo.
L’art. 52 delimita, invece, la competenza professionale
degli architetti alle sole “opere di edilizia civile”, che
rientrano pure nelle competenze degli ingegneri, eccetto per
quanto riguarda la parte non “tecnica” degli interventi su
edifici di rilevante interesse artistico.
Orbene non vi è dubbio che nella nozione di “edilizia
civile” siano da comprendere tutte le opere anche connesse
ed accessorie, purché ovviamente si tratti di pertinenze al
servizio di singoli fabbricati o complessi edilizi.
Sennonché, nella specie, la delibera impugnata riguarda
incarichi relativi all’ammodernamento ed all’ampliamento
della rete idrica comunale.
In proposito, tali lavori, concernenti gli impianti della
rete urbana di condotta e distribuzione dell’acqua, non sono
riconducibili all’ambito dell’“edilizia civile”, ma
piuttosto rientrano nell’ingegneria idraulica che, ai sensi
dell’art. 51 del citato regolamento, forma bensì oggetto
riservato alla professione di ingegnere.
Ciò risulta confermato dal successivo art. 54 che, pur
estendendo, in via eccezionale, la competenza ordinaria
degli architetti diplomati entro una certa data, fa
esplicita eccezione per una serie di applicazioni, di
carattere più marcatamente tecnico-scientifico, tra le quali
appunto le “opere idrauliche” (cfr. Cons. St., IV,
19.02.1990, n. 92).
In definitiva è, quindi, da escludere che gli incarichi in
questione possano essere conferiti ad architetti>> (Tar
Campania Napoli, I, 14.08.1998, n. 2751; più di recente, v.
Tar Calabria Catanzaro, II, 09.04.2008, n. 354; Consiglio di
Stato, IV, 09.05.2001, n. 2600).
4.1 Ritenuto inoltre, quanto all’applicabilità dei principi
appena richiamati al caso in esame, che gli stessi non
possono non rilevare anche con riferimento all’attività di
direzione lavori, secondo quanto correttamente precisato dal
Tar Emilia Romagna Parma nella sentenza n. 389 del
09.11.2011: <<gli articoli 51 e 52 del r.d. n. 2537/1925,
confermato nella sua piena vigenza e nel suo contenuto
dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 129/1992 (di attuazione,
tra l’altro, della direttiva Cee n. 384/85), riservano alla
comune competenza di architetti e ingegneri le sole opere di
edilizia civile, mentre rimane riservata alla competenza
generale degli ingegneri la progettazione di costruzioni
stradali, opere igienico-sanitarie, impianti elettrici,
opere idrauliche, operazioni di estimo, estrazione di
materiali, opere industriali.
Né può valere l’obiezione per cui, per la direzione dei
lavori […], varrebbe una diversa regola rispetto a quella
valevole per la progettazione, in quanto ormai la sede della
disciplina della direzione dei lavori si trova nel “Codice
dei contratti pubblici” (art. 130), atteso che l’art. 130
del d.lgs. 163/2011 manifesta solo una opzione per quanto
concerne la direzione dei lavori, da svolgersi
preferibilmente all’interno della stazione appaltante, ma
non è norma che riguarda il riparto di competenze tra
diverse figure professionali, che rimane invece, regolato
dal r.d. n. 2537/1925.
Inoltre, l’art. 148 del d.p.r. 207/2010 (regolamento di
esecuzione del d.lgs. 163/2011), sancisce che il direttore
dei lavori cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a
regola d’arte e in conformità del progetto; sembra pertanto
logico che se la progettazione dei lavori è rimessa, secondo
l’ordine delle competenze professionali di cui si è detto,
alla categoria degli ingegneri anche la direzione dei lavori
deve essere affidata per quelle opere alla stessa categoria.
Né può essere accolta la tesi comunale, in base alla quale
la distinzione delle competenze tra architetti e ingegneri,
in quanto disciplinata da una norma regolamentare (r.d. n.
2357/1925), sarebbe modificabile da regolamenti successivi
dei singoli enti locali, e ciò per due ordini di motivi:
in primo luogo, in ragione della circostanza per cui il
citato r.d., pur non essendo una norma di rango legislativo
primario, è fonte sovraordinata rispetto ai regolamenti
degli enti locali e, in secondo luogo, in quanto il
riparto delle competenze tra le due figure professionali ivi
fissato è stato cristallizzato, come detto, dal d.lgs.
129/1992, che agli articoli 1 e 2 ha attribuito una
specifica riserva a favore degli ingegneri per quanto
concerne la progettazione di opere viarie non connesse con
opere di edilizia civile, qual è all’evidenza l’opera
pubblica in parola>>).
4.2 Ritenuto, infine, che la presenza di un ingegnere
all’interno dell’ufficio di direzione dei lavori (l’ing.
Martina, ispettore di cantiere) non incide, giuridicamente,
sulla questione della legittimazione -in questo caso
insussistente- degli architetti a ricoprire l’incarico di
cui oggi si discute
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 31.05.2013 n. 1270
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di tempestività dell’impugnazione di titoli edilizi
da parte di terzi, la giurisprudenza è ferma nel ritenere
che la piena conoscenza dalla quale decorre il termine
decadenziale per la proposizione dell'impugnazione va
riferita al momento dell'ultimazione dei lavori, ovvero al
momento nel quale la costruzione realizzata riveli in modo
inequivoco le caratteristiche essenziali dell'opera agli
effetti della sua eventuale difformità rispetto alla
disciplina urbanistico edilizia vigente, fermo (altresì)
restando che la prova della tardività dell'impugnazione deve
essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole
generali, alla parte che la deduce.
In materia di tempestività dell’impugnazione di titoli
edilizi da parte di terzi, la giurisprudenza –anche della
Sezione– è ferma nel ritenere che la piena conoscenza dalla
quale decorre il termine decadenziale per la proposizione
dell'impugnazione va riferita al momento dell'ultimazione
dei lavori, ovvero al momento nel quale la costruzione
realizzata riveli in modo inequivoco le caratteristiche
essenziali dell'opera agli effetti della sua eventuale
difformità rispetto alla disciplina urbanistico edilizia
vigente, fermo (altresì) restando che la prova della
tardività dell'impugnazione deve essere fornita
rigorosamente e incombe, secondo le regole generali, alla
parte che la deduce (Cons. di St., IV, 07.11.2012, n. 5657;
TAR Liguria, I, 24.04.2013, n. 719) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 29.05.2013 n. 851 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Con riguardo alle
associazioni ambientalistiche per le quali non opera la
legittimazione ex lege n. 349 del 1986, la legittimazione ad
agire può essere riconosciuta anche a comitati spontanei che
si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente,
la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni
residenti su tale circoscritto territorio.
Conseguentemente il giudice amministrativo può riconoscere,
caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull’ambiente ad associazioni
locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica),
purché perseguano statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado
di rappresentatività e stabilità in un’area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso.
Tali elementi sembrano ravvisabili nel comitato ricorrente,
avuto riguardo ai tre parametri tradizionalmente utilizzati
in giurisprudenza, e cioè le finalità statutarie dell’ente,
la stabilità del suo assetto organizzativo, nonché la
vicinitas dello stesso rispetto all’interesse sostanziale
che si assume leso per effetto dell’azione amministrativa,
ed a tutela del quale, pertanto, l’ente intende agire in
giudizio.
---------------
Nel regime della partecipazione al procedimento descritta
dal combinato disposto degli artt. 7 e 9 della legge n. 241
del 1990 non viene riconosciuto l’obbligo, in capo
all’Amministrazione, di dare comunicazione dell’avvio del
procedimento nei confronti delle associazioni e dei comitati
esponenziali di interessi diffusi; gli stessi possono
intervenire nel procedimento, ma né la normativa nazionale,
né quella sopranazionale impongono che nei loro confronti
sia effettuata l’adempimento della comunicazione
individuale.
Ed invero, secondo la prevalente giurisprudenza, con
riguardo alle associazioni ambientalistiche per le quali non
opera la legittimazione ex lege n. 349 del 1986, la
legittimazione ad agire può essere riconosciuta anche a
comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di
proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita
delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio;
conseguentemente il giudice amministrativo può riconoscere,
caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull’ambiente ad associazioni
locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica),
purché perseguano statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado
di rappresentatività e stabilità in un’area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso (in termini Cons. Stato, Sez.
VI, 26.07.2001, n. 4123; Sez. VI, 23.05.2011, n. 3107).
Tali elementi sembrano ravvisabili nel comitato ricorrente,
avuto riguardo ai tre parametri tradizionalmente utilizzati
in giurisprudenza, e cioè le finalità statutarie dell’ente,
la stabilità del suo assetto organizzativo, nonché la
vicinitas dello stesso rispetto all’interesse
sostanziale che si assume leso per effetto dell’azione
amministrativa, ed a tutela del quale, pertanto, l’ente
intende agire in giudizio.
---------------
Con il primo motivo
si deduce che non è stata consentita al Comitato ricorrente
la partecipazione al procedimento amministrativo, benché lo
stesso fosse agevolmente identificabile ai fini della
comunicazione di avvio, per avere in precedenza
pubblicamente raccolto firme contro il progetto e provveduto
poi, in data 23.02.2011, a diffidare l’Amministrazione.
Il motivo non appare meritevole di positiva valutazione, in
quanto nel regime della partecipazione al procedimento
descritta dal combinato disposto degli artt. 7 e 9 della
legge n. 241 del 1990 non viene riconosciuto l’obbligo, in
capo all’Amministrazione, di dare comunicazione dell’avvio
del procedimento nei confronti delle associazioni e dei
comitati esponenziali di interessi diffusi; gli stessi
possono intervenire nel procedimento, ma né la normativa
nazionale, né quella sopranazionale impongono che nei loro
confronti sia effettuata l’adempimento della comunicazione
individuale.
Tale soluzione vale anche nel caso in cui il comitato (che
peraltro, in tale caso, aveva la differente veste di
Comitato NO-Maxistalla), precedentemente, abbia presentato
esposti, diffide od anche ricorsi avverso altri
provvedimenti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n.
7651).
Può dunque ritenersi adeguata la forma di pubblicità
notiziale adottata per la convocazione della prima riunione
della conferenza di servizi, consistita nell’affissione
all’albo pretorio del Comune, come si evince dalla
determinazione gravata, e dal verbale della riunione del
28.10.2011 (TAR
Umbria,
sentenza 23.05.2013 n. 303 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il proprietario di un
immobile confinante con quello per il quale è stato
rilasciato il permesso di costruire ha sia la possibilità di
intervenire nel procedimento amministrativo volto al
rilascio del titolo medesimo ex art. 9 della legge n.
241/1990, sia la legittimazione a ricorrere avverso gli atti
adottati in tale sede che possano arrecargli pregiudizio.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che vi sia l’obbligo
dell’Amministrazione di comunicare al medesimo l’inizio
dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge
citata, atteso che ciò comporterebbe un aggravio dello
stesso procedimento, contrariamente ai principi di
economicità e di efficienza dell’azione amministrativa.
Il cointeressato non è un soggetto contemplato tra quelli a
cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento
per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7
della l. 07.08.1990, n. 241 poiché l'invocata estensione ad
essi -rectius “ad esso”- della predetta comunicazione
comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i
principi di economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa. Ciò anche quando si tratti di soggetti in
precedenza oppostisi all'attività edilizia del proprietario
confinante.
Non vi è dubbio, infatti, che il
proprietario di un immobile confinante con quello per il
quale è stato rilasciato il permesso di costruire ha sia la
possibilità di intervenire nel procedimento amministrativo
volto al rilascio del titolo medesimo ex art. 9 della legge
n. 241/1990, sia la legittimazione a ricorrere avverso gli
atti adottati in tale sede che possano arrecargli
pregiudizio; ciò non vuol dire, tuttavia, che vi sia
l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare al medesimo
l’inizio dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della legge citata (cfr. Consiglio Stato, IV, 06.07.2009,
n. 4300), atteso che ciò comporterebbe un aggravio dello
stesso procedimento, contrariamente ai principi di
economicità e di efficienza dell’azione amministrativa
(cfr. per tutte Tar Lecce, II, 26.01.2011 n. 117 -confermata dal Consiglio di Stato, sezione V con sentenza
06.06.2012 n. 3343- che ha inoltre precisato: “In proposito
la giurisprudenza ha più volte ribadito che “il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a
cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento
per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7
della l. 07.08.1990, n. 241” (TAR Campania Napoli,
sez. VIII, 12.04.2010, n. 1918), “poiché l'invocata
estensione ad essi -rectius “ad esso”- della predetta
comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in
contrasto con i principi di economicità e di efficienza
dell'attività amministrativa. Ciò anche quando si tratti di
soggetti in precedenza oppostisi all'attività edilizia del
proprietario confinante” (TAR Liguria Genova, sez. I, 10.07.2009, n. 1736; conforme: Consiglio Stato, sez. IV, 31.07.2009, n. 4847)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.05.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va preliminarmente
affermata la legittimazione dell’odierno appellante a
proporre censura avverso la rilasciata concessione edilizia,
essendo egli, in quanto confinante con il manufatto oggetto
della sua impugnativa, portatore dell’interesse a che
l’attività edificatoria svolta dai proprietari confinanti
avvenga nel rispetto delle norme poste a presidio
dell’interesse pubblico all’ordinato sviluppo
urbanistico-edilizio, tra le quali sono indiscutibilmente
comprese quelle regolatrici della corretta progettazione e
realizzazione degli edifici.
Detto interesse pubblico altro non è, infatti, che la
sintesi di una pluralità di interessi, tra i quali anche
quello meramente privato inerente la conservazione delle
costruzioni realizzate nelle immediate vicinanze, di cui
Longo è nel caso di specie portatore.
Ciò precisato, è innanzitutto fondato l’ultimo motivo,
incentrato sull’incompetenza professionale del geometra
incaricato dai controinteressati per la progettazione della
loro costruzione.
A confutazione dell’eccezione di inammissibilità sollevata
da questi ultimi, va preliminarmente affermata la
legittimazione dell’odierno appellante a proporre tale
censura, essendo egli, in quanto confinante con il manufatto
oggetto della sua impugnativa, portatore dell’interesse a
che l’attività edificatoria svolta dai proprietari
confinanti avvenga nel rispetto delle norme poste a presidio
dell’interesse pubblico all’ordinato sviluppo
urbanistico-edilizio, tra le quali sono indiscutibilmente
comprese quelle regolatrici della corretta progettazione e
realizzazione degli edifici. Detto interesse pubblico altro
non è, infatti, che la sintesi di una pluralità di
interessi, tra i quali anche quello meramente privato
inerente la conservazione delle costruzioni realizzate nelle
immediate vicinanze, di cui Longo è nel caso di specie
portatore (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2617 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione,
per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato,
deve essere collegata alla data in cui sia percepibile dal
controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua
incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica.
In caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario -salvo
che non venga fornita la prova certa di una conoscenza
anticipata del provvedimento abilitativo- il termine di
decadenza decorre dunque dal completamento dei lavori, cioè
dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale
portata dell'intervento in precedenza assentito.
Per giunta, sempre nel caso di costruzione da parte del
vicino, la conoscenza di una situazione potenzialmente
lesiva non obbliga affatto il titolare dell'interesse
legittimo oppositivo ad attivarsi immediatamente in sede
giurisdizionale, dato che, ad esempio, potrebbe trattarsi di
un’edificazione abusiva; pertanto il termine decadenziale
per l'impugnazione decorre solo dalla piena conoscenza
dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche o
dal contenuto specifico della concessione o del progetto
edilizio.
Quanto alla tardività dell’impugnata concessione, si deve
ricordare che la decorrenza del termine per ricorrere in
sede giurisdizionale avverso atti abilitativi
dell'edificazione, per i soggetti diversi da quelli cui
l'atto è rilasciato, deve essere collegata alla data in cui
sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del
manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria
posizione giuridica.
In caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario -salvo
che non venga fornita la prova certa di una conoscenza
anticipata del provvedimento abilitativo- il termine di
decadenza decorre dunque dal completamento dei lavori, cioè
dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale
portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr. Cons.
St., Ad. Plen., 29.07.2011 n. 15; Cons. St., sez. IV,
29.05.2009 n. 3358).
Per giunta, sempre nel caso di costruzione da parte del
vicino, la conoscenza di una situazione potenzialmente
lesiva non obbliga affatto il titolare dell'interesse
legittimo oppositivo ad attivarsi immediatamente in sede
giurisdizionale, dato che, ad esempio, potrebbe trattarsi di
un’edificazione abusiva; pertanto il termine decadenziale
per l'impugnazione decorre solo dalla piena conoscenza
dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche o
dal contenuto specifico della concessione o del progetto
edilizio (cfr., fra le molte, Consiglio Stato, sez. VI,
10.12.2010, n. 8705; Consiglio Stato, sez. V, 24.08.2007, n.
4485).
In conseguenza, contrariamente a quanto vorrebbe
l’appellante, la fattura che proverebbe la realizzazione ad
una certa data dei rustici da parte dell’appellata è
inconferente, in quanto non vi è comunque sicurezza che
fossero materialmente apprezzabili le caratteristiche
essenziali, la legittimità, la destinazione specifica delle
opere e la reale portata dell'intervento qui in
contestazione.
Nel dubbio deve infatti farsi applicazione dei principi
generali di cui all’art. 24 ed all’art. 113 Cost., per cui
la tutela dei diritti e interessi legittimi in giudizio è un
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e
non può essere pregiudicato da formalismi non strettamente
ed assolutamente necessari all’economia processuale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.05.2013 n. 2489 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I proprietari di immobili in zone confinanti o
limitrofe con quelle interessate da una costruzione sono
sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono
pregiudicare la loro posizione per l’incisione delle
condizioni dell'area e, più in generale, per le modifiche
all'assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona
ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la
disponibilità, senza che sia necessaria la prova di un danno
specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno
a tutti i membri di quella collettività.
Infatti, se l'art. 31, comma 9, L. 17.08.1942 n. 1150 (come
modificato dall'art. 10 L. 06.08.1967 n. 765) non ha
introdotto un'azione popolare, nondimeno ha riconosciuto una
posizione qualificata e differenziata in favore dei
proprietari di immobili siti nella zona in cui la
costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di “stabile collegamento” con la zona stessa.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione,
atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante
abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme
urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi
esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli
potrebbero arrecare.
I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con
quelle interessate da una costruzione sono sempre
legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono
pregiudicare la loro posizione per l’incisione delle
condizioni dell'area e, più in generale, per le modifiche
all'assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona
ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la
disponibilità, senza che sia necessaria la prova di un danno
specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno
a tutti i membri di quella collettività (cfr. Consiglio
Stato sez. IV n. 284 del 23/01/2012; Consiglio Stato sez. IV
13.01.2010 n. 72).
Infatti, se l'art. 31, comma 9, L. 17.08.1942 n. 1150 (come
modificato dall'art. 10 L. 06.08.1967 n. 765) non ha
introdotto un'azione popolare, nondimeno ha riconosciuto una
posizione qualificata e differenziata in favore dei
proprietari di immobili siti nella zona in cui la
costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di “stabile collegamento” con la zona
stessa.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una
situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato esime da
qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i
lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un
effettivo pregiudizio per il soggetto che propone
l'impugnazione, atteso che l'esistenza della suddetta
posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il
rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a
prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i
lavori in concreto gli potrebbero arrecare (cfr. Consiglio
Stato, Sez. VI 15.06.2010 n. 3744)
(Consiglio di Stato. Sez. IV,
sentenza 08.05.2013 n. 2488 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della
tempestività dell'impugnazione del titolo edilizio da parte
del terzo a ciò legittimato, la piena conoscenza dalla quale
decorre il termine decadenziale per la proposizione
dell'impugnazione medesima va riferita al momento
dell'ultimazione dei lavori, ovvero al momento nel quale la
costruzione realizzata riveli in modo inequivoco le
caratteristiche essenziali dell'opera agli effetti della sua
eventuale difformità rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente, sì da non esservi dubbi in
ordine alla reale portata dell'intervento edilizio
assentito, fermo restando che la prova della tardività
dell'impugnazione deve essere fornita rigorosamente e
incombe, secondo le regole generali, alla parte che la
deduce.
In generale, occorre ribadire i
consolidati principi a mente dei quali, ai fini della
tempestività dell'impugnazione del titolo edilizio da parte
del terzo a ciò legittimato, la piena conoscenza dalla quale
decorre il termine decadenziale per la proposizione
dell'impugnazione medesima va riferita al momento
dell'ultimazione dei lavori, ovvero al momento nel quale la
costruzione realizzata riveli in modo inequivoco le
caratteristiche essenziali dell'opera agli effetti della sua
eventuale difformità rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente, sì da non esservi dubbi in
ordine alla reale portata dell'intervento edilizio
assentito, fermo restando che la prova della tardività
dell'impugnazione deve essere fornita rigorosamente e
incombe, secondo le regole generali, alla parte che la
deduce (cfr. ex multis CdS 5657/2012 2 5612/2012)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 30.04.2013 n. 719 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche in materia urbanistico-edilizia, il giudice
amministrativo ha da sempre richiesto, in capo ai
ricorrenti, la dimostrazione di requisiti soggettivi
differenziati rispetto al “quivis de populo”, nonostante il
dettato di cui all’art. 31, comma 9, L. 17.08.1942, n. 1150.
Tale differenziazione è stata generalmente riconosciuta
sulla base della c.d. “vicinitas”, intesa come prossimità
fisica, nel senso di adiacenza tra le aree, da cui la
legittimazione a ricorrere del proprietario confinante del
terreno oggetto del provvedimento amministrativo, ovvero
dello “stabile collegamento” riconoscibile nell’insediamento
stabile non necessariamente collegato alla titolarità di
diritti reali.
La giurisprudenza ha così evidenziato la varietà degli
interessi sottesi ad un determinato assetto territoriale,
che conduce ad intendere il titolo legittimante di
“vicinitas” non limitato al significato rigidamente
geografico, ma piuttosto identificabile nell’interesse a
preservare il valore del proprio investimento, la propria
posizione imprenditoriale e la preesistente amenità della
propria situazione proprietaria, ove in concreto lesi.
Resta tuttavia confermato che il criterio della “vicinitas”
non importa l’introduzione di un’azione popolare e che lo
stesso riferimento geografico non esclude la necessaria
verifica della sussistenza di un interesse giuridicamente
qualificato e differenziato del ricorrente, considerando il
durevole rapporto esistente tra la sua proprietà e l’area
interessata dall’intervento.
In termini, “nel ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione
necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la
legittimazione, l’interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente“.
Tale interesse va per necessità indagato caso per caso,
avuto riguardo agli effetti diretti ed indiretti
dell’intervento sui diversi fattori caratterizzanti il
contesto ambientale e territoriale di riferimento,
considerando la natura e le dimensioni dell’opera
realizzata, la sua destinazione, le sue implicazioni
urbanistiche ed anche le conseguenze prodotte dal nuovo
insediamento sulla qualità della vita di coloro che per
residenza, attività lavorativa o simili, sono in durevole
rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera.
Va ancora considerato che il principio della necessaria
verifica dell’interesse a ricorrere quale condizione di
ammissibilità dell’azione in giudizio è stato recentemente
confermato e corroborato dall’art. 35, comma 1, lett. b),
del codice del processo amministrativo.
Ne resta confermata la necessità di individuare con
esattezza il grado di differenziazione della posizione
giuridica da ricercare in capo al ricorrente e di cui lo
stesso deve dar conto al fine di dimostrare la diretta
riconducibilità alla propria persona dell’utilità derivante
da un eventuale giudicato di accoglimento, così da
scongiurare l’ingresso nel processo amministrativo di
possibili ed eventuali ricorsi popolari.
In termini, l’interesse a ricorrere nei confronti del
proprietario confinante sussiste nelle sole ipotesi in cui
si verifichi una lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera dell’istante,
suscettibile di determinare “una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto edilizio ed urbanistico
che il ricorrente intende conservare”.
A sostegno dell’eccezione deducono che la ricorrente non
avrebbe in alcun modo giustificato tale interesse, del tutto
insussistente in ragione della circostanza che la medesima
ricorrente non sarebbe neppure “confinante” con la controinteressata, giacché le due proprietà sono divise da
una pubblica strada, e comunque nessuna lesione ha allegato
(né dimostrato) derivante dalla pretesa illegittimità
dell’attività edilizia autorizzata; dal che la dedotta
carenza di interesse “personale, attuale e contrario”
spendibile in sede giurisdizionale.
Com’è noto, anche in materia urbanistico-edilizia, il
giudice amministrativo ha da sempre richiesto, in capo ai
ricorrenti, la dimostrazione di requisiti soggettivi
differenziati rispetto al “quivis de populo”, nonostante il
dettato di cui all’art. 31, comma 9, L. 17.08.1942,
n. 1150.
Tale differenziazione è stata generalmente riconosciuta
sulla base della c.d. “vicinitas”, intesa come prossimità
fisica, nel senso di adiacenza tra le aree, da cui la
legittimazione a ricorrere del proprietario confinante del
terreno oggetto del provvedimento amministrativo, ovvero
dello “stabile collegamento” riconoscibile nell’insediamento
stabile non necessariamente collegato alla titolarità di
diritti reali.
La giurisprudenza ha così evidenziato la varietà degli
interessi sottesi ad un determinato assetto territoriale,
che conduce ad intendere il titolo legittimante di
“vicinitas” non limitato al significato rigidamente
geografico, ma piuttosto identificabile nell’interesse a
preservare il valore del proprio investimento, la propria
posizione imprenditoriale e la preesistente amenità della
propria situazione proprietaria, ove in concreto lesi.
Resta tuttavia confermato che il criterio della
“vicinitas” non importa l’introduzione di un’azione popolare
e che lo stesso riferimento geografico non esclude la
necessaria verifica della sussistenza di un interesse
giuridicamente qualificato e differenziato del ricorrente,
considerando il durevole rapporto esistente tra la sua
proprietà e l’area interessata dall’intervento.
In termini, “nel ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione
necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la
legittimazione, l’interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente“ (Cfr. Cons. di Stato, sez. IV,
n. 485/2011).
Tale interesse va per necessità indagato caso per caso,
avuto riguardo agli effetti diretti ed indiretti
dell’intervento sui diversi fattori caratterizzanti il
contesto ambientale e territoriale di riferimento,
considerando la natura e le dimensioni dell’opera
realizzata, la sua destinazione, le sue implicazioni
urbanistiche ed anche le conseguenze prodotte dal nuovo
insediamento sulla qualità della vita di coloro che per
residenza, attività lavorativa o simili, sono in durevole
rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (cfr. Cons.
di Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7490).
Va ancora considerato che il principio della
necessaria verifica dell’interesse a ricorrere quale
condizione di ammissibilità dell’azione in giudizio è stato
recentemente confermato e corroborato dall’art. 35, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo (cfr. TAR
Veneto, n. 959/2012).
Ne resta confermata la necessità di individuare con
esattezza il grado di differenziazione della posizione
giuridica da ricercare in capo al ricorrente e di cui lo
stesso deve dar conto al fine di dimostrare la diretta
riconducibilità alla propria persona dell’utilità derivante
da un eventuale giudicato di accoglimento, così da
scongiurare l’ingresso nel processo amministrativo di
possibili ed eventuali ricorsi popolari.
In termini, l’interesse a ricorrere nei confronti del
proprietario confinante sussiste nelle sole ipotesi in cui
si verifichi una lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera dell’istante,
suscettibile di determinare “una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto edilizio ed urbanistico
che il ricorrente intende conservare” (cfr. Cons. di Stato, Sez.IV.
n. 6157/2007) (TAR Abruzzo-L’Aquila,
sentenza 26.04.2013 n. 404 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La giurisprudenza ha
riconosciuto il criterio della vicinitas come idoneo a
legittimare l'impugnazione di singoli titoli edilizi, ma
tale arresto deve ritenersi recessivo allorché oggetto di
contestazione giudiziale sia la disciplina urbanistica
-contenuta in uno strumento attuativo- di aree estranee a
quelle di proprietà del ricorrente.
In questo caso il criterio della vicinitas non è sufficiente
a fornire le condizioni dell'azione, dal momento che non
esaurisce gli ulteriori profili di interesse
all'impugnazione. Soccorre, in tali evenienze, il principio
per cui per proporre impugnativa è necessario che la nuova
destinazione urbanistica che concerne un'area non
appartenente al ricorrente incida direttamente sul godimento
o sul valore di mercato dell'area viciniore o comunque su
interessi propri e specifici del medesimo esponente, dovendo
di tanto l'interessato fornire se non una rigorosa
dimostrazione, almeno idonei principi di prova.
A tal proposito, nel richiamare i condivisibili principi (già fatti
propri dal Tar, per il vero) contenuti in ultimo nella
sentenza della Sezione 28.05.2012 n. 3137 in punto di
requisiti legittimanti la impugnazione degli strumenti
urbanistici attuativi (si veda anche, in proposito: “la
giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della vicinitas
come idoneo a legittimare l'impugnazione di singoli titoli
edilizi, ma tale arresto deve ritenersi recessivo allorché
oggetto di contestazione giudiziale sia la disciplina
urbanistica -contenuta in uno strumento attuativo- di aree
estranee a quelle di proprietà del ricorrente. In questo
caso il criterio della vicinitas non è sufficiente a fornire
le condizioni dell'azione, dal momento che non esaurisce gli
ulteriori profili di interesse all'impugnazione. Soccorre,
in tali evenienze, il principio per cui per proporre
impugnativa è necessario che la nuova destinazione
urbanistica che concerne un'area non appartenente al
ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di
mercato dell'area viciniore o comunque su interessi propri e
specifici del medesimo esponente, dovendo di tanto
l'interessato fornire se non una rigorosa dimostrazione,
almeno idonei principi di prova” Cons. Stato Sez. IV,
15.11.2011, n. 6016) evidenzia il Collegio che nel ricorso
di primo grado non era stata punto approfondita -e neppure
accennata, per il vero- la problematica concernente il
pregiudizio arrecato all’appellante dalla avversata variante
(e men che meno con riguardo alle aree di propria
pertinenza ulteriori rispetto a quelle oggetto della domanda
di retrocessione) .
Costituisce jus receptum quello per cui la allegazione
dell’interesse tutelato (o del bene della vita che si
intende perseguire ovvero difendere) è connotato essenziale
del ricorso di primo grado, in carenza del quale esso va
dichiarato inammissibile (ex multis: “colui che invoca
l'inadempimento di una norma di azione da parte della
pubblica amministrazione deve dedurre innanzi al Giudice
elementi idonei a rappresentare, quale conseguenza della
regola che si assume violata, la lesione di un bene della
vita ovvero di un interesse anche solo strumentale alla sua
realizzazione, in mancanza della cui allegazione deve
ritenersi azionata non una posizione soggettiva di interesse
legittimo, quanto una mera pretesa alla legalità della
azione amministrativa” -TAR Lombardia Milano Sez. III
Sent., 24.07.2008, n. 2979-) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.04.2013 n. 2173 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
La vicinitas tra
fabbricati è sufficiente a integrare la legittimazione e
l’interesse ad impugnare in giudizio un provvedimento che
consente la realizzazione di un’opera edilizia in tesi
illegittima, e il conseguente incremento del carico
urbanistico della zona interessata.
Vanno innanzitutto respinte le eccezioni preliminari concernenti il
ricorso di primo grado: come ha rilevato il primo giudice,
la vicinitas tra fabbricati è sufficiente a integrare la
legittimazione e l’interesse ad impugnare in giudizio un
provvedimento che consente la realizzazione di un’opera
edilizia in tesi illegittima, e il conseguente incremento
del carico urbanistico della zona interessata.
Tale
considerazione vale tanto più nel caso di specie, nel quale
legittimazione e interesse sono riferiti alla asserita
violazione delle distanze e al maggior carico urbanistico
derivante dal cambio di destinazione d’uso consentito dal
Comune (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 18.04.2013 n. 2153 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Realizzazione di un’isola ecologica adiacente ad un
edificio scolastico, configurabilità dell’interesse ad agire.
Non è di per se sufficiente, ai fini della configurabilità
dell’interesse ad agire, il mero rapporto di prossimità tra
chi agisce in giudizio e l’opera oggetto del provvedimento
amministrativo che intende contestare.
È, infatti,
necessario dedurre un danno sia pure potenziale che può
derivare dall’opera in questione. Danno che se può ritenersi
in re ipsa in caso di realizzazione di impianti
potenzialmente inquinanti per la tecnologia utilizzata
(realizzazione di un impianto di termovalorizzazione dei
rifiuti), va, invece, specificamente dedotto in caso di
impianti in sé inidonei a determinare una chiara lesione
degli interessi dei ricorrenti.
Dunque, il mero criterio
della vicinitas di un fondo o di una abitazione all’area
oggetto dell’intervento urbanistico-edilizio non può ex se
radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre
fornire il ricorrente, la prova concreta del vulnus
specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera
giuridica, in termini, ad esempio, di deprezzamento del
valore del bene o di concreta compromissione del diritto
alla salute ed all’ambiente.
Sarebbe stato necessario, in
definitiva, prospettare delle esternalità negative sulla
salute e l’ambiente, derivanti dalla realizzazione
dell’opera che, invece, gli odierni appellanti non risultano
aver dimostrato alla luce delle concrete modalità di
conferimento e della tipologia dei rifiuti che dovranno
essere depositati presso l’isola ecologica.
Occorre rammentare come la giurisprudenza di questo
Consiglio ha più volte ribadito come non sia di per se
sufficiente, ai fini della configurabilità dell’interesse ad
agire, il mero rapporto di prossimità tra chi agisce in
giudizio e l’opera oggetto del provvedimento amministrativo
che intende contestare.
È, infatti, necessario dedurre una danno sia pure potenziale
che può derivare dall’opera in questione (cfr. da ultimo,
sulla necessità che per configurare la condizione
dell’azione dell’interesse ad agire sia indispensabile
assodare la concretezza, la personalità e l’attualità della
lesione alla sfera giuridica di chi agisce in giudizio,
Cons. St., sez. V, n. 6261 del 2012, relativamente alla
portata generale del principio; sez. IV, n. 4926 del 2012,
in relazione alla materia della tutela dell’ambiente).
Danno che se può ritenersi in re ipsa in caso di
realizzazione di impianti potenzialmente inquinanti per la
tecnologia utilizzata (così Cons. St., Sez. V, 01.10.2010,
n. 7275, nel caso di realizzazione di un impianto di
termovalorizzazione dei rifiuti), va, invece, specificamente
dedotto in caso di impianti in sé inidonei a determinare una
chiara lesione degli interessi dei ricorrenti.
In questo senso conclude, ex plurimis, Cons. St.,
Sez. IV, n. 8364/2010, secondo la quale: “…il mero
criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione
all’area oggetto dell’intervento urbanistico-edilizio non
può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo
sempre fornire il ricorrente, in casi come quello in esame,
la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti
impugnati alla propria sfera giuridica, in termini, ad
esempio, di deprezzamento del valore del bene o di concreta
compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente (cfr.
sul principio, anche se espresso in relazione ad impianto di
smaltimento rifiuti, Consiglio di Stato, sez. V, 14.06.2007,
n. 3191 e 16.04.2003, n. 1948)”; più di recente Cons.
St., Sez. V, n. 2460/2012 ha ribadito che “…la mera
vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima per ciò
solo ed automaticamente il proprietario frontista ad
insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera,
essendo necessaria, al riguardo, anche la prova del danno
che egli da questa possa ricevere”.
Sarebbe stato necessario, in definitiva, prospettare delle
esternalità negative sulla salute e l’ambiente, derivanti
dalla realizzazione dell’opera che, invece, gli odierni
appellanti non risultano aver dimostrato alla luce delle
concrete modalità di conferimento e della tipologia dei
rifiuti che dovranno essere depositati presso l’isola
ecologica (massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.04.2013 n. 2108 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell’edificazione
si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l’atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla
data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile
la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si
verifica quando sia percepibile dal controinteressato la
concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva
sulla propria posizione giuridica.
In materia di impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. “vicinitas”, quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere
a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a
ché il provvedimento dell’Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia.
---------------
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l’annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell’intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione
atteso che l’esistenza della suddetta posizione legittimante
abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme
urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi
esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli
potrebbero arrecare.
Vige allora il principio, espresso nella
seguente massima (la quale del resto, nella sua seconda
parte, vale anche a respingere l’eccezione di difetto
d’interesse ad agire, del pari sollevata dalle parti
resistenti): “La decorrenza del termine per ricorrere in
sede giurisdizionale avverso atti abilitativi
dell’edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli
cui l’atto è rilasciato (ovvero che in esso sono comunque
indicati) dalla data in cui si renda palese ed
oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita
protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile
dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la
sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica.
In materia di impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. “vicinitas”, quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere
a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a
ché il provvedimento dell’Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia” (Consiglio di Stato – Sez. IV – 05.01.2011, n. 18).
---------------
Neppure
potrebbe ritenersi, stavolta con la difesa della controinteessata, che il ricorrente, ai fini della propria
legittimazione ad agire, dovesse provare di aver subito un
concreto pregiudizio alla sua sfera giuridica, posto che il
Collegio ritiene preferibile l’orientamento
giurisprudenziale, ripetutamente affermato, che al contrario
sostiene: “Il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l’annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto
che propone l’impugnazione atteso che l’esistenza della
suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma
violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di
lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare”
(TAR Campania–Napoli, Sez. II, 16.01.2013, n.
326; conforme: Consiglio di Stato – Sez. IV – 22.01.2013, n.
361)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.04.2013 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2013 |
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URBANISTICA: Secondo
la più recente giurisprudenza, cui il Collegio aderisce, il
bilanciamento degli interessi coinvolti dalla pianificazione
generale impone una più rigida interpretazione delle
condizioni dell’azione, ponendo forti limiti alla
configurabilità dell’interesse cd. strumentale
all’impugnazione dello strumento urbanistico.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse
al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a
una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza
che, in quanto tale, non si differenzia dall’eguale
interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
I ricorrenti contestano la procedura svolta, ai
fini dell’approvazione del P.G.T..
In particolare, gli stessi eccepiscono che sono stati
modificati i perimetri degli ambiti di trasformazione; così,
per quanto attiene a quello che interessa la proprietà dei
ricorrenti, è stata inserita, all’interno del precedente
ambito 2.8, una nuova area non contigua che prima faceva
parte di un autonomo ambito di trasformazione indicato come
2.9; per l’ambito di trasformazione non viene più previsto
un p.i.i., ma più genericamente un piano attuativo; è stata
modificata la tabella che prevede i dati urbanistici-edilizi
dei vari ambiti di trasformazione; è stata inserita la nuova
categoria della residenza convenzionata.
Ebbene, con particolare riguardo a tale motivo, che fa
leva sulla violazione delle norme procedimentali in materia
di formazione del P.G.T., il Collegio deve ribadirne
l’inammissibilità per difetto di interesse, posto che,
secondo la più recente giurisprudenza, cui il Collegio
aderisce, il bilanciamento degli interessi coinvolti dalla
pianificazione generale impone una più rigida
interpretazione delle condizioni dell’azione, ponendo forti
limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale
all’impugnazione dello strumento urbanistico. Ciò, sul
presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso
non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore
pianificazione dei suoli di propria spettanza che, in quanto
tale, non si differenzia dall’eguale interesse che quisque
de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio di Stato sez. IV
12.01.2011 n. 133; id. 29.12.2010, n. 9537; id.
12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542; 06.05.2010 n. 2629;
sez. V, 07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613; TAR Lombardia, Milano, II, 27.01.2012 n.
297; id., 24.11.2011, n. 2901).
Nel caso di specie, innanzitutto non è dimostrato che,
nel passaggio dal piano adottato a quello approvato, siano
state apportate modifiche sostanziali al piano nel suo
complesso: in particolare, l’esame delle tavole allegate non
dimostra un effettivo stravolgimento dell’impianto
originario del piano, né l’introduzione della possibilità di
ricorso all’edilizia convenzionata, la previsione di un
generico piano attuativo in luogo di un p.i.i., ovvero la
specificazione di criteri urbanistico-edilizi configurano
modifiche dotate di peculiare carattere di innovatività.
Inoltre non è contestato il dato secondo cui la
zonizzazione che ha interessato l’area di proprietà dei
ricorrenti sia stata modificata in senso migliorativo per
questi ultimi, in quanto dall’originaria destinazione a standards, si è passati (in melius)
alla prevista edificabilità dell’area, pur se previa
adozione di un piano attuativo, il che esclude la
sussistenza dell’interesse degli istanti a ricorrere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della tempestività del ricorso in materia
di titoli edilizi rilasciati a terzi, occorre distinguere:
- nel caso di impugnazione del titolo edilizio "ordinario"
-salvo che non venga fornita la prova certa di una
conoscenza anticipata del provvedimento abilitativo- il
termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori,
cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la
reale portata dell'intervento in precedenza assentito;
- nel caso di impugnazione del titolo edilizio "in
sanatoria": il termine decorre invece solamente dalla data
in cui sia portato a conoscenza che, per una determinata
opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la
concessione edilizia in sanatoria.
Ai fini della tempestività del ricorso in
materia di titoli edilizi rilasciati a terzi, occorre
distinguere:
- nel caso di impugnazione del titolo edilizio "ordinario"
-salvo che non venga fornita la prova certa di una
conoscenza anticipata del provvedimento abilitativo- il
termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori,
cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la
reale portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr.
Cons. St., Ad. Plen., 29.07.2011 n. 15; Cons. St., sez. VI, 10.12.2010 n. 8705; Cons. St., sez. IV, 29.05.2009 n. 3358);
- nel caso di impugnazione del titolo edilizio "in
sanatoria": il termine decorre invece solamente dalla data
in cui sia portato a conoscenza che, per una determinata
opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la
concessione edilizia in sanatoria (cfr. Consiglio Stato,
sez. IV 11.11.2010 n. 8017; Cons. St., sez. VI, 27.12.2007
n. 6674; Cons. St., sez. V, 21.12.2004 n. 8147)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1699 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In linea generale, la possibilità di ricorrere
avverso il rilascio di una concessione edilizia da parte di
'chiunque' è stata riconosciuta fin dall'art. 31, comma 9,
l. n. 1150 del 42 (come modificato dall'art. 10 L. n. 765
del 1967). Tale norma, se non configurava un nuovo tipo di
azione popolare, riconosceva la posizione di interesse a chi
comunque si trovi in una situazione di rapporto stabile con
la zona.
La legittimazione alla proposizione del ricorso per
l'annullamento di una concessione edilizia, discende
direttamente dalla c.d. “vicinitas”, cioè da una situazione
di stabile collegamento giuridico con l’area oggetto
dell'intervento costruttivo. Tale situazione di norma esime
sia dall’accertamento concreto dell’effettivo pregiudizio, e
sia dalla stretta dimostrazione dell’esistenza dei titoli di
legittimazione del soggetto che propone l'impugnazione.
Salvo il caso di una prova contraria, sempre concessa alla
controparte, della totale inesistenza di un interesse o di
una situazione di vicinitas, si è infatti sempre ritenuto
corretto riconoscere, a chi si affermi danneggiato, un
interesse tutelato a ché il provvedimento
dell'Amministrazione sia procedimentalmente e
sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia.
Ciò premesso, del tutto esattamente il TAR ha qui disatteso
l’eccezione di carenza di legittimazione, essendo a tale
riguardo sufficiente a radicare il suo preciso interesse
all’impugnazione il titolo giuridico di comodataria (anziché
di locataria) del capannone posto sul confine.
Nel caso in esame non vi sono dubbi in punto di fatto che la
ricorrente era realmente la “conduttrice” dell’immobile.
Tale nozione è stata manifestamente utilizzata dal TAR, nel
suo senso più ampio, di soggetto che aveva la legittima
disponibilità di una cosa, in base ad un titolo giuridico
negoziale (ma sul punto vedi anche amplius infra).
Il comodato, di cui all’art. 1803 c.c., è infatti il
contratto con cui una parte consegna all'altra un bene ”...
affinché se ne serva per un tempo o un uso determinato, con
l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”, che
peraltro anche condizionatamente all’adempimento di un
modus; o di un onere, come ad es. la relativa manutenzione.
In ogni caso il comodato di un bene immobile in forza di un
titolo contrattuale attribuisce al destinatario la qualifica
di "detentore qualificato autonomo" nel suo esclusivo
interesse.
La sua natura come contratto tipico e la previsione di una
durata normalmente prestabilita, fa sì che il contratto di
comodato, non meno che la locazione, ben dunque possa
costituire un titolo sufficiente ad integrare una posizione
soggettiva giuridicamente diversificata come tale meritevole
di tutela.
In linea generale la possibilità di
ricorrere avverso il rilascio di una concessione edilizia da
parte di 'chiunque', era infatti stata riconosciuta fin
dall'art. 31, comma 9, l. n. 1150 del 42 (come modificato
dall'art. 10 L. n. 765 del 1967). Tale norma, se non
configurava un nuovo tipo di azione popolare, riconosceva la
posizione di interesse a chi comunque si trovi in una
situazione di rapporto stabile con la zona.
Come la giurisprudenza della Sezione ha sottolineato più
volte (cfr. da ultimo n. 361 del 22/01/2013) la
legittimazione alla proposizione del ricorso per
l'annullamento di una concessione edilizia, discende
direttamente dalla c.d. “vicinitas”, cioè da una situazione
di stabile collegamento giuridico con l’area oggetto
dell'intervento costruttivo. Tale situazione di norma esime
sia dall’accertamento concreto dell’effettivo pregiudizio, e
sia dalla stretta dimostrazione dell’esistenza dei titoli di
legittimazione del soggetto che propone l'impugnazione.
Salvo il caso di una prova contraria, sempre concessa alla
controparte, della totale inesistenza di un interesse o di
una situazione di vicinitas, si è infatti sempre ritenuto
corretto riconoscere, a chi si affermi danneggiato, un
interesse tutelato a ché il provvedimento
dell'Amministrazione sia procedimentalmente e
sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 05.01.2011, n. 18).
Ciò premesso, del tutto esattamente il TAR ha qui disatteso
l’eccezione di carenza di legittimazione, essendo a tale
riguardo sufficiente a radicare il suo preciso interesse
all’impugnazione il titolo giuridico di comodataria (anziché
di locataria) del capannone posto sul confine.
Nel caso in esame non vi sono dubbi in punto di fatto che,
all’introduzione del ricorso di primo grado ed
all’attualità, la ricorrente Fadaf sas, –come esattamente
affermato dal TAR– era realmente la “conduttrice”
dell’immobile.
Tale nozione è stata manifestamente utilizzata dal TAR, nel
suo senso più ampio, di soggetto che aveva la legittima
disponibilità di una cosa, in base ad un titolo giuridico
negoziale (ma sul punto vedi anche amplius infra).
Il comodato, di cui all’art. 1803 c.c., è infatti il
contratto con cui una parte consegna all'altra un bene ”...
affinché se ne serva per un tempo o un uso determinato, con
l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”, che
peraltro anche condizionatamente all’adempimento di un
modus; o di un onere, come ad es. la relativa manutenzione
(cfr. Cass. Civ. Sent. n. 485/2003); ovvero al pagamento di
una somma a titolo di mero rimborso delle spese (cfr. Cass.
Civ. Sent. n. 4976 del 1997; Cass. Civ. Sent. n. 3021 del
2001; Cass. Civ. Sent. n. 2091 del 1985).
In ogni caso il comodato di un bene immobile in forza di un
titolo contrattuale attribuisce al destinatario la qualifica
di "detentore qualificato autonomo" nel suo esclusivo
interesse.
La sua natura come contratto tipico e la previsione di una
durata normalmente prestabilita, fa sì che il contratto di
comodato, non meno che la locazione, ben dunque possa
costituire un titolo sufficiente ad integrare una posizione
soggettiva giuridicamente diversificata come tale meritevole
di tutela. Di qui la piena legittimazione della ricorrente
in primo grado Fadaf.
Tutti i motivi vanno dunque respinti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1693 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fattore “tempo” non
può comportare alcuna aspettativa giuridicamente qualificata
in capo all’abusivista in quanto il comportamento illecito
dei privati è sempre sanzionabile, qualunque sia il tempo
trascorso e qualunque sia l'entità dell'infrazione.
Nel caso di un abuso edilizio la circostanza che un
manufatto sia risalente nel tempo è infatti giuridicamente
irrilevante dato che l'abuso edilizio costituisce un
illecito permanente. Per questo, in linea di principio, non
può mai parlarsi di né “usucapione” (e tantomeno) del
“diritto all’abuso”.
In conseguenza i terzi mantengono intatto il loro interesse
alla declaratoria dell’illiceità della costruzione senza che
abbia alcun rilievo il decorso del tempo dalla ultimazione
delle opere edilizie contestate.
Al pari di quanto previsto per l'impugnazione delle
concessioni edilizie, chiunque si trovi in una situazione di
stabile collegamento con la zona interessata dalla
costruzione oggetto di sanatoria, è infatti legittimato ad
impugnare le concessioni in sanatoria di cui all'art. 31, l.
n. 47 del 1985, ritenute illegittime a decorrere dal momento
della piena conoscenza del contenuto del condono. Il
sopravvenire della sanatoria del Comune che legittimava
l’abuso a seguito dell’istanza dell’interessato che ha
giuridico rilievo per i terzi.
In tal caso infatti l’interesse del terzo è sempre attuale
in quanto, contrariamente a quanto afferma l’appellante,
l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria,
comporta automaticamente il conseguenziale ordine
demolizione delle opere abusive o in difetto l’acquisizione
che è, a sua volta, automatica conseguenza del mancato
rispetto dell’ordine di demolizione.
In primo luogo
si deve ricordare che il fattore “tempo” non può comportare
alcuna aspettativa giuridicamente qualificata in capo
all’abusivista in quanto il comportamento illecito dei
privati è sempre sanzionabile, qualunque sia il tempo
trascorso e qualunque sia l'entità dell'infrazione (cfr.
Consiglio di Stato sez. IV 04.05.2012 n. 2592).
Gli artt. 33 e 40, primo comma, della legge 28.02.1985
n. 47 dispongono che le sanzioni previste dal capo I erano
applicabili indistintamente a tutte le opere realizzate
anteriormente e non sanate, e realizzate senza il prescritto
titolo, anche prima dell'entrata in vigore della legge n. 10
del 1977.
Nel caso di un abuso edilizio la circostanza che un
manufatto sia risalente nel tempo è infatti giuridicamente
irrilevante dato che l'abuso edilizio costituisce un
illecito permanente (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 27.12. 2011 n. 6873). Per questo, in linea di principio,
non può mai parlarsi di né “usucapione” (e tantomeno) del
“diritto all’abuso”.
In conseguenza i terzi mantengono intatto il loro interesse
alla declaratoria dell’illiceità della costruzione senza che
abbia alcun rilievo il decorso del tempo dalla ultimazione
delle opere edilizie contestate. Al pari di quanto previsto
per l'impugnazione delle concessioni edilizie, chiunque si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, è
infatti legittimato ad impugnare le concessioni in sanatoria
di cui all'art. 31, l. n. 47 del 1985, ritenute illegittime
a decorrere dal momento della piena conoscenza del contenuto
del condono (cfr. Consiglio Stato sez. V 07.05.2008 n.
2086; Consiglio Stato sez. V 05.02.2007 n. 452). Il
sopravvenire della sanatoria del Comune che legittimava
l’abuso a seguito dell’istanza dell’interessato che ha
giuridico rilievo per i terzi.
In tal caso infatti l’interesse del terzo è sempre attuale
in quanto, contrariamente a quanto afferma l’appellante,
l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria,
comporta automaticamente il conseguenziale ordine
demolizione delle opere abusive o in difetto l’acquisizione
che è, a sua volta, automatica conseguenza del mancato
rispetto dell’ordine di demolizione (cfr. Cons. giust. amm.
Sicilia sez. giurisd. 19.03.2002 n. 155; Consiglio Stato,
sez. V 12.12.2008 n. 6174 ed in precedenza Consiglio
Stato, sez. V 26.01.2000 n. 341)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1693 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L'interesse ad agire è dato dal rapporto tra la
situazione antigiuridica che viene denunciata e il
provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante
l'applicazione del diritto, e questo rapporto deve
consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per
acquisire all'interesse leso la protezione accordata dal
diritto. Prima ancora, colui che intende proporre un ricorso
deve essere titolare di una posizione differenziata,
protetta dall'ordinamento e riferita ad un bene della vita
oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione (cd.
legittimazione al ricorso).
Si è ulteriormente precisato che nel processo
amministrativo, la legittimazione ad impugnare un atto
amministrativo deve essere di norma direttamente correlata
ad una situazione giuridica sostanziale che sia lesa dal
provvedimento e postula l'esistenza di un interesse diretto,
attuale e concreto del ricorrente all'annullamento dell'atto
vantaggio pratico e concreto anche soltanto eventuale o
morale che può derivare al ricorrente dall'accoglimento
dell'impugnativa.
Come è noto l'interesse ad agire è dato dal rapporto tra la
situazione antigiuridica che viene denunciata e il
provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante
l'applicazione del diritto, e questo rapporto deve
consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per
acquisire all'interesse leso la protezione accordata dal
diritto. Prima ancora, colui che intende proporre un ricorso
deve essere titolare di una posizione differenziata,
protetta dall'ordinamento e riferita ad un bene della vita
oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione (cd.
legittimazione al ricorso).
Si è ulteriormente precisato che nel processo
amministrativo, la legittimazione ad impugnare un atto
amministrativo deve essere di norma direttamente correlata
ad una situazione giuridica sostanziale che sia lesa dal
provvedimento e postula l'esistenza di un interesse diretto,
attuale e concreto del ricorrente all'annullamento dell'atto
vantaggio pratico e concreto anche soltanto eventuale o
morale che può derivare al ricorrente dall'accoglimento
dell'impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29.05.2008, n.
2546 TAR Campania, Salerno, sez. II, 20.10.2011, n. 1695)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 25.03.2013 n. 467 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: La
legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste
spetta non solo con riferimento alla tutela degli interessi
ambientali in senso stretto, ma anche con riferimento alla
tutela ambientale in senso lato.
Con riferimento ad Italia Nostra, va ricordato che il
Consiglio di Stato ha più volte affermato che, in base alle
proprie disposizioni statutarie, l'Associazione è certamente
legittimata ad agire in giudizio non solo per la tutela di
interessi ambientali in senso stretto, bensì anche per
quelli ambientali in senso lato, comprendenti proprio la
conservazione e valorizzazione dei beni culturali,
dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale e
naturale, dei monumenti e dei centri storici e della qualità
della vita, intesi tutti come beni e valori ideali idonei a
caratterizzare in modo originale, peculiare ed irripetibile
un certo ambito geografico e territoriale rispetto ad ogni
altro ambito geografico e territoriale e pertanto capaci di
assicurare ad ogni individuo che entra in contatto con tale
ambito una propria specifica utilità che non può essere
assicurata da un altro ambiente.
Sotto un profilo d’ordine generale, va rilevato (cfr. TAR
Brescia, Sez. 1, 27.02.2012 n. 274) che la legittimazione ad
agire delle associazioni ambientaliste spetta non solo con
riferimento alla tutela degli interessi ambientali in senso
stretto, ma anche con riferimento alla tutela ambientale in
senso lato.
Con riferimento ad Italia Nostra, va ricordato che il
Consiglio di Stato ha più volte affermato (cfr. Sez. IV
09.10.2002 n. 5365) che, in base alle proprie disposizioni
statutarie, l'Associazione è certamente legittimata ad agire
in giudizio non solo per la tutela di interessi ambientali
in senso stretto, bensì anche per quelli ambientali in senso
lato, comprendenti proprio la conservazione e valorizzazione
dei beni culturali, dell'ambiente in senso ampio, del
paesaggio urbano, rurale e naturale, dei monumenti e dei
centri storici e della qualità della vita, intesi tutti come
beni e valori ideali idonei a caratterizzare in modo
originale, peculiare ed irripetibile un certo ambito
geografico e territoriale rispetto ad ogni altro ambito
geografico e territoriale e pertanto capaci di assicurare ad
ogni individuo che entra in contatto con tale ambito una
propria specifica utilità che non può essere assicurata da
un altro ambiente
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 18.03.2013 n. 259 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Quando
è proposta una domanda volta ad ottenere il rilascio di un
titolo edilizio, il vicino del richiedente può intervenire
nel corso del relativo procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza, ma non ha titolo a
ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento in quanto ciò
comporterebbe un aggravio del procedimento, in palese
violazione dei principi di economicità ed efficacia
dell'attività amministrativa.
Per giurisprudenza costante, invero, quando è proposta una
domanda volta ad ottenere il rilascio di un titolo edilizio,
il vicino del richiedente può intervenire nel corso del
relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che
accolga l'istanza, ma non ha titolo a ricevere l'avviso
dell'avvio del procedimento in quanto ciò comporterebbe un
aggravio del procedimento, in palese violazione dei principi
di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa
(Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197; 14.03.2002, n. 1533; 18.04.2005, n. 1773; Tar Liguria, 10.07.2009,
n. 1736)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.03.2013 n. 645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della decorrenza del termine di impugnazione di un
permesso di costruire, il requisito della piena conoscenza
non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi
elementi, essendo sufficiente quella degli elementi
essenziali quali l'autorità emanante, la data, il contenuto
dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di
proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del
provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori
profili di illegittimità.
Ciò, anche atteso che, in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus
jura succurrunt", una volta che l'interessato viene
informato dall'amministrazione degli estremi del
provvedimento, ha il preciso onere di tutelare senza indugio
i propri interessi legittimi.
Sicché, il ricorso presentato risulta tardivo atteso che, in
relazione alle censure svolte nel ricorso ed alla
descrizione dei lavori indicata nel cartello di cantiere
(che poteva essere agevolmente percepita nella sua
potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la
proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere
per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del
cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle
censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di
ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio
amministrativo.
- considerato che la parte ricorrente ha impugnato i
permessi di costruire n. 006/09 del 21.01.2009 e n. 192/2010
del 29.07.2010 rilasciati dal Comune di Pescara alla società
controinteressata per eseguire lavori di ristrutturazione
edile su un edificio residenziale; censurando
sostanzialmente la circostanza che si sarebbero
illegittimamente autorizzate opere di ristrutturazione e
sopraelevazione;
- rilevato che, tra i documenti depositati in giudizio, v’è
una foto del cartello di cui all’articolo 20, comma 6,
d.p.r. n. 380 del 2001, recante, oltre agli estremi del
permesso di costruire n. 6 del 2006, anche l’indicazione che
i lavori in questione avevano ad oggetto opere di
ristrutturazione e sopraelevazione; ed è stata prodotta
analoga documentazione fotografica del cartello riguardante
il successivo permesso di costruire n. 192 del 29.07.2010;
- considerato che non è contestato che il primo cartello sia
stato apposto sin dall’inizio dei lavori, che si devono
presumere iniziati, secondo la previsione di legge, entro un
anno dal rilascio del titolo;
- che, a fronte di tale circostanza, il ricorso appare
notificato solo il 21.06.2012, quindi a distanza di circa 5
anni dall’inizio dei lavori, durante i quali, peraltro, era
ben evidente, in quanto dichiarato, il tipo di opere in
cantiere, e quindi nessun ulteriore elemento di valutazione
può essere scaturito dall’aver atteso l’ultimazione dei
lavori stessi, in relazione alle censure proposte (se, come
dice la parte ricorrente, non erano percepibili le
operazioni dietro la facciata, non si comprende come mai sia
stato necessario attendere la fine dei lavori per accedere
agli atti ed ai progetti e quindi per verificare
documentalmente l’illegittimità poi qui censurata);
- rilevato che, secondo la giurisprudenza, pur decorrendo il
termine decadenziale per l'impugnazione dalla piena
conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle violazioni
urbanistiche o dal contenuto specifico del progetto edilizio
(cfr. Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705;
Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705); tuttavia il
principio della certezza delle situazioni giuridiche e di
tutela di tutti gli interessati deve far ritenere che il
soggetto concessionario non si possa lasciare nella perpetua
incertezza sulla sorte del proprio titolo edilizio; e
pertanto, ai fini della decorrenza del termine di
impugnazione di un permesso di costruire, il requisito della
piena conoscenza non postula necessariamente la conoscenza
di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli
elementi essenziali quali l'autorità emanante, la data, il
contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la
possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza
integrale del provvedimento e degli atti presupposti
emergano ulteriori profili di illegittimità (cfr. Consiglio
Stato sentenza 12.07.2010, n. 4482); ciò, anche atteso che,
in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus jura
succurrunt", una volta che l'interessato viene informato
dall'amministrazione degli estremi del provvedimento, ha il
preciso onere di tutelare senza indugio i propri interessi
legittimi (Consiglio di Stato sentenza 13.06.2011 n. 3583);
- rilevato conclusivamente che il ricorso è tardivo, atteso
che, ad avviso del Collegio, per le considerazioni appena
esposte, in relazione alle censure svolte nel ricorso ed
alla descrizione dei lavori indicata nel cartello di
cantiere (che poteva essere agevolmente percepita nella sua
potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la
proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere
per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del
cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle
censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di
ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio
amministrativo (cfr. Tar Firenze, n. 594 del 2012) (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 156 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2013 |
|
URBANISTICA: Il
proprietario che impugna gli atti di pianificazione
urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare
la violazione delle norme sulla VAS, laddove le
determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte
di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole.
---------------
Occorre rimarcare, con riguardo all’individuazione
dell’autorità competente per la VAS nella persona del
sindaco, Che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale consente nei Comuni con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa
essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare
della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e
valorizzazione ambientale.
---------------
Va ricordata l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie.
La censura appare priva di pregio, sotto vari profili.
In primo luogo, essa si pone in contrasto con l’indirizzo
interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. la sentenza
della Sezione IV di quest’ultimo, 12.01.2011, n. 133), per
il quale il proprietario che impugna gli atti di
pianificazione urbanistica generale ha un interesse
qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS,
laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso
sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso
sfavorevole (nella citata sentenza n. 133/2011 si legge a
tale proposito che: <<….occorre che le "determinazioni
lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano
effettivamente "condizionate", ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni
raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe
dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie
abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative
ai suoli in sua proprietà…>>).
Nel caso di specie, le censure specificamente riguardanti la
destinazione urbanistica dell’area degli esponenti non
paiono attenere alle scelte effettuate in sede di VAS.
Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere
assorbente, occorre altresì rimarcare, con riguardo
all’individuazione dell’autorità competente nella persona
del sindaco –che nel Comune di Lambrugo ricopre anche il
ruolo di responsabile di servizio, ai sensi della legge
388/2000– che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale (vedesi punto 5 dell’allegato A), consente
nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che
l’autorità competente possa essere individuata anche
nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli
uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale
(cfr. il documento depositato dalla difesa regionale il
28.12.2012; si rimarca altresì che tale decreto non è
neppure stato oggetto di rituale impugnazione).
---------------
Preliminarmente occorre
ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ribadito
di recente in importanti arresti del Giudice Amministrativo
d’appello, sull’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie
(cfr., fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio
di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e
confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV,
28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV,
28.12.2012, n. 6703, oltre che, fra le decisioni di primo
grado, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.02.2012, n. 437 e
TAR Basilicata, 16.12.2011, n. 602) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.02.2013 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Nel ricorso proposto per
l’annullamento di un piano attuativo in variante di piano
regolatore, approvato dal Comune ma predisposto ad
iniziativa di parte, i soggetti promotori dell’intervento
edificatorio assumono la veste di controinteressati
agevolmente identificabili dagli atti del procedimento in
quanto presentatori del progetto, con la conseguenza che il
ricorso è inammissibile ove non sia stato ad essi
tempestivamente notificato.
---------------
Questo Consesso ha sottolineato la distinzione tra la
fattispecie dei piani ad esclusiva iniziativa e formazione
della p.a. –aventi natura di atti amministrativi
autoritativi– e quella in cui l’iniziativa è assunta invece
dai privati, per affermare che in tale ultima ipotesi si è
in presenza di atti avente natura negoziale con assunzione
di obbligazioni reciproche ed espressione di scelte
concordate: in questi casi, la posizione del privato
promotore è anche quella del soggetto che ha dato avvio al
procedimento, il quale assume quindi la qualità di parte
necessaria del procedimento stesso cui deve essere
notificata l’iniziativa giurisdizionale.
Ed invero, sul punto giova richiamare il più recente orientamento secondo
cui, nel ricorso proposto per l’annullamento di un piano
attuativo in variante di piano regolatore, approvato dal
Comune ma predisposto ad iniziativa di parte, i soggetti
promotori dell’intervento edificatorio assumono la veste di controinteressati agevolmente identificabili dagli atti del
procedimento in quanto presentatori del progetto, con la
conseguenza che il ricorso è inammissibile ove non sia stato
ad essi tempestivamente notificato (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 17.05.2012, nr. 2839; id., 17.07.2009, nr.
4473).
Ciò premesso, appare evidente che gli arresti richiamati
nella sentenza impugnata sono certamente validi nell’ipotesi
di approvazione di piani regolatori generali, in cui l’agire
pubblico è esclusivamente inteso a predisporre un ordinato
assetto del territorio comunale prescindendo dalle posizioni
dei titolari di diritti reali e dai vantaggi o svantaggi che
ad essi possano derivare dalla pianificazione; a questa
ipotesi non è però sovrapponibile quella di un piano
esecutivo predisposto a iniziativa di parte, nella quale si
configurano dei titolari di posizioni specifiche
direttamente incise dall’operato dell’Amministrazione,
individuabili nei soggetti promotori del progetto confluito
nello strumento approvato, che dalla eventuale caducazione
di quest’ultimo riceverebbero una diretta e immediata
lesione degli interessi qualificati di cui sono portatori.
Questo Consesso in sede consultiva ha poi sottolineato la
distinzione tra la fattispecie dei piani ad esclusiva
iniziativa e formazione della p.a. –aventi natura di atti
amministrativi autoritativi– e quella in cui l’iniziativa è
assunta invece dai privati, per affermare che in tale ultima
ipotesi si è in presenza di atti avente natura negoziale con
assunzione di obbligazioni reciproche ed espressione di
scelte concordate: in questi casi, la posizione del privato
promotore è anche quella del soggetto che ha dato avvio al
procedimento, il quale assume quindi la qualità di parte
necessaria del procedimento stesso cui deve essere
notificata l’iniziativa giurisdizionale (cfr. Cons. Stato,
Ad. Gen., 21.11.1991, nr. 141) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.02.2013 n. 1097 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In via generale, per gli
strumenti urbanistici il termine di impugnazione è ancorato
alla data di loro pubblicazione, e non alla data in cui il
ricorrente ne abbia avuto piena conoscenza.
Più specificamente, per i piani particolareggiati si applica
l’art. 16 della legge 17.08.1942, nr. 1150, alla cui stregua
la notificazione individuale è dovuta solo per i proprietari
delle aree vincolate allo scopo di realizzare opere
pubbliche, in relazione alle quali il comma 9 della citata
norma prevede che l’approvazione del piano equivale a
dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso
previste (costituendo quindi avvio della procedura
espropriativa), mentre per gli altri casi, nei quali non
trova applicazione il detto obbligo di notifica, il termine
per impugnare decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione
del provvedimento presso l’Albo pretorio del Comune, secondo
i comuni principi.
Su quest’ultimo punto, per completezza espositiva va
segnalata l’esistenza di altro orientamento che estende
l’obbligo di notifica individuale a tutti i proprietari di
suoli ricompresi nel perimetro del piano attuativo.
La Sezione non può
condividere tale conclusione, la quale si pone in frontale
contrasto col consolidato indirizzo giurisprudenziale, alla
cui stregua:
- in via generale, per gli strumenti urbanistici il termine
di impugnazione è ancorato alla data di loro pubblicazione,
e non alla data in cui il ricorrente ne abbia avuto piena
conoscenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28.03.2011, nr.
1868; id., 12.06.2009, nr. 3730);
- più specificamente, per i piani particolareggiati si
applica l’art. 16 della legge 17.08.1942, nr. 1150, alla
cui stregua la notificazione individuale è dovuta solo per i
proprietari delle aree vincolate allo scopo di realizzare
opere pubbliche, in relazione alle quali il comma 9 della
citata norma prevede che l’approvazione del piano equivale a
dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso
previste (costituendo quindi avvio della procedura
espropriativa), mentre per gli altri casi, nei quali non
trova applicazione il detto obbligo di notifica, il termine
per impugnare decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione
del provvedimento presso l’Albo pretorio del Comune, secondo
i comuni principi (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI,
06.07.2010, nr. 4289).
Su quest’ultimo punto, per completezza espositiva va
segnalata l’esistenza di altro orientamento che estende
l’obbligo di notifica individuale a tutti i proprietari di
suoli ricompresi nel perimetro del piano attuativo (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 13.12.2005, nr. 7054)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.02.2013 n. 1097 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto
che propone l'impugnazione.
Va premesso che il Collegio ritiene che –contrariamente a quanto
sostenuto dal Comune nel proprio appello incidentale- non
possa assolutamente dubitarsi della legittimazione a
ricorrere in capo alla odierna parte appellante principale
in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui “il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto
che propone l'impugnazione“ (Cons. Stato Sez. IV,
29-08-2012, n. 4643).
Il Comune appellante incidentale con
doglianza genericamente formulata e per di più articolata
soltanto in grado di appello dubita della legittimazione
degli appellanti principali in quanto non avrebbero provato
il proprio titolo di proprietà: sennonché trattasi di
eccezione proposta in grado di appello, contrastante con le
allegazioni di parte rese già in primo grado, e pertanto
prima che inammissibile infondata per difetto di prova
(l’appellante avrebbe dovuto fornire un principio di prova,
anche fondato su risultanze catastali, etc. dal quale
risultasse la non titolarità da parte degli appellanti
principali dell’immobile sito nel comune)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.02.2013 n. 922 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione
si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla
data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile
la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si
verifica quando sia percepibile dal controinteressato la
concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva
sulla propria posizione giuridica.
In materia di impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. "vicinitas", quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere
a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a
ché il provvedimento dell'Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia
Consolidata e
condivisibile giurisprudenza ha con continuità affermato che
“La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione
si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla
data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile
la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si
verifica quando sia percepibile dal controinteressato la
concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva
sulla propria posizione giuridica. In materia di impugnazione
del permesso di costruire, è sufficiente la cd. "vicinitas",
quale elemento che distingue la posizione giuridica del
ricorrente da quella della generalità dei consociati, di
talché è corretto riconoscere a chi si trovi in tale
situazione un interesse tutelato a ché il provvedimento
dell'Amministrazione sia procedimentalmente e
sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia"
(Consiglio Stato, sez. IV, 05.01.2011, n. 18)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.02.2013 n. 922 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Il vicino
controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a
cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento
per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7,
l. n. 241 del 1990, pur se lo stesso già risulti essersi
opposto in precedenti occasioni all'attività edilizia
dell'altro soggetto confinante.
Non vi è, infatti, identità tra le posizioni di coloro che
siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di
concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo
a ricevere l'avviso di avvio del procedimento.
Infatti, ove sia stata proposta una domanda di concessione
edilizia o di altro titolo abilitativo, che tra l’altro
viene rilasciato con espressa salvezza dei diritti dei
terzi, il vicino del richiedente o il soggetto legittimato
possono intervenire nel procedimento ed impugnare il
provvedimento che accoglie l'istanza, ma non hanno titolo a
ricevere l'avviso di avvio del procedimento.
E’ infondato altresì il vizio dedotto in appello con cui si lamenta il
difetto di comunicazione dell’avvio del procedimento e
quindi la mancanza di partecipazione dell’appellante al
procedimento concessorio, al di là dei profili di interesse
a ricorrere.
In generale, il vicino controinteressato non è un soggetto
contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di
avvio del procedimento per il rilascio di un titolo
edilizio, ai sensi dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, pur se
lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti
occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto
confinante.
Non vi è, infatti, identità tra le posizioni di coloro che
siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di
concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo
a ricevere l'avviso di avvio del procedimento.
Infatti, ove sia stata proposta una domanda di concessione
edilizia o di altro titolo abilitativo, che tra l’altro
viene rilasciato con espressa salvezza dei diritti dei
terzi, il vicino del richiedente o il soggetto legittimato
possono intervenire nel procedimento ed impugnare il
provvedimento che accoglie l'istanza, ma non hanno titolo a
ricevere l'avviso di avvio del procedimento (Cons. St., sez.
VI, 14.03.2002 n. 1533) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.02.2013 n. 916 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La lesività del titolo ad aedificandum può essere
apprezzata dal vicino, che se ne dolga, esclusivamente alla
data di ultimazione dei lavori, se solo in tale momento è
consentito avere piena cognizione dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è
insufficiente fare riferimento all'atto abilitativo o
soltanto all' inizio dei lavori, incombendo, tra l'altro, la
prova della eventuale tardività alla parte che la eccepisce.
Tale principio non vale, invece, nelle ipotesi in cui, per
la natura delle censure dedotte, la percezione della
lesività dell’intervento edilizio si abbia già con l’inizio
dei lavori, nel qual caso il termine per impugnare decorre a
prescindere dalla loro ultimazione. Si è cioè ulteriormente
precisato che sebbene in linea di principio il termine per
l'impugnazione in sede giurisdizionale di una concessione
edilizia decorra dalla piena ed effettiva conoscenza di
quest'ultima -che si verifica, in assenza di altri e più
rigorosi elementi probatori, non con il mero inizio dei
lavori, bensì con l'ultimazione di essi, perché solo in quel
momento si possono apprezzare le dimensioni e le
caratteristiche dell'opera e, quindi, l'entità delle
violazioni urbanistiche derivanti dal provvedimento
impugnando-, anche l'inizio dei lavori stessi, purché ne sia
chiara la natura edificatoria, può determinare tale piena
conoscenza della lesività, in relazione allo stato di fatto
o di diritto dell'area d'intervento o alla natura e qualità
di quest'ultimo (nella specie del precedente, la piena
conoscenza dell'atto impugnato è stata valutata con riguardo
all'apposizione del cartello di cantiere, contenente tutti
gli estremi della concessione , nonché al contenuto dei
motivi di ricorso, incentrati sull'inedificabilità
dell'area, sulla violazione di norme paesaggistiche,
sull'assenza del piano particolareggiato, sulla destinazione
dell'area stessa a scopi non edificatori, ecc., ossia a dati
che consentivano di ritenere sufficiente la conoscenza
dell'iniziativa in corso senza bisogno d'attendere
l'ultimazione dei lavori).
Nella specie, non può ritenersi che la mera apposizione del
cartello abbia comportato, per il vicino confinante, la
possibilità di conoscere non già l’intervento, ma tutte le
caratteristiche che poi lo avrebbero indotto a ritenerlo
lesivo, come la violazione delle distanze.
Il principio generale è quindi che la lesività del titolo
ad aedificandum può essere apprezzata dal vicino, che se
ne dolga, esclusivamente alla data di ultimazione dei
lavori, se solo in tale momento è consentito avere piena
cognizione dell'esistenza e dell'entità delle violazioni
edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare
riferimento all'atto abilitativo o soltanto all' inizio dei
lavori, incombendo, tra l'altro, la prova della eventuale
tardività alla parte che la eccepisce (di recente, tra
tante, Consiglio di Stato sez. IV, 16.03.2012, n. 1488).
Tale principio non vale, invece, nelle ipotesi in cui, per
la natura delle censure dedotte, la percezione della
lesività dell’intervento edilizio si abbia già con l’inizio
dei lavori, nel qual caso il termine per impugnare decorre a
prescindere dalla loro ultimazione. Si è cioè ulteriormente
precisato (tra tante, Consiglio Stato, sez. V, 29.01.1999,
n. 91) che sebbene in linea di principio il termine per
l'impugnazione in sede giurisdizionale di una concessione
edilizia decorra dalla piena ed effettiva conoscenza di
quest'ultima -che si verifica, in assenza di altri e più
rigorosi elementi probatori, non con il mero inizio dei
lavori, bensì con l'ultimazione di essi, perché solo in quel
momento si possono apprezzare le dimensioni e le
caratteristiche dell'opera e, quindi, l'entità delle
violazioni urbanistiche derivanti dal provvedimento
impugnando-, anche l'inizio dei lavori stessi, purché ne sia
chiara la natura edificatoria, può determinare tale piena
conoscenza della lesività, in relazione allo stato di fatto
o di diritto dell'area d'intervento o alla natura e qualità
di quest'ultimo (nella specie del precedente, la piena
conoscenza dell'atto impugnato è stata valutata con riguardo
all'apposizione del cartello di cantiere, contenente tutti
gli estremi della concessione , nonché al contenuto dei
motivi di ricorso, incentrati sull'inedificabilità
dell'area, sulla violazione di norme paesaggistiche,
sull'assenza del piano particolareggiato, sulla destinazione
dell'area stessa a scopi non edificatori, ecc., ossia a dati
che consentivano di ritenere sufficiente la conoscenza
dell'iniziativa in corso senza bisogno d'attendere
l'ultimazione dei lavori)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.02.2013 n. 844 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
L’interesse ad agire, in relazione a
provvedimenti che consentono l’edificazione, non si fonda
solo sul rapporto di vicinanza dell’immobile del ricorrente
(e della persona del ricorrente medesimo) con il luogo in
cui deve essere effettuata l’edificazione.
Tale aspetto, come è stato già condivisibilmente osservato,
inerisce alla legittimazione ad agire che si fonda, oltre
che sul titolo del soggetto, anche sulla relazione
intercorrente tra la cosa oggetto del diritto (o, più in
generale, della posizione giuridica) e il provvedimento che
produce effetti pregiudizievoli per il patrimonio giuridico
del ricorrente.
La sussistenza dell’interesse ad agire, richiede una lesione
effettiva della posizione giuridica del ricorrente, della
quale occorre che vi sia prova in giudizio.
L’interesse ad
agire, in relazione a provvedimenti che consentono
l’edificazione, non si fonda solo sul rapporto di vicinanza
dell’immobile del ricorrente (e della persona del ricorrente
medesimo) con il luogo in cui deve essere effettuata
l’edificazione.
Tale aspetto, come è stato già condivisibilmente osservato
(Cons. Stato, sez. IV, 29.12.2010 n. 9537), inerisce alla
legittimazione ad agire che si fonda, oltre che sul titolo
del soggetto, anche sulla relazione intercorrente tra la
cosa oggetto del diritto (o, più in generale, della
posizione giuridica) e il provvedimento che produce effetti
pregiudizievoli per il patrimonio giuridico del ricorrente.
La sussistenza dell’interesse ad agire, richiede una lesione
effettiva della posizione giuridica del ricorrente, della
quale occorre che vi sia prova in giudizio
(massima tratta da www.lexambiente.it
- Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 12.02.2013 n. 830
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2013 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Per l’impugnazione di
un’autorizzazione commerciale non è sufficiente la mera
vicinitas, occorrendo l’allegazione di uno specifico e
concreto pregiudizio: detto pregiudizio non deve
necessariamente concretarsi in una lesione alla concorrenza
connessa al fatto che il ricorrente sia a sua volta un
operatore commerciale, ma ben può consistere in una lesione
a beni della vita diversi e ulteriori (e, in definitiva, ben
può corrispondere alle “tradizionali” lesioni che il vicino
può derivare da qualsiasi opera o intervento che riguardi la
proprietà confinante).
Sul punto, la Sezione condivide l’avviso, conforme alla
maggioritaria giurisprudenza richiamata dalle parti
appellanti, secondo cui per l’impugnazione di
un’autorizzazione commerciale non è sufficiente la mera
vicinitas, occorrendo l’allegazione di uno specifico e
concreto pregiudizio: con l’importante precisazione che
detto pregiudizio non deve necessariamente concretarsi in
una lesione alla concorrenza connessa al fatto che il
ricorrente sia a sua volta un operatore commerciale, ma ben
può consistere in una lesione a beni della vita diversi e
ulteriori (e, in definitiva, ben può corrispondere alle “tradizionali”
lesioni che il vicino può derivare da qualsiasi opera o
intervento che riguardi la proprietà confinante) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.01.2013 n. 489 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La pubblicazione dei
titoli edilizi non fa decorrere i termini per l’impugnazione
da parte del terzo occorrendo piuttosto la conoscenza
cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in
alternativa, il completamento dei lavori, che disveli in
modo certo e univoco le caratteristiche essenziali
dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto
alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla
posizione giuridica del terzo.
Ciò ovviamente non significa che il terzo sia libero di
decidere, secondo propri calcoli e strategie, se e quanto
accedere agli atti, o addirittura libero di attendere il
completamento dell’opera per poi ottenerne la demolizione
quale effetto dell’azione annullatoria: piuttosto la
giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla
luce dei principi di effettività e satisfattività, ha
cercato un punto di equilibrio tra i menzionati principi e
quello, antagonista ma ineludibile, della certezza degli
atti amministrativi -sul quale basa, trovandovi al contempo
i suoi limiti, il sistema di tutela degli interessi
legittimi– ritenendo equo fissare il dies a quo del termine
decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei
lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal
paradigma legale.
Così, se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del
completamento dell’opera quanto questi non sia in
condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di
apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, è per
converso priva di giustificazione ove, ad es., l’azione
annullatoria sia basata sull’inedificabilità dell’area o
sull’esistenza di vincoli, ossia su vizi che emergono già al
primo concreto cenno di attività edificatoria.
Ma vi è un ulteriore aspetto che struttura e conforma la
tutela del terzo, ed è il principio di pubblicità e
trasparenza dell’azione amministrativa concretantesi nel
diritto di accesso agli atti amministrativi che in qualche
modo possano incidere sulla sua sfera: trattasi di una
posizione giuridica di vantaggio, strumentale alla tutela
della situazione sostanziale finale protetta
dall’ordinamento, in grado di consentire, grazie anche alla
previsione di un procedimento e di un processo estremamente
celere, la piena conoscenza del provvedimento e della
documentazione istruttoria.
Il principio di trasparenza, cioè, sostanzia e rende
effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla
“piena conoscenza” della documentazione amministrativa, ma
tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di
attivare non appena ha contezza od anche il ragionevole
sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si
compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo
amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto
sufficientemente.
Ovviamente qui, i risvolti sfavorevoli dell’onere, che
l’istante tende ad evitare con la propria richiesta di
ostensione, non riguardano la piena conoscenza della
situazione amministrativa cristallizzata nel provvedimento
abilitativo –essendo notorio che il diritto di accesso non è
condizionato a termini decadenziali (lo è piuttosto l’azione
tesa a contrastare il rifiuto)– quanto l’efficace tutela
della situazione sostanziale di fondo che il richiedente
intende tutelare a seguito ed in forza della piena
conoscenza, questa sì soggetta a decadenza: in tal senso il
diritto d’accesso è un onere.
Per restare in ambito edilizio, se lo stato di avanzamento
dei lavori è già tale da indurre il sospetto di una
possibile violazione della normativa urbanistica (non
coincidente con l’an dell’edificazione ma con il quomodo),
il ricorrente ha oltre che il diritto anche l’onere di
documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, in guisa
da verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed
inibire l’ulteriore attività realizzativa che la ditta
compie confidando nella presunzione di legittimità del
titolo. Non può limitarsi ad attendere il completamento
dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso,
ossia scegliendo di utilizzare lo strumento quale mero
espediente per non far decorrere il termine di decadenza,
poiché in tal modo agendo finisce per abusare di un diritto
coniato per la sua tutela trasformandolo in uno per
calibrare la futura azione giudiziaria in danno del
beneficiario in buona fede, oltre che –deve aggiungersi- in
danno dell’interesse pubblico ancora oggi presente nelle
trame dell’intesse legittimo.
In sostanza, nel sistema delle tutele, il diritto di accesso
e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa
ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono
fattori che, così come il completamento dei lavori ed il
tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento,
concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto,
il punto di equilibrio tra i principi di effettività e
satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle
situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra.
In proposito la posizione della giurisprudenza è ferma nel
ritenere che la pubblicazione dei titoli edilizi non fa
decorrere i termini per l’impugnazione da parte del terzo
(da ultimo CdS n. 3777/2012) occorrendo piuttosto la
conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati
progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori,
che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche
essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della
stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza
effettiva sulla posizione giuridica del terzo (Cfr.
Consiglio di Stato, Ad. Pen. 29.07.2011, n. 15; sez. VI,
16.09.2011, n. 5170).
Ciò ovviamente non significa che il terzo sia libero di
decidere, secondo propri calcoli e strategie, se e quanto
accedere agli atti, o addirittura libero di attendere il
completamento dell’opera per poi ottenerne la demolizione
quale effetto dell’azione annullatoria: piuttosto la
giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla
luce dei principi di effettività e satisfattività, ha
cercato un punto di equilibrio tra i menzionati principi e
quello, antagonista ma ineludibile, della certezza degli
atti amministrativi -sul quale basa, trovandovi al contempo
i suoi limiti, il sistema di tutela degli interessi
legittimi– ritenendo equo fissare il dies a quo del termine decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei
lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal
paradigma legale. Così, se ha un senso l’attesa, da parte
del terzo, del completamento dell’opera quanto questi non
sia in condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di
apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, è per
converso priva di giustificazione ove, ad es., l’azione
annullatoria sia basata sull’inedificabilità dell’area o
sull’esistenza di vincoli, ossia su vizi che emergono già al
primo concreto cenno di attività edificatoria.
Ma vi è un ulteriore aspetto che struttura e conforma la
tutela del terzo, ed è il principio di pubblicità e
trasparenza dell’azione amministrativa concretantesi nel
diritto di accesso agli atti amministrativi che in qualche
modo possano incidere sulla sua sfera: trattasi di una
posizione giuridica di vantaggio, strumentale alla tutela
della situazione sostanziale finale protetta
dall’ordinamento, in grado di consentire, grazie anche alla
previsione di un procedimento e di un processo estremamente
celere, la piena conoscenza del provvedimento e della
documentazione istruttoria.
Il principio di trasparenza, cioè, sostanzia e rende
effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla
“piena conoscenza” della documentazione amministrativa, ma
tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di
attivare non appena ha contezza od anche il ragionevole
sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si
compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo
amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto
sufficientemente.
Ovviamente qui, i risvolti sfavorevoli dell’onere, che
l’istante tende ad evitare con la propria richiesta di
ostensione, non riguardano la piena conoscenza della
situazione amministrativa cristallizzata nel provvedimento
abilitativo –essendo notorio che il diritto di accesso non
è condizionato a termini decadenziali (lo è piuttosto
l’azione tesa a contrastare il rifiuto)– quanto l’efficace
tutela della situazione sostanziale di fondo che il
richiedente intende tutelare a seguito ed in forza della
piena conoscenza, questa sì soggetta a decadenza: in tal
senso il diritto d’accesso è un onere.
Per restare in ambito edilizio, se lo stato di
avanzamento dei lavori è già tale da indurre il sospetto di
una possibile violazione della normativa urbanistica (non
coincidente con l’an dell’edificazione ma con il quomodo),
il ricorrente ha oltre che il diritto anche l’onere di
documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, in guisa
da verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed
inibire l’ulteriore attività realizzativa che la ditta
compie confidando nella presunzione di legittimità del
titolo. Non può limitarsi ad attendere il completamento
dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso,
ossia scegliendo di utilizzare lo strumento quale mero
espediente per non far decorrere il termine di decadenza,
poiché in tal modo agendo finisce per abusare di un diritto
coniato per la sua tutela trasformandolo in uno per
calibrare la futura azione giudiziaria in danno del
beneficiario in buona fede, oltre che –deve aggiungersi-
in danno dell’interesse pubblico ancora oggi presente nelle
trame dell’intesse legittimo.
In sostanza, nel sistema delle tutele, il diritto di
accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una
completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento,
costituiscono fattori che, così come il completamento dei
lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale
completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al
caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di
effettività e satisfattività da una parte, e quelli di
certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento
dall’altra
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.01.2013 n.
322 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA:
Per riconoscere la legittimazione all’impugnativa
di un provvedimento concernente opere edilizie da parte dei
proprietari vicini, la giurisprudenza richiede, in generale,
che questi ultimi dimostrino anche la sussistenza di un
pregiudizio concreto per le loro facoltà dominicali.
Nel caso di specie –che non riguarda la materia edilizia, ma
deve ritenersi analogo trattandosi di autorizzazione allo
svolgimento di attività arrecante disturbo, in area contigua
all’edificio dove sono ubicati gli appartamenti dei
ricorrenti– la vicinitas non è in contestazione, mentre il
pregiudizio concreto per le facoltà dominicali dei
ricorrenti consiste nell’immissione di rumori molesti, che
essi hanno comunque interesse a contenere nei limiti
prescritti dalla legge, con conseguente possibilità di
contestare innanzi al giudice amministrativo i relativi
provvedimenti autorizzativi dell’attività medesima.
---------------
Nel controllo sull'esercizio della discrezionalità tecnica,
al giudice amministrativo è sicuramente consentito di
censurare le valutazioni che si pongono al di fuori
dell'ambito di opinabilità, con connessa possibilità di
sindacare con pienezza di cognizione i fatti oggetto
dell'indagine e il processo valutativo mediante il quale
l'autorità applica al caso concreto la regola individuata.
Per riconoscere la legittimazione
all’impugnativa di un provvedimento concernente opere
edilizie da parte dei proprietari vicini, la giurisprudenza
richiede, in generale, che questi ultimi dimostrino anche la
sussistenza di un pregiudizio concreto per le loro facoltà
dominicali (v., ad esempio, C.S., IV, 24.01.2011, n.
485).
Nel caso di specie –che non riguarda la materia edilizia,
ma deve ritenersi analogo trattandosi di autorizzazione allo
svolgimento di attività arrecante disturbo, in area contigua
all’edificio dove sono ubicati gli appartamenti dei
ricorrenti– la vicinitas non è in contestazione, mentre il
pregiudizio concreto per le facoltà dominicali dei
ricorrenti consiste nell’immissione di rumori molesti, che
essi hanno comunque interesse a contenere nei limiti
prescritti dalla legge, con conseguente possibilità di
contestare innanzi al giudice amministrativo i relativi
provvedimenti autorizzativi dell’attività medesima (cfr.
TAR Liguria, I, 09.12.2009, n. 3559).
---------------
Infatti, secondo la
giurisprudenza, nel controllo sull'esercizio della
discrezionalità tecnica, al giudice amministrativo è
sicuramente consentito di censurare le valutazioni che si
pongono al di fuori dell'ambito di opinabilità, con connessa
possibilità di sindacare con pienezza di cognizione i fatti
oggetto dell'indagine e il processo valutativo mediante il
quale l'autorità applica al caso concreto la regola
individuata (C.S., VI, 13.09.2012, n. 4873)
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 08.01.2013 n. 15 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
termine decadenziale per l'impugnazione di un permesso di
costruire decorre dalla piena conoscenza dell'esistenza e
dell'entità delle violazioni urbanistiche o del contenuto
specifico del progetto edilizio in modo che si renda palese
ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della
vita protetto.
Nel giudizio amministrativo la prova della piena conoscenza
deve essere offerta in modo rigoroso, non essendo adeguati a
tal fine la mera verosimiglianza dell'avvenuta conoscenza
stessa o presunzioni semplici di alcun genere.
Costituisce principio giurisprudenziale
consolidato, dal quale questo Collegio non ravvisa ragione
per discostarsi, che il termine decadenziale per
l'impugnazione di un permesso di costruire decorre dalla
piena conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle
violazioni urbanistiche o del contenuto specifico del
progetto edilizio in modo che si renda palese ed
oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita
protetto (così, da ult., Cons. St., IV, 17.09.2012,
n. 4923; Tar Campania, Salerno, II, 17.10.2012 n. 1868)
Le parti resistenti, cui spetta fornire la prova della piena
conoscenza, non hanno dimostrato che essa sia avvenuta
antecedentemente ai sessanta giorni (cui occorre aggiungere
il periodo di sospensione feriale) dalla notifica del
ricorso, non essendo sufficiente a tal fine né il
riferimento alla data di adozione dell’atto né il generico
rilievo che l’iter di rilascio del titolo ha registrato il
costante interessamento e la continua presenza di parte
ricorrente. Nel giudizio amministrativo, infatti, la prova
della piena conoscenza deve essere offerta in modo rigoroso,
non essendo adeguati a tal fine la mera verosimiglianza
dell'avvenuta conoscenza stessa o presunzioni semplici di
alcun genere (in termini Cons. St., IV, 07.11.2012 n. 5657)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 08.01.2013 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2012 |
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dicembre 2012 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Ai fini della esistenza
delle condizioni dell’azione avverso provvedimenti lesivi
dal punto di vista ambientale, il concetto di vicinitas dei
singoli che insorgono deve essere visto in relazione allo
scopo precipuo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la
qualità della vita dei residenti su un circoscritto
territorio, anche laddove si tratti di singole persone
fisiche, in posizione differenziata sulla base del criterio
della vicinitas quale elemento qualificante dell'interesse a
ricorrere.
Vanno respinti i motivi di appello con i quali si deducono
difetto di interesse ad agire e legittimazione per mancanza
di vicinitas e perché già apposto nel 2005 il vincolo
di esproprio.
Infatti, ai fini della esistenza delle condizioni
dell’azione avverso provvedimenti lesivi dal punto di vista
ambientale, il concetto di vicinitas dei singoli che
insorgono deve essere visto in relazione allo scopo precipuo
di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della
vita dei residenti su un circoscritto territorio, anche
laddove si tratti di singole persone fisiche, in posizione
differenziata sulla base del criterio della vicinitas
quale elemento qualificante dell'interesse a ricorrere
(così, tra tante, Consiglio di Stato sez. IV 11.11.2011 n.
5986) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.12.2012 n. 6667 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
La legittimazione ad
impugnare un provvedimento amministrativo deve essere
direttamente correlata alla situazione giuridica sostanziale
che si assume lesa dal provvedimento e postula l'esistenza
di un interesse attuale e concreto all'annullamento
dell'atto; altrimenti l'impugnativa verrebbe degradata al
rango di azione popolare a tutela dell'oggettiva legittimità
dell'azione amministrativa, con conseguente ampliamento
della legittimazione attiva al di fuori dei casi
espressamente previsti dalla legge, in insanabile contrasto
con il carattere di giurisdizione soggettiva che la
normativa legislativa e quella costituzionale hanno
attribuito al vigente sistema di giustizia amministrativa
(nella specie la legittimazione al ricorso è stata negata al
proprietario del fondo limitrofo a quello espropriato, che
aveva fondato l'impugnativa sulla supposta natura
pertinenziale del bene oggetto dell'intervento ablativo
rispetto al bene di sua proprietà e sulla sua qualità di
cittadino, come tale portatore di un interesse ad agire
indipendentemente da un interesse protetto).
Con riguardo a tale profilo, tuttavia, rimarca il Collegio
che l’appello è comunque assolutamente infondato nel merito
non essendo sufficiente la qualità di cittadino di un comune
a gravare atti specifici e di portata generale
dell’amministrazione comunale quali l’affidamento del
servizio di riscossione (ex multis: “la
legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo
deve essere direttamente correlata alla situazione giuridica
sostanziale che si assume lesa dal provvedimento e postula
l'esistenza di un interesse attuale e concreto
all'annullamento dell'atto; altrimenti l'impugnativa
verrebbe degradata al rango di azione popolare a tutela
dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, con
conseguente ampliamento della legittimazione attiva al di
fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, in
insanabile contrasto con il carattere di giurisdizione
soggettiva che la normativa legislativa e quella
costituzionale hanno attribuito al vigente sistema di
giustizia amministrativa” -nella specie la legittimazione al
ricorso è stata negata al proprietario del fondo limitrofo a
quello espropriato, che aveva fondato l'impugnativa sulla
supposta natura pertinenziale del bene oggetto
dell'intervento ablativo rispetto al bene di sua proprietà e
sulla sua qualità di cittadino, come tale portatore di un
interesse ad agire indipendentemente da un interesse
protetto-“.- Cons. Stato Sez. IV, 28-08-2001, n. 4544-).
Né l’incremento dei costi della procedura di riscossione
asseritamente ascrivibile ad Equitalia (e laddove non è
neppure dimostrato in cosa consisterebbe detto incremento e
perché, ove il servizio fosse stato affidato ad altro
soggetto vi sarebbe stato un decremento dei costi) può
fondare detto interesse tenuto conto che il vigente sistema
giuridico non configura fattispecie generali di azioni
popolari
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.12.2012 n. 6411 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: La
legittimazione ad agire delle associazioni e/o comitati
ambientalisti spetta non solo con riferimento alla tutela
degli interessi ambientali in senso stretto, ma anche con
riferimento alla tutela ambientale in senso lato, che
implica in quanto tale la possibilità di impugnare atti
aventi finalità urbanistica-edilizia.
Invero, “la materia ambientale per le peculiari
caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo
particolare: la tutela dell’ambiente, infatti, lungi dal
costituire un autonomo settore d’intervento dei pubblici
poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di
distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi
beni della vita che nell’ambiente si collocano, assumendo un
carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie
materie e competenze amministrative, che connotano anche le
distinzioni fra ministeri”.
---------------
La stretta relazione che sempre più spesso corre tra
l’urbanistica e l’ambiente è ben rappresentata dalla stretta
interconnessione sviluppatasi in questi anni fra i contenuti
della pianificazione urbanistica e quelli della tutela
ambientale, derivante dalla circostanza che il territorio,
inteso in tutte le sue accezioni, è un bene fondamentale
avente carattere costitutivo dello stesso bene “ambiente”.
Nell’attuale sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito di
applicazione della tutela paesaggistica non riguarda ormai
soltanto le aree oggetto di vincolo di tutela, in quanto
detto vincolo ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004 è soltanto
uno degli strumenti attraverso cui l’ordinamento persegue
l’obiettivo della tutela del paesaggio.
Si segnala altresì come il Consiglio di Stato
–nell’esaminare un ricorso di Italia Nostra contro uno
strumento urbanistico che avrebbe dato vita al raddoppio del
bacino di cava con un impatto particolarmente negativo
sull'ambiente e sul paesaggio– ha ravvisato che “nel
presente giudizio tale legittimazione debba essere comunque
riconosciuta, perché il provvedimento impugnato ha una
diretta e immediata rilevanza ambientale”.
L’eccezione va disattesa, ed in proposito il
Collegio si richiama alle argomentazioni racchiuse nella
sentenza della sez. I di questo Tribunale in data 27/2/2012
n. 274.
In via generale, è stato rilevato che la più recente
ed avanzata posizione giurisprudenziale (cfr. TAR
Sardegna, sez. II – 06/10/2008 n. 1816; Consiglio di Stato,
sez. IV – 11/11/2011 n. 5986) ha posto in luce che la
legittimazione ad agire delle associazioni e/o comitati
ambientalisti spetta non solo con riferimento alla tutela
degli interessi ambientali in senso stretto, ma anche con
riferimento alla tutela ambientale in senso lato, che
implica in quanto tale la possibilità di impugnare atti
aventi finalità urbanistica-edilizia, specificando che “la
materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene
protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela
dell’ambiente, infatti, lungi dal costituire un autonomo
settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo
unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche
predisposte a favore dei diversi beni della vita che
nell’ambiente si collocano, assumendo un carattere per così
dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e
competenze amministrative, che connotano anche le
distinzioni fra ministeri” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV
– 11/11/2011 n. 5986).
La stretta relazione che sempre più spesso corre tra
l’urbanistica e l’ambiente è ben rappresentata dalla stretta
interconnessione sviluppatasi in questi anni fra i contenuti
della pianificazione urbanistica e quelli della tutela
ambientale, derivante dalla circostanza che il territorio,
inteso in tutte le sue accezioni, è un bene fondamentale
avente carattere costitutivo dello stesso bene “ambiente”
(cfr. Corte costituzionale 21/11/2011 n. 309).
L’attività di
programmazione intrapresa con il procedimento contestato
incide su un ampio territorio coincidente con l’intera
Provincia di Bergamo, e interferisce o comunque lambisce
aree di pregio ambientale e naturalistico (sono 16 i siti di
importanza comunitaria contemplati nella valutazione
d’incidenza della Direzione generale qualità dell’ambiente
del 02/02/2005).
Va ricordato, al riguardo, quanto affermato
dalla Sezione con la recente sentenza 01/07/2010 n. 2411, per
cui nell’attuale sviluppo dell’ordinamento giuridico
l’ambito di applicazione della tutela paesaggistica non
riguarda ormai soltanto le aree oggetto di vincolo di
tutela, in quanto detto vincolo ex artt. 146 e ss. d.lgs.
42/2004 è soltanto uno degli strumenti attraverso cui
l’ordinamento persegue l’obiettivo della tutela del
paesaggio. Ebbene nel procedimento in questione sono
espressamente previsti pareri di autorità preposte alla
salvaguardia degli interessi pubblici ad un misurato impatto
sull’habitat naturale, alla conservazione dei terreni
agricoli (doc. 4), alla protezione del paesaggio (doc. 5).
Si segnala altresì come il Consiglio di Stato (sez. VI –
25/03/2011 n. 1843) –nell’esaminare un ricorso di Italia
Nostra contro uno strumento urbanistico che avrebbe dato
vita al raddoppio del bacino di cava con un impatto
particolarmente negativo sull'ambiente e sul paesaggio– ha
ravvisato che “nel presente giudizio tale legittimazione
debba essere comunque riconosciuta, perché il provvedimento
impugnato ha una diretta e immediata rilevanza ambientale”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.12.2012 n. 1927 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: L’art.
31 della legge 17.08.1942, n. 1150 (nel testo modificato
dalla legge dall’art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765),
non ha introdotto un'azione popolare, che consentirebbe a
qualsiasi cittadino di impugnare il provvedimento che
prevede la realizzazione di un'opera per far valere comunque
l'osservanza delle prescrizioni che regolano l'edificazione.
Piuttosto, la norma ha riconosciuto una posizione
qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari
di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa
e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile
collegamento" con la zona medesima.
---------------
Il Collegio è consapevole dell’esistenza di orientamenti
giurisprudenziali difformi.
Secondo una tesi più liberale, la legittimazione a impugnare
una concessione edilizia non postulerebbe necessariamente
l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la
semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare
ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato
alla tutela giurisdizionale.
Per una concezione più restrittiva (cui aderisce il
collegio), invece, ai fini dell'impugnazione di una
concessione edilizia la condizione della “vicinitas”
andrebbe valutata alla stregua di un giudizio che tenga
conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata,
della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche
ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento
sulla qualità della vita di coloro che per residenza,
attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con
la zona in cui sorge la nuova opera.
La sentenza impugnata ha dichiarato
inammissibile il ricorso di primo grado per non avere il
ricorrente fornito la prova della propria legittimazione
attiva.
La decisione si fonda sul presupposto -del tutto
condivisibile, in quanto conforme a una costante
giurisprudenza- che l’art. 31 della legge 17.08.1942,
n. 1150 (nel testo modificato dalla legge dall’art. 10 della
legge 06.08.1967, n. 765), non abbia introdotto un'azione
popolare, che consentirebbe a qualsiasi cittadino di
impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione di
un'opera per far valere comunque l'osservanza delle
prescrizioni che regolano l'edificazione. Piuttosto, la
norma ha riconosciuto una posizione qualificata e
differenziata solo in favore dei proprietari di immobili
siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro
che si trovano in una situazione di "stabile collegamento"
con la zona medesima.
In via preliminare, l’appello insiste molto –come è
naturale– sulla legittimazione ad agire, che emergerebbe da
un complesso di documenti depositati nel giudizio di primo
grado (una planimetria di piano; una visura catastale;
l’autorizzazione al commercio rilasciata al legale
rappresentante della Società appellante; il contratto di
affitto d’azienda), dei quali il Tribunale regionale avrebbe
potuto comunque chiedere l’integrazione. Sostiene poi la
tesi della sufficienza, ai fini della legittimazione, del
solo elemento della “vicinitas”.
In relazione a tale requisito, il Collegio è consapevole
dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi
(per un esame dettagliato della questione si veda Cons.
Stato, Sez. VI, 20.10.2010, n. 7591).
Secondo una tesi più liberale, la legittimazione a impugnare
una concessione edilizia non postulerebbe necessariamente
l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la
semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare
ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato
alla tutela giurisdizionale (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez.
IV, 16.03.2010 , n. 1535).
Per una concezione più restrittiva, invece, ai fini
dell'impugnazione di una concessione edilizia la condizione
della “vicinitas” andrebbe valutata alla stregua di un
giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni
dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue
implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze
prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di
coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono
in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera
(cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 31.05.2007, n.
2849).
Nel caso di specie, peraltro, la Sezione ritiene di non
avere motivo di discostarsi da una propria precedente
decisione (23.09.2011, n. 5353), resa su una
controversia avente sostanzialmente il medesimo oggetto di
quella attuale (rilascio dell’autorizzazione per la
realizzazione di un edificio commerciale in Vasto) e
intercorrente tra parti delle quali, come emerge dalla
documentazione in atti:
-
la Società appellante (Modulo Quattro s.r.l.) aveva la
stessa sede sociale, analogo oggetto sociale, proprietà e
amministrazione largamente sovrapponibili a quella della
Società odierna appellante; in particolare il signor
Giovanni Cirotti, titolare dell’autorizzazione al commercio
depositata in primo grado, appare comproprietario e
amministratore (insieme con altri soggetti) di entrambe le
società.
-
la Società appellata (Immobiliare “C” di Cerella Natalia
Gabriella) era l’originaria proprietaria dell’area in
discussione, dante causa dell’odierna Società appellata.
Aderendo per implicito alla tesi più restrittiva fra quelle
prima ricordate, la sentenza citata ha ritenuto mancante la
legittimazione dell’appellante, che non sarebbe riuscita a
offrire prova o indizio di prova dello sviamento della
clientela e della conseguente futura diminuzione di
profitto, in ragione dell’identità, quanto meno parziale,
dei generi merceologici trattati nelle due strutture
commerciali in argomento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.11.2012 n. 6081 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
RAPPORTI DI VICINATO E LEGITTIMAZIONE
AL RISARCIMENTO DANNI.
Il privato confinante è legittimato a costituirsi parte
civile,
quando la realizzazione dell’abuso edilizio da parte
del vicino non violi solo le norme poste a tutela del
regolare
assetto del territorio, ma anche le norme che impongono
limiti al diritto di proprietà, che stabiliscono distanze,
volumetria ed altezza delle costruzioni, previste
dal codice civile e dai piani regolatori, violazioni
produttive
di un danno patrimoniale.
Il tema affrontato dalla Cassazione nella sentenza in esame
verte sulla questione della legittimazione attiva del
vicino,
che asserisca di aver subito una lesione patrimoniale per il
‘‘comportamento’’ edilizio illegittimo del proprietario
confinante,
di agire giudizialmente nei suoi confronti per ottenere
il risarcimento del danno sofferto.
La vicenda processuale
segue alla condanna, inflitta in sede di appello in riforma
della
sentenza assolutoria in primo grado, per violazioni edilizie
e per reati di falso, ascritti al committente ed al
progettista e
direttore dei lavori, per aver eseguito interventi di
ristrutturazione
edilizia di un edificio preesistente sulla base di un
permesso
di costruire ritenuto illegittimo, riguardando gli
interventi
parti del fabbricato già costruite abusivamente negli anni
settanta e mai condonate, nonché per avere, in concorso
tra loro, redatto una relazione tecnica allegata alla
domanda
di permesso di costruire, attestante falsamente la
preesistenza
degli interventi di ampliamento dell’edificio all’epoca
di effettiva realizzazione.
Contro la sentenza di condanna
proponevano ricorso per cassazione gli interessati. Tra i
diversi
motivi di censura rileva, per quanto qui d’interesse,
quello -comune ad entrambi i ricorrenti- con cui si
contesta
la violazione di legge con riferimento alla condanna al
risarcimento
dei danni in favore del proprietario confinante che,
secondo la difesa, può fare seguito solo alla violazione di
norme urbanistiche e non anche alla declaratoria di
illegittimità
del titolo edilizio per ragioni diverse.
La tesi è stata favorevolmente accolta dai giudici della
Suprema
Corte che, sul punto, hanno richiamato il principio di
diritto secondo il quale, nei procedimenti per violazioni
urbanistico-edilizie, il privato confinante e` legittimato a costituirsi
parte civile, quando la realizzazione dell’abuso edilizio da
parte del vicino non violi solo le norme poste a tutela del
regolare
assetto del territorio, ma anche le norme che impongono
limiti al diritto di proprietà, che stabiliscono distanze,
volumetria ed altezza delle costruzioni, previste dal codice
civile e dai piani regolatori, violazioni produttive di un
danno
patrimoniale (v., tra le tante: Cass. pen., sez. III, 25.11.2009, n. 45295, in Ced Cass. n. 245270).
Ed infatti, hanno
aggiunto i giudici di legittimità, ai fini
dell’accoglimento
della domanda di risarcimento danni proposta dalla parte
civile
costituitasi in un processo per reato urbanistico, è
necessario
che il giudice accerti la lesione di un diritto soggettivo
della parte, a seguito della violazione di norme poste a
tutela dello statuto proprietario di questa, non essendo
idonea
a tale effetto la violazione di norme che disciplinano la
sfera della potestà amministrativa, e quindi rilevanti
esclusivamente
nei rapporti tra comune e privato (in termini: Cass.
pen., sez. III, 18.12.1991, n. 12766, in Ced Cass. n.
188735). Orbene, nel caso in esame, osservano gli Ermellini,
è stata esclusa l’illegittimità dei permessi di costruire
quale conseguenza della violazione di norme edilizie di
carattere
generale ovvero stabilite dagli strumenti urbanistici
locali, ma esclusivamente per essere afferente quello
‘‘incriminato’’
a interventi di ristrutturazione di parti di un immobile
preesistente realizzate abusivamente negli anni settanta.
Tale profilo d’illegittimità del provvedimento e dei lavori
consequenziali non si palesa, però, ad avviso della Corte,
lesivo dei diritti della costituita parte civile, né dalla
motivazione
della sentenza emergono elementi indicativi dell’esistenza
di un danno subito dalla stessa quale conseguenza
dell’intervento edilizio ritenuto abusivo. Da qui, dunque,
l’accoglimento del ricorso
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.11.2012 n. 45942
- commento tratto da Urbanistica e appalti n. 2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La c.d. “vicinitas” è
l’elemento sufficiente che distingue la posizione giuridica
del ricorrente da quella della generalità dei privati,
sicché a chi si trovi in tale situazione va riconosciuto la
tutela dell’interesse al rispetto delle norme procedimentali
e sostanziali di regolamentazione urbanistico-edilizia; e
nel caso in esame la ricorrente, come è pacifico in
giudizio, è proprietaria d’immobili confinanti con quelli
oggetto dei titoli edilizi da essa contestati, conseguendone
la sussistenza della sua legittimazione ad agire.
In materia d’impugnazione dei titoli edilizi
rilasciati a terzi, dopo l’abrogazione ad opera dell’art.
136 del D.P.R. n. 380/2001 dell’art. 31, comma 9, della legge
n. 1150/1942 prevedente l’impugnabilità dei detti titoli da
parte di “chiunque” inteso come coloro che abbiano uno
stabile collegamento con la zona, la giurisprudenza
(condivisa da questo Tribunale) ha avuto modo di affermare
che la c.d. “vicinitas” è l’elemento sufficiente che
distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella
della generalità dei privati, sicché a chi si trovi in tale
situazione va riconosciuto la tutela dell’interesse al
rispetto delle norme procedimentali e sostanziali di
regolamentazione urbanistico-edilizia (Cfr. Cons. di Stato –
Sez. IV – 23/01/2012 n. 184; id. Sez. 05/01/2011 n. 18); e
nel caso in esame la ricorrente, come è pacifico in
giudizio, è proprietaria d’immobili confinanti con quelli
oggetto dei titoli edilizi da essa contestati, conseguendone
la sussistenza della sua legittimazione ad agire
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 21.11.2012 n. 2112 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il proprietario di un
terreno confinante con un'area oggetto di interventi edilizi
ha il diritto di accedere ai relativi provvedimenti
abilitativi, sia ai sensi dell'art. 25 l. 07.08.1990 n. 241,
sia ai sensi dell'art. 31 l. 17.08.1942 n. 1150, come
modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n. 765, che, proprio
tutelando l'interesse del terzo, prevede la possibilità per
“chiunque” di prendere visione presso gli uffici comunali
della concessione edilizia (all’epoca costituente il titolo
edilizio abilitativo) e dei relativi atti di progetto e di
ricorrere contro il rilascio della stessa ove in contrasto
con le disposizioni di legge o dei regolamenti o con le
prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani
particolareggiati di esecuzione.
Venendo al merito, come sostenuto in
ricorso, costituisce giurisprudenza pacifica quella secondo
cui il proprietario di un terreno confinante con un'area
oggetto di interventi edilizi ha il diritto di accedere ai
relativi provvedimenti abilitativi, sia ai sensi dell'art.
25 l. 07.08.1990 n. 241, sia ai sensi dell'art. 31 l. 17.08.1942 n. 1150, come modificato dall'art. 10 l.
06.08.1967 n. 765, che, proprio tutelando l'interesse del
terzo, prevede la possibilità per “chiunque” di prendere
visione presso gli uffici comunali della concessione
edilizia (all’epoca costituente il titolo edilizio
abilitativo) e dei relativi atti di progetto e di ricorrere
contro il rilascio della stessa ove in contrasto con le
disposizioni di legge o dei regolamenti o con le
prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani
particolareggiati di esecuzione (cfr., ex multis, in
tali sensi sostanziali, Cons. Stato, sezione quinta,
sentenze 27.04.2012, n. 2460, 26.02.2010, n. 1134,
14.05.2010, n. 2966 e 07.09.2004, n. 5873; sezione quarta,
21.11.2006, n. 6790; Tar Campania, Napoli, questa sesta
sezione, sentenze n. 2290 del 18.05.2012, 02.02.2012, n.
526, n. 16722 del 14.07.2010, n. 16700 del 27.07.2010;
sezione quinta, 05.09.2008, n. 10048; Tar Puglia, Lecce,
sezione terza, 25.03.2004, n. 2161; Tar Lazio, Latina,
11.12.2007, n. 1567)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza
20.11.2012 n. 4666 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Secondo un preciso orientamento la legittimazione
ad impugnare va riconosciuta ai proprietari di fondi
confinanti con l’area interessata ad un intervento edilizio
in ragione della semplice “vicinitas”, trovandosi, il terzo
in una situazione di stabile collegamento con la zona
interessata dall’edificazione, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse
qualificato alla tutela giurisdizionale, giacchè tale
situazione vale a differenziare una posizione di interesse
qualificato rispetto al “quisque de populo”.
Questo arresto giurisprudenziale è stato per il vero più
volte integrato e temperato da statuizioni che mettono la
vicinitas in più stretta correlazione con la legitimatio ad
causam intesa come l’interesse ad agire affermandosi che la
legittimazione attiva sussiste ogni qual volta in il
progettato intervento urbansitico-edilizio pur concernente
un’area non di appartenenza del ricorrente, incida
negativamente sul bene di proprietà o in godimento del
vicino sì da comprometterne la fruizione o il valore.
Così, si è detto, occorre che dall’approvazione e
dall’esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al
ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai
molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua
sfera giuridica.
In tali sensi, questa Sezione pur non obliterando il
principio della “vicinitas” tout court, ha avuto cura di
sottolineare, ai fini del radicamento delle condizioni
legittimanti l’azione, la necessità che per i vicini si
verifichi uno specifico vulnus alla loro sfera giuridica sub
specie della sussistenza di un detrimento
economico-patrimoniale comunque derivante per il bene.
La problematica relativa alla legittimazione dei vicini ad impugnare atti
riguardanti il regime urbanistico-edilizio di aree
confinanti è stata ed è tuttora oggetto di ampio dibattito
giurisprudenziale, sulla quale si è più volte soffermata
significativamente anche la giurisprudenza di questa
Sezione.
Secondo un preciso orientamento la legittimazione ad
impugnare va riconosciuta ai proprietari di fondi confinanti
con l’area interessata ad un intervento edilizio in ragione
della semplice “vicinitas”, trovandosi, il terzo in una
situazione di stabile collegamento con la zona interessata
dall’edificazione, senza che sia necessario dimostrare
ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato
alla tutela giurisdizionale, giacchè tale situazione vale a
differenziare una posizione di interesse qualificato
rispetto al “quisque de populo” (Cons. Stato Sez. VI 26.07.2001 n. 4123; idem 15.06.2010 n. 3744; Cons. Stato
Sez. V 07.05.2008 n. 2086; Cons. Stato Sez. IV 17.09.2012 n. 4926; idem 30.11.2009 n. 7491; 16.03.2010 n. 1535; 20.05.2004 n. 3263).
Questo arresto giurisprudenziale è stato per il vero più
volte integrato e temperato da statuizioni che mettono la
vicinitas in più stretta correlazione con la legitimatio ad
causam intesa come l’interesse ad agire affermandosi che la
legittimazione attiva sussiste ogni qual volta in il
progettato intervento urbansitico-edilizio pur concernente
un’area non di appartenenza del ricorrente, incida
negativamente sul bene di proprietà o in godimento del
vicino sì da comprometterne la fruizione o il valore.
Così, si è detto, occorre che dall’approvazione e
dall’esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al
ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai
molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua
sfera giuridica (Cons. Stato Sez. IV 24.12.2007
n. 6619; 22.06.2006 n. 3947; idem 10.06.2004 n. 3755; 05.09.2003 n. 4980;
09.11.2010 n. 8364).
In tali sensi, questa Sezione pur non obliterando il
principio della “vicinitas” tout court, ha avuto cura di
sottolineare, ai fini del radicamento delle condizioni
legittimanti l’azione, la necessità che per i vicini si
verifichi uno specifico vulnus alla loro sfera giuridica sub
specie della sussistenza di un detrimento economico-patrimoniale comunque derivante per il bene (in tal senso
decisione n. 8364/2010 già citata).
A fronte dei suindicati “paletti” interpretativi che hanno
meritevolmente delimitato la portata della nozione di
“vicinitas” quale fattore legittimante l’azione, ritiene pur
sempre il Collegio che il caso de quo possa farsi
ragionevolmente rientrare nell’ambito della opzione
esegetica posta a fondamento del riconoscimento della legitimatio ad agendum.
Se è vero infatti che ai fini dell’impugnativa la verifica
del vulnus alla propria posizione va effettuata alla stregua
di un giudizio che tenga conto della natura e delle
dimensioni dell’opera in progettazione, della sua
destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche, e delle
conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità
della vita di coloro che per residenza sono in durevole
rapporto con l’area interessata (Cons. Stato sez. IV 31.05.2007 n. 2849; idem 12.05.2009 n. 2908), nella
specie non può negarsi l’esistenza di un interesse
differenziato e qualificato anche sulla scorta della
considerazione per cui in relazione alla prevista ubicazione
in situ di un compendio edilizio di un certa consistenza (14 villette a due piani, quattro ville a due piani e due
condomini a tre piani) una cosa è avere di fronte la
propria residenza un parco a verde e altra cosa ancora
essere fronteggiati da un insediamento residenziale con
tutti i consequenziali riflessi i tema di spazi occupati da
opere infrastrutturali strumentali all’edificazione, di
aumento del carico urbanistico e connesso aumento del
traffico veicolare e pedonale, etc..
Invero al di là della possibile incidenza della nuova
destinazione urbanistica sul valore dei beni immobili di cui
sono titolari i Branzoli, non si può in primo luogo
escludere per costoro un pregiudizio in tema di sottrazione
di visuale, luce ed aria; in ogni caso, appare configurabile
nella fattispecie una lesione a godere della veduta (nella
specie un parco a verde ) che è stata considerata dalla
giurisprudenza amministrativa posizione giuridica
suscettibile di pregiudizio e restaurabile patrimonialmente
(Cons. Stato Sez. V 27.03.1081 n. 113; Sez. VI 15.06.2010 n. 3744 già citata).
Rebus sic stantibus, avuto riguardo alle circostanze di
fatto che connotano la vicenda e alla luce dei parametri
giurisprudenziali fissati in subjecta materia, nel caso di
che trattasi appaiono riscontrabili le condizioni
legittimanti la proposizione della domanda giudiziale sia
sotto il profilo di posizione qualificata (vicinitas) sia
sotto l’aspetto del requisito dell’interesse a ricorrere ex
art. 100 c.p.c. (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.11.2012 n. 5715 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato
al vicino, la vicinitas è condizione necessaria ma non
sufficiente a radicare, ferma la legittimazione, l'interesse
al ricorso, il quale richiede anche la dimostrazione del
pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del ricorrente.
Costituisce, oramai, orientamento costante in materia quello
per cui: “nel ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino, la vicinitas è condizione
necessaria ma non sufficiente a radicare, ferma la
legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente” (cfr., ex multis,
Consiglio Stato, sez. IV, 24.01.2011, n. 485)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.11.2012 n. 2687 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nell'ambito di un ricorso giurisdizionale, la
parte può rinunciare al ricorso in qualunque stato e grado
della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da
essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e
depositata nella segreteria, o mediante dichiarazione resa
in udienza e documentata nel relativo verbale.
Il rinunziante deve pagare le spese degli atti di procedura
compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo ad ogni
circostanza, ritenga di compensarle.
La rinunzia deve essere notificata alle altre parti almeno
dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno
interesse non si oppongono, il processo si estingue.
L’abbandono del ricorso è quindi rimesso integralmente a
colui che agisce, ed è sottoposto alle sole condizioni della
provenienza dalla parte, o dal suo procuratore all’uopo
espressamente autorizzato, e dell’intervenuta conoscenza
della controparte dell’atto di rinuncia, conoscenza da
conseguirsi in modo formale (e quindi con notifica o
dichiarazione agli atti, come indica la norma, ma anche
mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in
udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte
personalmente; o anche con dichiarazione sottoscritta dalla
ricorrente e, per adesione, anche dalle difese della altre
parti costituite).
Intervenute le dette formalità, spetta infine al giudice
pronunciare, espressamente ed a seguito di un accertamento
che coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione
del giudizio, permanendo, fino a quel momento, il potere del
rinunciante di revocare il proprio atto.
Effetto della rinuncia è pertanto, dal lato sostanziale,
quello di determinare la cristallizzazione della situazione
dedotta al momento anteriore della proposizione del ricorso,
dall’altro lato, di carattere schiettamente processuale,
quello di comportare l’obbligo di provvedere al rimborso
delle spese sostenute dalla controparte (che tuttavia
costituisce una posizione disponibile delle parti
costituite, potendovi queste rinunciare).
Come prevede espressamente l’art. 84 del codice del processo
amministrativo (e già prima l’art. 46 del Regio Decreto
17.08.1907, n. 642, di approvazione del regolamento di
procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio
di Stato), “la parte può rinunciare al ricorso in
qualunque stato e grado della controversia, mediante
dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato
munito di mandato speciale e depositata nella segreteria, o
mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel
relativo verbale.
Il rinunziante deve pagare le spese degli atti di procedura
compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo ad ogni
circostanza, ritenga di compensarle.
La rinunzia deve essere notificata alle altre parti almeno
dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno
interesse non si oppongono, il processo si estingue”.
L’abbandono del ricorso è quindi rimesso integralmente a
colui che agisce, ed è sottoposto alle sole condizioni della
provenienza dalla parte, o dal suo procuratore all’uopo
espressamente autorizzato, e dell’intervenuta conoscenza
della controparte dell’atto di rinuncia, conoscenza da
conseguirsi in modo formale (e quindi con notifica o
dichiarazione agli atti, come indica la norma, ma anche
mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in
udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte
personalmente, ex multis Consiglio Stato, sez. IV,
17.01.2002, n. 244; o anche con dichiarazione sottoscritta
dalla ricorrente e, per adesione, anche dalle difese della
altre parti costituite).
Intervenute le dette formalità, spetta infine al giudice
pronunciare, espressamente ed a seguito di un accertamento
che coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione
del giudizio, permanendo, fino a quel momento, il potere del
rinunciante di revocare il proprio atto.
Effetto della rinuncia è pertanto, dal lato sostanziale,
quello di determinare la cristallizzazione della situazione
dedotta al momento anteriore della proposizione del ricorso,
dall’altro lato, di carattere schiettamente processuale,
quello di comportare l’obbligo di provvedere al rimborso
delle spese sostenute dalla controparte (che tuttavia
costituisce una posizione disponibile delle parti
costituite, potendovi queste rinunciare) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 07.11.2012 n. 5658 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della tempestività dell’impugnazione del
titolo edilizio da parte del terzo a ciò legittimato la
piena conoscenza dalla quale decorre il termine decadenziale
per la proposizione dell’impugnazione medesima va riferita
al momento dell’ultimazione dei lavori, ovvero al momento
nel quale la costruzione realizzata riveli in modo in
equivoco le caratteristiche essenziali dell’opera agli
effetti della sua eventuale difformità rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente, fermo –altresì–
restando che la prova della tardività dell’impugnazione deve
essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole
generali, alla parte che la deduce.
Il Collegio, per parte propria, richiama innanzitutto la ben
nota giurisprudenza secondo la quale, da un lato, ai fini
della tempestività dell’impugnazione del titolo edilizio da
parte del terzo a ciò legittimato la piena conoscenza dalla
quale decorre il termine decadenziale per la proposizione
dell’impugnazione medesima va riferita al momento
dell’ultimazione dei lavori, ovvero al momento nel quale la
costruzione realizzata riveli in modo in equivoco le
caratteristiche essenziali dell’opera agli effetti della sua
eventuale difformità rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente (cfr. sul punto, ex plurimis,
Cons. Stato, Sez. IV, 18.10.2011 n. 5612), fermo –altresì–
restando che la prova della tardività dell’impugnazione deve
essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole
generali, alla parte che la deduce (cfr. sul punto, ad es.,
Cons. Stato, Sez. IV, 28.01.2011 n. 678) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 07.11.2012 n. 5657 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’impugnazione
di un bando di gara è consentito, dalla giurisprudenza
amministrativa, alle imprese che non abbiano presentato
domanda di partecipazione alla gara medesima, soltanto
quando il bando stesso preveda delle norme che non
consentono la partecipazione alla gara indetta, nel senso
che se le imprese suddette avessero partecipato alla gara,
sarebbero state sicuramente escluse, mentre nel caso di
specie ciò non è, in quanto le censure si appuntano non
sulla impossibilità di partecipare alla gara, alla quale
sarebbero state sicuramente ammesse, se in possesso dei
requisiti richiesti, ma sulla ritenuta difficoltà di poter
formulare un’offerta remunerativa a cagione della esiguità
del termine concesso dal bando, il che è assolutamente
diverso dalla presenza di norme che non consentono neppure
la partecipazione.
---------------
Gli orientamenti interpretativi più consolidati affermano la
regola secondo cui la legittimazione al ricorso deve essere
correlata ad una situazione differenziata, in modo certo,
per effetto della partecipazione alla stessa procedura
oggetto di contestazione.
La regola, ormai consolidata, subisce, ora, alcune notevoli
deroghe, concernenti, rispettivamente:
- la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice,
la scelta della stazione appaltante di indire la procedura;
- la legittimazione dell’operatore economico “di settore”,
che intende contestare un “affidamento diretto” o senza
gara;
- la legittimazione dell’operatore che manifesta
l’intenzione di impugnare una clausola del bando
“escludente”, in relazione alla illegittima previsione di
determinati requisiti di qualificazione.
Le diverse deroghe, ampiamente studiate dagli interpreti, si
connettono ad esigenze e a ragioni peculiari, inidonee a
determinare l’affermazione di una nuova regola generale di
indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso,
basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore
potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara.
(…) La legittimazione del soggetto che contrasta
immediatamente il bando di gara (in relazione alle sue
clausole “escludenti”), senza partecipare al procedimento,
ha una giustificazione logica evidente, direttamente
collegata alla affermazione giurisprudenziale dell’onere di
sollecita impugnazione di tale atto lesivo, senza attendere
l’esito della selezione.
In tali circostanze, la certezza del pregiudizio determinato
dal bando rende superflua la domanda di partecipazione e
l’adozione di un atto esplicito di esclusione. D’altro
canto, la legittimazione spetta, in questo caso, non già a
tutti gli imprenditori del settore, genericamente intesi, ma
ai soli soggetti cui è impedita la partecipazione, in virtù
di una specifica clausola escludente del bando.
Al di fuori delle ipotesi tassativamente enucleate dalla
giurisprudenza, pertanto, deve restare fermo il principio
secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle
controversie riguardanti l’affidamento dei contratti
pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti
alla gara, poiché solo tale qualità si connette
all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata
e meritevole di tutela.
In questa veste, il ricorrente che ha partecipato
legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse
“finale” al conseguimento dell’appalto affidato al
controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente
subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione
dell’intera gara e alla sua riedizione (sempre che
sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere
l’utilità richiesta). Ma l’interesse strumentale allegato,
in questo modo, potrebbe assumere rilievo, eventualmente,
solo dopo il positivo riscontro della legittimazione al
ricorso.
---------------
Dall’analisi della giurisprudenza citata, emerge, a parere
del Collegio, un concetto di bando “escludente” che può
allargarsi fino a ricomprendere al suo interno anche
l’ipotesi di un importo a base d’asta del tutto
irragionevole secondo una corretta logica di mercato.
Se è vero, infatti, che l’amministrazione conserva intatta
la sua sfera di ampia discrezionalità (sia amministrativa
che tecnica) nello stabilire regole e modalità, oltre che
potenziale rimuneratività, della procedura che va ad indire,
è altresì corretta l’affermazione per cui un bando di gara
si presenta di per sé già manifestamente preclusivo della
partecipazione qualora costringa l’impresa ad accettare una
logica di assunzione dell’appalto in perdita.
Ovviamente, ciò non significa né che l’amministrazione debba
contrattare l’importo a base d’asta con le eventuali
potenziali partecipanti né che le imprese possano sulla base
di una diversa valutazione tecnica contestare in giudizio
qualsiasi bando di gara considerato non remunerativo senza
adempiere all’onere formale della presentazione di
un’offerta.
Occorre al contrario riscontrare, prima di esperire
un’istruttoria che riesamini gli aspetti tecnici che hanno
condotto l’amministrazione a scegliere un determinato
importo a base d’asta, alcuni indici sintomatici di una
scelta irrazionale.
Occorre insomma che l’esame dell’ammissibilità del ricorso
sia preceduto da una valutazione in termini oggettivi della
potenziale insostenibilità dell’importo a base d’asta e non
da una prospettazione meramente soggettiva avanzata dalla
parte avente interesse alla riedizione della gara; ciò,
anche in considerazione del fatto che l’impugnazione del
bando è necessariamente legata alla presenza in gara di
almeno una concorrente, il che appare già di per sé
potenzialmente sconfessare l’assunto di chi agisce.
In relazione alla posizione espressa da
amministrazione e controinteressata, favorevoli a una
pronuncia di inammissibilità dei ricorsi proposti
direttamente contro i bandi di gara, in assenza di una
clausola escludente, viene certamente in luce, tra le altre,
per la sua autorevolezza e la sua compatibilità con il caso
in esame, la sentenza n. 2033 dell’01.04.2011 del Consiglio di
Stato, V Sezione.
In tale circostanza, il Giudice di secondo grado ha
confermato la sentenza con la quale il Tribunale
amministrativo aveva dichiarato inammissibile l’azione
proposta direttamente contro il bando di gara da parte di
alcune società che non avevano partecipato ad essa,
ritenendo come non preclusivo in astratto alla loro
partecipazione un termine troppo breve per potere presentare
un’offerta remunerativa.
Ha sostenuto il Consiglio di Stato, a tale riguardo, che
“l’impugnazione di un bando di gara è consentito, dalla
giurisprudenza amministrativa, alle imprese che non abbiano
presentato domanda di partecipazione alla gara medesima,
soltanto quando il bando stesso preveda delle norme che non
consentono la partecipazione alla gara indetta, nel senso
che se le imprese suddette avessero partecipato alla gara,
sarebbero state sicuramente escluse, mentre nel caso di
specie ciò non è, in quanto le censure si appuntano non
sulla impossibilità di partecipare alla gara, alla quale
sarebbero state sicuramente ammesse, se in possesso dei
requisiti richiesti, ma sulla ritenuta difficoltà di poter
formulare un’offerta remunerativa a cagione della esiguità
del termine concesso dal bando, il che è assolutamente
diverso dalla presenza di norme che non consentono neppure
la partecipazione (si vedano, sul punto, conformemente a
quanto in questa sede argomentato, Cons. St., Ad. plen., n.
1 del 2003 e Sez. V, n. 4338 del 2009).”
---------------
La posizione espressa
dalle ricorrenti, che tendono a fare rientrare all’interno
di clausole discriminatorie e direttamente lesive anche un
importo a base di gara manifestamente incongruo, appare
compiutamente affrontata dalla sentenza n. 177 del 14.01.2011 del Consiglio di Stato, VI Sezione, e dalla
decisione n. 980 del 2003, cui la prima rimanda, dello
stesso Consiglio di Stato.
Nella prima delle due decisioni appena citate gli appellati
(ricorrenti in primo grado) non avevano impugnato
direttamente un bando di concorso (per la copertura di
alcuni posti di capo-squadra dei Vigili del fuoco) che, in
violazione di un preciso disposto di legge, aveva omesso di
indicare le materie dell’esame scritto, determinando così in
capo ai candidati rilevanti difficoltà nella preparazione
delle prove stesse.
“Ora –ha sostenuto in suddetta occasione il Giudice di
secondo grado-, è pur vero che, per consolidato
orientamento, l’illegittimità delle clausole di bando può
essere ordinariamente fatta valere soltanto all’esito delle
prove concorsuali, salvo che si tratti di clausole a valenza
c.d. ‘escludente’, cioè che per il loro contenuto ostativo
impediscono ex ante la partecipazione al concorso (es.,
Cons. Stato, V, 15.10.2010, n. 7515; V, 10.08.2010,
n. 5555; VI, 08.07.2010, n. 4437: tutte seguendo Cons.
Stato, ad. plen., 27.01.2003, n. 1 in tema di pubblici
appalti).
Tuttavia, analogamente a quanto è stato ritenuto
in tema di gare per contratti pubblici, anche in tema di
concorsi pubblici, attesa l’eadem ratio, appare ravvisabile
l’onere di immediata impugnazione da parte dell’interessato
delle clausole illegittime della lex specialis che
comportano, a carico del partecipante medio, una oggettiva,
straordinaria e rilevante difficoltà operativa, tale per sua
natura da non rimanere sul piano dell’astrattezza e
potenzialità lesiva, ma da realizzare già, in ragione
dell’immediato vulnus alla normale capacità organizzativa
del candidato e dunque al suo interesse alla partecipazione
in condizioni di alea ordinarie, l’effetto negativo di
un’immediata e diretta lesione della sua sostanziale
partecipazione.
Infatti gli straordinari aggravi (bene
dimostrati nella specie dagli accadimenti riportati)
generano anch’essi -in termini di utilità pratica della
partecipazione del candidato- la sostanziale impossibilità
di partecipare adeguatamente e razionalmente, il che
riconduce questa ipotesi a quella generale relativa alle
clausole impeditive (...). Con tali considerazioni converge,
ad imporre oneri di impugnativa più stringenti, un’esigenza
di sollecita certezza e di contrasto del rischio di inutili
dilatazioni dei tempi del procedimento, che sarebbero
provocati dalla necessità di attendere, per impugnare,
l’esito dell’intera procedura.
Così appare essere nella specie, dove la difformità del
bando dalla previsione normativa generava già di suo, senza
necessità che si procedesse ulteriormente nelle operazioni,
una tale condizione di aggravio organizzativo e perciò
lesiva in capo ai candidati, e dunque un interesse a
reagirvi in giudizio mediante immediata impugnazione”.
Nella decisione n. 980 del 2003 il Consiglio di Stato
affrontava invece più specificamente il tema delle gare per
contratti pubblici, enucleando tutta una serie di ipotesi in
cui sarebbe stato necessario impugnare direttamente il bando
di concorso, senza dunque attendere l’esito della procedura
selettiva.
“È il caso di clausole che impediscono o rendono più
difficoltosa la partecipazione alla gara stessa, fissando
modalità operative o particolari requisiti soggettivi dei
concorrenti, e di clausole irragionevoli che non consentono
una corretta partecipazione alla procedura ovvero una
ponderata formulazione dell'offerta. Nonché il caso di
prescrizioni del bando che impongono determinati oneri
formali alle imprese partecipanti o relative ad un "modus
operandi" fissato per il funzionamento della commissione
aggiudicatrice. In tutte queste evenienze, pertanto, viene
ad emergere un pregiudizio attuale e concreto che determina
in capo a chi intenda partecipare alla gara l'onere di
immediata impugnazione del bando, senza attendere
l'ulteriore corso della procedura con il rischio di una
inutile dilazione di tempi del procedimento”.
Occorre, ad ogni modo, e per completezza di esposizione,
ricordare come l’Adunanza plenaria n. 4/2011, nel rimarcare
la distinzione tra legittimazione ad agire ed interesse al
ricorso, abbia limitato a poche tassative ipotesi la
possibilità di impugnazione diretta del bando.
Approfondendo il tema
della legittimazione al ricorso nel settore specifico delle
controversie in materia di affidamento dei contratti
pubblici, il Consiglio di Stato ha statuito che “in linea di
principio, gli orientamenti interpretativi più consolidati
affermano la regola secondo cui la legittimazione al ricorso
deve essere correlata ad una situazione differenziata, in
modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa
procedura oggetto di contestazione.
La regola, ormai consolidata, subisce, ora, alcune notevoli
deroghe, concernenti, rispettivamente:
- la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice,
la scelta della stazione appaltante di indire la procedura;
- la legittimazione dell’operatore economico “di settore”,
che intende contestare un “affidamento diretto” o senza
gara;
- la legittimazione dell’operatore che manifesta
l’intenzione di impugnare una clausola del bando
“escludente”, in relazione alla illegittima previsione di
determinati requisiti di qualificazione.
Le diverse deroghe, ampiamente studiate dagli interpreti, si
connettono ad esigenze e a ragioni peculiari, inidonee a
determinare l’affermazione di una nuova regola generale di
indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso,
basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore
potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara.
(…) La legittimazione del soggetto che contrasta
immediatamente il bando di gara (in relazione alle sue
clausole “escludenti”), senza partecipare al procedimento,
ha una giustificazione logica evidente, direttamente
collegata alla affermazione giurisprudenziale dell’onere di
sollecita impugnazione di tale atto lesivo, senza attendere
l’esito della selezione.
In tali circostanze, la certezza del pregiudizio determinato
dal bando rende superflua la domanda di partecipazione e
l’adozione di un atto esplicito di esclusione. D’altro
canto, la legittimazione spetta, in questo caso, non già a
tutti gli imprenditori del settore, genericamente intesi, ma
ai soli soggetti cui è impedita la partecipazione, in virtù
di una specifica clausola escludente del bando.
Al di fuori delle ipotesi tassativamente enucleate dalla
giurisprudenza, pertanto, deve restare fermo il principio
secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle
controversie riguardanti l’affidamento dei contratti
pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti
alla gara, poiché solo tale qualità si connette
all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata
e meritevole di tutela.
In questa veste, il ricorrente che ha partecipato
legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse
“finale” al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente
subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione
dell’intera gara e alla sua riedizione (sempre che
sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere
l’utilità richiesta). Ma l’interesse strumentale allegato,
in questo modo, potrebbe assumere rilievo, eventualmente,
solo dopo il positivo riscontro della legittimazione al
ricorso.”
Dall’analisi della giurisprudenza citata, e dal raffronto
tra le due posizioni espresse dalle parti in lite
nell’odierno ricorso, emerge, a parere del Collegio, un
concetto di bando “escludente” che può allargarsi fino a
ricomprendere al suo interno anche l’ipotesi di un importo a
base d’asta del tutto irragionevole secondo una corretta
logica di mercato.
Se è vero, infatti, che l’amministrazione conserva intatta
la sua sfera di ampia discrezionalità (sia amministrativa
che tecnica) nello stabilire regole e modalità, oltre che
potenziale rimuneratività, della procedura che va ad indire,
è altresì corretta l’affermazione per cui un bando di gara
si presenta di per sé già manifestamente preclusivo della
partecipazione qualora costringa l’impresa ad accettare una
logica di assunzione dell’appalto in perdita.
Ovviamente, ciò non significa né che l’amministrazione debba
contrattare l’importo a base d’asta con le eventuali
potenziali partecipanti né che le imprese possano sulla base
di una diversa valutazione tecnica contestare in giudizio
qualsiasi bando di gara considerato non remunerativo senza
adempiere all’onere formale della presentazione di
un’offerta.
Occorre al contrario riscontrare, prima di esperire
un’istruttoria che riesamini gli aspetti tecnici che hanno
condotto l’amministrazione a scegliere un determinato
importo a base d’asta, alcuni indici sintomatici di una
scelta irrazionale.
Occorre insomma che l’esame dell’ammissibilità del ricorso
sia preceduto da una valutazione in termini oggettivi della
potenziale insostenibilità dell’importo a base d’asta e non
da una prospettazione meramente soggettiva avanzata dalla
parte avente interesse alla riedizione della gara; ciò,
anche in considerazione del fatto che l’impugnazione del
bando è necessariamente legata alla presenza in gara di
almeno una concorrente, il che appare già di per sé
potenzialmente sconfessare l’assunto di chi agisce
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.11.2012 n. 2686 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2012 |
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URBANISTICA: Va
ricordato il dominante indirizzo della giurisprudenza
amministrativa in materia di impugnazione di piani
urbanistici, anche attuativi, per il quale, ai fini del
fondamento della legittimazione e dell’interesse ad agire,
non é sufficiente il requisito della “vicinitas” dell’area
oggetto dell’intervento urbanistico, esigendosi invece dal
ricorrente la prova concreta della specifica lesione inferta
dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica.
Questo per evitare che un’eccessiva dilatazione del concetto
di “interesse ad agire” (ex art. 100 del codice di procedura
civile), applicato ai piani urbanistici, consenta
l’impugnativa anche a soggetti titolari di un interesse di
mero fatto.
La giurisprudenza della scrivente Sezione, dal canto suo, ha
anch’essa richiesto, ai fini della legittimazione
all’impugnazione di piani urbanistici, anche attuativi, che
l’esponente fornisca la prova non solo della vicinanza del
proprio fondo a quello oggetto del piano, ma anche
dell’effettività del danno derivante dall’intervento
urbanistico.
Ritiene il Tribunale, per doverosa completezza
espositiva, di esaminare anche l’ulteriore eccezione
pregiudiziale sollevata dalle parti intimante, vale a dire
quella di inammissibilità dell’impugnativa per difetto di
legittimazione e/o di interesse degli esponenti.
Anche tale eccezione risulta fondata, alla luce del
dominante indirizzo della giurisprudenza amministrativa in
materia di impugnazione di piani urbanistici, anche
attuativi, per la quale, ai fini del fondamento della
legittimazione e dell’interesse ad agire, non é sufficiente
il requisito della “vicinitas” dell’area oggetto
dell’intervento urbanistico, esigendosi invece dal
ricorrente la prova concreta della specifica lesione inferta
dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica.
Questo per evitare che un’eccessiva dilatazione del concetto
di “interesse ad agire” (ex art. 100 del codice di procedura
civile), applicato ai piani urbanistici, consenta
l’impugnativa anche a soggetti titolari di un interesse di
mero fatto (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV,
13.07.2010, n. 4545 e sez. IV, 30.11.2010, n. 8365, la quale
ultima ha confermato la sentenza di questa Sezione II, n.
5170/2009).
La giurisprudenza della scrivente Sezione, dal canto suo, ha
anch’essa richiesto, ai fini della legittimazione
all’impugnazione di piani urbanistici, anche attuativi, che
l’esponente fornisca la prova non solo della vicinanza del
proprio fondo a quello oggetto del piano, ma anche
dell’effettività del danno derivante dall’intervento
urbanistico (si vedano: TAR Lombardia, Milano, sez. II,
22.11.2011, n. 2824, 08.02.2011, n. 383; 17.01.2011, n. 90;
09.05.2008, n. 1551, con la giurisprudenza ivi richiamata, fra
cui di importanza rilevante è la decisione del Consiglio di
Stato, sez. IV, 10.04.2008, n. 1548)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.10.2012 n. 2594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia
rilasciata a terzi, che deve essere provata da chi eccepisce
la tardività dell’impugnazione, si verifica di regola, in
mancanza di diversi mezzi di inoppugnabile prova, con
l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile e non
solo con il loro inizio, con la conseguente necessità che le
parti evidenzino elementi di prova di una conoscenza
anteriore dell’opera assentita e della sua consistenza o una
ultimazione dei lavori in epoca anteriore oltre sessanta
giorni rispetto alla proposizione del ricorso”.
Se è quindi vero che “la conoscenza effettiva e completa
della concessione edilizia rilasciata a terzi (…) si
verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di
inoppugnabile prova, con l’ultimazione dei lavori di
costruzione dell’immobile e non solo con il loro inizio”, è
altrettanto vero che è fatta espressamente salva la
possibilità, per i controinteressati (intestatari del titolo
ad aedificandum), di addurre elementi di prova (non solo di
una ultimazione dei lavori, in epoca anteriore oltre
sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso) ma
anche –com’è fatto palese dalla disgiuntiva “o”– “di una
conoscenza anteriore dell’opera assentita e della sua
consistenza”.
In pratica: fermo restando che, di regola, è l’ultimazione
dei lavori a costituire il discrimine temporale, dal quale
far decorrere il termine per impugnare, a tale regola deve
derogarsi, ove coloro che hanno sollevato l’eccezione
d’intempestività del gravame abbiano dimostrato, in maniera
incontrovertibile, che i ricorrenti, malgrado il mancato
completamento delle opere assentite, erano comunque al
corrente della consistenza delle medesime.
---------------
Il termine per l’impugnazione della concessione edilizia da
parte dei terzi, che assumano di aver subito pregiudizio
dalla costruzione assentita, decorre dalla piena ed
effettiva conoscenza del provvedimento, intendendosi tale
conoscenza come un fatto, la cui prova rigorosa incombe alla
parte che eccepisce la tardività; in mancanza di inequivoci
elementi probatori, occorre far riferimento alla data di
ultimazione dei lavori, salvo che non emerga la prova di una
conoscenza anticipata che può essere riferita anche alla
data di inizio dei lavori, allorquando già da tale momento
sia possibile verificare l’entità della modifica dei luoghi.
----------------
La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell’edificazione
si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l’atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla
data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile
la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si
verifica quando sia percepibile dal controinteressato la
concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva
sulla propria posizione giuridica.
In materia di impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. “vicinitas”, quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere
a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a
che il provvedimento dell’Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia.
Secondo il Tribunale, onde decidere sulla suddetta
eccezione, occorre partire dai più recenti approdi della
giurisprudenza, secondo cui: “La conoscenza effettiva e
completa della concessione edilizia rilasciata a terzi, che
deve essere provata da chi eccepisce la tardività
dell’impugnazione, si verifica di regola, in mancanza di
diversi mezzi di inoppugnabile prova, con l’ultimazione dei
lavori di costruzione dell’immobile e non solo con il loro
inizio, con la conseguente necessità che le parti evidenzino
elementi di prova di una conoscenza anteriore dell’opera
assentita e della sua consistenza o una ultimazione dei
lavori in epoca anteriore oltre sessanta giorni rispetto
alla proposizione del ricorso” (Consiglio di Stato –
Sez. IV – 30.07.2012, n. 4287, che in motivazione richiama
TAR Liguria Genova – Sez. I – 19.12.2006 , n. 1711).
Se è quindi vero che “la conoscenza effettiva e completa
della concessione edilizia rilasciata a terzi (…) si
verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di
inoppugnabile prova, con l’ultimazione dei lavori di
costruzione dell’immobile e non solo con il loro inizio”,
è altrettanto vero che è fatta espressamente salva la
possibilità, per i controinteressati (intestatari del titolo
ad aedificandum), di addurre elementi di prova (non
solo di una ultimazione dei lavori, in epoca anteriore oltre
sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso) ma
anche –com’è fatto palese dalla disgiuntiva “o”– “di una
conoscenza anteriore dell’opera assentita e della sua
consistenza”.
In pratica: fermo restando che, di regola, è l’ultimazione
dei lavori a costituire il discrimine temporale, dal quale
far decorrere il termine per impugnare, a tale regola deve
derogarsi, ove coloro che hanno sollevato l’eccezione
d’intempestività del gravame abbiano dimostrato, in maniera
incontrovertibile, che i ricorrenti, malgrado il mancato
completamento delle opere assentite, erano comunque al
corrente della consistenza delle medesime.
---------------
A conforto dell’interpretazione, adottata dal Collegio, si
legga anche l’ulteriore massima che segue: “Il termine
per l’impugnazione della concessione edilizia da parte dei
terzi, che assumano di aver subito pregiudizio dalla
costruzione assentita, decorre dalla piena ed effettiva
conoscenza del provvedimento, intendendosi tale conoscenza
come un fatto, la cui prova rigorosa incombe alla parte che
eccepisce la tardività; in mancanza di inequivoci elementi
probatori, occorre far riferimento alla data di ultimazione
dei lavori, salvo che non emerga la prova di una conoscenza
anticipata che può essere riferita anche alla data di inizio
dei lavori, allorquando già da tale momento sia possibile
verificare l’entità della modifica dei luoghi” (TAR
Marche – Sez. I – 26.09.2007, n. 1574); mentre sulla
rilevanza, “in subiecta materia”, delle dichiarazioni
sostitutive di atto di notorietà, si legga, invece,
Consiglio Stato – Sez. IV – 27.05.2010, n. 3378: nella
specie, le risultanze della dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà, rilasciata da Marciano Francesco,
risultano confermate da una serie di indici documentali,
tutti convergenti nel senso della conoscenza delle opere
assentite, anche tenuto conto della conformazione dei luoghi
(strada privata ad uso pubblico, posta a servizio esclusivo
di alcune residenze), quale emerge dalla documentazione
fotografica in atti, la quale rende difficile sostenere che
ai ricorrenti non fosse chiara, sin dall’inizio dei lavori,
“l’entità della modifica dei luoghi”.
---------------
L’eccezione è pertanto infondata: secondo il principio,
autorevolmente fissato nella seconda parte della massima che
segue (rilevante anche, nella sua prima parte, per quanto
concerne l’ormai accertata tardività del ricorso, proposto
da Bignami Margherita ed altri): “La decorrenza del
termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti
abilitativi dell’edificazione si ha, per i soggetti diversi
da quelli cui l’atto è rilasciato (ovvero che in esso sono
comunque indicati) dalla data in cui si renda palese ed
oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita
protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile
dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la
sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica.
In materia di impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. “vicinitas”, quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere
a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a
che il provvedimento dell’Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia” (Consiglio di Stato – Sez. IV –
05.01.2011, n. 18)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 17.10.2012 n. 1868 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2012 |
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ATTI AMMINISTRATIVI:
C. Volpe,
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: I
titoli abilitativi sono impugnabili dai controinteressati
dal momento in cui si possa ritenere integrata la conoscenza
da parte dei terzi dell'intervento programmato. In
particolare, tale orientamento postula che le opere abbiano
raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne
chiara la lesività per le posizioni soggettive del
confinante.
Detto orientamento giurisprudenziale deve, tuttavia,
considerarsi “recessivo” rispetto a quella Giurisprudenza
del Consiglio di Stato che, sempre ai fini di individuare il
termine di impugnativa, ritiene comunque indispensabile
verificare, nel concreto, in quale preciso momento il
ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della
lesione eventualmente manifestatasi.
Il termine dei lavori deve allora essere considerato una
“presunzione” (peraltro “relativa”) dell’avvenuta
conoscibilità della lesione ed, in quanto tale, non deve
essere considerato applicabile tutte le volte che venga in
rilievo sulla base di ulteriori elementi.
---------------à
L’orientamento prevalente del Consiglio di Stato ritiene che
la nozione di “piena conoscenza…non postula necessariamente
la conoscenza di tutti gli elementi, essendo sufficiente
quella degli elementi essenziali quindi, l’autorità
emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto
lesivo”.
--------------
La piena conoscenza del provvedimento causativo…non può
ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad
elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali
ad esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso,
istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile
che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei
contro interessati restano soggette in definitivamente o per
tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando
l’interessato non si renda parte diligente nel far valere la
pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge.
---------------
Nel contenzioso in materia edilizia la vicinitas non è
elemento che possa ex se radicare la legittimazione al
ricorso avverso il permesso di costruire in assenza di prove
in ordine ai pregiudizi derivanti dal rilascio a terzi del
suddetto titolo abilitativo.
Sul punto va rilevato come non possa
condividersi la ricostruzione giuridica posta in essere
dalla ricorrente per quanto riguarda il rispetto dei termini
previsti per l’impugnativa e di cui al connaturato disposto
di cui agli artt. 29 e 41 del codice del processo.
Parte
ricorrente sostiene che il decorso di detti termini sia il
risultato della piena conoscenza della lesività dell’atto,
lesività che sarebbe stata pienamente “percepita”
solo a seguito dell’esperimento del diritto di accesso. Tesi
quest’ultima sostenuta sia nel proponimento del ricorso
principale sia, ancora, per quanto concerne i successivi
motivi aggiunti.
A tal fine il ricorrente riporta l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale, in materia edilizia, i
titoli abilitativi sono impugnabili dai controinteressati
dal momento in cui si possa ritenere integrata la conoscenza
da parte dei terzi dell'intervento programmato. In
particolare, tale orientamento postula che le opere abbiano
raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne
chiara la lesività per le posizioni soggettive del
confinante.
Detto orientamento giurisprudenziale deve, tuttavia,
considerarsi “recessivo” rispetto a quella Giurisprudenza
del Consiglio di Stato che, sempre ai fini di individuare il
termine di impugnativa, ritiene comunque indispensabile
verificare, nel concreto, in quale preciso momento il
ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della
lesione eventualmente manifestatasi (Consiglio di Stato sez. IV, 20.07.2011, n. 4374).
Il termine dei lavori deve allora essere considerato una
“presunzione” (peraltro “relativa”) dell’avvenuta
conoscibilità della lesione ed, in quanto tale, non deve
essere considerato applicabile tutte le volte che venga in
rilievo sulla base di ulteriori elementi, ipotesi
quest’ultima verificatasi nel caso di specie.
Dall’esame della documentazione dedotta in giudizio si
desume come i Sig.ri Virginio e Gaspare Mazzocco avevano
presentato un’istanza (inviata per conoscenza agli attuali
controinteressati) e, in data 04/11/2011, diretta ad
ottenere, da parte del Comune, la verifica delle distanze
tra le costruzioni confinanti.
Il successivo 19.03.2012, sempre i Sig.ri Virginio e
Gaspare Mazzocco, avevano provveduto ad inviare al Comune
un’analoga nota con la quale avevano reiterato la richiesta
di verifica di legittimità dell’atto impugnato e, ciò, in
considerazione dell’assunta violazione delle norme sulle
distanze tra la stalla e l’edificio (presumibilmente in
costruzione) di proprietà dei controinteressati.
L’invio di dette note dimostra come la lesività dell’opera
fosse, in entrambe le date sopra ricordate, già del tutto
manifesta.
Sul punto va inoltre ricordato come l’orientamento
prevalente del Consiglio di Stato (Sez. IV, 13.06.2011,
n. 3583) ritiene che la nozione di “piena conoscenza…non
postula necessariamente la conoscenza di tutti gli elementi,
essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quindi,
l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il
suo effetto lesivo”.
Il tenore delle note inviate dalla parte ricorrente
evidenzia inoltre come detta lesività costituisse oramai un
dato di fatto oggettivo, in quanto strettamente correlato ad
un dato ictu oculi verificabile e, in quanto tale,
riconducibile alla presunta violazione delle regole sulle
distanze.
Altresì censurabile è la tesi di parte ricorrente che
vorrebbe far decorrere la piena conoscenza della “lesività”
o dall’ultimazione dei lavori o, ancora, dall’acquisizione
della documentazione successiva alla presentazione di un
istanza di accesso agli atti. Sul punto è necessario
ricordare quanto affermato da un’altrettanto recente
Giurisprudenza nella parte ha sancito che... ”la piena
conoscenza del provvedimento causativo…non può ritenersi
operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi
puramente esteriori, formali o estemporanei, quali ad
esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso,
istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile
che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei
contro interessati restano soggette in definitivamente o per
tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando
l’interessato non si renda parte diligente nel far valere la
pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge
(Consiglio di Stato 05.03.2010 n. 1298)”.
Deve pertanto concludersi nel dichiarare l’irricevibilità
del ricorso per tardività della sua proposizione e ai sensi
di cui all’art. 35, comma 1, lett. A) e, ciò, per quanto
attiene i Sig. Virginio e Gaspare Mazzocco.
Va al contrario rilevata la mancanza di interesse a
ricorrere per quanto riguarda gli altri soggetti ricorrenti,
questi ultimi riferiti alle Sig. re Scalco Caterina, Rozzanigo Antonella e Mazzocco Marianna. Detti ricorrenti
non hanno fornito alcun elemento a supporto atto a
differenziare e qualificare il loro interesse a ricorrere.
Sul punto va ricordato come la Giurisprudenza prevalente
(Cons. di Stato Sez. VI 27.01.2012 n. 420) ha affermato
che “nel contenzioso in materia edilizia la vicinitas non è
elemento che possa ex se radicare la legittimazione al
ricorso avverso il permesso di costruire in assenza di prove
in ordine ai pregiudizi derivanti dal rilascio a terzi del
suddetto titolo abilitativo" (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.09.2012 n. 1179 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI: Legittimazione a intervenire in giudizio.
Domanda
In materia ambientale, la legittimazione a ricorrere in
giudizio può essere individuata con un'interpretazione
estensiva delle norme?
Risposta
In tema di legittimazione a intervenire o a ricorrere in un
giudizio in materia ambientale, la giurisprudenza è
abbastanza nutrita e, alle volte, di opinione diversa.
Il Tribunale regionale amministrativo del Piemonte (Tar),
con la sentenza del 25.09.2009, numero 2292, emessa
dalla sezione prima, ha rivisitato i principi affermati
dalla giurisprudenza in tema di legittimazione a ricorrere
in materia ambientale. Per i giudici amministrativi
piemontesi:
- la legittimazione a ricorrere delle associazioni
ambientaliste non riconosciute sussiste a condizione che
venga accertato in capo all'associazione stessa il requisito
del carattere non occasionale o strumentale della
proposizione dell'impugnativa; lo stabile collegamento con
il territorio, consolidatosi nel tempo; la rappresentatività
della collettività locale di riferimento. In materia,
infatti, la giurisprudenza ha superato il precedente
orientamento secondo il quale l'articolo 128, comma 5, della
legge 08.07.1986, numero 349, nell'attribuire la
legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale per
l'annullamento di atti illegittimi in materia ambientale
alle associazioni individuate con decreto del Ministero
dell'ambiente, esclude la legittimazione ad agire delle
associazioni non riconosciute;
- la legittimazione del singolo a ricorrere in materia
ambientale non trova conforto nel fatto che il fondo sia
frontista di un altro, per il quale esiste un provvedimento
autorizzativo di un'opera, ritenuta nociva. Devono esistere
elementi fondati che da detta opera derivi un danno per il
fondo del ricorrente. Per il Tar deve essere provata la
sussistenza di una propria posizione giuridica
differenziata, limitatamente all'impianto collegata al
verosimile danno che al lui potrebbe derivare a seguito
dell'esercizio dell'impianto medesimo;
- per le associazioni riconosciute, per il Tar, la
legittimazione a ricorrere sussiste in capo alla struttura
nazionale e non già in capo anche all'articolazione
territoriale (articolo ItaliaOggi
Sette del 10.09.2012). |
agosto 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione
di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione.
Tutte le
questioni preliminari, esaminate anche alla luce delle
censure svolte a mezzo del gravame, risultano correttamente
decise dal Giudice di prime cure.
In particolare quanto all’idoneità e sufficienza del
criterio della vicinitas a fondare, in materia
edilizia, una posizione giuridica legittimante, è
sufficiente richiamare la costante giurisprudenza della
Sezione, secondo la quale “il possesso del titolo di
legittimazione alla proposizione del ricorso per
l'annullamento di una concessione edilizia, che discende
dalla c.d. vicinitas , cioè da una situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione”
(tra le tante, Sez. IV, 12.05.2009, n. 2908)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza IV,
sentenza 29.08.2012 n. 4643 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI: La
giurisprudenza prevalente, formatasi in tema di
localizzazione di discariche o comunque di localizzazione di
impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti, è
infatti orientata nel senso di ritenere che l’associazione
ambientale locale sia priva di legittimazione attiva, in
quanto carente del riconoscimento ministeriale previsto
dall’art. 13 della legge 08.07.1986, n. 349.
Più precisamente, si afferma che la speciale legittimazione
delle associazioni a protezione ambientale a ricorrere in
sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di
atti illegittimi ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge
n. 349 del 1986 riguardi l’associazione ambientalistica
nazionale formalmente riconosciuta e non le sue strutture
territoriali, le quali non possono ritenersi munite di
autonoma legittimazione processuale neppure per
l’impugnazione di un provvedimento ad efficacia
territorialmente limitata.
In altri termini, o l’articolazione costituisce un soggetto
a sé stante, ed in tale caso rientra nella sfera di
previsione dell’art. 18 già citato, oppure rappresenta
un’articolazione territoriale dell’associazione, ed in
quanto tale il presidente del club o comitato locale non ha
la rappresentanza dell’associazione nazionale, la sola
legittimata ex lege, né il potere di promuovere la lite per
suo conto ed in suo nome. Secondo un siffatto orientamento,
dunque, il carattere nazionale od ultra regionale
dell’associazione costituisce al tempo stesso presupposto
del riconoscimento e limite della legittimazione speciale,
la quale ha dunque carattere ontologicamente unitario.
Si è anche evidenziato che ove la legittimazione ad agire
discenda direttamente dalla legge, con carattere dunque
eccezionale, neppure la previsione statutaria può assegnare
ad articolazioni interne dell’ente associativo la
contitolarità della predetta legittimazione, che resta in
capo all’ente di carattere nazionale accreditato in sede
ministeriale; ciò in quanto lo statuto non può conferire una
legittimazione che la legge non ha previsto.
---------------
La giurisprudenza prevalente ritiene che la mera vicinanza
di un fondo ad una discarica o ad un impianto di trattamento
di rifiuti non legittimi di per sé il proprietario frontista
ad insorgere avverso il provvedimento od il contegno
autorizzativo dell’opera, essendo necessaria anche la prova
del danno che egli da questa possa ricevere, che,
esemplificativamente, può essere connesso al fatto che la
localizzazione dell’impianto riduce il valore economico del
fondo situato nelle sue vicinanze, od al fatto che le
prescrizioni dettate dall’Autorità competente in ordine alle
modalità di gestione dell’impianto sono inidonee a
salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze, od
anche all’incremento del traffico veicolare.
La vicinitas, intesa quale stabile e significativo
collegamento del ricorrente con la zona il cui ambiente si
intende proteggere, può fondare la legittimazione al ricorso
(in quanto enuclea la titolarità di una posizione giuridica
differenziata rispetto alla collettività indifferenziata),
ma non anche l’interesse al ricorso, inteso come utilità
concreta ritraibile dall’eventuale accoglimento del ricorso.
La giurisprudenza prevalente, formatasi in
tema di localizzazione di discariche o comunque di
localizzazione di impianti per il trattamento e lo
smaltimento dei rifiuti, è infatti orientata nel senso di
ritenere che l’associazione ambientale locale sia priva di
legittimazione attiva, in quanto carente del riconoscimento
ministeriale previsto dall’art. 13 della legge 08.07.1986, n. 349.
Più precisamente, si afferma che la speciale legittimazione
delle associazioni a protezione ambientale a ricorrere in
sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di
atti illegittimi ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge
n. 349 del 1986 riguardi l’associazione ambientalistica
nazionale formalmente riconosciuta e non le sue strutture
territoriali, le quali non possono ritenersi munite di
autonoma legittimazione processuale neppure per
l’impugnazione di un provvedimento ad efficacia
territorialmente limitata.
In altri termini, o
l’articolazione costituisce un soggetto a sé stante, ed in
tale caso rientra nella sfera di previsione dell’art. 18 già
citato, oppure rappresenta un’articolazione territoriale
dell’associazione, ed in quanto tale il presidente del club
o comitato locale non ha la rappresentanza dell’associazione
nazionale, la sola legittimata ex lege, né il potere di
promuovere la lite per suo conto ed in suo nome. Secondo un
siffatto orientamento, dunque, il carattere nazionale od
ultra regionale dell’associazione costituisce al tempo
stesso presupposto del riconoscimento e limite della
legittimazione speciale, la quale ha dunque carattere
ontologicamente unitario (in termini, tra le tante, Cons.
Stato, Sez. IV, 14.04.2006, n. 2151; Sez. VI, 09.03.2010, n. 1403; Sez. VI,
07.04.2010, n. 1960).
Si è anche
evidenziato, richiamando il precedente di Cons. Stato, Ad. Plen., 11.01.2007, n. 2 (in tema di associazioni di
consumatori, tematica distinta, ma contenutisticamente
simmetrica), che ove la legittimazione ad agire discenda
direttamente dalla legge, con carattere dunque eccezionale,
neppure la previsione statutaria può assegnare ad
articolazioni interne dell’ente associativo la contitolarità
della predetta legittimazione, che resta in capo all’ente di
carattere nazionale accreditato in sede ministeriale; ciò in
quanto lo statuto non può conferire una legittimazione che
la legge non ha previsto (TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
19.10.2011, n. 1481).
Obietta parte ricorrente, nei propri scritti difensivi, che,
al di là della legittimazione legale ex artt. 13 e 18 della
legge n. 349 del 1986, vi sia spazio per riconoscere anche
una legittimazione ordinaria alle associazioni
ambientalistiche che godano di un adeguato grado di
stabilità e rappresentatività in un ambito territorialmente
limitato.
Su tale questione si registra in giurisprudenza qualche
oscillazione, nel senso che talune pronunce affermano che il
giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso,
legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti
sull’ambiente anche ad associazioni a carattere locale, che
perseguano, conformemente al loro statuto, in modo non
occasionale, obiettivi di tutela ambientale, avendo altresì
un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in
un’area di afferenza riconducibile alla zona ove si colloca
il bene a fruizione collettiva che si asserisce leso (Cons.
Stato, Sez. IV, 08.11.2010, n. 7907).
Al contrario, altra parte della giurisprudenza afferma che
dopo l’entrata in vigore della legge n. 349 del 1986 non vi
è più spazio per il riconoscimento della legittimazione
processuale in capo ad associazioni diverse da quelle
rientranti nella previsione dell’art. 13 della legge stessa,
in quanto la pregressa costruzione giurisprudenziale è stata
elaborata per risolvere il problema della tutela processuale
dei ridetti interessi “diffusi”, per i quali all’epoca non
esistevano meccanismi normativi che autorizzassero
particolari soggetti ad invocare tale tutela; una volta che
il legislatore è intervenuto con la previsione di una
legittimazione ex lege, si esaurisce l’ambito della tutela
processuale riconosciuta dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez.
IV, 28.03.2011, n. 1876).
Entrambe le soluzioni presentano profili di coerenza
sistematica.
Nel caso di specie, peraltro, anche a volere seguire
l’indirizzo meno restrittivo, osserva il Collegio che in
capo al ricorrente Club della Teverina difettano i requisiti
per riconoscergli autonoma legittimazione, e non già come
articolazione territoriale di un’associazione nazionale. A
questo riguardo, la giurisprudenza richiede che le
associazioni locali perseguano statutariamente, in modo non
occasionale, obiettivi di tutela ambientale, e posseggano un
adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un’area
di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il
bene che si assume leso (Cons. Stato, Sez. VI, 26.07.2001, n. 4123).
L’Associazione Amici della Terra-Club della Teverina non
possiede il carattere di ente esponenziale in via stabile e
continuativa di interessi diffusi radicati sul territorio,
essendo sorto solamente nel marzo 2010, cioè circa due mesi
prima della proposizione del presente ricorso, per effetto
della confluenza in esso del comitato spontaneo “Salviamo il
basso Tevere”; e non basta il mero scopo associativo a
rendere differenziato un interesse diffuso od adespota,
facente capo alla popolazione nel suo complesso, quale la
salvaguardia dell’ambiente (cfr. art. 2 dello Statuto), in
quanto, diversamente, si eluderebbe il divieto di azione
popolare (in termini Cons. Stato, Sez. V, 14.06.2007, n.
3192).
Al difetto di legittimazione attiva dell’associazione
ricorrente si accompagna quella, anche in proprio, del suo
legale rappresentante dr. Claudio Cesaretti, che non ha
allegato la titolarità di alcuna situazione giuridica
soggettiva specifica.
Si deve ora procedere allo scrutinio dell’eccezione di
difetto di legittimazione e di interesse al ricorso dei sigg.ri Morresi e Tata, argomentata dalle parti resistenti
nella considerazione dell’inadeguatezza della mera
allegazione di essere residenti a Giove e proprietari di
terreni situati nelle immediate vicinanze del sito ove è in
corso di realizzazione il biodigestore (la cui opera,
peraltro, gli stessi ricorrenti, con la memoria di
discussione, precisano essere interrotta, ed il cantiere
abbandonato da più di un anno e mezzo), senza provare il
danno arrecato nella loro sfera giuridica.
Anche tale eccezione appare meritevole di positiva
valutazione.
Occorre infatti considerare come la giurisprudenza
prevalente ritenga che la mera vicinanza di un fondo ad una
discarica o ad un impianto di trattamento di rifiuti non
legittima di per sé il proprietario frontista ad insorgere
avverso il provvedimento od il contegno autorizzativo
dell’opera, essendo necessaria anche la prova del danno che
egli da questa possa ricevere, che, esemplificativamente,
può essere connesso al fatto che la localizzazione
dell’impianto riduce il valore economico del fondo situato
nelle sue vicinanze, od al fatto che le prescrizioni dettate
dall’Autorità competente in ordine alle modalità di gestione
dell’impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi
vive nelle vicinanze, od anche all’incremento del traffico
veicolare (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 27.04.2012, n. 2460; Sez. V, 16.06.2009, n. 3849; Sez.
V, 20.05.2002, n. 2714).
I ricorrenti, nella memoria di discussione, deducono che la
prova del pregiudizio non può essere fornita a priori,
essendo celata dal lamentato difetto di istruttoria,
dovendosi dunque radicare l’interesse nel solo criterio
della vicinitas.
Tale assunto non è peraltro condivisibile, in quanto la
vicinitas, intesa quale stabile e significativo collegamento
del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende
proteggere (così Cons. Stato, Sez. V, 26.02.2010, n.
1134), può fondare la legittimazione al ricorso (in quanto
enuclea la titolarità di una posizione giuridica
differenziata rispetto alla collettività indifferenziata),
ma non anche l’interesse al ricorso, inteso come utilità
concreta ritraibile dall’eventuale accoglimento del ricorso.
Sotto questo profilo, anch’esso attinente ad una condizione
dell’azione, il sindacato di legittimità su di un
provvedimento preordinato alla cura di interessi generali
che nel territorio trovano la loro esplicazione può essere
provocato da un soggetto che agisce uti singulus solo
prospettando il pregiudizio specifico che astrattamente
viene prodotto nella sfera giuridica del ricorrente, senza,
ovviamente, dover provare l’effettività del danno subendo.
Si consideri, in questa prospettiva, che l’impianto
contestato, per il quale è stata presentata la D.I.A. n.
162/2010, ha una capacità di generazione inferiore a 1 MW (è
dunque un impianto di piccola cogenerazione), il che ne
giustifica la sottoposizione, per l’installazione e per
l’esercizio, al regime semplificato della D.I.A. ai sensi
dell’art. 27, comma 20, della legge n. 99 del 2009.
Inoltre l’area in cui l’impianto dovrà essere collocato è
classificata dal piano regolatore come “area agricola
marginale”, compatibile dunque con l’intervento finalizzato
alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Ed, ancora, si può evincere dalla documentazione tecnica in
atti, ed inoltre è ribadito costantemente negli scritti
difensivi della Tiber Eko S.r.l., con riferimento tanto allo
statuto societario, quanto alle caratteristiche tecniche
dell’impianto progettato, che lo stesso produce energia
elettrica ed energia termica da prodotti agricoli.
Di qui la conseguenza che il nuovo impianto non appare in
grado di determinare un deterioramento ambientale (e,
conseguentemente, un significativo deprezzamento di valore
economico) dell’area in misura non proporzionata alla
vocazione urbanistica della stessa
(TAR Umbria,
sentenza 28.08.2012 n. 334 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Ancorché
sia incontestato che in materia urbanistica vige il
principio per cui, di norma, non sussistono controinteressati rispetto
all'impugnazione degli strumenti di programmazione, tuttavia
tale principio subisce un’eccezione laddove sia fatta
oggetto di impugnazione una variante al piano regolatore che
abbia un oggetto del tutto specifico e circoscritto, nonché
nei casi in cui, pur essendo impugnato uno strumento
urbanistico, vi sia l'evidenza di posizioni specifiche di
soggetti interessati al mantenimento dell'atto che
determinano la loro qualità di controinteressati.
Il Collegio ritiene che, ancorché sia
incontestato che in materia urbanistica vige il principio
per cui, di norma, non sussistono controinteressati rispetto
all'impugnazione degli strumenti di programmazione, tuttavia
tale principio subisca un’eccezione laddove sia fatta
oggetto di impugnazione una variante al piano regolatore che
abbia un oggetto del tutto specifico e circoscritto, nonché
nei casi in cui, pur essendo impugnato uno strumento
urbanistico, vi sia l'evidenza di posizioni specifiche di
soggetti interessati al mantenimento dell'atto che
determinano la loro qualità di controinteressati (TAR
Toscana, sez. III, 19.07.2000, n. 1713, TAR Torino Piemonte
sez. I, 22.10.2010, n. 3734)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 09.08.2012 n. 306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’impugnazione
della disciplina urbanistica d’aree estranee
a quelle di proprietà del ricorrente è
consentita soltanto “qualora
incida direttamente sul godimento o sul
valore di mercato delle aree stesse, o
comunque su interessi propri e specifici
dell’istante”.
Così, “la legittimazione all’impugnativa non
deriva dal mero riverbero che la nuova,
diversa destinazione attribuita alle aree
limitrofe può avere sull’area di proprietà
di parte ricorrente, occorrendo che tale
riverbero assuma una connotazione e
consistenza oggettivamente negative, che
determini cioè una lesione effettiva ed
attuale nella posizione sostanziale degli
esponenti”.
Non è in altre parole sufficiente “affermare
che la nuova disciplina urbanistica delle
aree adiacenti avrà ripercussioni anche
all’esterno delle stesse, ma occorre
dimostrare che tali ripercussioni si
caratterizzano in maniera sicuramente
pregiudizievole per i ricorrenti.
A tale riguardo questo Tribunale
Amministrativo ha già avuto modo di
manifestare il proprio orientamento circa la
rilevanza della mera vicinitas in rapporto
alla configurazione della legittimazione e
dell’interesse ad agire, osservando in più
occasioni (cfr. TAR Veneto, I, n.
1190/2009 e II, n. 2347/2009) come
l’impugnazione della disciplina urbanistica
d’aree estranee a quelle di proprietà del
ricorrente sia consentita soltanto “qualora
incida direttamente sul godimento o sul
valore di mercato delle aree stesse, o
comunque su interessi propri e specifici
dell’istante”.
Così, “la legittimazione all’impugnativa non
deriva dal mero riverbero che la nuova,
diversa destinazione attribuita alle aree
limitrofe può avere sull’area di proprietà
di parte ricorrente, occorrendo che tale
riverbero assuma una connotazione e
consistenza oggettivamente negative, che
determini cioè una lesione effettiva ed
attuale nella posizione sostanziale degli
esponenti”.
Non è in altre parole sufficiente “affermare
che la nuova disciplina urbanistica delle
aree adiacenti avrà ripercussioni anche
all’esterno delle stesse, ma occorre
dimostrare che tali ripercussioni si
caratterizzano in maniera sicuramente
pregiudizievole per i ricorrenti (cfr.
TAR Veneto, II, n. 4074/2006)”.
Tale orientamento è stato confermato dal
Consiglio di Stato, il quale ha avuto modo
di pronunciarsi, anche di recente, proprio
in ordine alla rilevanza della mera
vicinitas
(sentenza TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 06.08.2012 n. 1119 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
dies a quo per impugnare una delibera
comunale, per i soggetti terzi interessati,
decorre dal giorno in cui è scaduto il
termine di pubblicazione dell’atto nell’albo
pretorio, specificando che il termine
decorre dalla notificazione o dalla piena
conoscenza solo per i soggetti che sono
direttamente contemplati nell'atto o che
siano immediatamente incisi dagli effetti
dello stesso anche se non contemplati.
Pertanto, per i terzi interessati la
pubblicazione all'albo pretorio per quindici
giorni consecutivi di una deliberazione
comunale implica presunzione di conoscenza,
con la conseguenza che è dall'ultimo giorno
di pubblicazione che decorre il termine
decadenziale di sessanta giorni per proporre
impugnazione avverso detto atto.
La tardività del ricorso –per avvenuta
decorrenza del termine– deve essere rilevata
d’ufficio -quindi anche in carenza di
specifica eccezione delle controparti, che
nel caso non si sono costituite- in quanto
la perentorietà del termine d’impugnazione
(disposta dall’art. 21 della L. 06.12.1971
n. 1074 ed ora dagli artt. 29/41 c.p.a.)
risponde a ragioni di ordine pubblico,
sicché l’effetto decadenziale è
indisponibile per le parti.
Va previamente disaminata -alla stregua del
preavviso ex art. art. 73, 2° comma c.p.a.
dato dal Collegio alla pubblica udienza
dell'08.02.2012- la tempestività del
proposto ricorso nei riguardi delle delibere
consiliari comunale n. 32 del 21.11.2010 e
n. 38 del 23.12.2010, in quanto proposto ben
oltre il termine decadenziale decorrente
dall’avvenuta pubblicazione delle stesse
all’albo pretorio.
E’ noto che le regole del processo
amministrativo (dapprima l’art. 21 della L.
06.12.1971 n. 1074, ora l’art. 41 c.p.a.)
prevedono che il dies a quo per
impugnare una delibera comunale per i
soggetti terzi interessati, decorra dal
giorno in cui è scaduto il termine di
pubblicazione dell’atto nell’albo pretorio
(cfr. ex multis: Cons. St., Sez. VI,
06.04.2010, n. 1918; Sez. V, 21.12.2010, n.
9314), specificando che il termine decorre
dalla notificazione o dalla piena conoscenza
solo per i soggetti che sono direttamente
contemplati nell'atto o che siano
immediatamente incisi dagli effetti dello
stesso anche se non contemplati (cfr. Cons.
St., Sez. VI 03.10.2007 n. 5105, Sez. VI
13.07.2010 n. 4501)
Pertanto, per i terzi interessati la
pubblicazione all'albo pretorio per quindici
giorni consecutivi di una deliberazione
comunale implica presunzione di conoscenza,
con la conseguenza che è dall'ultimo giorno
di pubblicazione che decorre il termine
decadenziale di sessanta giorni per proporre
impugnazione avverso detto atto.
Va innanzitutto osservato che la tardività
del ricorso –per avvenuta decorrenza del
termine– deve essere rilevata d’ufficio
-quindi anche in carenza di specifica
eccezione delle controparti, che nel caso
non si sono costituite- in quanto la
perentorietà del termine d’impugnazione
(disposta dall’art. 21 della L. 06.12.1971
n. 1074 ed ora dagli artt. 29/41 c.p.a.)
risponde a ragioni di ordine pubblico,
sicché l’effetto decadenziale è
indisponibile per le parti (cfr. TAR Reggio
Calabria n. 64/1978; C.G.A., 28.09.2007 n.
872)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.08.2012 n. 1417 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Nel
ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino la vicinitas
è condizione necessaria, ma non sufficiente
a radicare, ferma la legittimazione,
l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio
concreto alle facoltà dominicali del
ricorrente.
---------------
La decorrenza del termine per ricorrere in
sede giurisdizionale avverso atti
abilitativi dell'edificazione si ha, per i
soggetti diversi da quelli cui l'atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque
indicati) dalla data in cui si renda palese
ed oggettivamente apprezzabile la lesione
del bene della vita protetto, la qual cosa
si verifica quando sia percepibile dal
controinteressato la concreta entità del
manufatto e la sua incidenza effettiva sulla
propria posizione giuridica. In materia di
impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. "vicinitas", quale
elemento che distingue la posizione
giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è
corretto riconoscere a chi si trovi in tale
situazione un interesse tutelato a che il
provvedimento dell'Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente
ossequioso delle norme vigenti in materia.
Costituisce altresì principio fondante in
materia quello per cui “nel ricorso
proposto avverso il permesso di costruire
rilasciato al vicino la vicinitas è
condizione necessaria, ma non sufficiente a
radicare, ferma la legittimazione,
l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio
concreto alle facoltà dominicali del
ricorrente” (Consiglio Stato, sez. IV, 24.01.2011, n. 485).
---------------
Osserva
il Collegio che consolidata e condivisibile
giurisprudenza ha con continuità affermato
che “la decorrenza del termine per ricorrere
in sede giurisdizionale avverso atti
abilitativi dell'edificazione si ha, per i
soggetti diversi da quelli cui l'atto è
rilasciato (ovvero che in esso sono comunque
indicati) dalla data in cui si renda palese
ed oggettivamente apprezzabile la lesione
del bene della vita protetto, la qual cosa
si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del
manufatto e la sua incidenza effettiva sulla
propria posizione giuridica. In materia di
impugnazione del permesso di costruire, è
sufficiente la cd. "vicinitas", quale
elemento che distingue la posizione
giuridica del ricorrente da quella della
generalità dei consociati, di talché è
corretto riconoscere a chi si trovi in tale
situazione un interesse tutelato a che il
provvedimento dell'Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente
ossequioso delle norme vigenti in
materia" (Consiglio Stato, sez. IV, 05.01.2011,
n. 18) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4287 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il concetto di “piena conoscenza” dell’atto lesivo non deve
essere inteso quale “conoscenza piena ed
integrale” dei provvedimenti che si
intendono impugnare, ovvero di eventuali
atti endoprocedimentali, la cui
illegittimità infici, in via derivata, il
provvedimento finale.
Ciò che è invece sufficiente ad integrare il
concetto di “piena conoscenza” -il
verificarsi della quale determina il dies a
quo per il computo del termine decadenziale
per la proposizione del ricorso
giurisdizionale- è la percezione
dell’esistenza di un provvedimento
amministrativo e degli aspetti che ne
rendono evidente la lesività della sfera
giuridica del potenziale ricorrente, in modo
da rendere percepibile l’attualità
dell’interesse ad agire contro di esso.
Occorre aggiungere che la verifica della
“piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte
del ricorrente, ai fini di individuare la
decorrenza del termine decadenziale per la
proposizione del ricorso giurisdizionale,
deve essere estremamente cauta e rigorosa,
non potendo basarsi su mere supposizioni
ovvero su deduzioni, pur sorrette da
apprezzabili argomentazioni logiche. Essa
deve risultare incontrovertibilmente da
elementi oggettivi, ai quali il giudice deve
riferirsi, nell’esercizio del suo potere di
verifica di ufficio della eventuale
irricevibilità del ricorso, o che devono
essere rigorosamente indicati dalla parte
che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità
del ricorso instaurativo del giudizio.
Come questo Consiglio di Stato ha avuto più volte modo di osservare (da
ultimo, le sentenze di questa Sezione –medio tempore pubblicate-
02.04.2012 nn.
1957 e 1958, dalle cui conclusioni non vi è
ragione di discostarsi), il concetto di
“piena conoscenza” dell’atto lesivo non deve
essere inteso quale “conoscenza piena ed
integrale” dei provvedimenti che si
intendono impugnare, ovvero di eventuali
atti endoprocedimentali, la cui
illegittimità infici, in via derivata, il
provvedimento finale.
Ciò che è invece sufficiente ad integrare il
concetto di “piena conoscenza” -il
verificarsi della quale determina il dies a
quo per il computo del termine decadenziale
per la proposizione del ricorso
giurisdizionale- è la percezione
dell’esistenza di un provvedimento
amministrativo e degli aspetti che ne
rendono evidente la lesività della sfera
giuridica del potenziale ricorrente, in modo
da rendere percepibile l’attualità
dell’interesse ad agire contro di esso.
Quanto sin qui esposto costituisce un dato
acquisito della giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato (ex plurimis, sez. III,
19.09.2011 n. 5268; sez. VI, 28.04.2010 n. 2439; sez. IV, 19.07.2007
n. 4072 e 29.07.2008 n. 3750).
Occorre aggiungere che la verifica della
“piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte
del ricorrente, ai fini di individuare la
decorrenza del termine decadenziale per la
proposizione del ricorso giurisdizionale,
deve essere estremamente cauta e rigorosa,
non potendo basarsi su mere supposizioni
ovvero su deduzioni, pur sorrette da
apprezzabili argomentazioni logiche. Essa
deve risultare incontrovertibilmente da
elementi oggettivi, ai quali il giudice deve
riferirsi, nell’esercizio del suo potere di
verifica di ufficio della eventuale
irricevibilità del ricorso, o che devono
essere rigorosamente indicati dalla parte
che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità
del ricorso instaurativo del giudizio (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il dies a quo per impugnare una
delibera comunale per i soggetti che non ne
sono i diretti destinatari decorre dal
giorno in cui è scaduto il termine di
pubblicazione dell’atto nell’albo pretorio.
E’ noto che le regole del processo
amministrativo (prima all’art. 21 l. Tar,
oggi all’art. 41 cpa) prevedono che il
dies a quo per impugnare una delibera
comunale per i soggetti che non ne sono i
diretti destinatari, come è nella specie,
decorra dal giorno in cui è scaduto il
termine di pubblicazione dell’atto nell’albo
pretorio (tra tante, Consiglio Stato, VI,
06.04.2010, n. 1918; V, 21.12.2010, n.
9314).
Nella specie, la delibera impugnata è stata
pubblicata per quindici giorni all’albo
pretorio a partire dal 24.04.2003 ed è
divenuta esecutiva in data 05.05.2003.
Il ricorso è stato notificato soltanto in
data 21.01.2005 e quindi abbondantemente
oltre il termine di sessanta giorni previsto
a pena di decadenza per l’impugnazione.
Non è sostenibile l’affermazione che, nella
specie, i ricorrenti di primo grado
sarebbero destinatari determinati.
Si tratta infatti di un provvedimento a
carattere generale che prevede che “i
sedimi dei sentieri con determinate
caratteristiche non sono considerabili di
proprietà privata e pertanto non possono
essere in nessun modo occupati con strutture
private” .
A prescindere dalla effettiva loro valenza
eventualmente lesiva -e in disparte la
eventuale tutela di tipo proprietario sulla
strada asseritamente privata dinanzi al
giudice ordinario–, atti di tale tenore non
necessitano di essere notificati a
determinati destinatari, che non sussistono
e non sono individuati né individuabili a
priori (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3971 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Al fine di individuare o meno
l’esistenza di una legittimazione ad agire,
è comunque necessario prescindere dal
considerare prevalente il solo rapporto di
contiguità e di confine tra due fondi
limitrofi.
---------------
La lesione arrecata dal provvedimento
impugnato deve essere effettiva, nel senso
che dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale.
Il mancato godimento del “panorama” non è di
per sé sufficiente a costituire il solo
titolo di legittimazione all’azione e, ciò,
laddove non si concreti nella violazione di
norme in materia ambientale o sulle distanze
tra le costruzioni.
Risulta, allora, evidente come risulti
l’esistenza di un interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante tutte
le volte che si sia in presenza di una
lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera
dell’istante che, in quanto tale, è
suscettibile di determinare “una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto edilizio ed urbanistico che il
ricorrente intende conservare”.
... per l'annullamento del permesso di
costruire 03/08/2011 n. 10195, con cui il
comune di Lazise ha autorizzato la
controinteressata ad eseguire la demolizione
e ricostruzione di un edificio ad uso
residenziale -piano casa- l.r. 14/2009
nell'area confinante la proprietà del
ricorrente; del parere della commissione
edilizia 25/11/2010 e l'autorizzazione
ambientale 16/02/2011 prot. n. 3262.
...
Va, infatti, rilevato come la parte
ricorrente, al fine di fondare l’esistenza
di un proprio interesse a ricorrere, abbia
affermato di essere proprietaria del fondo
contiguo a quello della Sig.ra C.A..
La stessa ricorrente ha affermato che il
pregiudizio subito sarebbe fondato nell’”impossibilità
di godere della vista del lago” e,
ancora,nella convinzione in base alla quale
“l’intervento coinvolge un area
sottoposta a vincolo paesaggistico”.
E’ del tutto evidente come gli elementi
addotti da parte ricorrente non sono
sufficienti ad individuare un interesse “differenziato
e qualificato”.
Va ricordato che, sulla base della
Giurisprudenza più recente -ed al fine di
individuare o meno l’esistenza di una
legittimazione ad agire- ha affermato che è,
comunque, necessario prescindere dal
considerare prevalente il solo rapporto di
contiguità e di confine tra due fondi
limitrofi.
Appare al contrario dirimente rilevare come
la parte ricorrente non abbia dato prova, e
riscontro alcuno, circa il presumibile danno
patrimoniale, o l’eventuale lesione –anche
solo potenziale-, che avrebbe potuto subire
e, in ciò, al fine di far desumere
l’esistenza di un effettivo, differenziato e
qualificato, interesse all’annullamento del
provvedimento impugnato.
Detta mancanza di interesse a ricorrere non
è superabile nemmeno condividendo le tesi
del ricorrente in base alla quale,
sussisterebbe un non meglio precisato “rilievo
paesaggistico” dell’area di cui si
tratta, circostanza quest’ultima che non
sono appare sufficientemente circostanziata
e qualificata, ma non permette altresì di
fondare una relazione causa ed effetto, in
termini di danno potenziale.
Nella sostanza non si comprende come il
riferimento alla nozione del “rilievo
paesaggistico” possa attribuire una
posizione differenziata e qualificata ai
ricorrenti e, ciò, rispetto alla totalità
degli altri residenti in quella determinata
area o Comune.
Il Consiglio di Stato (Sez. IV, Sent.,
30-11-2010, n. 8364) ha affermato che ”la
lesione arrecata dal provvedimento impugnato
deve essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale”.
Altra Giurisprudenza ha sancito, ancora, che
il mancato godimento del “panorama”
non è di per sé sufficiente a costituire il
solo titolo di legittimazione all’azione e,
ciò, laddove non si concreti nella
violazione di norme in materia ambientale o
sulle distanze tra le costruzioni
(Cassazione civile II sez. 25.08.1992 n.
9859).
Risulta, allora, evidente come gli
orientamenti sopra citati (si veda anche il
Consiglio di Stato sez. IV n. 6157 del
04/12/2007) -rispetto ai quali questo
Collegio ritiene di aderire-, hanno sancito
l’esistenza di un interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante tutte
le volte che si sia in presenza di una
lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera
dell’istante che, in quanto tale, è
suscettibile di determinare “una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto edilizio ed urbanistico
che il ricorrente intende conservare”.
Detti elementi non risultano dedotti e
specificati nel ricorso in questione che,
pertanto, in considerazione di quanto sopra
espresso va dichiarato inammissibile, ai
sensi dell’art. 35, comma 1, lett. B), per
mancanza di legittimazione e di interesse a
ricorrere (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 959 - link
a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Il diritto di godere di
un bel panorama non è tutelabile avanti al
Giudice.
Il Tar Veneto (sezione II) ha risolto, con
la recente
sentenza 05.07.2012 n. 959, una
curiosa vicenda in tema di impugnazione di
un permesso di costruire.
In buona sostanza, il menzionato titolo
abilitativo era stato impugnato dal
proprietario di un fondo attiguo a quello
teatro dei preventivati lavori di
demolizione e ricostruzione con ampliamento.
In termini più dettagliati, la ricorrente
affermava di aver subito un pregiudizio
consistente nella “impossibilità di godere
della vista del lago".
Ancora, veniva eccepito che l’intervento
edilizio contrastato coinvolgeva “un’area
sottoposta a vincolo paesaggistico".
Elementi che però i Giudici veneziani hanno
valutato essere del tutto insufficienti ad
individuare un interesse "differenziato e
qualificato", in quanto tale meritevole di
tutela giurisdizionale.
Inoltre, la sentenza che qui si annota (con
finalità anzitutto informative), ricorda che
la giurisprudenza più recente, al fine di
individuare l’esistenza di una
legittimazione ad agire, ha affermato che è
necessario prescindere dal considerare
prevalente il solo rapporto di contiguità e
di confine tra due fondi limitrofi.
Circostanza effettivamente presente (ma
appunto non decisiva) nel caso specifico,
perché la ricorrente era davvero la
proprietaria del fondo confinante rispetto a
quello interessato dal permesso di costruire
gravato.
Tuttavia, la parte istante non si è
preoccupata di dare prova del presumibile
danno patrimoniale -o della eventuale
lesione, anche solo potenziale-, che avrebbe
potuto subire dai lavori in discussione.
Aspetto che semmai avrebbe potuto delineare
l’effettiva sussistenza di un interesse
all’annullamento differenziato e
qualificato.
Si tratta di una assenza di interesse a
ricorrere non superabile nemmeno
condividendo la tesi difensiva in base alla
quale sussisterebbe un (invero, non meglio
precisato) "rilievo paesaggistico" dell’area
oggetto di controversia.
Il Tar Venezia, a conforto della propria
decisione, ricorda alcune pronunce del
Consiglio di Stato, secondo cui "la lesione
arrecata dal provvedimento impugnato deve
essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale".
In definitiva, in materia edilizia ed
urbanistica, l’interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante esiste
soltanto nei casi in cui si è in presenza di
una lesione attuale di uno specifico
interesse di natura urbanistico-edilizia
inerente la sfera di chi ha proposto
ricorso.
Solo tale tipo di lesione può dirsi idonea
ad attribuire una posizione differenziata e
qualificata, ed in quanto tale suscettibile
di determinare una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto edilizio ed urbanistico che il
ricorrente intende conservare.
Per queste ragioni il ricorso, dichiarato
infine inammissibile per mancanza di
legittimazione e di interesse a ricorrere,
veniva bloccato sul nascere (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
giugno 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Il terzo ha titolo ad adire il
Giudice amministrativo quando esista una
situazione soggettiva ed oggettiva di
stabile collegamento con la zona coinvolta
da un intervento che, se illegittimamente
assentito, sia idoneo ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante.
L'art. 31, comma 9, della l. 17.08.1942, n.
1150 (come modificato dall'art. 10 l.
06.08.1967 n. 765), nel legittimare chiunque
a ricorrere contro le concessioni edilizie,
pur non avendo introdotto un'azione
popolare, va comunque correttamente inteso
nel senso che deve riconoscersi una
posizione qualificata e differenziata ai
singoli proprietari siti nella zona in cui
la costruzione è assentita e a tutti coloro
che si trovino in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, ove gli
stessi ritengano che per effetto della nuova
costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio, che i ricorrenti intenderebbero,
invece, conservare.
Il principio di diritto testé richiamato,
pur essendo stato affermato in relazione
all’impugnativa di concessioni edilizie, può
agevolmente essere esteso –per intuibili
ragioni sistematiche– alla materia che qui
rileva dell’impugnativa di delibere comunali
di approvazione di progetti comunque
incidenti sui valori urbanistici della zona.
Si osserva al riguardo che, anche ad annettere rilevanza ai fini del
decidere al fatto che, nelle more del
giudizio, sia venuta a scadenza la
concessione demaniale a suo tempo rilasciata
in favore della signora Giacosa per il
mantenimento di una boa sulla medesima area
interessata dal progetto comunale, nondimeno
la stessa vanterebbe un’autonoma
legittimazione ed interesse alla
coltivazione del ricorso nella sua
indiscussa qualità di proprietario di un
immobile antistante l’area interessata dal
progetto per cui è causa.
Al riguardo il Collegio ritiene di prestare
adesione al condiviso orientamento secondo
cui il terzo ha titolo ad adire il Giudice
amministrativo quando esista una situazione
soggettiva ed oggettiva di stabile
collegamento con la zona coinvolta da un
intervento che, se illegittimamente
assentito, sia idoneo ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante (Cons.
Stato, IV, 29.07.2009, n. 4756).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha
altresì stabilito che l'art. 31, comma 9,
della l. 17.08.1942, n. 1150 (come
modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n.
765), nel legittimare chiunque a ricorrere
contro le concessioni edilizie, pur non
avendo introdotto un'azione popolare, va
comunque correttamente inteso nel senso che
deve riconoscersi una posizione qualificata
e differenziata ai singoli proprietari siti
nella zona in cui la costruzione è assentita
e a tutti coloro che si trovino in una
situazione di stabile collegamento con la
zona stessa, ove gli stessi ritengano che
per effetto della nuova costruzione, in
contrasto con le prescrizioni urbanistiche,
si determini una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio, che i ricorrenti
intenderebbero, invece, conservare (Cons.
Stato, IV, 11.04.2007, n. 1672).
Ad avviso del Collegio il principio di
diritto testé richiamato, pur essendo stato
affermato in relazione all’impugnativa di
concessioni edilizie, può agevolmente essere
esteso –per intuibili ragioni sistematiche–
alla materia che qui rileva dell’impugnativa
di delibere comunali di approvazione di
progetti comunque incidenti sui valori
urbanistici della zona (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 26.06.2012, n. 3750 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In tema di affidamento di
contratti pubblici, sussiste la
legittimazione al ricorso soltanto per i
soggetti che hanno partecipato alla
selezione.
La legittimazione al ricorso nelle
controversie in tema di affidamento di
contratti pubblici spetta esclusivamente ai
soggetti che hanno partecipato alla
selezione, perché solo essi hanno acquisito
una posizione sostanziale differenziata
tutelabile davanti al giudice.
La partecipazione alla gara, poi, deve
essere stata legittima, vale a dire
accompagnata dal possesso di tutti i
necessari requisiti, non potendo essere
condiviso quell'orientamento cd. moderato
secondo il quale sarebbe sufficiente anche
la semplice partecipazione "di fatto",
in quanto pure in detta ipotesi l'impresa
viene a porsi, per effetto dell'atto
endoprocedimentale di ammissione, in una
posizione differenziata rispetto a tutti gli
altri operatori economici del mercato di
riferimento.
Si tratta, infatti, di una tesi non
convincente perché dimentica del fatto che "l'accertamento
della illegittimità dell'ammissione,
presenta portata pienamente retroattiva",
per cui "si riflette sui presupposti e sulle
condizioni dell'azione in modo non dissimile
da un provvedimento inoppugnabile di
esclusione" che, secondo l'indirizzo
assolutamente prevalente, esclude in radice
la legittimazione perché retrocede l'impresa
nelle stesse condizioni di quelle rimaste
estranee alla procedura selettiva.
Pure il ricorso principale dell'impresa
ammessa diviene perciò inammissibile nel
caso di accertata fondatezza del ricorso
incidentale escludente, da esaminare sempre
per primo perché avente comunque rilievo
pregiudiziale a prescindere dal numero dei
concorrenti che hanno partecipato alla gara
e dalle ragioni oggettive o soggettive per
le quali la ricorrente principale non
avrebbe dovuto esservi ammessa (Corte di
Cassazione, SS.UU.,
sentenza 21.06.2012 n. 10294 - link a
www.dirittodeisevizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art.
31 della L. 17.08.1942 n. 1150, come modificato
dalla L. 06.08.1967 n. 765, che consente a “chiunque” di impugnare le concessioni edilizie ritenute
illegittime, deve essere inteso nel senso che -con l’ovvia
esclusione di ogni azione popolare al riguardo- va
riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al
proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla
costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, senza che, peraltro, debba
essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse
qualificato alla tutela giurisdizionale, essendo stato
“ritenuto che abbia interesse a ricorrere il soggetto che faccia valere un interesse
giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è
quello all’osservanza delle prescrizioni regolatrici
dell’edificazione, senza che occorra procedere in concreto
ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i
lavori assentiti dall’atto impugnato comportino un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione” e che
“lo svolgimento di un’attività commerciale
in prossimità dell’insediamento (e nel caso
di specie si tratta addirittura delle
svolgimento delle medesima attività
alberghiera) configuri una situazione
giuridica sufficiente a realizzare quello
stabile collegamento con la zona che
legittima il soggetto a promuovere un’azione
giurisdizionale nei confronti della
concessione edilizia rilasciata ad un terzo.
---------------
Secondo la giurisprudenza anteriore al nuovo
testo unico sull’edilizia, il concetto di
ristrutturazione edilizia, come qualificato
dall’art. 31, comma 1, lett. d), della L.
05.08.1978 n. 457, comprende anche la
demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l’unica
condizione che la riedificazione assicuri la
piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto, con la conseguente possibilità di
pervenire, in tal modo, ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente, purché la diversità sia dovuta
ad interventi comprendenti il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell’edificio, l’eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi
elementi ed impianti, e non già la
realizzazione di nuovi volumi o una diversa
ubicazione (in quanto, diversamente
opinando, sarebbe sufficiente la
preesistenza di un edificio per definire
ristrutturazione qualsiasi nuova
realizzazione eseguita in luogo o sul luogo
di quella preesistente.
Tali “acquisizioni giurisprudenziali sono
confermate dal D.P.R. 06.06.2001 n. 380, con
cui è stato emanato il T.U. delle
disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia. Infatti, l’art. 3, comma
1, lett. d), del predetto testo qualifica
espressamente “interventi di
ristrutturazione edilizia” quelli volti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia la norma
ricomprende esplicitamente anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione, purché ciò avvenga con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l’adeguamento
alla normativa antisismica. Quindi si
conferma anche nel nuovo testo sull’edilizia
che la demolizione e ricostruzione è
classificabile come ristrutturazione solo a
condizione del mantenimento delle
caratteristiche planovolumetriche
dell’edificio da ricostruire …”.
---------------
La recente
giurisprudenza di questo Consiglio ha
chiarito che la ricostruzione (dopo la
demolizione) di un immobile diverso per
volumi o anche solo per la sagoma (a parità
di volumi) dall’immobile preesistente
comporta la realizzazione di un immobile
nuovo con l’applicazione della disciplina
urbanistica prevista per le nuove
edificazioni e delle conseguenti limitazioni
imposte dalle norme urbanistiche in vigore
al momento del rilascio del titolo
autorizzativi.
Innanzitutto, mediante la decisione di riforma della
sentenza resa in primo grado è stata affermata la
sussistenza dell’interesse di Hotel Svevo ad impugnare i
titoli edilizi rilasciati a Se.Ge.Co., “costituendo punto
di giurisprudenza ormai consolidato quello secondo cui
l’art. 31 della L. 17.08.1942 n. 1150, come modificato
dalla L. 06.08.1967 n. 765, che consente a “chiunque”
di impugnare le concessioni edilizie ritenute
illegittime, deve essere inteso nel senso che -con l’ovvia
esclusione di ogni azione popolare al riguardo- va
riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al
proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla
costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, senza che, peraltro, debba
essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse
qualificato alla tutela giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, V
Sez., 13.07.2000, n. 3904), essendo stato
“ritenuto che abbia interesse a ricorrere, come nel caso di
specie, il soggetto che faccia valere un interesse
giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è
quello all’osservanza delle prescrizioni regolatrici
dell’edificazione, senza che occorra procedere in concreto
ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i
lavori assentiti dall’atto impugnato comportino un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 15.09.2003 n. 5172)” e che
“lo svolgimento di un’attività
commerciale in prossimità dell’insediamento (e nel caso di
specie si tratta addirittura delle svolgimento delle
medesima attività alberghiera) configuri una situazione
giuridica sufficiente a realizzare quello stabile
collegamento con la zona che legittima il soggetto a
promuovere un’azione giurisdizionale nei confronti della
concessione edilizia rilasciata ad un terzo (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 30.01.2002 n. 313)”.
Passando
quindi alla disamina del merito di causa, questo giudice di
appello ha evidenziato che “il punto nodale è costituito
dalla verifica se, nel caso di specie, si sia in presenza di
una ristrutturazione edilizia ovvero di una nuova
costruzione, come tale soggiacente alle previsioni degli
strumenti urbanistici sopravvenuti, come, nel caso di
specie, l’art. 20 delle N.T.A.” del vigente strumento
edilizio primario del Comune, “che prevede per le zone
agricole(E2) indici assai modesti ed incompatibili con le
previsioni progettuali”, rilevando che “secondo la
giurisprudenza anteriore al nuovo testo unico sull’edilizia,
il concetto di ristrutturazione edilizia, come qualificato
dall’art. 31, comma 1, lett. d), della L. 05.08.1978 n. 457,
comprende anche la demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la
riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma,
volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto, con
la conseguente possibilità di pervenire, in tal modo, ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente, purché la diversità sia dovuta ad interventi
comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, e
non già la realizzazione di nuovi volumi o una diversa
ubicazione(in quanto, diversamente opinando, sarebbe
sufficiente la preesistenza di un edificio per definire
ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in
luogo o sul luogo di quella preesistente (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 19.02.2004 n. 476; 18.09.2003 n. 5310;
08.08.2003 n. 4593; …)” e che tali “acquisizioni
giurisprudenziali sono confermate dal D.P.R. 06.06.2001
n. 380, con cui è stato emanato il T.U. delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia. Infatti,
l’art. 3, comma 1, lett. d), del predetto testo qualifica
espressamente “interventi di ristrutturazione edilizia”
quelli volti a trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio,
l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia la norma ricomprende
esplicitamente anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione, purché ciò avvenga con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa
antisismica. Quindi si conferma anche nel nuovo testo
sull’edilizia che la demolizione e ricostruzione è
classificabile come ristrutturazione solo a condizione del
mantenimento delle caratteristiche planovolumetriche
dell’edificio da ricostruire …”.
Nella
stessa decisione si legge, quindi, che “per converso, la
lett. e) del medesimo articolo classifica come
“interventi di nuova costruzione” quelli di
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti,
procedendo quindi ad una elencazione(evidentemente non
esaustiva) per tipologie edilizie… . Quanto al regime
giuridico di tali interventi, è da ricordare che il capo II
del medesimo testo unico, dedicato al nuovo “permesso di
costruire” (già concessione
edilizia) individua, con l’art. 10, gli interventi
subordinati al predetto permesso, in tal modo riprendendo le
previgenti disposizioni della L. 28.01.1977 n. 10, art.
1 e della L. 28.02.1985 n. 47, art. 25, comma 4.
Prevede il citato art. 10 che costituiscono interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono
subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di
nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d’uso.
A sua volta, l’art. 22,
comma 3, del medesimo testo unico stabilisce che, in
alternativa al permesso di costruire, possono essere
realizzati, mediante semplice denuncia di inizio di
attività, in primo luogo gli interventi di ristrutturazione
di cui al ricordato art. 10, comma 1, lett. c). Dal combinato
disposto delle riportate disposizioni rimane confermato
quanto già osservato dalla giurisprudenza nel vigore delle
previgente normativa edilizia, cioè che le attività edilizie
consistenti nella demolizione e ricostruzione che non
avvengano nel rispetto della stessa volumetria e sagoma del
manufatto preesistente, sono da qualificare come nuove
costruzioni, assoggettate al permesso di costruire.
La recente
giurisprudenza di questo Consiglio (V Sez., dec. 07.09.2004, n. 5867) ha, altresì, chiarito che la ricostruzione
(dopo la demolizione) di un immobile diverso per volumi o
anche solo per la sagoma (a parità di volumi) dall’immobile
preesistente comporta la realizzazione di un immobile nuovo
con l’applicazione della disciplina urbanistica prevista per
le nuove edificazioni e delle conseguenti limitazioni
imposte dalle norme urbanistiche in vigore al momento del
rilascio del titolo autorizzativi (cfr. V Sez. n. 5867 del
2004 cit.). Ciò che le disposizioni citate non prevedono è
il limite in cui possono essere effettuate le modifiche del
nuovo fabbricato affinché questo sia compatibile con il
criterio di ristrutturazione, senza debordare nella nuova
costruzione diversa dalla precedente e come tale soggetta a
valutazione alla luce degli strumenti urbanistici vigenti al
momento del rilascio del titolo (cfr. dec. V Sez., n. 5867
del 2004). La soluzione della questione riveste una
importanza particolare per la diversa ammissibilità di una
ristrutturazione rispetto ad una nuova edificazione quando
l’intervento riguarda una edificazione già
esistente: infatti, nell’ipotesi di ristrutturazione
edilizia, trattandosi di un interventi su edifici, non
occorre che vi sia la perfetta conformità con il piano
regolatore generale e ciò in ragione del fatto che la
successione nel tempo degli strumenti urbanistici nel tempo
non può interferire sulla legittimità delle opere eseguite
in precedenza e con il diritto del proprietario di eseguire
quelle opere funzionali al mantenimento e alla conservazione
dell’edificio stesso, nonché a renderlo compatibile con le
esigenze eventualmente sopravvenute. … La modifica del
precedente manufatto deve essere tale da non alterare la sua
compatibilità con lo strumento in vigore al momento della
demolizione e che la natura di per sé sfumata del concetto
di compatibilità dovrebbe essere resa più certa dalla
previsione, in sede regionale, dei limiti specifici della
ristrutturazione e ciò in quanto, ove si ricada nell’ipotesi
di nuova edificazione, deve sussistere necessariamente la
conformità con lo strumento urbanistico, con la conseguenza
che l’edificio oggetto dell’intervento dovrebbe essere
adeguato alle prescrizioni vigenti al tempo dell’intervento
medesimo. Nella specie, siffatto limite di compatibilità,
ancorché il progetto prevedesse demolizioni parziali,
risulta travalicato, secondo quanto risulta dal primo ai
seguenti profili:
-
considerazione, a fini volumetrici, di un cd. capannone di
mc. 818,38, la cui presenza non emerge dall’allegato
aerofotogrammetrico con planimetria di zona prodotto da
parte appellante a corredo della perizia giurata dell’ing.
Oronzo Giordano del 29.12.2005 e con presumibile
veridicità coincidente, invece, con la tettoia aperta,
poggiante su cinque piloni isolati in muratura lungo la
strada provinciale per Santeramo e su muratura sul lato
opposto e delimitata, da un lato, da un basso muretto e,
dall’altro, dal terrazzo porticato dell’edificio principale.
La situazione dei luoghi non è contestata sul punto dalla
società resistente, sicché, non essendo la tettoia chiusa su
tutti i suoi lati, essa non appare costituire corpo di
fabbrica e come tale non è in grado di esprimere volumetria.
L’intervento previsto trasforma detta tettoia portandola
alla stessa altezza del preesistente porticato e consentendo
così di potersi collegare, a livello di copertura della
dependance, con il terrazzo –porticato del Molino, con
evidente modifica di sagoma e di volumetria;
- la
demolizione dell’edificio sala motori e la realizzazione di
un collegamento verticale per portatori di handicap, pur se
rientrante fra le scelte tecniche consentite, ai fini della
speciale disciplina in materia, ancorché fosse preesistente
una scala su cui sarebbe stato possibile intervenire
alternativamente, comporta tuttavia un apprezzabile aumento
volumetrico, che rende l’intervento eccedente rispetto ai
criteri che presiedono la mera ristrutturazione;
-la
prevista realizzazione di camere da letto al piano al piano
seminterrato, destinate aduso abitativo, comporta un
incompatibile mutamento di destinazione(esse, peraltro,
prive di luce ed areazione naturali e collocate ad una quota
inferiore a quella prevista dal regolamento edilizio, non
potrebbero comunque avere destinazione abitativa)”.
Pertanto, ad
avviso di questo giudice d’appello, tanto è bastato “a
ritenere che l’intervento previsto per l’ex Mulino Pagano e
autorizzato con il primo provvedimento impugnato,
indipendentemente da ogni altra considerazione contenuta
nell’appello, non possa essere ricondotto ad un intervento
di ristrutturazione edilizia, come previsto dalla normativa
vigente, non essendo state rispettate le caratteristiche
planovolumetriche, di sagoma e di continuità di destinazione
dell’edificio da ristrutturare. Di conseguenza, come nuova
edificazione, l’intervento appare incompatibile con le
prescrizioni urbanistiche vigenti di cui non è contestata la
portata. La circostanza che sul progetto autorizzato si sia
intervenuti con un ulteriore progetto in variante,
autorizzato con il secondo dei provvedimenti impugnati (n.
25 del 2005) che, ad avviso della società resistente,
sanerebbe le eventuali illegittimità registrate
nell’originario progetto, stralciando una serie di
interventi, non è di supporto alla ipotizzata attività
edilizia, in quanto il nuovo provvedimento autorizzativo non
segue alla rinnovazione del provvedimento concessorio, ma si
avvale di atti e procedimenti (concessione edilizia n.
50/2003 e pareri a supporto) la cui efficacia era stata
sospesa dall’ordinanza del TAR della Puglia- Bari, sez. III,
n. 1045 del 2004, confermata in secondo grado dalla
ordinanza n. 993 del 2005 della Sezione, inidonei, pertanto,
a produrre qualsivoglia effetto, in maniera del tutto
identica, salvo che per la transitorietà della misura, a
quanto sarebbe accaduto se l’atto fosse stato
annullato(Cons. Stato, A.P., 01.06.1983 n. 14) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.06.2012 n. 3570 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A fonte di un’autorizzazione commerciale,
diversamente che per i titoli edilizi
modificativi del territorio, la mera vicinitas
vantata dal ricorrente non è idonea a
fondare un titolo di legittimazione in
assenza della dimostrazione di specifici
pregiudizi arrecati alla sfera individuale
dallo svolgimento dell’attività interessata
dall’atto di assenso.
● Rilevato che con la sentenza appellata il Primo Giudice ha dichiarato
l’inammissibilità, per difetto di
legittimazione attiva, del ricorso proposto
dall’odierna appellante avverso il
provvedimento con il quale il Comune di
Portofino aveva autorizzato la controinteressata Emanuela Rosalba Repetto
all’esercizio di attività agrituristica
comprendente la somministrazione di pasti e
bevande.
●
Ritenuto che la sentenza appellata merita
conferma alla stregua delle seguenti
considerazioni:
- l’appellante non è titolare di attività
economiche suscettibili di essere
pregiudicate sul piano concorrenziale
dall’atto di autorizzazione all’apertura di
una nuova attività commerciale in guisa da
consolidare una posizione qualificata e
differenziata e da radicare la
legittimazione attiva;
- a fonte di un’autorizzazione commerciale,
diversamente che per i titoli edilizi
modificativi del territorio, la mera vicinitas vantata dal ricorrente non è
idonea a fondare un titolo di legittimazione
in assenza della dimostrazione di specifici
pregiudizi arrecati alla sfera individuale
dallo svolgimento dell’attività interessata
dall’atto di assenso;
- nel caso in esame, caratterizzato dall’esercizio di un’attività agrituristica a
beneficio di un numero ridotto di utenti per
alcuni giorni della settimana, non è dato
apprezzare il pregiudizio patito dalla parte
ricorrente nella sua qualità di proprietaria
di un fabbricato di civile abitazione
ubicato nella zona, non essendo le prospettazioni offerte nell’atto d’appello
in merito ai pregiudizi derivanti sul piano
del valore economico della proprietà e
dell’integrità ambientale supportate da
adeguata e concreta dimostrazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2012 n. 3471 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Qualora la formulazione o il significato di
una clausola inserita nel bando di gara
incida direttamente sulla formulazione
dell'offerta, impedendone la corretta e
consapevole elaborazione, non solo sussiste
la possibilità di contestare l'effetto
lesivo di essa, subito e senza attendere
l'esito della gara, ma non vi è neanche la
necessità di porre a carico di colui che
intenda contestarla un onere di
partecipazione alla relativa procedura. Ciò
in quanto il predetto soggetto pone in
discussione specifiche disposizioni della
lex specialis di gara, che egli
correttamente, se e nella misura in cui
risultino poi viziate, ritiene tali da
impedirgli l'utile presentazione
dell'offerta e, dunque, risultano
sostanzialmente impeditive della sua
partecipazione alla gara.
---------------
La legittimazione al ricorso avverso gli
atti d'una gara ad evidenza pubblica, salvo
puntuali eccezioni, spetta a chi in modo
regolare e legittimo partecipi alla gara
stessa, dato che solo a siffatta qualità si
connette la titolarità, nel procedimento
concorsuale ed in via d'azione, di una
posizione soggettiva sostanziale
differenziata e meritevole di tutela. Quanto
detto non è, tuttavia, conforme alla piena
esplicazione del diritto alla difesa e del
diritto di libertà d'iniziativa economica
privata, nonché del principio di libera
concorrenza, nel caso in cui si subordini la
legittimazione di un dato operatore, leso
sostanzialmente in via immediata da una
clausola che gli preclude la partecipazione
alla gara, alla presentazione d'una domanda
che ne comporterebbe l'esclusione.
È ben noto che
(arg. ex Cons. St., ad. plen., 07.04.2011 n.
4), di regola, la legittimazione al ricorso
avverso gli atti d’una gara ad evidenza
pubblica, salvo puntuali eccezioni, spetta a
chi in modo regolare e legittimo partecipi
alla gara stessa, ché solo a siffatta
qualità si connette la titolarità, nel
procedimento concorsuale ed in via d’azione,
di una posizione soggettiva sostanziale
differenziata e meritevole di tutela.
Poiché la legittimazione al ricorso va
collegata necessariamente ad una situazione
differenziata, in modo certo, per effetto
della partecipazione alla gara, solo tre
sono le varianti a tal regola, ciascuna
delle quali connotata da valori giuridici di
pari rango a quelli testé affermati dalla
giurisprudenza. Tra queste, ai presenti
fini, spicca il caso della legittimazione
dell’operatore economico che si rivolge nei
confronti d’una o più clausole escludenti.
In tal caso, ossia ove la clausola è di
tenore tale da precludere la partecipazione
alla gara, ben si comprende come adempimento
inutile, se non mero formalismo, s’appalesi
la presentazione della domanda di
partecipazione quale prova di legittimazione
dell’operatore, con conseguente
appesantimento della tutela di questi,
obbligato ad aspettare l'esclusione dalla
gara, onde impugnare pure tal provvedimento,
in realtà meramente confermativo della
lesione prodottasi con la clausola stessa
(arg. ex Cons. St., V, 05.10.2011 n. 5454).
Non sfugge d’altronde al Collegio come non
sia conforme alla piena esplicazione del
diritto alla difesa e del diritto di libertà
d’iniziativa economica privata, nonché del
principio di libera concorrenza, subordinare
la legittimazione dell’operatore, leso
sostanzialmente in via immediata da una
clausola che gli preclude la partecipazione
alla gara, la presentazione d’una domanda
che ne comporterebbe l'esclusione (cfr.
Cons. St., V, 20.04.2012 n. 2339). Né il
Collegio è alieno dal considerare,
anzitutto, che onerano l’interessato alla
loro immediata impugnazione soltanto le
clausole che prescrivano in modo inequivoco
requisiti d’ammissione o di partecipazione
alla gara, con riguardo sia a requisiti
soggettivi, sia a situazioni di fatto, la
carenza dei quali determina subito l'effetto
escludente (cfr. Cons. St., VI, 08.07.2010
n. 4437; id., V, 19.09.2011 n. 5323). Per
altro verso, la lesione de qua si verifica
non solo nel caso, per vero alquanto raro,
di clausola discriminatoria, ma pure in
tutti quelli in cui la clausola, pur non
apparendo escludente o quand’anche formulata
in modo positivo, in realtà dissimuli una
fattispecie di (indebita, irrazionale,
sproporzionata, ecc.) restrizione
all’accesso alla gara e, quindi, alla
conseguente tutela.
Avverte nondimeno la giurisprudenza
(arg. ex Cons. St., VI, 18.09.2009 n. 5626)
che, fermo l’onere d’impugnazione avverso le
clausole immediatamente lesive, quest’ultima
è pur sempre subordinata ad un'accurata
analisi della singola fattispecie che metta
in luce, tra gli altri aspetti, pure il
contenuto della clausola sospetta
d’illegittimità, il tipo di vizio dedotto
dalla parte ricorrente e l' interesse
manifestato dall'operatore.
Ebbene, è vero che l’accesso alla tutela (recte,
alle procedure di ricorso in tema di appalti
pubblici), come ben evincesi dall’art. 1, §
3) della dir. n. 66/2007/CE, è consentito
anche solo a fronte del rischio della
lesione, ma ciò serve, e di questo la
giurisprudenza ed il Collegio sono
consapevoli, essenzialmente ad ammettere
l’immediata impugnazione del bando nei casi
discriminatori.
Tra questi ultimi rientrano pure le
situazioni in cui la clausola sia, come nel
caso in esame, escludente non in sé, né per
categorie predefinite di soggetti, ma
secondo la prospettazione di taluni di
questi soggetti che, pur godendo in linea di
principio dei requisiti per l’ammissione
alla gara, non vi possano accedere in
concreto per l’effetto restrittivo che la
clausola determina verso alcune scelte
economiche che essi vorrebbero introdurre
nella procedura di gara. Ma se la clausola è
asserita discriminatoria o restrittiva
secondo l’assunto dell’operatore o, il che è
lo stesso, con riguardo ad un aspetto
peculiare della stessa, non vien meno per
ciò solo la delibazione del concreto
interesse differenziato, ossia sul bisogno
giuridico di partecipazione alla gara in
quello ed in quel solo peculiare modo.
Poiché quest’ultimo è ontologicamente
diverso dal vizio dedotto, ossia dalla
erroneità oggettiva della clausola che si
assume lesiva, affinché il bisogno di tutela
non trasmuti in una censura di diritto
oggettivo o meramente emulativa, occorre
fornire un serio principio di prova da cui
evincasi, con pari rigore argomentativo, che
l’effetto preclusivo dell’ATI “sovrabbondante”
non corrisponda solo ad una generica
difficoltà nell’offerta, ma impedisca la
realizzazione d’un progetto di affare
economico (purpose of business).
Nella specie l’appellata ha allegato,
nel ricorso di primo grado e quale motivo
per chiedere l’esercizio dell’autotutela da
parte della Regione, di «… essere
primaria azienda, con capacità economiche …
e che opera da anni nel settore del lavanolo
ospedaliero…» e di essere «…
fortemente interessata alla gara di che
trattasi…», ritenendo tuttavia preclusa
la possibilità di partecipazione alla gara
dalla clausola escludente le ATI c.d. “sovrabbondanti”.
Come si vede, tal assunto non è che una, per
vero assai generica, affermazione di
dispiacere verso la clausola stessa, non già
un, sia pur succinto, argomento dimostrativo
dell’esistenza o della concreta probabilità
di un progetto di ATI e di offerta
conseguente.
Non ha fornito l’appellata, in primo grado,
alcun serio di principio di prova che, ai
fini d’una ragionevole probabilità d’offerta
competitiva, che quest’ultima potesse
scaturire soltanto da un’ATI “sovrabbondante”
con una o più imprese parimenti qualificate
e diversamente allocate nel territorio, sì
da pervenire ad assetti economici
soddisfacenti.
E tal esigenza di dimostrazione d’un
progetto d’offerta, atto a qualificare
l’interesse vantato quale necessario prius
logico rispetto alla valutazione
dell’eventuale illegittimità della clausola,
s’appalesa ancor più significativa, se si
considera la complessità, oggettiva e
territoriale, del servizio da rendere, che
avrebbe dovuto per vero indurre ogni impresa
a dire la ragione per cui a tal fine sarebbe
dovuta occorrere, tra le possibili opzioni
economiche, un’ATI “sovrabbondante”.
Non a caso, l’appellata s’è posta, come
d’altra parte e per altre e parimenti
significative ragioni hanno fatto altre
imprese comunque interessate alla gara
stessa (come l’interventrice LAVIN s.p.a.),
il problema d’una più approfondita ed
accurata allegazione in ordine all’interesse
ad agire. Queste ultime hanno affermato,
senza indicare per forza il contenuto di
un’offerta vera e propria, di aver
sottoposto al Giudice adito una bozza di
offerta realmente concorrenziale, se del
caso o elaborando documenti provenienti
dalle Aziende sanitarie del Lazio o
dimostrando come dall’eventuale ATI “sovrabbondante”
con una o più imprese allocate od operanti
nella medesima Regione potesse scaturire un
progetto d’offerta efficace ed appetibile.
Solo con la memoria depositata l’11.01.2012,
l’appellata ha indicato, per la prima volta
ed in appello, l’intenzione di costituire
un’ATI con la controllante SERVIZI ITALIA
s.r.l., anch’essa autonomamente
qualificabile alla gara, per proporre
un’offerta in linea di principio efficace e
competitiva. Ma ciò dimostra che tal
allegazione, in disparte la sua sufficienza
in sé, non fu fornita nell’opportuna sede e
che non può esser utilizzata solo qui, in
sede di appello.
Come si vede, non è in discussione
l’erroneità in sé, o meno, della scelta di
non ammettere ATI “sovarabbondanti”
alla gara in questione, né tampoco se una
stazione appaltante abbia, da sola, titolo
legittimo ad assumere regole più o meno
pro-competitive nell’ambito d’una singola
procedura ad evidenza pubblica, ma come
valore assoluto e senza alcun collegamento,
logico e/o giuridico, con l’utilità sperata
dall’esecuzione dell’appalto.
Invero, si può anche ritenere che una scelta
siffatta, ossia la limitazione a priori alle
imprese della facoltà d’un tipo di ATI per
ragioni antitrust, non risponda di per sé
sola ad alcuna reale esigenza sottesa
all’evidenza pubblica, soprattutto se
meramente astratta, non proporzionata al
concreto oggetto dell’appalto e non
suffragata da gravi indizi di intese di
cartello tra le imprese. È, questo, il caso
indicato da Cons. St., VI, 19.06.2009 n.
4145, richiamato da Cons. St., VI,
18.01.2011 n. 351 (ord.za) per provocare la
pronuncia di Ad. plen. n. 4/2011, fermo, al
riguardo, restando anche l’ormai risalente
parere dell’AGCM del 2003 sulle limitazioni
delle ATI “sovrabbondanti” alle gare
ad evidenza pubblica.
Pare tuttavia al Collegio che, a tutto
concedere, la facoltà delle stazioni
appaltanti di non ammettere queste ultime
alle gare, non essendo basata su norme
imperative (arg. ex CGA, 04.07.2011 n. 474)
e non potendo esser statuita in via pretoria
(cfr. Cons. St., VI, 20.02.2008 n. 588),
resta allora soggetta agli ordinari canoni
di proporzionalità e di ragionevolezza, sia
in sé, sia con riguardo ed all’oggetto
dell’appalto ed alla predetta utilità
sperata.
Sicché, assodato che la tutela della
concorrenza nell’evidenza pubblica va
governata all’interno della gara e per il
conseguimento del risultato economico che il
soggetto aggiudicatore si prefigge, non si
può ritenere collusiva un’ATI “sovrabbondante”
per il sol fatto che si presenti ad una gara
pubblica. L’accordo associativo per tali
ATI, come ogni rapporto tra privati, in
realtà è neutro e, come tale, soggiace alle
ordinarie regole sulla liceità e la
meritevolezza della causa e non può dirsi di
per sé contrario al confronto concorrenziale
proprio dell’evidenza pubblica. Insomma,
elidere senz’altro la possibilità di ATI “sovrabbondante”,
in assenza di motivate ragioni direttamente
incidenti sulle esigenze concorrenziali
della gara, soprattutto in gare, come quella
per cui è causa, complesse ed articolate,
potrebbe anche comprimere in modo eccessivo
facoltà dell’imprenditore per ragioni non
basate sull’art. 41 Cost. ed anche non
consentire quelle virtuose aggregazioni
commisurate a tali esigenze reali.
Ma, se tutto questo può giustificare
una censura sulla scelta operata dalla
lex specialis, da esso non si può
direttamente inferire null’altro che
l’immediata impugnabilità della clausola,
non certo la prova sulla differenziazione
dell’interesse del soggetto che l’impugna.
Non basta predicare l’illegittimità, ma
occorre dar contezza che l’interesse
azionato sia non già di mero fatto o, il che
è in pratica lo stesso, basato su una mera
ipotesi di possibile ed eventuale ATI “sovrabbondante”
con terzi. Occorre che l’interesse sia
qualificato dalla dimostrazione d’una seria
chance di offerta spendibile in quella gara
coeteris paribus e senza dover
attendere l’eventuale rinnovazione di essa.
Altrimenti, tal interesse non è diverso da
quello di qualsiasi altro operatore del
settore che non ha inteso partecipare alla
gara stessa per i più diversi motivi e che,
pur tuttavia, spera nella caducazione
dell'intera selezione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 11.06.2012 n.
3402 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il proprietario di
immobile confinante con quello oggetto di
permesso di costruire non può essere
qualificato come soggetto direttamente
interessato al provvedimento, con la
conseguenza che non sussiste alcuna lesione
delle sue facoltà procedimentali -comunque
salvaguardate dalla possibilità di
intervento volontario nel procedimento di
rilascio del titolo ai sensi dell’art. 9
della legge n. 241/1990- poiché non vi è alcun
obbligo per l’amministrazione di
comunicazione dell’avvio del procedimento
preordinato al rilascio del permesso di
costruire.
---------------
Secondo piani principi, il procedimento
amministrativo è regolato dal principio
tempus regit actum, con la conseguenza che
la legittimità dell’atto va valutata con
riferimento alle norme vigenti al tempo in
cui è stato adottato, essendo il rapporto
cui l’atto inerisce sensibile ai mutamenti
della normativa di riferimento fino a quando
non sia irretrattabilmente definito.
Ciò è avvenuto, nella specie, solo mediante
il rilascio del permesso di costruire su
istanza dell’interessato, non avendo
quest’ultima alcun effetto definitorio del
rapporto.
Si condivide, invero, a riguardo il rilievo
del primo giudice, secondo cui l’inedificabilità, per l’appellante, di una fascia di 5 metri
di distanza dal confine discende
direttamente dall’applicazione del punto 3
dell’art. 14 delle N.T.A. del piano di
fabbricazione del Comune di Muro Leccese,
secondo cui, salva l’ipotesi di costruzione
in aderenza con altro edificio, il
proprietario del fondo deve edificare
rispettando la distanza dai confini di
proprietà non inferiore a mt. 5,00.
Dovendosi, pertanto, ricollegare a tale
disposizione -e non alla realizzazione
dell’impianto ed al rispetto delle relative
distanze di 10 metri tra edifici- il
sacrificio dello ius aedificandi lamentato
dall’appellante, non può essere riconosciuto
nei suoi riguardi alcun effetto diretto
ricollegabile al provvedimento di rilascio
del permesso di costruire ed alle relative
distanze da osservare, da cui derivi
l’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento.
In quanto proprietario di
immobile confinante con quello oggetto di
permesso di costruire, egli non può essere
qualificato come soggetto direttamente
interessato al provvedimento, con la
conseguenza che non sussiste alcuna lesione
delle sue facoltà procedimentali -comunque
salvaguardate dalla possibilità di
intervento volontario nel procedimento di
rilascio del titolo ai sensi dell’art. 9
della legge n. 241/1990- poiché non vi è alcun
obbligo per l’amministrazione di
comunicazione dell’avvio del procedimento
preordinato al rilascio del permesso di
costruire (Cons. St. Sez. IV, 27.10.2011, n.
5789; 06.07.2009, n. 4300).
---------------
Parimenti infondato è il terzo motivo,
con cui si lamenta l’applicazione da parte
dell’amministrazione della disciplina
vigente al momento del rilascio del permesso
di costruire anziché a quello della
presentazione dell’istanza.
Secondo piani principi, il procedimento
amministrativo è regolato dal principio
tempus regit actum, con la conseguenza che
la legittimità dell’atto va valutata con
riferimento alle norme vigenti al tempo in
cui è stato adottato (Cons. St. Sez. VI,
12.10.2011, n. 5515; 12.01.2011, n. 112),
essendo il rapporto cui l’atto inerisce
sensibile ai mutamenti della normativa di
riferimento fino a quando non sia irretrattabilmente definito.
Ciò è avvenuto,
nella specie, solo mediante il rilascio del
permesso di costruire su istanza
dell’interessato, non avendo quest’ultima
alcun effetto definitorio del rapporto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.06.2012 n. 3343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Sui limiti applicativi, in capo al comune, del "piano
casa" in Lombardia.
Sono legittimati ad impugnare i provvedimenti
urbanistico-edilizi i soggetti che vantino un interesse
personale, diretto ed attuale all'annullamento dell'atto -perché proprietari dei fondi, più in generale, secondo
l'indirizzo che ormai prevale, per essere titolari di
diritti reali su immobili situati nella zona interessata
dalla costruzione assentita, o anche per il solo fatto di
trovarsi con la zona stessa in una situazione di stabile
collegamento o di essere insediati abitativamente in essa-
che lamentino una lesione dei valori urbanistici, intesi in
senso ampio, garantiti dalle previsioni urbanistiche
relative alla zona.
---------------
In giurisprudenza su pianificazione ed interesse a ricorrere
si sono avute ricostruzioni differenti: di recente si è
messo in rilievo che nel contenzioso avente ad oggetto
procedure di pianificazione urbanistica, non sono
direttamente trasferibili le ricostruzioni sulla natura
dell'interesse strumentale svolte nell'ambito delle
questioni riguardanti gli atti di una procedura concorsuale
o selettiva, trattandosi di situazioni profondamente
differenti, in quanto, in queste ultime fattispecie, il
ricorrente mira al perseguimento di un'utilità
(aggiudicazione dell'appalto o posizionamento utile in
graduatoria) che l'Amministrazione ha attribuito ad altro
soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati,
nell'ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione
è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse
giuridicamente qualificato e differenziato, mentre tali
considerazioni non possono estendersi alla pianificazione
urbanistica che attiene a posizioni riguardanti un’intera
comunità ed un vasto territorio, assunte in base a
valutazioni che potrebbero anche non essere ripetute non
essendovi un obbligo simile a quello di rinnovazione delle
operazioni di gara.
--------------
Il c.d. interesse strumentale alla rinnovazione della gara,
riguardato nella sua oggettività, non è altro che un
interesse al rispetto della legalità, che viene paludato da
riferimenti soggettivi (utilità di ripetere la procedura che
il ricorrente si propone di conseguire con la deduzione di
vizi che, ove fondati, sono in grado di travolgere l'intera
gara), al fine di accreditarne la valenza personale, che è
un requisito necessario per poter promuovere un ricorso
giurisdizionale che comunque si atteggia in modo diverso e
peculiare nelle procedure di pianificazione.
Alla luce di tale orientamento va rilevato che l'interesse a
una immediata impugnazione di un P.R.G. va ancorato al dato
della concreta ed effettiva lesività delle stesse, nel senso
che le prescrizioni censurate devono incidere direttamente
sulla proprietà del ricorrente ovvero, pur senza riguardarle
direttamente, devono determinare un significativo decremento
del loro valore di mercato o della loro utilità.
Non può, al contrario, ammettersi un generico interesse
"strumentale" alla riedizione dell'attività di
pianificazione del territorio comunale, connesso alla
semplice qualità di proprietario di un suolo comunque
ricadente nel territorio medesimo (ancorché non
immediatamente inciso dalle prescrizioni urbanistiche
censurate).
---------------
L'autonoma impugnativa degli atti a contenuto generale è
configurabile soltanto quando sussista una lesione immediata
e diretta delle posizioni dei destinatari. Ove, peraltro,
l'incertezza del contenuto degli atti medesimi dia luogo a
dubbi interpretativi tali che non possa essere desunta
chiaramente l'immediata e concreta lesività, deve, a
garanzia dei privati, ritenersi ammissibile il ricorso
avverso atti e/o comportamenti applicativi che incidano
nella sfera degli interessati.
---------------
Un piano regolatore generale o uno strumento urbanistico una
volta adottato, nella misura in cui è suscettibile di
applicazione, o in cui non necessita di ulteriori atti
esecutivi, in quanto per il suo contenuto ha già in sé
immediata portata prescrittiva (o limitativa, come in caso
di esclusione di attività edificatorie in via generale
consentite dalla legislazione regionale), è immediatamente
lesivo e direttamente impugnabile.
È immediatamente impugnabile lo strumento urbanistico quando
dalla sua adozione consegue la eliminazione o limitazione di
alcune facoltà proprie del diritto di proprietà in forza
delle previsioni vincolistiche in esso racchiuse od in forza
del suo valore derogatorio rispetto ad una disciplina
permissiva di carattere generale.
Si è ritenuto così che il proprietario di aree edificabili,
poste all'interno del territorio oggetto di pianificazione
urbanistica di dettaglio, ha interesse ad impugnarne il
relativo provvedimento, segnatamente nel caso in cui il
Comune fissi regole direttamente conformative della capacità
edificatoria del ricorrente.
In modo analogo si è ritenuto che sussista l'interesse a
ricorrere contro un piano di lottizzazione, qualora una
disposizione del regolamento edilizio, subordinando ogni
attività edificatoria alla previa redazione di un piano
unitario, abbia creato in capo al ricorrente l'interesse
legittimo a partecipare attivamente all'attività di
pianificazione, o in sede di iniziativa, se essa assume la
forma di lottizzazione, o in sede di apporto collaborativo
(osservazioni o opposizioni) se essa assume la forma del
piano particolareggiato o del piano quadro.
Con impostazione più restrittiva si è ritenuto che le
prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme tecniche di
attuazione del piano regolatore generale comunale, che, per
la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta
applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui
è adottato l'atto applicativo, possono formare oggetto di
censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo; lo
stesso non si può affermare, invece, in riferimento alle
disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio
negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata
stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di
territorio interessata.
---------------
L'interesse a un’immediata impugnazione di un p.r.g. (o di
un atto analogo) va ancorato al dato della concreta ed
effettiva lesività delle prescrizioni di piano, nel senso
che le prescrizioni censurate devono incidere direttamente
sulla proprietà del ricorrente ovvero, pur senza riguardarle
direttamente, devono determinare un significativo decremento
del loro valore di mercato o della loro utilità non potendo,
al contrario, ammettersi un generico interesse "strumentale"
alla riedizione dell'attività di pianificazione del
territorio comunale, connesso alla semplice qualità di
proprietario di un suolo comunque ricadente nel territorio
medesimo (ancorché non immediatamente inciso dalle
prescrizioni urbanistiche censurate).
Resta fermo invece che sono inammissibili le censure alle
prescrizioni del p.r.g. (o di atto analogo) che disciplinano
aree non di proprietà del ricorrente e per le quali non sia
chiarito quale sia l’interesse all’impugnazione.
---------------
Sussiste l'interesse a ricorrere contro le varianti agli
strumenti di pianificazione urbanistica, anche se riguardano
aree non di proprietà del ricorrente, allorché la nuova
destinazione incida in qualche modo sul godimento o sul
valore di mercato dell'area, o comunque su interessi propri
del ricorrente stesso, come quello alla salute o al valore
ambientale.
Sono legittimati ad impugnare i provvedimenti
urbanistico-edilizi i soggetti che vantino un interesse
personale, diretto ed attuale all'annullamento dell'atto -perché proprietari dei fondi, più in generale, secondo
l'indirizzo che ormai prevale, per essere titolari di
diritti reali su immobili situati nella zona interessata
dalla costruzione assentita, o anche per il solo fatto di
trovarsi con la zona stessa in una situazione di stabile
collegamento o di essere insediati abitativamente in essa-
che lamentino una lesione dei valori urbanistici, intesi in
senso ampio, garantiti dalle previsioni urbanistiche
relative alla zona.
Analizzando più specificamente la posizione legittimante, va
rilevato che quanto alla legittimazione a ricorrere essa ben
può ritenersi sussistente per la società ricorrente
proprietaria di suoli ricadenti nel Comune la cui delibera
di applicazione del Piano casa è impugnata.
L’interesse a ricorrere richiede invece una disamina
ulteriore.
L’Amministrazione competente all’istruttoria ha eccepito che
nella specie l’atto impugnato –avente portata generale se
non carattere normativo- non sarebbe lesivo in difetto di
un atto applicativo.
La società ricorrente ha fatto valere la propria posizione
di operatore del settore.
In primo luogo va rilevato che l’atto di cui all’art. 5,
comma 6, della legge regionale n. 13 del 2009 non ha valore
normativo, essendo motivato, e volto solo ad individuare
parti di territorio nelle quali escludere l’applicabilità
delle norme del Piano casa.
Esso ha quindi valore di un atto di pianificazione
derogatorio rispetto a potenzialità edificatorie fissate in
via generale ed astratta dalla legge regionale.
In giurisprudenza su pianificazione ed interesse a ricorrere
si sono avute ricostruzioni differenti: di recente si è
messo in rilievo che nel contenzioso avente ad oggetto
procedure di pianificazione urbanistica, non sono
direttamente trasferibili le ricostruzioni sulla natura
dell'interesse strumentale svolte nell'ambito delle
questioni riguardanti gli atti di una procedura concorsuale
o selettiva, trattandosi di situazioni profondamente
differenti, in quanto, in queste ultime fattispecie, il
ricorrente mira al perseguimento di un'utilità
(aggiudicazione dell'appalto o posizionamento utile in
graduatoria) che l'Amministrazione ha attribuito ad altro
soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati,
nell'ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione
è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse
giuridicamente qualificato e differenziato, mentre tali
considerazioni non possono estendersi alla pianificazione
urbanistica che attiene a posizioni riguardanti un’intera
comunità ed un vasto territorio, assunte in base a
valutazioni che potrebbero anche non essere ripetute non
essendovi un obbligo simile a quello di rinnovazione delle
operazioni di gara (Consiglio Stato, sez. IV, 12.10.2010, n. 7439).
Tale ricostruzione merita condivisione.
Va ricordata la ricostruzione critica della nozione di
interesse strumentale effettuata dalla Sezione quarta del
Consiglio di Stato nella sentenza prima citata.
La Sezione quarta nella sentenza citata ha espresso le sue
perplessità in merito alla ricostruzione dogmatica del
concetto di interesse strumentale con argomenti che
l’Adunanza Generale condivide.
In particolare si è fatto riferimento alla pronuncia
Consiglio di Stato, sez. IV, 26.11.2009, n. 7441
secondo la quale il c.d. interesse strumentale alla
rinnovazione della gara, riguardato nella sua oggettività,
non è altro che un interesse al rispetto della legalità, che
viene paludato da riferimenti soggettivi (utilità di
ripetere la procedura che il ricorrente si propone di
conseguire con la deduzione di vizi che, ove fondati, sono
in grado di travolgere l'intera gara), al fine di
accreditarne la valenza personale, che è un requisito
necessario per poter promuovere un ricorso giurisdizionale
che comunque si atteggia in modo diverso e peculiare nelle
procedure di pianificazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 13.07.2010, n. 4542).
Alla luce di tale orientamento va rilevato che l'interesse a
una immediata impugnazione di un P.R.G. va ancorato al dato
della concreta ed effettiva lesività delle stesse, nel senso
che le prescrizioni censurate devono incidere direttamente
sulla proprietà del ricorrente ovvero, pur senza riguardarle
direttamente, devono determinare un significativo decremento
del loro valore di mercato o della loro utilità (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 31.12.2009, nr. 9301; id., 19.03.2009, nr. 1653; id., 21.05.2007, nr. 2572; id., 28.07.2005, nr. 4018).
Non può, al contrario (e come sarà di seguito argomentato),
ammettersi un generico interesse "strumentale" alla
riedizione dell'attività di pianificazione del territorio
comunale, connesso alla semplice qualità di proprietario di
un suolo comunque ricadente nel territorio medesimo
(ancorché non immediatamente inciso dalle prescrizioni
urbanistiche censurate).
Sorge poi l’ulteriore problema di verificare se l’atto
generale sia impugnabile solo in presenza di un atto
applicativo ovvero se, in ricorrenza di alcune specifiche
condizioni di fatto, da individuarsi nell’incisione diretta
delle previsioni pianificatorie sulla proprietà, sia
ammissibile anche l’impugnazione diretta dell’atto generale.
E resta da verificare –questione di indubbia delicatezza-
cosa debba intendersi per incisione diretta sull’interesse
del proprietario.
Senza dubbio la presenza di un atto applicativo di diniego
di facoltà edificatorie determina e sostanzia la posizione
legittimante nel senso della sussistenza dell’interesse a
ricorrere.
Ma l’assenza dell’atto applicativo non determina di per sé
l’inesistenza dell’interesse a ricorrere.
Infatti anche in assenza di tale atto applicativo
l’interesse ad impugnare un atto generale di pianificazione
urbanistica può sussistere (ed il tema assume un aspetto
particolarmente delicato poiché se si ammette tale
impostazione –ossia l’immediata impugnabilità- la
decorrenza del termine per impugnare diviene immediata, con
correlativa eventuale inammissibilità dell’impugnazione
dell’atto applicativo per tardiva impugnazione dell’atto
presupposto).
Va da sé che l'autonoma impugnativa degli atti a contenuto
generale è configurabile soltanto quando sussista una
lesione immediata e diretta delle posizioni dei destinatari.
Ove, peraltro, l'incertezza del contenuto degli atti
medesimi dia luogo a dubbi interpretativi tali che non possa
essere desunta chiaramente l'immediata e concreta lesività,
deve, a garanzia dei privati, ritenersi ammissibile il
ricorso avverso atti e/o comportamenti applicativi che
incidano nella sfera degli interessati (Consiglio Stato,
sez. V, 10.06.1989, n. 372).
Ciò premesso, rileva l’Adunanza Generale che un piano
regolatore generale o uno strumento urbanistico una volta
adottato, nella misura in cui è suscettibile di
applicazione, o in cui non necessita di ulteriori atti
esecutivi, in quanto per il suo contenuto ha già in sé
immediata portata prescrittiva (o limitativa, come in caso
di esclusione di attività edificatorie in via generale
consentite dalla legislazione regionale), è immediatamente
lesivo e direttamente impugnabile.
È immediatamente impugnabile lo strumento urbanistico quando
dalla sua adozione consegue la eliminazione o limitazione di
alcune facoltà proprie del diritto di proprietà in forza
delle previsioni vincolistiche in esso racchiuse od in forza
del suo valore derogatorio rispetto ad una disciplina
permissiva di carattere generale.
Si è ritenuto così che il proprietario di aree edificabili,
poste all'interno del territorio oggetto di pianificazione
urbanistica di dettaglio, ha interesse ad impugnarne il
relativo provvedimento, segnatamente nel caso in cui il
Comune fissi regole direttamente conformative della capacità
edificatoria del ricorrente (Consiglio Stato, sez. V, 04.05.1995, n. 695).
In modo analogo si è ritenuto che sussista l'interesse a
ricorrere contro un piano di lottizzazione, qualora una
disposizione del regolamento edilizio, subordinando ogni
attività edificatoria alla previa redazione di un piano
unitario, abbia creato in capo al ricorrente l' interesse
legittimo a partecipare attivamente all'attività di
pianificazione, o in sede di iniziativa, se essa assume la
forma di lottizzazione, o in sede di apporto collaborativo
(osservazioni o opposizioni) se essa assume la forma del
piano particolareggiato o del piano quadro (Consiglio Stato,
sez. IV, 19.05.1981 , n. 396).
Con impostazione più restrittiva si è ritenuto che le
prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme tecniche di
attuazione del piano regolatore generale comunale, che, per
la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta
applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui
è adottato l'atto applicativo, possono formare oggetto di
censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo; lo
stesso non si può affermare, invece, in riferimento alle
disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio
negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata
stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di
territorio interessata (Consiglio Stato, sez. VI, 05.08.2005, n. 4159).
Nella specie non si è di fronte ad una pianificazione
urbanistica di dettaglio o ad attività convenzionate ma ad
una situazione che merita comunque di essere apprezzata
positivamente, sotto il profilo dell’aspettativa
edificatoria, per la società ricorrente e della conseguente
lesività della sua negazione per atto di piano.
Infatti la società ha impugnato una delibera che dispone in
via generale sulla possibile deroga ad una legge regionale
attuativa del c.d. Piano casa che, in assenza di tale
deroga, avrebbe concesso ai proprietari ampie possibilità di
sviluppo volumetrico degli edifici esistenti.
Ne deriva che la circostanza che difetti nella specie un
atto applicativo non è tuttavia rilevante in senso
assolutamente preclusivo dell’interesse a ricorrere, essendo
sufficiente a radicare la legittimazione al ricorso sia la
circostanza che la delibera impugnata si applichi anche
all’area di proprietà della società ricorrente incidendo su
aspettative edificatorie qualificate, sia il rilievo che
questa esercita in zona la propria attività imprenditoriale.
Evidente è la sussistenza dell'interesse al ricorso,
quantomeno parziale, poiché la ricorrente persegue il fine
del mantenimento della disciplina urbanistica della zona
stabilita dalla legge regionale n. 13 del 2009, che le era
sicuramente più favorevole e che è stata esclusa dal Comune
in riferimento ad alcune aree.
Ciò in relazione al già menzionato orientamento –da
condividersi– secondo il quale l'interesse a un’immediata
impugnazione di un p.r.g. (o di un atto analogo) va ancorato
al dato della concreta ed effettiva lesività delle
prescrizioni di piano, nel senso che le prescrizioni
censurate devono incidere direttamente sulla proprietà del
ricorrente ovvero, pur senza riguardarle direttamente,
devono determinare un significativo decremento del loro
valore di mercato o della loro utilità non potendo, al
contrario, ammettersi un generico interesse "strumentale"
alla riedizione dell'attività di pianificazione del
territorio comunale, connesso alla semplice qualità di
proprietario di un suolo comunque ricadente nel territorio
medesimo (ancorché non immediatamente inciso dalle
prescrizioni urbanistiche censurate) (Consiglio Stato, sez. IV, 13.07.2010, n. 4546).
Resta fermo invece che sono inammissibili le censure alle
prescrizioni del p.r.g. (o di atto analogo) che disciplinano
aree non di proprietà del ricorrente e per le quali non sia
chiarito quale sia l’interesse all’impugnazione (Consiglio
Stato, sez. IV, 02.03.2001, n. 1162).
Ne deriva che, nella specie, sono inammissibili le censure
relative alle zone A centro storico e BP2, BP3, BP4 nonché
le censure avanzate con riferimento ai CRU ed ai CRUI ed
ancora per gli interventi soggetti a piano attuativo (vedasi
ricorso ove si specifica che la società ricorrente è
proprietaria di immobili ricadenti in aree B1, BP1 e BV1 e
memoria del Comune ove si eccepisce l’inammissibilità del
ricorso con riferimento alle altre aree diverse da quelle
prima indicate).
Né la società ricorrente ha provato un suo interesse anche
indiretto all’eliminazione di tali prescrizioni.
Tanto sarebbe stato necessario in ossequio all’insegnamento
per cui sussiste l'interesse a ricorrere contro le varianti
agli strumenti di pianificazione urbanistica, anche se
riguardano aree non di proprietà del ricorrente, allorché la
nuova destinazione incida in qualche modo sul godimento o
sul valore di mercato dell'area, o comunque su interessi
propri del ricorrente stesso, come quello alla salute o al
valore ambientale (Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2004,
n. 5516).
Nel merito poi va rilevato che il Comune di Seregno non ha
manifestato una volontà di precludere in modo assoluto sul
suo territorio l’applicazione della legge regionale n. 13
del 2009, non essendo poi illegittimo, nell’individuare le
parti del proprio territorio nelle quali il Piano casa in
tutto od in parte non trova applicazione, fare riferimento
alle aree come individuate dagli strumenti urbanistici
esistenti (in particolare alle norme ed alle classificazioni
delle aree poste nelle NTA vigenti nel Comune).
Alcune zone sono escluse già dalla legge regionale (ad es. i
centri storici e le zone individuate dagli strumenti
urbanistici vigenti o adottati quali nuclei di antica
formazione: in proposito cfr. art. 3 della legge regionale
citata) sicché è evidente che anche il Comune nell’adottare
la delibera di cui all’art. 5, comma 6, della legge
regionale della Lombardia n. 13 del 2009 può fare
riferimento agli strumenti urbanistici ed alle
classificazioni delle NTA, non potendosi accettare
un’interpretazione della normativa secondo la quale il
Comune sarebbe legittimato ad escludere solo specifiche
parti del territorio (difficile da individuarsi un limite) e
non potrebbe fare riferimento alla vigente zonizzazione.
Resta fermo che la disciplina posta dal Comune non può
determinare preclusioni o limiti assoluti all’operatività
della disciplina del Piano casa regionale.
Ma tanto non è avvenuto nel caso di specie.
Più in particolare va rilevato che il Comune, con
motivazione ragionevole tenuto conto della natura dell’area
disciplinata quale già definita dalle NTA, ha escluso
l’applicazione dell’art. 3 della predetta legge regionale
nelle zone B1, al fine di tutelare le loro peculiarità
storiche, paesaggistico ambientali ed urbanistiche ed ha
disposto che tale esclusione non sia assoluta perché sono
stati fatti salvi gli interventi che rispettino l’altezza
delle gronde esistenti, con la sola possibilità di
allineamento alla gronda adiacente se di altezza superiore.
La finalità dell’esclusione della zona BP1 può individuarsi
anche -come si evince complessivamente dalla relazione
allegata alla delibera- nell’esigenza di evitare gravi
ripercussioni in termini di carichi urbanistici derivante
dalla trasformazione di destinazioni produttive in
destinazioni residenziali sicché anche sotto questo profilo
appare ragionevole ed immune da censure la specifica
motivazione dell’atto.
Va ricordato, nella specie, che la legge regionale della
Lombardia richiede una specifica motivazione sul punto, a
sostegno dell’individuazione delle parti del territorio
nelle quali le disposizioni indicate nell’art. 6 non trovano
applicazione (art. 5, comma 6, della legge regionale n. 13 del
2009 ).
Sicché ammesso –come si è detto- che le parti del
territorio possano anche astrattamente coincidere con le
zone individuate dalla strumentazione urbanistica in via
generale, occorre tuttavia che l’ente comunale chiarisca
concretamente per quali ragioni è addivenuto a tale scelta.
Ciò il Comune ha fatto nella relazione allegata alla
delibera.
Vanno a questo proposito riportate testualmente le
motivazioni della relazione allegata alla delibera
impugnata.
Circa la zona B1 la relazione si esprime nel modo seguente:
“Propone inoltre di escludere dall’applicazione dell’art. 3
le Cortine edilizie ricadenti nelle zone residenziali B1 B2
B3.
Al fine di conservare la struttura urbana consolidata,
mantenere l’omogeneità insediativa, preservare i fronti
continui di edificazione e consentire microtrasformazioni
che garantiscano la conservazione del principio insediativo
esistente e consentano la riqualificazione dell’immagine
della strada.
Sono fatti salvi gli interventi che rispettino le altezze
delle grondaie esistenti, con la sola possibilità di
allineamento alla gronda adiacente se di altezza superiore”.
Il Comune ha poi escluso dall’applicazione del “piano casa”
anche –e ciò rileva per quanto prima detto circa
l’incidenza diretta sull’interesse proprietario- la zona
BP1.
Circa la zona BP1 si è deciso di escludere tali aree
motivando nel modo seguente: “Zone produttive esistenti BP1
… gli edifici produttivi esistenti nelle zone BP1… ubicate
in zona a prevalente destinazione residenziale in quanto
l’eventuale riuso potrebbe comportare la dismissione delle
attività produttive esistenti e, in assenza di una
pianificazione attuativa, avere gravi ripercussioni in
termini di carichi urbanistici, carenza di servizi e
parcheggi anche in relazione all’elevata consistenza
volumetrica degli edifici”.
La scelta effettuata, motivata nei suddetti limiti, risulta
ben concreta e specifica; essa poi non è generalizzata a
tutto il territorio comunale che è suddiviso in ben sette
zone.
Inoltre la deroga alla legge regionale, non assoluta in zona
B1, è adottata per salvaguardare le cortine esistenti e, fra
l’altro, per mantenere omogeneità insediativa, mentre nella
zona BP1 è adottata per mitigare i carichi urbanistici.
Ciò è, in definitiva, conforme al ruolo riservato dalla
Costituzione al Comune, quale ente titolare delle funzioni
amministrative nel disegno del c.d. federalismo d’esecuzione
(art. 118 Cost. ed art. 5, comma 6, della legge regionale n.
13 del 2009) sicché il potere di deroga va letto nel quadro
di un generale ruolo dell’ente locale –riconosciuto dalla
stessa legislazione regionale lombarda- di salvaguardia
delle esigenze della comunità amministrata anche quando, nel
governo del territorio, per scelte nazionali, prevalgano
spinte e direttive chiare verso una maggiore suscettibilità
edificatoria dei suoli.
Nessuno sviamento od eccesso di potere quindi sussiste nella
specie ma solo l’esercizio delle potestà assegnate al Comune
dalla legge regionale in ossequio al dettato costituzionale
sul riparto di funzioni fra amministrazione regionale (cui
spetta legiferare) e locale (cui spetta pur sempre
amministrare ossia concretizzare il disegno legislativo).
In ultimo va rilevato che la prescrizione della delibera in
esame che, dopo aver dettato una disciplina di indici di
fabbricabilità dei parcheggi (1 mq. per ogni 10 mc. di
costruzione), prevede un nesso di pertinenzialità avuto
riguardo al lotto in cui preesistono i fabbricati oggetto di
intervento ed escludendo la monetizzazione, è legittima.
Essa appare esercizio di facoltà concesse al Comune dalla
legge regionale più volte citata che, all’art. 5, comma 6,
legittima il Comune a fornire “prescrizioni circa modalità
di applicazione della presente legge con riferimento alla
necessità di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali”.
Né rileva la legge urbanistica generale n. 12 del 2005
atteso il valore specifico della prescrizione in esame volta
ad ovviare ad una situazione di eccezionale ed improvviso
incremento abitativo, a fini di ordinato sviluppo dell’urbe.
La mancata riduzione degli oneri di urbanizzazione poi non è
illegittima alla luce dell’art. 5, comma 4, della legge
regionale n. 13 del 2009 che riconosce ai Comuni una mera
facoltà di ridurre tali oneri e non un obbligo (Consiglio
di stato, Adunanza Generale,
parere 06.06.2012 n. 2735 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai
fini del rilascio della concessione edilizia
è necessaria una relazione qualificata a
contenuto reale dell'istante con il bene, e
cioè la qualità di proprietario,
superficiario, affittuario di fondi rustici,
usufruttuario dello stesso, anche se in
formazione, non essendo sufficiente il solo
rapporto obbligatorio, in quanto il diritto
a costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di
godimento che autorizzi a disporre un
intervento costruttivo.
All'usufruttuario è comunque riconosciuta
la legittimazione al rilascio del permesso
di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i
soggetti legittimati oltre al proprietario
anche coloro che «abbiano titolo per
richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra
gli aventi titolo rientri anche
l'usufruttuario del bene, che, quale
titolare di un diritto reale di godimento,
gode di una relazione qualificata con il
bene medesimo.
-------------
Nel ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino la vicinitas
è condizione necessaria, ma non sufficiente
a radicare, ferma la legittimazione,
l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio
concreto alle facoltà dominicali del
ricorrente.
La dimostrata titolarità a chiedere ed
ottenere la concessione edilizia su un
fondo, da parte dell’usufruttuario, importa
che lo stesso in via di principio sia
legittimato a contestare la legittimità del
permesso di costruire rilasciato al vicino,
purché sussistano i presupposti della
vicinitas e del concreto pregiudizio alle
facoltà dominicali, che si è visto essere il
proprium della legittimazione ad agire in
subiecta materia.
---------------
Per costante quanto condivisibile
giurisprudenza della Corte di Cassazione
l’usufruttuario al cospetto dei terzi
esercita i diritti del pieno possessore
(“l'usufruttuario, ancorché possessore
rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il
nudo proprietario, mero detentore del bene,
con la conseguenza che egli può usucapirne
la proprietà solo ponendo in essere un atto
d'interversione del possesso, esteriorizzato
in maniera inequivocabile e riconoscibile,
vale a dire attraverso un'attività durevole,
contrastante e incompatibile con il possesso
altrui”) e pertanto i diritti nascenti da
detta posizione giuridica non possono essere
condizionati dalla sussistenza –o meno– di
un rapporto di detenzione con il bene
materiale (è appena il caso di rammentare
che per tradizione risalente al diritto
romano classico il possesso può esercitarsi
“solo animo”).
Deve premettersi che la giurisprudenza amministrativa, muovendo dal
tenore letterale dell’art. 11 del dPR n.
380/2001, ha costantemente affermato che ”ai
fini del rilascio della concessione edilizia
è necessaria una relazione qualificata a
contenuto reale dell'istante con il bene, e
cioè la qualità di proprietario,
superficiario, affittuario di fondi rustici,
usufruttuario dello stesso, anche se in
formazione, non essendo sufficiente il solo
rapporto obbligatorio, in quanto il diritto
a costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di
godimento che autorizzi a disporre un
intervento costruttivo” (Consiglio Stato,
sez. IV, 08.06.2007, n. 3027);
”all'usufruttuario è comunque riconosciuta
la legittimazione al rilascio del permesso
di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i
soggetti legittimati oltre al proprietario
anche coloro che «abbiano titolo per
richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra
gli aventi titolo rientri anche
l'usufruttuario del bene, che, quale
titolare di un diritto reale di godimento,
gode di una relazione qualificata con il
bene medesimo” (TAR Campania Napoli,
sez. VIII, 07.03.2011, n. 1318).
Costituisce altresì principio fondante in
materia quello per cui “nel ricorso proposto
avverso il permesso di costruire rilasciato
al vicino la vicinitas è condizione
necessaria, ma non sufficiente a radicare,
ferma la legittimazione, l'interesse al
ricorso, il quale richiede anche la
dimostrazione del pregiudizio concreto alle
facoltà dominicali del ricorrente”
(Consiglio Stato, sez. IV, 24.01.2011, n. 485).
La dimostrata titolarità a chiedere ed
ottenere la concessione edilizia su un
fondo, da parte dell’usufruttuario, importa
che lo stesso in via di principio sia
legittimato a contestare la legittimità del
permesso di costruire rilasciato al vicino,
purché sussistano i presupposti della
vicinitas e del concreto pregiudizio alle
facoltà dominicali, che si è visto essere il
proprium della legittimazione ad agire in
subiecta materia.
Posto che nel caso di specie la vicinitas è
certamente sussistente, ed il petitum
proposto dall’appellante in primo grado era
volto a censurare, tra l’altro, anche la
violazione del regime delle distanze, appare
al Collegio doveroso affermare che in via
astratta fosse incontestabile la
legittimazione ad agire dell’appellante.
---------------
E’ ben
noto al Collegio che la funzionalizzazione
del concetto di proprietà (comprensivo dei
diritti reali “parziari” o “minori”)
ascrivibile non soltanto all’art. 42 della
Costituzione induca a ritenere ormai privo
di cittadinanza, nel sistema, il brocardo
romanistico secondo cui il proprium dello
statuto proprietario si ravvisa nel “ius utendi fruendi et abutendi” .
Tuttavia resta incontestabile che le facoltà
attribuite dal titolo costitutivo
all’usufruttuario di un bene immobile
possano essere liberamente esercitabili da
questo; che la scelta di non esercitarle sia
allo stesso liberamente rimessa; che a
cagione di tale omesso esercizio, e sino
alla eventuale prescrizione estintiva del
diritto (art. 1014, n.1, del codice civile)
quest’ultimo si conservi immutato e
legittimi il titolare all’esercizio di tutte
le azioni a difesa del proprio diritto.
Si rammenta in proposito che, per costante
quanto condivisibile giurisprudenza della
Corte di Cassazione l’usufruttuario al
cospetto dei terzi esercita i diritti del
pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché
possessore rispetto ai terzi, è, nel
rapporto con il nudo proprietario, mero
detentore del bene, con la conseguenza che
egli può usucapirne la proprietà solo
ponendo in essere un atto d'interversione
del possesso, esteriorizzato in maniera
inequivocabile e riconoscibile, vale a dire
attraverso un'attività durevole,
contrastante e incompatibile con il possesso
altrui” - Cassazione civile, sez. II, 10.01.2011, n. 355) e pertanto i diritti
nascenti da detta posizione giuridica non
possono essere condizionati dalla
sussistenza –o meno– di un rapporto di
detenzione con il bene materiale (è appena
il caso di rammentare che per tradizione
risalente al diritto romano classico il
possesso può esercitarsi “solo animo”).
--------------
Tale legittimazione, peraltro, spetta
certamente all’usufruttuario (semmai, con
riferimento a particolari aspetti, si
potrebbe forse dubitare della legitimatio ad
causam del nudo proprietario: “la servitù
determina un rapporto tra fondi -di cui uno
fornisce utilità all'altro-, la
legittimazione processuale, attiva e
passiva, nei giudizi ove è contestata
l'esistenza di detto rapporto, compete a
coloro che al momento della domanda sono
titolari delle situazioni giuridiche
dominicali rispettivamente avvantaggiate e
svantaggiate dalla servitù.
Tuttavia, quando
il godimento completo del bene, cui si
riferisce -in linea di vantaggio o di
svantaggio- la contestata situazione di
servitù, spetta non al proprietario, ma al
titolare del diritto di usufrutto, al quale
è assimilabile il concessionario di bene
demaniale, a tale soggetto -usufruttuario o
concessionario- si estende la legittimazione
processuale, attiva e passiva, ai sensi
dell'art. 1012, comma 2, c.c., che,
legittimando espressamente l'usufruttuario
all'azione confessoria per la difesa della
servitù costituita a favore del fondo,
implica di per sé la legittimazione passiva
alla negatoria -costituente l'aspetto
negativo della confessoria-, salvo l'onere
-in base alla norma citata- di chiamare in
causa il proprietario che, quindi, deve
partecipare al giudizio come litisconsorte
necessario dell'usufruttuario o del
concessionario” Cassazione civile, sez. II,
29.01.1983, n. 819).
E ciò a prescindere dalla circostanza che
l’usufruttuario fosse anche detentore del
bene.
Sotto altro profilo, appare senz’altro
inammissibile, per quanto si è finora
chiarito (ma si veda anche: ”ove su di un
immobile coesistano il diritto del nudo
proprietario e quello dell'usufruttuario, il
possesso che acquista rilievo ai fini
dell'usucapione è, in primo luogo,
configurabile a favore dell'usufruttuario,
il quale può esercitarlo anche a vantaggio
del nudo proprietario, ampliandone il
godimento anche attraverso la costituzione
di servitù attive; peraltro, se il nudo
proprietario ha, di fatto, la disponibilità
del bene, possono assumere rilievo anche gli
atti di possesso dal medesimo compiuti,
l'esercizio dei quali costituisce onere
probatorio della parte che lo invochi” -Cassazione civile, sez. II, 14.10.2010, n. 21231-) che la inerzia del nudo
proprietario possa pregiudicare il diritto
di difesa dell’usufruttuario (e viceversa):
anche le dette eccezioni devono pertanto
essere disattese, e, per concludere sul
tema, nessuna refluenza spiega sull’odierno
giudizio la circostanza prospettata alle
pagg. 10 ed 11 della memoria depositata
dalla Parco Costruzioni Srl secondo cui il
padre dell’appellante Signor P.P.
avrebbe posto in vendita il complesso
immobiliare di propria pertinenza (e ciò sia
perché, in ossequio al principio nemo plus
iuris transferre potest quam ipse habet,
tale volontà dismissiva non potrebbe
riguardare l’usufrutto di pertinenza
dell’appellante; sia perché la volontà di
alienare un bene non implica rinuncia alle
azioni proposte, e men che meno sopravvenuta
carenza di interesse, posto che l’esito
favorevole di una lite potrebbe in ipotesi
arrecare un incremento di valore del bene
dallo stesso posseduto, sia, infine, perché
a tale volontà di alienare la proprietà del
bene non è seguita, comunque, la
stipulazione di alcuna compravendita: in
ogni caso l’appellante ha proposto azione
risarcitoria, e ciò esclude la ravvisabilità
di profili di sopravvenuta carenza di
interesse)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.06.2012 n. 3300 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2012 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI:
Ancorché un impianto di
trattamento di rifiuti ricada in altro
vicino comune, non può negarsi che esso
arrechi (o sia astrattamente in grado di
arrecare) disagi e danni non solo agli
appartenenti del comune di ubicazione, ma
anche ai cittadini dei comuni limitrofi:
deve essere pertanto riconosciuta la
legittimazione e l’interesse ad agire anche
al comune limitrofo (a quello in cui è
ubicata o deve essere ubicata una discarica
di rifiuti), quale ente esponenziale della
collettività stanziata sul proprio
territorio e portatore in via continuativa
degli interessi diffusi radicati sul proprio
territorio, non potendo la legittimazione ad
agire essere subordinata alla prova di una
concreta pericolosità dell’impianto.
Secondo un condivisibile indirizzo
giurisprudenziale, da cui la Sezione non
ritiene di doversi discostare, ancorché un
impianto di trattamento di rifiuti ricada in
altro vicino comune, non può negarsi che
esso arrechi (o sia astrattamente in grado
di arrecare) disagi e danni non solo agli
appartenenti del comune di ubicazione, ma
anche ai cittadini dei comuni limitrofi:
deve essere pertanto riconosciuta la
legittimazione e l’interesse ad agire anche
al comune limitrofo (a quello in cui è
ubicata o deve essere ubicata una discarica
di rifiuti), quale ente esponenziale della
collettività stanziata sul proprio
territorio e portatore in via continuativa
degli interessi diffusi radicati sul proprio
territorio (C.d.S., sez. V, 03.05.2006,
n. 2471; 20.02.2006, n. 695), non
potendo la legittimazione ad agire essere
subordinata alla prova di una concreta
pericolosità dell’impianto (C.d.S., sez. VI,
20.05.2004, n. 3262)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.05.2012 n. 3254 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell’impugnazione di un’ordinanza di
demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali
sia necessario instaurare un
contraddittorio, anche nel caso in cui sia
palese la posizione di vantaggio che
scaturirebbe per il terzo dall’esecuzione
della misura repressiva ed anche quando il
terzo avesse provveduto a segnalare
all’amministrazione l’illecito edilizio da
altri commesso.
Tale orientamento si fonda sulla
considerazione che la qualità di
controinteressato, cui il ricorso deve
essere notificato, va riconosciuta non già a
chi abbia un interesse, anche legittimo, a
mantenere in vita il provvedimento impugnato
e tanto meno a chi ne subisca conseguenze
soltanto indirette o riflesse, ma solo a chi
dal provvedimento stesso riceva un vantaggio
diretto e immediato, ossia un positivo
ampliamento della propria sfera giuridica.
Va da sé, inoltre, che il riconoscimento di
una posizione di controinteressato non opera
in relazione ad esigenze processuali, ma
deve essere condotto sulla scorta del
cosiddetto elemento "sostanziale", cioè
sulla base dell’individuazione della
titolarità di un interesse analogo e
contrario alla posizione legittimante del
ricorrente, ovvero del cosiddetto elemento
"formale", cioè sulla base della indicazione
nominativa nel provvedimento di colui che ne
abbia un interesse qualificato alla
conservazione.
Traslando tali principi in materia edilizia
-ed in particolare con riguardo a
provvedimenti di natura repressiva di
illecito edilizio,- consegue che i
proprietari confinanti dell’area nella quale
è stato realizzato un manufatto abusivo del
quale è stata ordinata la demolizione
dall’Autorità competente, non rivestono la
posizione giuridica di controinteressati nel
giudizio instaurato per l'annullamento del
provvedimento demolitorio.
---------------
Il principio suddetto non sembra estensibile
al caso non già di un “generico vicino di
casa”, ma di un soggetto il cui diritto di
proprietà risulta direttamente leso da
un’opera edilizia abusiva, come nel caso di
sopraelevazione di un muro in violazione
delle norme sulle distanze tra edifici, che
sia soggetto denunciante nel procedimento
amministrativo, contemplato nel procedimento
e nel provvedimento finale, e che sarebbe
legittimato a impugnare una ipotetica
concessione edilizia che autorizzasse
l’opera, e che pertanto è direttamente
avvantaggiato dal diniego di concessione
edilizia e dall’ordine di demolizione.
In tale prospettiva, un’altra giurisprudenza
ha infatti osservato che il vicino
danneggiato dall’esecuzione di opere
edilizie abusive è soggetto che ha un
interesse qualificato a difendere la propria
posizione giuridica di titolare di un
diritto di proprietà su parti comuni (tetto
condominiale) dell’immobile in cui sono
stati realizzati i lavori, sicché questi
riveste la posizione di controinteressato
rispetto all’impugnazione del provvedimento
di revoca della concessione edilizia in
sanatoria.
Tale giurisprudenza, pur condividendo in
linea di principio l’orientamento secondo
cui in linea di principio il denunciante un
abuso edilizio, o il vicino di casa, non
sono controinteressati nel giudizio proposto
avverso un ordine di demolizione o un atto
di ritiro di un precedente titolo
abilitativo edilizio, osserva che occorre
distinguere, rispetto alla generica
posizione del denunciante o del vicino di
casa, quella del soggetto specificamente e
direttamente danneggiato dall’abuso
edilizio.
Si osserva in tale pronuncia che “il vicino,
sebbene abbia provocato interventi
repressivi o in via di autotutela, non
assume la veste di controinteressato nei
ricorsi che il titolare della concessione
edilizia promuove avverso provvedimenti di
revoca e/o di annullamento di ufficio“.
Tuttavia, secondo tale pronuncia, rispetto
al “vicino che, a motivo della sua
sensibilità civica e culturale, vuole
intraprendere azioni giudiziarie per la
tutela di beni vincolati”, diversa è la
posizione del “vicino che è stato
danneggiato dalla esecuzione delle opere
edilizie realizzate (…). Non si tratta,
quindi, di un vicino qualunque, ma di un
soggetto che ha un interesse qualificato a
difendere la propria posizione giuridica di
titolare di un diritto di proprietà (…)”.
Nella stessa prospettiva si è affermato che
il vicino è controinteressato quando
l’adozione del provvedimento di demolizione,
recante comunque il nominativo del
controinteressato, è stata non solo
sollecitata da un esposto del vicino, ma è
stata anche preceduta da atto prodromico
(comunicazione di avvio di procedimento, a’
sensi dell’art. 7 e ss. della l. 07.08.1990,
n. n. 241) parimenti comunicante il
nominativo del controinteressato predetto,
dovendosi comunque distinguere tra la
posizione di colui che è titolare di un
generico interesse a mantenere efficace il
provvedimento impugnato e la posizione di
colui che dal provvedimento medesimo
viceversa riceve un vantaggio diretto e
immediato (nel caso di specie, il ripristino
delle distanze d’obbligo tra il proprio
edificio e quello del ricorrente), con la
conseguente individuazione della posizione
obbligatoriamente inclusa nel
contraddittorio sia procedimentale che
processuale.
Rilevano pertanto sia il c.d. elemento
“sostanziale” (titolarità di un interesse
analogo e contrario alla posizione
legittimante del ricorrente), sia il c.d.
elemento “formale” (indicazione nominativa
nel provvedimento di colui che ne abbia un
interesse qualificato alla conservazione).
Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale, espresso
dal Consiglio di Stato, secondo cui
“nell’impugnazione di un’ordinanza di
demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali
sia necessario instaurare un
contraddittorio, anche nel caso in cui sia
palese la posizione di vantaggio che
scaturirebbe per il terzo dall’esecuzione
della misura repressiva ed anche quando il
terzo avesse provveduto a segnalare
all’amministrazione l’illecito edilizio da
altri commesso” (Cons. St., sez. IV, 06.06.2011 n. 3380; Id., sez. V,
03.07.1995, n. 991).
Tale orientamento si fonda sulla
considerazione che la qualità di
controinteressato, cui il ricorso deve
essere notificato, va riconosciuta non già a
chi abbia un interesse, anche legittimo, a
mantenere in vita il provvedimento impugnato
e tanto meno a chi ne subisca conseguenze
soltanto indirette o riflesse, ma solo a chi
dal provvedimento stesso riceva un vantaggio
diretto e immediato, ossia un positivo
ampliamento della propria sfera giuridica.
Va da sé, inoltre, che il riconoscimento di
una posizione di controinteressato non opera
in relazione ad esigenze processuali, ma
deve essere condotto sulla scorta del
cosiddetto elemento "sostanziale", cioè
sulla base dell’individuazione della
titolarità di un interesse analogo e
contrario alla posizione legittimante del
ricorrente, ovvero del cosiddetto elemento
"formale", cioè sulla base della indicazione
nominativa nel provvedimento di colui che ne
abbia un interesse qualificato alla
conservazione.
Traslando tali principi in materia edilizia
-ed in particolare con riguardo a
provvedimenti di natura repressiva di
illecito edilizio,- consegue che i
proprietari confinanti dell’area nella quale
è stato realizzato un manufatto abusivo del
quale è stata ordinata la demolizione
dall’Autorità competente, non rivestono la
posizione giuridica di controinteressati nel
giudizio instaurato per l'annullamento del
provvedimento demolitorio.
Tuttavia il principio suddetto non
sembra estensibile al caso non già di un
“generico vicino di casa”, ma di un soggetto
il cui diritto di proprietà risulta
direttamente leso da un’opera edilizia
abusiva, come nel caso di sopraelevazione di
un muro in violazione delle norme sulle
distanze tra edifici, che sia soggetto
denunciante nel procedimento amministrativo,
contemplato nel procedimento e nel
provvedimento finale, e che sarebbe
legittimato a impugnare una ipotetica
concessione edilizia che autorizzasse
l’opera, e che pertanto è direttamente
avvantaggiato dal diniego di concessione
edilizia e dall’ordine di demolizione.
In tale prospettiva, un’altra giurisprudenza
ha infatti osservato che il vicino
danneggiato dall’esecuzione di opere
edilizie abusive è soggetto che ha un
interesse qualificato a difendere la propria
posizione giuridica di titolare di un
diritto di proprietà su parti comuni (tetto
condominiale) dell’immobile in cui sono
stati realizzati i lavori, sicché questi
riveste la posizione di controinteressato
rispetto all’impugnazione del provvedimento
di revoca della concessione edilizia in
sanatoria (Cons. St., sez. VI, 29.05.2007, n. 2742).
Tale giurisprudenza, pur condividendo in
linea di principio l’orientamento secondo
cui in linea di principio il denunciante un
abuso edilizio, o il vicino di casa, non
sono controinteressati nel giudizio proposto
avverso un ordine di demolizione o un atto
di ritiro di un precedente titolo
abilitativo edilizio, osserva che occorre
distinguere, rispetto alla generica
posizione del denunciante o del vicino di
casa, quella del soggetto specificamente e
direttamente danneggiato dall’abuso
edilizio.
Si osserva in tale pronuncia che “il vicino,
sebbene abbia provocato interventi
repressivi o in via di autotutela, non
assume la veste di controinteressato nei
ricorsi che il titolare della concessione
edilizia promuove avverso provvedimenti di
revoca e/o di annullamento di ufficio“. Tuttavia, secondo tale pronuncia, rispetto
al “vicino che, a motivo della sua
sensibilità civica e culturale, vuole
intraprendere azioni giudiziarie per la
tutela di beni vincolati”, diversa è la
posizione del “vicino che è stato
danneggiato dalla esecuzione delle opere
edilizie realizzate (…). Non si tratta,
quindi, di un vicino qualunque, ma di un
soggetto che ha un interesse qualificato a
difendere la propria posizione giuridica di
titolare di un diritto di proprietà (…)”.
Nella stessa prospettiva si è affermato che
il vicino è controinteressato quando
l’adozione del provvedimento di demolizione,
recante comunque il nominativo del
controinteressato, è stata non solo
sollecitata da un esposto del vicino, ma è
stata anche preceduta da atto prodromico
(comunicazione di avvio di procedimento, a’
sensi dell’art. 7 e ss. della l. 07.08.1990, n. n. 241) parimenti comunicante il
nominativo del controinteressato predetto,
dovendosi comunque distinguere tra la
posizione di colui che è titolare di un
generico interesse a mantenere efficace il
provvedimento impugnato e la posizione di
colui che dal provvedimento medesimo
viceversa riceve un vantaggio diretto e
immediato (nel caso di specie, il ripristino
delle distanze d’obbligo tra il proprio
edificio e quello del ricorrente), con la
conseguente individuazione della posizione
obbligatoriamente inclusa nel
contraddittorio sia procedimentale che
processuale.
Rilevano pertanto sia il c.d. elemento
“sostanziale” (titolarità di un interesse
analogo e contrario alla posizione
legittimante del ricorrente), sia il c.d.
elemento “formale” (indicazione nominativa
nel provvedimento di colui che ne abbia un
interesse qualificato alla conservazione)
(Cons. St., sez. IV, 13.07.2011, n. 4233) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.05.2012 n. 3212 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Trattandosi di proprietà
finitime, sussiste una situazione soggettiva
ed oggettiva di stabile collegamento con
l’area coinvolta dalla costruzione che,
qualora illegittimamente assentita, è idonea
ad arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima che
legittima la proposizione del ricorso.
Pertanto, nel caso di specie, la qualifica
giuridica di proprietario di un bene
immobile confinante deve di per sé ritenersi
idonea a creare la legittimazione e
l'interesse al ricorso, non occorrendo
altresì la verifica della concreta lesione
di un qualsiasi altro interesse di rilevanza
giuridica, riferibile a norme di diritto
privato o di diritto pubblico.
Neppure coglie
nel segno l’eccezione di inammissibilità per
carenza di interesse, considerato che la
Sig.ra Maria Teresa Camerlengo è
comproprietaria confinante dell’area
interessata dal progetto edilizio de quo.
Trattandosi quindi di proprietà finitime,
sussiste una situazione soggettiva ed
oggettiva di stabile collegamento con l’area
coinvolta dalla costruzione che, qualora
illegittimamente assentita, è idonea ad
arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima che
legittima la proposizione del ricorso.
Non resta quindi che fare applicazione del
consolidato orientamento giurisprudenziale,
da cui il Collegio non ritiene di
discostarsi, secondo cui la qualifica
giuridica di proprietario di un bene
immobile confinante deve di per sé ritenersi
idonea a creare la legittimazione e
l'interesse al ricorso, non occorrendo
altresì la verifica della concreta lesione
di un qualsiasi altro interesse di rilevanza
giuridica, riferibile a norme di diritto
privato o di diritto pubblico (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 23.01.2012 n. 284;
05.01.2011 n. 18; 04.05.2010 n. 2565;
29.07.2009 n. 4756; 31.05.2007 n. 2849; TAR
Campania Napoli, Sez. VIII, 08.04.2011 n.
2028)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 23.05.2012 n. 2400 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il criterio della vicinitas ed il danno risentito per la
realizzazione dell'opera in (ritenuta)
violazione delle distanze e del carico
urbanistico della zona, integrano,
rispettivamente, la legittimazione al
ricorso e l'interesse concreto ed attuale,
ai sensi dell’art. 100 cpc, all'impugnativa,
da parte della ricorrente, proprietaria di
un fondo confinante, configurando ex se una
posizione qualificata e differenziata al
corretto assetto del territorio, a
prescindere da qualsiasi esame sul tipo di
lesione che, in concreto, possa essere
riconducibile alle opere compiute.
---------------
In materia di rilascio di titoli edilizi,
non sussiste identità tra le posizioni di
coloro che sono legittimati ad impugnare il
provvedimento finale e di coloro che hanno
titolo a ricevere l'avviso del procedimento
e/o che possono intervenirvi.
Invero, quando è proposta una domanda di
concessione edilizia, il vicino del
richiedente può intervenire nel corso del
relativo procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza, ma non
ha titolo per ricevere l'avviso dell'avvio
del procedimento, in quanto ciò
comporterebbe un inutile aggravio per la
P.A., in contrasto con i principi di
economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa.
Invero, il criterio della vicinitas ed il danno risentito per la
realizzazione dell'opera in (ritenuta)
violazione delle distanze e del carico
urbanistico della zona, integrano,
rispettivamente, la legittimazione al
ricorso e l'interesse concreto ed attuale,
ai sensi dell’art. 100 cpc, all'impugnativa,
da parte della ricorrente, proprietaria di
un fondo confinante, configurando ex se una
posizione qualificata e differenziata al
corretto assetto del territorio, a
prescindere da qualsiasi esame sul tipo di
lesione che, in concreto, possa essere
riconducibile alle opere compiute (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 20.10.2010, n. 7591).
---------------
Secondo
un principio generale in materia di rilascio
di titoli edilizi, non sussiste identità tra
le posizioni di coloro che sono legittimati
ad impugnare il provvedimento finale e di
coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso
del procedimento e/o che possono
intervenirvi (ex plurimis: Cons. Stato Sez.
VI: 12.04.2000 n. 2185 e 15.09.1999 n. 1197).
Invero, quando è proposta una domanda di
concessione edilizia, il vicino del
richiedente può intervenire nel corso del
relativo procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza, ma non
ha titolo per ricevere l'avviso dell'avvio
del procedimento, in quanto ciò
comporterebbe un inutile aggravio per la
P.A., in contrasto con i principi di
economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa (conf.: Cons. Stato, Sez. VI,
18.04.2005 n. 1773).
Né, nel caso di specie, risulta comprovata
una posizione differenziata, che abilitava
la ricorrente a ricevere detta comunicazione
(per effetto della presentazione di diffide,
esposti, istanze di accesso etc., intese ad
evidenziare alla P.A. la supposta
illegittimità dell’opera), qualificandola
alla stregua di controinteressata in sede
procedimentale: infatti, nella nota del
Comune prot. 16362 del 15.04.2008, si
indicano genericamente soltanto “ripetute
denunce circa la conformità dei lavori di
completamento”, senza alcun riferimento a
dati ed elementi certi.
Inoltre, non vi è prova in atti che il
Comune sia stato reso edotto del contenzioso
civile pendente fra la ricorrente e la
controinteressata società, in ordine
all’attività edilizia per cui è causa
(TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I,
sentenza 09.05.2012 n. 433 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
fatto che i ricorrenti vivano abitualmente
in prossimità del sito prescelto per la
realizzazione dell'intervento di che
trattasi appare sufficiente a legittimare il
ricorso, in ragione dell'interesse
rappresentato dalla "semplice possibilità
di ricavare dalla invocata decisione di
accoglimento una qualche utilità pratica,
indiretta ed eventuale.
Più in
particolare, nel caso di ricorso proposto da
persone fisiche, la vicinitas vale a
fondare la legittimazione, perché chi la
invoca allega, implicitamente, un
pregiudizio, effettivo o temuto, alla
propria salute, che è diritto fondamentale
ai sensi dell'art. 32 della Costituzione e
quindi sicuramente abilita il titolare leso
a richiedere la tutela giurisdizionale.
La giurisprudenza (cfr. tra le tante C.d.S.
sez. V 18.08.2010 n. 5819) ha chiarito che "il
fatto che i ricorrenti vivano abitualmente
in prossimità del sito prescelto per la
realizzazione" dell'intervento di che
trattasi appare sufficiente a legittimare il
ricorso, in ragione dell'interesse
rappresentato dalla "semplice possibilità
di ricavare dalla invocata decisione di
accoglimento una qualche utilità pratica,
indiretta ed eventuale".
Più in
particolare, nel caso di ricorso proposto da
persone fisiche, la vicinitas vale a
fondare la legittimazione, perché chi la
invoca allega, implicitamente, un
pregiudizio, effettivo o temuto, alla
propria salute, che è diritto fondamentale
ai sensi dell'art. 32 della Costituzione e
quindi sicuramente abilita il titolare leso
a richiedere la tutela giurisdizionale
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.05.2012 n. 795 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'impugnazione dei
titoli edilizi è consentita in capo a
chiunque si trovi in una situazione di
stabile collegamento con la zona interessata
dalla costruzione assentita, a prescindere
da ogni indagine sulla sussistenza di un
ulteriore specifico interesse, essendo
sufficiente la cd. vicinitas, quale elemento
che distingue la posizione giuridica del
ricorrente da quella della generalità dei
consociati, di talché è corretto
riconoscere, a chi si trovi in tale
situazione, un interesse tutelato a ché il
provvedimento dell'Amministrazione sia
procedimentalmente e sostanzialmente
ossequioso delle norme vigenti in materia.
Deve essere infatti riconosciuta la
posizione di interesse che consente
l'impugnativa a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la
zona, senza che sia necessaria la prova di
un danno specifico, essendo questo insito
nella violazione edilizia. Consegue che la
stessa posizione della società ricorrente di
confinaria con l’area oggetto degli
interventi contestati ne qualifica
l’interesse sostanziale dedotto in giudizio,
senza che in proposito siano necessari
ulteriori verifiche dei possibili vantaggi
correlati alla declaratoria giudiziale
d’illegittimità degli eventi lesivi.
---------------
Il soggetto legittimato all’impugnativa
incorre nella decadenza solo se abbia avuto
la possibilità di rendersi conto della
concreta lesività del provvedimento, tenuto
conto che in materia edilizia ai fini
dell’inizio della decorrenza del termine per
impugnare i titoli legittimanti non basta la
semplice notizia del rilascio dell’atto o la
vaga cognizione del suo contenuto.
Di per sé la pubblicità di fatto, attuata
mediante cartello di cantiere, non è
rilevante per provocare la piena conoscenza,
anche se indica gli estremi del
provvedimento, così come il mero inizio o lo
svolgimento dei lavori di costruzione, o la
pubblicazione del progetto all’albo
pretorio.
Viceversa la giurisprudenza si è consolidata
nel ritenere che possono trarsi decisivi
elementi presuntivi qualora le opere
rivelino, in modo certo e univoco, le loro
caratteristiche e, quindi, l'entità delle
violazioni urbanistiche e della lesione
eventualmente derivante dal provvedimento,
poiché solo in tale momento possono essere
apprezzate le dimensioni e le
caratteristiche delle opere realizzate,
spettando comunque al resistente la prova
certa della piena conoscenza da parte del
ricorrente del contenuto del progetto
approvato.
Invero, se quanto convenuto dalla
giurisprudenza in tema di impugnazione dei
titoli edificatori corrisponde alla
necessità di temperare i rigidi principi
letterali normativi con la logica, sottesa
alla disciplina della decadenza processuale
nel giudizio amministrativo, di correlare
l’azione alla conoscenza effettiva della
lesività riveniente da irregolarità nel
rilascio dei provvedimenti, non va
trascurata la corrispondente necessità di
garantire la certezza delle situazioni ai
titolari dei permessi di costruire, già
concessioni edificatorie, onde evitare che
permanga in perpetuo incertezza sulla sorte
dei titoli stessi e degli impegni e obblighi
assunti sul presupposto della loro validità;
resta pertanto in capo a coloro che vedono
le proprie posizioni soggettive coinvolte
dai titoli che ritengano illegittimi l’onere
di adoprarsi con la massima diligenza per
tutelare senza indugio i propri interessi.
Sul tema dell’ammissibilità del ricorso in
ragione dell’interesse azionato la
giurisprudenza è attestata nel riconoscere
che l'impugnazione dei titoli edilizi è
consentita in capo a chiunque si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona interessata dalla costruzione
assentita, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore specifico
interesse, essendo sufficiente la cd.
vicinitas, quale elemento che distingue
la posizione giuridica del ricorrente da
quella della generalità dei consociati, di
talché è corretto riconoscere, a chi si
trovi in tale situazione, un interesse
tutelato a ché il provvedimento
dell'Amministrazione sia procedimentalmente
e sostanzialmente ossequioso delle norme
vigenti in materia (Cons. St., IV,
23.01.2012 n. 284; TAR Campania, Napoli, VI,
02.02.2012 n. 526).
Deve essere infatti riconosciuta la
posizione di interesse che consente
l'impugnativa a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la
zona, senza che sia necessaria la prova di
un danno specifico, essendo questo insito
nella violazione edilizia. Consegue che la
stessa posizione della società ricorrente di
confinaria con l’area oggetto degli
interventi contestati ne qualifica
l’interesse sostanziale dedotto in giudizio,
senza che in proposito siano necessari
ulteriori verifiche dei possibili vantaggi
correlati alla declaratoria giudiziale
d’illegittimità degli eventi lesivi.
--------------
Per quanto riguarda la corretta proposizione
del ricorso nei tempi utili a evitarne la
decadenza va richiamata la giurisprudenza
costante del Giudice Amministrativo, secondo
la quale il soggetto legittimato
all’impugnativa incorre nella decadenza solo
se abbia avuto la possibilità di rendersi
conto della concreta lesività del
provvedimento, tenuto conto che in materia
edilizia ai fini dell’inizio della
decorrenza del termine per impugnare i
titoli legittimanti non basta la semplice
notizia del rilascio dell’atto o la vaga
cognizione del suo contenuto (Cons. St., IV,
18.06.2009 n. 4015).
Di per sé la pubblicità di fatto, attuata
mediante cartello di cantiere, non è
rilevante per provocare la piena conoscenza,
anche se indica gli estremi del
provvedimento, così come il mero inizio o lo
svolgimento dei lavori di costruzione, o la
pubblicazione del progetto all’albo pretorio
(Cons. St., IV, n. 4015/2009 cit.; id., V,
19.05.1998 n. 616)
Viceversa la giurisprudenza si è consolidata
nel ritenere che possono trarsi decisivi
elementi presuntivi qualora le opere
rivelino, in modo certo e univoco, le loro
caratteristiche e, quindi, l'entità delle
violazioni urbanistiche e della lesione
eventualmente derivante dal provvedimento
(TAR Lazio, II, 11.04.2011 n. 3193), poiché
solo in tale momento possono essere
apprezzate le dimensioni e le
caratteristiche delle opere realizzate,
spettando comunque al resistente la prova
certa della piena conoscenza da parte del
ricorrente del contenuto del progetto
approvato.
Invero, se quanto convenuto dalla
giurisprudenza in tema di impugnazione dei
titoli edificatori corrisponde alla
necessità di temperare i rigidi principi
letterali normativi con la logica, sottesa
alla disciplina della decadenza processuale
nel giudizio amministrativo, di correlare
l’azione alla conoscenza effettiva della
lesività riveniente da irregolarità nel
rilascio dei provvedimenti, non va
trascurata la corrispondente necessità di
garantire la certezza delle situazioni ai
titolari dei permessi di costruire, già
concessioni edificatorie, onde evitare che
permanga in perpetuo incertezza sulla sorte
dei titoli stessi e degli impegni e obblighi
assunti sul presupposto della loro validità;
resta pertanto in capo a coloro che vedono
le proprie posizioni soggettive coinvolte
dai titoli che ritengano illegittimi l’onere
di adoprarsi con la massima diligenza per
tutelare senza indugio i propri interessi (Cons.St.,
IV, 13.06.2011 n. 3583)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 04.05.2012 n. 4007 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2012 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI: Una distanza superiore al chilometro è
tale da far seriamente dubitare,
specialmente in assenza di puntuali
allegazioni ad opera della stessa parte,
dell’esistenza del presupposto della vicinitas: e questo pur tenendo nel debito
conto il principio per cui la vicinitas che
legittima la proposizione di un’impugnativa
non va necessariamente intesa come stretta
contiguità, bensì nel senso di uno stabile e
significativo collegamento del ricorrente,
da verificare caso per caso, con la zona il
cui ambiente s'intende proteggere.
---------------
L'azione innanzi al Giudice amministrativo
non rappresenta un'azione popolare che possa
essere esercitata dal quisque de populo.
Essa, al contrario, richiede l'esistenza sia
della legittimazione al ricorso (da
intendersi come titolarità di una posizione
giuridica differenziata rispetto alla
collettività indifferenziata, quale quella
che può radicarsi in una particolare
vicinitas), sia di un interesse al ricorso
(da intendersi come utilità, anche
strumentale, che possa derivare dal suo
accoglimento).
Il ricorso giurisdizionale è dunque
proponibile solo da chi abbia la titolarità
di un interesse legittimo e dimostri,
inoltre, che tale interesse possa subire una
lesione per la illegittimità dell'atto
impugnato.
La mera vicinanza di un fondo ad una
discarica non legittima per ciò solo ed
automaticamente il proprietario frontista ad
insorgere avverso il provvedimento
autorizzativo dell'opera, essendo
necessaria, al riguardo, anche la prova del
danno che egli da questa possa ricevere, per
quanto non sia permesso addossare su chi
agisca il gravoso onere della prova
dell'effettività del danno subendo allorché
la stessa prova non possa prescindere, in
concreto, dall'effettiva realizzazione
dell'impianto, il che finirebbe per svuotare
il principio costituzionale del diritto di
difesa.
La mera vicinanza di un'abitazione ad una
discarica non legittima, pertanto, il
proprietario frontista ad insorgere avverso
il provvedimento di approvazione dell'opera,
essendo al riguardo necessaria la prova del
danno che da questa egli riceva nella sua
sfera giuridica, o per il fatto che la
localizzazione dell'impianto riduce il
valore economico del fondo situato nelle sue
vicinanze, o perché le prescrizioni dettate
dall'autorità competente in ordine alle
modalità di gestione dell'impianto sono
inidonee a salvaguardare la salute di chi
vive nelle sue vicinanze, o, infine, per il
significativo incremento del traffico
veicolare, potenzialmente idoneo ad incidere
in senso pregiudizievole sui terreni
limitrofi. Da ciò la conferma che il mero
collegamento di un fondo con il territorio
sul quale è localizzata una discarica non è
da solo sufficiente a legittimare il suo
proprietario a provocare uti singulus il
sindacato di legittimità su qualsiasi
provvedimento amministrativo preordinato
alla tutela di interessi generali che nel
territorio trovano la loro esplicazione.
Osserva la Sezione che queste deduzioni non
possono essere condivise.
Le stesse lasciano infatti integro il nucleo
fondamentale della pronuncia appellata,
quale si trova compendiato nella notazione
che “nessuno dei ricorrenti è stato in grado
di precisare il concreto pregiudizio che
deriverebbe alla propria sfera giuridica
dalla realizzazione dell’impianto in
relazione al quale va, peraltro,
sottolineato che tutti gli accertamenti
tecnici svolti dall’ARPA e dall’ASL hanno
consentito di individuare valori di
emissioni inquinanti ampiamente inferiori ai
limiti prescritti dalla legge.”
Una distanza superiore al chilometro è
tale da far seriamente dubitare,
specialmente in assenza di puntuali
allegazioni ad opera della stessa parte,
dell’esistenza del presupposto della vicinitas: e questo pur tenendo nel debito
conto il principio per cui la vicinitas che
legittima la proposizione di un’impugnativa
non va necessariamente intesa come stretta
contiguità, bensì nel senso di uno stabile e
significativo collegamento del ricorrente,
da verificare caso per caso, con la zona il
cui ambiente s'intende proteggere (v. tra le
più recenti C.d.S., V, 26.02.2010, n.
1134).
Ancor più evidente, peraltro, è
l’assorbente carenza, nella fattispecie,
dell’estremo dell’interesse a ricorrere.
E’ appena il caso di ricordare che l'azione
innanzi al Giudice amministrativo non
rappresenta un'azione popolare che possa
essere esercitata dal quisque de populo.
Essa, al contrario, richiede l'esistenza sia
della legittimazione al ricorso (da
intendersi come titolarità di una posizione
giuridica differenziata rispetto alla
collettività indifferenziata, quale quella
che può radicarsi in una particolare
vicinitas), sia di un interesse al ricorso
(da intendersi come utilità, anche
strumentale, che possa derivare dal suo
accoglimento) (C.d.S, VI, 01.02.2010,
n. 413).
Il ricorso giurisdizionale è dunque
proponibile solo da chi abbia la titolarità
di un interesse legittimo e dimostri,
inoltre, che tale interesse possa subire una
lesione per la illegittimità dell'atto
impugnato.
Sulla base di tale principio, la mera
vicinanza di un fondo ad una discarica non
legittima per ciò solo ed automaticamente il
proprietario frontista ad insorgere avverso
il provvedimento autorizzativo dell'opera,
essendo necessaria, al riguardo, anche la
prova del danno che egli da questa possa
ricevere (C.d.S., V, 20.05.2002, n.
2714), per quanto non sia permesso addossare
su chi agisca il gravoso onere della prova
dell'effettività del danno subendo allorché
la stessa prova non possa prescindere, in
concreto, dall'effettiva realizzazione
dell'impianto, il che finirebbe per svuotare
il principio costituzionale del diritto di
difesa (cfr. V, 18.08.2010, n. 5819).
La mera vicinanza di un'abitazione ad una
discarica non legittima, pertanto, il
proprietario frontista ad insorgere avverso
il provvedimento di approvazione dell'opera
(cfr. V, 16.04.2003, n. 1948), essendo
al riguardo necessaria la prova del danno
che da questa egli riceva nella sua sfera
giuridica, o per il fatto che la
localizzazione dell'impianto riduce il
valore economico del fondo situato nelle sue
vicinanze, o perché le prescrizioni dettate
dall'autorità competente in ordine alle
modalità di gestione dell'impianto sono
inidonee a salvaguardare la salute di chi
vive nelle sue vicinanze, o, infine, per il
significativo incremento del traffico
veicolare, potenzialmente idoneo ad incidere
in senso pregiudizievole sui terreni
limitrofi (su quest’ultimo profilo cfr. V,
16.06.2009 n. 3849). Da ciò la conferma
che il mero collegamento di un fondo con il
territorio sul quale è localizzata una
discarica non è da solo sufficiente a
legittimare il suo proprietario a provocare
uti singulus il sindacato di legittimità su
qualsiasi provvedimento amministrativo
preordinato alla tutela di interessi
generali che nel territorio trovano la loro
esplicazione (cfr. C.d.S., IV, 13.07.1998,
n. 1088; V, 23.04.2007, n. 1830)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
27.04.2012 n. 2460 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della decorrenza del
termine per l'impugnazione, da parte di
terzi, di provvedimenti di concessione in
sanatoria di manufatti abusivi, deve aversi
esclusivo riguardo alla data di scadenza
della pubblicazione del provvedimento a
sanatoria, essendo già compiutamente nota la
lesione materiale subita.
Nel caso di concessione
edilizia in sanatoria, infatti, si pone la
necessità della individuazione del dies a
quo dell'impugnativa al fine di assicurare
stabilità e certezza agli atti
amministrativi, non potendo gli stessi
rimanere sine die soggetti ad una eventuale
impugnativa contestazione giurisdizionale,
né potendosi consentire che il privato
confinante -attraverso l'utilizzo ad
libitum dello strumento dell'accesso- possa
decidere di impugnare i relativi atti in
qualsiasi momento.
Ai fini della decorrenza del termine
per l'impugnazione, da parte di terzi, di
provvedimenti di concessione in sanatoria di
manufatti abusivi, deve aversi esclusivo
riguardo alla data di scadenza della
pubblicazione del provvedimento a sanatoria,
essendo già compiutamente nota la lesione
materiale subita; nel caso di concessione
edilizia in sanatoria, infatti, si pone la
necessità della individuazione del dies a
quo dell'impugnativa al fine di assicurare
stabilità e certezza agli atti
amministrativi, non potendo gli stessi
rimanere sine die soggetti ad una eventuale
impugnativa contestazione giurisdizionale,
né potendosi consentire che il privato
confinante -attraverso l'utilizzo ad
libitum dello strumento dell'accesso- possa
decidere di impugnare i relativi atti in
qualsiasi momento (TAR Puglia-Lecce, sez. III,
21.05.2009, n. 1200)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza
20.04.2012 n.
885 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sono condizioni dell’azione volta
all’impugnazione di un atto amministrativo
la legittimazione a ricorrere, che dipende
dalla titolarità di un interesse legittimo
proprio e attuale del ricorrente e
l’interesse a ricorrere che sussiste nel
caso in cui il provvedimento abbia cagionato
una lesione immediata, concreta ed attuale e
dall’accoglimento del ricorso derivi al
ricorrente un vantaggio materiale o morale,
concreto o potenziale (detto anche
strumentale).
In particolare la giurisprudenza esclude
l’esistenza di un interesse a ricorrere nel
caso di mera diffida, cioè in presenza di un
ordine diretto a terzi affinché provveda
all’eliminazione di una situazione abusiva
quando tale situazione non venga in alcun
modo qualificata e non siano previsti
effetti punitivi immediati in conseguenza
dell’omessa ottemperanza.
In questi casi infatti l’inottemperanza
all’obbligo previsto nell’ordinanza non
comporta effetti sanzionatori immediati o
automatici, come nel caso dell’ordinanza di
demolizione, ma occorre che
l’amministrazione adotti ulteriori atti per
aprire un procedimento sanzionatorio.
Secondo le regole generali del processo
amministrativo sono condizioni dell’azione
volta all’impugnazione di un atto
amministrativo la legittimazione a
ricorrere, che dipende dalla titolarità di
un interesse legittimo proprio e attuale del
ricorrente e l’interesse a ricorrere che
sussiste nel caso in cui il provvedimento
abbia cagionato una lesione immediata,
concreta ed attuale e dall’accoglimento del
ricorso derivi al ricorrente un vantaggio
materiale o morale, concreto o potenziale
(detto anche strumentale).
In particolare la giurisprudenza (Consiglio
di Stato, sez. V, 18.12.2002, n. 7030)
esclude l’esistenza di un interesse a
ricorrere nel caso di mera diffida, cioè in
presenza di un ordine diretto a terzi
affinché provveda all’eliminazione di una
situazione abusiva quando tale situazione
non venga in alcun modo qualificata e non
siano previsti effetti punitivi immediati in
conseguenza dell’omessa ottemperanza.
In questi casi infatti l’inottemperanza
all’obbligo previsto nell’ordinanza non
comporta effetti sanzionatori immediati o
automatici, come nel caso dell’ordinanza di
demolizione, ma occorre che
l’amministrazione adotti ulteriori atti per
aprire un procedimento sanzionatorio (TAR
Lombardia-Milano, Sez, IV,
sentenza 17.04.2012 n. 1136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
L'essere
abilitato a partecipare al procedimento di
adozione degli strumenti urbanistici
mediante lo strumento delle osservazioni non
legittima anche alla proposizione del
ricorso giurisdizionale avverso l'atto che
lo conclude, atteso che la partecipazione
procedimentale ed il processo
amministrativo, che è giudizio impugnatorio
di atti, si fondano su presupposti e
condizioni differenti, persistendo la
necessità per adire il giudice, ancorché si
sia partecipato al procedimento di adozione
dello strumento urbanistico, della
titolarità di una posizione giuridica
soggettiva (interesse legittimo), della
legittimazione e dell'interesse ad agire,
condizioni dell'azione che certamente non
discendono dall'effettuata partecipazione.
In tema poi di legittimazione processuale
delle associazioni, prevale l’orientamento
per cui -fatto salvo il criterio legale di
legittimazione degli enti a carattere
nazionale iscritti nell'apposito elenco
tenuto dal Ministero dell'Ambiente, ai sensi
dell'art. 13 della legge 08.07.1986 n. 349-
è possibile che tale riconoscimento della
titolarità dell'azione sia attribuito ad
associazioni locali le quali perseguano
statutariamente, in modo non occasionale,
obiettivi di tutela di determinati interessi
della collettività ed abbiano un adeguato
grado di rappresentatività e stabilità in
un'area di afferenza ricollegabile alla zona
in cui è situato il bene a fruizione
pubblica che si assume leso.
Anche in materia di interessi diffusi, non è
ammessa quindi nel vigente sistema l'azione
popolare, vale a dire la possibilità per il
quisque de populo di intraprendere
un'iniziativa giurisdizionale in assenza
della titolarità, sul piano sostanziale, di
un interesse diretto, concreto e personale
che lo ponga su un piano differenziato
rispetto alla generalità dei consociati.
Di conseguenza, ai fini della legittimazione
ad agire di un'associazione o di un
comitato, non è sufficiente il mero scopo
associativo o la finalità statutaria per
differenziare l'interesse diffuso, specie
quando tale scopo si risolva nella finalità
di proporre un'azione giurisdizionale o di
svolgere un controllo generalizzato sulla
legittimità di qualsiasi azione
amministrativa nel contesto territoriale di
riferimento.
Il riconoscimento della legittimazione ad
agire in giudizio a favore delle
associazioni non riconosciute (...) richiede
che delle stesse sia accertato: 1) il
carattere non occasionale o strumentale alla
proposizione di una determinata impugnativa;
2) lo stabile collegamento col territorio,
consolidatosi nel tempo, che deve
presuntivamente escludersi in caso di
associazioni costituite pochi giorni prima
della proposizione del ricorso; 3) la
rappresentatività della collettività locale
di riferimento, requisito quest'ultimo che
non può prescindere dalla considerazione,
quanto meno indiziaria, del numero delle
persone fisiche costituenti l'associazione.
In materia di impugnazione dei piani urbanistici generali,
quale è in Regione Lombardia il Piano di
Governo del Territorio, che ha sostituito il
tradizionale Piano Regolatore Generale (si
veda la legge regionale n. 12/2005), la
giurisprudenza amministrativa è ormai
concorde nel ritenere che: <<l'essere
abilitato a partecipare al procedimento di
adozione degli strumenti urbanistici
mediante lo strumento delle osservazioni non
legittima anche alla proposizione del
ricorso giurisdizionale avverso l'atto che
lo conclude, atteso che la partecipazione
procedimentale ed il processo
amministrativo, che è giudizio impugnatorio
di atti, si fondano su presupposti e
condizioni differenti, persistendo la
necessità per adire il giudice, ancorché si
sia partecipato al procedimento di adozione
dello strumento urbanistico, della
titolarità di una posizione giuridica
soggettiva (interesse legittimo), della
legittimazione e dell'interesse ad agire,
condizioni dell'azione che certamente non
discendono dall'effettuata partecipazione>>
(Consiglio di Stato, sez. IV, 03.08.2011, n.
4644; si veda anche, della medesima Sezione
del Consiglio di Stato, la sentenza
13.07.2010, n. 4545 e, sulla necessità
dell’individuazione rigorosa sia della
legittimazione ad agire sia dell’interesse
ad agire in capo ad ogni ricorrente:
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 4
del 07.04.2011).
In tema poi di legittimazione processuale
delle associazioni, prevale l’orientamento
per cui -fatto salvo il criterio legale di
legittimazione degli enti a carattere
nazionale iscritti nell'apposito elenco
tenuto dal Ministero dell'Ambiente, ai sensi
dell'art. 13 della legge 08.07.1986 n. 349- è
possibile che tale riconoscimento della
titolarità dell'azione sia attribuito ad
associazioni locali le quali perseguano
statutariamente, in modo non occasionale,
obiettivi di tutela di determinati interessi
della collettività ed abbiano un adeguato
grado di rappresentatività e stabilità in
un'area di afferenza ricollegabile alla zona
in cui è situato il bene a fruizione
pubblica che si assume leso (cfr. sul punto
TAR Toscana, sez. III, 28.02.2012, n. 397,
con la giurisprudenza ivi richiamata).
Anche in materia di interessi diffusi, non è
ammessa quindi nel vigente sistema l'azione
popolare, vale a dire la possibilità per il
quisque de populo di intraprendere
un'iniziativa giurisdizionale in assenza
della titolarità, sul piano sostanziale, di
un interesse diretto, concreto e personale
che lo ponga su un piano differenziato
rispetto alla generalità dei consociati
(cfr. ancora TAR Toscana, sez. II,
18.11.2011, n. 1765).
Di conseguenza, ai fini della legittimazione
ad agire di un'associazione o di un
comitato, non è sufficiente il mero scopo
associativo o la finalità statutaria per
differenziare l'interesse diffuso, specie
quando tale scopo si risolva nella finalità
di proporre un'azione giurisdizionale o di
svolgere un controllo generalizzato sulla
legittimità di qualsiasi azione
amministrativa nel contesto territoriale di
riferimento.
Ancora, si è affermato che: <<Il
riconoscimento della legittimazione ad agire
in giudizio a favore delle associazioni non
riconosciute (...) richiede che delle stesse
sia accertato: 1) il carattere non
occasionale o strumentale alla proposizione
di una determinata impugnativa; 2) lo
stabile collegamento col territorio,
consolidatosi nel tempo, che deve
presuntivamente escludersi in caso di
associazioni costituite pochi giorni prima
della proposizione del ricorso; 3) la
rappresentatività della collettività locale
di riferimento, requisito quest'ultimo che
non può prescindere dalla considerazione,
quanto meno indiziaria, del numero delle
persone fisiche costituenti l'associazione>>
(cfr. TAR Piemonte, sez. I, 21.12.2011, n.
1340) (TAR Lombardia-Milano, Sez, II,
sentenza 17.04.2012 n. 1124 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: In tema di
impugnazione di titoli edilizi rilasciati
per la costruzione di un nuovo edificio,
sussiste la legittimazione del soggetto,
terzo, che si trovi in una situazione di
stabile collegamento con la zona interessata
dalla costruzione, la quale viene quindi a
radicare una posizione di interesse
differenziata rispetto a quella posseduta
dal quisque de populo. Pertanto, in
applicazione del criterio della c.d.
vicinitas sono legittimati coloro che
possono lamentare una pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio per effetto della
realizzazione dell'intervento controverso.
Con la conseguenza che, riconosciuta la
legittimazione ad agire, la valutazione
sull'utilità o meno dei provvedimenti
impugnati al fine di chiederne o meno
l'annullamento, non può che essere rimessa
alle determinazioni insindacabili del
titolare del diritto all'azione, non
potendosi certamente ritenere insussistente
l'interesse alla pronuncia caducatoria sulla
base dei contrapposti apprezzamenti
discrezionali delle parti resistenti.
In altri termini, la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a creare la
legittimazione e l'interesse al ricorso, non
occorrendo anche la verifica della concreta
lesione di un qualsiasi altro interesse di
rilevanza giuridica, riferibile a norme di
diritto privato o di diritto pubblico.
La giurisprudenza amministrativa risulta
consolidata nell’affermare che -in tema di
impugnazione di titoli edilizi rilasciati
per la costruzione di un nuovo edificio –
sussiste la legittimazione del soggetto,
terzo, che si trovi in una situazione di
stabile collegamento con la zona interessata
dalla costruzione, la quale viene quindi a
radicare una posizione di interesse
differenziata rispetto a quella posseduta
dal quisque de populo. Pertanto, in
applicazione del criterio della c.d.
vicinitas sono legittimati coloro che
possono lamentare una pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio per effetto della
realizzazione dell'intervento controverso.
Con la conseguenza che, riconosciuta la
legittimazione ad agire, la valutazione
sull'utilità o meno dei provvedimenti
impugnati al fine di chiederne o meno
l'annullamento, non può che essere rimessa
alle determinazioni insindacabili del
titolare del diritto all'azione, non
potendosi certamente ritenere insussistente
l'interesse alla pronuncia caducatoria sulla
base dei contrapposti apprezzamenti
discrezionali delle parti resistenti.
In altri termini, la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a creare la
legittimazione e l'interesse al ricorso, non
occorrendo anche la verifica della concreta
lesione di un qualsiasi altro interesse di
rilevanza giuridica, riferibile a norme di
diritto privato o di diritto pubblico (cfr.
Cons. St., Sez. IV, 31.05.2007 n. 2849)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 10.04.2012 n. 597 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
I
proprietari confinanti o comunque i vicini
hanno sempre interesse a censurare il
mutamento della disciplina urbanistica
impresso all’area contermine o comunque
vicina. E ciò senza che assuma rilievo
l’entità o il contenuto del mutamento di
disciplina in questione. In altre parole si
vuole dire che l’interesse ad impugnare
sorge per effetto del mutamento di
disciplina quale che esso sia e non già,
come prospetta la difesa della
controinteressata, solo nel caso in cui tale
mutamento sia particolarmente eclatante.
La giustificazione di questa opzione
interpretativa sta nell’impossibilità di
stabilire con sufficiente grado di
attendibilità quando un mutamento nella
disciplina urbanistica sia rilevante ai fini
dell’interesse a ricorrere del proprietario
confinante. Pertanto, il rispetto delle
esigenze di tutela del confinante, impone
che si accerti il verificarsi di un
mutamento di disciplina urbanistica senza
ulteriori approfondimenti sul punto.
Con riferimento ad un caso –per molti versi
analogo a quello che ci occupa- di
impugnazione della nuova disciplina
urbanistica imposta dal P.U.C. di Genova ad
un’area contermine a quella dei soggetti
ricorrenti, proprietari di unità immobiliari
situate nei pressi, con passaggio da una
destinazione a servizi pubblici al regime
degli ambiti BBU (che consente la
ricostruzione ad uso abitativo della
superficie agibile di tutti gli edifici
compatibili o incompatibili), la Sezione ha
affermato che “i proprietari confinanti o
comunque i vicini hanno sempre interesse a
censurare il mutamento della disciplina
urbanistica impresso all’area contermine o
comunque vicina. E ciò senza che assuma
rilievo l’entità o il contenuto del
mutamento di disciplina in questione. In
altre parole si vuole dire che l’interesse
ad impugnare sorge per effetto del mutamento
di disciplina quale che esso sia e non già,
come prospetta la difesa della
controinteressata, solo nel caso in cui tale
mutamento sia particolarmente eclatante.
La giustificazione di questa opzione
interpretativa sta nell’impossibilità di
stabilire con sufficiente grado di
attendibilità quando un mutamento nella
disciplina urbanistica sia rilevante ai fini
dell’interesse a ricorrere del proprietario
confinante. Pertanto, il rispetto delle
esigenze di tutela del confinante, impone
che si accerti il verificarsi di un
mutamento di disciplina urbanistica senza
ulteriori approfondimenti sul punto”
(TAR Liguria, I, 21.06.2010, n. 5007)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 06.04.2012 n. 516 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2012 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Sussiste
l'interesse all'impugnazione della variante
di piano regolatore anche da parte del
soggetto che è proprietario di aree diverse
da quelle direttamente incise dalle varie
previsioni urbanistiche, allorché tali
previsioni abbiano comunque rilevanza sul
godimento e sul valore di mercato di dette
diverse aree e sugli interessi del loro
proprietario.
Sotto altro profilo occorre aggiungere che
il ricorrente afferma altresì di essere “cittadino”
del Comune di Porlezza, senza tuttavia
ulteriormente dimostrare un eventuale
pregiudizio derivante dai provvedimenti
impugnati, nella sua sfera personale o
patrimoniale, ritenendosi invece in
giurisprudenza che sussista l'interesse
all'impugnazione della variante di piano
regolatore anche da parte del soggetto che è
proprietario di aree diverse da quelle
direttamente incise dalle varie previsioni
urbanistiche, allorché tali previsioni
abbiano comunque rilevanza sul godimento e
sul valore di mercato di dette diverse aree
e sugli interessi del loro proprietario (TAR
Liguria Genova, Sez. I, 22.07.2005 n. 1080)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 28.03.2012 n. 956 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’interesse
al ricorso, radicato sulla base del criterio
della vicinitas, non può essere
disconosciuto laddove il ricorrente lamenti
l’illegittimità, non già, di uno strumento
di pianificazione urbanistica, ma di uno
specifico titolo edilizio, in forza del
quale il relativo titolare è autorizzato a
realizzare un intervento su un lotto attiguo
e/o confinante con quello di sua proprietà.
In tali evenienze, infatti, si deve ritenere
che esista una situazione soggettiva ed
oggettiva di stabile collegamento con la
zona coinvolta dalla costruzione che, se
illegittimamente assentita, è idonea ad
arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima,
evidenziando, così, la legittimazione e
l'interesse al ricorso del proprietario
confinante, senza bisogno di richiedere la
prova della lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante.
Ritiene il Collegio che l’interesse al
ricorso, radicato sulla base del criterio
della vicinitas, non possa essere
disconosciuto laddove il ricorrente lamenti
l’illegittimità, non già, di uno strumento
di pianificazione urbanistica, ma di uno
specifico titolo edilizio, in forza del
quale il relativo titolare è autorizzato a
realizzare un intervento su un lotto attiguo
e/o confinante con quello di sua proprietà.
In tali evenienze, infatti, si deve ritenere
–in linea con la giurisprudenza dominante–
che esista una situazione soggettiva ed
oggettiva di stabile collegamento con la
zona coinvolta dalla costruzione che, se
illegittimamente assentita, è idonea ad
arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima,
evidenziando, così, la legittimazione e
l'interesse al ricorso del proprietario
confinante, senza bisogno di richiedere la
prova della lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 05.01.2011, n. 18;
id. 20.10.2010, n. 7591; id. 29.07.2009, n.
4756; 12.05.2009, n. 2908; 31.05.2007, n.
2849; sez. V, 07.05.2008, n. 2086; sez. VI,
15.06.2010, n. 3744; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, 24.02.2012 n. 623; id. 08.09.2011
n. 2194)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.03.2012 n. 909 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2012 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI: Individuazione
dei limiti alla legittimazione ad agire
degli enti territoriali per la tutela degli
interessi dei propri amministrati.
Il Consiglio di Stato nella sentenza in
esame ha evidenziato come in merito alla
legittimazione degli enti territoriali al
fine della tutela delle posizioni giuridiche
soggettive ricadenti indistintamente sulla
popolazione residente nel territorio di
competenza, questa Sezione ha già avuto modo
di esprimersi funditus con la
sentenza n. 8686 del 09.12.2010.
In quella occasione, la Sezione ha
evidenziato come “al fine di individuare
esattamente limiti e possibilità
riconosciute agli enti territoriali ai fini
della tutela degli interessi dei propri
amministrati, debba farsi riferimento non
solo all’elaborazione consolidata della
giurisprudenza ma anche, come si dirà
appresso, alle innovazioni normative
sopraggiunte medio tempore e, soprattutto,
ai nuovi profili di intervento riconosciuti
ad ogni tipologia di figura soggettiva
esponenziale di interessi omogenei ai sensi
del decreto legislativo 20.12.2009 n. 198”.
In tale ottica, la Sezione ha ricordato
dapprima come la giurisprudenza
amministrativa in tema di riconoscimento
della legittimazione in capo ad associazioni
private per agire a tutela di interessi
diffusi abbia espresso un principio per cui
questa tipologia di situazioni giuridiche
soggettive possa trovare modi di garanzia
paralleli ed ulteriori rispetto al
meccanismo tradizionale dall’attribuzione
della loro cura ad un soggetto pubblico
predeterminato, sia esso già esistente o
costituito ad hoc.
Ha poi evidenziato come non sia
condivisibile l’ipotesi di “riconoscere,
sic et simpliciter ed in assenza di
un’espressa disposizione normativa, la
legittimazione ad agire a qualsiasi ente
esponenziale di interessi omogenei o, nel
caso in esame, agli enti territoriali in
virtù del loro collegamento con la
collettività ivi stanziata e facendo perno
sull’unico cardine della rappresentatività”,
facendo quindi salva la necessità che, anche
per gli enti territoriali, attributari di
poteri generali di tutela degli interessi
rilevanti per la collettività stanziata, la
legittimazione, per le materie non
direttamente conferitegli dalla legge, vada
individuata secondo i criteri usuali, ossia
quelli che discendono dall’analisi del
tessuto ordinamentale (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.02.2012 n. 1127 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione ad agire delle associazioni
e/o comitati ambientalisti spetta non solo
con riferimento alla tutela degli interessi
ambientali in senso stretto, ma anche con
riferimento alla tutela ambientale in senso
lato, che implica in quanto tale la
possibilità di impugnare atti aventi
finalità urbanistica-edilizia.
Invero, la materia ambientale per
le peculiari caratteristiche del bene
protetto si atteggia in modo particolare:
la tutela dell’ambiente, infatti, lungi dal
costituire un autonomo settore d’intervento
dei pubblici poteri, assume il ruolo
unificante e finalizzante di distinte tutele
giuridiche predisposte a favore dei diversi
beni della vita che nell’ambiente si
collocano (assumendo un carattere per così
dire trasversale rispetto alle ordinarie
materie e competenze amministrative, che
connotano anche le distinzioni fra
ministeri.
---------------
La tutela paesaggistica ormai si è evoluta
rispetto al momento in cui venne introdotta
con il d.l. 312/1985, e non si realizza più
soltanto attraverso le forme del binomio
vincolo paesaggistico/autorizzazione
paesaggistica previsto dagli artt. 146 e ss.
d.lgs. 42/2004, ma anche attraverso
ulteriori strumenti giuridici che prevedono
strumenti di tutela diversi dalla necessità
di uno specifico titolo abilitativo
ulteriore rispetto a quello edilizio.
Si pensi, ad esempio, alle previsioni
dell’art. 25, co. 1, n.t.a. del Piano
territoriale paesistico regionale lombardo
che stabilisce che: "in tutto il territorio
regionale i progetti che incidono
sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli
edifici sono soggetti a esame sotto il
profilo del loro inserimento nel contesto",
e dell’art. 25, co. 3, che assegna al
progettista privato il compito di effettuare
quest'esame perché stabilisce che: "ai fini
dell’esame di cui al comma 1, il
progettista, in fase di elaborazione del
progetto, considera preliminarmente la
sensibilità paesistica del sito e il grado
di incidenza del progetto", seguito dal
successivo art. 29, co. 1, che precisa che è
lo stesso progettista privato che,
effettuato l'esame paesistico, classifica
l'intervento in quanto prevede che: "ferma
restando la facoltà di verifica da parte
dell’amministrazione competente, il
progettista, sulla base dei criteri di cui
agli articoli 26 e 27, determina l’entità
dell’impatto paesistico di cui all’articolo
28. L’impatto potrà risultare inferiore o
superiore ad una soglia di rilevanza".
Questo sistema -in cui la classificazione
effettuata dal progettista privato è
decisiva per alleggerire o aggravare il
prosieguo della procedura amministrativa (in
quanto l’art. 29, co. 2, stabilisce che: "i
progetti il cui impatto non superi la soglia
di rilevanza si intendono automaticamente
accettabili sotto il profilo paesistico e,
quindi, possono essere presentati
all’amministrazione competente per i
necessari atti di assenso o per la denuncia
di inizio attività senza obbligo di
presentazione della relazione paesistica";
mentre correlativamente per i progetti che
superino la soglia di rilevanza, l’art. 29,
co. 3, invece, prevede che: "i progetti il
cui impatto superi la soglia di rilevanza
sono soggetti a giudizio di impatto
paesistico e pertanto le istanze di
autorizzazione o concessione edilizia ovvero
della dichiarazione di inizio attività
devono essere corredate dalla relazione
paesistica di cui all’articolo 25, comma 6;
la presentazione di tale relazione
costituisce condizione necessaria per il
rilascio dei successivi atti di assenso o
per l’inizio dei lavori in caso di
dichiarazione di inizio attività")–
null’altro prevede se non una tutela
paesistica che si svolge in forme diverse
dalla necessità di apposita autorizzazione
paesaggistica (prevista per le sole aree
sottoposte a vincolo).
Deve, pertanto, affermarsi che nell’attuale
sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito
di applicazione della tutela paesaggistica
non riguarda ormai soltanto le aree oggetto
di vincolo di tutela, in quanto il vincolo
di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004
è soltanto uno degli strumenti attraverso
cui l’ordinamento persegue l’obiettivo della
tutela del paesaggio. Tra tali altri
istituti finalizzati alla tutela del
paesaggio vi sono anche la relazione
sull’impatto paesistico di cui all’art. 29
delle n.t.a. del P.T.P.R. o, come nel caso
in esame, la perimetrazione come ambito di
elevata naturalità sottoposto a regime di
conservazione.
In via generale, va rilevato che la più recente ed avanzata posizione
giurisprudenziale (cfr. TAR Sardegna,
sez. II, 06.10.2008 n. 1816; TAR
Calabria, Sez. I 30.04.2009 n. 378; Cons. St.
Sez. IV 11.11.2011 n. 5986) ha posto in luce
che la legittimazione ad agire delle
associazioni e/o comitati ambientalisti
spetta non solo con riferimento alla tutela
degli interessi ambientali in senso stretto,
ma anche con riferimento alla tutela
ambientale in senso lato, che implica in
quanto tale la possibilità di impugnare atti
aventi finalità urbanistica-edilizia,
specificando che “la materia ambientale per
le peculiari caratteristiche del bene
protetto si atteggia in modo particolare:
la tutela dell’ambiente, infatti, lungi dal
costituire un autonomo settore d’intervento
dei pubblici poteri, assume il ruolo
unificante e finalizzante di distinte tutele
giuridiche predisposte a favore dei diversi
beni della vita che nell’ambiente si
collocano (assumendo un carattere per così
dire trasversale rispetto alle ordinarie
materie e competenze amministrative, che
connotano anche le distinzioni fra
ministeri” (cfr. Cons. St. Sez. IV
11.11.2011 n. 5986)
La stretta relazione che sempre più spesso
corre tra l’urbanistica e l’ambiente è ben
rappresentata dalla stretta interconnessione
sviluppatasi in questi anni fra i contenuti
della pianificazione urbanistica e quelli
della tutela ambientale, derivante dalla
circostanza che il territorio, inteso in
tutte le sue accezioni, è un bene
fondamentale avente carattere costitutivo
dello stesso bene “ambiente” (su questo
profilo si veda ora Corte cost. 21.11.2011
n. 309: “Sul territorio, infatti, «vengono a
trovarsi di fronte» –tra gli altri– «due
tipi di interessi pubblici diversi: quello
alla conservazione del paesaggio, affidato
allo Stato, e quello alla fruizione del
territorio, affidato anche alle Regioni»
(sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1. del
Considerato in diritto).
Con riguardo alla fattispecie all’esame, va
rilevato che –già nel ricorso introduttivo– la ricorrente aveva evidenziato che
l’intervento edilizio assentito dal Comune
di Aviatico era localizzato “in zona
agricola di indiscusso pregio paesistico ed
ambientale, già classificata dal Piano
territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.)
come ambito di elevata naturalità e dal
Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale (P.T.C.P.) come contesto di
elevato pregio naturalistico e paesistico”.
Va ricordato, al riguardo, quanto affermato
dalla Sezione con la recente sentenza
01.07.2010 n. 2411.
<<La tutela paesaggistica, infatti, ormai si
è evoluta rispetto al momento in cui venne
introdotta con il d.l. 312/1985, e non si
realizza più soltanto attraverso le forme
del binomio vincolo
paesaggistico/autorizzazione paesaggistica
previsto dagli artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004,
ma anche attraverso ulteriori strumenti
giuridici che prevedono strumenti di tutela
diversi dalla necessità di uno specifico
titolo abilitativo ulteriore rispetto a
quello edilizio.
Si pensi, ad esempio, alle
previsioni dell’art. 25, co. 1, n.t.a. del
Piano territoriale paesistico regionale
lombardo che stabilisce che: "in tutto il
territorio regionale i progetti che incidono
sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli
edifici sono soggetti a esame sotto il
profilo del loro inserimento nel contesto",
e dell’art. 25, co. 3, che assegna al
progettista privato il compito di effettuare
quest'esame perché stabilisce che: "ai fini
dell’esame di cui al comma 1, il
progettista, in fase di elaborazione del
progetto, considera preliminarmente la
sensibilità paesistica del sito e il grado
di incidenza del progetto", seguito dal
successivo art. 29, co. 1, che precisa che è
lo stesso progettista privato che,
effettuato l'esame paesistico, classifica
l'intervento in quanto prevede che: "ferma
restando la facoltà di verifica da parte
dell’amministrazione competente, il
progettista, sulla base dei criteri di cui
agli articoli 26 e 27, determina l’entità
dell’impatto paesistico di cui all’articolo
28. L’impatto potrà risultare inferiore o
superiore ad una soglia di rilevanza".
Questo sistema -in cui la classificazione
effettuata dal progettista privato è
decisiva per alleggerire o aggravare il
prosieguo della procedura amministrativa (in
quanto l’art. 29, co. 2, stabilisce che: "i
progetti il cui impatto non superi la soglia
di rilevanza si intendono automaticamente
accettabili sotto il profilo paesistico e,
quindi, possono essere presentati
all’amministrazione competente per i
necessari atti di assenso o per la denuncia
di inizio attività senza obbligo di
presentazione della relazione paesistica";
mentre correlativamente per i progetti che
superino la soglia di rilevanza, l’art. 29,
co. 3, invece, prevede che: "i progetti il
cui impatto superi la soglia di rilevanza
sono soggetti a giudizio di impatto
paesistico e pertanto le istanze di
autorizzazione o concessione edilizia ovvero
della dichiarazione di inizio attività
devono essere corredate dalla relazione
paesistica di cui all’articolo 25, comma 6;
la presentazione di tale relazione
costituisce condizione necessaria per il
rilascio dei successivi atti di assenso o
per l’inizio dei lavori in caso di
dichiarazione di inizio attività")– null’altro prevede se non una tutela
paesistica che si svolge in forme diverse
dalla necessità di apposita autorizzazione
paesaggistica (prevista per le sole aree
sottoposte a vincolo).
Deve, pertanto, affermarsi che nell’attuale
sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito
di applicazione della tutela paesaggistica
non riguarda ormai soltanto le aree oggetto
di vincolo di tutela, in quanto il vincolo
di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004 è
soltanto uno degli strumenti attraverso cui
l’ordinamento persegue l’obiettivo della
tutela del paesaggio. Tra tali altri
istituti finalizzati alla tutela del
paesaggio vi sono anche la relazione
sull’impatto paesistico di cui all’art. 29
delle n.t.a. del P.T.P.R. o, come nel caso
in esame, la perimetrazione come ambito di
elevata naturalità sottoposto a regime di
conservazione.>>.
Tale indirizzo ermeneutico è stato
espressamente recepito e confermato, in sede
di appello, dal Consiglio di Stato (cfr.
Sez. IV 11.11.2011 n. 5986).
Nella specie è poi evidente la stretta
consequenzialità sussistente fra tutela
dell’ambito naturalistico e la restrittiva
disciplina edilizia in zona agricola di cui
agli artt. 59/60 della L.R. n. 12 del 2005,
della quale viene lamentata la violazione da
parte della ricorrente associazione
ambientalistica
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.02.2012 n. 274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di impugnazione del permesso di
costruire, il terzo ha titolo ad adire il
giudice amministrativo quando esista una
situazione soggettiva ed oggettiva di
stabile collegamento con la zona coinvolta
da una costruzione, che, se illegittimamente
assentita, sia idonea ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante.
L’orientamento giurisprudenziale dominante,
che il Collegio condivide, è dell’avviso
che, in materia di impugnazione del permesso
di costruire, il terzo ha titolo ad adire il
giudice amministrativo quando esista una
situazione soggettiva ed oggettiva di
stabile collegamento con la zona coinvolta
da una costruzione, che, se illegittimamente
assentita, sia idonea ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 29.07.2009, n.
4756; Consiglio di Stato, sez. IV,
05.01.2011, n. 18; 20.10.2010, n. 7591; sez.
IV, 31.05.2007 n. 2849; sez. V, 07.05.2008,
n. 2086; sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; sez.
IV, 12.05.2009, n. 2908; Tar Lombardia,
Milano, sez. II, 08.09.2011, 2194).
La giurisprudenza invocata dalla
controinteressata, secondo cui il criterio
della vicinitas non sarebbe
sufficiente a radicare la legittimazione e
l’interesse al ricorso, si riferisce invece
a fattispecie –quale è quella oggetto del
presente giudizio– nelle quali non sono
gravati titoli edilizi, ma, piuttosto, atti
di pianificazione generale.
Nel caso di specie, la realizzazione della
costruzione oggetto del permesso di
costruire impugnato è indubbiamente idonea
ad arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona in cui risiedono i
ricorrenti ed è inoltre lesiva
dell’interesse di questi ultimi al rispetto
del vincolo di asservimento apposto
sull’area di proprietà della
controinteressata dal loro avente causa.
Sussiste, quindi, piena legittimazione ed
interesse al ricorso in capo ai signori .... (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.02.2012 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L'art. 31, nono comma,
della legge 17.08.1942, n. 1150, come
modificato dall'art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, nel legittimare "chiunque" a
ricorrere contro le concessioni edilizie,
pur non avendo introdotto un'azione
popolare, va comunque correttamente inteso
nel senso che deve riconoscersi una
posizione qualificata e differenziata ai
singoli proprietari siti nella zona in cui
la costruzione è assentita, e a tutti coloro
che si trovino in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, ove gli
stessi ritengano che per effetto della nuova
costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio, che i ricorrenti intenderebbero,
invece, conservare.
Sicché non appare possibile sindacare nel
merito le valutazioni di convenienza
spettanti ai singoli proprietari degli
immobili circostanti, senza considerare che
il semplice fatto della loro situazione di
stabile collegamento con la nuova
costruzione ne legittimi la facoltà di
impugnativa, ai fini della caducazione della
concessione edilizia ritenuta illegittima e
pregiudizievole.
In altri termini, l'interesse qualificato a
ricorrere avverso il titolo edilizio
rilasciato a terzi è quello volto a
pretendere il rispetto dell'assetto
urbanistico-ambientale costituito con la
disciplina urbanistica, perché il contrasto
con siffatto assetto arreca pregiudizio a
coloro che siano titolari di immobili
ubicati nella zona ovvero che con la stessa
abbiano comunque, anche a titolo diverso,
uno stabile collegamento.
Di conseguenza, la posizione qualificata e
differenziata, sufficiente per riconoscere
la legittimazione attiva, sussiste in capo
al proprietario di un immobile sito nella
zona in cui la costruzione è permessa e a
coloro che si trovano in una posizione di
stabile collegamento con la zona stessa e
che abbiano un interesse, concreto ed
attuale, a ricorrere in relazione al tipo di
violazione che si eccepisce, la quale deve
essere tale da costituire la violazione di
un interesse urbanistico relativo alla zona
che deve risultare danneggiata
dall'intervento edificatorio dovendosi
precisare che la detta legittimazione va per
lo meno specificata nell'impugnazione, con
riferimento alla situazione concreta e
fattuale, indicando le ragioni, il come e la
misura in cui il provvedimento impugnato si
riflette sulla propria posizione
sostanziale, determinandone una lesione
concreta, immediata e attuale.
---------------
La lesione all'interesse a godere della
veduta, essendo posizione giuridica
suscettibile di pregiudizio, legittima la
proposizione del ricorso giurisdizionale
contro la concessione edilizia.
Il criterio della vicinitas, seppur idoneo a
supportare la legittimazione al ricorso, non
esaurisce certo gli ulteriori profili
dell’interesse concreto all’impugnazione,
costituito dalla lesione effettiva e
documentata delle facoltà dominicali del
ricorrente.
Osserva in proposito il Collegio che effettivamente la ricorrente a
sostegno delle proprie ragioni, oltre a
radicare la legittimazione ad agire sulla vicinitas del terreno interessato dalla
realizzazione della piscina, ritiene di
essere lesa nel godimento del diritto al
panorama e di avere diritto alla demolizione
dei manufatti realizzati dal
controinteressato per violazione della
normativa sulle distanze.
A tale riguardo va premesso che secondo un
consolidato indirizzo della giurisprudenza
amministrativa “l'art. 31, nono comma,
della legge 17.08.1942, n. 1150, come
modificato dall'art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, nel legittimare "chiunque" a
ricorrere contro le concessioni edilizie,
pur non avendo introdotto un'azione
popolare, va comunque correttamente inteso
nel senso che deve riconoscersi una
posizione qualificata e differenziata ai
singoli proprietari siti nella zona in cui
la costruzione è assentita, e a tutti coloro
che si trovino in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, ove gli
stessi ritengano che per effetto della nuova
costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio, che i ricorrenti intenderebbero,
invece, conservare” (cfr. in particolare:
Cons. Stato, Sez. V, 28.06.2004, n.
4790).
Sicché non appare possibile sindacare
nel merito le valutazioni di convenienza
spettanti ai singoli proprietari degli
immobili circostanti, senza considerare che
il semplice fatto della loro situazione di
stabile collegamento con la nuova
costruzione ne legittimi la facoltà di
impugnativa, ai fini della caducazione della
concessione edilizia ritenuta illegittima e
pregiudizievole.
In altri termini,
l'interesse qualificato a ricorrere avverso
il titolo edilizio rilasciato a terzi è
quello volto a pretendere il rispetto
dell'assetto urbanistico-ambientale
costituito con la disciplina urbanistica,
perché il contrasto con siffatto assetto
arreca pregiudizio a coloro che siano
titolari di immobili ubicati nella zona
ovvero che con la stessa abbiano comunque,
anche a titolo diverso, uno stabile
collegamento (cfr. Cons. Stato, IV, 08.03.2011, n. 1423).
Di conseguenza, la posizione
qualificata e differenziata, sufficiente per
riconoscere la legittimazione attiva,
sussiste in capo al proprietario di un
immobile sito nella zona in cui la
costruzione è permessa e a coloro che si
trovano in una posizione di stabile
collegamento con la zona stessa e che
abbiano un interesse, concreto ed attuale, a
ricorrere in relazione al tipo di violazione
che si eccepisce, la quale deve essere tale
da costituire la violazione di un interesse
urbanistico relativo alla zona che deve
risultare danneggiata dall'intervento
edificatorio dovendosi precisare che la
detta legittimazione va per lo meno
specificata nell'impugnazione, con
riferimento alla situazione concreta e
fattuale, indicando le ragioni, il come e la
misura in cui il provvedimento impugnato si
riflette sulla propria posizione
sostanziale, determinandone una lesione
concreta, immediata e attuale (cfr. Cons.
Stato, V, 07.07.2005 n. 3757).
Inoltre, è
stato precisato che la lesione all'interesse
a godere della veduta, essendo posizione
giuridica suscettibile di pregiudizio,
legittima la proposizione del ricorso
giurisdizionale contro la concessione
edilizia (cfr. Cons. Stato, 15.06.2010,
n. 3744 e Cass. civ., Sez. III, 10.02.2005 n. 2705). Infine, è stato affermato che
“Il criterio della vicinitas, seppur idoneo
a supportare la legittimazione al ricorso,
non esaurisce certo gli ulteriori profili
dell’interesse concreto all’impugnazione,
costituito dalla lesione effettiva e
documentata delle facoltà dominicali del
ricorrente” (Cons. Stato, IV, 24.01.2011, n. 485).
Ora nel caso in esame, nel quale è certo che
parte ricorrente vanti un diritto al
panorama (in un contesto, peraltro, di
indiscutibile pregio paesaggistico e
ambientale), è tuttavia altrettanto
incontestata la circostanza che la piscina
in questione –in ragione delle
caratteristiche costruttive (manufatto
totalmente interrato) e delle specifiche
condizioni dettate nel nulla osta della
soprintendenza (tra i quali, rivestimenti in
pietra vulcanica e piantumazione di essenze
vegetali di tipo autoctono)- è inidonea a
recare alcun pregiudizio al panorama non
essendo in alcun modo di ostacolo alla
libera visuale.
Ciò è peraltro confermato
dalla documentazione prodotta dalla parte controinteressata (e non contestata, né
smentita dalla ricorrente) dalla quale si
evince come il terreno di proprietà dal
controinteressato, sul quale è stata
realizzata la piscina in contestazione, sia
ubicato ad una quota inferiore rispetto alle
quote della proprietà limitrofe, con
conseguente impossibilità di configurare
alcuna possibile lesione al godimento del
panorama.
Per le suesposte considerazioni il ricorso
va, dunque, dichiarato inammissibile per
carenza di interesse, atteso che nessun
pregiudizio concreto attuale e immediato è
configurabile in capo alla ricorrente
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.02.2012 n. 482 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti in
materia edilizia richiede una situazione di stabile
collegamento (cd. vicinitas) con la zona, data dalla
residenza, dal possesso o detenzione di immobili o da altro
titolo di collegamento con l'ambito territoriale
interessato.
Tale situazione, quindi, deve essere necessariamente intesa
non come stretta contiguità, bensì come stabile e
significativo collegamento, da verificare caso per caso, del
ricorrente con la zona il cui ambiente s'intende proteggere.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, la
legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti in
materia edilizia richiede una situazione di stabile
collegamento (cd. vicinitas) con la zona, data dalla
residenza, dal possesso o detenzione di immobili o da altro
titolo di collegamento con l'ambito territoriale
interessato.
Tale situazione, quindi, deve essere necessariamente intesa
non come stretta contiguità, bensì come stabile e
significativo collegamento, da verificare caso per caso, del
ricorrente con la zona il cui ambiente s'intende proteggere
(cfr. Consiglio Stato, sez. V, 31.03.2011, n. 1979) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.02.2012 n. 537 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sanzioni
urbanistiche: il titolare di diritti immobiliari sul bene o
su bene finitimi non e' controinteressato anche ove abbia
sollecitato la P.A. all'adozione del provvedimento
sanzionatorio.
Nel giudizio avente ad oggetto la sanzione urbanistica non è
ravvisabile nel soggetto titolare di diritti immobiliari sul
bene o su beni finitimi o che sia in rapporto di
vicinitas la posizione di contro interessato, nemmeno
allorquando tale soggetto si sia attivato per l’adozione del
provvedimento sanzionatorio o abbia contestato in altra sede
anche amministrativa l’abuso edilizio.
La qualità di controinteressato, al quale il ricorso
giurisdizionale deve essere notificato entro il termine di
legge, va riconosciuta non già a chi abbia un interesse,
anche legittimo, a mantenere efficace il provvedimento
impugnato -e men che mai a chi ne subisca conseguenze
indirette o riflesse-, ma soltanto al soggetto che da
quest'ultimo riceve un vantaggio diretto ed immediato, ossia
il vantaggioso accrescimento della propria sfera giuridica.
Siffatto riconoscimento opera non in relazione ad esigenze
processuali, ma deve essere condotto sulla scorta del c.d.
elemento "sostanziale" (individuazione della
titolarità di un interesse analogo e contrario alla
posizione legittimante del ricorrente), oppure del c.d.
elemento "formale" (indicazione nominativa nel
provvedimento di colui che ne abbia un interesse qualificato
alla conservazione) (cfr. tra le tante, Consiglio Stato,
sez. V, 03.07.1995, n. 991) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.02.2012 n. 567 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’Ordine
professionale può difendere in sede
processuale gli interessi dei propri
iscritti, avendo rappresentanza della
categoria professionale in funzione della
quale è costituito, sia relativamente a
questioni inerenti la violazione delle norme
poste a tutela della professione, sia per il
perseguimento di vantaggi di natura
strumentale riferibili alla medesima
categoria.
Sussiste l’interesse della parte ricorrente
all’impugnazione dell’avviso, ancorché in
mancanza di una domanda di partecipazione
alla selezione, sia per la natura della
legittimazione a ricorrere dell’Ordine
professionale, che lo abilita direttamente a
proporre ricorso a tutela degli interessi
rappresentati senza il collegamento con una
domanda di partecipazione logicamente non
ipotizzabile da parte dell’Ordine stesso,
sia perché, a seguito della pronuncia
dell’Adunanza Plenaria nr. 4/2011, si deve
ritenere che la legittimazione ad impugnare
un bando per contestare una clausola
pacificamente escludente sussiste “a
priori”, senza necessità di radicare
l’interesse processuale in una domanda di
partecipazione, la cui sicura reiezione in
forza della clausola escludente risolverebbe
la sua presentazione in una mera formalità.
Va ritenuta la sussistenza della
legittimazione attiva in capo alla odierna
ricorrente: per giurisprudenza pacifica,
l’Ordine professionale può difendere in sede
processuale gli interessi dei propri
iscritti, avendo rappresentanza della
categoria professionale in funzione della
quale è costituito, sia relativamente a
questioni inerenti la violazione delle norme
poste a tutela della professione, sia per il
perseguimento di vantaggi di natura
strumentale riferibili alla medesima
categoria (TAR Lazio, Roma, II, 22.09.2005,
n. 7307, Consiglio di Stato, V, 07.03.2001,
nr. 1339, cui condivisibilmente si richiama
la difesa di parte ricorrente; cfr. anche
Consiglio Stato a. plen. 03.06.2011, n. 10
che riconosce la sussistenza della
legittimazione dell’Ordine professionale ad
agire contro procedure di evidenza pubblica
ritenute lesive dell'interesse
istituzionalizzato della categoria da esso
rappresentata, anche nell'ipotesi in cui
possa configurarsi un conflitto di interessi
con partecipanti alla selezione appartenenti
al medesimo Ordine).
Sussiste
l’interesse della parte ricorrente
all’impugnazione dell’avviso, ancorché in
mancanza di una domanda di partecipazione
alla selezione, sia per la natura della
legittimazione a ricorrere dell’Ordine
professionale, che lo abilita direttamente a
proporre ricorso a tutela degli interessi
rappresentati senza il collegamento con una
domanda di partecipazione logicamente non
ipotizzabile da parte dell’Ordine stesso,
sia perché, a seguito della pronuncia
dell’Adunanza Plenaria nr. 4/2011, si deve
ritenere che la legittimazione ad impugnare
un bando per contestare una clausola
pacificamente escludente sussiste “a
priori”, senza necessità di radicare
l’interesse processuale in una domanda di
partecipazione, la cui sicura reiezione in
forza della clausola escludente risolverebbe
la sua presentazione in una mera formalità
(TAR Milano Lombardia sez. I, 09.06.2011, n.
1493; Consiglio di Stato ad. Plen.
07.04.2011, n. 4) (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 01.02.2012 n. 87 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
“vicinitas” non può ex se radicare la
legittimazione al ricorso, in assenza di
prove in ordine ai pregiudizi derivanti dal
rilascio del titolo edilizio a terzi.
La Sezione ha avuto modo di statuire, in una
significativa decisione (n. 8364 del
30/11/2010 ) che la “vicinitas” non
può ex se radicare la legittimazione
al ricorso, in assenza di prove in ordine ai
pregiudizi derivanti dal rilascio del titolo
edilizio a terzi, ma non è questo il caso
che ci occupa.
In quella sede, invero, oggetto
dell’impugnativa principale era uno
strumento urbanistico attuativo che
disciplinava una vasta area ai fini del
recupero della stessa, senza che da ciò
potesse derivare detrimento ai vicini, ma
nella fattispecie all’esame, avuto riguardo
allo stato dei luoghi e alla natura degli
atti in rilievo, non può escludersi il
carattere lesivo dei provvedimenti
impugnati.
Più specificatamente, anche in relazione al
contenuto delle censure prospettate
(violazione delle prescrizioni regolatrici
delle distanze nell’edificazione ex Dm n.
1444/1968) vi è nella specie un rapporto di
contiguità spaziale tra il suolo oggetto di
trasformazione e quello su cui insistono le
proprietà immobiliari dei ricorrenti
(stabile collegamento) che si coniuga con
una situazione differenziata suscettibile di
essere incisa dal rilascio del titolo di
assenso edilizio (in tal senso, Cons. Stato,
Sez. VI, 24/09/2004 n. 6255)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.01.2012 n. 420 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'essere
proprietario di un terreno confinante con quello oggetto dei
lavori assentiti col provvedimento impugnato è qualità di
per sé idonea a dimostrare la sussistenza di una situazione
soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta dai lavori (cd. “vicinitas”) ed a radicare la
legittimazione e l’interesse all’impugnazione del titolo
edilizio relativo all’immobile limitrofo, senza bisogno di
procedere ad ulteriori indagini, in quanto l’eventuale
illegittimità dell’atto di assenso è idonea di per sé ad
arrecare pregiudizio ai valori urbanistici tutelati dalle
previsioni vigenti nella zona.
Con riguardo all’eccepita carenza di prova circa la propria
legittimazione attiva, la ricorrente ... ha dimostrato
(versando in giudizio l’atto di divisione, stipulato in data
25.09.1981 innanzi al notaio E. Ruocco, n. 693 di repertorio
e n. 423 della raccolta, e l’atto di compravendita del
31.05.1993, rogato dallo stesso notaio con n. 1891 di
repertorio e n. 344 di raccolta) di essere proprietaria di
un terreno (individuato in catasto al foglio 22, particelle
53, 54 e 147) confinante con quello oggetto dei lavori
assentiti col provvedimento impugnato (riportato in catasto
allo stesso foglio 22, particella 56).
Osserva il Collegio che la suddetta qualità è di per sé
idonea a dimostrare la sussistenza di una situazione
soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta dai lavori (cd. “vicinitas”) ed a radicare
la legittimazione e l’interesse all’impugnazione del titolo
edilizio relativo all’immobile limitrofo, senza bisogno di
procedere ad ulteriori indagini, in quanto l’eventuale
illegittimità dell’atto di assenso è idonea di per sé ad
arrecare pregiudizio ai valori urbanistici tutelati dalle
previsioni vigenti nella zona (cfr., per tutte, Consiglio di
Stato, Sezione V, 13.07.2000, n. 3904; Sezione IV,
31.05.2007, n. 2849; TAR Campania, Napoli, Sezione II,
07.03.2008, n. 1172) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 20.01.2012 n. 302 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI: E'
ormai pacifico l'interesse a ricorrere degli enti locali
quali ad es. "il comune nel cui territorio è localizzata una
discarica di rifiuti, ai sensi dell'art. 3-bis l. 29.10.1987
n. 441"; in proposito si è affermato che "è titolare
dell'interesse a ricorrere avverso la delibera di
localizzazione, sia in quanto ente esponenziale dei
residenti, sia in quanto titolare del potere di
pianificazione urbanistica su cui incide il provvedimento di
localizzazione, sia in quanto soggetto che per legge può
partecipare al procedimento amministrativo e che in quanto
tale può impugnarne il provvedimento conclusivo.
E' del pari certo che non occorra provare l'esistenza di un
danno concreto ed attuale al fine di impugnare il
provvedimento di localizzazione di una discarica o di un
impianto industriale ritenuto inquinante in quanto la
questione della concreta pericolosità dell'impianto,
valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di
merito, mentre al fine di radicare l'interesse ad impugnare
è sufficiente la prospettazione di temute ripercussioni su
un territorio collocato nelle immediate vicinanze ed in
relazione al quale i ricorrenti sono in posizione
qualificata (quali residenti o proprietari o titolari di
altre posizioni giuridiche soggettive rilevanti). … deve
rilevarsi che la vicinitas … non può essere limitata al
comune di insediamento di un impianto industriale che si
assume dannoso per l'ambiente in quanto la prossimità
dell'interesse è in questo caso correlata all'imponenza
della minaccia del male o del danno temuto e, quindi, nel
caso di una centrale termoelettrica, di un danno commisurato
agli effetti inquinanti diffusivi di cui l'impianto si può
ipotizzare capace. In tal senso deve ritenersi sussistente
la vicinitas anche nel caso di iniziative associative che
riguardino soggetti residenti in comuni limitrofi.
Sul punto, il collegio è
consapevole dell’esistenza del più recente orientamento
giurisprudenziale per il quale la legittimazione in capo ai
comuni all'impugnazione del provvedimento di localizzazione
nel loro territorio di una discarica di rifiuti speciali non
pericolosi va riconosciuta solo a condizione che gli enti
medesimi (ed a maggior ragione, i comuni viciniori)
dimostrino il concreto pregiudizio che la realizzazione
dell'impianto sarebbe in grado di produrre negli ambiti
territoriali di rispettiva competenza.
Tale orientamento, però, appare contrastante con il pensiero
più tradizionale, al quale si ritiene di riportarsi (cfr.,
ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, 05.12.2002, n. 6657)
secondo cui “si deve inquadrare in modo particolare la
tematica dell'interesse all'impugnazione in materia
ambientale poiché non v'è dubbio che in tale materia esso si
atteggi in modo del tutto peculiare in relazione anche al
fenomeno dell'espansione del diritto pubblico dell'ambiente
e del ruolo che in detta espansione svolgono le formazioni
sociali e gli enti pubblici territoriali ed istituzionali. …
E' ormai pacifico l'interesse a ricorrere degli enti locali
quali ad es. "il comune nel cui territorio è localizzata una
discarica di rifiuti, ai sensi dell'art. 3-bis l. 29.10.1987
n. 441"; in proposito si è affermato che "è titolare
dell'interesse a ricorrere avverso la delibera di
localizzazione, sia in quanto ente esponenziale dei
residenti, sia in quanto titolare del potere di
pianificazione urbanistica su cui incide il provvedimento di
localizzazione, sia in quanto soggetto che per legge può
partecipare al procedimento amministrativo e che in quanto
tale può impugnarne il provvedimento conclusivo" (C. Stato,
sez. V, 02.03.1999, n. 217; in senso analogo CdS IV
06/10/2001 n. 5296). E' del pari certo che non occorra
provare l'esistenza di un danno concreto ed attuale al fine
di impugnare il provvedimento di localizzazione di una
discarica o di un impianto industriale ritenuto inquinante
in quanto la questione della concreta pericolosità
dell'impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è
questione di merito, mentre al fine di radicare l'interesse
ad impugnare è sufficiente la prospettazione di temute
ripercussioni su un territorio collocato nelle immediate
vicinanze ed in relazione al quale i ricorrenti sono in
posizione qualificata (quali residenti o proprietari o
titolari di altre posizioni giuridiche soggettive
rilevanti). … deve rilevarsi che la vicinitas … non può
essere limitata al comune di insediamento di un impianto
industriale che si assume dannoso per l'ambiente in quanto
la prossimità dell'interesse è in questo caso correlata
all'imponenza della minaccia del male o del danno temuto e,
quindi, nel caso di una centrale termoelettrica, di un danno
commisurato agli effetti inquinanti diffusivi di cui
l'impianto si può ipotizzare capace. In tal senso deve
ritenersi sussistente la vicinitas anche nel caso di
iniziative associative che riguardino soggetti residenti in
comuni limitrofi”.
Peraltro, anche con pronunce più recenti (cfr., in
particolare, Tar Brescia, sez. I, 02.02.2010, n. 521) è
stato affermato che “la legittimazione e l'interesse ad
agire dell'ente locale in materia ambientale, in quanto
titolare di un interesse collettivo, è riconosciuta dalla
giurisprudenza fin da Tar Lazio 1064/1990 (secondo cui "Il
comune, quale ente territoriale esponenziale di una
determinata collettività di cittadini della quale cura
istituzionalmente gli interessi a promuovere lo sviluppo, è
pienamente legittimato ad impugnare dinanzi al giudice
amministrativo i provvedimenti ritenuti lesivi
dell'ambiente") ed è confermata da giurisprudenza successiva
(Cons. Stato, sez. IV, 06.10.2001 n. 5296: ad un Comune va
riconosciuta la legittimazione ad impugnare il provvedimento
di approvazione di una discarica da localizzare nel suo
territorio, sia per la qualità di ente esponenziale degli
interessi dei residenti che potrebbero subire danni dalla
scelta compiuta dall'autorità competente nell'individuazione
delle aree per l'attivazione dell'impianto di discarica, sia
per la qualità di titolare del potere di pianificazione
urbanistica, su cui certamente incide la collocazione
dell'impianto medesimo).
Sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere
legislativamente all'ente territoriale la possibilità di
agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento
del danno all'ambiente (come fa l'art. 18, co. 3, l.
349/1986), e negargli invece la possibilità di agire (in via
preventiva) per impedire la produzione di quello stesso
danno.
Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarità
di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il
cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso è
talora costituito soltanto dal fine statutario, e non
individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della
comunità di riferimento”
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 11.01.2012 n. 67 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2011 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: L'apertura
di un centro commerciale di notevoli dimensioni è in grado
di esercitare un impatto economico che non può essere
ristretto ai commercianti siti nell'area nella quale la
nuova struttura commerciale è stata autorizzata a
collocarsi, ma inevitabilmente si riverbera sugli esercenti
dei Comuni viciniori ai quali va di conseguenza riconosciuta
la legittimità ad insorgere avverso il provvedimento che ne
ha autorizzato l'apertura, atteso che la vicinitas
costituisce, per i titolari e i proprietari di strutture di
vendita, un collegamento stabile tra il ricorrente
qualificato per l'attività esercitata e la zona interessata
dall'intervento assentito e va valutata alla stregua di un
giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni
dell'opera programmata, della sua destinazione, delle sue
implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze
prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di
coloro che per residenza, attività lavorativa e simili sono
in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova
opera.
L'apertura di un centro commerciale di notevoli dimensioni,
in località caratterizzata dalla presenza di importanti
collegamenti stradali e con ampia disponibilità di
parcheggi, per effetto del grande richiamo notoriamente
esercitato sui consumatori dalla possibilità di procedere ad
acquisti di ogni genere con un solo spostamento verso un
unico centro ed a condizioni di prezzo spesso più
vantaggiose, è in grado di esercitare un impatto economico
che non può essere ristretto ai commercianti siti nell'area
nella quale la nuova struttura commerciale è stata
autorizzata a collocarsi, ma inevitabilmente si riverbera
sugli esercenti dei Comuni viciniori ai quali va di
conseguenza riconosciuta la legittimità ad insorgere avverso
il provvedimento che ne ha autorizzato l'apertura, atteso
che la vicinitas costituisce, per i titolari e i
proprietari di strutture di vendita, un collegamento stabile
tra il ricorrente qualificato per l'attività esercitata e la
zona interessata dall'intervento assentito e va valutata
alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e
delle dimensioni dell'opera programmata, della sua
destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche
delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla
qualità della vita di coloro che per residenza, attività
lavorativa e simili sono in durevole rapporto con la zona in
cui sorge la nuova opera; segue da ciò che il bacino di
utenza da prendere in considerazione, ai fini del
riconoscimento del pregiudizio che radica l'interesse al
ricorso giurisdizionale, può estendersi per un raggio di
decine di chilometri, che necessariamente travalica gli
ambiti tracciati ai fini della programmazione degli
insediamenti commerciali (Consiglio di Stato, sez. V,
20.02.2009, n. 1032) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 06.12.2011 n. 9600 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
1. Ricorso giurisdizionale -
Legittimazione attiva - Comune - Ente esponenziale di
interessi della collettività - Sussiste - Condizioni.
2. Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva - Comune
- Ente esponenziale di interessi della collettività - In
caso di vicinanza di impianto di consistenti dimensioni
preposto alla produzione di energia elettrica in Comune
finitimo - Legittimazione ad agire - Sussiste.
3. Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva - Comune
- Ente esponenziale di interessi della collettività -
Condizioni - Mera utilità ipotetica ed eventuale -
Legittimazione ad agire - Non sussiste - Vicinitas - E'
insufficiente.
1. La legittimazione a ricorrere avverso provvedimenti di
altra P.A. spetta al Comune, quale ente esponenziale della
comunità municipale, in tutti i casi in cui agisca a tutela
di interessi collettivi, purché si tratti di interesse
differenziato e qualificato, che ruota attorno all'incidenza
sul territorio comunale dei provvedimenti impugnati.
E ciò, con l'ulteriore precisazione che, nel caso in cui la
legittimazione sia ancorata alla vicinitas ed il
Comune agisca in via surrogatoria degli interessi dei
cittadini residenti nel proprio territorio, la
legittimazione del Comune, dovendo modellarsi su quella
ordinariamente spettante ai soggetti surrogati, postula la
prospettazione di concrete ripercussioni sul territorio, in
relazione alle quali i ricorrenti sono in posizione
qualificata (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 492/2002, n.
98/2002; TAR Milano, sent. n. 383/2011, n. 90/2011; Cons. di
Stato, sent. n. 1548/2008, n. 6657/2002).
2. La vicinanza di un impianto di consistenti dimensioni
preposto alla produzione di energia elettrica, radica in
capo al comune finitimo la legittimazione ad agire, poiché
essa non può essere subordinata alla produzione di una prova
puntuale della concreta pericolosità dell'impianto,
reputandosi sufficiente la prospettazione delle temute
ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle
immediate vicinanze della centrale da realizzare (cfr. Cons.
di Stato, sent. n. 3263/2004; TAR Roma, sent. n. 5481/2005;
TAR Bari, sent. n. 1098/2003).
3. Nel caso in cui l'utilità che il Comune aspiri a
conseguire dall'annullamento di piani attuativi di altro
Comune finitimo sia meramente ipotetica ed eventuale -e da
tali piani non derivi la localizzazione di opere che possano
avere ripercussioni negative sul Comune ricorrente- non è
sufficiente la condizione della vicinitas per
configurare in capo al Comune la legittimazione ad agire.
Nel caso di specie, non sono stati ritenuti sufficienti a
configurare la legittimazione ad agire in capo al Comune
ricorrente le future implicazioni derivanti dai piani
attuativi del comune finitimo, consistenti nell'inevitabile
incremento di popolazione producibile dagli stessi,
destinata a riversarsi anche sulle proprie strade, sui
propri parchi o sulle scuole convenzionate tra i Comuni
viciniori (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 9537/2010, n.
5244/2009; TAR Venezia, n. 265/2011; TAR Brescia, sent. n.
2238/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2011 n. 2898 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: 1.
Ricorso amministrativo - Legittimazione e interesse a
ricorrere - Ricorso avverso piani attuativi - Condizioni -
Pregiudizio specifico e interesse concreto, attuale ed
immediato - Necessità.
2. Ricorso amministrativo - Legittimazione e interesse a
ricorrere - Ricorso avverso provvedimenti in materia
edilizia - Possibilità di ricorrere per "chiunque" -
Condizioni - Situazione di stabile collegamento con la zona
interessata dal provvedimento - Necessità.
3. Ricorso amministrativo - Legittimazione e interesse a
ricorrere - Ricorso avverso piani urbanistici - Condizioni -
Vicinitas - Non sufficienza - Effettività del danno -
Necessità.
1. In materia di impugnazione di piani attuativi, la
sussistenza della legitimatio ad causam postula la
prospettazione di concrete ripercussioni sul territorio, in
relazione alle quali il ricorrente deve porsi in una
posizione qualificata: infatti, la legittimazione e
l'interesse ad agire devono attenere ad una situazione
personale e differenziata, nonché ad un interesse concreto,
attuale ed immediato di cui il ricorrente deve essere
portatore diretto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 486/2011).
2. La possibilità riconosciuta a "chiunque" di
ricorrere avverso i provvedimenti in materia edilizia, ex
art. 31, comma 9, Legge n. 1150/1942, come modificato
dall'art. 10, L. 06.08.1967 n. 765, deve essere intesa nel
senso di consentire l'impugnativa soltanto a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con la zona, data
dalla residenza, dal possesso o detenzione di immobili o da
altro titolo di collegamento con l'ambito territoriale
interessato (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1189/2010, n.
9301/2009).
3. Ai fini della legittimazione all'impugnazione di piani
urbanistici, anche attuativi, è necessario che l'esponente
fornisca la prova non solo della vicinanza del proprio fondo
a quello oggetto del piano, ma anche dell'effettività del
danno derivante dall'intervento urbanistico; quanto
all'incisività dell'intervento, essa non può di per sé, in
mancanza di altri elementi, assurgere a prova del concreto
nocumento a carico degli esponenti (cfr. TAR Milano, sent.
n. 90/2011, n. 1551/2008; Cons. di Stato, sent. n.
1548/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2011 n. 2824 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
materia di impugnazione di piani urbanistici, anche
attuativi, non è sufficiente il requisito della “vicinitas”
dell’area oggetto dell’intervento urbanistico, dovendosi
esigere invece dal ricorrente la prova concreta della
specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria
sfera giuridica. Questo per evitare che un’eccessiva
dilatazione del concetto di “interesse ad agire” (ex art.
100 del codice di procedura civile), applicato ai piani
urbanistici, consenta l’impugnativa anche a soggetti
titolari di un interesse di mero fatto.
Altresì, ai fini della legittimazione all’impugnazione di
piani urbanistici, anche attuativi, l’esponente deve fornire
la prova non solo della vicinanza del proprio fondo a quello
oggetto del piano, ma anche dell’effettività del danno
derivante dall’intervento urbanistico.
In materia di impugnazione di piani urbanistici, anche
attuativi, è noto l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa la quale, ai fini del fondamento della
legittimazione e dell’interesse ad agire, non ritiene
sufficiente il requisito della “vicinitas” dell’area
oggetto dell’intervento urbanistico, esigendo invece dal
ricorrente la prova concreta della specifica lesione inferta
dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica.
Questo per evitare che un’eccessiva dilatazione del concetto
di “interesse ad agire” (ex art. 100 del codice di
procedura civile), applicato ai piani urbanistici, consenta
l’impugnativa anche a soggetti titolari di un interesse di
mero fatto (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV,
13.07.2010, n. 4545 e sez. IV, 30.11.2010, n. 8365, la quale
ultima ha confermato la sentenza di questa Sezione II, n.
5170/2009).
La giurisprudenza della scrivente Sezione, dal canto suo, ha
anch’essa richiesto, ai fini della legittimazione
all’impugnazione di piani urbanistici, anche attuativi, che
l’esponente fornisca la prova non solo della vicinanza del
proprio fondo a quello oggetto del piano, ma anche
dell’effettività del danno derivante dall’intervento
urbanistico (si vedano: TAR Lombardia, Milano, sez. II,
08.02.2011, n. 383; 17.01.2011, n. 90 e 09.05.2008, n. 1551,
con la giurisprudenza ivi richiamata, fra cui di importanza
rilevante è la decisione del Consiglio di Stato, sez. IV,
10.04.2008, n. 1548) (TAR Lombardia, Sez. II,
sentenza 22.11.2011 n. 2824 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Ricorso
amministrativo - Legittimazione e interesse a ricorrere -
Vicinitas - Insufficienza - Pregiudizio specifico -
Necessità.
La
vicinitas può legittimare un ricorso solo qualora per
effetto della realizzazione della contestata costruzione la
situazione, anche urbanistica, dei luoghi assuma
caratteristiche tali da configurare una pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto edilizio ed
urbanistico, che il ricorrente intende invece conservare:
l'esistenza della vicinitas abilita, dunque, il
soggetto ad agire per il ripristino delle norme edilizie ed
urbanistiche che assume violate, a condizione che vi sia un
interesse al mantenimento del preesistente assetto edilizio
(cfr. TAR Milano, sent. n. 1244/2011, 90/2011; TAR Trento,
sent. n. 80/2011) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2011 n. 2811 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il criterio della vicinitas, intesa come
situazione di stabile collegamento con la zona interessata
dall’intervento edilizio, non postula necessariamente
l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la
semplice prossimità.
Il proprietario o il possessore dell'immobile o il semplice
residente o domiciliato nella zona interessata è legittimato
a ricorrere in ragione di tale stabile collegamento, idoneo
a radicare una posizione d'interesse, differenziata rispetto
a quella posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione
di una concessione edilizia, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore, specifico interesse.
Premesso che il criterio della vicinitas, intesa come
situazione di stabile collegamento con la zona interessata
dall’intervento edilizio, non postula necessariamente
l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la
semplice prossimità (nel caso di specie pacificamente
sussistente), si osserva come, secondo la prevalente
giurisprudenza –anche della Sezione- il proprietario o il
possessore dell'immobile o il semplice residente o
domiciliato nella zona interessata è legittimato a ricorrere
in ragione di tale stabile collegamento, idoneo a radicare
una posizione d'interesse, differenziata rispetto a quella
posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione
di una concessione edilizia, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore, specifico interesse (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7491; nello stesso
senso cfr. id., V, 07.05.2008, n. 2086; TAR Liguria, I,
18.11.2010, n. 10389) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1583 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Impugnazione di titoli edilizi, quando
la "vicinitas" non basta.
La vicinitas, criterio idoneo a
legittimare l'impugnazione di singoli titoli edilizi, non
può ritenersi sufficiente nel caso in cui oggetto di
contestazione giudiziale è la disciplina urbanistica,
contenuta in uno strumento attuativo, di aree estranee a
quelle di proprietà dei ricorrenti. In tali evenienze
soccorre il principio per cui per proporre impugnativa è
necessario che la nuova destinazione urbanistica che
concerne un'area non appartenente al ricorrente incida su
interessi propri e specifici del medesimo esponente, dovendo
l'interessato fornire almeno idonei principi di prova. E'
acquisizione pacifica che la legittimazione ad agendum può
essere riconosciuta solo allorché venga comprovata la
sussistenza di una posizione legittimante rappresentata, in
particolare da un interesse peculiare e qualificato su cui
fondare il titolo di legittimazione a domandare ed
eventualmente ottenere dal giudice adito una pronuncia
costitutiva.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di occuparsi
della problematica dell'ammissibilità del gravame
giurisdizionale sotto il profilo della legittimazione, con
specifico riguardo all'impugnativa dei titoli
all'edificazione proposta da soggetti che abitano in area
vicina a quella deputata ad ospitare l'intervento edilizio.
Sul punto è necessario ribadire, che in base ai principi
generali in materia di condizioni dell'azione, desumibili
dall'art. 24, comma 1, della Costituzione (tutti possono
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi) e dall'art. 100 c.p.c. (per proporre
una domanda o per resistere alla stessa occorre avere un
interesse), l'azione di annullamento è sottoposta a due
fondamentali condizioni:
a) l'interesse processuale che presuppone, nella
prospettazione della parte, una lesione dell'interesse
sostanziale dedotto in giudizio;
b) la legittimatio ad causam, costituita dall'essere
titolare di un rapporto controverso in relazione
all'esercizio del potere pubblico, in virtù del quale viene
conferito al soggetto interessato alla contestazione
giudiziale una posizione qualificata che lo distingue dal
quisque de populo.
In mancanza dell'uno o dell'altro requisito, l'azione è
inammissibile, dovendo, in particolare, nel sistema
giurisdizionale amministrativo ai fini dell'ammissibilità
del ricorso esservi piena corrispondenza tra titolo
(possibilità giuridica dell'azione) ed interesse sostanziale
ad agire.
Precisati i parametri giurisprudenziali cui far riferimento
per delibare in ordine ad una eccezione di inammissibilità
sotto i profili suindicati, nel caso de quo è eccepita la
carenza in capo agli attuali appellati cittadini di una
posizione differenziata qualificabile in termini astratti
come titolo legittimante all'azione unitamente al difetto
dell'interesse sostanziale ad agire.
Quanto alla prima delle predette circostanze, va rilevato
che gli odierni appellati (ricorrenti di primo grado) sono
un gruppo di cittadini proprietari-abitanti di fabbricati
siti in area vicina a quella destinata ad ospitare
l'insediamento immobiliare di cui al contestato P.I.I.,
essendo pacifico al riguardo che le loro proprietà si
trovano in siti posti al di fuori del perimetro dell'area
interessata al suddetto Piano Integrato d'Intervento.
Viene quindi in rilevo l'aspetto della vicinitas,
criterio ritenuto idoneo a legittimare l'impugnazione di
singoli titoli edilizi, che, tuttavia, nella fattispecie
deve ritenersi recessivo allorché oggetto di contestazione
giudiziale è la disciplina urbanistica (contenuta in uno
strumento attuativo) di aree estranee a quelle di proprietà
degli originari ricorrenti. In questo caso il criterio della
vicinitas in esame non è sufficiente a fornire le
condizioni dell'azione, dal momento che non esaurisce gli
ulteriori profili di interesse all'impugnazione.
Soccorre, invero, in tali evenienze il principio per cui per
proporre impugnativa è necessario che la nuova destinazione
urbanistica che concerne un'area non appartenente al
ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di
mercato dell'area viciniore o comunque su interessi propri e
specifici del medesimo esponente, dovendo di tanto
l'interessato fornire se non una rigorosa dimostrazione,
almeno idonei principi di prova.
Del pari, in relazione al carattere personale dell'azione,
per ciò che attiene ai profili dell'attualità e concretezza,
occorre verificare se dall'impugnato Piano Integrato di
Intervento discende una lesione effettiva e un danno certo
alla sfera giuridica del ricorrente.
Ebbene nessuna delle predette circostanze richieste quali
condiciones iuris per l'ammissibilità del ricorso
risulta nella specie sussistente.
I ricorrenti di prime cure lamentano, in concreto, una sorta
di alterazione del preesistente assetto urbanistico-edilizio
che intendono conservare, il che, a loro dire, comporterebbe
un peggioramento della vivibilità della zona, avuto
particolare riguardo al fatto che il programma di intervento
sarebbe contrassegnato da una carenza di standard
urbanistici,in specie parcheggi.
Ora, in primo luogo non è minimamente dimostrato un
eventuale deprezzamento delle proprietà dei ricorrenti
-situate al di fuori delle aree del P.I.I.- sicché allo
specifico riguardo non è rinvenibile una lesione effettiva e
documentata delle facoltà dominicali dei medesimi.
Al contrario, trattandosi di un intervento di bonifica e di
riqualificazione di un'area industriale dismessa, il valore
degli immobili delle aree circostanti deve ritenersi
aumentato e giammai diminuito in ragione della bonifica di
un sito degradato.
Al riguardo va pure rilevato di non essere nella specie
provato che sull'area oggetto del progettato intervento
vengono a realizzarsi immobili a destinazione commerciale o
imprenditoriali suscettibili di per sé di creare nocumento
ai vicini e/o compromettere il diritto alla salute o
all'ambiente.
E se così è, non è dato intravvedere, per gli aspetti sopra
esposti, la sussistenza di un vulnus idoneo a
legittimare l'azione di annullamento contro lo strumento
urbanistico attuativo di cui è causa.
Quanto agli altri profili di pregiudizio lamentati, quelli
attinenti ad una pretesa insufficienza delle infrastrutture
e di altri standars urbanistici, in particolari, parcheggi,
al di là del fatto che parte appellante indica circostanze e
dati che sul punto smentiscono la fondatezza delle
contestazioni operate dai vicini residenti, va osservato che
tali rilievi, oltre a non essere adegutamente documentati,
attengono, per il loro ontologico contenuto, al merito del
giudizio, non già alla sussistenza dei presupposti
legittimanti la proposta azione di annullamento.
In ogni caso, sotto le denunciate vesti dei pregiudizi
lamentati, in realtà gli originari ricorrenti, attuali
appellati, certant de lucro captando e non de damno
evitando e non v'è dubbio che l'assenza per loro di benefici
derivanti dal progettato insediamento immobiliare non può
assurgere alla dignità di lesione concreta ed effettiva
della loro sfera giuridica, questa sì imprescindibile
condizione, unitamente alle altre, per legittimare
l'instaurazione della contestazione giudiziale (commento
tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.11.2011 n. 6016 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
La vicinitas non è condizione
sufficiente per agire in giudizio quando non è inciso il
valore di mercato dell’area viciniore.
È acquisizione pacifica che la
legittimazione ad agire, nel sistema giurisdizionale
amministrativo, può essere riconosciuta solo se alla base
sussista un titolo legittimante rappresentato da un
interesse peculiare e qualificato.
Sulla base di questo principio cardine, la IV Sez. del
Consiglio di Stato,
sentenza 15.11.2011 n. 6016, ha ritenuto
inammissibile, sotto il profilo della legittimazione ad
agire, l’impugnativa dei titoli all’edificazione proposta da
un gruppo di soggetti e diretta ad ottenere l’annullamento
di una delibera comunale di approvazione di un Programma
integrato di intervento edilizio nell’ambito di un’area
industriale dimessa.
Sebbene i soggetti abitassero in area vicina (ma estranea) a
quella deputata ad ospitare l’intervento edilizio (nella
specie di realizzazione di un complesso di edifici a
destinazione per la gran parte residenziale e per altra
parte terziaria/commerciale), i giudici di palazzo Spada
hanno ritenuto non sufficiente il criterio della
vicinitas a fondare la richiesta della pronuncia
costitutiva di annullamento.
Come già approfondito dal medesimo collegio in altra sede
(sent. 8364/2010) in base ai principi generali in materia di
condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1,
Cost. (tutti possono agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti ed interessi legittimi) e dall’art. 100
c.p.c. (per proporre una domanda o per resistere alla stessa
occorre avere un interesse), l’azione di annullamento è
sottoposta a due fondamentali condizioni:
a) l’interesse processuale che presuppone, nella
prospettazione della parte, una lesione dell’interesse
sostanziale dedotto in giudizio (cfr. sul punto Cons. Stato,
sez. VI, n. 51921/2009);
b) la legittimatio ad causam, costituita dall’essere
titolare di un rapporto controverso in relazione
all’esercizio del potere pubblico, in virtù del quale viene
conferito al soggetto interessato alla contestazione
giudiziale una posizione qualificata e differenziata.
In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è
inammissibile, dovendo esservi piena corrispondenza tra
titolo (o possibilità giuridica dell’azione) ed interesse
sostanziale ad agire.
Nel caso di specie si è riscontrata la carenza di interesse
in capo ai cittadini proprietari (e abitanti) di fabbricati
siti in area vicina a quella destinata ad ospitare
l’insediamento immobiliare di cui al contestato intervento
edilizio, in quanto è richiesto quale condizione ulteriore
al criterio della vicinitas (ai fini dell’azionabilità
in giudizio) che la nuova destinazione urbanistica
concernente un’area non appartenente al ricorrente incida
direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area
viciniore o comunque su interessi propri e specifici del
medesimo esponente. E di tanto l’interessato deve fornire se
non una rigorosa dimostrazione, almeno idonei principi di
prova.
Nei fatti invece non è stato minimamente dimostrato un
eventuale deprezzamento delle proprietà dei ricorrenti
(situate, come detto, al di fuori delle aree del PII). Di
conseguenza non si è rinvenuta una lesione effettiva e
documentata delle facoltà dominicali dei medesimi idonea a
sorreggere la predetta impugnativa (commento tratto da
www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Legittimazione a ricorre delle
associazioni a tutela dell'ambiente.
La sentenza si sofferma sia sulla individuazione dei
soggetti collettivi e non, legittimati a ricorrere per la
tutela di interessi ambientali sia sulla nozione interesse
di natura ambientale.
La controversia oggetto della sentenza in esame riguardava
in primo luogo la legittimazione attiva a ricorrere avverso
provvedimenti lesivi di interessi ambientali.
Il Consiglio di Stato conferma l’orientamento, ormai
consolidato in giurisprudenza, secondo cui, tale interesse
deve essere riconosciuto non soltanto alle associazioni ed
ai comitati stabili, cui tale facoltà è stata conferita con
legge (art. 13 legge n. 349 del 1986), nella fattispecie
tale interesse risultava così riconosciuto in capo alla
Onlus Italia Nostra, ma anche a diversi soggetti, singoli o
collettivi, che assumano di difendere tale interesse.
In particolare, deve ammettersi la legittimazione a
ricorrere sia di comitati sorti spontaneamente allo
specifico scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la
qualità della vita delle popolazioni residenti su un
circoscritto territorio, sia di singole persone fisiche che
risultino in una posizione differenziata, sulla base del
criterio della vicinitas quale elemento qualificante
dell’interesse a ricorrere.
Il Consiglio di Stato si sofferma inoltre sui limiti entro
cui è possibile riconoscere l’esistenza di un interesse di
natura ambientale di cui si assuma le lesione.
Nella fattispecie oggetto della sentenza risultava infatti
impugnato l’atto con cui era stata approvata una variante
urbanistica ed era, pertanto, in discussione la possibilità
di configurare la lesione di un interesse alla tutela
dell’ambiente a fronte del coinvolgimento di disposizioni di
natura prettamente urbanistica.
Anche a questo riguardo la sentenza in esame conferma un
orientamento consolidato secondo cui, “la materia
ambientale per le peculiari caratteristiche del bene
protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela
dell’ambiente, infatti, lungi dal costituire un autonomo
settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo
unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche
predisposte a favore dei diversi beni della vita che
nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così
dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e
competenze amministrative, che connotano anche le
distinzioni fra ministeri)”.
La giurisprudenza riconosce in tal modo la possibilità di
tutelare i cd. interessi ambientali in senso lato, “comprendenti
proprio la conservazione e valorizzazione dei beni
culturali, dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio
urbano, rurale e naturale, dei monumenti e dei centri
storici e della qualità della vita”.
In particolare, ai fini della verifica della legittimazione
a ricorrere, il giudice deve verificare caso per caso se
l’annullamento, richiesto per violazione di una norma
urbanistica, presupponga la lesione di un interesse
ambientale, rappresentando la tutela di quest’ultimo la vera
ragione dell’azione giurisdizionale promossa (commento
tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.11.2011 n. 5986 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Solo
un interesse reale e concreto giustifica il ricorso.
IL CRITERIO - Le sentenze chiedono il requisito della «vicinitas»
che però dipende dalle caratteristiche dell'intervento
contestato.
Quanto vicino deve essere il vicino?
L'impugnazione dei titoli edilizi non è esercitabile da
tutti; solo chi lamenti una lesione concreta ed attuale dai
lavori può rivolgersi al Tar, nei limiti e con le procedure
trattate nell'articolo qui sopra.
Su questo punto la giurisprudenza amministrativa ha
elaborato il concetto di vicinitas, intesa come
prossimità fra immobili, quale «condizione sufficiente a
legittimare l'impugnazione di una concessione edilizia,
anche quella in sanatoria, sicché a maggior ragione non può
negarsi un interesse processuale ad agendum da parte del
proprietario di un immobile confinante» (Consiglio di
Stato, sezione IV, 13.07.2011, n. 4268).
Alla vicinitas va però attribuito il senso non di
stretta contiguità, bensì di stabile e significativo
collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con
la zona oggetto delle opere (Consiglio di Stato, sezione VI,
27.03.2003, n. 1600).
Il tema si pone soprattutto rispetto agli interventi edilizi
e infrastrutturali che incidano su vaste aree. In un caso
esaminato dal Consiglio di Stato (decisione 1134/2010) si è
così ritenuto che la «distanza da 600 a 2.000 metri non
sia di ostacolo alla configurazione della ripetuta
situazione di vicinitas avuto riguardo alla natura e alla
potenzialità dell'impianto autorizzato con gli atti
impugnati».
È ancora del tutto pacifico in giurisprudenza che il
controllo sulla legittimità dei titoli abilitativi in
edilizia prescinda dalla proprietà del fondo leso
dall'attività edilizia, essendo sufficiente che il
ricorrente si trovi in un rapporto diretto e stabile con
l'area oggetto dei lavori (Consiglio di Stato, sezione IV,
10.03.2011, n. 1566).
La vicinitas è comunque condizione necessaria ma non
sufficiente a radicare (ferma la legittimazione) l'interesse
al ricorso, il quale necessita anche la dimostrazione del
pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del vicino
(Consiglio di Stato, sezione IV, 24.01.2011, n. 485), per
cui per proporre una azione in giudizio è necessario che
dalla stessa possa derivare all'attore una qualche concreta
utilità, sotto il profilo di un vantaggio sperato oppure,
come appunto nella specie, di un danno prevenuto.
È stato ad esempio ritenuto che per giustificare la
legittimazione fondata sulla vicinitas in caso di
edifici adibiti a ufficio o abitazione sia richiesta –almeno
in termini presuntivi– la prova di un potenziale pregiudizio
che il ricorrente potrebbe subire dai lavori. Altrimenti,
sarebbe come introdurre nel nostro ordinamento un'azione
popolare sconosciuta nel nostro ordinamento.
L'opposto vale nel caso dell'impugnazione di atti relativi
alla realizzazione di impianti industriali: in tal caso, non
sarà necessaria la prova rigorosa dell'effettività del danno
che si potrebbe subire. Così ha deciso ad esempio il
Consiglio di Stato (sezione V, 18.08.2010, n. 5819) in
relazione al progetto di costruzione di un
termovalorizzatore.
Allo stesso modo, non si potrebbe sostenere che un
insediamento composto da un complesso di edifici abitativi,
commerciali e direzionali -inserito in un quartiere già
densamente urbanizzato- sia di per sé in grado di
stravolgere o peggiorare la fisionomia della zona. A maggior
ragione se l'intervento edilizio consiste nel recupero con
cambio d'uso di edifici produttivi dismessi. O se i
ricorrenti non hanno la residenza nel quartiere interessato
dai lavori ma in un'altra zona della città.
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Gli esempi
01 | IMPIANTI INDUSTRIALI
La legittimazione ad agire è ampiamente riconosciuta dai
giudici. Per contestare, ad esempio, la realizzazione di un
termovalorizzatore non serve provare in modo rigoroso
l'effettività del danno che si potrebbe subire.
02 | EDIFICI A USO UFFICIO O ABITAZIONE
Per opporsi alla realizzazione di edifici dallo scarso
impatto urbanistico –come le abitazioni o gli uffici– la
verifica della legittimazione ad agire è più severa. Un
intervento di edilizio che si inserisce in un contesto già
densamente urbanizzato è difficile da contestare.
Diverso potrebbe essere il caso di strutture commerciali con
un impatto particolarmente pesante sulla circolazione e
l'afflusso di persone.
03 | I FATTORI CRITICI
Per opporsi alla realizzazione di un intervento diverso
dalla costruzione di impianti industriali, occorre
documentare in modo rigoroso il proprio interesse: un
ricorso intentato da soggetti che risiedono in un altro
quartiere, ad esempio, potrebbe essere bocciato in radice;
così come un'opposizione fondata sul presupposto di un
incremento del traffico veicolare non documentato da uno
studio inoppugnabile (articolo Il Sole 24 Ore del
24.10.2011). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Ai fini della legittimazione ad agire
deve considerarsi l’effettiva concorrenzialità del settore
merceologico e del bacino di utenza tra due attività.
Se da un lato è vero che la
giurisprudenza, al fine di verificare la legittimazione ad
agire, considera rilevante la distanza tra esercizi, va
rilevato che, con il progressivo sviluppo delle strutture di
vendita, si è ampliata l'interpretazione giurisprudenziale
della vicinitas, nel senso di dare rilievo al
collegamento territoriale in relazione al c.d “bacino di
utenza”; pertanto, non può ritenersi dirimente, ai fini
della legittimazione, l’effettiva distanza lineare tra due
attività concorrenti, venendo in rilievo, piuttosto,
l’effettiva concorrenzialità del settore merceologico e del
bacino di utenza, per cui il criterio topografico della
distanza tra due sedi commerciali ha acquisito un contenuto
elastico, che va misurato in rapporto ai citati parametri
(Consiglio di Stato, Sez. V
,
sentenza 21.10.2011 n. 5656 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Violazione
delle distanze e della disciplina urbanistica - Proprietari
confinanti - Legittimazione al ricorso - Sussiste -Rilevanza
del possibile futuro utilizzo dell'area - Non sussiste.
Il criterio
della "vicinitas" e il danno concreto risentito dai
confinanti dalla realizzazione dell'opera in ritenuta
violazione delle distanze e della disciplina urbanistica
integrano la legittimazione al ricorso e l'interesse
concreto ed attuale all'impugnativa, mentre non ha alcun
rilievo il possibile futuro utilizzo dell'area (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.10.2011 n. 2482 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI:
Il comune non può impugnare gli atti
relativi alla gestione di una discarica sita nel territorio
di un altro ente locale.
... il Comune ricorrente avrebbe dovuto dimostrare il
pregiudizio effettivamente subito dall’area di competenza, “posto
che il criterio della vicinitas non è considerato
sufficiente dalla consolidata giurisprudenza amministrativa”
(cfr., tra le altre, C.d.S., 16.04.2003, n. 1948) (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 04.10.2011 n. 7682 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
La posizione legittimante l'accesso agli
atti amministrativi non può identificarsi con il generico e
indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento
dell’attività amministrativa, per dovere essere invece la
concreta pretesa sussumibile in una fattispecie normativa
all’esito di una valutazione prognostica e secondo un
rapporto di chiara percepibilità.
Pertanto, se è vero che la situazione di stabile
collegamento con la zona in cui viene realizzata una data
opera è sufficiente a radicare in capo al proprietario,
secondo il criterio della vicinitas, una posizione
differenziata rispetto all’interesse generico di ogni
cittadino a conoscere l’attività dei pubblici poteri, la
conseguente legittimazione a prendere visione dei relativi
atti amministrativi è necessariamente circoscritta agli
aspetti di ordine edilizio, urbanistico e ambientale, i soli
che sono assistiti nell’ordinamento da tutela in capo a chi
adduca la semplice prossimità all’area interessata
dall’intervento.
Ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241
del 1990, nella materia dell’accesso sono «interessati» “…i
soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi
pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l’accesso”.
Come la giurisprudenza ha più volte avuto modo di rilevare
(v., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. III,
03.03.2010 n. 530; TAR Lazio, Sez. I, 09.09.2010 n. 32202),
la posizione legittimante non può identificarsi con il
generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon
andamento dell’attività amministrativa, per dovere essere
invece la concreta pretesa sussumibile in una fattispecie
normativa all’esito di una valutazione prognostica e secondo
un rapporto di chiara percepibilità.
Pertanto, se è vero che la situazione di stabile
collegamento con la zona in cui viene realizzata una data
opera è sufficiente a radicare in capo al proprietario,
secondo il criterio della vicinitas, una posizione
differenziata rispetto all’interesse generico di ogni
cittadino a conoscere l’attività dei pubblici poteri, la
conseguente legittimazione a prendere visione dei relativi
atti amministrativi è necessariamente circoscritta agli
aspetti di ordine edilizio, urbanistico e ambientale, i soli
che sono assistiti nell’ordinamento da tutela in capo a chi
adduca la semplice prossimità all’area interessata
dall’intervento.
In ragione di ciò, le ricorrenti non hanno titolo
all’accesso agli atti che attengono alla selezione pubblica
per la scelta dell’area destinata alla localizzazione
dell’impianto fotovoltaico, per risolversi una simile
indagine nella mera verifica della legittimità dell’attività
della pubblica Amministrazione, non funzionale alla
salvaguardia di un interesse giuridico protetto (a norma
dell’art. 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990 “non
sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un
controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche
amministrazioni”).
Neppure può essere invocata la speciale normativa
dell’accesso in materia ambientale, attesa la non immediata
riconducibilità ai profili di rilievo
paesaggistico/ambientale degli atti della selezione oggetto
della richiesta di accesso rimasta inevasa (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 04.10.2011 n. 328 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: La
verifica in ordine alla sussistenza dell’interesse a
ricorrere (ndr: avverso un piano di recupero, nella
fattispecie) implica necessariamente un’attenta valutazione
delle specificità del caso concreto.
L’interesse a ricorrere non può che essere valutato,
infatti, tenendo conto delle peculiarità proprie della
materia urbanistica, connotata, come noto, da un ampio
margine di discrezionalità esercitabile da parte
dell’amministrazione, con la conseguenza che l’utilità
derivante dell’accoglimento del ricorso deve essere
apprezzata anche sotto il profilo strumentale correlato
all’eventuale ulteriore attività dell’amministrazione, dalla
quale parte ricorrente potrebbe conseguire un risultato
positivo.
Il Collegio evidenzia, altresì, che il bene della vita
anelato dalla ricorrente non è né astratto né teorico,
dovendosi individuare nella tutela della qualità della vita
incisa dalla disponibilità di parcheggi e spazi a verde
adeguati, dal contenimento dell’inquinamento acustico e da
maggiori servizi, vieppiù significativi in un contesto,
quale quello del centro storico del Comune di Motegrotto
Terme, rinomato per le proprietà terapeutiche e curative
delle acque termali del proprio sottosuolo, sito in
prossimità dei Colli Euganei, nel quale la ricorrente
gestisce la propria attività turistico- ricettiva con la
diretta valorizzazione di tali risorse.
Non può revocarsi in dubbio, del resto, che, sebbene nella
rappresentazione della lesione possano emergere
apprezzamenti soggettivi legati alla sensibilità del
singolo, la sussistenza di standard sufficienti è
oggettivamente valutabile e rilevante; la ricorrente,
infatti, non si limita a contestare, in sé, l’adozione e
l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo, ma la
scelta operata dall’amministrazione che, attraverso
l’impianto complessivo del Piano e, nello specifico,
attraverso la cessione della cubatura di aree destinate a
piazza, parcheggi e marciapiedi e di un terreno contiguo a
quelli in proprietà della controinteressata, ha determinato,
nonostante il significativo incremento del carico
urbanistico, il mancato reperimento degli standard
all’interno dell’area, ricorrendo del tutto
irragionevolmente ed immotivatamente alla monetizzazione, in
luogo della quale, peraltro, la società attuatrice si è
impegnata a realizzare un fabbricato da destinare a
spogliatori sportivi da edificare in tutt’altra area, in
prossimità ed a servizio della nuova arcostruttura nella
frazione di Mezzavia.
Tali circostanze vengono valutate sufficienti ai fini della
sussistenza dell’interesse a ricorrere; una diversa opzione,
infatti, determinerebbe la totale vanificazione della tutela
avverso interventi urbanistici che, attraverso la
riqualificazione di un’area, dispiegano un’incidenza che va
oltre il perimetro oggetto del piano.
Occorre considerare, altresì, che l’interesse pubblico alla
realizzazione del piano di recupero per soddisfare
l’esigenza primaria di risanamento di una porzione
circoscritta del territorio comunale deve correlarsi e
confrontarsi con quello privato a non vedersi
spropositatamente sacrificato da scelte opinabili, con la
conseguente possibilità del giudice di verificare la
sussistenza di quella correlazione conformemente ai principi
di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità e coerenza.
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Le potenzialità dei Piani di Recupero vanno oltre la
riqualificazione del tessuto edilizio esistente e,
attraverso tali strumenti attuativi, possono essere
realizzate anche delle ristrutturazione urbanistiche.
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Qualora vi sia contrasto tra le indicazioni grafiche del
P.R.G. e le prescrizioni normative, sono queste ultime a
prevalere, in quanto in sede di interpretazione degli
strumenti urbanistici, le risultanze grafiche possono solo
chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel
testo ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta da
questo.
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Il piano di recupero costituisce uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche
contenute nel piano regolatore generale, destinato al
recupero del patrimonio edilizio esistente, senza, tuttavia,
implicare incrementi volumetrici tali da determinare un
aumento del carico insediativo, come risulta
dall’orientamento consolidato della giurisprudenza
amministrativa.
Tale strumento ha, dunque, per oggetto la ridefinizione del
tessuto urbanistico di un'area ed è caratterizzato dalla
specialità dei fini del recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico degradato per mantenere e meglio utilizzare il
patrimonio stesso mediante una globalità di interventi
edilizi organici integrati con il tessuto urbanistico
esistente, nonché con lo sviluppo programmato, attraverso
gli strumenti urbanistici generali.
Negli ultimi decenni gli interventi organici di recupero
finalizzati al perseguimento di obiettivi di
ristrutturazione urbanistica hanno assunto una crescente
rilevanza; i piani di recupero, infatti, consentono il
perseguimento sia di finalità di recupero del patrimonio
edilizio esistente in misura più complessa degli interventi
di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia,
sia finalità di recupero urbanistico, potendo, nello
specifico, prevedere interventi rivolti a sostituire
l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso,
anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale.
Pur dovendosi riconoscere ampie potenzialità alle
possibilità di intervento attraverso Piani di Recupero nella
ridefinizione del tessuto urbanistico, residuano, comunque,
i limiti derivanti dalla connotazione tipica di tale
strumento attuativo, connessi alla conservazione e
riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente, con
conseguente esclusione dell’ammissibilità di interventi che
possano comportare incrementi volumetrici –specie ove manchi
un rapporto di proporzionalità tra le preesistenze da
riqualificare ed i nuovi volumi da edificare– per i quali
risulta evidentemente più appropriato il ricorso a varianti
al piano regolatore generale ovvero a piani
particolareggiati speciali dotati del potere di modifica
dello strumento urbanistico generale.
Parte resistente sostiene, nello specifico, che
dall’adozione e dalla successiva approvazione del Piano di
Recupero non deriverebbe alcun pregiudizio alla società
ricorrente, in quanto l’intervento urbanistico interessa
un’area già edificata.
Sul punto, invero, l’orientamento giurisprudenziale non è
univoco.
Secondo una prima tesi, il terzo ha titolo ad adire
il giudice amministrativo, quando esista una situazione
soggettiva ed aggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta da una costruzione che, se illegittimamente
assentita, sia idonea ad arrecare pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima, onde la qualifica giuridica
di proprietario di un bene immobile confinante deve di per
sé ritenersi idonea a radicare la legittimazione e
l'interesse al ricorso, non occorrendo altresì la verifica
della concreta lesione di un qualsiasi altro interesse
giuridicamente rilevante; detta legittimazione va
riconosciuta ai proprietari frontisti anche quando la
materia del contendere attiene ad un piano urbanistico
attuativo in quanto suscettibile, ancor più del singolo
permesso di costruire, di determinare quella rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio, che il ricorrente intende
conservare (Cons. St., sez. IV, 29.07.2009, n. 4756; TAR
Campania-Salerno, sez. II, 05.10.2009, n. 5315).
Altro orientamento, condiviso dal Collegio, sostiene
il principio in base al quale il criterio della vicinitas
–sussistente nella fattispecie e, peraltro, non controverso–
seppure idoneo a supportare la legittimazione al ricorso dei
soggetti non proprietari di aree ricomprese nel perimetro
del piano di recupero non esaurisce gli ulteriori profili
dell’interesse concreto all’impugnazione, che costituisce
l’altra fondamentale condizione dell’azione.
Anche nel processo amministrativo, infatti, l'interesse a
ricorrere è caratterizzato dalla presenza dei requisiti che
qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c.,
vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed
attuale della sfera giuridica del ricorrente e
dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo
dall'annullamento dell'atto impugnato (cfr Cons. St., sez IV,
12.12.2005, n.39), sicché sarebbe del tutto inutile
l’annullamento di un provvedimento richiesta dal ricorrente
se questi non può trarre alcun vantaggio in relazione alla
sua posizione legittimante (cfr. Cons. St., sez. IV,
11.04.2007, n. 1684).
La verifica in ordine alla sussistenza dell’interesse a
ricorrere implica necessariamente un’attenta valutazione
delle specificità del caso concreto.
Nella fattispecie oggetto di giudizio la società ricorrente
gestisce uno stabilimento termale ubicato a ridosso
dell’ambito interessato dal Piano di recupero, alla cui
attuazione vengono imputati significativi effetti
pregiudizievoli, da individuare nel peggioramento della
qualità della vita per l’aumento del traffico,
l’inquinamento atmosferico ed acustico e, soprattutto,
l’assenza di standard adeguati rispetto ad un intervento che
presenta un considerevole peso insediativo, con inevitabili
ed evidenti ripercussioni negative anche sotto il profilo
turistico- ricettivo.
Il Collegio ritiene che, anche in base all’orientamento più
rigoroso sopra richiamato, l’interesse a ricorrere deve,
nella fattispecie, ritenersi sussistente.
L’interesse a ricorrere non può che essere valutato,
infatti, tenendo conto delle peculiarità proprie della
materia urbanistica, connotata, come noto, da un ampio
margine di discrezionalità esercitabile da parte
dell’amministrazione, con la conseguenza che l’utilità
derivante dell’accoglimento del ricorso deve essere
apprezzata anche sotto il profilo strumentale correlato
all’eventuale ulteriore attività dell’amministrazione, dalla
quale parte ricorrente potrebbe conseguire un risultato
positivo.
Il Collegio evidenzia, altresì, che il bene della vita
anelato dalla ricorrente non è né astratto né teorico,
dovendosi individuare nella tutela della qualità della vita
incisa dalla disponibilità di parcheggi e spazi a verde
adeguati, dal contenimento dell’inquinamento acustico e da
maggiori servizi, vieppiù significativi in un contesto,
quale quello del centro storico del Comune di Motegrotto
Terme, rinomato per le proprietà terapeutiche e curative
delle acque termali del proprio sottosuolo, sito in
prossimità dei Colli Euganei, nel quale la ricorrente
gestisce la propria attività turistico- ricettiva con la
diretta valorizzazione di tali risorse.
Non può revocarsi in dubbio, del resto, che, sebbene nella
rappresentazione della lesione possano emergere
apprezzamenti soggettivi legati alla sensibilità del
singolo, la sussistenza di standard sufficienti è
oggettivamente valutabile e rilevante; la ricorrente,
infatti, non si limita a contestare, in sé, l’adozione e
l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo, ma la
scelta operata dall’amministrazione che, attraverso
l’impianto complessivo del Piano e, nello specifico,
attraverso la cessione della cubatura di aree destinate a
piazza, parcheggi e marciapiedi e di un terreno contiguo a
quelli in proprietà della controinteressata, ha determinato,
nonostante il significativo incremento del carico
urbanistico, il mancato reperimento degli standard
all’interno dell’area, ricorrendo del tutto
irragionevolmente ed immotivatamente alla monetizzazione, in
luogo della quale, peraltro, la società attuatrice si è
impegnata a realizzare un fabbricato da destinare a
spogliatori sportivi da edificare in tutt’altra area, in
prossimità ed a servizio della nuova arcostruttura nella
frazione di Mezzavia.
Tali circostanze vengono valutate sufficienti ai fini della
sussistenza dell’interesse a ricorrere; una diversa opzione,
infatti, determinerebbe la totale vanificazione della tutela
avverso interventi urbanistici che, attraverso la
riqualificazione di un’area, dispiegano un’incidenza che va
oltre il perimetro oggetto del piano.
Occorre considerare, altresì, che l’interesse pubblico alla
realizzazione del piano di recupero per soddisfare
l’esigenza primaria di risanamento di una porzione
circoscritta del territorio comunale deve correlarsi e
confrontarsi con quello privato a non vedersi
spropositatamente sacrificato da scelte opinabili, con la
conseguente possibilità del giudice di verificare la
sussistenza di quella correlazione conformemente ai principi
di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità e coerenza.
Ciò in specie considerando la consistenza dell’intervento
urbanistico de quo che prevede l’integrale sfruttamento
della volumetria massima prevista di 6.800 mc. (pag. 4,
terzo capoverso della relazione tecnica illustrativa, all. 4
delle produzioni di parte ricorrente), con sensibile
incidenza sugli standard (cfr. pag. 9 della prefata
relazione tecnica illustrativa), all’interno del centro
storico comunale connotato da una scarsa disponibilità di
spazi pubblici e, in specie, di aree a verde; il Piano di
Recupero approvato, infatti, lungi dal limitari alla
conservazione del tessuto urbano costituito dagli edifici
recuperabili, secondo l’accezione originaria di tale
strumento attuativo, contempla un intervento complesso di
sostituzione dell’esistente.
Alla stregua delle argomentazioni che precedono, dunque,
l’eccezione va respinta, sussistendo, nella fattispecie, sia
la legittimazione sia l’interesse a ricorrere.
---------------
Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che le potenzialità
dei Piani di Recupero vanno oltre la riqualificazione del
tessuto edilizio esistente e, attraverso tali strumenti
attuativi, possono essere realizzate anche delle
ristrutturazione urbanistiche.
---------------
Per consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio,
inoltre, qualora vi sia contrasto tra le indicazioni
grafiche del P.R.G. e le prescrizioni normative, sono queste
ultime a prevalere, in quanto in sede di interpretazione
degli strumenti urbanistici, le risultanze grafiche possono
solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito
nel testo ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta
da questo (cfr., ex multis, TAR Puglia Bari, sez. III,
13.04.2011, n. 588).
---------------
Il piano di recupero costituisce uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche
contenute nel piano regolatore generale, destinato al
recupero del patrimonio edilizio esistente, senza, tuttavia,
implicare incrementi volumetrici tali da determinare un
aumento del carico insediativo, come risulta
dall’orientamento consolidato della giurisprudenza
amministrativa (TAR Lombardia, Brescia, 09.12.2002 n. 2216;
TAR Puglia, Bari, sez. II, 19.09.2002, n. 4016; TAR
Campania, Napoli, sez. II, 07.10.1997, n. 2468; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 24.02.1992, n. 145).
Tale strumento ha, dunque, per oggetto la ridefinizione del
tessuto urbanistico di un'area ed è caratterizzato dalla
specialità dei fini del recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico degradato per mantenere e meglio utilizzare il
patrimonio stesso mediante una globalità di interventi
edilizi organici integrati con il tessuto urbanistico
esistente, nonché con lo sviluppo programmato, attraverso
gli strumenti urbanistici generali.
Negli ultimi decenni gli interventi organici di recupero
finalizzati al perseguimento di obiettivi di
ristrutturazione urbanistica hanno assunto una crescente
rilevanza; i piani di recupero, infatti, consentono il
perseguimento sia di finalità di recupero del patrimonio
edilizio esistente in misura più complessa degli interventi
di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia,
sia finalità di recupero urbanistico, potendo, nello
specifico, prevedere interventi rivolti a sostituire
l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso,
anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale (Cons. St., sez. IV,
29.07.2009, n. 4756).
Da quanto sopra esposto discende, dunque, che, pur dovendosi
riconoscere ampie potenzialità alle possibilità di
intervento attraverso Piani di Recupero nella ridefinizione
del tessuto urbanistico, residuano, comunque, i limiti
derivanti dalla connotazione tipica di tale strumento
attuativo, connessi alla conservazione e riutilizzazione del
patrimonio edilizio esistente, con conseguente esclusione
dell’ammissibilità di interventi che possano comportare
incrementi volumetrici –specie ove manchi un rapporto di
proporzionalità tra le preesistenze da riqualificare ed i
nuovi volumi da edificare– per i quali risulta evidentemente
più appropriato il ricorso a varianti al piano regolatore
generale ovvero a piani particolareggiati speciali dotati
del potere di modifica dello strumento urbanistico generale
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n. 1369 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1.
Piano di lottizzazione - Scadenza del termine di attuazione
- Potere-dovere della P.A. di dare nuovo assetto urbanistico
alla parti non realizzate - Sussiste.
2. Piano integrato di recupero - Interesse al ricorso -
Vicinitas - Insufficienza a sostenere l'interesse -
Necessità di dimostrare la specificità della lesione
rispetto all'area di proprietà o ad altri interessi del
ricorrente - Sussiste.
1. In presenza di un piano di lottizzazione scaduto per
decorrenza del termine decennale, la P.A. non perde il
potere di rilasciare provvedimenti funzionali al
completamento del piano stesso, ferma restando la disciplina
urbanistico-edilizia dell'area da esso dettata che, anche
per la parte rimasta inattuata, continua a trovare
applicazione fino all'approvazione di un nuovo piano
urbanistico (cfr. TAR Milano, sent. 1001/2010).
2. In materia di interventi di recupero urbanistico
derivanti da un P.I.R., il criterio della vicinitas,
seppur idoneo a supportare la legittimazione al ricorso, non
esaurisce gli ulteriori profili dell'interesse concreto
all'impugnazione, costituito dalla lesione effettiva e
documentata delle facoltà dominicali del ricorrente (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 9537/2010; TAR Milano, sent. n.
1244/2011) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n. 2154 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
presenza di una lottizzazione scaduta per decorrenza del
termine decennale, l'amministrazione non perde il potere di
rilasciare provvedimenti funzionali al completamento del
piano, ferma restando la disciplina urbanistico–edilizia
dell’area da esso dettata che, anche per la parte rimasta
inattuata, continua a trovare applicazione fino
all’approvazione di un nuovo piano urbanistico. In sostanza,
la scadenza del termine di validità di un piano di
lottizzazione non consente all'amministrazione di procedere,
"sic et simpliciter", alla declaratoria di intervenuta
perdita di efficacia dello stesso, dovendo, invece, dar
conto delle ragioni sottese alla necessità di rendere
inoperanti le relative previsioni rimaste inattuate, dando
altresì conto delle valutazioni effettuate circa il rapporto
tra le opere ultimate e quelle non ancora eseguite.
La circostanza che il ricorrente non sia proprietario di
aree ricomprese nel perimetro del piano di recupero, mentre
non esclude ex se la legittimazione, radicata sul criterio
della vicinitas, incide invece sulla configurabilità
dell’interesse al ricorso, dovendosi fornire adeguata
dimostrazione del pregiudizio in concreto risentito in
conseguenza dei vizi dedotti.
In presenza di una lottizzazione scaduta per decorrenza del
termine decennale, l'amministrazione non perde il potere di
rilasciare provvedimenti funzionali al completamento del
piano, ferma restando la disciplina urbanistico–edilizia
dell’area da esso dettata che, anche per la parte rimasta
inattuata, continua a trovare applicazione fino
all’approvazione di un nuovo piano urbanistico (cfr. ex
plurimis, Consiglio Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6527;
sez. VI, 20.01.2003, n. 200; IV, 11.03.2003, n. 1315; id.
16.03.1999, n. 286; nonché sez. IV, 02.06.2000 n. 3172; TAR
Calabria, Reggio Calabria, 01.10.2002, n. 1187, per cui: <<In
sostanza, la scadenza del termine di validità di un piano di
lottizzazione non consente all'amministrazione di procedere,
"sic et simpliciter", alla declaratoria di intervenuta
perdita di efficacia dello stesso, dovendo, invece, dar
conto delle ragioni sottese alla necessità di rendere
inoperanti le relative previsioni rimaste inattuate, dando
altresì conto delle valutazioni effettuate circa il rapporto
tra le opere ultimate e quelle non ancora eseguite>>).
Come affermato anche di recente
dal Consiglio di Stato (cfr. la decisione della sez. IV,
29.12.2010, n. 9537), la circostanza che il ricorrente non
sia proprietario di aree ricomprese nel perimetro del piano
di recupero, mentre non esclude ex se la
legittimazione, radicata sul criterio della vicinitas,
incide invece sulla configurabilità dell’interesse al
ricorso, dovendosi fornire adeguata dimostrazione del
pregiudizio in concreto risentito in conseguenza dei vizi
dedotti (cfr. la cit. sentenza, per cui:<<Il criterio
della vicinitas, seppur idoneo a supportare la
legittimazione al ricorso, non esaurisce certo gli ulteriori
profili dell'interesse concreto all'impugnazione, costituito
dalla lesione effettiva e documentata delle facoltà
dominicali del ricorrente>>)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.09.2011 n. 2154 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nuovo titolo edilizio - Impugnazione
diretta di terzo - Presupposti - Vicinitas e utilità
dell'annullamento.
In materia edilizia, secondo l'orientamento tradizionale
della c.d. vicinitas, va riconosciuta la sussistenza
della legittimazione del terzo per il fatto stesso che egli
si trovi in una situazione di stabile collegamento con la
zona interessata dalla costruzione, collegamento che radica
una posizione di interesse differenziato rispetto a quella
posseduta dal quisque de populo.
Tuttavia, per l'individuazione della posizione legittimante
del terzo rispetto al rilascio di un nuovo titolo edilizio,
il criterio della vicinitas non può totalmente
prescindere dalla valutazione anche dell'utilità che il
ricorrente ricava dall'annullamento del titolo edilizio
(cfr. Cons. di Stato., sent. n. 2565/2010) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n. 2143 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Comitati –
Legittimazione ad agire – Insussistenza.
Deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati
istituiti in forma associativa temporanea, con scopo
specifico e limitato, costituenti una mera proiezione degli
interessi dei soggetti che ne fanno parte, e che quindi non
sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi
radicati nel territorio, in quanto, diversamente, si
consentirebbe una sorta di azione popolare, non ammessa dal
vigente ordinamento (cfr. Cons. Stato, VI, 20.05.2005, n.
2534; Cons. Stato, VI, 05.12. 2002, n. 6657; TAR Liguria, II,
27.03.2008, n. 439; TAR Veneto, I, 04.04.2005, n. 1261).
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE –
Associazioni diverse da quelle rientranti nella previsione
di cui all’art. 13 della L. n. 349/1986 – Legittimazione ad
agire – Possibile sussistenza – Esclusione.
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 349/1986, non vi è
più spazio per il riconoscimento della legittimazione
processuale in capo ad associazioni diverse da quelle
rientranti nella previsione dell’art. 13 della medesima
legge, indipendentemente dalla sussistenza, in concreto o
meno, dei requisiti che la giurisprudenza anteriore
richiedeva ai soggetti che si qualificavano esponenziali di
interessi “diffusi” (cfr. Cons. Stato, IV,
28.03.2011, n. 1876).
Una volta che il legislatore è intervenuto a disciplinare
direttamente la materia attraverso la previsione di una
speciale legittimazione ex lege, quest’ultima
esaurisce l’ambito della tutela processuale riconosciuta
dall’ordinamento, escludendo qualsiasi possibilità di
ammettere la legittimazione in capo a soggetti ulteriori e
diversi da quelli ai quali la legge ha espressamente inteso
riferirsi (cfr. in termini Cons. Stato, IV, 28.03.2011, n.
1876).
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Soggetto
singolo – Impugnazione di provvedimenti esplicanti i propri
effetti nell’ambiente in cui il soggetto vive –
Legittimazione - Vicinitas – Sufficienza – Esclusione.
Il soggetto singolo che intenda insorgere in sede
giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo
esplicante i suoi effetti nell'ambiente in cui vive ha
l'obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita
che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere
pregiudicato (il paesaggio, l'acqua, l'aria, il suolo, il
proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si
tratta di un bene che pervenga identicamente ed
indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di
soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed
esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il
connotato essenziale dell'interesse legittimo), ma che
rispetto ad esso egli si trova in una posizione
differenziata tale da legittimarlo ad insorgere "uti
singulus" a sua difesa.
Ne discende che il requisito della vicinitas non è di
per sé solo sufficiente a dimostrare l’esistenza
dell’interesse ad agire (Cons. Stato, n. 1600/2003; TAR
Liguria, II, 27.3.2008, n. 439; Cons. Stato, VI, 19.10.2007,
n. 5453) (massima tratta da www.ambientediritto.it - TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 03.08.2011 n. 1343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI:
INQUINAMENTO - Approvazione di nuovo
tracciato stradale - Incremento dell’inquinamento acustico e
atmosferico - Singoli incisi - Legittimazione a ricorrere -
Criterio della vicinitas - Diritto alla salute.
In tema di approvazione del tracciato di una nuova strada
destinata a creare un significativo incremento del traffico
veicolare potenzialmente idoneo ad incidere in senso
pregiudizievole sui terreni agricoli immediatamente
limitrofi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849),
sussiste, anche sulla base del criterio della "vicinitas",
la legittimazione ad agire dei singoli a tutela di interessi
incisi da atti e comportamenti dell'amministrazione che li
ledono direttamente e personalmente (nella fattispecie i
ricorrenti lamentavano il concreto pregiudizio che il
consistente incremento del traffico sulle vie in prossimità
delle quali risiedono causerebbe alla loro salute, alla loro
incolumità ed in generale alle loro condizioni di vita).
Appare inoltre evidente l’incidenza delle misure in
contestazione con primari diritti dei medesimi, anche di
ordine costituzionale, quali quello alla salute, e la
conseguente sussistenza di legittimazione ed interesse a
ricorrere.
INQUINAMENTO - Modifiche alla viabilità
- Incremento di traffico - Studi e verifiche istruttorie.
Le modifiche alla viabilità comportanti incremento di
traffico e, dunque, di emissioni inquinanti e rumorose ed
influenti, per tali motivi, sulla salute, sull’incolumità e
sui comportamenti di vita dei soggetti incisi devono essere
precedute da studi specifici o da altre verifiche
istruttorie che diano conto della concreta situazione e
delle ragioni di interesse pubblico per le quali solo la
soluzione poi adottata, e non altre alternative, sarebbe
stata quella rispondente alle esigenze da soddisfare, pur
comportando le conseguenze deleterie alla stessa connesse
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.07.2011 n. 1982 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La "vicinitas” non è sufficiente a
radicare il ricorso contro il permesso di costruire
rilasciato al vicino quando manchi un pregiudizio concreto.
La ricorrente solleva censure di carattere formale
concernenti i subprocedimenti di rilascio delle
autorizzazioni paesaggistiche e ambientali necessarie per la
realizzazione di lavori incidenti su area di pregio
paesaggistico e di interesse comunitario. A tal fine, non
potendo lamentare una diretta incisione del proprio diritto
di proprietà, a seguito della decisione della giunta
comunale di traslare il tracciato dell’opera pubblica sulle
sole aree demaniali, essa fonda la propria legittimazione
processuale sul rapporto di contiguità fisica esistente tra
il terreno di sua proprietà e quelli demaniali interessati
dall’esecuzione dell’opera pubblica, e quindi sulla
situazione di stabile collegamento (c.d. vicinitas)
che secondo noti principi giurisprudenziali legittima il
terzo confinante ad insorgere contro titoli autorizzativi
relativi ad opere edilizie da realizzare sul fondo
limitrofo.
Osserva il collegio che tale argomentazione è infondata e va
disattesa, dal momento che la predetta vicinitas è
condizione certamente necessaria, ma non sufficiente a
radicare la legittimazione processuale del terzo confinante,
la situazione di stabile collegamento tra i due fondi
dovendosi accompagnare alla dimostrazione di un concreto
pregiudizio derivante al confinante dalla realizzazione
dell’opera avversata.
In particolare, secondo condivisibili principi
giurisprudenziali, nel ricorso proposto avverso il permesso
di costruire rilasciato al vicino, la vicinitas è
condizione necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma
la legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente (Consiglio Stato, sez. IV,
24.01.2011, n. 485; Consiglio Stato, sez. IV, 29.12.2010, n.
9537; TAR Toscana Firenze, sez. III, 26.02.2010, n. 536; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 09.07.2009, n. 4345).
Anche di recente è stato ribadito che il criterio della
vicinitas, in base al quale si riconosce la sussistenza
di una posizione di interesse differenziata per il fatto
stesso che il terzo si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata dalla costruzione,
trova però una limitazione con riguardo alla situazione
dello stato dei luoghi emergente in ogni caso di specie,
atteso che, quale requisito che deve necessariamente
accompagnare la vicinitas, non può non trovare
rilievo la verifica dell'esistenza di un positivo
pregiudizio; il che in concreto postula che, per effetto
della realizzazione della costruzione di cui ci si lamenta,
la situazione, anche urbanistica, dei luoghi assuma
caratteristiche tali da configurare una pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto edilizio ed urbanistico
che il ricorrente intende invece conservare (TAR Trentino
Alto Adige Trento, sez. I, 22.03.2011, n. 80).
Nel caso di specie, la dimostrazione di tale pregiudizio
(che la giurisprudenza pretende sia “effettivo e
documentato”: cfr. Cons. Stato, n. 9537/2010) è mancata
del tutto. La parte ricorrente, non solo non ha provato, ma
nemmeno ha allegato la sussistenza di un pregiudizio
personale e concreto derivante dalla realizzazione
dell’opera pubblica qui in esame, essendosi limitata a
proporre censure di carattere formale concernenti presunte
carenze degli atti approvativi (ma senza alcun riferimento
all’incidenza di tali asserite carenze sulle proprie
prerogative dominicali) o generiche lamentele in ordine a
presunte compromissioni del sito naturalistico oggetto
dell’intervento (senza però chiarire la natura di tali
pregiudizi né il nesso di dipendenza dalla realizzazione
dell’opera contestata); e si fatica a comprendere in che
modo la realizzazione di un percorso naturalistico, diretto
a valorizzare il sito in questione a beneficio dell’intera
collettività mediante interventi di modestissimo impatto
ambientale, possa arrecare ai privati confinanti un
pregiudizio anziché un beneficio, in termini sia di maggiore
e più agevole fruibilità dei terreni in proprietà, sia di
incremento di valore dei terreni medesimi; a meno che
l’interesse a ricorrere non risieda in ragioni meno
confessabili e, soprattutto, meno sollecite dell’interesse
pubblico di quanto vorrebbero apparire, come quelle
ipotizzate in camera di consiglio dalla difesa regionale e
non prive, peraltro, di una loro verosimiglianza: quella, ad
esempio, di conservare un accesso esclusivo e gratuito alla
sponda demaniale di attracco dei natanti; spiegazione,
quest’ultima, che oltre a trovare un conferma per così dire
visiva nella documentazione fotografica prodotta in giudizio
dalla difesa comunale (cfr. allegati al doc. 19, produzione
del 15.11.2010), attribuirebbe anche un senso logico alla
denominazione di “Motonautica Eporediese”, altrimenti
difficilmente associabile ad una mera società immobiliare.
In ogni caso, mancando la prova effettiva e documentata di
un pregiudizio concreto e diretto derivante alla ricorrente
dalla realizzazione dell’opera pubblica qui in esame, la
posizione azionata in giudizio difetta di quella necessaria
differenziazione che sola potrebbe giustificarne la tutela
giurisdizionale (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 19.07.2011 n. 800 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La qualifica giuridica di proprietario
di un bene immobile confinante deve di per sé ritenersi
idonea a radicare la legittimazione e l'interesse al
ricorso.
Secondo la giurisprudenza
prevalente, e comunque condivisa da questo Collegio, “il
terzo ha titolo ad adire il giudice amministrativo quando
esista una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile
collegamento con la zona coinvolta da una costruzione che,
se illegittimamente assentita, sia idonea ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima, onde
la qualifica giuridica di proprietario di un bene immobile
confinante deve di per sé ritenersi idonea a radicare la
legittimazione e l'interesse al ricorso, non occorrendo
altresì la verifica della concreta lesione di un qualsiasi
altro interesse giuridicamente rilevante” (così C.d.S.,
IV, 29.07.2009, n. 4756; conf., ex multis, IV,
31.05.2007, n. 2849).
Non ritiene dunque il Collegio di discostarsi sul punto
dalla precedente decisione della Sezione, per cui “ferma
ed incontestata … la legittimazione ad impugnare della
ricorrente (derivante dalla vicinitas dei due fondi), il
concreto interesse all’impugnazione deriva dal pregiudizio,
oggettivamente sussistente -è, peraltro, oggetto della
presente causa la ricomprensione o meno del denunciato
pregiudizio entro i limiti di accettabilità stabiliti dalle
norme vincolistiche che tutelano la specifica zona- che la
costruzione concessionata comporta al paesaggio”
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 06.07.2011 n. 1142 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Minacce alla salute
pubblica o all’ambiente - Esigenza di autonoma protezione
delle persone che vivono nell’area interessata - Vicinitas -
Misura della legittimazione - Elasticità del criterio.
Premesso che, in materia di minacce alla salute pubblica o
all’ambiente, va riconosciuta in linea di principio
l’esigenza di autonoma protezione delle persone che vivono
nell’area interessata dalla fonte di pericolo, occorre
tuttavia (in una giurisdizione di tipo soggettivo e in
mancanza di un’espressa previsione di azione popolare)
individuare un criterio atto a differenziare e qualificare
la posizione dei singoli che agiscono per la tutela del bene
ambiente.
La giurisprudenza di primo grado e il Consiglio di Stato
hanno da tempo valorizzato, in tal senso, il criterio della
vicinitas (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. VI,
13.09.2010, n. 6554). Tale criterio, peraltro, non coincide
con la proprietà o con la residenza in un’area
immediatamente confinante con quella interessata
dall’intervento contestato, ma deve essere inteso in senso
elastico e va modulato, quindi, in proporzione alla
rilevanza dell’intervento e alla sua capacità di incidere
sulla qualità della vita dei soggetti che risiedono in
un’area più o meno vasta.
Ciò comporta, in concreto, che la “misura” della
legittimazione ad agire dei singoli in materia ambientale
non sia univoca, variando in relazione all’ampiezza
dell’area coinvolta dalla ipotizzata minaccia ambientale.
AMIANTO - Contaminazione da amianto -
Fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva -
Riutilizzo - Misure di risanamento - Art. 6, l.r. Piemonte
n. 42/2000 - Principio comunitario di precauzione.
La grave situazione di contaminazione da amianto di un
fabbricato dismesso dalla precedente attività produttiva
impone, ai sensi dell’art. 6 della legge regione Piemonte
07.04.2000, n. 42 (ma anche in applicazione del principio
comunitario di precauzione, direttamente cogente per tutte
le amministrazioni pubbliche) l’effettuazione di preliminari
indagini e la conseguente adozione di tutte le necessarie
misure di risanamento atte a prevenire i pericoli per
l’ambiente e la salute pubblica legati al riutilizzo di tale
struttura (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.06.2011 n. 635 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito
nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra
gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità,
senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione
atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante
abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme
urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi
esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli
potrebbero arrecare.
Non può che farsi applicazione del prevalente orientamento
giurisprudenziale in forza del quale “la legittimazione a
impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta
al proprietario di un immobile sito nella zona interessata
alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la
quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza
che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza
di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale”
(da ultimo Consiglio Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535;
Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; in senso
analogo Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908
secondo cui “Il possesso del titolo di legittimazione
alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto
che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della
suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma
violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di
lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare”;
TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885 secondo
cui “l'articolo 31, comma 9, legge 1150/1942, modificato
dalla legge 765/1967, che consente a "chiunque" di impugnare
le concessioni edilizie ritenute illegittime, va
interpretato nel senso che, ai fini della legittimazione al
ricorso, occorre una situazione di stabile collegamento con
la zona interessata dall'attività edilizia, collegamento che
ben può derivare dalla proprietà di un immobile nella
medesima, poiché il diritto reale differenzia e qualifica
adeguatamente la posizione soggettiva della parte”.
“Il vicino controinteressato non è un soggetto
contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di
avvio del procedimento per il rilascio di un titolo
edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n. 241,
pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti
occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto
confinante (da ultimo TAR Liguria, sez. I, 10.07.2009, n.
1736; in senso analogo TRGA Trento, 14.10.2010, n. 194).
Non vi è infatti identità tra le posizioni di coloro che
siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di
concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo
a ricevere l’avviso di avvio del procedimento; infatti ove
sia stata proposta una domanda di concessione edilizia il
vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono
intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento
che accoglie l’istanza, ma non hanno titolo a ricevere
l’avviso di avvio predetto (Consiglio di Stato, sez. VI,
14.03.2002, n. 1533”; Tar Liguria, sez. I, 05.07.2010 n.
5570; in senso analogo Consiglio di Stato, sez. VI
10.02.2006, n. 547, secondo cui “L'aver partecipato al
procedimento di formazione di uno strumento urbanistico non
rende automaticamente il soggetto medesimo controinteressato
al quale effettuare le comunicazioni ex art. 7 l. 07.08.1990
n. 241, relativamente ai procedimenti relativi
all'emanazione dei permessi di costituire o dei richiesti
nulla osta”)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
proprietario di una unità immobiliare sita nel fondo
confinante con quello interessato dall’intervento, dolendosi
tra l’altro del mancato rispetto delle distanze minime tra
edifici imposte dal D.M. 1444/1968, è legittimato alla
proposizione del ricorso ricorrendo il requisito della
vicinitas, ovverosia una situazione di prossimità
all'edificio costruendo e stabile collegamento con la zona
incisa, tale da differenziare la posizione giuridica dei
ricorrenti rispetto alla generalità dei consociarti intesa
come "quisque de populo".
Quanto all’eccezione di carenza di interesse al ricorso,
parte ricorrente ha dedotto di essere proprietaria di una
unità immobiliare sita nel fondo confinante con quello
interessato dall’intervento, dolendosi tra l’altro del
mancato rispetto delle distanze minime tra edifici imposte
dal D.M. 1444/1968.
Evidente risulta, quindi, che parte ricorrente sia
legittimata alla proposizione del ricorso ricorrendo il
requisito della vicinitas, ovverosia una situazione
di prossimità all'edificio costruendo e stabile collegamento
con la zona incisa, tale da differenziare la posizione
giuridica dei ricorrenti rispetto alla generalità dei
consociarti intesa come "quisque de populo" (Cons.
Stato, Sez. IV, 12.09.2007, n. 4821; Cons. Stato, Sez. V,
13.07.2000 n. 3904).
Sussiste, altresì, l’interesse a ricorrere, in quanto
quest’ultimo è ravvisabile ogni qual volta sia configurabile
un’utilità concreta, anche solo di carattere morale, che il
ricorrente si ripromette di ottenere dall’accoglimento del
ricorso, tenuto conto della situazione giuridica dello stato
in cui versa.
Ora già la situazione di vicinitas all'edificio
costruendo è tale evidenziare una diretta e concreta lesione
degli interessi del ricorrente, derivante dal solo fatto
della erigenda costruzione, che si traduce in una evidente
utilità nel caso di accoglimento del ricorso
Inoltre, nel caso di specie, avendo parte ricorrente
lamentato tra l’altro il mancato rispetto delle distanze
minime tra edifici, è ben evidente l’interesse al ricorso
risultando palesi i pregiudizi che l’annullamento degli atti
gravati andrebbe ad ovviare
(TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 15.06.2011 n. 3184 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Può
agire per l'annullamento di una concessione edilizia il
proprietario di un'area vicina che faccia valere il
pregiudizio derivante dalla illegittima alterazione
dell'ambiente circostante.
Va riconosciuto l'interesse ad agire per l'annullamento di
una concessione edilizia al proprietario di un'area sita
nelle immediate vicinanze della progettata costruzione, che
faccia valere il pregiudizio a lui derivante dalla
illegittima alterazione dell'ambiente circostante, senza
necessità della specifica dimostrazione di un danno
particolare.
Sono titolari di una posizione
qualificata e differenziata ad impugnare i provvedimenti
relativi alla costruzione di un’opera come quella di specie
solo i soggetti residenti in immobili siti nella zona in cui
la costruzione è permessa e coloro che si trovano in una
situazione di stabile collegamento con la stessa. La
sussistenza delle anzidette circostanze è idonea quindi a
radicare in detti soggetti una posizione di interesse
differenziata rispetto a quella posseduta dal “quisque de
populo” (Consiglio Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7490),
purché sussista anche un concreto pregiudizio anche solo
potenziale, che potrebbe derivare dalla costruzione, della
cui esistenza deve essere fornita la prova da parte di
coloro che vogliono far valere la illegittimità dei
provvedimenti autorizzativi della nuova opera.
Quindi, pur essendo il requisito della “vicinitas”
insufficiente a provare, da solo, l'interesse concreto ed
attuale a ricorrere dell'interessato, la giurisprudenza non
ha tuttavia dubitato che esso interesse sia sempre
sussistente nei casi in cui siffatta concreta lesione sia a
prima vista ricavabile dalla stessa “vicinitas”, alla
costruzione di un’opera, per essere preclusa la vista e
l'aria goduta dalle parti deducenti la lesione, come nella
fattispecie in esame.
Va, infatti, riconosciuto l'interesse ad agire per
l'annullamento di una concessione edilizia al proprietario
di un'area sita nelle immediate vicinanze della progettata
costruzione, che faccia valere il pregiudizio a lui
derivante dalla illegittima alterazione dell'ambiente
circostante, senza necessità della specifica dimostrazione
di un danno particolare (Consiglio Stato, sez. V,
20.06.1987, n. 403).
Nel caso che occupa non può dubitarsi che la costruzione di
una palestra, sia pure in materiale leggero e trasparente,
nelle adiacenze degli immobili dei ricorrenti in primo
grado, avrebbe sicuramente comportato una limitazione della
visuale di cui essi godevano, non esistendo materiali
perfettamente trasparenti tali da eliminare totalmente essa
limitazione e costituendo comunque la erigenda palestra una
struttura edilizia atta ad immutare il preesistente
paesaggio libero da costruzioni
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.06.2011 n. 3458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Associazioni ambientaliste, la rivincita
delle piccole.
Il giudice amministrativo può
riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare
atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni
locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica),
purché perseguano statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado
di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso. Nessun dubbio può sorgere
quanto alla legittimazione di Italia Nostra, W.W.F. e
GREENPEACE, individuate quali associazioni di protezione
ambientale nazionali ex art. 13, l. 08.07.1986, n. 349.
Parimenti, quanto agli altri appellanti, merita considerare
che, come già in passato dalla Sezione ripetutamente
affermato (tra le altre, 13.09.2010, n. 6554), l'esplicita
legittimazione, ai sensi del citato art. 13, l. 08.07.1986
n. 349, delle associazioni ambientalistiche di dimensione
nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non
esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in
ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri
comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di
proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita
delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio.
Altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni,
interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente
in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma
protezione, in caso di inerzia delle associazioni
ambientaliste espressamente legittimate per legge.
Detto altrimenti, le previsioni normative citate hanno
creato un criterio di legittimazione "legale"
destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati
dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d.
interessi diffusi e non li sostituisce.
Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere,
caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni
locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica),
purché perseguano statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado
di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso; che è quanto ad avviso del
Collegio è dato riscontrare con riguardo ai Consorzi, al
Comitato e all’Associazione appellanti, avuto riguardo ai
tre parametri tradizionalmente utilizzati al riguardo in
giurisprudenza, rispettivamente relativi alle finalità
statutarie dell’ente, alla stabilità del suo assetto
organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas dello
stesso rispetto all’interesse sostanziale che si assume leso
per effetto dell’azione amministrativa e a tutela del quale,
pertanto, l’ente esponenziale intende agire in giudizio
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 23.05.2011 n. 3107 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1.
Piano di governo del territorio - Impugnazione - Interesse
al ricorso - Vicinitas - Insufficienza a sostenere
l'interesse - Necessità di dimostrare la specificità della
lesione rispetto all'area di proprietà o ad altri interessi
del ricorrente - Sussiste.
2. Piano di governo del territorio - Impugnazione -
Associazioni di settore - Legittimazione - Sussiste solo a
tutela della categoria e non di singoli iscritti o di una
parte di essi.
1.
La mera vicinitas di un fondo o di un'abitazione
all'area oggetto di un intervento urbanistico non è
sufficiente a radicare l'interesse al ricorso, dovendo
invece la parte attrice dare la prova concreta della
specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria
sfera giuridica: ciò permette di evitare che un'eccessiva
dilatazione del concetto di "interesse ad agire" (ex
art. 100 c.p.c.), applicato ai piani urbanistici, consenta
l'impugnativa anche a soggetti titolari di un interesse di
mero fatto.
Ritenere insufficiente la sola posizione di stabile
collegamento con l'area interessata dalla pianificazione non
porta, dunque, ad escludere che un soggetto possa impugnare
anche parti del piano non riguardanti direttamente le sue
proprietà: egli deve però dimostrare che le scelte
pianificatorie incidono in qualche modo sul godimento o sul
valore di mercato dell'area di sua proprietà o su altri
interessi suoi propri, quali, soprattutto, quelli alla
salute o al valore ambientale.
2.
Le associazioni di settore sono legittimate a difendere in
sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti
di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto,
solo quando si tratti della violazione di norme poste a
tutela della categoria stessa, oppure si tratti di
perseguire comunque dei vantaggi, sia pure di carattere
strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della
categoria, con l'unico limite derivante dal divieto di
occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero
capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee.
La legittimazione di un'associazione di categoria è,
pertanto, limitata alla proposizione di ricorsi a tutela
della totalità dei suoi iscritti e non è estensibile alla
salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli
stessi (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 13.05.2011 n. 1244 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Ricorso amministrativo - Legittimazione
e interesse a ricorrere - Vicinitas - Insufficienza -
Pregiudizio specifico - Necessità - Pregiudizio potenziale -
Rilevanza - Limiti.
In materia di impugnazione dei piani urbanistici,
l'interesse al ricorso dei relativi atti di pianificazione
non può essere provato solo con la situazione dello stabile
collegamento con la zona interessata dalle opere, bensì
attraverso la dimostrazione del pregiudizio effettivo o
anche potenziale, ma direttamente conseguente all'adozione
degli atti gravati, e della connessa "utilitas"
ricavata dall'accoglimento del ricorso; a tal fine,
dall'esecuzione del provvedimento deve discendere in via
immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica
del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la
lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di
certezza, mentre deve escludersi il presupposto in questione
nell'ipotesi in cui il danno derivante dall'attuazione
dell'atto impugnato sia meramente eventuale, e, cioè, quando
lo stesso non risulti, di per sé, capace di arrecare una
lesione diretta alla sfera del soggetto ricorrente, né
risulti sicuro che il danno si realizzerà in un secondo
tempo (cfr. TAR Milano, sent. n. 90/2011, n. 4345/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.04.2011 n. 1076 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
materia di impugnazione di piani urbanistici, l'ordinamento
riconosce una posizione qualificata e differenziata a tutti
coloro che si trovino in una situazione di stabile
collegamento (residenza, possesso o detenzione di immobili,
o altro titolo di qualificata frequentazione) con la zona
interessata dall'operazione contestata, specificandosi che
detti soggetti sono legittimati all'impugnazione ove possano
lamentare una pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio per effetto della
realizzazione dell'intervento controverso.
Il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di
pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di
valore del proprio immobile o nella peggiore qualità
ambientale: una volta accertata la “vicinitas”,
rappresentata dal collegamento territoriale, vanno valutate
le implicazioni urbanistiche dell’intervento e le
conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che
per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in
durevole rapporto con la zona interessata dall’intervento.
In punto di
diritto, va richiamato il consolidato l’indirizzo
giurisprudenziale secondo cui, in materia di impugnazione di
piani urbanistici, l'ordinamento riconosce una posizione
qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovino in
una situazione di stabile collegamento (residenza, possesso
o detenzione di immobili, o altro titolo di qualificata
frequentazione) con la zona interessata dall'operazione
contestata, specificandosi che detti soggetti sono
legittimati all'impugnazione ove possano lamentare una
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione
dell'intervento controverso (cfr. Cons. St., Sez. IV,
10.04.2008, n. 1548).
Come è stato evidenziato, proprio in tema di impugnazione di
un P.I.I. (cfr. TAR Lombardia Sez. II, 09.07.2009 n. 4345),
il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di
pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di
valore del proprio immobile o nella peggiore qualità
ambientale: una volta accertata la “vicinitas”,
rappresentata dal collegamento territoriale, vanno valutate
le implicazioni urbanistiche dell’intervento e le
conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che
per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in
durevole rapporto con la zona interessata dall’intervento
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 18.04.2011 n. 575 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Comitati
costituiti in forma associativa temporanea - Legittimazione
ad agire - Limiti.
Deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati
istituiti in forma associativa temporanea, con scopo
specifico e limitato, costituenti una mera proiezione degli
interessi dei soggetti che ne fanno parte e che quindi non
sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi
radicati nel territorio.
Diversamente si consentirebbe una sorta di azione popolare
che non é ammessa dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez. V,
23.04.2007, n. 1830; Sez. VI, 11.07.2008, n. 3507; TAR
Toscana, Sez. I, 02.12.2010, n. 6710; TAR Lazio Lt I,
08.07.2009, n. 670; TAR Puglia, Ba, Sez. III, 15.04.2009, n.
866).
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni
ambientaliste - Art. 13 L. n. 349/1986 - Potere di
accertamento della legittimazione ad agire - Giudice -
Valutazione caso per caso - Condizioni.
L'affidamento al Ministero dell'ambiente, ex art. 13 l.
08.07.1986 n. 349, del potere di accertamento della
legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste e
dei comitati non esclude la possibilità per il giudice di
valutare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione
in capo ad una determinata associazione ad impugnare
provvedimenti lesivi di interessi ambientali; la verifica di
tale capacità di agire, anche in relazione all’art. 18 l. n.
349/1986, è comunque assoggettata a precise e circoscritte
condizioni (Cons. Stato, Sez. IV, 02.10.2006, n. 5760 e
19.02.2010 n. 1001), diversamente configurandosi un’azione
popolare non prevista dall’ordinamento.
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Comitato -
Rappresentatività rispetto all’interesse da proteggere -
Indici.
L'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e
diventa, quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio,
solo nel momento in cui, indipendentemente dalla sussistenza
della personalità giuridica, l'ente dimostri la sua
rappresentatività rispetto all'interesse che intende
proteggere.
Rappresentatività che deve essere desunta da una serie di
indici elaborati dalla giurisprudenza: deve trattarsi di un
ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la
protezione di un determinato bene a fruizione collettiva,
cioè di un dato interesse diffuso o collettivo, l'ente
medesimo deve essere in grado, per la sua organizzazione e
struttura, di realizzare concretamente le proprie finalità
ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere
all'esterno la propria attività in via continuativa (Cons.
Stato, Sez. VI, 11.07.2008, n. 3507); l'organismo collettivo
deve essere portatore di un interesse localizzato, nel senso
che deve sussistere uno stabile collegamento territoriale
tra l'area di afferenza dell'attività dell'ente e la zona in
cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume
leso (“criterio della c.d. vicinitas”) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 01.04.2011 n. 567 - link a
www.ambientediritto.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Il criterio della vicinitas sottende lo
stabile e significativo collegamento, da indagare caso per
caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende
proteggere.
Secondo la recente e condivisibile giurisprudenza della
Sezione (Cons. Stato, sez. V 26.02.2010, n. 1134), relativa
proprio a fattispecie di interventi asseritamente lesivi sul
piano dell’impatto ambientale, il criterio della
vicinitas costituisce la base del riconoscimento della
legittimazione dei singoli che agiscano a tutela del bene
ambiente e, in particolare, a tutela di interessi incisi da
atti che li ledono direttamente e personalmente, unitamente
all’intera collettività che insiste sul territorio (cfr.
Cons. St., Sez. V, 16.06.2009, n. 3849); vicinitas
cui va però attributo il senso non di stretta contiguità,
bensì di stabile e significativo collegamento, da indagare
caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si
intende proteggere (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27.03.2003, n.
1600).
Nel caso esaminato da questa Sezione con la citata decisione
n. 1134/2010 si è ritenuto che la “distanza da 600 a 2000
metri non sia di ostacolo alla configurazione della ripetuta
situazione di vicinitas, intesa nel significato predetto,
avuto riguardo alla natura ed alla potenzialità
dell’impianto autorizzato con gli atti regionali impugnati
in primo grado, in particolare all’enorme quantità ed
eterogeneità dei rifiuti di cui si consente lo smaltimento o
il recupero (1.705.960 t/a) e di quelli da stoccare. In
altri termini, tanto basta a qualificare e differenziare la
posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti in primo grado
ed il loro interesse a far valere l’illegittimità
dell’autorizzazione alla installazione ed al funzionamento
dell’impianto di cui trattasi a tutela dell’integrità delle
proprie attività, siano esse agricole o zootecniche, anche
con connotati industriali, svolte sui fondi di pertinenza”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.03.2011 n. 1979 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini della legittimazione all’impugnazione la “vicinitas” si
valuta in rapporto al carattere e alle dimensioni
dell’intervento di cui si controverte.
La società ricorrente, nella causa in commento, è titolare
di un’area sita nel comune in causa, in zona in gran parte
già edificata, classificata dal vigente P.R.G. come omogenea
B, e occupata da stabili ora dismessi, destinati a suo tempo
ad uffici e depositi dell’ENEL; relativamente a tale area,
detta società ha ottenuto, mediante deliberazioni del
Consiglio comunale, l’adozione e approvazione di un piano
integrato di intervento, o P.I.I., inteso a valorizzarla
mediante nuovi edifici, a destinazione abitativa ovvero
terziaria e commerciale.
Tra le numerose doglianze è degna di attenzione, ai fini di
un approfondimento, l’eccezione di l’inammissibilità del
ricorso per difetto di legittimazione dedotta dal Comune.
Il Tribunale amministrativo di Brescia, infatti, ritenendola
fondata, ricorda che, in termini del tutto generali, è noto
che la legittimazione di singoli soggetti ad impugnare atti
amministrativi che incidano in qualche modo sull’ambiente
ovvero sul territorio e in particolare ad impugnare
strumenti urbanistici generali, o come nel caso presente
attuativi, è riconosciuta in giurisprudenza in base al
criterio della cd. vicinitas, definita in termini
sintetici -da ultimo si veda C.d.S. sez. V 18.08.2010 n.
5819- come “il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente
in prossimità del sito prescelto per la realizzazione”
dell’intervento di che trattasi.
Dalla stessa giurisprudenza, risulta poi, continuano i
giudici lombardi, per implicito, ma in modo inequivoco, che
la vicinitas rileva non di per sé, ma come indizio
dal quale desumere la fondata possibilità di un pregiudizio
che dagli atti impugnati deriverebbe alla propria esistenza
quotidiana, in particolare all’ambito spaziale nel quale
essa si svolge.
Tale pregiudizio infine, altro non è che esplicazione del
principio generale dell’interesse, per cui per proporre una
azione in giudizio è necessario che dalla stessa possa
derivare all’attore una qualche concreta utilità, sotto il
profilo di un vantaggio sperato oppure, come appunto nella
specie, di un danno prevenuto.
In forza di ciò, si comprende l’affermazione che è pure
costante in giurisprudenza, per cui la vicinitas è un
criterio in qualche modo elastico: conduce non a individuare
regole valide per qualsiasi situazione, ma a valutarla caso
per caso, in rapporto al carattere e alle dimensioni
dell’intervento di cui si controverte apprezzati in base a
comune esperienza, come ritenuto ad esempio, fra le
decisioni recenti, da C.d.S. sez. VI 13.09.2010 n. 6554.
In tali termini, la legittimazione fondata sulla
vicinitas sarà da riconoscere in via tendenzialmente
assai ampia ad esempio nel caso di impugnazione degli atti
relativi alla realizzazione di impianti industriali,
notoriamente suscettibili di ingenerare un impatto
considerevole sul territorio e di indurre rischi anche gravi
sulla salute degli abitanti di ampie zone dello stesso. In
tal caso, non sarà necessaria la prova rigorosa
dell'effettività del danno che si potrebbe subire: così ad
esempio in motivazione C.d.S. sez. V 18.08.2010 n. 5819 in
una fattispecie relativa ad un termovalorizzatore.
A conclusioni opposte, invece, si deve pervenire nel caso di
impugnazione di atti relativi ad insediamenti non
particolarmente impattanti, come i normali edifici adibiti a
ufficio o abitazione: in tal caso, è richiesta, almeno in
termini presuntivi, la prova specifica di un potenziale
pregiudizio di qualche entità cui il ricorrente potrebbe
andare incontro, perché in mancanza si introdurrebbe in via
di fatto una sorta di azione popolare, sconosciuta come tale
al nostro ordinamento (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 29.03.2011 n. 483 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
titolare di un’autorizzazione amministrativa per l'esercizio
di attività commerciale è legittimato a denunciare le
violazioni edilizie ed urbanistiche contigue.
Riassumiamo brevemente i fatti che hanno originato la
pronuncia in commento: le società ricorrenti esercitano da
anni l’attività commerciale di vendita di materiali edili,
pavimenti, idrosanitari, rivestimenti in un comune laziale.
Avuta notizia dell’apertura da parte della società
resistente di un’attività di commercio all’ingrosso dei
medesimi materiali nello stesso comune, le ricorrenti,
previa deduzione delle riscontrate illegittimità del
procedimento di rilascio dell’autorizzazione al commercio,
nonché degli interventi di trasformazione edilizia
effettuati da parte di questa società sia nel piazzale che
nell’edificio, hanno sollecitato il comune all’adozione dei
provvedimenti di competenza ai fini della revoca
dell’autorizzazione al commercio, nonché della rimessione in
pristino sia del piazzale che dell’edificio adibito ad
attività commerciale.
Il Comune, tuttavia, é rimasto inerte non avendo dato in
alcun modo seguito alla predetta istanza e, pertanto, con il
ricorso in rassegna, le società ricorrenti hanno dedotto
l’illegittimità del silenzio serbato da parte
dell’amministrazione comunale.
Quanto al secondo punto (rimandiamo al testo della sentenza
per l’analisi completa delle questioni di diritto
analizzate) i giudici del Tribunale amministrativo di Roma
sottolineano che l'art. 27 d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
prevede l'azionabilità del procedimento sanzionatorio
edilizio anche sulla scorta di denunzia di soggetti privati,
e, pertanto, va ribadito che il proprietario di un'area o di
un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente
il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi
da parte dell'organo preposto avverso abusi edilizi, è
titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti
poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure
richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le
ragioni, con la definitiva conseguenza che il silenzio
serbato sull'istanza e sulla successiva diffida
dell'interessato integra gli estremi del silenzio rifiuto
sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato
adempimento dell'obbligo di provvedere espressamente.
Deve, pertanto, rilevarsi, secondo i giudici capitolini, che
il titolare di un’autorizzazione amministrativa per
l'esercizio di attività commerciale su area contigua a
quella interessata dagli interventi edilizio-urbanistici, è
legittimato ad eccitare i poteri di vigilanza del comune
stesso ex articolo 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, al fine
dell'accertamento di violazioni edilizie ed urbanistiche e
di inadempimento di obblighi contratti verso
l’amministrazione, in ragione della vicinitas con
l'area considerata, con la conseguenza che va dichiarata
l'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione
sulla diffida notificata al riguardo.
Ed, infatti, il riconoscimento di interessi giuridicamente
rilevanti in materia urbanistico-edilizia non può
circoscriversi ai soli soggetti proprietari di immobili, ma
deve essere esteso a tutti coloro che, in ragione di uno
stabile collegamento con l'area interessata dalle iniziative
edificatorie, debbano considerasi titolari di una posizione
giuridicamente differenziata, qual è quella connessa alla
titolarità dell'autorizzazione all'esercizio di un'attività
commerciale nell'area medesima.
Risolutiva al riguardo, concludono i giudici laziali, non è
pertanto la contiguità stretta degli immobili di cui
trattasi, quanto l’incidenza degli stessi in una medesima
area (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 28.03.2011 n. 2721 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Proprietari di terreni circostanti e
adiacenti ad area interessata da intervento edilizio
assentito - Criterio della "vicinitas" - Interesse a
ricorrere - Sussiste.
E' consentita l'impugnazione dei titoli edilizi al
proprietario di immobili siti nella zona in cui è permesso
l'intervento costruttivo, soprattutto nel caso di soggetti
confinanti, poiché sussiste in tal caso il requisito della
c.d. vicinitas, che legittima alla contestazione in
sede giurisdizionale del titolo autorizzativo (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 7591/2010, TAR Lecce, sent. n. 2078/2010;
TAR Brescia, sent. n. 3556/2010; TAR Milano, sent. n.
3970/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.02.2011 n. 582 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: L'ordinamento
riconosce una posizione qualificata e differenziata a tutti
coloro che si trovino in una situazione di stabile
collegamento (residenza, possesso o detenzione di immobili,
o altro titolo di qualificata frequentazione) con la zona
interessata dall’operazione contestata. Ed è parimenti certo
che, in concreto, sono legittimati all'impugnazione coloro
che possono lamentare una pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed edilizio per effetto
della realizzazione dell’intervento controverso.
E' sufficiente rammentare l’insegnamento giurisprudenziale
al quale questo Tribunale ha da tempo aderito (cfr., in
termini, sentenza 25.03.2009, n. 88), secondo cui, in
materia urbanistica, l'ordinamento riconosce una posizione
qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovino in
una situazione di stabile collegamento (residenza, possesso
o detenzione di immobili, o altro titolo di qualificata
frequentazione) con la zona interessata dall’operazione
contestata (cfr., C. Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4528). Ed
è parimenti certo che, in concreto, sono legittimati
all'impugnazione coloro che possono lamentare una
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione
dell’intervento controverso (cfr., Consiglio di Stato, sez.
IV, 10.04.2008, n. 1548).
Nella specie, la peculiare ubicazione del compendio
immobiliare di proprietà della società ricorrente, posto
immediatamente a confine con la zona del cui mutamento di
destinazione urbanistica si discute, dà immediata evidenza
sia dell’esistenza della vicinitas sia del possibile
pregiudizio che potrebbe subire a causa della trasformazione
della confinante area agricola di pregio in zona a
destinazione residenziale, nella quale sono ovviamente
ammessi interventi di trasformazione del suolo con
l’edificazione di manufatti che possono avere ricaduta
negativa sulla fruibilità dell’ambiente circostante
(TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 09.02.2010 n. 46 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Disposizioni contenute nel PRG e nei
piani attutivi - Impugnazione - Interesse a ricorrere -
Vicinitas - Non sufficienza - Effettività del danno -
Necessità.
Ai fini della legittimazione all'impugnazione di piani
urbanistici, anche attuativi, è necessario che l'esponente
fornisca la prova non solo della vicinanza del proprio fondo
a quello oggetto del piano, ma anche dell'effettività del
danno derivante dall'intervento urbanistico (cfr. TAR
Milano, sent. n. 90/2011, sent n. 1551/2008; Cons. di Stato,
sent. n. 1548/2008).
E', pertanto, inammissibile per difetto di interesse il
ricorso proposto da proprietari residenti nelle vicinanze
dell'area oggetto del PII ove non venga fornita alcuna prova
del danno concreto subito (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n. 383 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Ricorso amministrativo - Legittimazione
e interesse a ricorrere - Vicinitas - Insufficienza -
Pregiudizio specifico - Necessità.
Il mero
criterio della vicinitas di un fondo o di una
abitazione all'area oggetto dell'intervento
urbanistico-edilizio non è sufficiente per radicare la
legittimazione al ricorso, dovendo sempre il ricorrente
fornire la prova concreta del vulnus specifico
inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica,
in termini, ad esempio, di deprezzamento del valore del bene
o di concreta compromissione del diritto alla salute ed
all'ambiente (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 8364/2010; TAR
Milano, sent. n. 1949/2008, n. 170/2008) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n. 90 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso a costruire - Impugnazione -
Legittimazione - criterio- Vicinitas - Sufficienza.
La legittimazione a impugnare un permesso di costruire deve
essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito
nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.09.2010 n. 3556 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’interesse al ricorso, in materia di
impugnazione degli atti di pianificazione, non può essere
provato solo con la situazione dello stabile collegamento
con la zona interessata dalle opere, ossia con la vicinitas,
ma anche attraverso la dimostrazione del pregiudizio
effettivo o anche potenziale, ma direttamente conseguente
all’adozione degli atti gravati e della connessa utilitas
ricavata dall’accoglimento del ricorso stesso.
L’orientamento del Consiglio di Stato (decisione n. 1584 del
10.04.2008) stabilisce che l’interesse al ricorso, in
materia di impugnazione degli atti di pianificazione, non
può essere provato solo con la situazione dello stabile
collegamento con la zona interessata dalle opere, ossia con
la vicinitas, ma anche attraverso la dimostrazione
del pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma
direttamente conseguente all’adozione degli atti gravati e
della connessa utilitas ricavata dall’accoglimento
del ricorso stesso.
Tuttavia, nelle controversie attinenti alla realizzazione di
interventi che incidono sul territorio, si deve ritenere che
l’ordinamento riconosce una posizione qualificata e
differenziata a tutti coloro che si trovano in una
situazione di stabile collegamento con la zona interessata,
anche se, in concreto, devono ritenersi titolati
all’impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio, per effetto della realizzazione
dell’intervento controverso; con la precisazione che il
pregiudizio non deve essere necessariamente attuale e
concreto, nel senso che dall’esecuzione dei provvedimenti
impugnati discenda in via immediata e diretta un danno certo
alla sfera giuridica dei ricorrenti, essendo sufficiente che
questo sia solo potenziale, ossia che possa verificarsi in
futuro con una certa probabilità.
Naturalmente incombe sui ricorrenti la prova della
sussistenza di un danno potenziale, cioè della possibilità
del suo verificarsi in un futuro non troppo lontano
(T.R.G.A. Trento Alto
Adige-Bolzano,
sentenza 21.07.2010 n. 221 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'art.
31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150 non ha introdotto
un'azione popolare che consentirebbe a qualsiasi cittadino
di impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione
di un'opera per far valere comunque l'osservanza delle
prescrizioni che regolano l'edificazione, ma ha riconosciuto
una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei
proprietari di immobili siti nella zona in cui la
costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito
nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra
gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità,
senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale.
Ai fini dell'impugnazione di una concessione edilizia, la
condizione della vicinitas, ossia dello stabile collegamento
tra il ricorrente e la zona interessata dall'intervento
assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga
conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata,
della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche
ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento
sulla qualità della vita di coloro che per residenza,
attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con
la zona in cui sorge la nuova opera.
Il Collegio
condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale
“l'art. 31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150, come
modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n. 765, non ha
introdotto un'azione popolare che consentirebbe a qualsiasi
cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la
realizzazione di un'opera per far valere comunque
l'osservanza delle prescrizioni che regolano l'edificazione,
ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata
solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona
in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano
in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
La legittimazione deve essere per lo meno specificata
nell'impugnativa, con riferimento alla situazione concreta e
fattuale, indicando la ragione, il come e la misura con cui
il provvedimento impugnato si rifletta sulla propria
posizione sostanziale determinandone una lesione concreta,
immediata e attuale -nella specie, gli interessati si sono
limitati ad indicare nel ricorso originario di essere "tutti
abitanti del quartiere" oggetto del programma di intervento
senza precisare alcunché con riferimento alla specifica
vicinanza e alla concreta lesione subita“ (Consiglio
Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3757).
Ancora di recente, ha
condivisibilmente affermato la giurisprudenza: “La
legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito
nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra
gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità,
senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale” (Consiglio di Stato, sez. IV,
16.03.2010, n. 1535).
“Alla concessione edilizia in sanatoria di cui all'art.
31, l. 28.02.1985, n. 47 sono applicabili i principi in
materia di legittimazione all'impugnazione da parte dei
proprietari dei fondi confinanti incisi dalla sanatoria
dell'illecito, se non conforme a legge; tale legittimazione
sussiste per il fatto stesso che il terzo si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la zona interessata
dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da
ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico
interesse” (Consiglio di Stato, sez. IV, 30.11.2009, n.
7491).
Peraltro la giurisprudenza recente in talune pronunce si è
spinta a postulare identità dei concetti di vicinitas
e legitimatio ad causam, (superando così il più
restrittivo orientamento secondo il quale “ai fini
dell'impugnazione di una concessione edilizia, la condizione
della vicinitas, ossia dello stabile collegamento tra il
ricorrente e la zona interessata dall'intervento assentito,
va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto
della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della
sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed
anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento
sulla qualità della vita di coloro che per residenza,
attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con
la zona in cui sorge la nuova opera” -Consiglio di
Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2849) avendo affermato che “il
possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del
ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che
discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione
atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante
abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme
urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi
esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli
potrebbero arrecare” (Consiglio di Stato, sez. IV,
12.05.2009, n. 2908)
(Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3744 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Titolo autorizzatorio edilizio -
Impugnazione - Legittimazione - Criterio della vicinitas.
La legittimazione alla proposizione del ricorso finalizzato
all’annullamento di un titolo autorizzatorio edilizio
rilasciato ad un controinteressato va riportata al criterio
della c.d. vicinitas, intesa come una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, che esime da
qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i
lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un
effettivo pregiudizio per il soggetto che propone
l'impugnazione (Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n.
2908; tra le tante, si vedano anche: TAR Toscana Firenze,
sez. III, 26.02.2010, n. 536; TAR Trentino Alto Adige
Trento, 09.02.2010, n. 46; TAR Campania Salerno, sez. II,
13.07.2009, n. 3987; TAR Lombardia Milano, sez. II,
09.07.2009, n. 4345) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 10.05.2010 n. 1098 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
confinante ha interesse a ricorrere contro un ampliamento di
edificio, il quale vanta ovviamente quale titolo di
legittimazione uno stabile collegamento (“vicinitas”).
La ristrutturazione del precedente fabbricato e il suo
ampliamento, con conseguente maggior carico abitativo,
rendono infatti evidente l’interesse a ricorrere del
proprietario dell’edificio confinante, il quale vanta
ovviamente quale titolo di legittimazione uno stabile
collegamento (“vicinitas”) con l’area su cui il
provvedimento impugnato interviene (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Contro gli atti di apertura di un centro
commerciale di notevoli dimensioni va riconosciuta la
legittimazione a ricorrere ai commercianti dei Comuni
vicini.
Al centro
della controversia in commento sono gli atti pianificatori
interessanti la vasta area dello storico quartiere della
Fiera di Milano, al quale verrà data una nuova conformazione
in base ad un Accordo di Programma ed a un Programma
Integrato di Intervento, presentato dal soggetto attuatore.
I ricorrenti sono cittadini abitanti nella zona contigua a
quest’area, in vie ad essa limitrofe, più precisamente, le
proprietà di alcuni di essi sono collocate al confine con
l’area interessata dall’intervento. Ebbene, è di grande
interesse, ai fini del nostro commento, la riflessione dei
giudici del Tribunale amministrativo di Milano in merito
alle eccezioni di difetto di legittimazione e interesse
promosse dalla difesa.
Nel giudizio impugnatorio, esordiscono i giudici milanesi,
la legittimazione spetta a colui che afferma di essere
titolare della situazione giuridica sostanziale di cui
lamenta l'ingiusta lesione per effetto del provvedimento
amministrativo: l’accertamento sulla legittimazione si
risolve quindi nella identificazione della posizione
qualificata e differenziata del soggetto rispetto alla norma
che si assume lesiva di un interesse immediato e concreto.
L'interesse al ricorso consiste, invece, in un vantaggio
pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che
può derivare al ricorrente dall'accoglimento
dell'impugnativa. L'interesse a ricorrere, quindi, postula
che l'atto impugnato abbia prodotto in via diretta una
lesione attuale della posizione giuridica sostanziale
dedotta in giudizio, sicché esso non sussiste, con
conseguente inammissibilità del ricorso, quando l'atto,
ancorché avente natura provvedimentale, sia privo di
immediata ed autonoma lesività.
Tale fenomeno ricorre, in particolare, quando un atto, per
il suo carattere generale, non è in grado di ledere
interessi singoli occorrendo successivi provvedimenti
applicativi per l'individuazione dei soggetti incisi.
Nel caso di specie i giudici meneghini ritengono che
entrambi i requisiti siano sussistenti. La legittimazione si
correla alla qualità di abitante, allorché l’amministrazione
approvi un piano o un intervento edilizio in una zona
rispetto alla quale si dimostra l’esistenza di uno stabile
collegamento, cioè la c.d. vicinitas.
Nel caso de quo tale requisito è stato dimostrato, in
quanto, come si è detto, i ricorrenti abitano nelle vie
adiacenti all’area della Fiera. L’accertamento della
sussistenza dell’interesse al ricorso implica, invece, la
identificazione dell’utilitas effettiva, concreta,
ricavabile dall’annullamento degli atti, cioè di un
vantaggio anche successivo ed eventuale, sicché
l’annullamento risulti meramente strumentale rispetto alla
ulteriore attività dell’Amministrazione, dalla quale il
ricorrente potrebbe conseguire un risultato positivo.
In materia urbanistica, il vantaggio non è generalmente
immediato, ma appunto, successivo e potenziale, essendosi in
presenza di un’attività discrezionale: a seguito della
rimozione dell’atto la rideterminazione dell’Amministrazione
può essere più favorevole al ricorrente. L’interesse a
ricorrere, infatti, presuppone la prospettazione di un
vantaggio potenziale derivante dall’eventuale accoglimento
del ricorso.
L’interesse al ricorso va accertato con riferimento al bene
della vita al quale si aspira, in relazione non solo al
potere esercitato, ma a quello che avrebbe dovuto essere
esercitato e quindi anche con riferimento all’eventuale
obbligo dell’amministrazione di riesaminare il provvedimento
impugnato. Il bene della vita cui i ricorrenti aspirano è
identificato nella migliore vivibilità, nel miglioramento
della qualità della vita, che può conseguire nel vivere in
un quartiere con più parcheggi, maggiori spazi verdi, un
traffico regolare, meno rumore, più servizi.
Sul punto il Collegio richiama quanto già affermato da
questa Sezione nella sentenza n. 4345/2009, nella
controversia relativa ad un altro progetto di notevole
rilevanza del Comune di Milano. Anche in tale occasione, in
un giudizio promosso da abitanti delle zone limitrofe è
stato riconosciuto che “Il pregiudizio che può conseguire
ad un intervento di pianificazione può consistere nella
possibile diminuzione di valore del proprio immobile o nella
peggiore qualità ambientale”. […] “Sicuramente nel
rappresentare la lesione vi è anche una valutazione
soggettiva, legata alla sensibilità della persona, ma è
indubbio che oggi, nel comune sentire, sia i parcheggi
vicini alla propria abitazione, sia i giardini pubblici, sia
le barriere naturali antirumore sono elementi che
contribuiscono a migliorare la qualità della vita”. In
quella occasione è stata ritenuta sufficiente per
riconoscere sussistente l’interesse, la prova da parte dei
ricorrenti di scarsi servizi e di un sistema viario poco
funzionale, “pena la totale vanificazione della tutela
avverso gli interventi di pianificazione”.
L’utilitas che perseguono i ricorrenti nel caso in
esame non è meramente soggettiva, dal momento che vivere in
un quartiere funzionale, con servizi, parcheggi, traffico
regolare, è una aspirazione oggettiva di ogni persona. Va da
sé che l’eventuale annullamento degli atti impugnati
imporrebbe una rideterminazione da parte
dell’Amministrazione che potrebbe orientarsi ad introdurre
variazioni progettuali migliorative in tal senso.
Un’ulteriore considerazione rafforza il convincimento del
Collegio lombardo sulla sussistenza dei requisiti della
legittimazione e dell’interesse ad impugnare atti di
pianificazione come quelli in esame: l'espressione contenuta
nell'art. 10, l. 06.08.1967 n. 765, che ha novellato l'art.
31 l. 17.08.1942 n. 1150 secondo cui "(…) chiunque può
(...) ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in
quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei
regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore
generale e dei piani particolareggiati di esecuzione (…)".
Questa espressione è stata interpretata dalla prevalente e
oramai unanime giurisprudenza nel senso che tale facoltà è
data a chi si trova ad essere proprietario od a vivere nella
medesima zona interessata dal titolo impugnato. Anche
l'intervenuta abrogazione dell'art. 31 della legge
17.08.1942, n. 1150 ad opera dell'art. 136 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 non ha mutato in alcun modo la
conclusione, “posto che la situazione di legittimazione
ed interesse all'impugnazione di un titolo edilizio da parte
dei soggetti già individuati è ormai assurta alla stregua di
un principio generale dell'ordinamento”. Quindi un
titolo edilizio può essere impugnato sul presupposto dello
stabile collegamento del ricorrente con la zona in cui è
prevista la realizzazione.
La giurisprudenza aggiunge poi che, accertata una situazione
di stabile collegamento giuridico con l’area oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, non sussiste la
necessità di verificare, in concreto, se i lavori assentiti
dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione.
Negare allora ad un residente la possibilità di impugnare
gli atti di un piano attuativo, che, oltre a prevedere
interventi edilizi, contiene anche una più ampia disciplina
del territorio, significherebbe accordare una maggior tutela
per interventi minori (id est quelli edilizi)
rispetto a quelli che investono ampi spazi, riqualificano
quartieri, con conseguenze che si estendono oltre il
perimetro oggetto del piano.
Questo non implica l’introduzione di un’azione popolare
nell’ambito urbanistico, perché non si tratta di consentire
il mero ripristino della legalità violata, ma soltanto di
riconoscere ai residenti la possibilità di subire una
lesione dall’attività di pianificazione, con il relativo
vantaggio, seppur mediato, nel caso di annullamento degli
atti. Un’ulteriore argomentazione introdotta dai ricorrenti
è condivisibile, laddove sottolineano lo stretto rapporto
tra residenza e interesse allo standard.
Nella decisione n. 7/2007 l’Adunanza Plenaria,
nell’affrontare l’annosa questione della reiterazione dei
vincoli espropriativi, ha affermato che “quando sono
reiterati in blocco i vincoli decaduti già riguardanti una
pluralità di aree, la sussistenza di un attuale specifico
interesse pubblico risulta dalla perdurante constatata
insufficienza delle aree destinate a standard
(indispensabili per la vivibilità degli abitanti)”. Ciò
significa che l’insufficienza delle aree a standard
costituisce valida motivazione per la reiterazione del
vincolo e il sacrificio imposto al proprietario trova una
valida giustificazione nell’interesse dei consociati ad
avere i giusti spazi pubblici. Non è quindi una forzatura
riconoscere che ogni residente ha un interesse al rispetto
delle disposizioni che prevedono l’introduzione degli
standard, di cui può godere, sempre con il limite del
collegamento territoriale. Nell’ottica di una non lesione
del diritto di difesa, si colloca il recente orientamento
del Consiglio di Stato nel settore delle grandi strutture di
vendita, dove è stato introdotto un “ampliamento”
della legittimazione.
Affermano i Giudici di Palazzo Spada che avverso gli atti di
apertura di un centro commerciale di notevoli dimensioni, va
riconosciuta la legittimazione non solo ai commercianti siti
nell'area nella quale la nuova struttura commerciale è stata
autorizzata a collocarsi, ma anche agli esercenti dei Comuni
viciniori. In considerazione dell’impatto economico prodotto
da centri di tale natura, delle sue implicazioni
urbanistiche e delle conseguenze sulla qualità della vita di
coloro che per residenza, attività lavorativa e simili sono
in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova
opera, “il bacino di utenza da prendere in
considerazione, ai fini del riconoscimento del pregiudizio
che radica l'interesse al ricorso giurisdizionale, può
estendersi per un raggio di decine di chilometri, che
necessariamente travalica gli ambiti tracciati ai fini della
programmazione degli insediamenti commerciali“.
Se si parte dal principio di riconoscere una posizione
legittimante all’impugnazione in base ad interessi
esclusivamente economici, ampliando territorialmente la
cerchia dei soggetti legittimati all’azione, ne consegue
necessariamente che la medesima posizione debba essere
riconosciuta a chi vuole tutelare un interesse, come quello
della qualità della vita (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.11.2009 n. 5171 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Discariche e impianti di
trattamento - Atti di localizzazione - Impugnazione -
Persona fisica - Legittimazione - Mera vicinitas -
Insufficienza - Prova del danno.
La legittimazione di una persona fisica ad impugnare atti di
localizzazione di discariche e di impianti di trattamento e
smaltimento di rifiuti solidi urbani non discende dalla mera
vicinanza dell'abitazione ad una discarica, ma è subordinata
alla prova del danno che il ricorrente riceve nella sua
sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione
dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato
nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate
dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione
dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi
vive nelle sue vicinanze (Consiglio di Stato, Sez. VI,
18.07.1995, n. 754; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.1998,
n. 1088; Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001, n. 358;
Consiglio di Stato, Sez. V, 16.04.2003, n. 1948 e più
recentemente TAR Emilia Romagna - Bologna, Sez. I,
11.12.2006, n. 3216; TAR Emilia Romagna - Bologna, Sez. I,
26.11.2007, n. 3365; Consiglio di Stato, Sez. VI,
13.09.2007, n. 5453).
RIFIUTI - Art. 183 c. 1, lett. p),
d.lgs. n. 152/2006 - Sottoprodotto - Impiego - Processo di
produzione.
In forza dell’art. 183, co. 1, lett. p), del d.lgs. n.
152/2006, l’impiego del sottoprodotto deve avvenire
direttamente nel corso del processo di produzione o di
utilizzazione individuato e definito.
RIFIUTI - Scarti legnosi
dell’agricoltura - Residuati della lavorazione meccanica del
legno - Natura di rifiuto - Esclusione - Utilizzo
nell’alimentazione di un impianto di produzione di energia
da biomasse.
Non costituiscono rifiuto e possono quindi essere
tipicamente e propriamente utilizzati nell’alimentazione di
un impianto di produzione di energia da biomasse vegetali,
gli scarti legnosi dell’agricoltura e i residuati della
lavorazione esclusivamente meccanica del legno, quali
segature, tondelli, cortecce e cippato legnoso, anche ove
quest’ultimo sia trattato con impiego di acqua per estrarne
il tannino, poiché l‘acqua naturale non è un solvente e non
può essere assimilata ad una sostanza chimica (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 25.09.2009 n. 2292 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di impugnazione di concessione edilizia
rilasciata per la costruzione di un nuovo edificio,
l'interesse a ricorrere del proprietario di un’area situata
in prossimità del sito interessato dall’intervento
edificatorio trova piena giustificazione quando esiste una
situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento
con la zona coinvolta dalla costruzione e quest’ultima sia
idonea ad arrecare, se illegittimamente assentita, un
pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima.
Pertanto, la qualifica giuridica di proprietario di un bene
immobile confinante deve di per sé ritenersi idonea a creare
la legittimazione e l'interesse al ricorso, non occorrendo
anche la verifica della concreta lesione di un qualsiasi
altro interesse di rilevanza giuridica, riferibile a norme
di diritto privato o di diritto pubblico.
Con la conseguenza che, riconosciuta la legittimazione ad
agire, la valutazione sull’utilità o meno dei provvedimenti
impugnati al fine di chiederne o meno l’annullamento, non
può che essere rimessa alle determinazioni insindacabili del
titolare del diritto all’azione, non potendosi certamente
ritenere insussistente l’interesse alla pronuncia
caducatoria sulla base dei contrapposti apprezzamenti
discrezionali delle parti resistenti.
In tema di impugnazione di concessione edilizia rilasciata
per la costruzione di un nuovo edificio, l'interesse a
ricorrere del proprietario di un’area situata in prossimità
del sito interessato dall’intervento edificatorio trova
piena giustificazione quando esiste una situazione
soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta dalla costruzione e quest’ultima sia idonea ad
arrecare, se illegittimamente assentita, un pregiudizio ai
valori urbanistici della zona medesima.
Pertanto, la qualifica giuridica di proprietario di un bene
immobile confinante deve di per sé ritenersi idonea a creare
la legittimazione e l'interesse al ricorso, non occorrendo
anche la verifica della concreta lesione di un qualsiasi
altro interesse di rilevanza giuridica, riferibile a norme
di diritto privato o di diritto pubblico (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 31.05.2007 n. 2849).
Con la conseguenza che, riconosciuta la legittimazione ad
agire, la valutazione sull’utilità o meno dei provvedimenti
impugnati al fine di chiederne o meno l’annullamento, non
può che essere rimessa alle determinazioni insindacabili del
titolare del diritto all’azione, non potendosi certamente
ritenere insussistente l’interesse alla pronuncia
caducatoria sulla base dei contrapposti apprezzamenti
discrezionali delle parti resistenti
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.07.2009 n. 1375 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il vicino di casa ha titolo per
impugnare la concessione edilizia illegittima poiché la
relativa legittimazione discende dalla c.d. "vicinitas",
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato
senza che sussista la prospettata necessità di accertare se
i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un
effettivo pregiudizio per il soggetto che propone
l’impugnazione.
L'art. 31, comma 9, della legge 17.08.1942, n. 1150, come
novellato dalla legge 06.08.1967, n. 765, consente, come è
noto, "a chiunque" di impugnare le concessioni
edilizie ritenute illegittime e la giurisprudenza da sempre
ha riconosciuto al proprietario (od al possessore
dell'immobile od al semplice residente o domiciliatario)
nella zona interessata il possesso di quello “stabile
collegamento”, idoneo a radicare in tale soggetto una
posizione d'interesse differenziata rispetto a quella
posseduta dal quisque de populo.
Per tal via, il possesso del titolo di legittimazione alla
proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia discende dalla c.d. "vicinitas",
cioè, appunto, da una situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2009, n.
2908), senza che sussista la prospettata necessità di
accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto
impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l’impugnazione (conf., sul punto, Cons.
Stato, sez. V, 18.09.1998, n. 1289)
(TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
1. Ricorso giurisdizionale - Interesse a
ricorrere - Varianti urbanistiche - Condizioni - Vicinitas,
prova pregiudizio potenziale, utilitas.
2. Atto amministrativo - Vizio di incompetenza - Effetti -
Rimessione alla Autorità competente - Esame di ulteriori
doglianze - Possibilità - Non sussiste.
1.
Nell'ambito dell'interesse a ricorrere avverso le varianti
urbanistiche, oltre al requisito della vicinitas,
requisito che si ritiene presupposto sufficiente invece per
l'impugnazione di un intervento edilizio, si richiede la
prova della lesione sofferta (la possibile diminuzione di
valore o la peggiore qualità ambientale) e della connessa
utilitas ricavata dall'accoglimento del ricorso (nel
caso di specie, i ricorrenti, proprietari di immobili in
zona Garibaldi-Repubblica a Milano, hanno provato,
attraverso il deposito di una relazione, il pregiudizio
subendo per effetto dell'approvazione della variante del
P.I.I.).
2.
La fondatezza della censura di incompetenza determina
unicamente la remissione dell'affare all'Autorità indicata
come competente, ex art. 36 L. 1034/1971, ed impedisce
l'esame delle ulteriori doglianze, che altrimenti finirebbe
per risolversi in un giudizio anticipato sui futuri
provvedimenti dell'organo riconosciuto come competente ed in
un vincolo anomalo sulla riedizione del potere (cfr. Cons.
di Stato, sent. n. 2143/2009 - nel caso di specie il TAR ha
annullato la variante al P.I.I. Garibaldi Repubblica con la
quale sono state modificate le localizzazioni del verde e
dei parcheggi e la viabilità adottata dal Collegio di
Vigilanza dell'Accordo di Programma) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 4345 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Atti di pianificazione - Impugnazione -
Legittimazione - Vicinitas - Insufficienza - Pregiudizio
effettivo o potenziale - Fattispecie.
L’interesse al ricorso, in materia di impugnazione degli
atti di pianificazione, non può essere provato solo con la
situazione dello stabile collegamento con la zona
interessata dalle opere, ma attraverso la dimostrazione del
pregiudizio direttamente conseguente all’adozione degli atti
gravati e della connessa utilitas ricavata
dall’accoglimento del ricorso (Cons. Stato, n. 1584/2008).
Il pregiudizio deve essere effettivo, nel senso che
dall’esecuzione dello stesso deve discendere in via
immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica
del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la
lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di
certezza (Cons. St., sez. IV, 22.06.2006, n. 3947), mentre
deve escludersi il presupposto in questione nell’ipotesi in
cui il danno derivante dall’attuazione dell’atto impugnato
sia meramente eventuale, e, cioè, quando lo stesso non
risulta, di per sé, capace di arrecare una lesione diretta
alla sfera del soggetto ricorrente, né risulti sicuro che il
danno si realizzerà in un secondo tempo (Cons. St., sez. IV,
19.06.2006, n. 3656).
Il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di
pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di
valore del proprio immobile o nella peggiore qualità
ambientale: una volta accertata la vicinitas, vanno
valutate le implicazioni urbanistiche dell’intervento e le
conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che
per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in
durevole rapporto con la zona interessata dall’intervento
(fattispecie relativa alla variante urbanistica comportante
riduzione delle aree verdi nelle vie limitrofe alla
residenza dei ricorrenti, diminuzione di alberi destinati a
costituire barriere antirumore e spostamento di parcheggi
pubblici: circostanze tutte incidenti sullo status di
residente, sotto gli aspetti della viabilità e della
vivibilità) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 4345 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Giudizio amministrativo - Procedura -
Legittimazione - Edilizia - Nozione di collegamento fra
immobili.
2. Dichiarazione inizio attività - Impugnazione da parte del
terzo - Mezzi - Azione di accertamento autonomo -
Sussistenza - Ragioni.
1. Oltre ai
singoli proprietari di immobili limitrofi, la legittimazione
va riconosciuta a tutti coloro che si trovino, non in virtù
della titolarità di un diritto reale, comunque in una
situazione di collegamento, non effimero ma stabile con la
zona stessa, ove gli stessi ritengano che per effetto della
nuova costruzione, in contrasto con le prescrizioni
urbanistiche, si determini una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto urbanistico ed
edilizio. Tale precisazione deriva dalla considerazione per
cui il rapporto di vicinitas dei proprietari
frontisti è sufficiente a sostanziare la legittimazione ad
agire, in quanto non può che comprendere in sé l'interesse
personale alla conservazione e salvaguardia delle
caratteristiche costruttive e insediative dell'ambiente
circostante.
2.
Poiché la d.i.a. non è un
provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto
privato, la tutela deve essere assicurata al terzo mediante
strumenti diversi dall'azione di annullamento, che siano
perfettamente compatibili con la natura privatistica della
d.i.a.. E tale strumento è stato individuato nell'azione di
accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al
giudice amministrativo per sentire pronunciare che non
sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla
base di una semplice denuncia di inizio di attività (Cons.
Stato, sez. VI, 09-02-2009 n. 717) ( TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 18.06.2009 n. 431 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Ricorso giurisdizionale - Interesse a
ricorrere - Varianti urbanistiche - Condizioni - Pregiudizio
effettivo o potenziale.
2. Ricorso giurisdizionale - Varianti urbanistiche -
Interesse a ricorrere - Condizioni - Vicinitas, prova della
lesione sofferta e prova della utilitas perseguibile.
3. Pianificazione urbanistica - Varianti parziali - Natura -
Provvedimento modellato sulle esigenze di una singola
proprietà - Illegittimità.
1.
L'interesse all'impugnazione di atti di pianificazione non
può essere provato solo con la situazione dello stabile
collegamento con la zona interessata dalle opere, ma
attraverso la dimostrazione del pregiudizio effettivo o
anche potenziale, ma direttamente connesso all'adozione
degli atti gravati (cfr. TAR Milano, sent. n. 1551/2008).
2.
Nell'ambito dell'interesse a ricorrere avverso le varianti
urbanistiche, oltre al requisito della vicinitas,
requisito che si ritiene presupposto sufficiente invece per
l'impugnazione di un intervento edilizio, si richiede la
prova della lesione sofferta (la possibile diminuzione di
valore o la peggiore qualità ambientale) e della connessa
utilitas ricavata dall'accoglimento del ricorso.
3.
La pianificazione urbanistica è una attività generale, che
presuppone una scelta per finalità rispondenti agli
interessi di tutti e ciò vale anche nel caso di varianti
parziali, interessanti parte del territorio: pertanto viola
i canoni dell'imparzialità e della buona amministrazione la
P.A. che adotti un provvedimento modellato sulle esigenze di
una singola proprietà (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.06.2009 n. 4020 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Proprietari di terreni circostanti e
adiacenti ad area interessata da intervento edilizio
assentito - Criterio della "vicinitas" - Interesse a
ricorrere - Sussiste.
1. I
proprietari di terreni circostanti e adiacenti all'area
interessata da un intervento edilizio sono portatori, in
base al criterio del requisito della vicinitas, di un
interesse qualificato e sono, pertanto, legittimati a
ricorrere avverso i titoli eventualmente rilasciati per la
realizzazione dell'intervento, che possano comportare
violazione delle norme urbanistiche o edilizie o comportare
un peggioramento della qualità di vita della zona stessa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.06.2009 n. 3970 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Deposito e legittimazione
associazioni ambientaliste.
Quando non ricorre un deposito temporaneo, si configura un
deposito preliminare se esso è realizzato in vista di
successive operazioni di smaltimento, ovvero una messa in
riserva ,se è realizzato in vista di successive operazioni
di recupero, mentre si realizza un deposito incontrollato o
abbandono quando non prelude ad alcuna operazione di
smaltimento o di recupero.
Le associazioni ambientaliste sono legittimate alla
costituzione di parte civile "iure proprio" nel
processo per reati ambientali, dal momento che l’espressa
previsione legislativa della possibilità di costituzione di
parte civile per lo Stato e per gli enti pubblici
territoriali non esclude l’applicabilità delle regole
generali in materia di risarcimento del danno e di
costituzione di parte civile.
La sede regionale è legittimata a costituirsi parte civile
se il bene leso si trova nell’ambito della regione. Anzi uno
stabile collegamento di interessi con una determinata zona
costituisce elemento sintomatico della possibile sussistenza
di un pregiudizio concreto ed attuale. Prima della legge
istitutiva del Ministero dell’ambiente, il criterio della
vicinitas era pacificamente utilizzato dalla
giurisprudenza per riconoscere la legittimazione ad agire
alle associazioni ambientaliste locali. Accertata la
legittimazione ad agire iure proprio, alle associazioni
ambientaliste spetta il diritto al risarcimento conseguente
al danno ambientale, sia come titolari di un diritto della
personalità connesso al perseguimento delle finalità
statutarie, sia come enti esponenziali del diritto assoluto
alla tutela ambientale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 11.05.2009 n. 19883 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire - Termine per
l'impugnazione - Conoscenza piena - Quando si realizza -
Impugnazione da parte dei terzi - Dies a quo - Onere della
prova - Incombe alla parte che eccepisce la tardività.
2. Controinteressato - In tema di edilizia ed urbanistica -
Abusi - Legittimazione attiva - Presupposti.
3. Permesso di costruire convenzionato - Applicazione in
alternativa alla pianificazione attuativa - Possibilità -
Condizione - Previsione negli strumenti urbanistici.
1. Al fine di
determinare la tardività dell'impugnazione da parte dei
terzi del titolo edilizio, il termine decorre dalla piena
conoscenza ovvero dalla consapevolezza del contenuto
specifico del progetto edilizio. La prova della piena ed
effettiva conoscenza del titolo rilasciato ad un terzo -da
dimostrarsi in modo rigoroso da chi eccepisce la tardività
della impugnazione- deve intendersi soddisfatta, in assenza
di inequivoci elementi di segno contrario, non con il mero
inizio dei lavori, ma solo con la loro ultimazione o,
almeno, quando i lavori stessi siano giunti ad uno stato di
avanzamento tale che non possa più aversi alcun dubbio in
ordine alla consistenza, alla entità e alla reale portata
dell'intervento edilizio assentito (cfr. TAR Milano, sent.
n. 4039/2008; TAR Brescia, sent. n. 489/2008; Cons. di
Stato, sent. n. 6342/2007).
2.
In caso di mancato rispetto di distanze, limiti di altezza e
vincoli d'uso di una costruzione eccepiti da parte
controinteressata, affinché in capo a quest'ultima possa
configurarsi la legittimazione ad agire è necessario che,
oltre al requisito della vicinitas, si realizzi una
rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio per effetto della
realizzazione dell'intervento controverso (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1548/2008).
3.
Il ricorso all'istituto del permesso di costruire
convenzionato in alternativa alla pianificazione attuativa è
riconosciuto dalla normativa della Regione Lombardia, la
quale lo pone come teorica alternativa alla pianificazione
attuativa ove ciò sia previsto negli strumenti urbanistici:
in mancanza di una sua previsione nel PRG -ed ora nel Piano
delle Regole- la sua adozione non risulta, pertanto,
legittima (cfr. Cons . di Stato, sent. n. 1013/2004)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 05.02.2009 n. 1147). |
ANNO 2008 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Frontista del terreno interessato dal
permesso di costruire - Nozione di "vicinitas" - Sussiste -
Diritto all'accesso agli atti relativi al permesso di
costruire - Sussiste.
Sussiste in capo al frontista del terreno interessato dal
permesso di costruire quel rapporto di "vicinitas" che gli
consente di richiedere l'accesso agli atti relativi al detto
permesso di costruire, in quanto titolare di un interesse
diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata collegata ai documenti ai
quali è chiesto l'accesso, differenziandosi la sua posizione
da quella di un "quisque de populo" che agisce solo per
motivi di curiosità o di generico controllo sociale (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.09.2008 n. 4054). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione edilizia - Termine per
l'impugnazione da parte di terzi - Decorre dalla piena ed
effettiva conoscenza del provvedimento - Onere della prova -
Incombe alla parte che eccepisce la tardività.
2. Concessione edilizia - Decorrenza del termine per
l'impugnazione - Necessità di effettiva conoscenza del
provvedimento - Sussiste - Non si ha con l'inizio dei lavori
ma con il loro completamento - Mera conoscenza
dell'iniziativa in corso - È sufficiente se viene provata la
conoscenza anticipata o si deducono censure di assoluta
inedificabilità dell'area o analoghe.
3. Concessione edilizia - Decorrenza del termine per
l'impugnazione - Conoscenza del provvedimento lesivo da
parte del legale rappresentante del soggetto leso - Non vale
come effettiva conoscenza del provvedimento stesso da parte
del rappresentato, salvo che il legale rappresentante agisca
in sede amministrativa e su specifico incarico
dell'interessato.
4. Concessione edilizia - Impugnazione - Condominio -
Accesso agli atti in vista di una tutela giudiziaria -
Riguarda la difesa del diritto di proprietà uti singuli da
parte dei condomini.
5. Concessione edilizia - Impugnazione - Legittimazione -
Sussiste in capo al proprietario di immobile sito nella zona
interessata alla costruzione o ad essa stabilmente collegato
- Obbligo di dimostrare un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale - Non sussiste.
1.
Il termine per l'impugnazione della concessione edilizia da
parte dei terzi, che assumano di aver subito pregiudizio
dalla costruzione assentita, decorre dalla piena ed
effettiva conoscenza del provvedimento, intendendosi tale
conoscenza come un fatto la cui prova rigorosa incombe alla
parte che eccepisce la tardività.
2.
Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di
una concessione edilizia rilasciata a terzi, l'effettiva
conoscenza dell'atto si verifica quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, con la
conseguenza che in mancanza di altri ed in equivoci elementi
probatori il termine decorre non con il mero inizio dei
lavori ma con il loro completamento a meno che non venga
provata una conoscenza anticipata o si deducano censure di
assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel
qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa
in corso.
3.
La conoscenza del provvedimento lesivo da parte del legale
rappresentante del soggetto leso non può valere come
effettiva conoscenza del provvedimento stesso da parte del
soggetto rappresentato, salvo che il legale rappresentante
agisca in sede amministrativa e su specifico incarico
dell'interessato ("in nome e per conto"), in tal caso
dovendosi ritenere che la doglianza avanzata in sede
amministrativa faccia direttamente capo al medesimo
delegante, secondo i normali principi della rappresentanza.
4.
L'accesso agli atti in vista di una tutela giudiziaria nei
confronti di abusi edilizi posti in essere da proprietari
confinanti è una questione che riguarda la difesa del
diritto di proprietà uti singuli da parte dei condomini.
5.
Ai fini del riconoscimento della legittimazione ad impugnare
una concessione edilizia, è sufficiente l'elemento della
vicinitas, dovendosi riconoscere la legittimazione al
proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla
costruzione, o a chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse
qualificato alla tutela giurisdizionale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
10.09.2008 n. 4039). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
L’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla
sussistenza dei medesimi requisiti che qualificano
l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. e, cioè,
dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale
della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva
utilità che deriverebbe a quest’ultimo dall’invocato
annullamento dell’atto impugnato.
Ovviamente, la verifica della ricorrenza della condizione
dell’azione in esame postula che il pregiudizio arrecato dal
provvedimento gravato sia effettivo, nel senso che
dall’esecuzione dello stesso deve discendere in via
immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica
del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la
lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di
certezza, mentre deve escludersi il presupposto in questione
nell’ipotesi in cui il danno derivante dall’attuazione
dell’atto impugnato sia meramente eventuale, e, cioè, quando
lo stesso non risulta, di per sé, capace di arrecare una
lesione diretta alla sfera del soggetto ricorrente, né
risulti sicuro che il danno si realizzerà in un secondo
tempo.
Nelle controversie attinenti alla realizzazione di
interventi edilizi si è ulteriormente precisato che, se è
vero che l’ordinamento riconosce una posizione qualificata e
differenziata, ai fini dell’interesse ad impugnare i
provvedimenti di assenso alla trasformazione del territorio,
a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata dalle opere contestate,
è anche vero che, in concreto, devono ritenersi titolati
all’impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una
rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della
realizzazione dell’intervento controverso.
Al fine dello scrutinio della fondatezza della predetta
eccezione, occorre premettere una sintetica ricognizione dei
caratteri essenziali dell’interesse a ricorrere e degli
elementi che ne integrano la struttura, per come
identificati da una giurisprudenza ormai consolidata.
In via generale, l’interesse a ricorrere è caratterizzato
dalla sussistenza dei medesimi requisiti che qualificano
l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. e, cioè,
dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale
della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva
utilità che deriverebbe a quest’ultimo dall’invocato
annullamento dell’atto impugnato (cfr. ex multis
Cons. St., sez. V, 08.05.2007, n. 2119).
Ovviamente, la verifica della ricorrenza della condizione
dell’azione in esame postula che il pregiudizio arrecato dal
provvedimento gravato sia effettivo, nel senso che
dall’esecuzione dello stesso deve discendere in via
immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica
del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la
lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di
certezza (Cons. St., sez. IV, 22.06.2006, n. 3947), mentre
deve escludersi il presupposto in questione nell’ipotesi in
cui il danno derivante dall’attuazione dell’atto impugnato
sia meramente eventuale, e, cioè, quando lo stesso non
risulta, di per sé, capace di arrecare una lesione diretta
alla sfera del soggetto ricorrente, né risulti sicuro che il
danno si realizzerà in un secondo tempo (Cons. St., sez. IV,
19.06.2006, n. 3656).
Nelle controversie attinenti alla realizzazione di
interventi edilizi (alle quali può essere ascritta la
presente) si è ulteriormente precisato che, se è vero che
l’ordinamento riconosce una posizione qualificata e
differenziata, ai fini dell’interesse ad impugnare i
provvedimenti di assenso alla trasformazione del territorio,
a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata dalle opere contestate,
è anche vero che, in concreto, devono ritenersi titolati
all’impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una
rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della
realizzazione dell’intervento controverso (Cons. St., sez.
IV, 11.04.2007, n. 1672)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.04.2008 n. 1548 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini della legittimazione al ricorso contro i titoli edilizi
occorre utilizzare il criterio dello stabile collegamento
tra il ricorrente e la zona interessata all’attività
edilizia assentita, non essendo, peraltro, sufficiente la
mera prossimità con l’area oggetto di intervento, ma essendo
necessaria l’immediatezza della vicinanza della proprietà
con l’area edificanda.
Secondo un costante e consolidato orientamento degli organi
di giustizia amministrativa, ai fini della legittimazione al
ricorso contro i titoli edilizi occorre utilizzare il
criterio dello stabile collegamento tra il ricorrente e la
zona interessata all’attività edilizia assentita, non
essendo, peraltro, sufficiente la mera prossimità con l’area
oggetto di intervento, ma essendo necessaria l’immediatezza
della vicinanza della proprietà con l’area edificanda (cfr.
per tutti, Cons. St., sez. V, 28.06.2004, n. 4790); in
aggiunta, va però anche ulteriormente precisato, che la
predetta condizione dell’azione rappresentata dalla “vicinitas”,
ossia dallo stabile collegamento tra il ricorrente e la zona
interessata dall’intervento assentito, va valutata alla
stregua di un giudizio che tenga necessariamente conto della
natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua
destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche
delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla “qualità
della vita” di coloro che per residenza, attività
lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona
in cui sorge la nuova opera (Cons. St., sez. IV, 31.05.2007,
n. 2849) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.04.2008 n. 387 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Permesso
di costruire - Legittimazione all’impugnazione - Criterio
della vicinitas.
La normativa urbanistica, lungi dal consentire l’esperimento
di azioni popolari al riguardo, radica la legittimazione ad
insorgere contro il permesso di costruire rilasciato a terzi
in capo al proprietario di un immobile sito nella zona
interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la zona stessa (sia
di natura reale che obbligatoria), senza che, peraltro,
debba essere fornita dimostrazione della sussistenza di un
interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.2000 n. 3904; TAR Umbria,
05.05.2006 n. 305; TAR Lazio-Roma, Sez. II, 02.11.2005 n.
10255; TAR Campania-Napoli, Sez. II, 06.05.2005 n. 5557; TAR
Sicilia-Catania, Sez. III, 02.08.2004 n. 1981; TAR Piemonte,
Sez. I, 07.07.2003 n. 1042); è, in altri termini, da
ravvisare una posizione qualificata e differenziata in
coloro che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la zona di intervento edilizio e che
facciano valere un interesse giuridicamente protetto di
natura urbanistica, quale è quello all’osservanza delle
prescrizioni regolatrici dell’edificazione, senza che sia
necessario accertare in concreto se i lavori assentiti con
l’atto gravato comportino o meno un effettivo pregiudizio
per il soggetto che propone l’impugnazione (cfr. anche
Consiglio di Stato, Sez. V, 01.07.2005 n. 3674; TAR Liguria,
Sez. I, 12.09.2007 n. 1560; TAR Toscana, Sez. III,
11.06.2004 n. 2053; TAR Liguria, Sez. I, 21.02.2003 n. 225)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 20.03.2008 n. 1439
- link a www.ambientediritto.it). |
ANNO 2007 |
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ATTI AMMINISTRATIVI: 1.
Associazioni ambientaliste - Artt. 13 e 18
L. n. 349/1986 - Legittimazione ad impugnare
le deliberazioni comunali che presentano
aspetti urbanistici e che sono suscettibili
di pregiudicare il bene dell'ambiente -
Sussiste.
2. Stabile collegamento con la zona
interessata dall'intervento - Legittimazione
a ricorrere - Sussiste.
1. Ai sensi degli artt. 13 e 18 della
L. n. 349/1986, le associazioni
ambientaliste sono legittimate ad impugnare
le deliberazioni comunali nel caso in cui
queste, pur presentando aspetti
urbanistici, sono suscettibili di
pregiudicare il bene dell'ambiente,
compromettendone l'adeguata tutela. Nel caso
di specie sussiste l'interesse a ricorrere e
la legittimazione a ricorrere in capo
all'associazione di protezione ambientale
Italia Nostra cui è riconosciuta la tutela
degli interessi ambientali in senso stretto
(individuati negli aspetti
fisico-naturalistici di un certo territorio)
e la tutela dei "valori" ambientali, "lato sensu" considerati, quali la conservazione e
valorizzazione dei beni culturali,
dell'ambiente, del paesaggio urbano, rurale
e naturale, dei monumenti e dei centri
storici e della qualità della vita, intesi
come beni e valori ideali idonei a
caratterizzare in modo originale, peculiare
e irripetibile, un certo ambito geografico e
territoriale.
2. Ricorre la legittimazione a
ricorrere anche in capo a coloro che, con
riferimento al concetto della "vicinitas",
si trovano in un rapporto di stabile
collegamento con la zona interessata
dall'intervento (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.12.2007 n. 6541
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2003 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
norma dell’art. 31, comma 9, della legge 17.08.1942, n.
1150, come novellato dalla legge 06.08.1967, n. 765, secondo
cui la possibilità di ricorrere contro le concessioni
edilizie è riconosciuta a “chiunque”, deve essere
interpretata nel senso che ai fini della legittimazione al
ricorso occorre sempre un criterio di stabile collegamento
tra il ricorrente e la zona interessata all’attività
edilizia assentita con la concessione che si impugna
(collegamento che può derivare dal residenza nella zona
interessata, dalla proprietà e dal possesso o dalla
detenzione di immobili in detta zona o da altro titolo di
frequentazione di quest’ultima).
Ed infatti -premesso che la norma dell’art. 31, comma 9,
della legge 17.08.1942, n. 1150, come novellato dalla legge
06.08.1967, n. 765, secondo cui la possibilità di ricorrere
contro le concessioni edilizie è riconosciuta a “chiunque”,
deve essere interpretata nel senso che ai fini della
legittimazione al ricorso occorre sempre un criterio di
stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata
all’attività edilizia assentita con la concessione che si
impugna (collegamento che può derivare dal residenza nella
zona interessata, dalla proprietà e dal possesso o dalla
detenzione di immobili in detta zona o da altro titolo di
frequentazione di quest’ultima)- il Collegio deve ritenere
che nel caso in esame ciò si verifichi in quanto il sig. B.
risulta essere proprietario del lotto n. 14 nell’ambito
della lottizzazione in questione e, in quanto tale, viene
certamente a subire un pregiudizio concreto e attuale nella
propria posizione giuridica soggettiva dalla realizzazione
delle costruzioni in questione su lotti vicini a quello di
sua proprietà.
E ciò, in particolare, perché le impugnate concessioni
consentono la realizzazione, nella immediate vicinanze del
lotto del ricorrente di un progetto modificativo degli
allineamenti di zona e del dosaggio degli standards edilizi
e caratterizzato da una notevolmente maggiore volumetria
(per mc. 5184, rispetto ai mc. 4200 originariamente
previsti) con conseguente sostanziale alterazione
dell’assetto residenziale originario e diminuzione della
zona destinata a verde privato.
Deve respingersi, pertanto, l’eccezione preliminare
anzidetta, dovendo, al contrario, riconoscersi in capo al
sig. Boccanera (in quanto proprietario di immobile sito
nella zona interessata e, quindi, posto in situazione di
stabile collegamento con la zona stessa) la sussistenza di
un interesse qualificato a proporre ricorso per la tutela
della posizione giuridica da lui ritenuta lesa.
Il suo ricorso è, di conseguenza ammissibile, anche a
prescindere dalla concreta dimostrazione, da parte
dell’istante, della sussistenza nella specie di un suo più
specifico interesse alla tutela giurisdizionale (Cons. St.,
Sez. V, 26.02.1992, n. 143; 11.04.1995, n. 587; 30.10.1995,
n.1495; Sez. IV 15.09.1998, n. 1155; 08.07.2002, n. 3805)
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 20.01.2003 n. 200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ANNO 2002 |
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EDILIZIA
PRIVATA: La
prova dell’effettiva e piena conoscenza del provvedimento
impugnato deve essere dimostrata in modo assolutamente
rigoroso da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione,
sicché l’effettiva e piena conoscenza della concessione
edilizia rilasciata a terzi deve essere provata da chi
eccepisce la tardività della sua impugnazione in modo
rigoroso, e non meramente induttivo.
Ed invero, ai fini dell’inizio della decorrenza del termine
per l’impugnazione della concessione edilizia non basta la
semplice notizia del rilascio dell’atto o la vaga cognizione
del suo contenuto, oppure il mero inizio o lo svolgimento
dei lavori di costruzione, in quanto occorre la conoscenza
dei suoi elementi essenziali, conoscenza che può in via
presuntiva trarsi quando risulta da dati incontrovertibili
il completamento della costruzione.
D’altra parte, non può ritenersi acquisita la conoscenza
piena del provvedimento amministrativo lesivo, quando questa
avvenga nel corso del processo da parte del difensore,
occorrendo che la conoscenza piena sia acquisita
personalmente dal soggetto interessato.
Neppure può ritenersi acquisita la conoscenza piena degli
atti amministrativi da parte del soggetto interessato che
abbia presentato esposti o denunce per lamentarne la
lesività o l’eventuale illegittimità.
E’ noto che, secondo la giurisprudenza, la prova
dell’effettiva e piena conoscenza del provvedimento
impugnato deve essere dimostrata in modo assolutamente
rigoroso da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione
(fra le tante: Cons. St., Sez. IV, 04.12.2000 n. 6486),
sicché l’effettiva e piena conoscenza della concessione
edilizia rilasciata a terzi deve essere provata da chi
eccepisce la tardività della sua impugnazione in modo
rigoroso, e non meramente induttivo (fra le tante: Cons.
St., Sez. VI, 14.03.2002 n.1533).
Ed invero, ai fini dell’inizio della decorrenza del termine
per l’impugnazione della concessione edilizia non basta la
semplice notizia del rilascio dell’atto o la vaga cognizione
del suo contenuto, oppure il mero inizio o lo svolgimento
dei lavori di costruzione, in quanto occorre la conoscenza
dei suoi elementi essenziali, conoscenza che può in via
presuntiva trarsi quando risulta da dati incontrovertibili
il completamento della costruzione (Cons. St., VI, n. 1533
del 2002 cit.).
D’altra parte, non può ritenersi acquisita la conoscenza
piena del provvedimento amministrativo lesivo, quando questa
avvenga nel corso del processo da parte del difensore,
occorrendo che la conoscenza piena sia acquisita
personalmente dal soggetto interessato (fra le tante: Cons.
St., Sez. IV, 07.09.2000 n. 4725).
Neppure può ritenersi acquisita la conoscenza piena degli
atti amministrativi da parte del soggetto interessato che
abbia presentato esposti o denunce per lamentarne la
lesività o l’eventuale illegittimità (fra le tante: Cons.
St., Sez. V, 17.12.1990 n.890) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 28.06.2002 n. 595 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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