dossier DISTANZA DAI CORSI D'ACQUA
- DEMANIO MARITTIMO/LACUALE |
per approfondimenti vedi anche:
Regione Lombardia:
Polizia idraulica
* * *
R.D. 25.07.1904 n. 523 (Testo unico sulle opere idrauliche)
* * *
L.R.
15.03.2016 n. 4 (Revisione della normativa regionale in
materia di difesa del suolo, di prevenzione e mitigazione
del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d'acqua) |
anno 2022 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria
relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica, atteso che il divieto di costruzione ad una certa
distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96,
lett. f), R.D. n. 523/1904, ha carattere assoluto ed inderogabile.
Pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con
tale divieto trova applicazione l'art. 33 L. n. 47/1985 sul condono
edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in
tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree.
---------------
8. Con la censura sub. 5, il
ricorrente contesta la circostanza valorizzata dall’amministrazione ai fini
del diniego che parte dell’immobile ricade in zona d’impluvio; rappresenta,
inoltre, che la destinazione urbanistica della zona (D1) consente il
mantenimento dei manufatti o addirittura il loro ampliamento. Ancora,
lamenta che il vincolo di inedificabilità sarebbe stato imposto dopo la
realizzazione delle opere in questione, sicché esse appaiono suscettibili di
sanatoria (artt. 32 e 33 Legge n. 47/1985).
L’Amministrazione eccepisce che l’art. 53 delle N.T.A. definisce “zone di
impluvio” quelle zone che nella relazione geologica sono classificate “a
rischio geologico” ed inedificabili, della larghezza di m. 10,00
dall’argine del corso d’acqua, sottoposto al vincolo di inedificabilità
assoluta ai sensi dell’art. 96, lett. f), del T.U. 25.07.1904 n. 523, fascia
entro la quale ricadono parte degli immobili oggetto di sanatoria.
Pertanto, sebbene le opere in esame ricadano all’interno della zona D1,
sarebbe comunque dovuta l’osservanza della distanza dagli argini imposta
dalla normativa statale sopra citata.
8.1. Ai fini del rigetto della censura si fa rinvio a Cons. Giust. Amm.
Sicilia, 01/04/2019, n. 303 secondo cui: “E' legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato
realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che il
divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua
demaniali, imposto dall'art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904, ha carattere
assoluto ed inderogabile; pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva
realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 L. n.
47/1985 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di
inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in
modo assoluto di edificare in determinate aree” (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 22.06.2022 n. 1654 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza ha precisato che:
- deve riconoscersi la giurisdizione del Tribunale superiore
non solo quando l'atto impugnato promani da organi amministrativi
istituzionalmente preposti alla cura del settore delle acque pubbliche, ma
anche quando l'atto, ancorché proveniente da organi diversi, finisca con
l'incidere immediatamente -e non soltanto in via occasionale- sull'uso delle
medesime acque pubbliche, se ed in quanto interferisca con i provvedimenti
relativi a tale uso (ad esempio, autorizzando, impedendo o modificando i
lavori relativi o determinando i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse) o sulla stessa
struttura o consistenza dei beni demaniali;
- risulta necessario, per fondare la specializzata giurisdizione
delle acque, che i provvedimenti impugnati, per effetto della loro incidenza
sulla realizzazione, sospensione od eliminazione di un'opera idraulica
riguardante un'acqua pubblica, concorrano, in concreto, a disciplinare
direttamente le modalità di utilizzazione di quell'acqua o l'assetto e la
struttura dei beni del demanio idrico, non essendo sufficiente che sui
relativi regimi quelli incidano solo in via indiretta, riflessa, mediata od
occasionale;
- nell'ambito della giurisdizione specializzata vanno, dunque,
ricompresi anche i ricorsi avverso i provvedimenti che, pur costituendo
esercizio di un potere non strettamente attinente alla materia delle acque
ed inerendo ad interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi
rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai
rapporti concessori di beni del demanio idrico, riguardino comunque
l'utilizzazione di detto demanio, così incidendo in maniera diretta ed
immediata sull'uso delle acque, interferendo con provvedimenti riguardanti
tale uso, nonché autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi;
- ad analoga conclusione, nel senso della giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado di legittimità,
occorre giungere quanto ai provvedimenti riguardanti gli ambiti territoriali
ottimali, benché solo quando da essi discendano ricadute sull'organizzazione
e sulla conduzione del sistema idrico integrato (che, mirando a garantire la
gestione di tale servizio in termini di efficienza, efficacia ed economicità,
abbiano incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche e del loro
utilizzo);
- la giurisdizione del giudice specializzato è riconosciuta anche
in caso di divieti di edificazione, quando siano informati alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, o di assicurare il libero deflusso delle acque che scorrono nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici;
- al contrario, deve riconoscersi la giurisdizione del giudice
amministrativo in caso di impugnativa di atti solo in via strumentale
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque
pubbliche e pertanto in grado di influirvi solo occasionalmente, in cui
rileva esclusivamente l'interesse al rispetto delle norme di legge nelle
procedure amministrative funzionali all'affidamento di concessioni o appalti
di opere relative a tali acque; oppure in caso di prevalenza in concreto,
nel provvedimento impugnato, della tutela di interessi pubblicistici diversi
rispetto a quelli coinvolti dal regime delle acque pubbliche.
---------------
Non
c’è argomento più tipico della cognizione di legittimità del TSAP, fin
dall’entrata in vigore dell’art. 96 del RD 523/1904, di quello del divieto
di costruzioni di qualunque natura a meno di mt 10 dal piede dell’argine,
anzi è tal questione fu ed è tuttora l’ubi consistam della giurisdizione del
TSAP sul demanio idrico, ai sensi dell’art. 143, I co., lett. a), del RD
1775/1933.
---------------
10.8 I motivi di impugnazione, per
ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
In subiecta materia deve richiamarsi quanto statuito dalla Corte di
cassazione nella sentenza n. 2710 del 2020, in cui, nel ripercorrere la
giurisprudenza di legittimità formatasi sul riparto tra la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche (come delimitata dal R.D.
11.12.1933, n. 1775, art. 143), la giurisdizione del Tribunale regionale
delle acque (costituente organo in primo grado specializzato della
giurisdizione ordinaria, cui l'art. 140 del medesimo R.D., attribuisce, tra
l'altro, le controversie in cui si discuta, in via diretta, di diritti
correlati alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche) e la
giurisdizione amministrativa (del complesso TAR-Consiglio di Stato,
comprensiva di tutte le controversie, concernenti atti solo strumentalmente
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque
pubbliche, in cui rileva esclusivamente l'interesse al rispetto delle norme
di legge nelle procedure amministrative volte all'affidamento di concessioni
o di appalti di opere relative a tali acque), è stato precisato che:
- deve riconoscersi la giurisdizione del Tribunale superiore
non solo quando l'atto impugnato promani da organi amministrativi
istituzionalmente preposti alla cura del settore delle acque pubbliche, ma
anche quando l'atto, ancorché proveniente da organi diversi, finisca con
l'incidere immediatamente -e non soltanto in via occasionale- sull'uso delle
medesime acque pubbliche, se ed in quanto interferisca con i provvedimenti
relativi a tale uso (ad esempio, autorizzando, impedendo o modificando i
lavori relativi o determinando i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse) o sulla stessa
struttura o consistenza dei beni demaniali;
- risulta necessario, per fondare la specializzata giurisdizione
delle acque, che i provvedimenti impugnati, per effetto della loro incidenza
sulla realizzazione, sospensione od eliminazione di un'opera idraulica
riguardante un'acqua pubblica, concorrano, in concreto, a disciplinare
direttamente le modalità di utilizzazione di quell'acqua o l'assetto e la
struttura dei beni del demanio idrico, non essendo sufficiente che sui
relativi regimi quelli incidano solo in via indiretta, riflessa, mediata od
occasionale;
- nell'ambito della giurisdizione specializzata vanno, dunque,
ricompresi anche i ricorsi avverso i provvedimenti che, pur costituendo
esercizio di un potere non strettamente attinente alla materia delle acque
ed inerendo ad interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi
rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai
rapporti concessori di beni del demanio idrico, riguardino comunque
l'utilizzazione di detto demanio, così incidendo in maniera diretta ed
immediata sull'uso delle acque, interferendo con provvedimenti riguardanti
tale uso, nonché autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi;
- ad analoga conclusione, nel senso della giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado di legittimità,
occorre giungere quanto ai provvedimenti riguardanti gli ambiti territoriali
ottimali, benché solo quando da essi discendano ricadute sull'organizzazione
e sulla conduzione del sistema idrico integrato (che, mirando a garantire la
gestione di tale servizio in termini di efficienza, efficacia ed economicità,
abbiano incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche e del loro
utilizzo);
- la giurisdizione del giudice specializzato è riconosciuta anche
in caso di divieti di edificazione, quando siano informati alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, o di assicurare il libero deflusso delle acque che scorrono nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici;
- al contrario, deve riconoscersi la giurisdizione del giudice
amministrativo in caso di impugnativa di atti solo in via strumentale
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque
pubbliche e pertanto in grado di influirvi solo occasionalmente, in cui
rileva esclusivamente l'interesse al rispetto delle norme di legge nelle
procedure amministrative funzionali all'affidamento di concessioni o appalti
di opere relative a tali acque; oppure in caso di prevalenza in concreto,
nel provvedimento impugnato, della tutela di interessi pubblicistici diversi
rispetto a quelli coinvolti dal regime delle acque pubbliche.
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, deve confermarsi la sentenza
gravata anche nella parte in cui il Tar ha declinato la propria
giurisdizione in relazione ai motivi di impugnazione (svolti in via
principale e incidentale) riferiti a manufatti compresi nella fascia di
rispetto di dieci metri dal piede dell’argine di cui all’art. 96, lett. f),
R.D. n. 523/1904, ai sensi del quale “Sono lavori ed atti vietati in modo
assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti […]le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra,
minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località,
ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le
piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per
gli scavi”.
Si fa, infatti, questione di divieto di edificazione, informato alla ragione
pubblicistica di assicurare il libero deflusso delle acque che scorrono nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici, la cui violazione influisce in
via diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche.
Trattasi di indirizzo già accolto da questo Consiglio, secondo cui “non
c’è argomento più tipico della cognizione di legittimità del TSAP, fin
dall’entrata in vigore dell’art. 96 del RD 523/1904, di quello del divieto
di costruzioni di qualunque natura a meno di mt 10 dal piede dell’argine,
anzi è tal questione fu ed è tuttora l’ubi consistam della giurisdizione del
TSAP sul demanio idrico, ai sensi dell’art. 143, I co., lett. a), del RD
1775/1933 (cfr. così TSAP, n. 35/2021)” (Consiglio di Stato, sez. VI,
22.03.2021, n. 2424).
Per l’effetto, i motivi di appello incidentale devono essere disattesi.
Le doglianze articolate in prime cure, rispetto alle quali è stata declinata
la giurisdizione amministrativa, riguardano determinazioni comunali che,
sebbene promananti da un organo amministrativo diverso da quelli
istituzionalmente preposti alla cura del settore delle acque pubbliche e
ancorché deputate alla tutela di interessi più generali (paesaggistico,
urbanistico ed edilizio) e diversi rispetto a quelli attinente alla materia
delle acque, finiscono comunque con l'incidere immediatamente -e non
soltanto in via occasionale- sull'uso delle acque pubbliche, escludendo la
sanatoria e disponendo la rimozione di manufatti che, in quanto realizzati
nella fascia di rispetto prevista dall’art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904,
risultano pregiudizievoli per il libero deflusso e la possibilità di
sfruttamento delle acque pubbliche (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
20.10.2020, n. 6359).
In definitiva, deve escludersi la giurisdizione amministrativa sui motivi di
doglianza articolati in primo grado, in via principale e in via incidentale,
riguardanti opere (nn. 3-4-5-6-7-8-9-11-12-13) realizzate entro la fascia di
rispetto prevista dall’art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904: sebbene
argomentati sulla base della violazione delle disposizioni di tutela
urbanistica, edilizia o paesaggistica, tali motivi di impugnazione investono
determinazioni amministrative che immediatamente -e non soltanto in via
occasionale- incidono sull'uso delle acque pubbliche, con conseguente loro
attrazione alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
ai sensi dell’art. 143 R.D. 11/12/1933, n. 1775 (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.04.2022 n. 3026 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
accolta l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.A. nella presente
controversia trattandosi di controversia la cui cognizione spetta, ai sensi
dell’art. 143 del RD n. 1775/1933, comma 1, lett. a) e b), al Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, essendo impugnati provvedimenti delle
amministrazioni in materia di acque pubbliche e che comunque, ai sensi
dell’art. 2 del R.D. n. 523/1904, incidono direttamente sul regime delle
acque pubbliche.
Come rilevato dalla giurisprudenza, tale giurisdizione va
infatti estesa anche ai provvedimenti che, pur se promananti da autorità
diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, siano
caratterizzati dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e
concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la localizzazione,
la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche, ivi compresi pure i
provvedimenti espropriativi o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti
per la realizzazione dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque
influenti sulla sua localizzazione sul suo spostamento.
In particolare, l'art. 133, comma 1, lett. f, CPA (D.Lgs. n.
104/2010), in materia urbanistica e di uso del territorio (che include la
materia espropriativa), ha fatto salva la giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque pubbliche.
Infatti, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 36/1994 -successivamente trasfuso nell’art. 144, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006-
tutte le acque superficiali e sotterranee devono considerarsi pubbliche in
quanto appartenenti al Demanio dello Stato, ivi comprese quindi quelle che
costituiscono oggetto dei provvedimenti impugnati nella presente
controversia.
In particolare, i provvedimenti impugnati nella presente controversia
incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche, nel senso che
concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione e l'esercizio delle
opere idrauliche o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o
modificarne la localizzazione o a influire nella loro realizzazione sicché
certamente sussiste, nella presente controversia, la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi del R.D. n. 1775/1933,
art. 143, lett. a).
---------------
Ritenuto dunque, in via preliminare,
- che vada accolta l’eccezione di difetto di giurisdizione del
Giudice Amministrativo nella presente controversia, dedotta dalle
amministrazioni costituite in giudizio, trattandosi di controversia la cui
cognizione spetta, ai sensi dell’art. 143 del RD n. 1775/1933, comma 1,
lettere a) e b), al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, essendo
impugnati provvedimenti delle amministrazioni in materia di acque pubbliche
e che comunque, ai sensi dell’art. 2 del Regio Decreto n. 523/1904, incidono
direttamente sul regime delle acque pubbliche;
- che, come rilevato dalla giurisprudenza, tale giurisdizione va
infatti estesa anche ai provvedimenti che, pur se promananti da autorità
diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, siano
caratterizzati dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e
concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la localizzazione,
la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche, ivi compresi pure i
provvedimenti espropriativi o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti
per la realizzazione dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque
influenti sulla sua localizzazione sul suo spostamento (TAR Lombardia-Milano Sez. III, 23/07/2020, n. 1430; TAR Puglia-Bari Sez. III,
06/06/2020, n. 819; Cons. Stato Sez. V, 07/07/2014, n. 3436; Cons.
Stato Sez. IV, 19/03/2015, n. 1508).
- che, in particolare, l'art. 133, comma 1, lett. f, CPA (D.Lgs. n.
104/2010), in materia urbanistica e di uso del territorio (che include la
materia espropriativa), ha fatto salva la giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque pubbliche;
- che, infatti, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 36/1994 -successivamente trasfuso nell’art. 144, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006-
tutte le acque superficiali e sotterranee devono considerarsi pubbliche in
quanto appartenenti al Demanio dello Stato, ivi comprese quindi quelle che
costituiscono oggetto dei provvedimenti impugnati nella presente
controversia;
- che, in particolare, i provvedimenti impugnati nella presente
controversia incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche, nel
senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione e l'esercizio
delle opere idrauliche o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o
modificarne la localizzazione o a influire nella loro realizzazione sicché
certamente sussiste, nella presente controversia, la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi del R.D. n. 1775/1933,
art. 143, lett. a);
- in conclusione, va dichiarato il difetto di giurisdizione del
Giudice Amministrativo nella presente controversia, fatti salvi gli effetti
della domanda ai sensi dell’art. 11 c.p.a. (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II,
sentenza 06.04.2022 n. 324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere lungo gli argini dei corsi d’acqua, di cui
all’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523 del 1904 è diretto ad assicurare non
solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e
soprattutto) il libero deflusso delle acque nei fiumi, canali e scolatoi
pubblici.
L’ambito del divieto è esteso a qualunque manufatto o volume collocato a
meno di dieci metri dalla sponda del fiume, per cui nessuna opera realizzata
in violazione di tali norme può essere sanata.
L’art. 96, lett. f), inoltre, ha carattere sussidiario, essendo destinato a
prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale, che può essere
contenuta anche nello strumento urbanistico. Essa, tuttavia, per derogare
alla norma statale, dev’essere espressamente destinata alla regolamentazione
delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze
di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di
una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale.
Il divieto trova estensione anche in tema di condono edilizio: l’art. 33
della legge n. 47/1985 e l’art. 32 del decreto-legge n. 269/2003
ricomprendono, infatti, nei vincoli di inedificabilità, tutti i casi in cui
le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree.
L’art. 133, comma 1, lett. a), del R.D. n. 368/1904, invece, nel consentire
lavori ad una distanza variabile dagli argini, si riferisce esclusivamente
alle opere di bonifica ed alle loro pertinenze.
...
Premesso che la questione centrale del gravame concerne la tutela delle aree
appartenenti al demanio idrico a salvaguardia della pubblica e privata
incolumità, deve osservarsi come, secondo giurisprudenza costante,
nell’ambito della previsione normativa di cui all’art. 143, lett. a) e b),
del R.D. n. 1175/1933, l’impugnazione di atti di diniego di rilascio di
titoli edilizi in sanatoria motivati dalla ragione di assicurare la
possibilità di sfruttamento, delle acque demaniali, o di assicurare il
libero deflusso delle acque che scorrono nei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche.
---------------
Il ricorso è manifestamente inammissibile e può essere deciso in forma
semplificata.
Ed invero, secondo consolidata giurisprudenza, il divieto di costruzione di
opere lungo gli argini dei corsi d’acqua, di cui all’art. 96, lett. f), del
R.D. n. 523 del 1904 è diretto ad assicurare non solo la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero
deflusso delle acque nei fiumi, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cass. civ.,
Sez. un., 30.07.2009, n. 17784; Cons. Stato, Sez. IV, 26.03.2009, n. 1814 e
22.06.2011, n. 3781; TSAP 24.06.2010, n. 104).
L’ambito del divieto è esteso a qualunque manufatto o volume collocato a
meno di dieci metri dalla sponda del fiume, per cui nessuna opera realizzata
in violazione di tali norme può essere sanata.
L’art. 96, lett. f), inoltre, ha carattere sussidiario, essendo destinato a
prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale, che può essere
contenuta anche nello strumento urbanistico. Essa, tuttavia, per derogare
alla norma statale, dev’essere espressamente destinata alla regolamentazione
delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze
di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di
una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale (cfr.
Cass. civ., Sez. un., n. 19813/2008; TSAP n. 124/2015).
Il divieto trova estensione anche in tema di condono edilizio: l’art. 33
della legge n. 47/1985 e l’art. 32 del decreto-legge n. 269/2003
ricomprendono, infatti, nei vincoli di inedificabilità, tutti i casi in cui
le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 26.03.2009, n. 1814; 23.07.2009, n. 4663; 12.02.2010,
n. 772; 22.06.2011, n. 3781; TSAP 15.03.2011, n. 35).
L’art. 133, comma 1, lett. a), del R.D. n. 368/1904, invece, nel consentire
lavori ad una distanza variabile dagli argini, si riferisce esclusivamente
alle opere di bonifica ed alle loro pertinenze.
Premesso, dunque, che la questione centrale del gravame concerne la tutela
delle aree appartenenti al demanio idrico a salvaguardia della pubblica e
privata incolumità, deve osservarsi come, secondo giurisprudenza costante,
nell’ambito della previsione normativa di cui all’art. 143, lett. a) e b),
del R.D. n. 1175/1933, l’impugnazione di atti di diniego di rilascio di
titoli edilizi in sanatoria motivati dalla ragione di assicurare la
possibilità di sfruttamento, delle acque demaniali, o di assicurare il
libero deflusso delle acque che scorrono nei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche (Cass. civ., Sez. un. 03.04.2019, n. 9279; TAR
Campania, Salerno, Sez. I, 21.01.2022, n. 188)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.03.2022 n. 748 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
consolidato orientamento giurisprudenziale sussiste la giurisdizione del
Tribunale superiore per le acque pubbliche a conoscere della legittimità dei
provvedimenti che incidono in maniera diretta ed immediata sul regime delle
acque; l’incidenza diretta e immediata è riconosciuta ad ogni provvedimento
che, per essere attinente alla realizzazione, sospensione o eliminazione di
un’opera idraulica riguardante un’acqua pubblica, concorre, in concreto, a
disciplinare le modalità di utilizzazione di quell'acqua.
Inoltre, la devoluzione della cognizione al Tribunale superiore delle acque
pubbliche postula che la controversia implichi la soluzione di questioni di
carattere tecnico concernenti il regime delle acque e le opere idrauliche e
acquedottistiche. Ed invero, la creazione di un giudice speciale delle acque
pubbliche risale al decreto luogotenenziale 20.11.1916, n. 1664 che, accanto
alla prima disciplina sostanziale organica delle acque pubbliche, stabiliva
la creazione di un tribunale competente a decidere le controversie in
materia, introducendo un’eccezione all’ordinario regime di riparto fondato
sulla situazione giuridica soggettiva.
La sua istituzione rispondeva all’esigenza, in una materia considerata ad
elevato grado di complessità tecnica, di assicurare un giudice che, grazie
alla presenza nel proprio collegio di ingegneri idraulici e funzionari
esperti in acque pubbliche e opere idrauliche, fosse in grado di assicurare
una giustizia adeguata; esso godeva originariamente (prima dell’istituzione
dei Tribunali regionali delle acque pubbliche) di una competenza estesa sia
ai diritti soggettivi che agli interessi legittimi, proprio perché la
rilevanza del profilo tecnico delle controversie era stata ritenuta
prevalente rispetto ad ogni altro profilo, compreso il principio dell’unità
della giurisdizione.
La presenza di tecnici esperti della materia nella composizione di ogni
collegio giudicante giustifica la devoluzione al Tribunale superiore delle
acque pubbliche delle sole controversie che, concernendo la realizzazione e
la gestione delle opere idrauliche ed avendo, per tale ragione, un’incidenza
immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche, implicano per loro
natura la soluzione di questioni tecniche di carattere idraulico e
acquedottistico, mentre restano estranee alla cognitio del detto Tribunale
le controversie che involgono censure di carattere prettamente giuridico la
cui soluzione non richiede competenze di carattere tecnico specialistico.
Ed ancora, come evidenziato, ove l’ordinanza di demolizione impugnata non
mostri alcun profilo di incidenza, nemmeno potenziale, con il regime della
acque di per sé considerato, in quanto la sua motivazione si è limitata a
rilevare il mancato rispetto della c.d. fascia idrica, nell’esercizio della
funzione di vigilanza edilizia (quindi, né il potere esercitato, né la
funzione in concreto perseguita erano attinenti, nemmeno indirettamente,
alla materia delle acque pubbliche), la giurisdizione sulla controversia è
del giudice amministrativo.
---------------
Le
argomentazioni della parte ricorrente in punto di formazione del
silenzio-assenso sono infondate posto che, in disparte ogni altra
considerazione, il silenzio-assenso opera solo con riferimento ad opere
oggettivamente sanabili.
E comunque, il Giudice d'appello ha ritenuto che la formazione del
silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria degli abusi edilizi richiede
(anche) che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di
documentazione relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all'ubicazione,
alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché
possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica
dell'Amministrazione comunale.
L’avversata ordinanza richiama espressamente la nota dell’Area Tecnica del
Comune nella quale si evidenzia -quanto all’istanza di sanatoria- che le
opere ricadono all’interno della fascia di inedificabilità compresa nei mt.
10 dagli argini del torrente ai sensi del R.D. n. 523/1904.
Detta circostanza è espressamente richiamata nell’ordinanza avversata quale
ragione ostativa al diniego del rilascio della concessione in sanatoria (con
particolare riguardo alla fascia di rispetto del torrente -OMISSIS-).
Orbene, in base a consolidato orientamento giurisprudenziale il c.d. vincolo
fluviale ha carattere assoluto ed inderogabile; in presenza di norme che
vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree è legittimo il
diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria.
Ed invero, il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d’acqua, previsto dalla lett. f) dell’art. 96 del Regio decreto 25.07.1904,
n. 523, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto)
il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici e ha carattere legale e inderogabile, con la conseguenza
che le opere costruite in violazione di tale divieto non sono suscettibili
di sanatoriA..
---------------
La
giurisprudenza ha chiarito che è ben vero che la lett. f) dell’art. 96 del
Regio decreto 25.07.1904, n. 523 commisura il divieto alla distanza
“stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località” e in mancanza di
queste lo stabilisce alla distanza “minore di metri quattro per le
piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per
gli scavi”.
Sennonché alla luce del generale divieto di costruzione di opere in
prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio alla normativa locale
assume carattere eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma
generale, deve avere carattere specifico, ossia compendiarsi in una
normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle
acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga
esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale
e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l'utilizzo di
uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma
occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in
eventuale deroga alla disposizione della lett. f) dell’art. 96 del Regio
decreto 25.07.1904, n. 523, in relazione alla specifica condizione locale
delle acque di cui trattasi. In mancanza di una difforme disciplina sul
punto specifico nel P.R.G., deve ritenersi non sussistere una normativa
locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare
riferimento.
---------------
L’affermazione secondo la quale nella fascia dei 10 metri dall’argine non vi
è costruito un capannone, bensì collocata una attrezzatura a servizio
dell’esistente attività (c.d. carroponte) è inconferente posto che
l’obiettivo perseguito dai divieti di edificazione stabiliti dal citato art.
96 del Regio decreto 25.07.1904, n. 523, in materia di distanze delle
costruzioni dagli argini, può essere messo a rischio anche da strutture
temporanee, amovibili, di dimensioni modeste e prive di rilevanza
urbanistica.
---------------
1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione
frapposta dal Comune resistente secondo il quale il ricorso introduttivo del
giudizio attiene all’impugnazione del provvedimento repressivo (ordine di
demolizione) emesso in relazione alla violazione del divieto di costruzione
di opere nell’alveo del torrente, di cui all’art. 93 R.D. n. 523/1904,
ovvero a distanza inferiore a dieci metri dall’argine del torrente, previsto
dall’art. 96 del medesimo R.D. 523/1904 (disposizioni espressamente
richiamate nella presupposta ordinanza del Genio Civile e nell’ordinanza di
demolizione del Comune di Falcone ex adverso impugnata).
Per il Comune resistente, i provvedimenti assunti dall’Autorità comunale in
forza di queste norme (benché emanati da un’Autorità diversa da quelle
specificamente preposte alla tutela delle acque), incidono direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche e sul libero scorrimento di fiumi
torrenti e corsi d’acqua e, pertanto, ricadono nella giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (all’uopo la parte resistente ha
richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali).
Ne discende –secondo il Comune di Falcone- che, essendo l’ordinanza comunale
di demolizione n. -OMISSIS- adottata in ragione della violazione edilizia
attinente alla costruzione nell’alveo ed in spregio della fascia di rispetto
del torrente, il Tribunale adito difetta di giurisdizione in quanto il
ricorso avrebbe dovuto essere proposto innanzi al Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche.
1.1. L’eccezione è infondata.
L’art. 143 del R.D. 11.12.1933, n. 1775 (recante Testo unico delle
disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici) stabilisce che “Appartengono
alla cognizione diretta del Tribunale superiore delle acque pubbliche:
a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per
violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque pubbliche;
b) i ricorsi, anche per il merito, contro i provvedimenti
definitivi dell'autorità amministrativa adottata ai sensi degli artt. 217 e
221 della presente legge; nonché contro i provvedimenti definitivi adottati
dall'autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche ai
sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi sulle opere idrauliche
approvato con R.D. 25.07.1904, n. 523 , modificato con l'art. 22 della L.
13.07.1911, n. 774, del R.D. 19.11.1921, n. 1688, e degli artt. 378 e 379
della L. 20.03.1865, n. 2248, all. F;
c) i ricorsi la cui cognizione è attribuita al Tribunale superiore
delle acque dalla presente legge e dagli artt. 23, 24, 26 e 28 del testo
unico delle leggi sulla pesca, approvato con R.D. 08.10.1931, n. 1604”
(la Corte costituzionale, con sentenza 31.01.1991, n. 42, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale delle lett. a) e b) limitatamente alle parole
<<definitivi>>).
Orbene, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale sussiste la
giurisdizione del Tribunale superiore per le acque pubbliche a conoscere
della legittimità dei provvedimenti che incidono in maniera diretta ed
immediata sul regime delle acque; l’incidenza diretta e immediata è
riconosciuta ad ogni provvedimento che, per essere attinente alla
realizzazione, sospensione o eliminazione di un’opera idraulica riguardante
un’acqua pubblica, concorre, in concreto, a disciplinare le modalità di
utilizzazione di quell'acqua (cfr. Cons. Stato, sez. I, 18.03.2019, n. 852
ed ivi precedenti giurisprudenziali).
Inoltre, la devoluzione della cognizione al Tribunale superiore delle acque
pubbliche postula che la controversia implichi la soluzione di questioni di
carattere tecnico concernenti il regime delle acque e le opere idrauliche e
acquedottistiche. Ed invero, la creazione di un giudice speciale delle acque
pubbliche risale al decreto luogotenenziale 20.11.1916, n. 1664 che, accanto
alla prima disciplina sostanziale organica delle acque pubbliche, stabiliva
la creazione di un tribunale competente a decidere le controversie in
materia, introducendo un’eccezione all’ordinario regime di riparto fondato
sulla situazione giuridica soggettiva.
La sua istituzione rispondeva all’esigenza, in una materia considerata ad
elevato grado di complessità tecnica, di assicurare un giudice che, grazie
alla presenza nel proprio collegio di ingegneri idraulici e funzionari
esperti in acque pubbliche e opere idrauliche, fosse in grado di assicurare
una giustizia adeguata; esso godeva originariamente (prima dell’istituzione
dei Tribunali regionali delle acque pubbliche) di una competenza estesa sia
ai diritti soggettivi che agli interessi legittimi, proprio perché la
rilevanza del profilo tecnico delle controversie era stata ritenuta
prevalente rispetto ad ogni altro profilo, compreso il principio dell’unità
della giurisdizione.
La presenza di tecnici esperti della materia nella composizione di ogni
collegio giudicante giustifica la devoluzione al Tribunale superiore delle
acque pubbliche delle sole controversie che, concernendo la realizzazione e
la gestione delle opere idrauliche ed avendo, per tale ragione, un’incidenza
immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche, implicano per loro
natura la soluzione di questioni tecniche di carattere idraulico e
acquedottistico, mentre restano estranee alla cognitio del detto
Tribunale le controversie che involgono censure di carattere prettamente
giuridico la cui soluzione non richiede competenze di carattere tecnico
specialistico (arg. ex TAR Lombardia, Milano, sez. I, 28.11.2019, n. 2535).
Ed ancora, come evidenziato, ove l’ordinanza di demolizione impugnata non
mostri alcun profilo di incidenza, nemmeno potenziale, con il regime della
acque di per sé considerato, in quanto la sua motivazione si è limitata a
rilevare il mancato rispetto della c.d. fascia idrica, nell’esercizio della
funzione di vigilanza edilizia (quindi, né il potere esercitato, né la
funzione in concreto perseguita erano attinenti, nemmeno indirettamente,
alla materia delle acque pubbliche), la giurisdizione sulla controversia è
del giudice amministrativo (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 16.01.2015, n. 83).
In conclusione, posto che la controversia in esame non ha ad oggetto opere
idrauliche né richiede competenze di carattere tecnico specialistico e che,
in definitiva, il provvedimento avversato non ha incidenza immediata e
diretta sul regime delle acque pubbliche, l’eccezione in esame si rivela
infondata.
Fermo quanto sopra, si può prescindere -per ragioni di economia processuale-
dalle ulteriori eccezioni frapposte dal Comune resistente in ordine al
ricorso introduttivo del giudizio, attesa l’infondatezza delle censure
articolate.
2. Con il primo motivo di
ricorso introduttivo del giudizio l’esponente ha dedotto i vizi di
Violazione di legge. Travisamento dei fatti. Insufficienza della
motivazione.
Secondo il ricorrente, l’avversata ordinanza del responsabile area tecnica
del Comune resistente n. -OMISSIS-, nella parte in cui nega la concessione
edilizia in sanatoria per le opere di cui alla domanda n. -OMISSIS- e tutti
gli altri provvedimenti impugnati sono illegittimi in quanto:
- il suddetto fabbricato per attività artigianale, avente la
superficie di mq. 301,54 e la volumetria di mc 1898,57 individuato in
catasto al -OMISSIS- e la ulteriore opera realizzata in tale particella
-OMISSIS-, formanti oggetto della suddetta domanda di sanatoria edilizia
prot. n. -OMISSIS- non ricadono assolutamente su terreno demaniale (dato che
la suddetta particella -OMISSIS- è di esclusiva proprietà del ricorrente) e
non ricadono altresì assolutamente nella fascia di metri 10 dal piede
dell'argine del torrente -OMISSIS- (o torrente -OMISSIS-) e relativamente ad
essi non doveva essere né richiesto né rilasciato il parere della
Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina ai sensi dell'art.
23 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985, essendo stati realizzati entro
l'01.10.1983 (come risulta dalla dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà del -OMISSIS- allegata alla suddetta domanda di sanatoria
edilizia) e quindi anteriormente alla legge 08.08.1985 n. 431 (il cui art. 1
stabilisce per la prima volta che sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai
sensi della Legge 29.06.1939 n. 1497 "i fiumi, i torrenti ed i corsi
d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di
legge sulle acque ed impianti elettrici approvato con R.D. 11.12.1933 n. 775
e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri
ciascuna");
- anche le opere ricadenti nella particella -OMISSIS-, formanti
oggetto della suddetta domanda di sanatoria edilizia prot. n. -OMISSIS- non
ricadono assolutamente su terreno demaniale (dato che la suddetta particella
-OMISSIS- è di esclusiva proprietà del ricorrente) e non ricadono altresì
nella fascia di metri 10 dal piede dell'argine del torrente -OMISSIS- (o
torrente -OMISSIS-) e relativamente ad esse non doveva essere né richiesto
né rilasciato il parere della Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali
di Messina ai sensi dell'art. 23 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985, essendo
state realizzate entro l’01.10.1983 (come risulta dalla dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà del -OMISSIS- allegata alla suddetta
domanda di sanatoria edilizia) e quindi anteriormente alla predetta Legge n.
431/1985;
- il dirigente dell'ufficio tecnico del Comune di Falcone (lo
stesso che ha adottato la suddetta ordinanza n. -OMISSIS- impugnata con il
presente ricorso) con provvedimento del -OMISSIS- ("visto il progetto di
sanatoria edilizia presentato ai sensi della Legge n. 47/1985 e successiva
Legge Reg. Sic. n. 37/1985 in data -OMISSIS-; ritenuto di accogliere
l'istanza") attestava che il ricorrente aveva presentato richiesta di
sanatoria edilizia ai sensi della Legge n. 47/1985 prot. -OMISSIS- in corso
di definizione e rilasciava "nulla-osta ai vincoli ostativi ai sensi
dell'art. 23 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985 poiché l'area su cui insiste
la struttura ha destinazione urbanistica di zona D3 cioè insediamenti
produttivi esistenti";
- la stessa Sovrintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di
Messina con nota prot. n. -OMISSIS- rappresentava che "le opere de quo
sono state realizzate antecedentemente all'entrata in vigore della Legge
08.08.1985 n. 431 e che pertanto non ricorre la propria competenza ai sensi
dell’art. 23 della Legge Reg. Sic. n. 3711985";
- pertanto, avendo il ricorrente provveduto al pagamento di tutte
le somme dovute relativamente alla suddetta domanda di sanatoria edilizia,
avendo altresì esibito al Comune di Falcone in data -OMISSIS- la prova
dell'avvenuta presentazione all'ufficio tecnico erariale della
documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento ed essendo decorso il
termine perentorio di 24 mesi sia dalla presentazione della suddetta domanda
di sanatoria edilizia (13.03.1986) sia dal -OMISSIS- (data di esibizione al
Comune di Falcone della prova dell'avvenuta presentazione all’ufficio
tecnico erariale della documentazione necessaria ai fini
dell'accatastamento), la suddetta domanda di sanatoria edilizia prot. n.
-OMISSIS- si doveva intendere accolta ai sensi dell'art. 26 quart'ultimo
comma della Legge Reg. Sic. n. 37/1985 sia relativamente al suddetto
fabbricato per attività artigianale, avente la superficie di mq. 301,54 e la
volumetria di mc 1898,57 individuato in catasto al foglio 2 particella n.
694, e alla ulteriore opera realizzata in tale particella n. -OMISSIS- sia
relativamente alle suddette opere ricadenti nella particella -OMISSIS- e
conseguentemente il Comune di Falcone non aveva più il potere di
pronunciarsi sulla predetta domanda di sanatoria edilizia relativamente a
tali opere per le quali si era già formato il silenzio-assenso;
- nella eventualità in cui non si fosse formato il silenzio-assenso
relativamente alle opere sopraindicate, comunque il predetto diniego di
sanatoria edilizia è illegittimo in quanto le stesse, alla luce di tutto
quanto sopra esposto, sono certamente sanabili, essendo state realizzate su
terreno di proprietà del ricorrente, non ricadendo assolutamente nella
fascia di metri 10 dal piede dell'argine del torrente -OMISSIS- (o torrente
-OMISSIS-) ed essendo state realizzate prima dell'entrata in vigore della
Legge n. 431/1985;
- i terreni che nella suddetta ordinanza n. -OMISSIS- sono
considerati "demanio fluviale" sono anch'essi di proprietà del
ricorrente dato che: il Prefetto della Provincia di Messina con decreto del
-OMISSIS- autorizzava il ricorrente ad occupare in via temporanea e
d'urgenza un terreno avente una superficie di mq 1600 di proprietà dei sigg.
-OMISSIS-; in data -OMISSIS- giudiziario del Tribunale di Patti redigeva
verbale di immissione in possesso di tale terreno in favore del ricorrente
che era pertanto immesso nel possesso di tale terreno; da tale verbale di
immissione in possesso risulta che in tale circostanza si è proceduto alla
misurazione di tale terreno e alla separazione di tale terreno di mq 1600,
confinante al lato est con il torrente -OMISSIS- (o torrente -OMISSIS-), e
che tale superficie di mq 1600 è stata delimitata lungo il confine dal
restante terreno -OMISSIS- con picchetti in ferro infissi in una base di
cemento, mentre i restanti confini erano già delimitati da una chiusura in
traverse tipo ferrovia e filo di ferro e rete metallica per il lato sud-est;
il Prefetto della Provincia di Messina con il decreto del -OMISSIS- ha
pronunciato l'espropriazione ed autorizzato l'occupazione permanente e
definitiva, a favore dello stabilimento per la lavorazione dei marmi del
ricorrente, del suddetto terreno di mq 1600 sito nel territorio del Comune
di Falcone della suddetta ditta -OMISSIS-; quindi il terreno confinante con
il torrente -OMISSIS- (o torrente -OMISSIS-) è quello consegnato al
ricorrente con il suddetto verbale di immissione in possesso del -OMISSIS-;
- tuttavia il ricorrente, pur essendo certo che il suddetto terreno
confinante con il torrente -OMISSIS- (o torrente -OMISSIS-) è di sua
proprietà, ma essendo sorte contestazioni da parte delle Autorità competenti
circa la proprietà di tale terreno confinante con il torrente -OMISSIS- (o
torrente -OMISSIS-) ed avendo interesse ed urgenza alla definizione della
suddetta istanza di sanatoria edilizia prot. n. -OMISSIS-, presentata
all'Intendenza di Finanza di Messina, richiedeva la disponibilità, la
sdemanializzazione e l'acquisto di tale terreno presuntivamente demaniale,
avente una superficie di mq 326, confinante con il torrente sopraindicato;
- il direttore della filiale Sicilia dell'agenzia del demanio con
nota prot. n. -OMISSIS- invitava il ricorrente all’acquisto, ai sensi del
comma V dell'art. 5-bis della Legge 11.08.2003 n. 12, del suddetto terreno
confinante con il torrente -OMISSIS- (o torrente -OMISSIS-) presuntivamente
demaniale e a presentare domanda di acquisto, completa di documentazione e
di ricevuta di avvenuto versamento del prezzo di cessione, entro 90 giorni
dal ricevimento di tale nota;
- il ricorrente con nota del -OMISSIS- all'Agenzia del
demanio-filiale di Sicilia-servizi al territorio e beni demaniali di
Catania, trasmetteva la predetta domanda di acquisto e tutta la
documentazione richiesta per l'acquisto del predetto terreno con la predetta
nota prot. n. -OMISSIS- del direttore della filiale Sicilia dell'Agenzia del
demanio e conseguentemente chiedeva al Comune di Falcone con numerose note
(nota del 29.07.2010 pervenuta al Comune di Falcone in data -OMISSIS-) che
gli fosse concessa, relativamente alle opere realizzate sulle aree ritenute
demaniali dalle competenti autorità, una ulteriore proroga per la consegna
di tutti i documenti richiesti per la definizione della suddetta domanda di
sanatoria edilizia relativamente a tali opere considerato che la ulteriore
documentazione richiesta dal Comune di Falcone per la definizione della
suddetta domanda di sanatoria edilizia relativamente a tali opere è
strettamente collegata all'esito del suddetto procedimento di individuazione
e di conseguente acquisto del predetto terreno presuntivamente demaniale e
che quindi sussisteva una impossibilità oggettiva a produrre, prima del
perfezionamento formale di tale procedimento di acquisto del predetto
terreno presuntivamente demaniale, la predetta ulteriore documentazione
richiesta dal Comune di Falcone per la definizione della suddetta domanda di
sanatoria edilizia relativamente a tali opere;
- il Comune di Falcone non ha richiamato nella suddetta ordinanza
n. -OMISSIS- le suddette note del ricorrente (-OMISSIS-) e quindi non ha
esaminato le suddette argomentazioni fattuali e giuridiche poste a
fondamento della richiamata richiesta di proroga del termine per la
produzione della suddetta documentazione integrativa e dirette a provare
l'impossibilità oggettiva per il ricorrente a produrre tale documentazione
integrativa prima della definizione del suddetto procedimento di
individuazione e di acquisto del predetto terreno presuntivamente demaniale
e conseguentemente non ha indicato le ragioni per le quali ha implicitamente
rigettato tale richiesta di proroga e le suddette argomentazioni fattuali e
giuridiche esposte dal ricorrente in tali note;
- non si poteva procedere in ogni caso al diniego della concessione
o autorizzazione edilizia in sanatoria per la mancata produzione di tutta la
documentazione precedentemente richiesta con la suddetta nota prot. n.
-OMISSIS- e cioè per la mancata produzione di una documentazione di gran
lunga maggiore e diversa da quella prevista dall'art. 35 della Legge n.
47/1985, così come sostituito dall'art. 26 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985,
dato che, ai sensi dell'art. 2, comma 37, lett. d), della Legge 23.12.1996
n. 662, il Comune può dichiarare l’improcedibilità della domanda di
sanatoria edilizia e può disporre il conseguente diniego della concessione o
autorizzazione edilizia in sanatoria soltanto per mancanza della
documentazione prevista dall'art. 35 della Legge n. 47/1985, così come
sostituito dall'art. 26 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985, e non per la
mancata produzione di tutta una documentazione di gran lunga maggiore e
diversa da quella prevista dall'art. 35 della Legge n. 47/1985, così come
sostituito dall'art. 26 della Legge Reg. Sic. n. 37/1985.
2.1. Il motivo è infondato.
2.1.1. Il Collegio rileva, in via preliminare, che le argomentazioni della
parte ricorrente in punto di formazione del silenzio-assenso sono infondate
posto che, in disparte ogni altra considerazione, il silenzio-assenso opera
solo con riferimento ad opere oggettivamente sanabili (cfr. TAR Sicilia,
Catania, sez. I, 29.06.2004, n. 1750), ciò che deve escludersi (quantomeno
parzialmente) nel caso in esame per le ragioni che si diranno infra.
E comunque, il Giudice d'appello ha ritenuto che la formazione del
silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria degli abusi edilizi richiede
(anche) che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di
documentazione relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all'ubicazione,
alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché
possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica
dell'Amministrazione comunale (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur.,
31.07.2020, n. 694; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. riun., 02.10.2013, n.
1292; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 28.04.2011, n. 320), mentre
dalla nota prot. n. -OMISSIS- del Comune resistente risulta la carenza della
documentazione in questione.
2.1.2. L’avversata ordinanza n. -OMISSIS- richiama espressamente la nota
prot. n. -OMISSIS- dell’Area Tecnica del Comune di Falcone nella quale si
evidenzia -quanto all’istanza di sanatoria prot. n. -OMISSIS-- che le opere
ricadono all’interno della fascia di inedificabilità compresa nei mt. 10
dagli argini del torrente ai sensi del R.D. n. 523/1904.
Detta circostanza è espressamente richiamata nell’ordinanza avversata quale
ragione ostativa al diniego del rilascio della concessione in sanatoria (con
particolare riguardo alla fascia di rispetto del torrente -OMISSIS-).
Orbene, in base a consolidato orientamento giurisprudenziale il c.d. vincolo
fluviale ha carattere assoluto ed inderogabile; in presenza di norme che
vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree è legittimo il
diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria.
Ed invero, il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d’acqua, previsto dalla lett. f) dell’art. 96 del Regio decreto 25.07.1904,
n. 523, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto)
il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici e ha carattere legale e inderogabile, con la conseguenza
che le opere costruite in violazione di tale divieto non sono suscettibili
di sanatoria (arg. ex Cons. Stato, sez. VI, 05.08.2019, n. 5537).
Ciò premesso, la parte ricorrente ha escluso che le opere in questione
ricadano nella fascia di metri 10 dal piede dell’argine del Torrente
-OMISSIS- o torrente -OMISSIS- (cfr. in particolare, pagg. 9 e 10 dell’atto
introduttivo del giudizio).
La parte ricorrente ha quindi depositato in giudizio in data 28.02.2020 una
relazione di consulenza tecnica di parte nella quale (per quanto di
interesse: cfr. in particolare pagg. 3 e ss.) si evidenzia che (in sintesi):
- nell’ordinanza n. -OMISSIS- molto genericamente e senza citare
nessuna norma di riferimento, si dichiara che l’opera ricade nella fascia di
rispetto del Torrente -OMISSIS- zona nella fascia di mt. 10,00 dall’argine;
- l’art. 96, lett. f), del Regio decreto 25.07.1904, n. 523, ha
carattere sussidiario, essendo destinato a prevalere solo in assenza di una
specifica normativa locale;
- l’area di proprietà del ricorrente, e quindi fino al confine con
il muro d’argine della -OMISSIS- -OMISSIS-, come denominata nelle
cartografie I.G.M., risulta perimetrata urbanisticamente in base al piano di
fabbricazione cui al D.A. n. 4 del 27.03.1980, strumento urbanistico vigente
fino al 2007 (anno di approvazione del P.R.G.), quale zona “D” (industriale
artigianale), senza individuare cartograficamente alcuna fascia di rispetto
dei 10,00. E’ norma che nelle tavole grafiche, degli strumenti urbanistici,
relative alla zonizzazione del territorio comunale si indichi anche tutte le
fasce di rispetto dagli argini dalle strade, dalla ferrovia, dal cimitero,
dalle faglie ecc.; ne deriva che il Comune di Falcone, con il piano di
fabbricazione del 1980 ha voluto esercitare la possibilità di derogare le
distanze dagli argini dettate dalla norma nazionale;
- con la nota datata -OMISSIS-, l’ufficio tecnico ha rilasciato
nulla osta ai vincoli ostativi ai sensi dell’art. 23 LR 37/1985;
- la norma nazionale, salvo se diversamente espresso negli
strumenti urbanistici comunali, impone la presenza della fascia di rispetto
dagli argini, quale l’obiettivo di salvaguardare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali ed il libero deflusso delle acque
scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici: dalla
consultazione delle carte a corredo del piano stralcio di bacino per
l’assetto Idrogeologico (P.A.I.) redatto dalla Regione Siciliana, si evince
che l’area di proprietà del ricorrente ed oggetto dell’ordinanza
n. -OMISSIS-, non rientra tra quelle indicate con vincoli, geomorfologici
(dissesti, frane ecc.) e idrogeologici (esondazioni ecc.);
- nella fascia dei 10,00 metri dall’argine della saia non vi è
costruito un capannone, bensì collocata una attrezzatura a servizio
dell’esistente attività (carroponte), destinata al sollevamento ed allo
spostamento di materiali per movimenti ristretti e confinati, con relativa
copertura leggera e amovibile a protezione delle parti meccaniche ed
elettriche.
I detti rilievi sono tutti inidonei a supportare la domanda caducatoria
avanzata dal ricorrente al fine di conseguire l’agognato esito demolitorio;
ed invero:
- nell’avversata ordinanza n. 29 del 2001 si richiama espressamente
(pag. 2) il R.D. n. 523/1904;
- la giurisprudenza ha chiarito che è ben vero che la lett. f)
dell’art. 96 del Regio decreto 25.07.1904, n. 523 commisura il divieto alla
distanza “stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località”
e in mancanza di queste lo stabilisce alla distanza “minore di metri
quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le
fabbriche e per gli scavi”; sennonché alla luce del generale divieto di
costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio
alla normativa locale assume carattere eccezionale. Tale normativa, per
prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia
compendiarsi in una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione
della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che
tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa
statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma
locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l'utilizzo di
uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma
occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in
eventuale deroga alla disposizione della lett. f) dell’art. 96 del Regio
decreto 25.07.1904, n. 523, in relazione alla specifica condizione locale
delle acque di cui trattasi. In mancanza di una difforme disciplina sul
punto specifico nel P.R.G., deve ritenersi non sussistere una normativa
locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare
riferimento (cfr. cit. Cons. Stato, sez. VI, 05.08.2019, n. 5537).
Nel caso in esame, pertanto, in difetto di previsione urbanistica ovvero di
normazione locale -di carattere specifico ed espresso- concernente
l’ampiezza del vincolo in questione, la detta ampiezza ricade nella
previsione generale dei 10 metri, contenuta nella fonte normativa più volte
citata;
- la nota datata -OMISSIS- dell’ufficio tecnico del Comune
resistente rilascia nulla osta ai vincoli ostativi ai sensi dell’art. 23
L.R. n. 37/1985 ma con specifico riferimento al fatto che “l’area su cui
insiste la struttura ha destinazione urbanistica di zona “D3”, cioè
insediamenti produttivi esistenti”, non evocando, dunque, la diversa
questione del c.d. vincolo fluviale;
- infine, l’affermazione secondo la quale nella fascia dei 10 metri
dall’argine non vi è costruito un capannone, bensì collocata una
attrezzatura a servizio dell’esistente attività (c.d. carroponte) è
inconferente posto che l’obiettivo perseguito dai divieti di edificazione
stabiliti dal citato art. 96 del Regio decreto 25.07.1904, n. 523, in
materia di distanze delle costruzioni dagli argini, può essere messo a
rischio anche da strutture temporanee, amovibili, di dimensioni modeste e
prive di rilevanza urbanistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28.03.2019, n.
2053)
(TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.02.2021 n. 521 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’obiettivo perseguito dai
divieti di edificazione stabiliti dall'art. 96 del Regio decreto 25.07.1904,
n. 523, in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, può essere
messo a rischio anche da strutture temporanee, amovibili, di dimensioni
modeste e prive di rilevanza urbanistica.
---------------
- in tema di abusi edilizi, il provvedimento con cui è ingiunta la
demolizione, anche se emesso a notevole distanza di tempo, non richiede una
motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle
inerenti al ripristino della legittimità violata che impongono la rimozione
dell'abuso;
- l’omessa o imprecisa indicazione di un’area che verrà acquisita
di diritto al patrimonio pubblico non costituisce motivo di illegittimità
dell’ordinanza di demolizione.
---------------
Inoltre va ribadito che l’obiettivo perseguito dai divieti di edificazione
stabiliti dal citato art. 96 del Regio decreto 25.07.1904, n. 523, in
materia di distanze delle costruzioni dagli argini, può essere messo a
rischio anche da strutture temporanee, amovibili, di dimensioni modeste e
prive di rilevanza urbanistica (cfr. cit. Cons. Stato, sez. IV, 28.03.2019,
n. 2053);
- in tema di abusi edilizi, il provvedimento con cui è ingiunta la
demolizione, anche se emesso a notevole distanza di tempo, non richiede una
motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle
inerenti al ripristino della legittimità violata che impongono la rimozione
dell'abuso (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 26.10.2020, n.
6498);
- l’omessa o imprecisa indicazione di un’area che verrà acquisita
di diritto al patrimonio pubblico non costituisce motivo di illegittimità
dell’ordinanza di demolizione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24.06.2020, n.
4058)
(TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.02.2021 n. 521 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
collegio non ignora la portata espansiva che la giurisprudenza ha
progressivamente riconosciuto all’art. 143, co. 1, R.D. n. 1775/1933, nel
senso di ascrivere alla giurisdizione del T.S.A.P. tutti i provvedimenti
amministrativi caratterizzati dall’incidenza sulla realizzazione,
sospensione o eliminazione di un’opera idraulica riguardante un’acqua
pubblica, ovvero aventi comunque riguardo all’utilizzazione del demanio
idrico, ancorché promananti da autorità diverse da quelle istituzionalmente
preposte alla tutela delle acque.
Per questa via, è stata attribuita al Tribunale Superiore delle Acque, ad
esempio, l’impugnativa di provvedimenti di diniego di condono edilizio
adottati per la salvaguardia del vincolo di inedificabilità gravante sulle
fasce di rispetto degli argini dei corsi d’acqua demaniali, come pure, per
una casistica che presenta apparenti punti di contatto con la controversia
qui in esame, l’impugnativa di atti di assenso alla realizzazione di opere
di attraversamento di corsi d’acqua, o, all’opposto, dell’ingiunzione a
demolire attraversamenti fluviali realizzati senza titolo.
Ciò non toglie che il limite della giurisdizione del T.S.A.P. sia pur sempre
rappresentato dall’incidenza dei provvedimenti impugnati sull’utilizzo delle
acque pubbliche, che deve essere immediata e diretta, tale cioè da
interferire con quell’utilizzo.
In coerenza con tale impostazione, ricorre la giurisdizione del giudice
amministrativo in caso di impugnativa di atti che solo occasionalmente e
comunque in modo indiretto influiscono sul regime delle acque pubbliche,
essendo adottati in funzione della salvaguardia di beni-interessi pubblici
del tutto diversi e autonomi.
---------------
2.1. In via pregiudiziale, occorre dare conto dell’eccezione di
inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del Comune di Orbetello,
secondo la quale la controversia esulerebbe dalla giurisdizione del giudice
amministrativo per l’attinenza del provvedimento impugnato all’uso di acque
pubbliche (il canale di Ansedonia), con conseguente riserva di cognizione in
favore del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
L’eccezione è infondata.
Il collegio non ignora la portata espansiva che la giurisprudenza, anche di
questo TAR, ha progressivamente riconosciuto all’art. 143, co. 1, R.D. n.
1775/1933, nel senso di ascrivere alla giurisdizione del T.S.A.P. tutti i
provvedimenti amministrativi caratterizzati dall’incidenza sulla
realizzazione, sospensione o eliminazione di un’opera idraulica riguardante
un’acqua pubblica, ovvero aventi comunque riguardo all’utilizzazione del
demanio idrico, ancorché promananti da autorità diverse da quelle
istituzionalmente preposte alla tutela delle acque.
Per questa via, è stata attribuita al Tribunale Superiore delle Acque, ad
esempio, l’impugnativa di provvedimenti di diniego di condono edilizio
adottati per la salvaguardia del vincolo di inedificabilità gravante sulle
fasce di rispetto degli argini dei corsi d’acqua demaniali (per tutte, Cass.
civ., SS.UU., 12.05.2009, n. 10845; TAR Toscana, sez. III, 26.06.2019, n.
965; id., 26.09.2014, n. 1497), come pure, per una casistica che presenta
apparenti punti di contatto con la controversia qui in esame, l’impugnativa
di atti di assenso alla realizzazione di opere di attraversamento di corsi
d’acqua (cfr. Cass., SS.UU., Cassazione civile sez. un., 08.04.2009, n.
8509), o, all’opposto, dell’ingiunzione a demolire attraversamenti fluviali
realizzati senza titolo (cfr. TAR Toscana, sez. III, 27.02.2018, n. 321).
Ciò non toglie che il limite della giurisdizione del T.S.A.P. sia pur sempre
rappresentato dall’incidenza dei provvedimenti impugnati sull’utilizzo delle
acque pubbliche, che deve essere immediata e diretta, tale cioè da
interferire con quell’utilizzo. In coerenza con tale impostazione, ricorre
la giurisdizione del giudice amministrativo in caso di impugnativa di atti
che solo occasionalmente e comunque in modo indiretto influiscono sul regime
delle acque pubbliche, essendo adottati in funzione della salvaguardia di
beni-interessi pubblici del tutto diversi e autonomi (da ultimo, cfr. Cass.,
SS.UU., 05.02.2020, n. 2710).
Nella specie, lo si è visto, l’impugnato diniego di permesso di costruire,
oltre a provenire dall’ente istituzionalmente preposto alle funzioni
amministrative in materia di governo del territorio, è motivato con
esclusivo riguardo a profili di natura urbanistico-edilizia e
paesaggistico-ambientale, mentre non vengono in considerazione aspetti
relativi alla assentibilità del ponticello in quanto opera idraulica.
Tali aspetti, del resto, risultano essere stati vagliati anteriormente
all’avvio del procedimento per il rilascio del permesso di costruire e il
loro esame è compendiato nell’autorizzazione idraulica rilasciata dalla
Provincia di Grosseto con provvedimento del 31.05.2013, ai sensi degli artt.
93, 97 e 98 R.D. n. 523/1904, di talché il presente contenzioso non involge
neppure di riflesso tematiche il cui contenuto tecnico possa giustificare la
devoluzione al giudice specializzato (e in ciò risiede l’elemento
differenziale rispetto alla casistica solo apparentemente analoga che si è
ricordata in precedenza)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.05.2020 n. 631 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
edilizi realizzati in prossimità di corsi d’acqua –
Costruzioni o recinzioni, fisse o amovibili – Fascia di
rispetto dall’argine – Controversie – Giurisdizione del TSAP.
Secondo consolidati principi giurisprudenziali, le
controversie sugli atti amministrativi in materia di acque
pubbliche, ancorché non promananti da pubbliche
amministrazioni istituzionalmente preposte alla cura degli
interessi in materia, idonei ad incidere in maniera non
occasionale, ma immediata e diretta, sul regime delle acque
pubbliche e del relativo demanio, spettano alla
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
ai sensi dell'art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775
del 1933, mentre sono devolute alla giurisdizione del
giudice amministrativo le controversie concernenti atti solo
strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad
incidere sul regime di sfruttamento dell'acqua pubblica e
del demanio idrico e adottati in preminente considerazione
di interessi ambientali, urbanistici o di gestione del
territorio.
In particolare, la prevalente
giurisprudenza afferma che le controversie relative a
provvedimenti amministrativi concernenti interventi edilizi
realizzati in prossimità di corsi d’acqua di natura pubblica
e nella fascia di rispetto dell’argine rientrano nella
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
venendo in considerazione situazioni incidenti in maniera
diretta e immediata sulla regolamentazione delle acque
pubbliche, con conseguente diretta incidenza del
provvedimento amministrativo sul regime delle stesse, la cui
tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla
ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici.
Questo stesso Tribunale ha avuto modo di affermare che
“Laddove venga rilevata la mancata osservanza, in caso di
costruzioni o, come nella specie, di recinzioni, fisse o
amovibili, delle distanze prescritte rispetto al canale o
all'argine di un torrente o fiume, si prospetta una
situazione incidente in maniera diretta e immediata sulla
regolamentazione delle acque pubbliche, con conseguente
diretta incidenza del provvedimento de quo sul regolare
regime delle stesse, il che implica la giurisdizione del
T.S.A.P., atteso il carattere inderogabile della tutela
all'uopo apprestata dall'ordinamento”.
---------------
L’eccezione di difetto di giurisdizione formulata
dall’amministrazione comunale è fondata e assorbente.
1. Con il provvedimento impugnato, l’amministrazione
comunale ha negato la sanatoria del muro di recinzione
realizzato nel 1982 dall’originaria proprietaria del terreno
perché insistente all’interno della fascia di rispetto
idraulica, soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta,
di cui all’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523/1904, posta a
tutela del Torrente Re, corso idrico principale identificato
nell’Allegato A della d.g.r. n. IX/4287 del 25.10.2012, e
già presente nell’Elenco delle Acque Pubbliche.
In particolare, l’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523/1904
dispone che “Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto
sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i
seguenti: (…) f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del
terreno e di metri dieci per le fabbriche e gli scavi”.
3. Ciò posto, va osservato che, secondo consolidati principi
giurisprudenziali, le controversie sugli atti amministrativi
in materia di acque pubbliche, ancorché non promananti da
pubbliche amministrazioni istituzionalmente preposte alla
cura degli interessi in materia, idonei ad incidere in
maniera non occasionale, ma immediata e diretta, sul regime
delle acque pubbliche e del relativo demanio, spettano alla
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
ai sensi dell'art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775
del 1933, mentre sono devolute alla giurisdizione del
giudice amministrativo le controversie concernenti atti solo
strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad
incidere sul regime di sfruttamento dell'acqua pubblica e
del demanio idrico e adottati in preminente considerazione
di interessi ambientali, urbanistici o di gestione del
territorio (Cassazione civile, sez. un., 05/02/2020, n.
2710).
3.1. In particolare, la prevalente giurisprudenza afferma
che le controversie relative a provvedimenti amministrativi
concernenti interventi edilizi realizzati in prossimità di
corsi d’acqua di natura pubblica e nella fascia di rispetto
dell’argine rientrano nella giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, venendo in considerazione
situazioni incidenti in maniera diretta e immediata sulla
regolamentazione delle acque pubbliche, con conseguente
diretta incidenza del provvedimento amministrativo sul
regime delle stesse, la cui tutela ha carattere inderogabile
in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare
la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il
libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici.
Questo stesso Tribunale ha avuto modo di affermare, in
relazione a fattispecie analoga a quella qui in esame, che “Laddove
venga rilevata la mancata osservanza, in caso di costruzioni
o, come nella specie, di recinzioni, fisse o amovibili,
delle distanze prescritte rispetto al canale o all'argine di
un torrente o fiume, si prospetta una situazione incidente
in maniera diretta e immediata sulla regolamentazione delle
acque pubbliche, con conseguente diretta incidenza del
provvedimento de quo sul regolare regime delle stesse, il
che implica la giurisdizione del T.S.A.P., atteso il
carattere inderogabile della tutela all'uopo apprestata
dall'ordinamento” (TAR Brescia, sez. II, 18/12/2017, n.
1460).
3.2. In senso analogo, sempre su fattispecie relative ad
opere edilizie realizzate all’interno della fascia di
rispetto idraulica: cfr. TAR Lazio-Roma sez. III,
10/06/2019, n. 7558; TAR Bologna, sez. I, 27/12/2011, n.
855; TAR Trento, sez. I, 21/07/2016, n. 306; TAR Catania,
sez. III, 18/01/2016, n. 121; TAR Firenze, sez. III,
26/09/2014, n. 1497; TAR Torino, sez. I, 05/04/2013, n. 427;
Consiglio di Stato, sez. V, 24/09/2010, n. 7102; Tribunale
superiore delle acque pubbliche 10/06/2003, n. 87; Tribunale
superiore delle acque pubbliche 15/10/1999, n. 121.
3.3. Nel caso di specie, si ricade appieno nell’ambito di
applicazione dei principi sopra citati, dal momento che la
controversia ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento
comunale con cui è stata negata la sanatoria edilizia di una
recinzione in cemento armato realizzata in violazione della
fascia di rispetto idraulico di cui all’art. 96, lett. f),
del R.D. 523/1904, con conseguente incidenza immediata e
diretta del manufatto edilizio sul normale deflusso del
corso d’acqua e, quindi, sul regime delle acque pubbliche;
incidenza attestata dal verbale di sopralluogo del
01.07.2013, dove si afferma che il muro di recinzione “si
fonda direttamente nell’alveo attivo, ove abbiamo lo
scorrimento delle acque durante gli eventi meteorici”;
tale muro “ha modificato radicalmente la morfologia dei
luoghi e alterato il regime idraulico del corso d’acqua, (…)
riducendo la sezione idraulica utile”.
A tale verbale hanno fatto seguito i pareri della Regione
Lombardia del 19.09.2013 e del 10.12.2013, contrari alla
sanabilità del manufatto, ai quali si è infine uniformato il
provvedimento comunale conclusivo di diniego del condono
edilizio.
3.4. In coerenza con l’attribuzione della cognizione del
giudizio al giudice specializzato va ulteriormente osservato
che la risoluzione della presente controversia, nella misura
in cui presuppone l’accertamento dell’effettiva esistenza
del Torrente Re –affermata dalle amministrazioni resistenti
sulla scorta degli accertamenti eseguiti, ma negata dalla
parte ricorrente sulla scorta di perizia di parte- implica
l’approfondimento e la risoluzione di problematiche di
carattere non solo giuridico, ma involventi aspetti
prettamente tecnici, rispetto ai quali la devoluzione della
controversia alla cognizione del Tribunale Superiore delle
acque pubbliche appare confacente alla ratio istitutiva di
tale giudice, nella composizione del quale confluiscono
competenze e professionalità non solo giuridiche ma anche
tecniche, che la legge ha considerato necessarie per
risolvere i problemi di elevata complessità tecnica posti
dalla gestione delle acque pubbliche.
4. Alla stregua di tali considerazioni, impregiudicata ogni
valutazione di merito di esclusiva competenza del giudice
ad quem, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo,
dovendosi affermare la giurisdizione del Tribunale Superiore
delle acque pubbliche, dinanzi al quale il giudizio potrà
essere riproposto nei termini di legge (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.05.2020 n. 337 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
giurisprudenza costante la giurisdizione del TSAP sussiste “ogniqualvolta
l’atto impugnato, ancorché proveniente da organi dell’Amministrazione non
preposti agli interessi del settore delle acque pubbliche, abbia tuttavia
una immediata incidenza sull’uso di queste ultime, interferendo così con le
funzioni amministrative relative a tale uso”.
In tale ottica, la giurisprudenza amministrativa ha parimenti affermato la
sussistenza della giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche in relazione ad ordinanze contingibili e d’urgenza emanate dal
Sindaco ai sensi dell’art. 54, del T.U.E.L., in caso di incidenza del
provvedimento su regine delle acque pubbliche.
---------------
Nel caso di specie, il fosso -ancorché di natura privatistica- conferisce le
proprie acque, appena due chilometri dall’ubicazione della proprietà della
ricorrente, nel corso d’acqua pubblico denominato torrente Genna, indicato
dall’Autorità di Bacino del fiume Tevere come una delle “situazioni di
rischio idraulico della Regione”.
Appare quindi evidente come l’ordinanza impugnata, nel disporre la
riapertura del tratto intubato all’altezza dell’accesso all’area di
proprietà della ricorrente, va a modificare, maggiorandola, la portata del
corso d’acqua, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle
acque pubbliche ove il fosso in questione riversa le proprie e dei cui
effetti non può che occuparsi il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
quale “speciale organo giurisdizionale preposto, nella particolare
composizione richiesta, alla soluzione dei problemi posti dalla gestione
delle acque pubbliche”.
---------------
6. L’eccezione è fondata e va accolta.
7. Premette al riguardo il Collegio, che per giurisprudenza costante la
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sussiste “ogniqualvolta
l’atto impugnato, ancorché proveniente da organi dell’Amministrazione non
preposti agli interessi del settore delle acque pubbliche, abbia tuttavia
una immediata incidenza sull’uso di queste ultime, interferendo così con le
funzioni amministrative relative a tale uso” (cfr., Cass. SS.UU.,
17.04.2019, n. 9149).
8. In tale ottica, la giurisprudenza amministrativa ha parimenti affermato
la sussistenza della giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche in relazione ad ordinanze contingibili e d’urgenza emanate dal
Sindaco ai sensi dell’art. 54, del T.U.E.L., in caso di incidenza del
provvedimento su regine delle acque pubbliche (cfr., ex multis, Cons.
St., sez. V, 11.07.2016, n. 3055).
9. Dallo studio geologico versato in atti risulta che il fosso in questione,
ancorché di natura privatistica, conferisce le proprie acque, appena due
chilometri dall’ubicazione della proprietà della ricorrente, nel corso
d’acqua pubblico denominato torrente Genna, indicato dall’Autorità di Bacino
del fiume Tevere come una delle “situazioni di rischio idraulico della
Regione”.
10. Appare quindi evidente come l’ordinanza impugnata, nel disporre la
riapertura del tratto intubato all’altezza dell’accesso all’area di
proprietà della ricorrente, va a modificare, maggiorandola, la portata del
corso d’acqua, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle
acque pubbliche ove il fosso in questione riversa le proprie e dei cui
effetti non può che occuparsi il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
quale “speciale organo giurisdizionale preposto, nella particolare
composizione richiesta, alla soluzione dei problemi posti dalla gestione
delle acque pubbliche” (Cass. SS.UU. 19.04.2013, n. 95343).
11. In conclusione ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di
giurisdizione, sussistendo, per quanto esposto, la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, innanzi al quale il processo può
essere riassunto entro il termine perentorio di tre mesi previsto dall’art.
11 del codice del processo amministrativo, con salvezza degli effetti
sostanziali e processuali della domanda già presentata
(TAR Umbria,
sentenza 09.03.2020 n. 148 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quando
la natura del corso d’acqua rileva solo strumentalmente, non avendo gli atti
impugnati, diretti a perseguire altri fini, immediata incidenza sul regime
delle acque pubbliche, non vi è ragione per adire le competenze specifiche
del Tribunale superiore delle acque pubbliche.
---------------
Nel regime anteriore a quello introdotto alla l. 05.01.1994, n. 37, art. 4
(che, nel sostituire il testo dell'art. 947 c.c., ha espressamente escluso,
per il futuro, tale eventualità), la sdemanializzazione tacita dei beni del
demanio idrico non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia
più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in
presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà
della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di
rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una
volontà di rinunzia univoca e concludente da una situazione negativa di mera
inerzia o tolleranza.
---------------
L’art. 826 Cod. civ. stabilisce al terzo comma che “Fanno parte del
patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e
dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di
uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico
servizio”.
Tenuto conto di tale ultima locuzione, consolidata giurisprudenza afferma
che l’inclusione di un bene nel patrimonio indisponibile comunale richiede
la sussistenza di due requisiti congiunti: la manifestazione di volontà
dell’ente titolare del diritto reale pubblico, desumibile da un espresso
atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di
destinare quel determinato bene a un pubblico servizio; l’effettiva e
attuale destinazione del bene a pubblico servizio.
---------------
1. In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità dell’eccezione di
carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice
ordinario o del Tribunale delle acque pubbliche, spiegata dal resistente
Comune di Ospitaletto a mezzo di memorie difensive.
L’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a
conoscere della controversia è, infatti, inammissibile, laddove formulata,
come nel caso di specie, solo in note defensionali e non con tempestiva
proposizione di specifico motivo di appello incidentale contro la sentenza
di primo grado, in conformità all’art. 9 Cod. proc. amm., per il quale il
difetto di giurisdizione nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto
con specifico motivo avverso il capo della pronunzia impugnata che in modo
implicito o esplicito ha statuito sulla giurisdizione (ex multis,
Cons. Stato, V, 11.03.2019, n. 1612; 17.09.2018, n. 5439; III, 04.08.2015,
n. 3842).
Nel caso in esame, ricorre la seconda delle predette ipotesi, avendo la
sentenza appellata espressamente statuito sulla giurisdizione del giudice
amministrativo, respingendo l’eccezione di difetto di giurisdizione di
questo a favore del giudice ordinario, spiegata nel giudizio di primo grado
dallo stesso Comune di Ospitaletto.
Ne deriva l’impossibilità, in seno al presente giudizio, in carenza di
proposizione sul punto di un rituale motivo di appello, di contestare la
potestas iudicandi; né osta all’applicazione della regola codicistica,
come ritiene il Comune, il fatto che l’eccezione sia stata arricchita in
appello mediante l’ulteriore indicazione di altro giudice asseritamente
competente (Tribunale superiore delle acque pubbliche): la contestazione
infatti è pur sempre rivolta a sovvertire il capo di sentenza relativo alla
giurisdizione amministrativa ritenuta dal primo giudice, che, in difetto di
proposizione di uno specifico motivo di appello, è passata in giudicato.
Vale comunque rilevare che gli atti di autotutela possessoria per cui è
causa, come meglio in fatto, sono diretti non a ripristinare la funzione del
canale irriguo da tempo in disuso e allo stato ricoperto, bensì a recuperare
la relativa area di sedime per la costruzione di un’opera pubblica.
Si rende pertanto applicabile il principio ripetuto in giurisprudenza
secondo cui quando la natura del corso d’acqua rileva solo strumentalmente,
non avendo gli atti impugnati, diretti a perseguire altri fini, immediata
incidenza sul regime delle acque pubbliche, non vi è ragione per adire le
competenze specifiche del Tribunale superiore delle acque pubbliche (Cass.
Sez. un., 27.04.2005, n. 896; 27.10.2006, n. 23070; 17.04.2009, n. 9149;
19.04.2013, n. 9534; 21.03.2017, n. 7154; Cons. Stato, IV, 30.06.2017, n.
3230; V, 11.07.2016, n. 3055).
1.1. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi l’inammissibilità delle
difese comunali anche laddove sostengono che gli atti gravati, diversamente
da quanto ritenuto dal primo giudice, non costituirebbero espressione dell’autotutela
possessoria di cui all’art. 823, secondo comma del Codice civile,
trattandosi di meri inviti al rilascio, non integranti neanche una vera e
propria attività provvedimentale: anche tale questione non può essere
rimessa in discussione nel presente giudizio, avendo formato oggetto di una
espressa qualificazione da parte della sentenza appellata, che è sul punto
rimasta inoppugnata.
2. Passando al merito dell’appello, si osserva che il primo giudice ha
richiamato il pacifico orientamento giurisprudenziale che afferma che la
tutela amministrativa accordata ai beni demaniali dall’art. 823, secondo
comma Cod. civ. sia estendibile anche ai beni del patrimonio indisponibile.
In applicazione del predetto principio, ha ritenuto la legittimità degli
atti di autotutela possessoria adottati dal Comune di Ospitaletto, rilevando
la loro afferenza a un’area appartenente al demanio idrico o comunque al
patrimonio indisponibile comunale.
Ciò posto, ferma la correttezza del predetto principio generale, tali
conclusioni non possono qui trovare conferma.
3. Va innanzitutto escluso, in uno al quarto motivo di appello, che
l’area possa ritenersi attualmente ricompresa nel patrimonio idrico comunale
per la presenza al suo interno di un canale irriguo da tempo in disuso e
ormai ricoperto.
Restano pertanto assorbite le ulteriori difese sul punto svolte dagli
appellati, che hanno eccepito per un verso la violazione del divieto di
integrazione postuma della motivazione dell’atto amministrativo, facendo
rilevare che la natura demaniale idrica del bene è stata invocata dal
Comune, che nel secondo atto gravato aveva affermato che la striscia di
terreno in parola apparteneva al patrimonio indisponibile dell’Ente, solo in
corso di causa, per altro verso che lo stesso Comune non ha assolto l’onere
su di esso incombente di dimostrare in giudizio che il bene abbia
effettivamente natura pubblica.
3.1. Il primo giudice, per affermare che l’area in parola fa parte del
demanio idrico, si è fondato sul fatto storico della presenza di un canale
irriguo risultante dalle cartografie catastali. Di contro, ha reputato
irrilevante sia che esso non emergesse dalla mappatura del reticolo idrico
minore del 2003, recepita nel piano regolatore generale comunale, perché
avente mero valore dichiarativo, sia che la funzione irrigua fosse oramai da
tempo completamente esaurita a causa dell’intensa attività edificatoria
realizzata nell’intera zona.
Ha poi escluso la sdemanializzazione tacita del bene idrico, osservando che
la modifica definitiva dei luoghi, nella parte più vicina al canale irriguo
in parola, è avvenuta solo nel 2005, con la copertura del canale realizzata
in occasione della presentazione di una dichiarazione di inizio attività per
la costruzione di un edificio residenziale e l’ampliamento di un fabbricato
preesistente, ovvero quando era già vigente il relativo divieto, introdotto
dall’art. 4 della l. 37/1994.
Tale ultima ricostruzione, in particolare, non convince, dovendosi rilevare,
di contro, in accoglimento delle censure svolte dagli interessati con la
prima parte del quarto motivo di appello, la sdemanializzazione tacita del
bene in epoca anteriore al 1994.
3.2. Sul tema, la giurisprudenza ha affermato il principio per cui “nel
regime anteriore a quello introdotto alla l. 05.01.1994, n. 37, art. 4 (che,
nel sostituire il testo dell'art. 947 c.c., ha espressamente escluso, per il
futuro, tale eventualità), la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio
idrico non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più
adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in
presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà
della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di
rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una
volontà di rinunzia univoca e concludente da una situazione negativa di mera
inerzia o tolleranza” (Cass., Sez. un. n. 12062 del 2014; 03.03.2016, n.
4189).
Nel caso di specie si ravvisano le predette condizioni positive.
In particolare, la circostanza che il canale irriguo non sia da lungo tempo
più adibito all’uso pubblico è elemento incontestatamente emergente dal
fascicolo di causa, così come è incontestato che il ripristino della
funzione irrigua non è il presupposto dei provvedimenti gravati:
l’Amministrazione procedente ha infatti espressamente ricollegato l’ordine
di sgombero di cui trattasi alla realizzazione di un’opera pubblica del
tutto svincolata da tale funzione.
Tanto chiarito, emerge che l’Amministrazione comunale non è estranea alla
sottrazione del bene alla funzione idrica a suo tempo avvenuta, ma ne è anzi
il principale attore, avendone determinato l’avvio a partire dall’atto di
acquisto del mappale 133, avvenuto nel 1973 allo scopo di costruire la
palestra contestualmente edificata. Tale costruzione ha infatti determinato,
come emerge dalla perizia depositata in primo grado dagli appellanti,
l’edificazione del canale nel tratto interessato dall’opera pubblica,
avvenuta negli anni '70-'80, e la costruzione di un muro all’interno della
proprietà comunale a opera della stessa Amministrazione, che ha isolato
dalla stessa la striscia di terreno poi inglobata nel giardino degli
appellanti.
Non si tratta, pertanto, di una mera tolleranza o inerzia, bensì di una
condotta positiva, che non può non essere interpretata come riconoscimento
della irrilevanza della funzione irrigua del canale presente in tale
terreno, che, del resto, è rilevabile anche alla luce della successiva
urbanizzazione della zona, che la stessa perizia, precisato non trattarsi di
un canale di scolo delle acque, descrive nei seguenti termini: “L’ex
canale in passato possedeva funzione di canale irriguo per i terreni posti a
sud del canale stesso, ma tale funzione è venuta meno nel momento in cui
sono cominciate le edificazioni sia a sud che a nord dello stesso, dagli
atti esaminati risulta che sul mappale 133 la palestra è stata realizzata
già negli anni 70, mentre a sud per quanto riguarda il mappale dei
ricorrenti il primo stabile, posto più a sud, è stato edificato nel 1985,
mentre ad est il parco è stato realizzato nella seconda metà degli anni 90
ed il polo scolastico è stato realizzato nel 2003”.
Nel descritto contesto, non è dato comprendere da quali elementi il primo
giudice tragga la conclusione che “è verosimile che fino a quel momento
[ovvero sino al momento della ulteriore copertura del canale realizzata nel
2005] l’utilità del canale irriguo non fosse ancora venuta meno, o non
completamente”, e che “è verosimile, e perfettamente ragionevole, che
il muro servisse a proteggere i frequentatori della palestra dalla presenza
del fosso, senza interferire con la funzione irrigua rispetto ai terreni
collocati a una quota inferiore verso sud…”: si tratta, infatti, di
asserzioni dichiaratamente ipotetiche, che non trovano vieppiù alcun
riscontro oggettivo nel fascicolo di causa, mentre non vi è dubbio che il
Comune era nella condizioni di poter dimostrare in giudizio in vario modo,
laddove effettivamente sussistente, l’utilità residua del canale irriguo nel
periodo intercorrente tra il 1973 e il 2005, ciò che, invece, non ha fatto.
Inoltre, la persuasività delle predette affermazioni del primo giudice è
ulteriormente sconfessata dalla stessa sentenza appellata, laddove
riferisce, contraddittoriamente, che “era evidente già all’epoca della
costruzione della palestra comunale, negli anni ’70, che la presenza del
canale irriguo era destinata a recedere rispetto alle prospettive di
urbanizzazione dell’intera zona … ”, soprattutto considerando che tale
urbanizzazione, sempre per quanto attiene alla ulteriore copertura del
canale del 2005, risulta realizzata mediante DIA, che è strumento che, pur
non implicando necessariamente una espressa autorizzazione comunale, non
esclude il potere di controllo amministrativo sull’edificazione privata,
che, tra l’altro, avendo a oggetto, in tesi, la copertura di un canale
irriguo ancora in funzione, non poteva certo passare inosservata.
Ne deriva che non può dirsi che l’immutazione definitiva dello stato del
canale sia avvenuta nel 2005 a opera esclusiva della DIA menzionata dal
primo giudice, in quanto essa non ha costituito altro che l’inevitabile
conseguenza di un processo originatosi ben in precedenza, per effetto delle
scelte via via compiute dall’Amministrazione comunale a partire dalla
realizzazione della palestra negli anni ‘70, che ha comportato la
sottrazione, senza prospettiva di ritorno, del bene idrico alla sua
destinazione.
Sulla base di tali evidenze, non può condividersi neanche l’irrilevanza che
il primo giudice ha conferito alla mancata mappatura del canale irriguo nel
reticolo minore idrico del 2003, recepito dal vigente PRG del Comune di
Ospitaletto: la valenza meramente dichiarativa di tale cartografia non può
infatti trasformare in prova l’assenza di qualsiasi elemento attestante
l’uso pubblico del bene nel periodo intercorrente tra l’emanazione della
legge del 1994 e la DIA del 2005.
4. Va altresì esclusa l’appartenenza dell’area in parola al patrimonio
comunale indisponibile, come affermato sia dal giudice di prime cure che dal
Comune di Ospitaletti nel secondo provvedimento oggetto di impugnativa
Il primo giudice ha sul punto considerato che l’Ente ha acquistato il
mappale in cui è ricompresa l’area per cui è causa nel 1973 al fine di
realizzare la palestra comunale, nonché, comunque, l’intendimento del Comune
di includere la stessa area (già erroneamente ritenuta soggetta al regime
del demanio idrico) nel proprio patrimonio indisponibile, per effetto del
suo previsto asservimento a due beni di tale patrimonio (plesso scolastico e
palestra comunale).
Tali elementi non sono però sufficienti.
4.1. L’art. 826 Cod. civ. stabilisce al terzo comma che “Fanno parte del
patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e
dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di
uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico
servizio”.
Tenuto conto di tale ultima locuzione, consolidata giurisprudenza afferma
che l’inclusione di un bene nel patrimonio indisponibile comunale richiede
la sussistenza di due requisiti congiunti: la manifestazione di volontà
dell’ente titolare del diritto reale pubblico, desumibile da un espresso
atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di
destinare quel determinato bene a un pubblico servizio; l’effettiva e
attuale destinazione del bene a pubblico servizio (tra tante, Cons. Stato,
VI, 29.08.2019, n. 5934; IV, 30.01.2019, n. 513; Cass. Civ., Sez. un.,
25.03.2016, n. 6019; 28.06.2006, n. 14685; II, 16.12.2009, n. 26402;
09.09.1997, n. 8743).
Il secondo requisito nel caso di specie è del tutto insussistente.
Come sopra già rilevato, nel corso degli anni ’70 il Comune, successivamente
al suo acquisto, ha realizzato sul mappale n. 133, nel cui ambito insiste la
striscia di terreno ora rivendicata dal Comune, la palestra comunale, e ha
contestualmente delimitato l’area a ciò destinata mediante l’edificazione di
un muro in cemento armato, escludendo tale striscia.
La predetta porzione di area non è dunque asservita alla palestra, ed è,
allo stato, inglobata nel giardino di proprietà degli appellanti, che, per
l’effetto, l’hanno da tempo adibita a un uso privato, che è rimasto
incontestato sino all’adozione degli atti di cui si discute.
Nel descritto contesto, il Comune non può utilmente invocare ai fini per cui
è causa la destinazione prevista nell’atto di acquisto, che non è
sufficiente ad assoggettare il bene al regime del patrimonio indisponibile (Cons.
Stato, 06.12.2007, n. 6259; Cass. Civ., Sez. un., 28.06.2006, n. 14865), ove
la relativa destinazione non divenga poi effettiva.
E’, pertanto, fondata la censura di cui pure al quarto motivo di
appello, con cui gli interessati sostengono l’erroneità della conclusione
del primo giudice che annovera la porzione di area in parola tra i beni
comunali indisponibili, perché fondata su una destinazione al pubblico
servizio “pro futuro”, laddove la giurisprudenza sottolinea la
necessità della sua concreta ed attuale esistenza, con conseguente
fondatezza anche del quinto motivo, con cui gli interessati deducono
l’insussistenza dei presupposti per il ricorso allo strumento dell’autotutela
possessoria, da cui sono esclusi, come rilevato anche dal primo giudice, i
beni del patrimonio disponibile (Cass. Civ., Sez. un., 03.12.2010, n. 24563)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.02.2020 n. 1123 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disamina del motivo impone di delineare la ratio e l’ambito
di applicazione della previsione di cui all’articolo 96 del R.D. n. 523 del
1904 che reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle
acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
In particolare, la previsione di cui alla lett. f) del comma 1 vieta “le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra,
minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località,
ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le
piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per
gli scavi”.
Tale disposizione opera anche in relazione alle acque lacuali. Lo
afferma il Consiglio di Stato osservando come il divieto di edificazione in
esame abbia carattere assoluto e riguardi, in genere, le acque pubbliche.
La regola sub observatione non si limita, quindi, ai soli corsi d’acqua come
dimostra l’alinea dell’articolo che, nel fare riferimento alle acque
pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere diversamente da
quanto invece dispone la disposizione di cui all’articolo 98, comma 1, lett. d), circoscritta alle nuove “costruzioni nell'alveo
dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”. Né una
diversa conclusione può affermarsi in ragione della mancata espressa
menzione dei laghi da parte delle previsioni contenute nell’articolo 96 e la
sola menzione degli stessi nel successivo articolo 97.
Invero, la disposizione di cui all’articolo 97, comma 1, lett. n), reca “una
previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla
dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non
valere la norma generale dell’art. 96”.
Del resto, “se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di
consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima
esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a
innalzamenti di livello”.
---------------
La giurisprudenza amministrativa chiarisce come la locuzione “fabbrica”
[ex art. 96, comma 1, lett. f) del R.D. n. 523/1904]
debba riferirsi “ai manufatti edilizi, a prescindere dal loro utilizzo,
dovendosi individuare la ratio legis nella volontà della norma di esaurire,
unitamente all'utilizzo della locuzione “scavi”, tutte le possibili
modificazioni frutto dell'opera di trasformazione edilizia, essendo prevista
una diversa distanza solo per le piantagioni”.
Del resto, nella lingua italiana, il termine “fabbrica” designa un “edificio,
di qualsiasi genere, in corso di costruzione, o anche già finito, se si
consideri in rapporto alla sua costruzione” (cfr., Vocabolario della
lingua italiana Treccani, vol. II, 1987, foglio 367). Il vocabolo utilizzato
dal legislatore è, quindi, volto a ricomprendere ogni tipologia di edificio
senza operare distinzioni che, del resto, depriverebbero la ratio stessa del
divieto.
---------------
L’Amministrazione comunale ritiene che l’intervento sia abilitato dalla già
indicata previsione di cui all’art. 97, comma 1, lett. n), che consente, “con speciale permesso”, l’istallazione di
opere stabili sulle spiagge dei laghi.
Prescindendo dalle questioni inerenti
il concreto svolgimento del procedimento disegnato dal legislatore per tale
ipotesi, si nota come la disposizione non possa trovare applicazione.
Infatti, la regula iuris in esame concerne la realizzazione di opere
sulla spiaggia e non riguarda, invece, interventi che interessano la sponda
del lago. Circostanza del tutto pacifica tra le parti e, comunque, emergente
con chiarezza dalla documentazione versata in atti. L’intervento in esame
non consiste, infatti, nella mera installazione di un’opera sulla spiaggia
ma è collocato proprio sulla sponda del lago.
Risulta, quindi, condivisibile quanto affermato dalla difesa dei ricorrenti
che osservano di non contestare “che, in via generale ed astratta, sia
possibile realizzare manufatti sulle spiagge dei laghi, bensì rilevano che i
manufatti in questione debbano rispettare le distanze di legge dalle sponde
(cosa che, nella fattispecie, non avviene)”.
Del resto, come evidenziato già in precedenza, la disposizione di cui
all’art. 97, comma 1, lett. n), reca “una previsione particolare
riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina
delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale
dell’art. 96".
---------------
Non assumono rilievo, inoltre, le previsioni di cui all’art. 12
della L.r. n. 6 del 2012 (evocata dal Comune) che testualmente prevedono:
“1.
Al fine di valorizzare il demanio lacuale, fluviale e dei navigli e tutte le
vie d’acqua, in coerenza con gli altri strumenti della programmazione
regionale, la Giunta regionale, acquisito il parere dell’ente preposto alla
gestione del demanio, approva il programma degli interventi predisposto
dalla competente direzione generale.
1-bis. Il programma degli interventi
regionali sul demanio delle acque interne individua le azioni di
ammodernamento, completamento, manutenzione e realizzazione delle opere
riguardanti le vie navigabili e i porti della navigazione interna. 2. Il
programma di cui al comma 1 individua i criteri di valutazione e di
realizzazione degli interventi”.
Risulta evidente dalla lettura delle disposizioni riportate come queste non
riconoscano “espressamente che si possono realizzare opere come quella in
esame”, come ritenuto dall’Amministrazione comunale.
Invero, la previsione si limita ad abilitare la Regione ad elaborare un
programma di intervento ma non contiene regole di carattere sostanziale
sulle tipologie di intervento ammesse che continuano ad essere, comunque,
regolate, ex aliis, dalla disposizione di cui all’art. 96 del
R.D. n. 523/1904.
Una previsione che, come ricordato dalla costante giurisprudenza, pone un
divieto di carattere “legale, assoluto e inderogabile”, e “diretto al fine
di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali,
ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi,
torrenti, canali e scolatoi pubblici”.
Si tratta, quindi, di una regola tesa “a garantire le normali operazioni
di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque” ed a
“scongiurare l’occupazione edificatoria degli spazi prossimi al reticolo
idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque, sia in funzione
preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero
derivare da esondazioni".
In ragione delle rationes a fondamento del divieto e della natura degli
interessi tutelati si ritiene, quindi, che lo stesso “operi con un
effetto conformativo particolarmente ampio, determinando l'inedificabilità
assoluta della fascia di rispetto”.
---------------
23.1. I ricorrenti deducono, in sostanza, la violazione della previsione di
cui all’art. 96 del R.D. n. 523/1904 nonché l’illogicità della scelta di
collocare un parcheggio sulle sponde del lago in quanto contraria a ragioni
ambientali e paesaggistiche, idrogeologiche e, in ultimo, alla salvaguardia
dell’incolumità pubblica. Si tratti di motivi che possono esaminarsi
congiuntamente in quanto connessi.
23.2. La disamina del motivo impone di delineare la ratio e l’ambito
di applicazione della previsione di cui all’art. 96 del R.D. n. 523 del
1904 che reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle
acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
In particolare, la previsione di cui alla lett. f) del comma 1 vieta “le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra,
minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località,
ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le
piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per
gli scavi”.
23.3. Tale disposizione opera anche in relazione alle acque lacuali. Lo
afferma il Consiglio di Stato osservando come il divieto di edificazione in
esame abbia carattere assoluto e riguardi, in genere, le acque pubbliche.
La regola sub observatione non si limita, quindi, ai soli corsi
d’acqua come dimostra l’alinea dell’articolo che, nel fare riferimento alle
acque pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere
diversamente da quanto invece dispone la disposizione di cui all’articolo
98, comma 1, lett. d), circoscritta alle nuove “costruzioni nell'alveo
dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”. Né una
diversa conclusione può affermarsi in ragione della mancata espressa
menzione dei laghi da parte delle previsioni contenute nell’articolo 96 e la
sola menzione degli stessi nel successivo articolo 97.
Invero, la disposizione di cui all’articolo 97, comma 1, lett. n), reca “una
previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla
dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non
valere la norma generale dell’art. 96” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
05.11.2012, n. 5620).
Del resto, “se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di
consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima
esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a
innalzamenti di livello” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 05.11.2012, n.
5620).
23.4. Le precisazioni effettuate dal Consiglio di Stato consentono di
superare i rilievi comunali secondo cui la disposizione non dovrebbe trovare
applicazione al caso di specie.
Assodato che la regola vale anche in relazione alle acque lacuali, deve
verificarsi se la stessa operi o, al contrario, prevalga la disposizione di
cui all’art. 97, comma 1, lett.
n), secondo cui “sono opere ed atti che non si possono eseguire se non
con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal
medesimo imposte” “l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere
stabili, gli scavamenti lungh'esse che possano promuovere il deperimento o
recar pregiudizio alle vie alzaie ove esistono, e finalmente la estrazione
di ciottoli, ghiaie o sabbie, fatta eccezione, quanto a detta estrazione,
per quelle località ove per consuetudine invalsa suolsi praticare senza
speciale autorizzazione”.
23.5. In particolare, secondo l’Amministrazione comunale l’intervento in
questione consiste in un’opera pubblica che, come tale, non è assimilabile
ad una “fabbrica”.
Invero, la giurisprudenza amministrativa chiarisce come la locuzione “fabbrica”
debba riferirsi “ai manufatti edilizi, a prescindere dal loro utilizzo,
dovendosi individuare la ratio legis nella volontà della norma di esaurire,
unitamente all'utilizzo della locuzione “scavi”, tutte le possibili
modificazioni frutto dell'opera di trasformazione edilizia, essendo prevista
una diversa distanza solo per le piantagioni” (TAR per l’Emilia Romagna
– sede di Parma, 21.07.2016, n. 241; TAR per la Campania – sede di Napoli,
Sez. II, 06.06.2017, n. 1021).
Del resto, nella lingua italiana, il termine “fabbrica” designa un “edificio,
di qualsiasi genere, in corso di costruzione, o anche già finito, se si
consideri in rapporto alla sua costruzione” (cfr., Vocabolario della
lingua italiana Treccani, vol. II, 1987, foglio 367). Il vocabolo utilizzato
dal legislatore è, quindi, volto a ricomprendere ogni tipologia di edificio
senza operare distinzioni che, del resto, depriverebbero la ratio stessa del
divieto.
23.6. L’Amministrazione comunale ritiene, inoltre, che l’intervento sia
abilitato dalla già indicata previsione di cui all’art. 97, comma 1, lett. n), che consente, “con speciale permesso”, l’istallazione di
opere stabili sulle spiagge dei laghi. Prescindendo dalle questioni inerenti
il concreto svolgimento del procedimento disegnato dal legislatore per tale
ipotesi, si nota come la disposizione non possa trovare applicazione.
Infatti, la regula iuris in esame concerne la realizzazione di opere
sulla spiaggia e non riguarda, invece, interventi che interessano la sponda
del lago. Circostanza del tutto pacifica tra le parti e, comunque, emergente
con chiarezza dalla documentazione versata in atti. L’intervento in esame
non consiste, infatti, nella mera installazione di un’opera sulla spiaggia
ma è collocato proprio sulla sponda del lago.
Risulta, quindi, condivisibile quanto affermato dalla difesa dei ricorrenti
che osservano di non contestare “che, in via generale ed astratta, sia
possibile realizzare manufatti sulle spiagge dei laghi, bensì rilevano che i
manufatti in questione debbano rispettare le distanze di legge dalle sponde
(cosa che, nella fattispecie, non avviene)”.
Del resto, come evidenziato già in precedenza, la disposizione di cui
all’art. 97, comma 1, lett. n), reca “una previsione particolare
riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina
delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale
dell’art. 96” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 05.11.2012, n. 5620).
23.7. Non assumono, inoltre, rilievo le previsioni di cui all’art. 12
della L.r. n. 6 del 2012 (evocata dal Comune) che testualmente prevedono: “1.
Al fine di valorizzare il demanio lacuale, fluviale e dei navigli e tutte le
vie d’acqua, in coerenza con gli altri strumenti della programmazione
regionale, la Giunta regionale, acquisito il parere dell’ente preposto alla
gestione del demanio, approva il programma degli interventi predisposto
dalla competente direzione generale. 1-bis. Il programma degli interventi
regionali sul demanio delle acque interne individua le azioni di
ammodernamento, completamento, manutenzione e realizzazione delle opere
riguardanti le vie navigabili e i porti della navigazione interna. 2. Il
programma di cui al comma 1 individua i criteri di valutazione e di
realizzazione degli interventi”.
Risulta evidente dalla lettura delle disposizioni riportate come queste non
riconoscano “espressamente che si possono realizzare opere come quella in
esame”, come ritenuto dall’Amministrazione comunale (foglio 22 della
memoria conclusionale).
Invero, la previsione si limita ad abilitare la Regione ad elaborare un
programma di intervento ma non contiene regole di carattere sostanziale
sulle tipologie di intervento ammesse che continuano ad essere, comunque,
regolate, ex aliis, dalla disposizione di cui all’art. 96 del
R.D. n. 523/1904.
Una previsione che, come ricordato dalla costante giurisprudenza, pone un
divieto di carattere “legale, assoluto e inderogabile”, e “diretto
al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti
nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cassazione civile,
sez. un., 30.07.2009, n. 17784, […]” (TAR per la Lombardia – sede di
Brescia, Sez. I, 29.11.2018, n. 1141).
Si tratta, quindi, di una regola tesa “a garantire le normali operazioni
di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque” ed a
“scongiurare l’occupazione edificatoria degli spazi prossimi al reticolo
idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque, sia in funzione
preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero
derivare da esondazioni” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, Sez.
I, 29.11.2018, n. 1141).
In ragione delle rationes a fondamento del divieto e della natura degli
interessi tutelati si ritiene, quindi, che lo stesso “operi con un
effetto conformativo particolarmente ampio, determinando l'inedificabilità
assoluta della fascia di rispetto” (cfr., TAR per la Toscana, Sez. III,
08.03.2012 n. 439)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.01.2020 n. 37 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto,
non vengono meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono
al vincolo di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero affermato che i
vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi
d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere
riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi
d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie
attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.
---------------
Il divieto recato dall’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per
quanto in questa sede interessa, “fabbriche”
e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come
tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la
fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del
divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia
idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei
necessari lavori di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è finalizzata
esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le
normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento
sormontato da inferriata costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in
relazione alla sua vicinanza al torrente (sia pur tombinato), la
sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di
pulitura e manutenzione.
---------------
Osserva, di poi, la Sezione, in disparte a quanto sopra rilevato, che in
ogni caso la sopravvenuta circostanza della copertura del torrente e
dell’incanalamento delle relative acque non appare, allo stato degli atti,
elemento dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse
essere emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa in
materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la copertura del
corso d’acqua non ne determina la eliminazione e, pertanto, non vengono
meno, per tale circostanza, le ragioni di tutela che presiedono al vincolo
di inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque, 18.02.2014, n. 44) che i
vincoli previsti dal R.D. n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi
d’acqua tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno essere
riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche per tali corsi
d’acqua occorre consentire uno spazio di manovra, nel caso di necessarie
attività di manutenzione e ripulitura delle condutture.
La relazione tecnica, datata 05.07.1997, prodotta in primo grado dalla
ricorrente non adduce elementi per ritenere che, a seguito della tombinatura,
la fascia di rispetto risulti rispettata.
In essa si legge: “…La strada interpoderale, i cui lavori di sistemazione
sono stati curati dall’amministrazione Comunale di Forlì del Sannio, si
sviluppa con pendenza da nord a sud lungo il lato est del lotto di proprietà
della signora Gi.: nella tratta di strada adiacente al terreno in narrativa
sono stati realizzati, durante l’esecuzione dei lavori di sistemazione della
strada, due tombini e sempre nel corso dei citati lavori il fosso Mandrella
nel tratto confinante con la proprietà Giovino è stato coperto canalizzando
le acque in un tubolare che collega i due tombini descritti in precedenza.
In conclusione….si evince che il fosso Mandrella nel tratto a confine con la
proprietà della signora Gi.An.Ma.…. non esiste più in superficie e la sua
consistenza nel tratto adiacente la recinzione della proprietà in narrativa
è stata annullata dai lavori di sistemazione della strada interpoderale ivi
ubicata…”.
Orbene, dalla lettura della prefata relazione si evince unicamente
l’avvenuta copertura del corso d’acqua, le cui acque sono state canalizzate
in un tubolare.
Il corso d’acqua continua ad esistere e, pertanto, continua ad operare la
fascia di rispetto di cui al richiamato articolo 96 del T.U.
La citata relazione, poi, non dà assolutamente conto di eventuali
spostamenti del corso d’acqua e del suo alveo originario, a seguito dei
lavori di sistemazione, sì da poter ritenere che la fascia di rispetto
risulti per tal modo, sia pure in via successiva, rispettata dalle opere
realizzate dalla signora Gi..
Né può assumersi che, essendo venuto meno l’originario argine per effetto
dei lavori di incanalamento, venga a mancare il punto di riferimento dal
quale è stata rilevata l’originaria irregolare distanza.
Vi è, infatti, che non essendovi agli atti prova di un avvenuto spostamento
del corso d’acqua originario per effetto dei lavori di tombinatura, deve
ritenersi che il margine esterno del corso d’acqua, quale originariamente
rilevato, continui a sussistere, in tal modo costituendo elemento fondante
dell’avvenuta violazione della distanza legale.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, deve, pertanto,
ritenersi l’infondatezza del motivo di appello e la legittimità del
provvedimento demolitorio impugnato.
Tanto, peraltro, non esclude che, in sede di esecuzione dell’ingiunzione di
demolizione, possa essere nuovamente verificato il rispetto della distanza
legale in relazione ad un eventuale spostamento del corso d’acqua (non
emerso nella presente sede giurisdizionale) verificatosi a seguito dei
lavori di sistemazione stradale e di tombinatura.
Con il secondo motivo di appello viene lamentata violazione e falsa
applicazione dell’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523 del 25.07.1904.
Parte appellante deduce l’erroneità della gravata sentenza per non avere
colto il fine precipuo della norma, che non è quello di impedire tout court
la realizzazione di qualsiasi opera nella fascia di rispetto fluviale, ma
unicamente di impedire quelle opere che ostacolino il libero deflusso delle
acque.
Rileva, pertanto, che la realizzazione di un muro in blocchetti di cemento e
di un cancello, aventi funzione di mera recinzione, non rientrano
nell’ambito delle opere vietate dal richiamato articolo 96 e non possono
costituire ostacolo al libero deflusso delle acque.
Il motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’art. 96, lett. f), del
R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa, “fabbriche”
e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione ampia e, come
tale, onnicomprensiva di ogni forma di edificazione che venga ad occupare la
fascia di rispetto, la quale, in relazione al carattere assoluto del
divieto, normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le sue caratteristiche, sia
idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei
necessari lavori di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è finalizzata
esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche il libero deflusso delle acque e ad assicurare le
normali operazioni di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in blocchetti di cemento
sormontato da inferriata (quale evincibile dalla documentazione fotografica
versata in atti) costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo e, dunque, in
relazione alla sua vicinanza al torrente Mandrelle (sia pur tombinato), la
sua idoneità ad impedire un adeguato spazio di manovra per le operazioni di
pulitura e manutenzione.
Il mezzo di gravame è, dunque, infondato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Risulta
dirimente, ai fini della infondatezza della censura
sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto
di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del
R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in modo
assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese
i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di
terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei
regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e
scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli
argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha
carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita
solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non
potendo la stessa essere rimessa alla determinazione
individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza costantemente ritiene che il
divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi
d’acqua, previsto dall’articolo 96, lett. f), del T.U.
25.07.1904, n. 523, ha carattere legale, assoluto ed
inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di
inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di
ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle
acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata nella
finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria degli
spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare
scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva rispetto
ai rischi per le persone e per le cose che potrebbero
derivare da esondazioni.
Ciò posto, dal carattere assoluto del richiamato vincolo di
inedificabilità discende la natura vincolata (in termini
repressivi) dell’azione amministrativa conseguente
all’accertamento della violazione della distanza legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di
altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a
maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur
in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma,
dando luogo a condotte contra legem, costituiscono elementi
che non possono in alcun modo fondare l’illegittimità di una
sanzione demolitoria irrogata in presenza di violazione
della distanza legale.
---------------
La sopravvenuta
circostanza della copertura del torrente e
dell’incanalamento delle relative acque non appare elemento
dirimente per ritenere che l’ordine di demolizione non possa
essere emesso, per essere i manufatti non violativi della
normativa in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero, affermato che i vincoli previsti dal R.D.
n. 523 del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua
tombinati, atteso che, a parte il caso che possano o meno
essere riportati in qualsiasi momento allo stato precedente,
anche per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio
di manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione
e ripulitura delle condutture.
---------------
Il
divieto recato dall’articolo 96, lettera f), del R.D. n.
523/1904 concerne, per quanto in questa sede interessa,
“fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, la fascia di rispetto non è finalizzata
esclusivamente a garantire la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali, ma anche il libero deflusso delle
acque e ad assicurare le normali operazioni di pulitura e
manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata costituisce
certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente (sia
pur tombinato), la sua idoneità ad impedire un adeguato
spazio di manovra per le operazioni di pulitura e
manutenzione.
---------------
Viene, invero, lamentata l’intima contraddizione del
comportamento della Regione, la quale, da una parte ha
ingiunto la demolizione delle opere realizzate dal privato a
distanza inferiore a 10 metri, mentre dall’altra ha
consentito la completa sistemazione dell’area da parte del
Comune attraverso la canalizzazione del ruscello tramite
tubi in cemento armato, la sistemazione della strada
interpoderale (sita al lato opposto del ruscello rispetto
alla proprietà Gi.) e la realizzazione sulla stessa di opere
di messa in sicurezza quali guard rail.
La doglianza non è meritevole di favorevole considerazione,
non risultando assolutamente comparabili le situazioni messe
a raffronto dall’appellante per dedurre la contraddittorietà
e l’illogicità dell’azione amministrativa.
Invero, a differenza dei manufatti realizzati dalla signora
Gi., gli interventi eseguiti dal Comune ed autorizzati dalla
Regione risultano essere opere pubbliche e di interesse
pubblico, delle quali è stata previamente verificata, da
parte dell’autorità competente, la compatibilità con le
esigenze di tutela della risorsa idrica.
Va, inoltre, considerato che la strada era preesistente e,
dunque, per quanto emerge dalle stesse affermazioni
dell’appellante, si è trattato di sistemazione di un’opera
che già insisteva al margine del torrente Mandrelle.
In disparte a quanto sopra rilevato, risulta, poi,
dirimente, ai fini della infondatezza della censura
sollevata, il riferimento alla natura assoluta del divieto
di costruzione previsto dall’articolo 96, lettera f), del
R.D. n. 523 del 1904.
La norma così dispone: “Sono lavori ed atti vietati in
modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti:…f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento di
terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Dunque, in mancanza di diverse prescrizioni da parte dei
regolamenti locali, vi è divieto di realizzare fabbriche e
scavi a distanza inferiore di dieci metri dal piede degli
argini, espressamente sancendo la norma che tale divieto ha
carattere “assoluto”.
Pertanto, una deroga a tale limite normativo è consentita
solo da differenti prescrizioni dei regolamenti locali, non
potendo la stessa essere rimessa alla determinazione
individuale dell’autorità amministrativa.
Orbene, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons.
Stato, IV, 22.06.2011 n. 3781; Trib. sup. acque, 24.06.2010,
n. 104) costantemente ritiene che il divieto di costruzione
di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto
dall’articolo 96, lett. f), del T.U. 25.07.1904, n. 523, ha
carattere legale, assoluto ed inderogabile.
Si afferma, in proposito, che tale vincolo di
inedificabilità è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
il libero deflusso delle stesse, garantendo le operazioni di
ripulitura e manutenzione ed impedendo le esondazioni delle
acque.
Dunque, la ratio della disposizione va individuata
nella finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria
degli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del
regolare scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva
rispetto ai rischi per le persone e per le cose che
potrebbero derivare da esondazioni.
Ciò posto, osserva il Collegio che dal carattere assoluto
del richiamato vincolo di inedificabilità discende la natura
vincolata (in termini repressivi) dell’azione amministrativa
conseguente all’accertamento della violazione della distanza
legale.
A tanto consegue che una eventuale mancata repressione di
altra opera realizzata a distanza inferiore ovvero, a
maggior ragione, l’avvenuta autorizzazione della stessa pur
in mancanza della distanza di 10 metri prevista dalla norma,
dando luogo a condotte contra legem, costituiscono
elementi che non possono in alcun modo fondare
l’illegittimità di una sanzione demolitoria irrogata in
presenza di violazione della distanza legale.
Per le ragioni sopra esposte, dunque, non è configurabile il
lamentato vizio di contraddittorietà dell’azione
amministrativa.
...
Osserva, di poi, la
Sezione, in disparte a quanto sopra rilevato, che in ogni
caso la sopravvenuta circostanza della copertura del
torrente e dell’incanalamento delle relative acque non
appare, allo stato degli atti, elemento dirimente per
ritenere che l’ordine di demolizione non dovesse essere
emesso, per essere i manufatti non violativi della normativa
in materia di distanze.
Deve, in proposito, in primo luogo essere evidenziato che la
copertura del corso d’acqua non ne determina la eliminazione
e, pertanto, non vengono meno, per tale circostanza, le
ragioni di tutela che presiedono al vincolo di
inedificabilità assoluto operante nella fascia di rispetto
di legge.
E’ stato, invero affermato (cfr. Trib. sup. acque,
18.02.2014, n. 44) che i vincoli previsti dal R.D. n. 523
del 1904 sussistono anche per i corsi d’acqua tombinati,
atteso che, a parte il caso che possano o meno essere
riportati in qualsiasi momento allo stato precedente, anche
per tali corsi d’acqua occorre consentire uno spazio di
manovra, nel caso di necessarie attività di manutenzione e
ripulitura delle condutture.
...
Osserva il Collegio che il divieto recato dall’articolo 96,
lettera f), del R.D. n. 523/1904 concerne, per quanto in
questa sede interessa, “fabbriche” e “scavi”.
Trattasi, in relazione alle opere vietate, di definizione
ampia e, come tale, onnicomprensiva di ogni forma di
edificazione che venga ad occupare la fascia di rispetto, la
quale, in relazione al carattere assoluto del divieto,
normativamente previsto, deve rimanere libera.
In particolare, la formula ampia utilizzata dal legislatore
consente di ricomprendervi qualsiasi manufatto che, per le
sue caratteristiche, sia idoneo a compromettere il libero
deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori
di manutenzione.
Invero, come sopra già esposto, la fascia di rispetto non è
finalizzata esclusivamente a garantire la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ma anche il libero
deflusso delle acque e ad assicurare le normali operazioni
di pulitura e manutenzione.
Orbene, la realizzazione di un muro di recinzione in
blocchetti di cemento sormontato da inferriata (quale
evincibile dalla documentazione fotografica versata in atti)
costituisce certamente opera rientrante nel concetto di “fabbrica”,
attesa la sua consistenza, il carattere stabile e duraturo
e, dunque, in relazione alla sua vicinanza al torrente
Mandrelle (sia pur tombinato), la sua idoneità ad impedire
un adeguato spazio di manovra per le operazioni di pulitura
e manutenzione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.11.2019 n. 7695 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Appartiene
alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP),
prevista dall'art. 143, R.D. 1775/1933, la controversia relativa a
provvedimenti assunti in tema di concessione edilizia sotto qualunque
profilo, laddove si contesti la violazione della fascia di rispetto di dieci
metri dal piede dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), R.D. 523/1904.
Detto provvedimento, infatti, ancorché emanato da un'autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, incide direttamente
sul regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha carattere
inderogabile in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso delle
acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.
---------------
Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione.
Esiste un costante orientamento dei TAR circa il difetto di giurisdizione in
controversie come quella in esame.
In più occasioni è stato affermato che appartiene alla giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, prevista dall'art. 143, R.D.
1775/1933, la controversia relativa a provvedimenti assunti in tema di
concessione edilizia sotto qualunque profilo, laddove si contesti la
violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede dell'argine, ai
sensi dell'art. 96, lett. f), R.D. 523/1904; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente preposte
alla tutela delle acque, incide direttamente sul regolare regime delle acque
pubbliche, la cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla
ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle
acque demaniali e il libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi,
torrenti, canali e scolatoi pubblici
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.06.2019 n. 965 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recinzione
in prossimità dell’argine di un fiume.
In considerazione di
quello che è l’interesse pubblico perseguito
dal RD 368/1904, deve ritenersi che la norma
si applichi a tutti i manufatti in grado di
interferire con la pulizia delle sponde,
l’uso degli argini e il normale alveo del
corso d’acqua.
Ne consegue che manufatto costituito da un
basamento in cemento armato sormontato da
una rete metallica va qualificato una
“fabbrica” assoggettata alle prescrizioni
dell’articolo 133 R.D. n. 368/1904 che
indica gli atti o fatti vietati in modo
assoluto rispetto ai “corsi d'acqua, strade,
argini ed altre opere d'una bonificazione”
(fattispecie relativa a una recinzione che
sorge a 1,20 m. dalla mezzeria di un canale)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.05.2019 n. 1074 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
7.1. Il ricorso è infondato: il che consente
di prescindere, per ragioni di economia
processuale, dalla disamina delle eccezioni
preliminari sollevate sia dalla difesa del
Comune, che da quella del Consorzio (cfr.,
TAR Lazio–Roma, Sez. III, sentenza n.
9086/2016).
7.2. Il ragionamento deve necessariamente
muovere dal dato normativo.
Ebbene, il R.D. n. 368/1904 (recante il “Regolamento
sulle bonificazioni delle paludi e dei
terreni paludosi”) all’articolo 133
disciplina le fasce di inedificabilità
assoluta rispetto a «corsi d’acqua, strade,
argini ed altre opere d’una bonificazione».
In particolare, per quanto qui di interesse,
la testé richiamata disposizione
regolamentare vieta in una fascia compresa
tra i 4 e i 10 m. dal corso d’acqua la
realizzazione di “fabbriche” o “fabbricati”.
Ed, infatti, la deliberazione consortile n.
125 del 31.05.2007, in esecuzione della
suvvista disposizione, esercitando la
discrezionalità riconosciutagli all’interno
dell’intervallo predeterminato dalla norma,
ha fissato in 6 m. la fascia di rispetto per
i canali derivatori.
7.3.1. Sennonché, è irrilevante che la
recinzione di cui si discute sia stata
realizzata prima della su ricordata
deliberazione consortile, posto che non è in
contestazione che essa sorge a 1,20 m. dalla
mezzeria del canale, quindi comunque entro
la minor fascia di 4 m. fissata dal R.D. n.
168/1904, ovverosia in area comunque
assoggettata a vincolo di inedificabilità.
Questo significa che in nessun caso la
recinzione avrebbe potuto essere collocata
in quel punto.
E significa, altresì, che, giusta quanto
dispone l’articolo 33, primo comma, lettera
a), L. n. 47/1985, espressamente richiamato
dall’articolo 32, comma 27, D.L. n. 269/2003
(convertito in L. n. 326/2003), il manufatto
in alcun modo non è sanabile.
7.3.2. Né può sostenersi che la recinzione
non costituisca una “fabbrica” e,
dunque, non sia assoggettata alle
prescrizioni dell’articolo 133 R.D. n.
368/1904.
Come condivisibilmente osservato dalla
difesa del Consorzio, in considerazione di
quello che è l’interesse pubblico
perseguito, deve ritenersi che la norma si
applichi a tutti i manufatti in grado di
interferire con la pulizia delle sponde,
l’uso degli argini e il normale alveo del
corso d’acqua. E, nel caso di specie, il
manufatto è costituito da un basamento in
cemento armato sormontato da una rete
metallica: il che ne fa sicuramente una “fabbrica”
ai fini sopra visti.
7.3.3. Nemmeno può opporsi –così come tenta
di fare la difesa di parte ricorrente- che
la recinzione di cui si discute è allineata
alla recinzione di altre proprietà che
costeggiano il canale e che recentemente
anche il Comune ha realizzato dall’altra
parte del canale una palizzata a protezione
della pista ciclabile.
Infatti, anche ammettendo che le allegazioni
siano confermate, non costituisce certo
causa di illegittimità l’essersi l’Autorità
procedente allontanata da una prassi
illegittima (cfr., TAR Emilia Romagna–Parma,
sentenza n. 242/2016). La violazione di una
norma di legge non repressa non legittima
affatto la reiterazione della violazione
medesima (cfr., TAR Toscana, Sez. III,
sentenza n. 507/2015).
7.4. In questo quadro, il ritiro in
autotutela di un provvedimento (i.e.
il permesso di costruire in sanatoria) che
ab origine non avrebbe potuto essere
rilasciato si configura come atto vincolato
(cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n.
2799/2018), come tale non necessitante di
una motivazione ulteriore rispetto ai
presupposti che legittima l’esercizio di un
potere nella sostanza repressivo (cfr.,
C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 3659/2018).
7.5. Infine, il richiamo operato dalla
revoca in autotutela del permesso di
costruire in sanatoria alle sanzioni
previste dall’articolo 26 del Regolamento
consortile è privo di valenza
provvedimentale, costituendo un semplice
avviso rispetto a provvedimenti che saranno
adottati in un secondo momento e a poteri
ancora da esercitare.
8.1. In conclusione, il ricorso è infondato
e per questo viene respinto. |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo disposto dal citato art. 96, lett. f),
del R.D. 25.07.1904 n. 523 implica l'inedificabilità
assoluta delle aree poste a distanza minore di metri 10 dal
piede degli argini.
La giurisprudenza, al riguardo, ha
chiarito che:
- “comporta vincolo inderogabile di inedificabilità ex art. 33, 1.
28.02.1985 n. 47, tale da precludere il rilascio di
concessione in sanatoria, l'art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904 n. 523, secondo cui sono lavori ed atti vietati
in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti: ... f) ... le fabbriche ... a distanza
dal piede degli argini e loro accessori minore di ( ... )
metri dieci”;
- “a nulla rilevano le intenzioni manifestate o meno dalla parte
interessata quanto alla possibile demolizione di un
manufatto abusivo adiacente ad un torrente, dovendosi
unicamente avere riguardo all'esistenza di un vincolo di
inedificabilità assoluta entro i dieci metri dalla sponda
del corso d'acqua pubblica, con il conseguente obbligo per
l'ente vigilante d'imporne la demolizione indipendentemente
dal consenso o dissenso del soggetto interessato, ai sensi
dell'art. 33, legge n. 47 del 1985, poiché in nessun modo
l'abuso edilizio realizzato in violazione di una norma
inderogabile potrebbe essere sanato considerandolo come
un'opera a difesa della sponda, trattandosi di un volume
edilizio costruito per tutt'altro scopo”.
- il vincolo in questione è efficace e cogente sia nel caso in cui
il corso d'acqua sia stato coperto da una strada pubblica
(Tribunale superiore delle acque pubbliche, n. 30/1990) sia
nel caso in cui l'acqua demaniale non sia suscettibile di
utilizzazione a fini pubblici o collettivi.
L'art. 93 del RD n. 523/1904, inoltre, stabilisce che
“formano parte degli alvei i rami o canali, o diversivi dei
fiumi, torrenti, rivi e scolatoi pubblici, ancorché in
alcuni tempi dell'anno rimangono asciutti”.
---------------
2.5. Sotto altro profilo, il vincolo di inedificabilità
entro la fascia di rispetto di dieci metri dal corso
d'acqua, diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, non
è stato apposto in epoca successiva alla data di
realizzazione del manufatto, trattandosi di limite
inderogabile imposto ex lege dall'art. 96, lett. f),
del Regio Decreto 25.07.1904 n. 523, entrato in vigore in
epoca molto precedente alla realizzazione dell'opera.
In particolare, il vincolo disposto dal citato art. 96,
lett. f), del Regio Decreto 25.07.1904 n. 523 implica l'inedificabilità
assoluta delle aree poste a distanza minore di metri 10 dal
piede degli argini.
La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che:
- “comporta vincolo inderogabile di inedificabilità ex art. 33,
l. 28.02.1985 n. 47, tale da precludere il rilascio di
concessione in sanatoria, l'art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904 n. 523, secondo cui sono lavori ed atti vietati
in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti: ... f) ... le fabbriche ... a distanza
dal piede degli argini e loro accessori minore di ( ... )
metri dieci” (TAR Veneto, Sez. II, n. 2795/2003);
- “a nulla rilevano le intenzioni manifestate o meno dalla parte
interessata quanto alla possibile demolizione di un
manufatto abusivo adiacente ad un torrente, dovendosi
unicamente avere riguardo all'esistenza di un vincolo di
inedificabilità assoluta entro i dieci metri dalla sponda
del corso d'acqua pubblica, con il conseguente obbligo per
l'ente vigilante d'imporne la demolizione indipendentemente
dal consenso o dissenso del soggetto interessato, ai sensi
dell'art. 33, legge n. 47 del 1985, poiché in nessun modo
l'abuso edilizio realizzato in violazione di una norma
inderogabile potrebbe essere sanato considerandolo come
un'opera a difesa della sponda, trattandosi di un volume
edilizio costruito per tutt'altro scopo” (Tribunale
superiore delle acque pubbliche, n. 91/2003; v., in senso
conforme, anche TAR Toscana, Sezione III, n. 277/2003 e
Tribunale superiore delle acque pubbliche, n. 31/1999).
- il vincolo in questione è efficace e cogente sia nel caso in cui
il corso d'acqua sia stato coperto da una strada pubblica
(Tribunale superiore delle acque pubbliche, n. 30/1990) sia
nel caso in cui l'acqua demaniale non sia suscettibile di
utilizzazione a fini pubblici o collettivi (TAR Toscana, n.
81/1981).
L'art. 93 del Regio Decreto n. 523/1904, inoltre, stabilisce
che “formano parte degli alvei i rami o canali, o
diversivi dei fiumi, torrenti, rivi e scolatoi pubblici,
ancorché in alcuni tempi dell'anno rimangono asciutti”.
Vanno respinti, pertanto, i primi quattro motivi di ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.05.2018 n. 1288 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di costruzione di opere dagli argini
dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e
inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il
libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici.
La deroga di cui alla lett. f) del citato art. 96, per cui
la distanza minima si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” ha carattere eccezionale e,
per prevalere sulla norma generale, essere specificamente
diretta a tutelare il deflusso delle acque e la distanza
dagli argini delle costruzioni, in ossequio altresì alla
normativa statale di tutela del vincolo idrogeologico e
delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la
norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi
l'eventuale deroga.
Sicché va condiviso quanto statuito dai giudici di prime
cure laddove precisano che “solo se lo scopo dell'attività
costruttiva lungo il corso d'acqua è quello specifico di
salvaguardarne il regime idraulico la disciplina locale
assume valenza derogatoria della norma statale, in quanto
meglio ne attua l'interesse pubblico perseguito. In caso
contrario, qualora la norma locale si proponesse finalità
diverse, quali sono ad es. quelle meramente urbanistiche,
essa non derogherebbe alla citata disciplina statale che -in
quanto informata a tutelare il buon regime delle acque
pubbliche nonché a prevenire i danni che possono derivare da
una disordinata attività costruttiva e manutentiva lungo i
corsi d'acqua- impone divieti da qualificarsi come
tassativi”.
---------------
Nessuna opera realizzata in violazione della norma può
essere sanata ed è legittimo il diniego di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria relativamente a fabbricati
realizzati all'interno della c.d. fascia di servitù
idraulica integrante ex se, ai sensi dell’art. 33 l.
28.02.1985 n. 47, un vincolo d’inedificabilità.
---------------
1. È appellata la sentenza del TAR LOMBARDIA - SEZ. STACCATA
DI BRESCIA, SEZIONE II n. 1231/2011, con la quale ha
respinto i ricorsi riuniti rispettivamente proposti da
S.r.l. O.S.C. impianti avverso il parere sfavorevole, sotto
il profilo idraulico, pronunciato il 25.07.1996 dal Genio
civile, relativo alla realizzazione, in assenza di
concessione edilizia, di due depositi nonché il diniego di
concessione edilizia in sanatoria, opposto dal Sindaco di
Cellatica il 10.10.1996, con richiamo al parere negativo
25.07.1996 del Genio Civile e la conseguente ordinanza di
demolizione n. 21, emessa in pari data.
2. Nei motivi d’appello, la società ha dedotto gli errori di
giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure
per aver omesso di scrutinare l’assenza nel parere
sfavorevole di alcuna concreta valutazione sulla
compatibilità dei manufatti che non impediscono od
ostacolano il libero deflusso delle acque del torrente
Mandolossa.
Pretermettendo di considerare, lamenta ancora al società, la
deroga contenuta nell’art. 96, lett. f), R.D. 523/1904.
3. Si è costituta in giudizio la regione Lombardia.
4. Alla pubblica udienza del 21.11.2017 la causa, su
richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
6. Il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi
d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n.
523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è
diretto al fine di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.
6.1 La deroga di cui alla lett. f) del citato art. 96, per
cui la distanza minima si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” ha carattere eccezionale
e, per prevalere sulla norma generale, essere specificamente
diretta a tutelare il deflusso delle acque e la distanza
dagli argini delle costruzioni, in ossequio altresì alla
normativa statale di tutela del vincolo idrogeologico e
delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la
norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi
l'eventuale deroga.
Sicché va condiviso quanto statuito dai giudici di prime
cure laddove precisano che “solo se lo scopo
dell'attività costruttiva lungo il corso d'acqua è quello
specifico di salvaguardarne il regime idraulico la
disciplina locale assume valenza derogatoria della norma
statale, in quanto meglio ne attua l'interesse pubblico
perseguito. In caso contrario, qualora la norma locale si
proponesse finalità diverse, quali sono ad es. quelle
meramente urbanistiche, essa non derogherebbe alla citata
disciplina statale che -in quanto informata a tutelare il
buon regime delle acque pubbliche nonché a prevenire i danni
che possono derivare da una disordinata attività costruttiva
e manutentiva lungo i corsi d'acqua- impone divieti da
qualificarsi come tassativi”.
6.2 Nel caso in esame è assente la specifica disciplina di
natura idraulica.
6.3 A corollario, nessuna opera realizzata in violazione
della norma può essere sanata ed è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente
a fabbricati realizzati all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica integrante ex se, ai sensi
dell’art. 33 l. 28.02.1985 n. 47, un vincolo d’inedificabilità.
6.4 Il diniego di sanatoria opposto dal Sindaco di Cellatica
è atto: la legittimità del parere del Genio civile, preclude
in radice la sanabilità delle opere.
6.5 L’ordinanza di demolizione, a sua volta, scaturisce, ex
artt. 31 e 33 d.P.R. n. 380/2001, in presa diretta
dall’abusività delle opere non suscettibili di sanatoria.
6.6 Conclusivamente l’appello deve essere respinto
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.01.2018 n. 102 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 143 del R.D. n. 1775/1933,
appartengono alla cognizione del Tribunale superiore delle
acque pubbliche i ricorsi avverso i provvedimenti presi
dall’amministrazione in materia di acque pubbliche.
Sicché, laddove venga rilevata la mancata osservanza, in
caso di costruzioni o, come nella specie, di recinzioni,
fisse o amovibili, delle distanze prescritte rispetto al
canale o all’argine di un torrente o fiume, si prospetta una
situazione incidente in maniera diretta e immediata sulla
regolamentazione delle acque pubbliche, con conseguente
diretta incidenza del provvedimento de quo sul regolare
regime delle stesse, il che implica la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, atteso il
carattere inderogabile della tutela all’uopo apprestata
dall’ordinamento.
Tale conclusione resta valida anche se il canale cui fa
riferimento l’impugnato diniego, non risulta iscritto
nell’elenco delle acque pubbliche. Infatti l’art. 1, comma
1, della legge n. 36/1994 (vigente al momento dell’adozione
dell’atto impugnato), secondo cui tutte le acque
superficiali e sotterranee sono pubbliche e rappresentano
una risorsa utilizzata in base a criteri di solidarietà,
sposta la pubblicità delle acque sul regime di utilizzo
piuttosto che sul regime di proprietà, restando fermo il
requisito della concreta utilizzabilità per uso di pubblico
interesse.
Pertanto, anche a prescindere dall’iscrizione nell’elenco
delle acque pubbliche, la controversia non rientra
nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo.
A tale riguardo, va invero, ribadito il principio affermato
in giurisprudenza e condiviso dalla Sezione, secondo cui
appartiene alla giurisdizione del Tribunale superiore delle
acque pubbliche, prevista dall'art. 143 del r.d. 11.12.1933,
n. 1775, la controversia relativa ai provvedimenti assunti
dall'autorità comunale in ragione dell'edificazione di opere
in violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal
piede dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.
---------------
Oggetto del ricorso in esame è il provvedimento con il quale
l’amministrazione comunale di Nembro è intervenuta a
sanzionare, mediante l’ordine di rimozione, una serie di
opere consistenti nella realizzazione di recinzioni
collocate lungo il tratto della valletta demaniale
denominata Rio Lujo.
Dette opere risultano essere state realizzate in difformità
rispetto a quanto prescritto dal Genio Civile di Bergamo in
occasione del rilascio dell’autorizzazione, parzialmente in
sanatoria, per quanto riguarda le recinzioni correnti lungo
il corso della valletta in corrispondenza con i mappali di
proprietà dei ricorrenti, non rispettando le distanze
imposte dalla circolare adottata dal Servizio del Genio
Civile in applicazione del disposto di cui all’art. 96 del
R.D. 523/1904, insistendo su tale tratto della valletta così
da costituire un pericolo per il normale deflusso delle
acque, oltre a intercludere e occupare aree demaniali.
L’ordine di rimozione impartito dal Comune con i
provvedimenti impugnati è conseguenza della espressa
segnalazione effettuata dal Servizio di Vigilanza della
Comunità Montana Valle Seriana che aveva rilevato la
presenza di recinzioni ostruenti la valletta, nonché della
comunicazione effettuata il 17.08.2000 dalla Direzione
Generale del Genio Civile di Bergamo.
Ciò premesso, occorre considerare che, ai sensi dell’art.
143 del R.D. n. 1775/1933, appartengono alla cognizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi avverso
i provvedimenti presi dall’amministrazione in materia di
acque pubbliche.
Orbene, laddove venga rilevata la mancata osservanza, in
caso di costruzioni o, come nella specie, di recinzioni,
fisse o amovibili, delle distanze prescritte rispetto al
canale o all’argine di un torrente o fiume, si prospetta una
situazione incidente in maniera diretta e immediata sulla
regolamentazione delle acque pubbliche, con conseguente
diretta incidenza del provvedimento de quo sul
regolare regime delle stesse, il che implica la
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
atteso il carattere inderogabile della tutela all’uopo
apprestata dall’ordinamento (Cass., S.U., 12/05/2009, n.
10845; TAR Toscana, III, 06/04/2010, n. 938; TAR Campania,
Napoli, VIII, 07/12/2009, n. 8602).
Tale conclusione resta valida anche se il canale cui fa
riferimento l’impugnato diniego, non risulta iscritto
nell’elenco delle acque pubbliche. Infatti l’art. 1, comma
1, della legge n. 36/1994 (vigente al momento dell’adozione
dell’atto impugnato), secondo cui tutte le acque
superficiali e sotterranee sono pubbliche e rappresentano
una risorsa utilizzata in base a criteri di solidarietà,
sposta la pubblicità delle acque sul regime di utilizzo
piuttosto che sul regime di proprietà, restando fermo il
requisito della concreta utilizzabilità per uso di pubblico
interesse (Cass., I, 11/01/2001, n.315; Corte
Costituzionale, 19/07/1996, n. 259).
Pertanto, anche a prescindere dall’iscrizione nell’elenco
delle acque pubbliche, la controversia non rientra
nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo.
A tale riguardo, va invero, ribadito il principio affermato
in giurisprudenza e condiviso dalla Sezione (cfr. Tar
Piemonte, I, n. 427/2013), secondo cui appartiene alla
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
prevista dall'art. 143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la
controversia relativa ai provvedimenti assunti dall'autorità
comunale in ragione dell'edificazione di opere in violazione
della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici
(Cass. civ. Sez. Unite, 12.05.2009 n. 10845; Cons. Giustizia
Amministrativa Sicilia 26.05.2010, n. 740; Cons. Stato, sez.
IV, 22.06.2011, n. 3781; TAR Lazio Roma, sez. II-quater
24.04.2012, n. 3740).
Risultando indubbio il contenuto del provvedimento
censurato, che non contesta alcun abuso di natura edilizia,
ma rileva la difformità di quanto realizzato rispetto
all’autorizzazione idraulica, il mancato rispetto delle
distanze ed è stato determinato proprio da una segnalazione
dell’Ufficio del Genio Civile che aveva rilevato la presenza
di opere suscettibili di creare impedimenti al deflusso
della acque lungo la valletta, alla stregua di tali principi
il ricorso in esame, va dichiarato inammissibile per difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo, dovendo
affermarsi la competenza del Tribunale superiore delle acque
pubbliche, dinanzi al quale il processo potrà essere
riassunto nei termini di rito (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 18.12.2017 n. 1461 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo il consolidato orientamento
giurisdizionale, già fatto proprio in precedenza anche da
questo Tribunale, appartiene alla giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, nell’ambito della
previsione normativa di cui all'art. 143 r.d. 11.12.1933, n.
1775, la controversia riferita “al diniego di rilascio di
concessione in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in
ragione dell'edificazione dell'immobile da condonare in
violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici”.
Il tenore dell’art. 143 del r.d. 11.12.1933 n. 1775 è
peraltro nel senso di non escludere che la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque pubbliche possa essere
estesa anche ai provvedimenti demolitori, suscettibili di
incidere anch’essi su manufatti situati in prossimità dei
corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella fascia
di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro confermato da
precedenti arresti giurisprudenziali.
---------------
Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione di
difetto di giurisdizione, stante la preminenza
dell’accertamento della potestas decidendi rispetto
alla decisione di merito e con preminenza anche rispetto
alle altre eccezioni avanzate in giudizio.
L’eccezione di difetto di giurisdizione è fondata.
Secondo il consolidato orientamento giurisdizionale, già
fatto proprio in precedenza anche da questo Tribunale,
appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle
Acque pubbliche, nell’ambito della previsione normativa di
cui all'art. 143 r.d. 11.12.1933, n. 1775, la controversia
riferita “al diniego di rilascio di concessione in
sanatoria, opposto dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare in violazione
della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici
(TAR Firenze, sez. III, 20/12/2016 n. 1824; idem,
26/09/2014, n. 1497; Cass. civ., SS.UU., 12.05.2009)”.
Il tenore dell’art. 143 del r.d. 11.12.1933 n. 1775 è
peraltro nel senso di non escludere che la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque pubbliche possa essere
estesa anche ai provvedimenti demolitori, suscettibili di
incidere anch’essi su manufatti situati in prossimità dei
corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella fascia
di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro confermato da
precedenti arresti giurisprudenziali (TAR Emilia
Romagna-Bologna Sez. I, 16/07/2012, n. 495; TAR Piemonte
Sez. I, 19/10/2000, n. 1024 e Cass. civ., SS.UU. Ord.,
14/06/2006, n. 13692.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, per
difetto di giurisdizione, con compensazione delle spese di
giudizio (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 11.12.2017 n. 1529 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La questione in esame rientra nella giurisdizione
del Tribunale Superiore delle acque pubbliche ove si
consideri che è stato impugnato per vizi tipici di
legittimità un provvedimento adottato dall’amministrazione a
tutela delle acque pubbliche, ed in particolare al fine di
garantire l’intangibilità della fascia di rispetto del fiume
normativamente individuata (cfr. art. 143, lett. a).
Ed infatti, qualora il provvedimento dell’amministrazione
sia motivato, come nel caso di specie, in base alla
dislocazione dell’immobile oggetto di sanatoria in
corrispondenza dell’argine di un corso d’acqua pubblico,
rileva una situazione incidente in maniera diretta e
immediata sulla regolamentazione delle acque pubbliche, con
conseguente diretta interferenza sul regolare regime delle
stesse, il che implica la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, atteso il carattere
inderogabile della tutela all’uopo apprestata
dall’ordinamento.
La giurisdizione del menzionato Tribunale superiore, sancita
da tale norma, ha per oggetto, difatti, i ricorsi -quale,
appunto, quello in epigrafe- avverso i provvedimenti
amministrativi che, pur se promananti da autorità diverse da
quelle preposte al settore, come nella specie, sono
caratterizzati dall'incidenza immediata e diretta sulla
materia delle acque pubbliche interferendo con corsi d’acqua
pubblici, come nella specie.
Ed invero, più in generale, secondo la giurisprudenza della
Cassazione e del Consiglio di Stato: “L’art. 143 del r.d.
11.12.1933, n. 1775, in tema di giurisdizione del TSAP, si
attaglia a tutti i provvedimenti amministrativi che, pur
costituendo esercizio di un potere non prettamente attinente
alla materia, riguardino comunque l’utilizzazione del
demanio idrico, incidendo in maniera diretta ed immediata
sul regime delle acque pubbliche, restando escluse solo le
controversie in cui tale incidenza si manifesti in via del
tutto marginale o riflessa”.
La giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, ritiene
sussistente la giurisdizione amministrativa solo per le
controversie che incidono via “indiretta” e “mediata” sul
regime delle acque pubbliche.
---------------
2. Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per difetto
di giurisdizione in presenza di controversia devoluta, ai
sensi dell’art. 143 del R.D. n. 1775/1933, alla cognizione
del Tribunale Superiore delle acque pubbliche.
Nel caso in esame si controverte in ordine alla legittimità
del provvedimento prot. n. 36723 del 07.07.2016 con cui il
Comune di Montesilvano ha respinto l’istanza inoltrata dalla
ricorrente per la demolizione e ricostruzione di un
fabbricato commerciale situato in via Maresca n. 33
recependo il parere negativo vincolante del Genio Civile
adottato con atto prot. 113362/RA del 28.04.2015 con la
seguente motivazione: “l’area adiacente al fabbricato da
ristrutturare, indicata sia in pianta che nel prospetto su
via Maresca con la dicitura “terrapieno”, nella realtà dei
fatti, è un argine del Fiume Saline. Il fabbricato oggetto
di intervento interessa detto argine destro del corso
d’acqua citato. Lo stesso fabbricato ricade all’interno
della perimetrazione del psda”.
Per quanto rileva in questa sede, il r.d. n. 1775 del 1933,
recante Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque
e impianti elettrici, nel delineare all’art. 140 la
competenza giurisdizionale del Tribunale delle Acque
Pubbliche, stabilisce altresì all’art. 143 che: “Appartengono
alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche:
a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per
violazione di legge avverso i provvedimenti presi
dall'amministrazione in materia di acque pubbliche;
b) i ricorsi, anche per il merito, contro i provvedimenti
dell'autorità amministrativa adottati ai sensi degli artt.
217 e 221 della presente legge; e contro i provvedimenti
adottati dall'autorità amministrativa in materia di regime
delle acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico
delle leggi sulle opere idrauliche approvato con R.D.
25.07.1904, n. 523, modificato con l'art. 22 della L.
13.07.1911, n. 774, del R.D. 19.11.1921, n. 1688, e degli
artt. 378 e 379 della L. 20.03.1865, n. 2248, all. F;
c) i ricorsi la cui cognizione è attribuita al Tribunale superiore
delle acque dalla presente legge e dagli artt. 23, 24, 26 e
28 del testo unico delle leggi sulla pesca, approvato con
R.D. 08.10.1931, n. 1604 .(…)”.
Inoltre l’art. 217 del T.U. 1775/1933 stabilisce che le
opere alle sponde dei pubblici corsi di acqua che possono
alterare o modificare le condizioni delle derivazioni o
della restituzione delle acque derivate non si possono
eseguire senza speciale autorizzazione del competente
ufficio del Genio civile e sotto l'osservanza delle
condizioni dal medesimo imposte.
Tanto premesso in diritto, si può affermare che la questione
in esame rientri nella giurisdizione del Tribunale Superiore
delle acque pubbliche ove si consideri che è stato impugnato
per vizi tipici di legittimità un provvedimento adottato
dall’amministrazione a tutela delle acque pubbliche, ed in
particolare al fine di garantire l’intangibilità della
fascia di rispetto del fiume normativamente individuata
(cfr. art. 143, lett. a).
Ed infatti, qualora il provvedimento dell’amministrazione
sia motivato, come nel caso di specie, in base alla
dislocazione dell’immobile oggetto di sanatoria in
corrispondenza dell’argine di un corso d’acqua pubblico,
rileva una situazione incidente in maniera diretta e
immediata sulla regolamentazione delle acque pubbliche, con
conseguente diretta interferenza sul regolare regime delle
stesse, il che implica la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, atteso il carattere
inderogabile della tutela all’uopo apprestata
dall’ordinamento.
La giurisdizione del menzionato Tribunale superiore, sancita
da tale norma, ha per oggetto, difatti, i ricorsi -quale,
appunto, quello in epigrafe- avverso i provvedimenti
amministrativi che, pur se promananti da autorità diverse da
quelle preposte al settore, come nella specie, sono
caratterizzati dall'incidenza immediata e diretta sulla
materia delle acque pubbliche interferendo con corsi d’acqua
pubblici, come nella specie.
Ed invero, più in generale, secondo la giurisprudenza della
Cassazione e del Consiglio di Stato: “L’art. 143 del r.d.
11.12.1933, n. 1775, in tema di giurisdizione del TSAP, si
attaglia a tutti i provvedimenti amministrativi che, pur
costituendo esercizio di un potere non prettamente attinente
alla materia, riguardino comunque l’utilizzazione del
demanio idrico, incidendo in maniera diretta ed immediata
sul regime delle acque pubbliche, restando escluse solo le
controversie in cui tale incidenza si manifesti in via del
tutto marginale o riflessa”; la giurisprudenza
amministrativa, dal canto suo, ritiene sussistente la
giurisdizione amministrativa solo per le controversie che
incidono via “indiretta” e “mediata” sul
regime delle acque pubbliche (cfr., Cass., S.S.U.U.,
18.12.1998, n. 12076; 15.07.1999, n. 403; 27.04.2005, n.
8696; 27.10.2006, n. 23070; 24.04.2007, n. 9844; 17.04.2009,
n. 9149; 12.05.2009, n. 10845; Cons. Stato, sez. VI,
17.12.2003, n. 8246; sez. V, 14.05.2004, n. 3139; sez. IV,
14.04.2006, n. 2123; sez. VI, 15.06.2006, n. 3533;
12.10.2006, n. 6070; sez. IV, 12.05.2008, n. 2192; sez. V,
12.06.2009, n. 3678; Trib. sup. acque, 18.03.2003, n. 32;
21.07.2004, n. 87; 06.10.2004, n. 100; 03.05.2005, n. 63;
06.10.2008, n. 159; 13.03.2009, n. 39; 13.07.2007, n. 123;
Tar Veneto Venezia sez. II 26.01.2015, n. 63; 09.10.2014, n.
1289 e 09.07.2014, n. 993; Tar Toscana, sez. III,
27.03.2013, n. 510; Tar Campania, Napoli, sez. VIII,
07.12.2009, n. 8602; Tar Lazio, Roma, sez. III, 22.07.2004,
n. 7232; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 12.05.2005, n. 94;
sez. IV, 29.10.2007, n. 6189; Tar Brescia, sez. I,
28.05.2007, n. 462; Milano).
E’ evidente che, nel caso trattato, l’amministrazione
resistente abbia inteso adottare un provvedimento
direttamente funzionale alla tutela del corso d’acqua
pubblico, sotto lo specifico aspetto della garanzia
riservata a quel settore di territorio protetto costituito
dall’argine di un corso d’acqua pubblico. Né rilevano le
censure sul punto mosse dalla ricorrente tenuto conto che,
anche in caso di contestazione, l’art. 2 del R.D. 523/1904
attribuisce all’amministrazione il potere di statuire e
provvedere “sulle opere di qualunque natura, (…), che
possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche”.
Va quindi declinata la giurisdizione del Tar adito fermo
restando che, ai sensi dell’art. 11, co. 1 e 2, del c.p.a.,
restano salvi gli effetti sostanziali e processuali della
domanda qui proposta se il processo sarà riassunto dinnanzi
al giudice munito di giurisdizione entro il termine di tre
mesi dal passaggio in giudicato della presente decisione
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.10.2017 n. 290 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Tribunale Superiore delle acque, oltre a
costituire giudice di secondo grado rispetto alle sentenze
emesse dai Tribunali regionali delle acque, è investito,
com’è noto, di una giurisdizione di unico grado per i
ricorsi con cui si deduce la illegittimità di tutti gli atti
amministrativi concernenti la utilizzazione delle acque;
trattasi, di una competenza generale di legittimità (art.
143 lett. a) r.d. 11.12.1933, n. 1775), simmetrica a quella
del Consiglio di Stato, in cui rientrano i ricorsi contro i
provvedimenti lesivi di interessi legittimi che incidano sul
regime delle acque pubbliche o che abbiano a riferimento ad
un’opera necessaria per l’utilizzazione delle acque.
Sono riservati alla cognizione del Tribunale Superiore,
peraltro, non già tutti i provvedimenti che abbiano un
qualche remoto collegamento con l’acqua pubblica, ma solo
quelli per i quali l’acqua pubblica costituisca l’oggetto
diretto ed immediato; onde non rientrano in tale
giurisdizione i ricorsi contro gli atti di aggiudicazione di
appalti di lavori di opere idrauliche, ovvero i
provvedimenti di determinazione delle tariffe per la
cessione delle acque.
Sussiste, pertanto, la giurisdizione di legittimità del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, a norma
dell’articolo 143, comma 1, lett. a), r.d. n. 1775/1933,
oltre che con riguardo alle questioni investenti gli
interessi pubblici connessi al regime delle acque
strettamente inteso (demanialità delle acque, contenuto o
limiti di una concessione di utenza, nonché questioni di
carattere eminentemente tecnico relative alla distribuzione
ed all’uso delle acque pubbliche ed ai diritti di
derivazione o utilizzazione dell’utenza nei confronti della
PA), ogni volta che siano impugnati provvedimenti
amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in
concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la
sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i
provvedimenti in materia di acque pubbliche, allorquando i
provvedimenti impugnati incidono direttamente ed
immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in
concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all’esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a
stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimento.
Tale giurisdizione va estesa anche ai provvedimenti che, pur
se promananti da autorità diverse da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, siano caratterizzati
dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e
concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la
localizzazione, la gestione e l'esercizio delle opere
idrauliche, ivi compresi pure i provvedimenti espropriativi
o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti per la
realizzazione dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque
influenti sulla sua localizzazione sul suo spostamento.
Tale principio rileva indipendentemente dalla ragione che
abbia determinato l'adozione di detti provvedimenti, quindi
anche se non connessi al regime delle acque e quindi anche
se resi necessari dalla tutela dell'ambiente o di un bene
artistico o da valutazioni tecniche in funzione della
salvaguardia dell'incolumità pubblica o ancora da mere
ragioni di opportunità amministrativa.
Non rientrano, per contro, in tale speciale competenza
giurisdizionale, le controversie che hanno per oggetto atti
solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad
incidere sul regime delle acque.
Pertanto può affermarsi che, mentre esulano dalla
giurisdizione del Tribunale delle Acque (e rientrano in
quella del giudice amministrativo) i provvedimenti incidenti
sulla materia e sul regime delle acque pubbliche in via
meramente strumentale ed indiretta, vi rientrino i
provvedimenti di approvazione del progetto definitivo per la
realizzazione di una centrale idroelettrica, previa V.I.A.,
gli atti concernenti la costituzione di una servitù
coattiva, mediante procedura espropriativa, per il passaggio
della condotta necessaria per la realizzazione dell'opera,
nonché il relativo permesso di costruzione, atti tutti
incidenti in maniera diretta ed immediata sul regime delle
acque pubbliche.
In particolare è stata ritenuta la sussistenza della
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
in caso di impugnativa di provvedimenti influenti sulla
localizzazione dell'opera idraulica o sul suo spostamento,
nonché sulla definizione delle sue caratteristiche e sulla
sua realizzazione, nonché sui provvedimenti di occupazione
ed espropriazione di opere necessarie per realizzare la
condotta idraulica relativa alla costruzione di una centrale
idroelettrica contestata dal titolare del fondo ove era
previsto il transito interrato di una nuova condotta di
adduzione finalizzata alla canalizzazione delle acque per il
successivo sfruttamento idroelettrico.
Sussiste pertanto la giurisdizione di legittimità di detto
Tribunale, a norma dell'art. 143, comma 1, lett. a), r.d. n.
1775/1933, oltre che con riguardo alle questioni investenti
gli interessi pubblici connessi al regime delle acque
strettamente inteso (demanialità delle acque, contenuto o
limiti di una concessione di utenza, nonché questioni di
carattere eminentemente tecnico relative alla distribuzione
ed all'uso delle acque pubbliche ed ai diritti di
derivazione o utilizzazione dell'utenza nei confronti della
P.A.), ogni volta che siano impugnati provvedimenti
amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in
concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la
sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i
provvedimenti in materia di acque pubbliche, "allorquando i
provvedimenti impugnati incidono direttamente ed
immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in
concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a
stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimento. Non rientrano, per
contro, in tale speciale competenza giurisdizionale le
controversie che hanno per oggetto atti solo strumentalmente
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime
delle acque".
---------------
E' legittimo il diniego di sanatoria per un fabbricato
realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù
idraulica, atteso che il divieto di costruzione ad una certa
distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto
dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha carattere
assoluto ed inderogabile.
Pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in
contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 l.
n. 47/1985 sul condono edilizio, il quale contempla i
vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi
in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree.
Il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d'acqua, previsto dalla lettera f) del predetto art. 96, è
informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo
la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma
anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque
scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici e
ha carattere legale e inderogabile: ne segue che le opere
costruite in violazione di tale divieto ricadono nella
previsione dell'art. 33 l. n. 47/1985 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria.
---------------
Va preliminarmente affrontata la questione inerente alla
giurisdizione, sollevata dall’Ufficio legislativo e legale,
che sostiene che la controversia in esame rientri nella
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
per cui il ricorso in esame sarebbe inammissibile.
Ritengono queste Sezioni Riunite che tale questione non sia
fondata.
Il Tribunale Superiore delle acque, oltre a costituire
giudice di secondo grado rispetto alle sentenze emesse dai
Tribunali regionali delle acque, è investito, com’è noto, di
una giurisdizione di unico grado per i ricorsi con cui si
deduce la illegittimità di tutti gli atti amministrativi
concernenti la utilizzazione delle acque; trattasi, di una
competenza generale di legittimità (art. 143 lett. a) r.d.
11.12.1933, n. 1775), simmetrica a quella del Consiglio di
Stato, in cui rientrano i ricorsi contro i provvedimenti
lesivi di interessi legittimi che incidano sul regime delle
acque pubbliche o che abbiano a riferimento ad un’opera
necessaria per l’utilizzazione delle acque.
Sono riservati alla cognizione del Tribunale Superiore,
peraltro, non già tutti i provvedimenti che abbiano un
qualche remoto collegamento con l’acqua pubblica, ma solo
quelli per i quali l’acqua pubblica costituisca l’oggetto
diretto ed immediato; onde non rientrano in tale
giurisdizione i ricorsi contro gli atti di aggiudicazione di
appalti di lavori di opere idrauliche (Cass. civ.,
17.03.1989, n. 1358), ovvero i provvedimenti di
determinazione delle tariffe per la cessione delle acque (C.G.A.,
sez. giur., 25.10.1988, n. 166).
Sussiste, pertanto, la giurisdizione di legittimità del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, a norma
dell’articolo 143, comma 1, lett. a), r.d. n. 1775/1933,
oltre che con riguardo alle questioni investenti gli
interessi pubblici connessi al regime delle acque
strettamente inteso (demanialità delle acque, contenuto o
limiti di una concessione di utenza, nonché questioni di
carattere eminentemente tecnico relative alla distribuzione
ed all’uso delle acque pubbliche ed ai diritti di
derivazione o utilizzazione dell’utenza nei confronti della
PA), ogni volta che siano impugnati provvedimenti
amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in
concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la
sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i
provvedimenti in materia di acque pubbliche, allorquando i
provvedimenti impugnati incidono direttamente ed
immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in
concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all’esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a
stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimento.
Tale giurisdizione va estesa anche ai provvedimenti che, pur
se promananti da autorità diverse da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, siano caratterizzati
dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e
concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la
localizzazione, la gestione e l'esercizio delle opere
idrauliche (Cass., sez. un., 08.04.2009, n. 8509), ivi
compresi pure i provvedimenti espropriativi o di occupazione
d'urgenza delle aree occorrenti per la realizzazione
dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque influenti
sulla sua localizzazione sul suo spostamento.
Tale principio rileva indipendentemente dalla ragione che
abbia determinato l'adozione di detti provvedimenti, quindi
anche se non connessi al regime delle acque e quindi anche
se resi necessari dalla tutela dell'ambiente o di un bene
artistico o da valutazioni tecniche in funzione della
salvaguardia dell'incolumità pubblica o ancora da mere
ragioni di opportunità amministrativa (Cass., sez. un.,
12.05.2009 n. 10846; Id., 07.11.1997 n. 10934; Id.,
27.04.2005 n. 8686; Id., 26.07.2002 n. 11099).
Non rientrano, per contro, in tale speciale competenza
giurisdizionale, le controversie che hanno per oggetto atti
solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad
incidere sul regime delle acque (Cons. St., sez. V,
07.07.2014, n. 3436).
Pertanto può affermarsi che, mentre esulano dalla
giurisdizione del Tribunale delle Acque (e rientrano in
quella del giudice amministrativo) i provvedimenti incidenti
sulla materia e sul regime delle acque pubbliche in via
meramente strumentale ed indiretta, vi rientrino i
provvedimenti di approvazione del progetto definitivo per la
realizzazione di una centrale idroelettrica, previa V.I.A.,
gli atti concernenti la costituzione di una servitù
coattiva, mediante procedura espropriativa, per il passaggio
della condotta necessaria per la realizzazione dell'opera,
nonché il relativo permesso di costruzione, atti tutti
incidenti in maniera diretta ed immediata sul regime delle
acque pubbliche.
In particolare è stata ritenuta la sussistenza della
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
in caso di impugnativa di provvedimenti influenti sulla
localizzazione dell'opera idraulica o sul suo spostamento,
nonché sulla definizione delle sue caratteristiche e sulla
sua realizzazione, nonché sui provvedimenti di occupazione
ed espropriazione di opere necessarie per realizzare la
condotta idraulica relativa alla costruzione di una centrale
idroelettrica contestata dal titolare del fondo ove era
previsto il transito interrato di una nuova condotta di
adduzione finalizzata alla canalizzazione delle acque per il
successivo sfruttamento idroelettrico (Cass., sez. un.,
12.05.2009, n. 10846).
Sussiste pertanto la giurisdizione di legittimità di detto
Tribunale, a norma dell'art. 143, comma 1, lett. a), r.d. n.
1775/1933, oltre che con riguardo alle questioni investenti
gli interessi pubblici connessi al regime delle acque
strettamente inteso (demanialità delle acque, contenuto o
limiti di una concessione di utenza, nonché questioni di
carattere eminentemente tecnico relative alla distribuzione
ed all'uso delle acque pubbliche ed ai diritti di
derivazione o utilizzazione dell'utenza nei confronti della
P.A.), ogni volta che siano impugnati provvedimenti
amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in
concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti (Cass., sez. un.,
19.04.2013, n. 9534, 20.06.2012, n. 10148, 13.05.2008, n.
11848 e 21.06.2005, n. 13293).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la
sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i
provvedimenti in materia di acque pubbliche, "allorquando
i provvedimenti impugnati incidono direttamente ed
immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in
concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a
stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimento. Non rientrano, per
contro, in tale speciale competenza giurisdizionale le
controversie che hanno per oggetto atti solo strumentalmente
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime
delle acque" (Cons. St., sez. V, 01.10.2010, n. 7276;
nello stesso senso: sez. IV, 06.07.2009, n. 4306; sez. V,
07.05.2008, n. 2091; sez. V, 18.09.2006, n. 5442).
Nel caso di specie, trattasi di provvedimenti di diniego di
sanatoria e di ordine di demolizione che hanno ad oggetto
non già opere idrauliche, ma bensì opere di ristrutturazione
di un fabbricato, costruite in difformità dal titolo
edilizio e, pertanto, la giurisdizione appartiene al giudice
amministrativo.
La costruzione abusiva, poi, secondo quanto affermato dal
Comune, è stata realizzata a ridosso dell’argine del
torrente ed in area di in edificabilità ex art. 41-bis delle
NTA.
Ora, ai sensi dell’art. 32, c. 27, del d.l. n. 269/2003,
conv. in l. n. 326/2003 “Fermo restando quanto previsto
dagli articoli 32 e 33 della legge 28.02.1985, n. 47, le
opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria,
qualora: … d) siano state realizzate su immobili soggetti a
vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a
tutela di interessi idrogeologici e delle falde acquifere …”.
A tale riguardo deve ritenersi legittimo il diniego di
sanatoria per un fabbricato realizzato, come nella specie,
all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso
che il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96,
lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha carattere assoluto ed
inderogabile; pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva
realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione
l'art. 33 l. n. 47/1985 sul condono edilizio, il quale
contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale
ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di
edificare in determinate aree.
Il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d'acqua, previsto dalla lettera f) del predetto art. 96, è
informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo
la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma
anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque
scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici e
ha carattere legale e inderogabile: ne segue che le opere
costruite in violazione di tale divieto ricadono nella
previsione dell'art. 33 l. n. 47/1985 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria (Cons. St., sez. V, 23.06.2014, n.
3147) (CGARS,
parere 05.07.2017 n. 641 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
sussiste giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche,
inteso quale organo specializzato della giurisdizione
ordinaria, nel caso di ricorrente che vanta una posizione di
interesse legittimo teso a contestare l’esercizio del potere
pubblicistico di repressione dell’attività edilizia svolta
in prossimità, o in maniera potenzialmente pregiudizievole,
rispetto alle acque pubbliche; mentre sussiste la
giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche
nel caso di impugnazione per vizi tipici di legittimità del
provvedimento adottato dall’amministrazione a tutela delle
acque pubbliche, ed in particolare al fine di garantire
l’intangibilità della fascia di rispetto del fiume
normativamente individuata.
La giurisdizione di legittimità in unico grado, attribuita
al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dall’art. 143,
comma 1, lett. a), r.d. n. 1775 del 1933, con riferimento ai
ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di
legge avverso i provvedimenti definitivi presi
dall’amministrazione in materia di acque pubbliche, sussiste
solo quando sia impugnato uno di questi provvedimenti
amministrativi e allorché gli stessi siano caratterizzati da
incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel
senso che concorrano in concreto a disciplinare la gestione,
l’esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i
concessionari, oppure a determinare i modi di acquisto dei
beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle
opere stesse, o a stabilire o modificare la localizzazione
di esse o a influire sulla loro realizzazione mediante
sospensione o revoca dei relativi provvedimenti; mentre
restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le
controversie che abbiano a oggetto atti solo strumentalmente
inseriti in procedimenti finalizzati a incidere sul regime
delle acque pubbliche e che solo in via di riflesso, o
indirettamente, abbiano una siffatta incidenza (nel caso
esaminato, avente ad aggetto l’impugnativa di una diniego di
permesso di costruire motivato in base all’insistenza del
progetto nella fascia di rispetto di un corso d’acqua, è
stata ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice
amministrativo).
---------------
Il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d’acqua, previsto dall’art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n.
523, risponde all’esigenza di natura pubblicistica di
assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle
acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso
delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici e ha carattere legale e inderogabile, con la
conseguenza che le opere costruite in violazione di tale
divieto ricadono nella previsione dell’art. 33, l.
08.02.1985 n. 47 e non sono, pertanto, suscettibili di
sanatoria.
---------------
Ritiene il Tribunale che sia il presupposto del discorso a
non convincere, vale a dire l’asserita assimilazione delle
opere a demolirsi a smovimenti di terreno, anziché a opere
di fabbrica (per le quali vige l’assai più restrittivo
limite di dieci metri di distanza dal piede dell’argine).
Dette opere, in particolare, sono rappresentate testualmente
da “pavimentazione in conglomerato cementizio”; “recinzione
con muretto in conglomerato cementizio e sovrastante
ringhiera in ferro”, “tre pilastrini in mattoncini
antichizzati, ingresso carrabile e pedonale”, “posa in opera
di cancello carrabile e pedonale”: si tratta quindi di opere
che, ictu oculi, appartengono alla nozione di “opere di
fabbrica”, e ciò tanto più, se si tiene presente che per la
giurisprudenza: “Il divieto di eseguire le tipologie di
lavori di cui all’art. 96, lett. f), del R.D. n. 523 del
1904, «a distanza dal piede degli argini e loro accessori»,
vale inderogabilmente, a prescindere dalla disciplina
vigente nelle diverse località, dovendosi interpretare la
locuzione «fabbriche», nel testo richiamato, come riferita
ai manufatti edilizi, a prescindere dal loro utilizzo,
dovendosi individuare la ratio legis nella volontà della
norma di esaurire, unitamente all’utilizzo della locuzione
« scavi », tutte le possibili modificazioni frutto
dell’opera di trasformazione edilizia, essendo prevista una
diversa distanza solo per le piantagioni”.
---------------
In tema di distanze delle costruzioni dagli argini dei corsi
d’acqua (laddove è stato ulteriormente statuito che: “Il
divieto di costruzione di opere ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d’acqua di cui all’art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904 n. 523, risponde all’evidente finalità di
interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi
prossimi al reticolo idrico, tanto a tutela del regolare
scorrimento delle acque, quanto in funzione preventiva
rispetto ai rischi, per persone e cose, che potrebbero
derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi
pubblici ivi tutelati comporta, pertanto, che il vincolo
operi con un effetto conformativo particolarmente ampio
determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di
rispetto”), è chiaro come nessun rilievo possa assumere la
dedotta violazione dell’art. 7 della l. 241/1990,
trattandosi, a dispetto di quanto asserito in ricorso, di un
provvedimento dalla natura rigidamente vincolata, proprio
per le ragioni dianzi espresse, onde un eventuale apporto
partecipativo del ricorrente, in nulla avrebbe potuto mutare
la determinazione amministrativa censurata.
---------------
L’inderogabilità delle prescrizioni legislative in tema di
distanze delle opere edilizie dal piede dell’argine, ex art.
96, lett. f), R.D. 523/1904, tale da comportare l’inedificabilità
assoluta e l’impossibilità di sanatoria delle medesime,
rende recessive le esigenze di sicurezza delle persone e di
tutela della propria proprietà, pure segnalate come
pressanti dal ricorrente, posto che l’interesse pubblico
all’eliminazione delle suddette opere deve considerarsi in
re ipsa, giusta quanto sopra osservato, fermo restando
tuttavia l’obbligo, per le autorità preposte (e anzitutto
per il resistente Comune, proprio in virtù del su richiamato
principio di sussidiarietà), d’evitare rischi per la privata
incolumità, segnalati come gravi, in ragione della vicinanza
del corso d’acqua all’abitazione del ricorrente medesimo
(anche provvedendo, se del caso, all’auspicata –sempre da
parte ricorrente– recinzione dei “confini del muro spondale”).
---------------
Oggetto del presente giudizio è l’impugnativa dell’ordinanza
di demolizione del Comune di Monteforte Irpino, relativo
alle opere indicate in epigrafe, realizzate dal ricorrente
–come si ricava dal testo della medesima ordinanza– “nella
fascia di rispetto del torrente Iemale”.
La prima questione da affrontare consiste, pertanto,
nell’eccepito –dalla difesa dell’ente– difetto di
giurisdizione di questo TAR, in favore del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, poiché si tratterebbe di
materia afferente al governo delle acque pubbliche.
L’eccezione, peraltro, non può essere accolta, conformemente
all’indirizzo della giurisprudenza, espresso in massime,
come le seguenti: “Non sussiste giurisdizione del
Tribunale delle acque pubbliche, inteso quale organo
specializzato della giurisdizione ordinaria, nel caso di
ricorrente che vanta una posizione di interesse legittimo
teso a contestare l’esercizio del potere pubblicistico di
repressione dell’attività edilizia svolta in prossimità, o
in maniera potenzialmente pregiudizievole, rispetto alle
acque pubbliche; mentre sussiste la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle acque pubbliche nel caso di
impugnazione per vizi tipici di legittimità del
provvedimento adottato dall’amministrazione a tutela delle
acque pubbliche, ed in particolare al fine di garantire
l’intangibilità della fascia di rispetto del fiume
normativamente individuata” (TAR Sicilia–Catania,
30/12/2011, n. 3232); “La giurisdizione di legittimità in
unico grado, attribuita al Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche dall’art. 143, comma 1, lett. a), r.d. n. 1775 del
1933, con riferimento ai ricorsi per incompetenza, eccesso
di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti
definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque
pubbliche, sussiste solo quando sia impugnato uno di questi
provvedimenti amministrativi e allorché gli stessi siano
caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a
disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o a
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti; mentre restano fuori da
tale competenza giurisdizionale tutte le controversie che
abbiano a oggetto atti solo strumentalmente inseriti in
procedimenti finalizzati a incidere sul regime delle acque
pubbliche e che solo in via di riflesso, o indirettamente,
abbiano una siffatta incidenza (nel caso esaminato, avente
ad aggetto l’impugnativa di una diniego di permesso di
costruire motivato in base all’insistenza del progetto nella
fascia di rispetto di un corso d’acqua, è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo)”
(TAR Abruzzo–Pescara, 07/01/2008, n. 4).
Ciò posto, rileva il Collegio che il ricorso non può trovare
accoglimento.
Occorre, tuttavia, una premessa: poiché, nella specie, si
discorre dell’attività di costruzione di fabbriche, in
violazione della fascia di rispetto del torrente Iemale, la
giurisprudenza ha evidenziato quanto segue: “Il divieto
di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua,
previsto dall’art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523,
risponde all’esigenza di natura pubblicistica di assicurare
non solo la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle
acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici e ha carattere legale e inderogabile, con la
conseguenza che le opere costruite in violazione di tale
divieto ricadono nella previsione dell’art. 33, l.
08.02.1985 n. 47 e non sono pertanto suscettibili di
sanatoria” (TAR Liguria, Sez. I, 21/11/2014, n. 1721;
conforme a Consiglio di Stato, Sez. V, 23/06/2014, n. 3147).
Nella specie, cioè, per quanto effettivamente manchi, nel
testo dell’ordinanza gravata, un esplicito riferimento a
tale disciplina, viene in rilievo la violazione, da parte
del ricorrente, dell’art. 96, lett. f), del R.D. 523 del
1904, secondo cui: “Sono lavori ed atti vietati in modo
assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese
i seguenti: (…) f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del
terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi
(…)”.
Da tale constatazione discendono due conseguenze:
a) pertinente si presenta il richiamo, da parte della difesa
dell’Amministrazione Comunale, al diniego di sanatoria delle
opere de quibus, espresso in data 29.05.2006 dal
responsabile del procedimento presso il S.U.E. di tale ente,
perché “le opere oggetto di richiesta di sanatoria
ricadono nella fascia di rispetto del vallone Iemale”;
b) va, anzitutto, verificato che le stesse opere effettivamente
ricadano in detta fascia di rispetto, come sopra
individuata, posto che il ricorrente –mediante l’ausilio di
c.t. di parte– ha contestato tale fondamentale presupposto
del provvedimento impugnato.
Quanto a detto secondo e dirimente aspetto, rileva il
Collegio come l’ing. Pa., nell’elaborato peritale, da ultimo
depositato in data 22.03.2017, abbia affermato che i
manufatti realizzati non sarebbero “opere di fabbrica o
scavi”, bensì “smovimenti di terreno”, onde la
distanza da rispettare sarebbe di quattro metri dal piede
dell’argine; e ha sostenuto che “la quasi totalità delle
opere edificate risultano ricadere all’esterno di tale area;
vi rientra solo in piccola misura, la parte terminale del
muretto alla sinistra del cancello (…)”.
Orbene, in disparte quanto da ultimo riferito, circa una
piccola porzione di muretto, in violazione (anche) della
distanza di quattro metri dal piede dell’argine, ritiene il
Tribunale che sia il presupposto del discorso a non
convincere, vale a dire l’asserita assimilazione delle opere
a demolirsi a smovimenti di terreno, anziché a opere di
fabbrica (per le quali vige l’assai più restrittivo limite
di dieci metri di distanza dal piede dell’argine).
Dette opere, in particolare, sono rappresentate testualmente
da “pavimentazione in conglomerato cementizio”; “recinzione
con muretto in conglomerato cementizio e sovrastante
ringhiera in ferro”, “tre pilastrini in mattoncini
antichizzati, ingresso carrabile e pedonale”, “posa
in opera di cancello carrabile e pedonale”: si tratta
quindi di opere che, ictu oculi, appartengono alla
nozione di “opere di fabbrica”, e ciò tanto più, se
si tiene presente che per la giurisprudenza: “Il divieto
di eseguire le tipologie di lavori di cui all’art. 96, lett.
f), del R.D. n. 523 del 1904, «a distanza dal piede degli
argini e loro accessori», vale inderogabilmente, a
prescindere dalla disciplina vigente nelle diverse località,
dovendosi interpretare la locuzione «fabbriche», nel testo
richiamato, come riferita ai manufatti edilizi, a
prescindere dal loro utilizzo, dovendosi individuare la
ratio legis nella volontà della norma di esaurire,
unitamente all’utilizzo della locuzione « scavi », tutte le
possibili modificazioni frutto dell’opera di trasformazione
edilizia, essendo prevista una diversa distanza solo per le
piantagioni” (TAR Emilia–Romagna, Parma, 21/07/2016, n.
241).
Sicché ne risulta confermato il presupposto di fondo
dell’ordinanza gravata, costituito dalla violazione della
distanza legale di dieci metri dal piede dell’argine del
vallone Iemale, e quindi, come sinteticamente ma
correttamente denunzia l’ordinanza impugnata,
dall’edificazione delle suddette opere “nella fascia di
rispetto” di tale corso d’acqua.
Ciò posto, possono analizzarsi le censure di parte
ricorrente: iniziando dalla prima, e tenuto presente
l’evidenziato carattere inderogabile delle prescrizioni
legislative, in tema di distanze delle costruzioni dagli
argini dei corsi d’acqua (per la quale cfr. anche TAR
Lombardia, Brescia, Sez. II, 02/10/2013, n. 814: “Il
divieto di costruzione di opere ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d’acqua di cui all’art. 96, lett. f), t.u.
25.07.1904 n. 523, risponde all’evidente finalità di
interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi
prossimi al reticolo idrico, tanto a tutela del regolare
scorrimento delle acque, quanto in funzione preventiva
rispetto ai rischi, per persone e cose, che potrebbero
derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi
pubblici ivi tutelati comporta, pertanto, che il vincolo
operi con un effetto conformativo particolarmente ampio
determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di
rispetto”), è chiaro come nessun rilievo possa assumere
la dedotta violazione dell’art. 7 della l. 241/1990,
trattandosi, a dispetto di quanto asserito in ricorso, di un
provvedimento dalla natura rigidamente vincolata, proprio
per le ragioni dianzi espresse, onde un eventuale apporto
partecipativo del ricorrente, in nulla avrebbe potuto mutare
la determinazione amministrativa censurata (per
un’applicazione, in tema di rimozione di manufatti (impianti
pubblicitari), collocati nella fascia di rispetto
autostradale, cfr. TAR Abruzzo–Pescara, 08/07/2015, n. 288).
Del tutto ultronea, quindi, la dedotta riconducibilità,
secondo il R.E. vigente, delle opere edilizie di cui sopra
al regime autorizzatorio anziché a quello concessorio, onde
supportare l’affermata necessità dell’assolvimento, da parte
del Comune, dell’onere comunicativo in oggetto.
La seconda doglianza pone una questione d’incompetenza del
dirigente comunale ad emanare l’ordinanza gravata, poiché il
relativo potere spetterebbe –trattandosi di “polizia
idrica”– alla Regione, ex art. 90 cpv. lett. e), del
d.P.R. 616/1977 (secondo cui: “1. Tutte le funzioni
relative alla tutela, disciplina e utilizzazione delle
risorse idriche, con esclusione delle funzioni riservate
allo Stato dal successivo articolo, sono delegate alle
regioni che le eserciteranno nell’ambito della
programmazione nazionale della destinazione delle risorse
idriche e in conformità delle direttive statali sia generali
sia di settore per la disciplina dell’economia idrica. 2. In
particolare sono delegate le funzioni concernenti: (…) e) la
polizia delle acque”).
La tesi, fondata su una risalente, oltre che non
particolarmente perspicua, decisione del TAR
Calabria–Catanzaro, Sez. II, 22.05.2001, n. 829 (secondo cui
la “violazione della zona di rispetto” non
integrerebbe “occupazione”, la quale presupporrebbe “la
realizzazione di attività permanentemente modificative a
stretto ridosso del bene tutelato”, attività, invece,
presenti nel caso di specie), in ogni caso –e in disparte la
mancata evocazione in giudizio della Regione Campania– pare
priva di pregio, alla luce del fondamentale principio
costituzionale della sussidiarietà, non comprendendosi
affatto per quale ragione l’ente comunale dovrebbe astenersi
dalla vigilanza urbanistico–edilizia sul proprio territorio,
sol perché venga in rilievo, in concreto, un problema di
distanza di manufatti edilizi da un corso d’acqua, apparendo
del resto evidente come sia arduo far rientrare il caso in
esame nella materia “tutela, disciplina e utilizzazione
delle risorse idriche”, sia pur sotto il peculiare
angolo prospettico della “polizia delle acque”.
La terza censura, imperniata sulla riconduzione delle opere
edilizie in oggetto a “interventi di restauro e
risanamento conservativo”, come tali subordinati a
semplice denunzia d’inizio attività, e, pertanto, sulla
dedotta facoltatività dell’ordine di ripristino dello stato
dei luoghi, ex art. 37 cpv. T.U. 380/2001 (“Quando le
opere realizzate in assenza (oggi) di segnalazione
certificata di inizio attività consistono in interventi di
restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera
c) dell’articolo 3, eseguiti su immobili comunque vincolati
in base a leggi statali e regionali, nonché dalle altre
norme urbanistiche vigenti, l’autorità competente a vigilare
sull’osservanza del vincolo, salva l’applicazione di altre
misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la
restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed
irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro”),
non centra il fulcro del giudizio, come sopra individuato,
vale a dire l’ormai accertata violazione del regime delle
distanze legali dal piede dell’argine del vallone Iemale,
con la conseguente inderogabilità dell’ordine di demolizione
delle opere, poste all’interno di tale fascia di rispetto;
onde nessun rilievo, a tale proposito, può assumere la
riconduzione delle stesse all’uno o all’altro dei regimi
abilitativi, in materia edilizia, previsti dal d.P.R.
380/2001.
Lo stesso dicasi, quanto alla quarta doglianza e all’ivi
asserita erroneità della sanzione demolitoria, da riservare
agli abusi realizzati in assenza di p.d.c., laddove nella
specie, si sarebbe dovuta applicare esclusivamente la
sanzione pecuniaria, prevista per le opere difformi dalla
d.i.a. (oggi s.c.i.a.).
A fortiori le osservazioni precedenti valgono a destituire
di fondamento il quinto ed ultimo motivo di ricorso,
tendente a patrocinare una –oltretutto, ad avviso del
Collegio, alquanto discutibile– impossibilità di procedere
al ripristino dei luoghi, senza arrecare pregiudizio alle
restanti parti dell’immobile.
L’inderogabilità delle prescrizioni legislative in tema di
distanze delle opere edilizie dal piede dell’argine del
vallone Iemale, ex art. 96, lett. f), R.D. 523/1904, tale da
comportare l’inedificabilità assoluta e l’impossibilità di
sanatoria delle medesime, infine, rende recessive le
esigenze di sicurezza delle persone e di tutela della
propria proprietà, pure segnalate come pressanti dal
ricorrente, posto che l’interesse pubblico all’eliminazione
delle suddette opere deve considerarsi in re ipsa,
giusta quanto sopra osservato, fermo restando tuttavia
l’obbligo, per le autorità preposte (e anzitutto per il
resistente Comune di Monteforte Irpino, proprio in virtù del
su richiamato principio di sussidiarietà), d’evitare rischi
per la privata incolumità, segnalati come gravi, in ragione
della vicinanza del corso d’acqua Iemale all’abitazione del
ricorrente medesimo (anche provvedendo, se del caso,
all’auspicata –sempre da parte ricorrente– recinzione dei “confini
del muro spondale”)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 06.06.2017 n. 1021 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 133, c. 1, lett. b) ed f), c.p.a. ha
espressamente salvaguardato la giurisdizione del T.s.a.p.,
regolata dalla previgente normativa, di cui al R.D. n.
1775/1933, estesa anche ai provvedimenti che, pur se
promananti da autorità diverse da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, siano caratterizzati
dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche,
concorrendo, in concreto, a disciplinare la realizzazione,
la localizzazione, la gestione, e l'esercizio delle opere
idrauliche.
In particolare, la cognizione del T.S.A.P. si estende anche
ai casi in cui il provvedimento amministrativo, pur
incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a
quelli specifici relativi alla demanialità delle acque, ed
ai rapporti dei concessionari dei beni del demanio idrico,
attiene comunque all'utilizzazione degli stessi,
interferendo, immediatamente e direttamente, su opere
destinate a tale utilizzazione, comprendendo quindi i
ricorsi proposti avverso i provvedimenti che, come quello
per cui è causa, hanno un'incidenza diretta sulla materia
delle acque pubbliche, e che concorrono, in concreto, a
disciplinare la realizzazione, la localizzazione, la
gestione e l'esercizio delle opere idrauliche, restando
invece escluse da tale giurisdizione solo le controversie in
cui tale incidenza si manifesta in via del tutto marginale o
riflessa.
---------------
In via preliminare, il Collegio deve scrutinare l’eccezione
di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in
favore di quella del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche, sollevata dalla difesa regionale, e su cui la
ricorrente non ha replicato alcunché, che risulta fondata.
L'art. 133, c. 1, lett. b) ed f), c.p.a. ha infatti
espressamente salvaguardato la giurisdizione del T.s.a.p.,
regolata dalla previgente normativa, di cui al R.D. n.
1775/1933, estesa anche ai provvedimenti che, pur se
promananti da autorità diverse da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, come nella fattispecie per
cui è causa, siano caratterizzati dall'incidenza diretta
sulla materia delle acque pubbliche, concorrendo, in
concreto, a disciplinare la realizzazione, la
localizzazione, la gestione, e l'esercizio delle opere
idrauliche (TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 27.12.2011,
n. 854).
In particolare, la cognizione del T.S.A.P. si estende anche
ai casi in cui il provvedimento amministrativo, pur
incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a
quelli specifici relativi alla demanialità delle acque, ed
ai rapporti dei concessionari dei beni del demanio idrico,
attiene comunque all'utilizzazione degli stessi,
interferendo, immediatamente e direttamente, su opere
destinate a tale utilizzazione, comprendendo quindi i
ricorsi proposti avverso i provvedimenti che, come quello
per cui è causa, hanno un'incidenza diretta sulla materia
delle acque pubbliche, e che concorrono, in concreto, a
disciplinare la realizzazione, la localizzazione, la
gestione e l'esercizio delle opere idrauliche, restando
invece escluse da tale giurisdizione solo le controversie in
cui tale incidenza si manifesta in via del tutto marginale o
riflessa (TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 09.06.2015, n. 235,
Cass. Civ., Sez. Un., 25.10.2013, n. 24154).
In conclusione, il presente ricorso va dichiarato
inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo, in favore del Tribunale Superiore delle
Acque, presso il quale il presente giudizio potrà essere
riproposto, entro il termine di cui all’art. 11, c. 2,
c.p.a.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.06.2017 n. 1232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Consolidato orientamento giurisdizionale ha
sancito che appartiene alla giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque pubbliche, prevista dall'art. 143 r.d.
11.12.1933, n. 1775, la controversia riferita “al diniego di
rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall'autorità
comunale in ragione dell'edificazione dell'immobile da
condonare in violazione della fascia di rispetto di dieci
metri dal piede dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett.
f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento,
infatti, ancorché emanato da un'autorità diversa da quelle
specificamente preposte alla tutela delle acque, incide
direttamente sul regolare regime delle acque pubbliche, la
cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici”.
Invero, il tenore dell’art. 143 del r.d. 11.12.1933 n. 1775
è nel senso di non escludere che la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque pubbliche possa essere
estesa anche ai provvedimenti demolitori, suscettibili di
incidere anch’essi su manufatti situati in prossimità dei
corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella fascia
di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro confermato da
precedenti arresti giurisprudenziali.
---------------
Con il presente ricorso i Sig.ri Ci. hanno impugnato
l’ordinanza n. 184/2016 del 28.11.201, unitamente alla
comunicazione di avvio del procedimento e al verbale di
sopralluogo effettuato in data 02.11.2015, provvedimenti
questi ultimi riferiti ad un’autocarrozzeria situata sul
confine con la sponda destra del torrente Ciuffenna.
Detti provvedimenti hanno a oggetto la contestazione
dell’asserita abusività delle seguenti opere:
a) la realizzazione, in “ambito di tutela idraulica” di una
tettoia realizzata con struttura in metallo e copertura in
pannelli sandwich avente dimensioni in pianta pari a 10,90 x
7,00 m e altezza max pari a 4,65 mt.;
b) il posizionamento, all'interno della sopramenzionata tettoia, di
un forno di verniciatura e relativo gruppo motore,
rispettivamente delle dimensioni in pianta pari a 4,50 x
7,50 e 1,70 x 4,10 mt.;
c) la parte della tettoia dove risulta collocato il forno è stata
tamponata, fino ad una certa altezza, con pannelli sandwich.
Avverso i sopracitati provvedimenti i Sig.ri Ci. hanno
proposto varie censure riferite alla violazione del nulla
osta rilasciato ai fini idraulici dalla Provincia di Arezzo
e dell’art. 96, lett. f), del R.D. 523/1904 sostenendo, nel
contempo, la compatibilità dell’attuale collocazione del
forno e della tettoia rispetto alle previsioni del vigente
Regolamento Urbanistico del Comune di Terranuova Bracciolini.
Nella camera di consiglio del 28.03.2017 questo Tribunale ha
eccepito, ai sensi dell’art. 73 comma 3, l’esistenza di
elementi idonei a ritenere insussistente la giurisdizione
amministrativa.
Nella stessa camera di consiglio, uditi i procuratori delle
parti costituite anche ai sensi e per gli effetti dell’art.
60 cpa, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Il ricorso è inammissibile, risultando fondata l’eccezione
di difetto di giurisdizione.
L’ordinanza di ingiunzione n. 184/2016 del 28.11.2016 è
motivata in considerazione della violazione di quanto
previsto dall'art. 96, comma 1, lett. f), del R.D. 523/1904
nella parte in cui vieta ad una distanza minore di dieci
metri dal piede degli argini "le fabbriche e gli scavi".
Costituisce, infatti, circostanza incontestata che il forno
di cui si controverte è collocato sulla fascia di rispetto
dell’argine del torrente Ciuffenna.
L’incidenza delle opere nella fascia di rispetto, e la
possibilità di queste ultime di interferire con gli argini
del torrente, è confermata dal contenuto del nulla osta
idraulico rilasciato dalla Provincia di Arezzo
(Determinazione Dirigenziale n. 386/DS del 16/07/2009),
nella parte in cui la stessa Amministrazione ha rilevato
come l’argine dello stesso torrente abbia subito nel corso
del tempo una progressiva riduzione, tale da rendere
indispensabile la realizzazione di opere di consolidamento.
Ciò premesso è possibile aderire al consolidato orientamento
giurisdizionale, già fatto proprio in precedenza anche da
questo Tribunale, nella parte in cui ha sancito che
appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle
Acque pubbliche, prevista dall'art. 143 r.d. 11.12.1933, n.
1775, la controversia riferita “al diniego di rilascio di
concessione in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in
ragione dell'edificazione dell'immobile da condonare in
violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici
(TAR Firenze, sez. III, 20/12/2016 n. 1824; idem,
26/09/2014, n. 1497; Cass. civ., SS.UU., 12.05.2009)”.
Invero, il tenore dell’art. 143 del r.d. 11.12.1933 n. 1775
è nel senso di non escludere che la giurisdizione del
Tribunale Superiore delle Acque pubbliche possa essere
estesa anche ai provvedimenti demolitori, suscettibili di
incidere anch’essi su manufatti situati in prossimità dei
corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella fascia
di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro confermato da
precedenti arresti giurisprudenziali (TAR Emilia
Romagna-Bologna Sez. I, 16/07/2012, n. 495; TAR Piemonte
Sez. I, 19/10/2000, n. 1024 e Cass. civ., SS.UU. Ord.,
14/06/2006, n. 13692.
In considerazione di quanto sopra evidenziato va, pertanto,
dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice
Amministrativo in luogo del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche.
Restano salvi gli effetti processuali e sostanziali delle
domanda, se il processo è riproposto innanzi al sopra citato
Tribunale entro il termine perentorio di tre mesi dal
passaggio in giudicato della presente sentenza, ex art. 11
c.p.a. (traslatio iudicii) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.04.2017 n. 561 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla base di un orientamento consolidato, la
giurisdizione riservata al Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche dall'art. 143 R.D. n. 1775 del 1933 si estende
anche ai provvedimenti amministrativi che, se pure emanati
da autorità diverse da quelle istituzionalmente preposte
alla tutela delle acque, siano comunque caratterizzati
dall'incidenza sulla materia delle acque pubbliche.
Rientrano, pertanto, nella giurisdizione di detto Tribunale
i provvedimenti di diniego di condono edilizio adottati
avuto riguardo all'ubicazione degli immobili oggetto di
sanatoria in prossimità degli argini dei corsi d'acqua
demaniali.
---------------
La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche deve essere confermata anche per quanto concerne
il presente ricorso, laddove i ricorrenti hanno impugnato il
successivo provvedimento di demolizione, fondato anch’esso
sull’accertata violazione dell’art. 96 sopra citato e
diretta conseguenza dei provvedimenti di diniego sopra
citati.
Come si è già avuto modo di precisare non ha rilievo il
preteso frazionamento dell'immobile in distinte porzioni e,
ciò, sia considerando il fatto che non è stata dimostrata
l'autonomia delle singole parti sia, soprattutto, in ragione
del fatto che, ad un eventuale frazionamento, sarebbe di
ostacolo il principio dell’inammissibilità della duplicità
di azioni giudiziarie in relazione ad una stessa
fattispecie, sussistendo il pericolo di contraddittorietà
tra diversi giudicati.
Si consideri, peraltro, che il tenore dell’art. 143 del r.d.
11.12.1933 n. 1775 è nel senso di non escludere che la
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche
possa essere estesa anche ai provvedimenti demolitori,
suscettibili di incidere su manufatti situati in prossimità
dei corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella
fascia di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro
confermato da precedenti arresti giurisprudenziali.
---------------
1. Il ricorso è inammissibile, risultando fondata
l’eccezione di difetto di giurisdizione.
1.1 Con le sentenze n. 1497/2016 e n. 769/2016 questo
Tribunale ha avuto modo di chiarire che, sulla base di un
orientamento consolidato, la giurisdizione riservata al
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dall'art. 143 R.D.
n. 1775 del 1933 si estende anche ai provvedimenti
amministrativi che, se pure emanati da autorità diverse da
quelle istituzionalmente preposte alla tutela delle acque,
siano comunque caratterizzati dall'incidenza sulla materia
delle acque pubbliche.
Rientrano, pertanto, nella giurisdizione di detto Tribunale
i provvedimenti di diniego di condono edilizio adottati
avuto riguardo all'ubicazione degli immobili oggetto di
sanatoria in prossimità degli argini dei corsi d'acqua
demaniali (per tutte, cfr. Cass. civ., SS.UU., 12.05.2009,
n. 10845; TAR Toscana, sez. III, 27.03.2013, n. 496).
1.2 Risulta, altresì, accertato che le ragioni che hanno
determinato il rigetto dei precedenti dinieghi di condono
afferiscono proprio alla circostanza che i manufatti
ricadono nella fascia di rispetto dei quattro metri dal
limite della sponda destra del Rio Bonazzera II, in
violazione del divieto stabilito dall' art. 96, lett. f),
R.D. n. 523 del 1904.
1.3 In particolare, con riferimento al diniego di condono
del 04.07.1998, si è già avuto modo di evidenziare che la
controversia presenta profili di immediata incidenza sul
regolare regime delle acque pubbliche, come peraltro
chiaramente emerge dal parere del Genio Civile, secondo cui
la presenza delle opere abusive non consentirebbe eventuali
ampliamenti del corso d'acqua.
1.4. Si consideri, da ultimo che dette pronunce, divenute
peraltro definitive a seguito del decorrere dei termini per
il passaggio in giudicato, hanno già respinto le
argomentazioni dei ricorrenti laddove sostenevano che il
divieto di cui all’art. 96 non fosse suscettibile di
riguardare una parte dei manufatti, in quanto posizionata al
di fuori dei quattro metri di cui alla fascia di rispetto.
1.5 Nella sentenza n. 1497/2016, inoltre, si è chiarito che
appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle
Acque la questione inerente la pretesa ammissibilità di una
sanatoria parziale, relativa cioè alle porzioni di
fabbricati che non ricadrebbero nella fascia di rispetto del
fossato demaniale e, ciò, in virtù del consolidato principio
secondo cui l'opera edilizia abusiva va identificata, ai
fini della concessione in sanatoria, con riferimento
all'unitarietà dell'edificio realizzato.
2. Ciò premesso la giurisdizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche deve essere confermata anche per
quanto concerne il presente ricorso, laddove i ricorrenti
hanno impugnato il successivo provvedimento di demolizione,
fondato anch’esso sull’accertata violazione dell’art. 96
sopra citato e diretta conseguenza dei provvedimenti di
diniego sopra citati.
Come si è già avuto modo di precisare non ha rilievo il
preteso frazionamento dell'immobile in distinte porzioni e,
ciò, sia considerando il fatto che non è stata dimostrata
l'autonomia delle singole parti sia, soprattutto, in ragione
del fatto che, ad un eventuale frazionamento, sarebbe di
ostacolo il principio dell’inammissibilità della duplicità
di azioni giudiziarie in relazione ad una stessa
fattispecie, sussistendo il pericolo di contraddittorietà
tra diversi giudicati.
Si consideri, peraltro, che il tenore dell’art. 143 del r.d.
11.12.1933 n. 1775 è nel senso di non escludere che la
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche
possa essere estesa anche ai provvedimenti demolitori,
suscettibili di incidere su manufatti situati in prossimità
dei corsi d'acqua di natura pubblica e realizzati nella
fascia di rispetto dell'argine e, ciò, come peraltro
confermato da precedenti arresti giurisprudenziali (TAR
Emilia Romagna-Bologna Sez. I, 16.07.2012, n. 495 e TAR
Piemonte Sez. I, 19.10.2000, n. 1024 e Cass. civ. Sez. Unite
Ord., 14.06.2006, n. 13692 (rv. 589543).
3. In definitiva, risultando fondata l’eccezione sopra
citata, va dichiarato il difetto di giurisdizione di questo
Tribunale in luogo del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche.
Restano salvi gli effetti processuali e sostanziali delle
domanda, se il processo è riproposto innanzi al sopra citato
Tribunale nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio
in giudicato della presente sentenza, ex art. 11 c.p.a. (traslatio
iudicii) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 28.03.2017 n. 476 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: A norma dell'art. 133, lett. a), del RD n. 268 del 1904
(inserito nei Capo I
"Disposizioni per la conservazione delle opere di
bonificamento e loro pertinenze"),
"Sono lavori, atti o fatti vietati in modo assoluto rispetto
ai sopraindicati
corsi d'acqua, strade, argini ed altre opere d'una
bonificazione:
a) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, e lo smovimento del terreno
dal piede interno ed esterno degli argini e loro accessori o
dal ciglio delle
sponde dei canali non muniti di argini o dalle scarpate
delle strade, a distanza
minore di metri 2 pelle piantagioni, di metri i a 2 per le
siepi e smovimento
del terreno, e di metri 4 a 10 per i fabbricati, secondo
l'importanza
del corso d'acqua".
A norma dell'art. 96, lett. f), del RD n. 523 del 1904, "Sono
lavori ed atti vietati
in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese ... le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo
smovimento del terreno
a distanza dal piede degli argini e loro accessori come
sopra, minore di
quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza
di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per
le piantagioni e
smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e
per gli scavi".
Dalle menzionate disposizioni scaturiscono due diversi
regimi:
● il primo, concerne
le opere di bonifica e le loro pertinenze e prevede, secondo
la loro importanza,
una distanza minima per i fabbricati che può essere fissata
da 4 a
10 metri;
● il secondo concerne, invece, tutte le altre acque
pubbliche, le loro
sponde, alvei e difese e fissa la distanza minima di 10
metri per le fabbriche.
---------------
Svolgimento del processo
L'associazione denominata Comitato contro gli abusi edilizi
ed ambientali e
per la tutela dell'ambiente nonché quella denominata
Legambiente Onlus
hanno chiesto al TSAP l'annullamento della deliberazione del
consiglio comunale
di Grumolo delle Abbadesse con la quale è stata approvata
(ai sensi
dell'art. 50, comma 4, LR Veneto n. 61 del 1985) la variante
al PRG consistente
nella modifica dell'art. 40 delle norme tecniche di
attuazione (zone di
tutela e fasce di rispetto) con riduzione da 10 a 5 metri
delle distanze delle
costruzioni dai corsi d'acqua pubblici.
Hanno lamentato: la
violazione
dell'art. 96, lett. f), RD n. 254/1904, a norma del quale le
nuove costruzioni
devono rispettare una distanza di almeno 10 metri dalle
sponde o dai piedi
degli argini dei corsi d'acqua pubblici; la violazione
dell'art. 50, comma 4,
lett. d), della LR Veneto n. 61 del 1985, in relazione
all'art. 42 della stessa
legge; l'eccesso di potere per contraddittorietà con
precedente manifestazione
di volontà; l'eccesso di potere per inosservanza della
circolare regionale
Veneto n. 6 del 1998; l'eccesso di potere per travisamento.
In estrema
sintesi, le associazioni ricorrenti hanno sostenuto che il
limite di rispetto di
mt. 10 dagli argini fluviali può essere superato solo sulla
scorta di ponderata
valutazione di interventi per la miglior tutela idrica.
Il ricorso è stato respinto dal TSAP nella considerazione
che il suddetto limite
è vincolante non per la generalità dei corpi idrici nel
territorio comunale,
bensì solo per quelli non inerenti al sistema di bonifica;
per i corpi idrici sottoposti
alle specifiche competenze di gestione del Consorzio di
Bonifica il limite
di mt. 10 è, dunque, superabile.
Propongono ricorso per cessazione le suddette associazioni
attraverso quattro
motivi. Rispondono con controricorso il Comune di Grumolo
delle Abbadesse
e la Regione Veneto. Il ricorrente ha depositato memoria per
l'udienza.
Motivi della decisione
Il primo motivo (violazione art. 96, lett. f), RD n. 523/1904
in combinato disposto
con la legge n. 36/1994 e l'art. 144 DLGS n. 152/2006)
sostiene che
non potrebbe più ritenersi attuale la distinzione tra due
regimi vincolistici
autonomi, ossia da un lato la generalità delle opere
idrauliche (art. 96 cit.) e
dall'altro la speciale disciplina dei corsi d'acqua
funzionali alla bonifica ed al miglioramento fondiario.
Infatti, con l'avvento della legge n. 36/1994, poi
trasfusa nel Codice dell'Ambiente (DLGS cit.), sarebbe stata
generalizzata la
genetica inerenza pubblicistica della totalità dei corpi
idrici, superando del
tutto sia il previgente regime di catalogazione, sia
l'attrazione delle acque di
bonifica ad un regime d'impronta tendenzialmente
privatistica, come quello
consortile. Sicché, l'originaria demanialità dell'indistinto
"bene-acqua" e
delle sue pertinenze renderebbe inevitabilmente recessiva la
specialità disciplinare
delle rete idriche minori, ossia i canali di bonifica.
In
conclusione, sarebbe
applicabile e cogente la sola regola di polizia idraulica di
maggior tutela
di cui all'art. 96, lett. f), RD n. 523/1904.
Il motivo è infondato.
A norma dell'art. 133, lett. a), del RD n. 268 del 1904
(inserito nei Capo I
"Disposizioni per la conservazione delle opere di
bonificamento e loro pertinenze"),
"Sono lavori, atti o fatti vietati in modo assoluto rispetto
ai sopraindicati
corsi d'acqua, strade, argini ed altre opere d'una
bonificazione:
a) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, e lo smovimento del terreno
dal piede interno ed esterno degli argini e loro accessori o
dal ciglio delle
sponde dei canali non muniti di argini o dalle scarpate
delle strade, a distanza
minore di metri 2 pelle piantagioni, di metri i a 2 per le
siepi e smovimento
del terreno, e di metri 4 a 10 per i fabbricati, secondo
l'importanza
del corso d'acqua".
A norma dell'art. 96, lett. f), del RD n. 523 del 1904, "Sono
lavori ed atti vietati
in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese ... le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo
smovimento del terreno
a distanza dal piede degli argini e loro accessori come
sopra, minore di
quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza
di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per
le piantagioni e
smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e
per gli scavi".
Dalle menzionate disposizioni scaturiscono due diversi
regimi: il primo, concerne
le opere di bonifica e le loro pertinenze e prevede, secondo
la loro importanza,
una distanza minima per i fabbricati che può essere fissata
da 4 a
10 metri; il secondo concerne, invece, tutte le altre acque
pubbliche, le loro
sponde, alvei e difese e fissa la distanza minima di 10
metri per le fabbriche.
Ora, che i due summenzionati regimi siano tuttora in vigore
è questione indiscussa
nella giurisprudenza e nell'applicazione amministrativa. Né
l'avvento della disposizione dell'art. 144 del DLGS n. 152
del 2006 ("Tutte le
acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal
sottosuolo, appartengono
al demanio dello Stato") consente di ritenerli
implicitamente abrogati,
posto che l'oggetto e le esigenze posti a fondamento di
ciascuno
continuano a giustificarne il vigore. Sicché, legittimamente
il Comune ha
trasposto nella propria normativa urbanistica i diversi
regimi per ciascuno dei diversi corsi d'acqua
(Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 01.07.2016 n. 13532). |
EDILIZIA PRIVATA:
ARGINI FLUVIALI.
Distanze dei fabbricati dagli argini fluviali, diversi
regimi per opere di bonifica e altre acque pubbliche ex R.D.
n. 523/1904, vigenza, trasposizione nella normativa
urbanistica comunale, legittimità
Art. 144, D.Lgs. n. 152/2006; artt. 133, lett. a) e 96,
lett. f), R.D. n. 523/1904
In tema di distanze dei fabbricati dagli
argini fluviali, restano
vigenti, pur in seguito all’entrata in vigore del
c.d. codice dell’ambiente (art. 144, D.Lgs. n. 152/2006),
gli artt. 133, lett. a) e 96, lett. f), R.D. n. 523/1904, i
quali
fissano, in tema di opere di bonifica, una distanza minima
tra 4 a 10 metri e, con riferimento a tutte le altre acque
pubbliche, la distanza minima di 10 metri.
Pertanto,
legittimamente un’amministrazione comunale può trasporre
nella propria normativa urbanistica i diversi regimi
per ciascuno dei diversi corsi d’acqua.
Con la
pronuncia in commento la Cassazione, a sezioni
Unite, si è occupata della tematica dei regimi di distanze
dei fabbricati dagli argini fluviali per ragioni di tutela
idrica,
con particolare riferimento, in tema di opere di bonifica e
acque pubbliche, alle regole applicabili in seguito
all’entrata
in vigore del c.d. codice dell’ambiente.
Nel caso in esame, due Associazioni per la tutela ambientale
chiedevano al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
l’annullamento della deliberazione di un consiglio comunale
con la quale era stata approvata una variante al
piano regolatore generale, con riduzione da 10 a 5 metri
delle distanze delle costruzioni dai corsi d’acqua pubblici.
Il Tribunale adito, però, respingeva il ricorso con cui si
sosteneva
che il limite di rispetto di mt. 10 dagli argini fluviali
poteva essere superato solo sulla scorta di ponderata
valutazione
di interventi per la miglior tutela idrica. Il TSAP, in
particolare, osservava che il suddetto limite è vincolante
non per la generalità dei corpi idrici nel territorio
comunale,
bensì solo per quelli non inerenti al sistema di bonifica;
per
i corpi idrici sottoposti alle specifiche competenze di
gestione
del Consorzio di Bonifica il limite di mt. 10 è, dunque,
superabile.
La questione giungeva così in Cassazione la quale, ricorda
innanzitutto la normativa applicabile al caso di specie:
• R.D. n. 268/1904, art. 133, lett. a): che, in tema di
opere
di bonifica e loro pertinenze, prevede, secondo la loro
importanza,
una distanza minima per i fabbricati che può essere
fissata da 4 a 10 metri;
• R.D. n. 523/1904, art. 96, lett. f): che, con riferimento
a
tutte le altre acque pubbliche, le loro sponde, alvei e
difese,
fissa la distanza minima di 10 metri per le fabbriche.
Sussistono, quindi, due diversi regimi, i quali, illustra la
Cassazione, sono tuttora in vigenti. In particolare:
• l’oggetto e le esigenze posti a fondamento di detti regimi
continuano a giustificarne il vigore, anche in seguito
all’entrata
in vigore del c.d. codice dell’ambiente;
• l’avvento della disposizione del D.Lgs. n. 152/2006, art.
144, secondo cui “tutte le acque superficiali e sotterranee,
ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al
demanio
dello Stato”, non consente di ritener detti regimi
implicitamente
abrogati.
Da tali considerazioni consegue dunque che legittimamente
l’amministrazione comunale può trasporre nella propria
normativa urbanistica i diversi regimi per ciascuno dei
diversi corsi d’acqua (Corte
di
Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza
01.07.2016 n. 13532
- tratto da Ambiente & sviluppo n. 11/2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
La norma di cui all'artt. 96, sub f), del R.D. 25.07.1904 n.
523 recita "Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto
sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i
seguenti...le piantagioni di alberi e di siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
del piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del
terreno e di metri dieci per le fabbriche e gli scavi".
Il reato ha natura di pericolo sicché, per la sussistenza
della fattispecie contravvenzionale, non occorre l'ulteriore
verifica che l'azione illecita abbia recato nocumento
all'alveo del corso d'acqua o alle sue sponde.
---------------
1. Per illustrare la sua censura, il ricorrente muove dal
presupposto del reato contestato, relativo allo spostamento
dell'area di sedime del manufatto. Secondo l'imputato, non
rientrerebbe nel divieto posto dall'art. 96, comma 1, lett.
f), RD n. 523/1904 il comportamento consistente
nell'allontanamento di un manufatto dall'argine, quando
realizzato nel limite dei 10 metri.
Infatti, la diversa interpretazione sarebbe contraria alla
lettera della norma ed all'interesse pubblico ed, in ogni
caso, contrasterebbe con lo spirito dell'art. 1 della Legge
Regionale Toscana n. 21/2012, che consente gli interventi
volti a garantire la fruibilità pubblica all'interno delle
fasce di larghezza di dieci metri dal piede dell'argine, ove
non compromettano l'efficacia e l'efficienza dell'opera
idraulica e non alterino il buon regime delle acque.
Aggiunge il Severi che la norma a lui contestata, se ponesse
un divieto assoluto, dovrebbe sempre prescindere dalla
preventiva valutazione delle amministrazioni competenti,
sicché gli stessi giudici di merito avrebbero in qualche
modo ammesso che la fattispecie non potesse essere riferita
al divieto di cui all'art. 96 citato. Ciò anche perché lo
spostamento dell'area di sedime non sarebbe elemento
sufficiente a qualificare l'intervento come nuova
costruzione.
2. Il motivo è infondato, ma il reato si è medio tempore
prescritto.
La norma di cui all'artt. 96, sub f), del R.D. 25.07.1904 n.
523 recita "Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto
sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i
seguenti...le piantagioni di alberi e di siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza
del piede degli argini e loro accessori come sopra, minore
di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse
località, ed in mancanza di tali discipline a distanza
minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del
terreno e di metri dieci per le fabbriche e gli scavi".
Il reato ha natura di pericolo sicché, per la sussistenza
della fattispecie contravvenzionale, non occorre l'ulteriore
verifica che l'azione illecita abbia recato nocumento
all'alveo del corso d'acqua o alle sue sponde [Sez. 3,
Sentenza n. 36502 del 21/09/2006 Ud. (dep. 03/11/2006) Rv.
235531].
Nella specie, come ammette lo stesso ricorrente,
l'originario manufatto è stato demolito e successivamente
ricostruito in luogo fisicamente diverso, ancorché
adiacente. Si tratta dunque naturalisticamente di una nuova
costruzione, come tale rientrante nella nozione astratta di
"costruzione di fabbriche" prevista dal reato
contestato. La violazione è assoluta -dunque non
condizionata alla preventiva valutazione dell'autorità
amministrativa- sicché in tal senso va emendata la
motivazione del giudice d'appello.
Tuttavia, tale non corretto riferimento non inficia la
ratio decidendi della Corte d'Appello, laddove
puntualizza chiaramente che la violazione in parola rileva
essenzialmente sul piano penale (ed a prescindere da quello
edilizio), giacché la norma incriminatrice, a tutela delle
acque pubbliche e pertanto dell'interesse collettivo, impone
limiti e regole molto più cogenti di quelle dettate a
presidio delle norme urbanistiche, per ciò solo
insuscettibili di deroghe
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.01.2016 n. 4376 - data udienza). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla giurisdizione del T.S.A.P. per le controversie sul
diniego di sanatoria per il mancato rispetto delle distanze
dall’argine del fiume.
Il torrente che il Comune ha ritenuto
ostativo alla regolarizzazione dell’opera abusiva è un corso
d’acqua pubblico, come tale rientrante nell’ambito di
applicazione del R.D. n. 1775/1933 e del R.D. n. 523/1904.
Ai sensi dell’art. 143 del R.D. n. 1775/1933, appartengono
alla cognizione del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche i ricorsi avverso i provvedimenti presi
dall’amministrazione in materia di acque pubbliche.
Orbene, qualora il provvedimento dell’Ente sia motivato,
come nel caso di specie, in base alla dislocazione
dell’immobile oggetto di sanatoria a distanza inferiore da
quella minima dall’argine o dalla sponda di un fiume, rileva
una situazione incidente in maniere diretta e immediata
sulla regolamentazione delle acque pubbliche, con
conseguente diretta interferenza sul regolare regime delle
stesse, il che implica la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, atteso il carattere
inderogabile della tutela all’uopo apprestata
dall’ordinamento.
Alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
appartiene altresì la questione dell’ammissibilità del
condono delle porzioni immobiliari che non ricadrebbero
nella fascia di rispetto del fiume, in quanto l’opera
edilizia abusiva deve essere identificata, ai fini della
concessione edilizia in sanatoria, con riferimento
all’unitarietà dell’edificio realizzato.
... per
l'annullamento:
- del provvedimento di diniego di concessione in sanatoria
(negazione n° 20/S/724) emesso dal Sindaco del Comune di
Pietrasanta in data 08/09/1998 notificato il 18/09/1998, con
il quale il Sindaco stesso ha negato la concessione in
sanatoria richiesta con domanda presentata dal ricorrente in
data 01/03/1995 (domanda n. 1111);
- dell'ordinanza n. 147/99 del 29/03/1999 notificata al
ricorrente in data 06/04/1999, con la quale il Dirigente
dell'Ufficio Assetto del Territorio del Comune di
Pietrasanta ha ingiunto al ricorrente la demolizione, nel
termine di gg. 90 dalla notifica dell'ordinanza stessa,
delle opere eseguite su terreno sito in Pietrasanta,
località Casone, rappresentato catastalmente nel foglio di
mappa 48 dal mappale 144.
...
Il Collegio preliminarmente rileva che l’Amministrazione
resistente ha eccepito il difetto di giurisdizione.
L’eccezione è fondata.
Il torrente che il Comune ha ritenuto ostativo alla
regolarizzazione dell’opera abusiva è un corso d’acqua
pubblico, come tale rientrante nell’ambito di applicazione
del R.D. n. 1775/1933 e del R.D. n. 523/1904.
Ciò precisato, occorre considerare che, ai sensi dell’art.
143 del R.D. n. 1775/1933, appartengono alla cognizione del
Tribunale Superiore delle acque pubbliche i ricorsi avverso
i provvedimenti presi dall’amministrazione in materia di
acque pubbliche.
Orbene, qualora il provvedimento dell’Ente sia motivato,
come nel caso di specie, in base alla dislocazione
dell’immobile oggetto di sanatoria a distanza inferiore da
quella minima dall’argine o dalla sponda di un fiume, rileva
una situazione incidente in maniere diretta e immediata
sulla regolamentazione delle acque pubbliche, con
conseguente diretta interferenza sul regolare regime delle
stesse, il che implica la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, atteso il carattere
inderogabile della tutela all’uopo apprestata
dall’ordinamento (Cass., S.U., 12/05/2009, n. 10845; TAR
Toscana, III, 06/04/2010, n. 938; idem, 27.03.2013, n. 510;
idem, 27.03.2013, n. 496; TAR Campania, Napoli, VIII,
07/12/2009, n. 8602).
Alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
appartiene altresì la questione dell’ammissibilità del
condono delle porzioni immobiliari che non ricadrebbero
nella fascia di rispetto del fiume, in quanto l’opera
edilizia abusiva deve essere identificata, ai fini della
concessione edilizia in sanatoria, con riferimento
all’unitarietà dell’edificio realizzato (TAR Toscana, III,
26.09.2014, n. 1497).
Pertanto, la controversia in esame non appartiene alla
giurisdizione del giudice amministrativo, cosicché il
ricorrente potrà assumere il giudizio davanti al giudice
competente, nel termine e con le modalità indicate dall'art.
11 del d.lgs. n. 104/2010
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.12.2014 n. 1977 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di servitù idraulica: dieci metri (96, lett. f, RD n.
523/1904) o la diversa misura fissata dal regolamento -
Valore di vincolo assoluto di inedificabilità - Va applicato
anche rispetto ad un corso d’acqua che, nello specifico
sito, sia stato coperto o protetto da un consistente argine.
Il Comune, di fronte alla domanda di
sanatoria, di un box costruito in prossimità di un corso
d’acqua pubblica, in violazione del divieto di cui alla
lett. f) dell’art. 96 RD n. 523/1904 o di quello diverso
fissato dal regolamento, “non poteva che negare il titolo
abilitativo edilizio in sanatoria.
L’art. 96 cit. non fa alcuna distinzione tra argini naturali
ed artificiali, sicché è del tutto irrilevante che, nel
tratto in questione, il torrente Lura sia stato delimitato
da un muro di contenimento.
Ugualmente non può assumere rilevanza il fatto che il torrente Lura, in
quel tratto, è completamente coperto. La norma di cui
all’art. 96 cit. vale, infatti, anche per i corsi d’acqua
tombinati.
Tale conclusione, pacifica in giurisprudenza, trova
giustificazione nella finalità del divieto di edificazione
posto dal citato art. 96, che non è solo quella di
assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali ed il loro libero deflusso, ma anche quella di
consentire uno spazio di manovra nel caso di … manutenzione
delle condutture …”
(T.S.A.P.,
sentenza 29.11.2014 n. 246). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 45 dell'08.11.2014, "Riordino
dei reticoli idrici di Regione Lombardia e revisione dei
canoni di polizia idraulica"
(deliberazione
G.R. 31.10.2014 n. 2591). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanza dal mare per costruzioni.
Domanda
La battigia del mare e la
distanza delle costruzioni da essa come devono essere
definite e interpretate?
Risposta
Ai fini del calcolo della
distanza dal mare per l'inedificabilità nell'ambito dei
centocinquanta metri, un elemento che bisogna prendere in
considerazione è la battigia del mare.
Normalmente per battigia del mare si intende quella zona
delle coste sabbiose e limose che viene periodicamente
sommersa e scoperta dalle onde con mare calmo.
Tale definizione, però, non tiene conto del fatto che, per
lo più, nel nostro Paese, si è in presenza di coste
rocciose. Pertanto, è bene ritenere che per battigia del
mare si debba intendere il punto in cui avviene il contatto
tra il mare e la terraferma. In tal modo si viene ad avere
un criterio di valutazione conforme per tutto il territorio
nazionale. Ora, al fine di determinare la distanza della
costruzione dalla battigia del mare, alla luce di costante
giurisprudenza del giudice amministrativo, è bene effettuare
il calcolo non con riferimento allo sviluppo scosceso
dell'abitazione al mare, bensì prendendo in esame la linea
orizzontale tra i punti più vicini del manufatto e della
costa, nel punto di intersezione con la linea verticale
proiettata dalla battigia al mare.
Diversamente, se si misurasse la distanza seguendo
l'andamento scosceso del terreno si avrebbe che i litorali
bassi e sabbiosi, spesso caratterizzati da una certa
uniformità di paesaggio, sarebbero tutelati da un divieto
assoluto di edificare a distanze inferiore a centocinquanta
metri, mentre per il litorali frastagliati e discontinui,
generalmente più interessanti sotto il profilo naturalistico
e paesaggistico, il divieto non varrebbe per quelle
costruzioni che si porrebbero a una distanza solo
formalmente superiore a quella minima di legge, in ragione
del dislivello o della particolare conformazione del pendio,
pur essendo obiettivamente in linea d'aria a una distanza
dalla battigia del mare inferiore a quella prescritta.
Al riguardo, interessante è la sentenza n. 998 del
29.10.2009 del Consiglio di giustizia amministrativa della
Regione Sicilia (articolo ItaliaOggi Sette del 13.10.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: (a)
i divieti di edificazione e movimento terra previsti
dall’art. 96, comma 1-f, del RD 523/1904 a tutela del
vincolo idraulico (integrati a livello locale dalla
disciplina regionale di cui alla DGR n. 7/7868 del
25.01.2002, e successive modifiche, sulla polizia idraulica
di competenza comunale) devono essere intesi non tanto come
strumenti di protezione dello stato attuale dei luoghi, ma
come misure dirette a impedire l’alterazione del regolare
deflusso delle acque;
(b) per alcuni interventi edilizi le due situazioni tendono
a coincidere (ad esempio, una nuova costruzione altera lo
stato dei luoghi e pone con la sua sola presenza un ostacolo
al regolare deflusso delle acque, talvolta un ostacolo
attuale, talvolta un ostacolo connesso al verificarsi di
particolari eventi meteorologici). Per altre opere è invece
più agevole tenere distinto l’aspetto della modifica dello
stato dei luoghi da quello del regolare deflusso delle
acque;
(c) la necessità di questa distinzione si manifesta
specificamente nei movimenti terra finalizzati a riparare o
modificare le infrastrutture presenti. La sistemazione o
l’ampliamento di una strada possono in effetti comportare la
modifica dell’alveo di un torrente, ma questo non significa
che tali interventi siano automaticamente in contrasto con
il vincolo idraulico. In realtà, il compito dei comuni
nell’esercizio delle funzioni di polizia idraulica è proprio
quello di individuare le condizioni tecniche idonee a
garantire il potenziamento delle infrastrutture e allo
stesso tempo il mantenimento (e se possibile il
miglioramento) del regolare deflusso delle acque;
... per l'annullamento dell’ordinanza del dirigente del
Servizio Tecnico n. 1 del 04.01.2007, con la quale è stato
annullato il permesso di costruire rilasciato il 06.05.2005
ed è stata ingiunta la demolizione di alcune opere abusive
realizzate nei pressi di via Odas;
...
Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono
svolgere le seguenti considerazioni:
(a) i divieti di edificazione e movimento terra previsti
dall’art. 96, comma 1-f, del RD 523/1904 a tutela del vincolo
idraulico (integrati a livello locale dalla disciplina
regionale di cui alla DGR n. 7/7868 del 25.01.2002, e
successive modifiche, sulla polizia idraulica di competenza
comunale) devono essere intesi non tanto come strumenti di
protezione dello stato attuale dei luoghi, ma come misure
dirette a impedire l’alterazione del regolare deflusso delle
acque;
(b) per alcuni interventi edilizi le due situazioni tendono
a coincidere (ad esempio, una nuova costruzione altera lo
stato dei luoghi e pone con la sua sola presenza un ostacolo
al regolare deflusso delle acque, talvolta un ostacolo
attuale, talvolta un ostacolo connesso al verificarsi di
particolari eventi meteorologici). Per altre opere è invece
più agevole tenere distinto l’aspetto della modifica dello
stato dei luoghi da quello del regolare deflusso delle
acque;
(c) la necessità di questa distinzione si manifesta
specificamente nei movimenti terra finalizzati a riparare o
modificare le infrastrutture presenti. La sistemazione o
l’ampliamento di una strada possono in effetti comportare la
modifica dell’alveo di un torrente, ma questo non significa
che tali interventi siano automaticamente in contrasto con
il vincolo idraulico. In realtà, il compito dei comuni
nell’esercizio delle funzioni di polizia idraulica è proprio
quello di individuare le condizioni tecniche idonee a
garantire il potenziamento delle infrastrutture e allo
stesso tempo il mantenimento (e se possibile il
miglioramento) del regolare deflusso delle acque;
(d) nello specifico, la circostanza che l’amministrazione
abbia rilasciato l’originario permesso di costruire in data
06.05.2005 dimostra l’esistenza di un interesse pubblico
alla sistemazione dell’alveo del torrente e alla messa in
sicurezza della strada demaniale, che risulta esposta alle
esondazioni. Questo interesse è compatibile con quello dei
privati a migliorare il transito sulla medesima strada,
ampliandone il sedime e prolungandone il tracciato verso le
loro proprietà. Al vantaggio per la sicurezza della
viabilità si aggiunge l’assenza di oneri per
l’amministrazione;
(e) naturalmente, non devono essere causati danni alla
proprietà di terzi, né la stessa deve essere invasa senza
uno specifico atto di assenso, ma su questo punto i
ricorrenti avevano già provveduto a formulare alcune
correzioni con la richiesta di variante. Una volta ricevuta
l’istanza, era compito degli uffici comunali verificare
l’adeguatezza del nuovo progetto e imporre eventuali
modifiche tramite prescrizioni tecniche. Un’eventuale
ordinanza di demolizione avrebbe potuto riguardare solo i
lavori già eseguiti non approvati in sede di variante;
(f) in definitiva, la presenza del vincolo idraulico non
impedisce la realizzazione di un intervento come quello
proposto dai ricorrenti, a condizione che il Comune (anche
avvalendosi delle competenti strutture tecniche regionali e
provinciali) stabilisca esattamente le prescrizioni tecniche
in grado di preservare, e possibilmente migliorare, il
regolare deflusso delle acque;
(g) non sussiste alcun impedimento neppure sotto il profilo
urbanistico, in quanto la classificazione della strada in
zona agricola non determina l’immodificabilità della stessa.
In realtà, il divieto di interventi edilizi desumibile dagli
art. 43 e 46 delle NTA deve essere riferito alle nuove
opere, ossia agli interventi che alterano per la prima volta
lo stato dei luoghi. Gli interventi di sistemazione e
ampliamento di infrastrutture esistenti, anche se non
espressamente menzionati nella disciplina urbanistica, sono
invece da considerare pienamente ammissibili quando siano
collegati a un preciso interesse pubblico, che nel caso in
esame è ravvisabile nella messa in sicurezza della viabilità
comunale.
10. Il ricorso deve quindi essere accolto, con il
conseguente annullamento degli atti impugnati. L’effetto
conformativo derivante dalla presente pronuncia comporta
l’obbligo per il Comune di esaminare la richiesta di
variante al permesso di costruire originario, fermo restando
il potere di imporre modifiche al progetto per salvaguardare
e migliorare il regolare deflusso delle acque, e comunque
per minimizzare l’impatto ambientale dell’intervento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 29.09.2014 n. 998 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
controversia avente ad oggetto la titolarità di un terreno
che, pacificamente, faceva un tempo parte dell’alveo del
fiume, ma che risulta abbandonato dalle acque da molti anni,
non ponendo alcuna questione, ai fini del decidere, in
ordine alla determinazione dei limiti dell’alveo e delle
sponde, ovvero alla qualificazione dello stesso come alveo,
sia con riferimento al passato che al presente, appartiene
alla competenza per materia del tribunale ordinario e non a
quella del tribunale regionale delle acque pubbliche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- che il Collegio ritiene il ricorso fondato;
- che va fatta applicazione del principio secondo cui la
controversia avente ad oggetto la titolarità di un terreno
che, pacificamente, faceva un tempo parte dell’alveo del
fiume, ma che risulta abbandonato dalle acque da molti anni,
non ponendo alcuna questione, ai fini del decidere, in
ordine alla determinazione dei limiti dell’alveo e delle
sponde, ovvero alla qualificazione dello stesso come alveo,
sia con riferimento al passato che al presente, appartiene
alla competenza per materia del tribunale ordinario e non a
quella del tribunale regionale delle acque pubbliche (Cass.
n. 18333 del 2006; Cass. n. 1916 del 2011);
- che tale è la situazione di specie, giacché non è in
discussione che l’area rivendicata dal privato, appartenente
all’ex alveo del torrente (OMISSIS), oramai da lunghissimo
tempo non è più soggetta allo scorrimento delle acque ed è
delimitata dall’alveo attuale da un argine naturale
ricoperto da folta vegetazione di pini ad alto fusto;
- che è esatto il rilievo del pubblico ministero secondo cui
il Comune e le Amministrazioni dello Stato, nel costituirsi
in giudizio, hanno eccepito la demanialità di tale area;
- che, tuttavia, la detta eccezione è stata sollevata, non
per dedurre l’appartenenza della zona di terreno in
questione al demanio idrico (il che avrebbe imposto la
competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche,
giacché la competenza del giudice specializzato scatta
quando la controversia involge questioni sulla demanialità
delle acque pubbliche o incide comunque, direttamente o
indirettamente, sugli interessi pubblici connessi al regime
delle acque: Cass. n. 14906 del 2000 e Cass. n. 2656 del
2012), ma per sostenere che l’area ha natura demaniale
essendo stata utilizzata “per il soddisfacimento di
molteplici esigenze di carattere collettivo/generale”, ossia
per esercitazioni delle Forze armate e per la realizzazione
di un elettrodotto, di un collettore fognario e di un
tracciato per il transito ciclo-pedonale;
- che, pertanto, va dichiarata la competenza del Tribunale
ordinario di Brescia, giacché, pur affermandosi che il
terreno conteso costituiva un tempo l’alveo di un corso
d’acqua, risulta pacifico che esso abbia definitivamente
cessato di farne parte, disputandosi esclusivamente circa
l’appartenenza, al privato ovvero al Comune o all’Agenzia
del demanio, delle porzioni abbandonate, per cause naturali,
del corso acqua, senza che venga in rilievo una attuale
demanialità idrica, ma una proprietà pubblica di diversa
natura
(Corte di
Cassazione, Sez. VI civile,
sentenza 24.07.2014 n. 16807 - link a http://renatodisa.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla giurisdizione del Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche.
L'art. 133, c. 1, lett. b) ed f), del c.p.a., in tema di
rapporti di concessione di beni pubblici ed in materia
urbanistico-edilizia e di uso del territorio (incluso il
fenomeno espropriativo), ha salvaguardato la giurisdizione
del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, regolata
dalla previgente normativa, di cui all'art. 143, c. 1, lett.
a), del r.d. n. 1775/1933.
Tale giurisdizione va estesa anche ai provvedimenti che, pur
se promananti da autorità diverse da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, siano caratterizzati
dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e
concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la
localizzazione, la gestione e l'esercizio delle opere
idrauliche, ivi compresi pure i provvedimenti espropriativi
o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti per la
realizzazione dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque
influenti sulla sua localizzazione sul suo spostamento.
Tale principio rileva indipendentemente dalla ragione che
abbia determinato l'adozione di detti provvedimenti, quindi
anche se non connessi al regime delle acque e quindi anche
se resi necessari dalla tutela dell'ambiente o di un bene
artistico o da valutazioni tecniche in funzione della
salvaguardia dell'incolumità pubblica o ancora da mere
ragioni di opportunità amministrativa.
Pertanto può affermarsi che, mentre esulano dalla
giurisdizione del Tribunale delle Acque delle Acque
Pubbliche (e rientrano in quella del g.a.) i provvedimenti
incidenti sulla materia e sul regime delle acque pubbliche
in via meramente strumentale ed indiretta, vi rientrino i
provvedimenti di approvazione del progetto definitivo per la
realizzazione di una centrale idroelettrica, previa V.I.A.,
gli atti concernenti la costituzione di una servitù
coattiva, mediante procedura espropriativa, per il passaggio
della condotta necessaria per la realizzazione dell'opera,
nonché il relativo permesso di costruzione, atti tutti
incidenti in maniera diretta ed immediata sul regime delle
acque pubbliche.
In particolare è stata ritenuta la sussistenza della
giurisdizione del Tribunale Superiore in caso di impugnativa
di provvedimenti influenti sulla localizzazione dell'opera
idraulica o sul suo spostamento, nonché sulla definizione
delle sue caratteristiche e sulla sua realizzazione, nonché
sui provvedimenti di occupazione ed espropriazione di opere
necessarie per realizzare la condotta idraulica relativa
alla costruzione di una centrale idroelettrica contestata
dal titolare del fondo ove era previsto il transito
interrato di una nuova condotta di adduzione finalizzata
alla canalizzazione delle acque per il successivo
sfruttamento idroelettrico.
---------------
Sussiste la giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, a norma dell'art. 143, c.
1, lett. a), del r.d. n. 1775 del 1933, oltre che con
riguardo alle questioni investenti gli interessi pubblici
connessi al regime delle acque strettamente inteso
(demanialità delle acque, contenuto o limiti di una
concessione di utenza, nonché questioni di carattere
eminentemente tecnico relative alla distribuzione ed all'uso
delle acque pubbliche ed ai diritti di derivazione o
utilizzazione dell'utenza nei confronti della P.A.), ogni
volta che siano impugnati provvedimenti amministrativi
caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a
disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la
sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i
provvedimenti in materia di acque pubbliche, "allorquando
i provvedimenti impugnati incidono direttamente ed
immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in
concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a
stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o
influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimento...Non rientrano, per
contro, in tale speciale competenza giurisdizionale le
controversie che hanno per oggetto atti solo strumentalmente
inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime
delle acque" (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.07.2014 n. 3436 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Circa il rispetto della fascia di mt. 10
dall'alveo dei corsi d'acqua, non
rileva il rilievo circa la necessità di riferire la
locuzione “discipline vigenti nelle diverse località” ad una
ambito necessariamente infraregionale.
Infatti, all’epoca dell’entrata in vigore dell'art. 96,
lett. F), del R.D. 25.07.1904, n. 523, le Regioni non erano
state ancora né previste, né istituite, sicché non può farsi
il paragone lessicale con altre disposizioni emanate in un
tempo successivo all’istituzione delle Regioni.
Il riferimento in questione deve pertanto intendersi,
comunque, come un rinvio mobile ad una disciplina non
applicabile sull’intero territorio nazionale e che tenga
conto delle specificità locali. Tale carattere è riferibile
anche alla disciplina regionale, in costanza della quale
perde rilievo la ipotizzata natura suppletiva della norma,
poiché la fattispecie risulta disciplinata dalla nota della
Regione Lombardia dell’08.09.1988.
Va richiamata al riguardo Cass., Sez. Unite, 18.07.2008, n.
19813, secondo la quale: “L'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523, in materia di distanze delle costruzioni
dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo destinato a
prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale.
Tuttavia, quest'ultima, che può anche essere contenuta nello
strumento urbanistico, per derogare alla norma statale, deve
essere espressamente destinata alla regolamentazione delle
distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e
le esigenze di tutela delle acque e degli argini che
giustifichino la determinazione di una distanza maggiore o
minore di quella indicata dalla norma statale”.
---------------
I divieti di edificazione sanciti dall'art. 96, lett. F),
del RD 25.07.1904, n. 523 (t.u. delle leggi sulle opere
idrauliche), sono precipuamente informati alla ragione
pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali per i diversi usi disciplinati dalla
speciale legislazione sulle acque, o, comunque, di
assicurare, ai fini di pubblico interesse, il libero
deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi,
canali e scolatoi pubblici: ne consegue che, qualora risulti
oggettivamente non sussistente una massa d'acqua pubblica
suscettibile di essere utilizzata ai suesposti fini
pubblicistici, deve escludersi la operatività, ad ogni
effetto, dei divieti predetti.
1. Con ricorso n. 389 del 1989, proposto al TAR Lombardia,
sez. staccata di Brescia, l’odierno appellante chiedeva
l’annullamento del provvedimento dell’Assessore delegato del
Comune di Sarezzo dell’08.02.1989 avente ad oggetto il
diniego con cui è stata respinta l’istanza di condono
edilizio relativa all’ampliamento dell’opificio nella parte
localizzata all’interno della fascia di mt. 10 di rispetto
del torrente Gombiera, nonché del parere negativo
dell’ufficio del Genio civile di Brescia
2. Il primo Giudice respingeva il ricorso, rilevando che
l’art. 33 della L. n. 47 del 1985 contenente l’elencazione
delle opere non suscettibili di sanatoria, al comma 1, lett.
c), include le opere in contrasto con i “vincoli imposti da
norme statali e regionali a difesa delle coste marine,
lacuali e fluviali”.
Dal canto suo, l’art. 96, lett. F), del R.D. 25.07.1904,
n. 523, vieta in modo assoluto le costruzioni ad una
distanza inferiore di mt. 10 dall’alveo dei corsi d’acqua.
Né vale obbiettare che, da un lato, si sarebbe instaurata di
fatto una prassi locale sfociata nella consuetudine di cui è
parola nell’art. 96 citato, laddove fa riferimento alla
“disciplina locale”, perché quest’ultima locuzione deve
intendersi riferita alla disciplina regionale: la Regione
Lombardia con nota dell’08.09.1988 ha espressamente
affermato la non conformità dell’opera, invitando il Comune
resistente a emettere ordinanza di demolizione, con
ripristino dello stato dei luoghi; dall’altro, il diniego,
che prescinde dalla situazione di fatto, non può dirsi che
non sarebbe congruamente motivato, atteso che l’opera viola
un vincolo assoluto, senza che pertanto residui in sede di
esame della domanda di condono alcun margine di
apprezzamento discrezionale.
...
5. L’appello è infondato e non può essere accolto.
5.1. In ordine alla prima doglianza, non rileva il rilievo
circa la necessità di riferire la locuzione “discipline
vigenti nelle diverse località” ad una ambito
necessariamente infraregionale.
Infatti, all’epoca dell’entrata in vigore del citato art.
96, le Regioni non erano state ancora, né previste, né
istituite, sicché non può farsi il paragone lessicale con
altre disposizioni emanate in un tempo successivo
all’istituzione delle Regioni.
Il riferimento in questione deve pertanto intendersi,
comunque, come un rinvio mobile ad una disciplina non
applicabile sull’intero territorio nazionale e che tenga
conto delle specificità locali. Tale carattere è riferibile
anche alla disciplina regionale, in costanza della quale
perde rilievo la ipotizzata natura suppletiva della norma,
poiché la fattispecie risulta disciplinata dalla nota della
Regione Lombardia dell’08.09.1988.
Va richiamata al riguardo Cass., Sez. Unite, 18.07.2008,
n. 19813, secondo la quale: “L'art. 96, lett. f), del r.d.
25.07.1904, n. 523, in materia di distanze delle
costruzioni dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo
destinato a prevalere solo in assenza di una specifica
normativa locale. Tuttavia, quest'ultima, che può anche
essere contenuta nello strumento urbanistico, per derogare
alla norma statale, deve essere espressamente destinata alla
regolamentazione delle distanze dagli argini, esplicitando
le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e
degli argini che giustifichino la determinazione di una
distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma
statale”.
5.2. Destituita di fondamento risulta anche la seconda
censura.
Come ha chiarito Cass. n. 5644 del 1979, “I divieti di
edificazione sanciti dall'art. 96, lett. F), del RD 25.07.1904, n. 523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche), sono
precipuamente informati alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali per i diversi usi disciplinati dalla speciale
legislazione sulle acque, o, comunque, di assicurare, ai
fini di pubblico interesse, il libero deflusso delle acque
scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatoi
pubblici: ne consegue che, qualora risulti oggettivamente
non sussistente una massa d'acqua pubblica suscettibile di
essere utilizzata ai suesposti fini pubblicistici, deve
escludersi la operatività, ad ogni effetto, dei divieti
predetti”.
Nella fattispecie, però, non risulta contestata la presenza
di una massa d’acqua, ossia il torrente Gombiera, e che la
stessa sia utilizzata da molte imprese (cfr. appello pag.
2), sicché risulta evidente la necessità di assicurarne il
libero decorso.
Pertanto, l’esercizio del potere risultava in concreto
vincolato, sicché l’atto per come formulato non si espone
alla censura di difetto di motivazione reiterata in seconde
cure
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.06.2014 n. 3283 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto al vincolo fluviale, esso ha indubbiamente
carattere assoluto ed inderogabile; tale vincolo non opera
esclusivamente nel caso in cui risulti obbiettivamente e
prima facie che non sussista una massa di acqua pubblica
suscettibile di essere utilizzata ai fini pubblicistici.
Peraltro, questa Sezione ha già affermato, con forza e del
tutto condivisibilmente, che è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente
ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica, atteso che il divieto di costruzione ad
una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali,
imposto dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha
carattere assoluto ed inderogabile; pertanto, nell'ipotesi
di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale
divieto trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985, n. 47
sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di
inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le
norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate
aree.
---------------
Come afferma costantemente la giurisprudenza, il divieto di
costruzione di opere sugli argini dei corsi d'acqua,
previsto dalla lettera f) del predetto art. 96, è informato
alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
(e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici e ha carattere
legale e inderogabile: ne segue che le opere costruite in
violazione di tale divieto ricadono nella previsione
dell'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria.
E ben vero che la lettera f) dell'art. 96, che qui viene in
questione, commisura il divieto alla distanza "stabilita
dalle discipline vigenti nelle diverse località" e in
mancanza di queste lo stabilisce alla distanza "minore di
metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e
di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi".
Sennonché -come è stato più volte affermato in
giurisprudenza- alla luce del generale divieto di
costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi
d'acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere
eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma
generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una
normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della
tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle
costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola
generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale
deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche
mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può
essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale
strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli
argini anche in eventuale deroga alla disposizione della
lettera f) dell'art. 96, in relazione alla specifica
condizione locale delle acque di cui trattasi.
Quanto al primo motivo d’appello,
questo Collegio deve rilevare che l’impugnata ordinanza n.
235 del 31.08.2000, con la quale il Dirigente del
Settore Assetto del Territorio del Comune di Bagno a Ripoli
negava il rilascio della concessione in sanatoria e, come
diretta conseguenza del diniego, applicava la sanzione di
cui all’art. 7 della Legge n. 47/1985, ha trovato fondamento
nel rilievo che le opere realizzate dai ricorrenti in primo
grado insistono su un’area nella quale è vietata
l’edificazione perché ricompresa nella fascia di m. 10 a
partire dal ciglio di sponda del torrente Rimaggio,
sottoposta al vincolo di cui al R.D. 25.07.1904, n. 523
ed in parte nella fascia di rispetto stradale di cui al D.M.
01.04.1968, n. 1404.
I vincoli fluviali e stradale sono sicuramente riconducibili
alla disciplina di cui all’art. 33 della legge n. 47/1985, e
quindi il caso di specie rientra nelle ipotesi in essa
indicata.
Quanto al vincolo fluviale, esso ha indubbiamente carattere
assoluto ed inderogabile; tale vincolo non opera
esclusivamente nel caso in cui risulti obbiettivamente e
prima facie che non sussista una massa di acqua pubblica
suscettibile di essere utilizzata ai fini pubblicistici; ma
tale evenienza non riguarda il torrente Rimaggio in
prossimità del quale è stata realizzato l’edificio di cui
trattasi.
Peraltro, questa Sezione ha già affermato, con forza e del
tutto condivisibilmente, che è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente
ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica, atteso che il divieto di costruzione ad
una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali,
imposto dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523,
ha carattere assoluto ed inderogabile; pertanto,
nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto
con tale divieto trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985, n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i
vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi
in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26.03.2009, n. 1814).
Come afferma costantemente la giurisprudenza, il divieto di
costruzione di opere sugli argini dei corsi d'acqua,
previsto dalla lettera f) del predetto art. 96, è informato
alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
(e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cass.
civ., SS.UU., 30.07.2009, n. 17784) e ha carattere
legale e inderogabile: ne segue che le opere costruite in
violazione di tale divieto ricadono nella previsione
dell'art. 33 della legge n. 47 del 1985 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez.
V, 26.03.2009, n. 1814; Id., Sez. IV, 12.02.2010,
n. 772; Id., Sez. IV, 22.06.2011, n. 3781; Trib. Sup.
acque pubbl., 15.03.2011, n. 35; ivi riferimenti
ulteriori).
E ben vero che la lettera f) dell'art. 96, che qui viene in
questione, commisura il divieto alla distanza "stabilita
dalle discipline vigenti nelle diverse località" e in
mancanza di queste lo stabilisce alla distanza "minore di
metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e
di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi".
Sennonché -come è stato più volte affermato in
giurisprudenza- alla luce del generale divieto di
costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi
d'acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere
eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma
generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una
normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della
tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle
costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola
generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale
deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche
mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può
essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale
strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli
argini anche in eventuale deroga alla disposizione della
lettera f) dell'art. 96, in relazione alla specifica
condizione locale delle acque di cui trattasi (cfr. Cass.
civ., SS. UU., 18.07.2008, n. 19813; Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2011, n. 2544).
In mancanza di una difforme disciplina sul punto specifico
nel P.R.G., deve ritenersi non sussistere una normativa
locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque
occorre fare riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2014 n. 3147 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
atti concernenti il diniego e l’assentimento ad altri di
concessioni demaniali relative al demanio idrico, aventi in
particolare ad oggetto pontili e specchi d’acqua ubicati
sulla sponda sinistra del fiume, incidono sul regime delle
acque pubbliche, nel senso che concorrono a disciplinare le
modalità di utilizzazione di una porzione del fiume e della
relativa sponda e che sono, quindi, attratti alla
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775
del 1933, che appunto rimette a tale giudice “i ricorsi per
incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di
legge avverso i provvedimenti definitivi presi
dall’amministrazione in materia di acque pubbliche”.
L’eccezione è fondata.
Gli atti impugnati concernono il diniego e l’assentimento ad
altri di concessioni demaniali relative al demanio idrico,
aventi in particolare ad oggetto pontili e specchi d’acqua
ubicati sulla sponda sinistra del fiume Arno.
Si tratta quindi di provvedimenti che incidono sul regime
delle acque pubbliche, nel senso che concorrono a
disciplinare le modalità di utilizzazione di una porzione
del fiume Arno e della relativa sponda (in termini TAR
Toscana, sez. 3^, sentenza n. 662 del 2010) e che sono
quindi attratti alla giurisdizione del Tribunale superiore
delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143, comma 1,
lett. a), del r.d. n. 1775 del 1933, che appunto rimette a
tale giudice “i ricorsi per incompetenza, per eccesso di
potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti
definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque
pubbliche” (Cass., SU, 21/06/2005, n. 13293; idem
12/05/2009, n. 10845)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 11.02.2014 n. 287 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Proprietà privata e demanio marittimo.
L’art. 55 cod. nav. prevede un vincolo
alla proprietà privata, richiedendo per le opere realizzate
«entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal
ciglio dei terreni elevati sul mare» l’autorizzazione del
capo del compartimento.
Ciò, in quanto la facoltà del proprietario di realizzare una
nuova opera in quella fascia non può liberamente esplicarsi,
ma è subordinata alla valutazione della compatibilità
dell’opera medesima con la tutela del demanio marittimo e
con la sua utilizzazione secondo la prescritta
autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 1161 cod.
nav., perché rientra nella mancata osservanza dei «vincoli
cui è assoggettata la proprietà privata» (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.01.2014 n. 3901
- tratto da
www.lexambiente.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La misura del vincolo idraulico varia a seconda che il corso
d’acqua sia disciplinato dal r.d. n. 523/1904 oppure dalle
disposizione sulle bonifiche di cui al r.d. n. 368/1904.
La disciplina delle fasce di rispetto
delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua fonte
normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e
nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali
facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n.
523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art.
133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima
da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d.
523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri.
Scrive il T.S.A.P.: “La disciplina delle fasce di
rispetto delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua
fonte normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e
nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali
facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n.
523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art.
133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima
da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d.
523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri“.
Nel caso del Comune contemplato nella sentenza solo un fiume
rientra nel campo di applicazione del r.d. 523 del 1904,
mentre tutti gli altri corsi d’acqua sono pertinenti alle
bonifiche.
Nel caso specifico, il Comune aveva modificato le n.t.a. del
P.R.G. e il Tribunale ha ritenuto le modifiche apportate
conformi alla normativa statale di riferimento sopra citata
(TSAP,
sentenza 05.12.2013 n. 202 - tratto da e link a http://venetoius.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono devoluti alla
giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle
acque pubbliche, ai sensi del R.D. 11.12.1933, n. 1775, art.
143, comma 1, lett. a), i ricorsi avverso provvedimenti
amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di
un potere propriamente attinente alla materia delle acque
pubbliche, pure riguardino l'utilizzazione del demanio
idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime
delle acque.
L'art. 143 del T.U. sulle acque ha inteso definire l'ambito
della giurisdizione del giudice specializzato,
circoscrivendola ai provvedimenti dell'amministrazione
caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a
disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse; o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse, o ad
influire nella loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti.
La giurisdizione del TSAP è contrapposta, per un verso, a
quella del Tribunale Regionale delle Acque che è organo (in
primo grado) della giurisdizione ordinaria, cui il
precedente art. 140, lett. c) attribuisce le controversie in
cui si discuta in via diretta di diritti correlati alle
derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche (a cominciare
da quelli di utilizzazione di acque pubbliche, collegati
alla gestione di opere idrauliche, nonché i criteri di
ripartizione degli oneri economici) e, per altro verso, alla
giurisdizione del complesso TAR-Consiglio di Stato
ricorrente per tutte le controversie che abbiano ad oggetto
atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti
finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche,
quali esemplificativamente quelli compresi nei procedimenti
ad evidenza pubblica volti alla concessione in appalto di
opere relative alle acque pubbliche.
La giurisprudenza consolidata della Corte
di Cassazione ha precisato che sono devoluti alla
giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle
acque pubbliche, ai sensi del R.D. 11.12.1933, n.
1775, art. 143, comma 1, lett. a), i ricorsi avverso
provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano
esercizio di un potere propriamente attinente alla materia
delle acque pubbliche, pure riguardino l'utilizzazione del
demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul
regime delle acque (cfr., Cassazione civile sez. un., 19.04.2013, n. 9534).
L'art. 143 del T.U. sulle acque ha inteso definire l'ambito
della giurisdizione del giudice specializzato,
circoscrivendola ai provvedimenti dell'amministrazione
caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a
disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere
idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a
determinare i modi di acquisto dei beni necessari
all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse; o a
stabilire o modificare la localizzazione di esse, o ad
influire nella loro realizzazione mediante sospensione o
revoca dei relativi provvedimenti (cfr., Cass., sez. un.,
337/2003).
La giurisdizione del TSAP è contrapposta, per un verso, a
quella del Tribunale Regionale delle Acque che è organo (in
primo grado) della giurisdizione ordinaria, cui il
precedente art. 140, lett. c) attribuisce le controversie in
cui si discuta in via diretta di diritti correlati alle
derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche (a cominciare
da quelli di utilizzazione di acque pubbliche, collegati
alla gestione di opere idrauliche, nonché i criteri di
ripartizione degli oneri economici) e, per altro verso, alla
giurisdizione del complesso TAR-Consiglio di Stato
ricorrente per tutte le controversie che abbiano ad oggetto
atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti
finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche,
quali esemplificativamente quelli compresi nei procedimenti
ad evidenza pubblica volti alla concessione in appalto di
opere relative alle acque pubbliche (Cass. sez. un.
14195/2005; 337/2003; 9424/1987), alle relative
aggiudicazioni (Cass. 10826/1993).
La Corte di Cassazione ha poi ribadito che, in tema di
diritti esclusivi di pesca, la giurisdizione riservata al
tribunale superiore delle acque pubbliche dall'art. 143 r.d.
n. 1175 del 1933, è limitata in base al collegamento a
fattispecie tipiche qualificate dal contenuto e dalla forma
dei provvedimenti impugnati, dalla procedura richiesta per
la loro emanazione e dalla autorità pubblica da cui
promanano, ossia alla cognizione dei ricorsi proposti contro
provvedimenti di revoca o di decadenza dei diritti su acque
del demanio marittimo, fluviale, lagunare e, in genere, su
ogni acqua pubblica, adottati dai ministeri competenti
(cfr., Cassazione civile sez. un., 05.10.2004, n. 19857)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza
31.10.2013 n. 2418 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
linea generale il divieto di costruzione di opere dagli
argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f),
t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e
inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
(e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; cioè, esso è
teso a garantire le normali operazioni di
ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle
acque.
La norma suddetta risponde all’evidente finalità di
interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi
prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare
scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto
ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare
dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici
tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un
effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità
assoluta della fascia di rispetto.
---------------
E' legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia
in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato
all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso
che, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in
contrasto con tale divieto, trova applicazione l'art. 33 l.
28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i
vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi
in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree.
E’ decisivo a questo punto l’elemento ostativo ulteriore
rimarcato nel provvedimento impugnato, ossia la mancata
osservanza della distanza minima dal Fiume Oglio stabilita
dall’art. 96 del R.D. 523/1904 per ragioni di sicurezza
idraulica. Sul punto non sono condivisibili i rilievi di
parte ricorrente sulle circostanze che il manufatto non
impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di
manutenzione, e che in oltre 50 anni non si sono mai
verificati pericoli.
Come osservato da questa Sezione nella sentenza 01/08/2011
n. 1231, l’indirizzo assolutamente costante della
giurisprudenza civile e amministrativa si attesta sul canone
per il quale <<in linea generale il divieto di costruzione
di opere dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art.
96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale,
assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare
non solo la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle
acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30.07.2009, n.
17784, citata dalla Regione nella propria memoria
conclusiva); cioè, esso è teso a garantire le normali
operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le
esondazioni delle acque>>.
La norma suddetta risponde all’evidente finalità di
interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi
prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare
scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto
ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare
dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici
tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un
effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità
assoluta della fascia di rispetto (TAR Toscana, sez. III
– 08/03/2012 n. 439).
In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione
della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne
consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in
violazione della norma de qua può essere sanata e altresì –come affermato nella già citata sentenza di questo TAR n.
1231/2011- “che è legittimo il diniego di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un
fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica, atteso che, nell'ipotesi di costruzione
abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova
applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono
edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità,
includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in
modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo:
TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)”.
L’accertata operatività del vincolo di inedificabilità
assoluta, nel caso di specie, è idonea di per sé a
sorreggere il provvedimento impugnato, e determina,
pertanto, l’infondatezza del ricorso, senza necessità di
approfondire l’ulteriore profilo –invocato
dall’interveniente e non menzionato nell’atto impugnato–
afferente alla sussistenza del concorrente vincolo
paesaggistico
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.10.2013 n. 814 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 143, primo comma,
lett. a), del r.d. n. 1775/1933 ha attribuito alla
cognizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche i
ricorsi avverso i provvedimenti definitivi della P.A. in
materia di acque pubbliche e cioè, secondo la
giurisprudenza, tutti i ricorsi contro i provvedimenti
caratterizzati dall’incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche, ancorché adottati da autorità diverse da
quelle preposte specificamente alla tutela delle acque.
Ai fini del riparto di giurisdizione, perciò, il discrimine
è dato dall’incidenza diretta o meno del provvedimento
amministrativo sul governo delle acque pubbliche: criterio,
questo dell’incidenza diretta, su cui concordano la Corte
regolatrice e la giurisprudenza amministrativa.
Ed invero, l’art. 143, primo comma, lett.
a), del r.d. n. 1775/1933 ha attribuito alla cognizione del
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche i ricorsi avverso
i provvedimenti definitivi della P.A. in materia di acque
pubbliche e cioè, secondo la giurisprudenza (cfr., da
ultimo, TAR Lazio, Roma, Sez. I, 14.05.2012, n.
4314), tutti i ricorsi contro i provvedimenti caratterizzati
dall’incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche,
ancorché adottati da autorità diverse da quelle preposte
specificamente alla tutela delle acque.
Ai fini del riparto
di giurisdizione, perciò, il discrimine è dato
dall’incidenza diretta o meno del provvedimento
amministrativo sul governo delle acque pubbliche: criterio,
questo dell’incidenza diretta, su cui concordano la Corte
regolatrice (Cass. civ., Sez. Un., 09.11.2011, n.
23300) e la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., Sez.
V, 02.08.2011, n. 4557; id., 25.05.2010, n. 3325;
id., Sez. VI, 31.05.2012, n. 3279), anche di questa
Sezione (TAR Lazio, Latina, Sez. I, 27 maggio 2011, n.
441).
Nel caso di specie, tuttavia, deve senz’altro
escludersi un’incidenza diretta delle deliberazioni
impugnate (aventi ad oggetto il regime tariffario del S.I.I.)
sul regime delle acque pubbliche, potendosi ravvisare, al
più, un’incidenza indiretta, che, però, non è idonea a
radicare la cognizione della controversia in capo al
T.S.A.P.: la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che
restano al di fuori della giurisdizione del T.S.A.P. ex art.
143, primo comma, lett. a), cit., le controversie aventi ad
oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti
volti ad incidere sul regime delle acque pubbliche, ovvero
provvedimenti aventi un’incidenza indiretta su detto regime
(C.d.S., Sez. V, n. 4557/2011, cit.; id., n. 3325/2010,
cit.), le quali, conseguentemente, rimangono assoggettate
alla giurisdizione del G.A. (v., pure, TAR Lazio, Latina,
Sez. I, 25.07.2012, n. 600)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 29.07.2013 n. 676 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Appartiene
alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche, prevista dall'art. 143 R.D. 11.12.1933 n. 1775,
la controversia relativa al diniego di rilascio di
concessione in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in
ragione dell'edificazione dell'immobile da condonare in
violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, cit.; detto
provvedimento, infatti, ancorché emanato da un'autorità
diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle
acque, incide direttamente sul regolare regime delle stesse,
la cui tutela ha carattere inderogabile, in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ed il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici.
Altresì, qualora sia impugnato un provvedimento incentrato
sul contrasto delle opere di cui viene ordinata la
demolizione, tra l’altro, con il precitato art. 96,
incidendosi immediatamente sulla materia delle acque
pubbliche e sulla relativa tutela, occorre attribuire la
controversia alla giurisdizione del tribunale Superiore
delle Acque pubbliche.
Osserva il Collegio che il diniego
impugnato si fonda unicamente sulla violazione del citato
art. 96 R.D. n. 523/1904, e precisamente su quanto disposto
dalla lettera f) di tale articolo, che prescrive il rispetto
di una distanza minima tra il “piede degli argini” del corso
d’acqua, e le opere menzionate nello stesso.
Per Cass. Civ. Sez. Un. 12.5.2009 n. 10845 appartiene alla
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
prevista dall'art. 143 R.D. 11.12.1933 n. 1775, la
controversia relativa al diniego di rilascio di concessione
in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare in violazione
della fascia di rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, cit.; detto
provvedimento, infatti, ancorché emanato da un'autorità
diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle
acque, incide direttamente sul regolare regime delle stesse,
la cui tutela ha carattere inderogabile, in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali, ed il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici.
Analogamente, per la giurisprudenza amministrativa, qualora
sia impugnato un provvedimento incentrato sul contrasto
delle opere di cui viene ordinata la demolizione, tra
l’altro, con il precitato art. 96, incidendosi
immediatamente sulla materia delle acque pubbliche e sulla
relativa tutela, occorre attribuire la controversia alla
giurisdizione del tribunale Superiore delle Acque pubbliche
(TAR Toscana, Sez. III, 11.11.2011 n. 1676).
Il ricorrente, onde paralizzare la vista eccezione, invoca
C.S. Sez. V 21.02.2012 n. 928, la quale tuttavia si è
pronunciata su una fattispecie diversa da quella per cui è
causa, dichiarando la giurisdizione del g.a. a fronte di un
diniego regionale su una domanda di concessione di una
derivazione da un fiume per uso idroelettrico.
Parimenti, anche le ulteriori citazioni giurisprudenziali
invocate dal ricorrente non sono decisive ai fini del
rigetto della vista eccezione, essendo risalenti e superate
da parte degli stessi organi giurisdizionali, come nel caso
di Cass. Sez. Unite 10.12.1993 n. 12167, sopravanzata da
altra giurisprudenza, ben più recente.
Il Collegio osserva che la valutazione circa la
compatibilità dei manufatti (tettoia e box) con il vincolo
idraulico implica necessariamente un accertamento tecnico
dello stato dei luoghi ed una approfondita verifica
dell'incidenza dell'opera abusiva sui vincoli di rispetto
della risorsa esistenti.
Tale accertamento e tale verifica per evidenti ragioni di
riparto della giurisdizione in materia, devono essere
comunque rimessi al vaglio della specifica competenza
giurisdizionale del Tribunale superiore delle acque
pubbliche, ai sensi del combinato disposto degli artt. 143,
primo comma lett. a) e 197 del R.D. n. 1775 dell'11.12.1933.
Deve pertanto dichiararsi il difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo, con conseguente onere del ricorrente
di riproporlo innanzi al T.S.A.P., nei termini e per gli
effetti di cui all’art. 11, comma 2, c.p.a.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.07.2013 n. 1871 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le argomentazioni
incentrate sulla modesta portata d’acqua del Fosso (tale,
secondo la tesi appellatoria, da escluderne oggettivamente
la natura di “acqua pubblica”) vanno decisamente disattese
essendo a ciò sufficiente far richiamo alla pacifica
giurisprudenza in materia che ritiene ininfluente detto
elemento “quantitativo” di natura oggettiva (“in rapporto
anche al più ampio concetto di acqua pubblica introdotto
dalla L. n. 36 del 1994, sussiste la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, ove si tratti di
corso d'acqua che, pur raccogliendo acque di origine
pluviale, non possa considerarsi mera fognatura né raccolta
di acque meteoriche non convogliate o non identificabili
come corpo idrico”).
Tuttavia è doveroso farsi carico anche della persistente
obiezione, articolata nel mezzo di gravame, secondo la quale
sarebbe errato affermare che il detto Fosso, pur costituendo
diramazione del Canale Palocco, sarebbe vincolato: ciò in
quanto soltanto il secondo sarebbe iscritto nell’elenco dei
canali sottoposti a vincolo ex RD n. 1775/1993.
L’unico elemento a suffragio di tale tesi riposa in una
interpretazione deduttiva secondo cui, posto che il corso
del Canale Palocco assumeva tre denominazioni, sebbene il
vincolo fosse stato imposto sull’intero Canale(tale
circostanza non è contestata) esso non poteva essere esteso
-in assenza di specifica apposizione sul Fosso allacciante
Palocco– a quest’ultimo.
La detta tesi appare apodittica e priva di spessore
probatorio, anche allorché si spinge a negare che il Fosso
allacciante Palocco costituisca diramazione del Canale
Palocco in quanto è quest’ultimo che origina dal primo.
Di certo v’è che il Canale Palocco è stato sempre
unitariamente considerato, ed è il tratto di maggiore
importanza: che poi i singoli corsi d’acqua assumano,
diverse denominazioni non può rilevare in punto di
sussistenza del vincolo stesso: peraltro il PTP ha
sottoposto a vincolo il Canale Palocco con tutte le sue
diramazioni (termine atecnico per individuare un corso
d’acqua che comunque si mantiene “unico” e che, quindi, non
esclude ma semmai ricomprende il punto di origine dello
stesso) di guisa che la censura appare priva di spessore.
Peraltro neppure appare chiaro il motivo per cui soltanto
tale parte del corso del Canale avrebbe dovuto essere
sottratta al vincolo imposto sull’intero corso d’acqua.
Assume natura troncante, poi, ai fini della reiezione della
censura la circostanza –già espressa dal primo giudice-
secondo la quale nella deliberazione della G.R. del Lazio
del 22/02/2002 n. 211, contenente la “Ricognizione e graficizzazione, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b),
della L.R. 24/1998 del vincolo paesistico delle fasce di
protezione dei corsi d’acqua pubblica di cui all’art. 146,
comma 1, lett. c), del D.Lgs. 490/1999 e art. 7, commi 1 e 2,
della L.R. 24/1998”, il Canale Palocco era ricompreso
nell’elenco delle acque pubbliche (pag. 242 del Supplemento
ordinario n. 1 al Bollettino Ufficiale n. 18 in data
29/06/2002) e, soprattutto, era individuato nelle cartografie
con un unico codice che copre l’intero tracciato dal canale
comprensivo anche della parte in contestazione.
La unicità del codice utilizzato per descrivere l’intero
corso d’acqua, e la circostanza che tale cartografia faccia
riferimento anche al Fosso allacciante Palocco esclude la
fondatezza della censura; la circostanza rappresentata nella
perizia giurata datata 20.12.2012 depositata nell’ambito
dell’appello n. 5896/2009, limitandosi a ribadire che
nell’area insistono numerose costruzioni a distanza di meno
di 50 metri dal Fosso e che la predetta area nella
planimetria allegata al PTPR non è tratteggiata obliquamente
non apporta elementi decisivi a smentire il vincolo
insistente sul Fosso medesimo (qual parte del Canale Palocco).
Come segnalato infine dalla difesa dell’appellata
amministrazione comunale nella propria memoria, le
argomentazioni incentrate sulla modesta portata d’acqua del
Fosso (tale, secondo la tesi appellatoria, da escluderne
oggettivamente la natura di “acqua pubblica”) vanno
decisamente disattese essendo a ciò sufficiente far richiamo
alla pacifica giurisprudenza in materia che ritiene
ininfluente detto elemento “quantitativo” di natura
oggettiva (“in rapporto anche al più ampio concetto di acqua
pubblica introdotto dalla L. n. 36 del 1994, sussiste la
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
ove si tratti di corso d'acqua che, pur raccogliendo acque
di origine pluviale, non possa considerarsi mera fognatura
né raccolta di acque meteoriche non convogliate o non
identificabili come corpo idrico” -Trib. Sup. Acque,
02-07-2003, n. 97).
In carenza di alcun provvedimento specifico ed espresso di
esclusione del vincolo, poi, non possono trovare ingresso le
obiezioni (in relazione al disposto di cui all’art. 7 comma
7 della legge regionale del Lazio n. 24/1998) fondate sulla
asserita urbanizzazione dell’area che peraltro risulta
classificata quale zona agricola l’esclusione dal vincolo
riguarda le sole zone urbane perimetrate –e quindi non
certamente quella in questione, classificata come zona
agricola– mentre le asserzioni relative a supposte
concessioni in sanatoria in passato rilasciate sull’area per
costruzioni realizzate in spregio della fascia di rispetto
nulla provano, non potendo neppure la riscontrata
sussistenza di un provvedimento illegittimo eventualmente in
passato emesso costituire il presupposto per la reiterazione
dell’errore ma, semmai, occasione per la eventuale revoca
proprio di quelli illegittimamente rilasciati (si veda sul
punto la consolidata produzione giurisprudenziale in punto
di assenza del vizio di disparità di trattamento quanto al
diniego di condono sebbene in presenza di concessioni in
sanatoria in passato illegittimamente rilasciate nella
stessa area ove insisteva l’immobile oggetto di diniego)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.06.2013 n. 3458 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Acque pubbliche: la presunzione di demanialità si estende
all'intero corso.
Con
sentenza 08.04.2013 n. 57,
il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha
definitivamente ribadito, confermando la decisione n.
1390/2010 del Tribunale delle Acque Pubbliche presso la
Corte d’Appello di Milano, che la mera
attitudine di un valletto a ricevere, anche in misura
significativa, acque pubbliche ne determina ex lege
la demanialità per l'intero suo corso.
Nella fattispecie, i ricorrenti -invocando la riforma della
sentenza di primo grado- avevano chiesto che venisse
accertata l'assenza di demanialità di un tratto di un
valletto, non inserito nell'elenco delle acque pubbliche,
senza tuttavia provare la destinazione dello stesso a mero
convogliamento delle acque nelle fognature.
E' la mera attitudine del corso d'acqua ad usi di pubblico
generale interesse (art. 1 R.D. n. 1755/1933) -intesa come
l'"idoneità alla soddisfazione di un interesse pubblico,
come la salvaguardia del territorio e dell'ambiente, ovvero
riconducibile ad attività ed opera dell'uomo, quali la
produzione, l'irrigazione, l'energia, la bonifica, la pesca,
desumibile dalla portata delle acque, dall'ampiezza del
bacino imbrifero o del sistema idrografico al quale
appartengono"-, a determinarne ex lege la
demanialità.
Circostanze acclarate nella fattispecie, in ragione
dell'ampiezza del bacino e delle opere realizzate a monte
del tratto in contestazione, ed irrilevante la mancata
inclusione negli elenchi pubblici ex R.D. 523/1904.
Né, d'altra parte, sottolinea il TSAP, si potrebbe giungere
alla paradossale conclusione di ritenere sottratto al regime
di demanialità esclusivamente un tratto del valletto,
dovendosi considerare lo stesso "nella sua interezza"
(17.05.2013 - tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lo
scopo precipuo della fascia di rispetto di dieci metri,
prevista dal RD 523/1904, è quello di assicurare il libero
deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi,
canali e scolatoi; in altri termini deve essere garantito,
attraverso la fascia suindicata, il regolare deflusso
idraulico.
Ai fini della soluzione del problema, ritiene il
Collegio di dovere prendere le mosse dalla “ratio” dell’art.
96 citato, per verificarne la corretta applicazione nel caso
di specie, alla luce dell’accurata analisi tecnica svolta
dal CTU.
Lo scopo precipuo della fascia di rispetto di dieci metri,
prevista dalla norma 523/1904, è quello di assicurare il
libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti,
rivi, canali e scolatoi; in altri termini deve essere
garantito, attraverso la fascia suindicata, il regolare
deflusso idraulico (cfr., fra le tante, TAR Toscana, sez. III, 26.04.2012, n. 842).
Ciò premesso, risulta -senza smentita alcuna- dalla
relazione del CTU (cfr. soprattutto il punto 6 della
relazione stessa) che:
- il corso d’acqua di cui è causa –vale a dire il torrente
Ripiantino– scorre in una stretta gola, collocata al fondo
di una scarpata avente un forte dislivello (circa 9 metri),
rispetto all’edificio del sig. Rambelli;
- la sponda del torrente è rocciosa e quindi di sicura
stabilità, almeno per quanto concerne la misurazione
metrica;
- a monte della proprietà del sig. Rambelli, il torrente è
intubato (scorre cioè al coperto in un tubo artificiale),
per cui l’eventuale portata di piena non è dissimile a
quella che appare in condizioni ordinarie.
La misurazione della “distanza” di cui all’art. 96 citato,
effettuata con il sistema tridimensionale, non porta certo a
risultati in contrasto con la finalità già ricordata
dell’art. 96, in quanto le particolari caratteristiche della
zona ove insiste l’abitazione del sig. Rambelli escludono,
in base alla relazione del CTU, pericoli o ostacoli del
regolare deflusso delle acque.
L’interpretazione dell’art. 96, propugnata dal Comune di
Saltrio nella presente fattispecie, risulta quindi erronea,
dovendosi preferire il calcolo della distanza minima di
legge attraverso un sistema tridimensionale, che consente di
affermare il rispetto della distanza stessa da parte della
costruzione del sig. Rambelli.
La soluzione interpretativa accolta dallo scrivente
Tribunale garantisce da una parte il pieno rispetto
dell’art. 96, in conformità alla finalità della norma e
dall’altra salvaguarda anche l’interesse del privato, nel
complessivo rispetto del principio di proporzionalità
dell’azione amministrativa, di diretta derivazione
comunitaria, da osservarsi soprattutto nel caso di specie,
in cui la Pubblica Amministrazione si è avvalsa del proprio
potere di autotutela (sul necessario rapporto fra principio
comunitario di proporzionalità ed autotutela amministrativa,
si veda TAR Toscana, sez. II, 08.01.2010, n. 8).
Il provvedimento impugnato si fonda quindi su un erroneo
presupposto di fatto, vale a dire la violazione –in realtà
insussistente– dell’art. 96 citato per effetto del rilascio
del permesso di costruire n. 10/2008.
L’Amministrazione di Saltrio è quindi incorsa in un eccesso
di potere per travisamento dei presupposti di fatto e
difetto di istruttoria, oltre che nella violazione dell’art.
96 sopra menzionato, dal che consegue l’accoglimento del
motivo di ricorso indicato con il numero I^
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 781 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Sanatoria - Attraversamento a guado del Fiume
Orta in loc. Piano D'Oda (Regione Abruzzo,
nota 25.03.2013 n. 1653 prot.).
---------------
In
merito alle problematiche sollevate da codesta
Amministrazione con la nota in epigrafe emarginata e per
quanto di competenza della scrivente Struttura occorre
richiamare, in via preliminare, alcuni principi di carattere
generale avente rilevanza dirimente ai fini che qui
interessano.
Come è noto, secondo l'art. 822 C.C. i fiumi, i torrenti, i
laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in
materia fanno parte del demanio idrico-fluviale. Da
considerarsi demaniale è altresì il terreno interessato
dallo scorrimento delle acque pubbliche, posto che, in
questo caso, la demanialità discende dalla "funzione" che il
terreno assume a supporto e contenimento del fiume medesimo,
funzione che automaticamente viene meno in conseguenza di
fenomeni naturali quali i fenomeni "di piena" e "di magra"
che non abbiano carattere transitorio, ma che siano in grado
di determinare in modo irreversibile la cessazione di quella
funzione (ciò si verifica, ad esempio, nel caso di ritiro
delle acque da (...continua). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di edificazione ex art. 96 r.d. 523/1904 ha
carattere assoluto e riguarda in genere le acque pubbliche,
comprese anche quelle dei laghi.
---------------
E’ irrilevante la circostanza che solo il successivo art. 97
menzioni espressamente i laghi. La disposizione della
lettera n), alla quale ci si richiama, reca infatti una
previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei
laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per la
quale dunque non può non valere la norma generale dell’art.
96.
Il rilievo secondo cui l’inciso della lettera f) dell’art.
96 “dal piede degli argini e loro accessori come sopra”
richiamerebbe “i fiumi, torrenti e canali navigabili”
previsti dalla lettera e) che precede è del pari fallace,
apparendo invece chiaro che esso, rispetto agli argini, si
riferisce alle loro “banche o sottobanche”.
Che questa sia la corretta interpretazione delle norme lo
dimostra poi una considerazione ulteriore di carattere
generale. Se la finalità delle disposizioni in oggetto è
quella di consentire il libero deflusso delle acque, è
evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle
acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di
livello.
Il divieto di edificazione in oggetto ha carattere assoluto
e riguarda in genere le acque pubbliche; tale è senz’altro
il lago di Garda, sul quale l’albergo è costruito.
Nessuno dei rilievi opposti per affermare l’inapplicabilità
del divieto alle sponde dei laghi resiste alla critica. Ciò
si deve dire, in particolare, per gli argomenti che gli
appellanti vorrebbero trarre dall’analisi delle norme
contenute nel regio decreto citato.
Osservano gli appellanti che dal complesso delle
disposizioni recate dall’art. 96 emergerebbe l’intento del
legislatore dell’epoca di limitare la disciplina ai soli
corsi d’acqua. Questa sembra piuttosto una petizione di
principio, per di più in contrasto con l’alinea
dell’articolo, che, nel fare riferimento alle acque
pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere
diversamente da quanto invece dispone l’art. 98, la lettera
d) del quale testualmente è circoscritta a “le nuove
costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi
pubblici o canali demaniali”.
E’ poi irrilevante la circostanza che solo il successivo
art. 97 menzioni espressamente i laghi. La disposizione
della lettera n), alla quale ci si richiama, reca infatti
una previsione particolare riferita al regime delle spiagge
dei laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per
la quale dunque non può non valere la norma generale
dell’art. 96.
Il rilievo secondo cui l’inciso della lettera f) dell’art.
96 “dal piede degli argini e loro accessori come sopra”
richiamerebbe “i fiumi, torrenti e canali navigabili”
previsti dalla lettera e) che precede è del pari fallace,
apparendo invece chiaro che esso, rispetto agli argini, si
riferisce alle loro “banche o sottobanche”.
Che questa sia la corretta interpretazione delle norme lo
dimostra poi una considerazione ulteriore di carattere
generale. Se la finalità delle disposizioni in oggetto è
quella di consentire il libero deflusso delle acque, è
evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle
acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di
livello. Mentre infine non può rilevare che la violazione
della regola sulla distanza non riguarderebbe il piano
terra, ma un piano superiore, perché, così argomentando, si
vuole introdurre una deroga, che la legge non conosce, al
divieto di edificare, assoluto e inderogabile.
A una diversa conclusione, infine, non è possibile giungere
prendendo in considerazione l’esistenza di altri manufatti a
ridosso della riva del lago di Garda. Si tratta di
circostanza che, genericamente affermata più che
effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con
riguardo ai singoli casi concreti. Dato il divieto di
edificabilità, peraltro, l’esistenza di eventuali abusi
edilizi non potrebbe di per sé legittimare la pretesa a
identico trattamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14.04.2010,
n. 2105; Id., Sez. IV, 24.02.2011, n. 1235).
L’accertata violazione della norma sulla distanza della
costruzione dalle acque pubbliche è di per sé ragione
sufficiente per giudicare illegittimo il permesso di
costruire rilasciato dal Comune di Malcesine
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.11.2012 n. 5620 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi
d’acqua, previsto dalla lettera f) dell’art. 96 R.D.
523/1904, è informato alla ragione pubblicistica di
assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle
acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso
delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi
pubblici e ha carattere legale e inderogabile: ne segue che
le opere costruite in violazione di tale divieto ricadono
nella previsione dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 e
non sono pertanto suscettibili di sanatoria.
---------------
Alla luce del generale divieto di costruzione di opere in
prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio alla
normativa locale assume carattere eccezionale. Tale
normativa, per prevalere sulla norma generale, deve avere
carattere specifico, ossia essere una normativa
espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela
delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni,
che tenga esplicitamente conto della regola generale
espressa dalla normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale
deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante
l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il
piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento
contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli
argini anche in eventuale deroga alla disposizione della
lettera f) dell’art. 96, in relazione alla specifica
condizione locale delle acque di cui trattasi.
L’art. 96 del r.d. n. 523 del 1904 elenca una serie di “lavori
ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro
alvei, sponde e difese”.
Come afferma costantemente la giurisprudenza, il divieto di
costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua,
previsto dalla lettera f) dell’art. 96, è informato alla
ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità
di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e
soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cass.
civ., SS.UU., 30.07.2009, n. 17784) e ha carattere legale e
inderogabile: ne segue che le opere costruite in violazione
di tale divieto ricadono nella previsione dell’art. 33 della
legge n. 47 del 1985 e non sono pertanto suscettibili di
sanatoria (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. V, 26.03.2009,
n. 1814; Id., Sez. IV, 12.02.2010, n. 772; Id., Sez. IV,
22.06.2011, n. 3781; Trib. Sup. acque pubbl., 15.03.2011, n.
35; ivi riferimenti ulteriori).
E’ ben vero che la lettera f) dell’art. 96, che qui viene in
questione, commisura il divieto alla distanza “stabilita
dalle discipline vigenti nelle diverse località” e in
mancanza di queste lo stabilisce alla distanza “minore di
metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e
di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Sennonché –come è stato più volte affermato in
giurisprudenza– alla luce del generale divieto di
costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi
d’acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere
eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma
generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una
normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della
tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle
costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola
generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale
deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche
mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può
essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale
strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli
argini anche in eventuale deroga alla disposizione della
lettera f) dell’art. 96, in relazione alla specifica
condizione locale delle acque di cui trattasi (cfr. Cass.
civ., SS. UU., 18.07.2008, n. 19813; Cons. Stato, Sez. IV,
29.04.2011, n. 2544)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.11.2012 n. 5619 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: Il
rilascio del titolo edilizio per la
costruzione di una centrale idroelettrica,
se indubbiamente rientra nell’ambito delle
competenze comunali e presuppone la
valutazione della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento, non
può essere scollegato dalle oggettive
implicazioni che la realizzazione
dell’impianto avrà sul regime delle acque,
in modo particolare con riguardo alle
rilevanti problematiche emergenti dal
necessario rispetto del flusso minimo vitale
del corso d’acqua interessato dalla
costruenda centrale idroelettrica.
Pertanto, il vaglio di legittimità del
provvedimento comunale impugnato è demandato
al giudice competente in modo specifico in
materia di acque pubbliche, quale è appunto
il TSAP.
La giurisdizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche, prevista dall'art.
143, comma 1, lett. a) r.d. 11.12.1933 n.
1775, ha per oggetto i ricorsi avverso
provvedimenti amministrativi che siano
caratterizzati dall'incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche: orbene,
atteso che il provvedimento contestato da
parte ricorrente, ancorché emanato da
un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, proprio
per l’oggetto e le ragioni che lo sottendono
ha un’evidente incidenza sul regolare regime
delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici, ne deriva che l’esame
della legittimità della determinazione
assunta dall’amministrazione comunale debba
essere devoluto al giudice tecnicamente
competente, quale è il TSAP.
Si osserva, infatti, come il provvedimento
demandato alla competenza del Comune, quale
è il rilascio del titolo edilizio per la
costruzione della centrale idroelettrica, se
indubbiamente rientra nell’ambito delle
competenze comunali e presuppone la
valutazione della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento, non
possa essere scollegato dalle oggettive
implicazioni che la realizzazione
dell’impianto avrà sul regime delle acque,
in modo particolare con riguardo alle
rilevanti problematiche emergenti dal
necessario rispetto del flusso minimo vitale
del corso d’acqua interessato dalla
costruenda centrale idroelettrica.
La stessa Regione Veneto – Direzione
Distretto Bacino Idrografico Brenta e
Bacchiglione di Vicenza, nell’indirizzare al
Comune la nota del 07.10.2010 prot. n.
525751 (doc. n. 6 di parte resistente), ha
infatti evidenziato le problematiche che
potrebbero sorgere proprio con riguardo al
livello minimo del flusso dell’acqua, con
riguardo anche alla presenza di altri
soggetti che usufruiscono dell’apporto
idrico del corso d’acqua interessato.
Detti elementi portano quindi a ritenere che
la richiesta avanzata dalla società istante,
sebbene abbia per oggetto il rilascio del
permesso di costruire, coinvolga interessi
che esorbitano il mero profilo urbanistico
edilizio dell’intervento, coinvolgendo anche
profili, non certo di poca rilevanza,
attinenti il regime delle acque.
Ciò comporta, in conformità con il costante
orientamento giurisprudenziale, che nella
specie, proprio perché risultano
direttamente coinvolti interessi che hanno
per oggetto il regime delle acque pubbliche,
il vaglio di legittimità del provvedimento
comunale impugnato sia demandato al giudice
competente in modo specifico in materia di
acque pubbliche, quale è appunto il TSAP.
Sul punto, concordando con la copiosa
giurisprudenza, anche di questo Tribunale
Amministrativo (cfr. TAR Veneto, Sez. I n.
4462/2001 e più recentemente Sez. II, n.
3/2011), citata dalla resistente, va
ribadito che la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, prevista
dall'art. 143, comma 1, lett. a) r.d.
11.12.1933 n. 1775, ha per oggetto i ricorsi
avverso provvedimenti amministrativi che
siano caratterizzati dall'incidenza diretta
sulla materia delle acque pubbliche: orbene,
atteso che il provvedimento contestato da
parte ricorrente, ancorché emanato da
un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, proprio
per l’oggetto e le ragioni che lo sottendono
ha un’evidente incidenza sul regolare regime
delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici (Cass., SS.UU.,
12.05.2009, n. 10845), ne deriva che l’esame
della legittimità della determinazione
assunta dall’amministrazione comunale di
Valli del Pasubio debba essere devoluto al
giudice tecnicamente competente, quale è il
TSAP.
Invero nella fattispecie si prospetta
l’esigenza che l’organo giudicante sia
dotato della specifica competenza tecnica
richiesta per verificare la validità di atti
che incidono direttamente sul regime delle
acque pubbliche: il dato è oggettivo ed
avallato dai timori rappresentati alla
Regione dagli altri soggetti utilizzatori,
per scopi diversi, del corso d’acqua, i
quali hanno tutto l’interesse a che sia
assicurato il deflusso minimo vitale.
Inerendo quindi il provvedimento impugnato,
con il quale è stata sospesa ogni
determinazione al fine di non veder
pregiudicato il mantenimento del flusso
minimo vitale, nella prospettiva di
un’indagine più approfondita sui riflessi
che il rilascio del permesso di costruire la
centrale idroelettrica avrebbe sulla qualità
della risorsa idrica (esigenza peraltro
condivisa dalla Regione, così come da nota
del 07.10.2011, sopravvenuta in corso di
causa), la valutazione della legittimità di
tale atto deve essere demandata alla
speciale competenza tecnica di cui è
titolare il TSAP (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
05.07.2012 n. 963 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere a meno di 10
metri dalla sponda del fiume, previsto
dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n.
523, ha carattere inderogabile in quanto
diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche e soprattutto il libero
deflusso delle acque scorrenti nei fiumi,
torrenti, canali e scolatoi pubblici, con la
conseguenza che nessuna opera costruita in
violazione di tale divieto può essere
sanata.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 13
del 18.01.2000, con la quale è stata
respinta l’istanza di condono edilizio
presentata in data 10.07.1986, prot. n.
25032, prat. n. 2623.
...
Le censure sono infondate. In particolare,
l'art. 96 R.D. 523/1904 stabilisce che "Sono
lavori ed atti vietati in modo assoluto
sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti: ...
f) le piantagioni di alberi e siepi, le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno a distanza dal piede degli argini e
loro accessori come sopra, minore di quella
stabilita dalle discipline vigenti nelle
diverse località, ed in mancanza di tali
discipline, a distanza minore di metri
quattro per le piantagioni e smovimento del
terreno e di metri dieci per le fabbriche e
per gli scavi".
Poiché, come sostenuto dal ricorrente
stesso, l'immobile, ai fini di mantenere il
rispetto della distanza dal confine della
strada privata, è stato avvicinato oltre i
10 mt. all'alveo del torrente ove vige il
divieto di inedificabilità assoluta ai sensi
della norma sopra citata, il provvedimento
non è sotto questo profilo viziato. Peraltro
il Consiglio di Stato sez. IV, 22.06.2011,
n. 3781 ha precisato che "Il divieto di
costruzione di opere a meno di 10 metri
dalla sponda del fiume, previsto dall'art.
96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha
carattere inderogabile in quanto diretto al
fine di assicurare non solo la possibilità
di sfruttamento delle acque demaniali, ma
anche e soprattutto il libero deflusso delle
acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali
e scolatoi pubblici, con la conseguenza che
nessuna opera costruita in violazione di
tale divieto può essere sanata".
Inoltre, non hanno alcuna incidenza
sull’operatività tout court del
vincolo di inedificabilità assoluta -ex
lege operante-, da un lato una eventuale
valutazione discrezionale dell'incidenza
idraulica delle opere, peraltro non ammessa
dal legislatore, e dall'altro l'eventuale
autorizzazione all'esecuzione di opere
(immobile, muro di contenimento) che
resterebbero comunque illegittime.
Sostiene, poi, il ricorrente che tutti gli
abusi ricadono all'interno della proiezione
delle mura perimetrali esterne del
fabbricato assentito con licenza edilizia
554 del 26.08.1968 e pertanto non hanno
inciso sulla striscia di terreno tra il
fabbricato e il torrente Acquatraversa.
Tuttavia anche questa considerazione è priva
di fondamento in relazione alla persistenza
comunque delle opere in area di
inedificabilità assoluta.
Ne deriva, tra l'altro, che nessun parere
doveva essere richiesto all'amministrazione
provinciale posto che nessuna
discrezionalità la norma concede
all'amministrazione nella valutazione
dell'incidenza idraulica delle opere,
ponendo nella distanza minima di 10 mt. un
limite tassativo vincolante. Trattandosi,
poi, di provvedimento vincolato l’omessa
richiesta di preventivo parere della CEC si
traduce in un vizio formale superabile ai
sensi dell'art. 21-octies L. 241/1990. Il
ricorso è pertanto infondato e va respinto
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 18.06.2012 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
96, primo comma, lett. f), del RD
25.07.1904, n. 523, vieta ad una distanza
minore di 10 metri dal piede degli argini
“le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno”, con una formula ampia, tale da
ricomprendere qualsiasi manufatto che per le
sue caratteristiche sia idoneo a
compromettere il libero deflusso delle acque
o l’espletamento dei necessari lavori di
manutenzione.
Il divieto contenuto nella norma sopra
citata si applica peraltro indistintamente a
tutti i corsi d’acqua acquisiti al demanio
dello Stato, senza che rilevi l’iscrizione o
meno negli apposti elenchi.
Come sopra più
volte osservato, il progetto prevede
l’innalzamento da circa 5 mt. a circa 10 mt.
dell’altezza della discarica, e l’art. 96,
primo comma, lett. f), del RD 25.07.1904, n.
523, vieta ad una distanza minore di dieci
metri dal piede degli argini “le
fabbriche, gli scavi e lo smovimento del
terreno”, con una formula ampia, tale da
ricomprendere qualsiasi manufatto che per le
sue caratteristiche sia idoneo a
compromettere il libero deflusso delle acque
o l’espletamento dei necessari lavori di
manutenzione (per l’individuazione della
ratio del divieto cfr. Tribunale Sup.re
acque, 24.06.2010, n. 104; id. 29.04.2002, n. 58).
Il divieto contenuto nella norma sopra
citata si applica peraltro indistintamente a
tutti i corsi d’acqua acquisiti al demanio
dello Stato, senza che rilevi l’iscrizione o
meno negli apposti elenchi (cfr. Tar
Piemonte, Sez. I, 20.04.2007, n. 1732).
Ne discende che nel caso di specie gli atti
impugnati sono illegittimi anche per il
mancato rispetto delle distanze dal corso
d’acqua (tale conclusione risulta confortata
anche dalla revisione progettuale di cui è
stata data lettura dal difensore della parte
controinteressata nella pubblica udienza,
ove è espressamente previsto l’arretramento
del nuovo argine di contenimento dal corso
d’acqua per rientrare nella fascia di
rispetto dal canale di 10 metri prevista dal
RD 25.07.1904, n. 523, e l’allargamento
della fascia arginale da utilizzare per la
manutenzione dai mezzi consortili).
Nelle proprie difese la Regione e la controinteressata contestano che il corso
d’acqua sia iscritto nel registro delle
acque pubbliche e quindi che sia sottoposto
al regime vincolistico di cui al D.lgs.
22.01.2004, n. 42 e, a sostegno
dell’assunto, si limitano a citare la
sentenza Tar Veneto, Sez. I, 15.04.1993, n.
364, che aveva ad oggetto l’impugnazione
dell’originario provvedimento autorizzativo
della discarica.
Sul punto il Collegio osserva che la
predetta sentenza in realtà non ha
accertato, neppure incidentalmente, la
natura del corso d’acqua, ma ha
semplicemente ritenuto in quella sede non
sufficientemente provata l’iscrizione
nell’elenco ai fini della definizione della
necessità o meno dell’autorizzazione
paesaggistica, lasciando sostanzialmente
impregiudicata la questione.
Al riguardo il Collegio ritiene fondate
e meritevoli di accoglimento le censure
proposte dai Comuni ricorrenti di difetto di
motivazione, difetto di istruttoria e
contraddittorietà, perché dalla lettura del
parere di compatibilità ambientale emerge
una costante sottovalutazione delle
problematiche attinenti alla presenza del
corso d’acqua.
In primo luogo il parere, al fine di non
applicare nelle fasce di rispetto il divieto
che discende dal piano provinciale sui
rifiuti (cfr. pag. 7), afferma che il corso
d’acqua non è iscritto negli appositi
elenchi, ma successivamente dà atto invece
dell’avvenuta presentazione della relazione
paesaggistica e di ritenere quindi
espressamente necessaria l’acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica che ha
come unico presupposto proprio l’iscrizione
del corso d’acqua negli appositi elenchi
(cfr. pag. 36, laddove si dice che “il
vincolo vigente fa riferimento all’art. 142
-corsi d’acqua e fascia di m 150– del Dlgs.
n. 42/2004, è originato dal Canale Cime
Menegon che scorre, arginato, al di là della
recinzione della discarica dimessa”).
In secondo luogo, come ripetutamente
rappresentato dal Consorzio di bonifica (che
non è stato coinvolto nella procedura
nonostante lo avesse richiesto ed ha
successivamente inviato un apposito parere
che risulta essere stato ignorato: cfr. doc.
15 allegato alle difese della Regione), è
stata omessa la valutazione delle maggiori
sollecitazioni indotte dall’intervento sugli
argini del corso d’acqua che già versano in
una situazione di grave dissesto
(TAR
Veneto, Sez. III,
sentenza 08.03.2012 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
Consiglio di Stato chiarisce il riparto di
giurisdizione tra il Tribunale Superiore
delle Acque e il giudice amministrativo in
materia di acque pubbliche.
Nel giudizio in esame un Comune presentava
domanda di concessione alla regione di una
piccola derivazione dal fiume, per uso
idroelettrico. La regione respingeva la
richiesta con provvedimento che veniva
impugnato dal Comune innanzi al giudice
amministrativo che dichiarava il proprio
difetto di giurisdizione. Avverso tale
decisione ha proposto appello il comune che
con la sentenza in esame e' stato rigettato
sul presupposto che gli atti che regolano la
materia delle “Acque pubbliche” non
vanno considerati in astratto, ma con
riferimento alla possibilità di influire,
comunque, sulla loro regolamentazione (C.S.
V n. 6942/2010).
Le Sezioni Unite hanno riaffermato che la
giurisdizione di legittimità in unico grado
attribuita al Tribunale superiore delle
acque pubbliche con riferimento ai "ricorsi
per incompetenza, per eccesso di potere e
per violazione di legge avverso i
provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque
pubbliche", sussiste quando i
provvedimenti amministrativi impugnati
incidano direttamente sul regime delle acque
pubbliche, nel senso che concorrano, in
concreto, a disciplinare la gestione e
l'esercizio delle opere idrauliche o a
determinare i modi di acquisto dei beni
necessari all'esercizio e alla realizzazione
delle opere stesse od a stabilire o
modificarne la localizzazione o a influire
nella loro realizzazione mediante
sospensione o revoca dei relativi
provvedimenti (cfr. Cass., Sez. Un., n.
27528/2008 e 10848/2009).
Ed inoltre, hanno osservato che "l'incidenza
diretta del provvedimento amministrativo sul
regime delle acque pubbliche, che radica la
giurisdizione di legittimità del Tribunale
superiore delle acque pubbliche, è
configurabile non solo quando l'atto
provenga da organo amministrativo preposto
alla cura di pubblici interessi in tale
materia e costituisca manifestazione dei
poteri attributi a tale organo per vigilare
o disporre in ordine agli usi delle acque,
ma anche quando l'atto, ancorché proveniente
da organi dell'amministrazione non preposti
alla cura degli interessi del settore,
finisca, tuttavia, con l'incidere
immediatamente sull'uso delle acque
pubbliche, in quanto interferisca con i
provvedimenti relativi a tale uso,
autorizzando, impedendo o modificando i
lavori relativi” (Cassazione civile,
sez. un., 26.07.2002, n. 11126).
Da quanto sopra consegue che ha incidenza
diretta sul regime delle acque il
provvedimento con il quale l'organismo
competente si pronuncia con proprio decreto
sull'assoggettamento di un progetto di opera
idrica (nella specie un progetto per il
quale si chiede una concessione di
derivazione) alla relativa procedura, in
quanto tale provvedimento postula l'esame
nel merito dell'opera o dell'intervento,
chiaramente incidente sulla consistenza
dell'opera e sulle modalità di gestione
della stessa, e ne può condizionare la
effettiva realizzazione o le modalità di
gestione.
Pertanto, ove l'oggetto del progetto
esaminato nella procedura di screening sia
un'opera idraulica, l'impugnazione del
decreto emesso dal Responsabile della
struttura competente, per la sua ricaduta
immediata sul regime delle acque pubbliche,
va ricondotta alla giurisdizione del
Tribunale delle acque pubbliche (cfr. C.S.
V n. 3678/2009) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.02.2012 n. 928 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 133, lettera a), del r.d.
08.05.1904, n. 368 (“Regolamento per la
esecuzione del t.u. della l. 22.03.1900, n.
195, e della l. 07.07.1902, n. 333, sulle
bonificazioni delle paludi e dei terreni
paludosi”) pone chiaro ed espresso divieto
“in modo assoluto” di procedere ad una serie
di lavori, tra cui la realizzazione di
“…fabbriche… dal piede interno ed esterno
degli argini e loro accessori o dal ciglio
delle sponde dei canali non muniti di argini
o dalle scarpate delle strade a distanza
minore di… metri 4 a 10 per i fabbricati,
secondo l'importanza del corso d’acqua”; e
alla successiva lettera b), secondo
capoverso, precisa, sempre per quanto qui
interessa, che “…le fabbriche…esistenti…
sono tollerate qualora non rechino un
riconosciuto pregiudizio; ma, giunte a
maturità o deperimento, non possono essere
surrogate fuorché alle distanze sopra
stabilite”.
La disposizione si differenzia da quella
dell’art. 96, lettera f), del r.d.
27.07.1904, n. 523 (“Testo unico delle
disposizioni di legge intorno alle opere
idrauliche delle diverse categorie”) che,
disponendo che sono vietate in modo
assoluto, tra l’altro, “…le fabbriche… a
distanza dal piede degli argini e loro
accessori come sopra, minore di quella
stabilita dalle discipline vigenti nelle
diverse località, ed in mancanza di tali
discipline, a distanza minore…di metri dieci
per le fabbriche e per gli scavi”, consente
alle “discipline locali” di derogare alla
distanza minima assoluta ivi indicata, senza
porre distinzione tra “fabbriche esistenti”e
“nuove fabbriche”.
Nell’ambito di distanza stabilito dalle
discipline locali il divieto di edificazione
della fascia di rispetto è assoluto e
inderogabile (tra l'altro, vale anche per i
corsi d’acqua confinati in sotterraneo
mediante tombinatura), laddove il maggior
limite di 10 metri ha natura sussidiaria
perché subordinato all’assenza di normative
locali, ivi comprese quelle urbanistiche ed
edilizie.
Al contrario, il vincolo d’inedificabilità
posto dall’art. 133, lettera a), sia pure
nell’intervallo da stabilirsi a cura
dell’Autorità di bonifica (da 4 a 10 metri),
è assoluto, perché inderogabile da
discipline locali, ed è orientato alla
salvaguardia delle “… normali operazioni di
ripulitura e di manutenzione e ad impedire
le esondazioni delle acque…”.
---------------
L’art. 133, lettera a), del r.d. 08.05.1904,
n. 368 nel consentire la conservazione delle
“fabbriche”, ossia degli edifici esistenti,
e peraltro “qualora non rechino un
riconosciuto pregiudizio” (così ammettendo
che, nel caso di riconosciuto pregiudizio
possa al contrario imporsi l’arretramento
alla distanza prescritta, o al limite anche
la demolizione), prevede che, al contrario,
il limite minimo variabile -da stabilirsi a
cura dell’Autorità di bonifica- debba essere
rispettato quando si intenda procedere alla
“surrogazione”, ossia alla sostituzione
dell’opera con altra opera.
Nell’ampia nozione di “surroga”, e in
funzione dell’assoluta eccezionalità della
conservazione dell’opera già esistente, non
può non ricomprendersi la sostituzione anche
nella forma della demolizione e della fedele
ricostruzione.
In altri termini, l’interesse del privato
proprietario al mantenimento dell’edificio
entro la fascia di rispetto e a distanza
inferiore a quella minima è tutelato solo se
ed in quanto l’immobile non subisca alcuna
trasformazione fisica, rimanga tal quale,
come esistente, ed anche in tale ipotesi
nemmeno in senso assoluto, potendo disporsi
il suo arretramento o al limite il suo
abbattimento se “rechi pregiudizio”
all’interesse pubblico relativo alla più
funzionale ed efficace manutenzione di
argini, sponde, corsi d’acqua e canali e/o
se presenti rischi in ordine all’esondazione
e al naturale deflusso delle acque.
Al contrario, quando si intenda procedere
alla “surrogazione”, ossia alla sostituzione
dell’edificio esistente con un nuovo
edificio, ancorché di superficie, sagoma,
volumetria identiche -mediante demolizione e
ricostruzione- l’interesse del proprietario
non può che soccombere rispetto al predetto
interesse pubblico, nel senso che trova
piena applicazione il limite di distanza, da
fissare a cura dell’Autorità di bonifica in
relazione all’importanza del corso d’acqua e
alle esigenze della sua cura e manutenzione,
naturalmente con il minor sacrificio
possibile ed entro limiti di adeguata
proporzionalità e dimostrata
funzionalizzazione al suddetto interesse
pubblico, qualora esso sia fissato oltre il
limite minimo inderogabile di 4 metri.
La norma delle N.T.A. del P.R.G. intitolata
alla “Tutela dei corsi d’acqua” che consente
“Per gli edifici esistenti ricadenti in
tutto o in parte nelle fasce di rispetto… la
manutenzione ordinaria, straordinaria, il
restauro, la ristrutturazione nonché
l’ampliamento purché non comporti
avanzamento dell’edificio esistente sul
fronte fluviale” può assumere valore di
deroga soltanto al vincolo di cui all’art.
96, lettera f), del r.d. n. 523/1904 e non
anche al vincolo di cui all’art. 133,
lettera a), del r.d. n. 368/1904.
L’art. 133, lettera a), del r.d. 08.05.1904,
n. 368 (“Regolamento per la esecuzione
del t.u. della l. 22.03.1900, n. 195, e
della l. 07.07.1902, n. 333, sulle
bonificazioni delle paludi e dei terreni
paludosi”) pone chiaro ed espresso
divieto “in modo assoluto” di
procedere ad una serie di lavori, tra cui,
per quanto qui rileva, la realizzazione di “…fabbriche…
dal piede interno ed esterno degli argini e
loro accessori o dal ciglio delle sponde dei
canali non muniti di argini o dalle scarpate
delle strade a distanza minore di… metri 4 a
10 per i fabbricati, secondo l'importanza
del corso d’acqua”; e alla successiva
lettera b), secondo capoverso, precisa,
sempre per quanto qui interessa, che “…le
fabbriche…esistenti… sono tollerate qualora
non rechino un riconosciuto pregiudizio; ma,
giunte a maturità o deperimento, non possono
essere surrogate fuorché alle distanze sopra
stabilite”.
La disposizione si differenzia da quella
dell’art. 96, lettera f), del r.d.
27.07.1904, n. 523 (“Testo unico delle
disposizioni di legge intorno alle opere
idrauliche delle diverse categorie”)
che, disponendo che sono vietate in modo
assoluto, tra l’altro, “…le fabbriche… a
distanza dal piede degli argini e loro
accessori come sopra, minore di quella
stabilita dalle discipline vigenti nelle
diverse località, ed in mancanza di tali
discipline, a distanza minore…di metri dieci
per le fabbriche e per gli scavi”,
consente alle “discipline locali” di
derogare alla distanza minima assoluta ivi
indicata, senza porre distinzione tra “fabbriche
esistenti”e “nuove fabbriche”.
E’ evidente, peraltro, che nell’ambito di
distanza stabilito dalle discipline locali
il divieto di edificazione della fascia di
rispetto è assoluto e inderogabile (Cons.
Stato, Sez. IV, 23.07.2009, n. 4663, che
precisa come esso valga anche per i corsi
d’acqua confinati in sotterraneo mediante
tombinatura; vedi anche Sez. V, 26.03.2009,
n. 1814), laddove il maggior limite di 10
metri ha natura sussidiaria perché
subordinato all’assenza di normative locali,
ivi comprese quelle urbanistiche ed edilizie
(Cass., SS.UU. civili, 18.07.2008, n.
19813).
Al contrario, il vincolo d’inedificabilità
posto dall’art. 133, lettera a), sia pure
nell’intervallo da stabilirsi a cura
dell’Autorità di bonifica (da 4 a 10 metri),
è assoluto, perché inderogabile da
discipline locali, ed è orientato alla
salvaguardia delle “… normali operazioni
di ripulitura e di manutenzione e ad
impedire le esondazioni delle acque…”
(Cass. Civ., Sez. I, 22.04.2005 n. 8536).
---------------
La sentenza
impugnata, e il provvedimento assessorile di
diniego dell’annullamento in autotutela
della concessione edilizia, hanno ritenuto
che il limite di distanza non operi con
riferimento a lavori di ristrutturazione
edilizia, consistenti, come nel caso di
specie, nella demolizione e ricostruzione
con identica sagoma e volume sull’identica
area di sedime.
Tale conclusione è erronea e priva di
fondamento normativo.
L’art. 133, lettera a),
del r.d. 08.05.1904, n. 368
nel consentire
la conservazione delle “fabbriche”,
ossia degli edifici esistenti, e peraltro “qualora
non rechino un riconosciuto pregiudizio”
(così ammettendo che, nel caso di
riconosciuto pregiudizio possa al contrario
imporsi l’arretramento alla distanza
prescritta, o al limite anche la
demolizione), prevede che, al contrario, il
limite minimo variabile -da stabilirsi a
cura dell’Autorità di bonifica- debba essere
rispettato quando si intenda procedere alla
“surrogazione”, ossia alla
sostituzione dell’opera con altra opera.
Nell’ampia nozione di “surroga”, e in
funzione dell’assoluta eccezionalità della
conservazione dell’opera già esistente, non
può non ricomprendersi la sostituzione anche
nella forma della demolizione e della fedele
ricostruzione.
In altri termini, l’interesse del privato
proprietario al mantenimento dell’edificio
entro la fascia di rispetto e a distanza
inferiore a quella minima è tutelato solo se
ed in quanto l’immobile non subisca alcuna
trasformazione fisica, rimanga tal quale,
come esistente, ed anche in tale ipotesi
nemmeno in senso assoluto, potendo disporsi
il suo arretramento o al limite il suo
abbattimento se “rechi pregiudizio”
all’interesse pubblico relativo alla più
funzionale ed efficace manutenzione di
argini, sponde, corsi d’acqua e canali e/o
se presenti rischi in ordine all’esondazione
e al naturale deflusso delle acque.
Al contrario, quando si intenda procedere
alla “surrogazione”, ossia alla
sostituzione dell’edificio esistente con un
nuovo edificio, ancorché di superficie,
sagoma, volumetria identiche -mediante
demolizione e ricostruzione- l’interesse del
proprietario non può che soccombere rispetto
al predetto interesse pubblico, nel senso
che trova piena applicazione il limite di
distanza, da fissare a cura dell’Autorità di
bonifica in relazione all’importanza del
corso d’acqua e alle esigenze della sua cura
e manutenzione, naturalmente con il minor
sacrificio possibile ed entro limiti di
adeguata proporzionalità e dimostrata
funzionalizzazione al suddetto interesse
pubblico, qualora esso sia fissato oltre il
limite minimo inderogabile di 4 metri.
Né può soccorrere l’argomento difensivo
dell’applicabilità dell’art. 42 delle N.T.A.
del P.R.G. del Comune di Noale (come
richiamato nella memoria difensiva della
Provincia di Venezia).
Tale disposizione regolamentare, intitolata
alla “Tutela dei corsi d’acqua”
consente bensì “Per gli edifici esistenti
ricadenti in tutto o in parte nelle fasce di
rispetto… la manutenzione ordinaria,
straordinaria, il restauro, la
ristrutturazione nonché l’ampliamento purché
non comporti avanzamento dell’edificio
esistente sul fronte fluviale”;
sennonché essa può assumere valore di
deroga, come già evidenziato, soltanto al
vincolo di cui all’art. 96, lettera f), del
r.d. n. 523/1904, e non anche al vincolo di
cui all’art. 133, lettera a), del r.d. n.
368/1904
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.02.2012 n. 816 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Appartiene
“alla giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque, prevista dall’art.
143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall’autorità comunale in ragione
dell’edificazione dell’immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi
dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523.
Detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un’autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque, la cui tutela
ha carattere inderogabile in quanto
informata alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti
canali e scolatoi pubblici”.
Parte resistente ha preliminarmente eccepito
l’inammissibilità del ricorso per difetto di
giurisdizione di questo giudice a conoscere
della controversia, richiamando a sostegno
dell’eccezione recente giurisprudenza delle
Sezioni Unite della Cassazione che enuncia
il principio il principio secondo cui
appartiene “alla giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque, prevista dall’art.
143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall’autorità comunale in ragione
dell’edificazione dell’immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi
dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un’autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque, la cui tutela
ha carattere inderogabile in quanto
informata alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti
canali e scolatoi pubblici” (Cass. SS.UU.,
12.05.2009, n. 10845)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.01.2012 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
questione in esame (ndr: l'impugnazione del
provvedimento con il quale l’Ufficio del
Genio civile di Siracusa ha ordinato la
parziale demolizione di un immobile, già
oggetto di sanatoria edilizia concessa nel
1991, in quanto ricadente all’interno della
fascia di rispetto di 10 metri dall’argine
del fiume Gioi, come stabilita dagli artt.
93 e 96, lett. f, del T.U. approvato con
R.D. 523/1904) rientra nella giurisdizione
del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche (TSAP) ove si consideri che è
stato impugnato per vizi tipici di
legittimità dell’atto amministrativo un
provvedimento definitivo adottato
dall’amministrazione a tutela delle acque
pubbliche, ed in particolare al fine di
garantire l’intangibilità della fascia di
rispetto del fiume normativamente
individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce
confermata– ove si voglia inquadrare il
provvedimento impugnato fra quelli adottati
dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del
R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in
pristino a seguito di contravvenzione alle
norme del T.U. che abbia determinato
l’alterazione dello stato delle cose. Ed
infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge
anche sulla base di quanto prevede l’art. 2
del R.D. 523/1904 con riguardo al potere
della PA di “(…) statuire e provvedere,
anche in caso di contestazione, sulle opere
di qualunque natura, (…), che possono aver
relazione col buon regime delle acque
pubbliche”.
---------------
La giurisprudenza più recente avalla la
sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P.
in casi come quello in esame, allorquando fa
leva sui provvedimenti amministrativi che,
sebbene non costituiscano esercizio di un
potere propriamente attinente alla materia
delle acque pubbliche, pure riguardino
l'utilizzazione del demanio idrico,
incidendo in maniera diretta e immediata sul
regime delle acque (Cass., sez. un.
9149/2009, relativa a fattispecie in cui era
stato impugnato il diniego di rilascio della
concessione per la costruzione di un
fabbricato sito nelle adiacenze del fiume
Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più
simile a quella in esame, è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche sulla “(…)
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di 10
metri dal piede dell'argine, ai sensi
dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904,
n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un'autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la
cui tutela ha carattere inderogabile in
quanto informata alla ragione pubblicistica
di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici”.
Il R.D. 1775/1933, recante Testo
unico delle disposizioni di legge sulle
acque e impianti elettrici, stabilisce
le competenze giurisdizionali del Tribunale
delle Acque Pubbliche.
In particolare, per l’art. 140 del suddetto
T.U. “Appartengono in primo grado alla
cognizione dei Tribunali delle acque
pubbliche: a) le controversie intorno alla
demanialità delle acque; b) le controversie
circa i limiti dei corsi o bacini, loro
alvei e sponde; c) le controversie, aventi
ad oggetto qualunque diritto relativo alle
derivazioni e utilizzazioni di acqua
pubblica; d) le controversie di qualunque
natura, riguardanti la occupazione totale o
parziale, permanente o temporanea di fondi e
le indennità previste dall'art. 46 della L.
25.06.1865, n. 2359, in conseguenza
dell'esecuzione o manutenzione di opere
idrauliche, di bonifica e derivazione
utilizzazione delle acque. Per quanto
riguarda la determinazione peritale
dell'indennità prima dell'emissione del
decreto della espropriazione resta fermo il
disposto dell'art. 33 della presente legge;
e) le controversie per risarcimenti di danni
dipendenti da qualunque opera eseguita dalla
pubblica amministrazione e da qualunque
provvedimento emesso dall'autorità
amministrativa a termini dell'art. 2 del
T.U. 25.07.1904, n. 523 , modificato con
l'art. 22 della L. 13.07.1911, n. 774; f) i
ricorsi previsti dagli artt. 25 e 29 del
testo unico delle leggi sulla pesca
approvato con R.D. 08.10.1931, n. 1604;”,
mentre per il successivo art. 143 “Appartengono
alla cognizione diretta del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche: a) i
ricorsi per incompetenza, per eccesso di
potere e per violazione di legge avverso i
provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque
pubbliche; b) i ricorsi, anche per il
merito, contro i provvedimenti definitivi
dell'autorità amministrativa adottata ai
sensi degli artt. 217 e 221 della presente
legge; nonché contro i provvedimenti
definitivi adottati dall'autorità
amministrativa in materia di regime delle
acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del
testo unico delle leggi sulle opere
idrauliche approvato con R.D. 25.07.1904, n.
523, modificato con l'art. 22 della L.
13.07.1911, n. 774, del R.D. 19.11.1921, n.
1688, e degli artt. 378 e 379 della L.
20.03.1865, n. 2248, all. F; c) i ricorsi la
cui cognizione è attribuita al Tribunale
superiore delle acque dalla presente legge e
dagli artt. 23, 24, 26 e 28 del testo unico
delle leggi sulla pesca, approvato con R.D.
08.10.1931, n. 1604 .(…)”.
La riportata normativa deve essere
evidenziata nella parte in cui (art. 143,
lett. a e b) conferisce giurisdizione al
Tribunale Superiore delle acque pubbliche
con riguardo ai provvedimenti definitivi
presi dall'amministrazione in materia di
acque pubbliche, ai provvedimenti definitivi
dell'autorità amministrativa adottati ai
sensi degli artt. 217 e 221 della legge;
nonché ai provvedimenti definitivi adottati
dall'autorità amministrativa in materia di
regime delle acque pubbliche ai sensi
dell'art. 2 del testo unico delle leggi
sulle opere idrauliche approvato con R.D.
25.07.1904, n. 523.
Anche le ultime due richiamate normative
devono essere allora esaminate, nelle parti
rilevanti ai fini della questione posta:
A) l’art. 217 del T.U. 1775/1933 recita che
“Salvo quanto dispone l'art. 49 della
presente legge, sono opere ed atti che non
si possono eseguire senza speciale
autorizzazione del competente ufficio del
Genio civile e sotto l'osservanza delle
condizioni dal medesimo imposte: (…omissis…)
h) le opere alle sponde dei pubblici corsi
di acqua che possono alterare o modificare
le condizioni delle derivazioni o della
restituzione delle acque derivate”;
B) l’art. 221 del T.U. 1775/1933 prevede che
“Per le contravvenzioni alle norme della
presente legge, che alterano lo stato delle
cose, è riservato all'ingegnere capo
dell'ufficio dei Genio civile la facoltà di
ordinare la riduzione al primitivo stato,
dopo di aver riconosciuta la regolarità
della denuncia. Nei casi di urgenza,
l'ingegnere capo fa eseguire immediatamente
di ufficio i lavori per il ripristino”;
C) il R.D. 523/1904, Testo unico delle
disposizioni di legge intorno alle opere
idrauliche delle diverse categorie,
all’art. 2 stabilisce che “Spetta
esclusivamente alla autorità amministrativa
lo statuire e provvedere, anche in caso di
contestazione, sulle opere di qualunque
natura, e in generale sugli usi, atti o
fatti, anche consuetudinari, che possono
aver relazione col buon regime delle acque
pubbliche, con la difesa e conservazione,
con quello delle derivazioni legalmente
stabilite, e con l'animazione dei molini ed
opifici sovra le dette acque esistenti; e
così pure sulle condizioni di regolarità dei
ripari ed argini od altra opera qualunque
fatta entro gli alvei e contro le sponde.”.
Alla luce dei richiamati referenti
legislativi, allora, è possibile trarre le
prime conclusioni.
Non sussiste, nel caso in esame,
giurisdizione del Tribunale delle acque
pubbliche, inteso quale organo specializzato
della giurisdizione ordinaria (Cass., I,
8239/2002), giacché il suddetto giudice –ai
sensi dell’art. 140 del R.D. 1775/1933– è
competente a conoscere le questioni di
diritti soggettivi inerenti la materia delle
acque pubbliche (ad esempio, controversie
sulla demanialità; sui limiti ed alvei dei
corsi d’acqua; su diritti di uso e
derivazione delle acque; sul risarcimento
dei danni conseguenti alla esecuzione
pubblica di opere idrauliche; ecc.). Nel
caso a mani, invece, il ricorrente vanta una
posizione di interesse legittimo teso a
contestare l’esercizio del potere
pubblicistico di repressione dell’attività
edilizia svolta in prossimità, o in maniera
potenzialmente pregiudizievole, rispetto
alle acque pubbliche.
Astrattamente –in assenza di una norma
specifica– si dovrebbe predicare in materia
la sussistenza della giurisdizione del
giudice amministrativo, quale giudice degli
interessi legittimi, in base al normale
criterio di riparto della giurisdizione
fissato nell’art. 2 della L. 2248/1865 all.
E.
Ma, come detto, è stato istituito un giudice
speciale in materia, da individuare per
mezzo dell’art. 143 del R.D. 1775/1933, in
combinato disposto con l’art. 221 e con
l’art. 2 del R.D. 523/1904.
Alla luce di tali norme di legge –il cui
testo è stato riportato sopra- si può
affermare che la questione in esame rientri
nella giurisdizione del Tribunale Superiore
delle acque pubbliche ove si consideri che è
stato impugnato per vizi tipici di
legittimità dell’atto amministrativo un
provvedimento definitivo adottato
dall’amministrazione a tutela delle acque
pubbliche, ed in particolare al fine di
garantire l’intangibilità della fascia di
rispetto del fiume normativamente
individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce
confermata– ove si voglia inquadrare il
provvedimento impugnato fra quelli adottati
dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del
R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in
pristino a seguito di contravvenzione alle
norme del T.U. che abbia determinato
l’alterazione dello stato delle cose. Ed
infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge
anche sulla base di quanto prevede l’art. 2
del R.D. 523/1904 con riguardo al potere
della PA di “(…) statuire e provvedere,
anche in caso di contestazione, sulle opere
di qualunque natura, (…), che possono aver
relazione col buon regime delle acque
pubbliche”.
E’ evidente che, nel caso trattato, la PA
resistente abbia inteso adottare un
provvedimento direttamente funzionale alla
tutela del corso d’acqua pubblico,
garantendo l’inedificabilità nella fascia di
rispetto di dieci metri normativamente
fissata dall’art. 96 del R.D. 523/1904.
La giurisprudenza più recente avalla la
sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P.
in casi come quello in esame, allorquando fa
leva sui provvedimenti amministrativi che,
sebbene non costituiscano esercizio di un
potere propriamente attinente alla materia
delle acque pubbliche, pure riguardino
l'utilizzazione del demanio idrico,
incidendo in maniera diretta e immediata sul
regime delle acque (Cass., sez. un.
9149/2009, relativa a fattispecie in cui era
stato impugnato il diniego di rilascio della
concessione per la costruzione di un
fabbricato sito nelle adiacenze del fiume
Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più
simile a quella in esame, è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche sulla “(…)
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell'argine, ai sensi
dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904,
n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un'autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la
cui tutela ha carattere inderogabile in
quanto informata alla ragione pubblicistica
di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici” (Cass., sez.
un., 10845/2009).
D’altra parte, anche la giurisprudenza
elaborata dal giudice amministrativo finisce
col rafforzare la tesi qui propugnata, nel
momento in cui ritiene sussistere la
giurisdizione dei TT.AA.RR. nelle
controversie che incidono solo in via “indiretta”
e “mediata” sul regime delle acque
pubbliche (si vedano, al riguardo le
decisioni di Tar Liguria 406/2006; Tar
Basilicata 993/2005; Tar Piemonte 2420/2005,
riguardanti: a) le procedure pubbliche di
selezione del concessionario per la gestione
agricola di un’area di demanio fluviale; b)
la demolizione di un impianto idroelettrico;
c) l’occupazione per la realizzazione di
un’opera pubblica che non incide sul regime
delle acque).
E’ il caso di sottolineare il fatto che, per
contro, la vicenda in esame -come già detto–
investe in via diretta ed immediata la
tutela delle acque pubbliche, sotto lo
specifico aspetto della garanzia riservata a
quel settore di territorio protetto definito
“fascia di rispetto” e connotato da
un regime di inedificabilità (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.12.2011 n. 3233 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Fascia di
rispetto dell'argine trasversale di un fiume
-Vincolo di inedificabilità - Art. 96, comma
f), R.D. 25.07.1904 n. 523 e s.m.i. -
Provvedimento inteso alla salvaguardia del
vincolo - Giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque pubbliche - Sussiste.
2. Fascia di
rispetto dell'argine trasversale di un fiume
-Vincolo di inedificabilità - Art. 96, comma
f), R.D. 25.07.1904 n. 523 e s.m.i. -
Rilevanza della conformazione del corpo
superficiario - Non sussiste.
1. Compete al Tribunale superiore delle
acque pubbliche e non agli organi ordinari
della giustizia amministrativa la cognizione
delle controversie aventi per oggetto la
domanda di annullamento di provvedimenti
adottati da un Comune per la salvaguardia
del vincolo di inedificabilità assoluta
della fascia di rispetto dell'argine
trasversale di un fiume ex art. 96, comma
f), R.D. 25.07.1904 n. 523 e s.m.i..
2. La disciplina delle acque pubbliche di
cui all'art. 96, comma f), R.D. 25.07.1904 n. 523 e s.m.i., che impone un vincolo
di inedificabilità entro la fascia di
rispetto fluviale, ne impone
inderogabilmente la tutela, senza che
residuino margini per attribuire rilievo
alla conformazione del corpo superficiario
(e, quindi, al fatto che esso si presenti
con argini o sponde, con tombinatura o
senza), atteso che, per il rispetto della
fascia, è vietata qualsiasi costruzione e,
persino, qualunque deposito di terre o di
altre materie, a distanza di metri dieci dal
corso d'acqua
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2011 n.
2378 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Compete
al Tribunale superiore delle acque pubbliche
(TSAP) e non agli organi ordinari della
giustizia amministrativa (TAR) la cognizione
delle controversie aventi per oggetto la
domanda di annullamento di provvedimenti
adottati da un comune e da una provincia per
la salvaguardia del vincolo di
inedificabilità della fascia di rispetto
dell'argine trasversale di un fiume.
Osserva, al riguardo, il Collegio come
l’odierno giudizio verta sull’impugnazione
di un diniego di condono, adottato dal
Comune di Rho sull’imprescindibile
presupposto che: <<l’autorimessa è
collocata sul confine del torrente Lura e,
pertanto, in contrasto con le prescrizioni
indicate nell’art. 96, comma f), del R.D.
25.07.1904 n. 523 e s.m.i. che vietano in
modo assoluto le costruzioni a distanza dai
corsi d’acqua minore di quella stabilita
dalle discipline vigenti nelle diverse
località e, in mancanza di tali discipline,
a metri dieci>>.
In tali evenienze, come correttamente
osservato dalla difesa resistente, le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione
hanno, anche recentemente, ribadito che: "Compete
al Tribunale superiore delle acque pubbliche
e non agli organi ordinari della giustizia
amministrativa la cognizione delle
controversie aventi per oggetto la domanda
di annullamento di provvedimenti adottati da
un comune e da una provincia per la
salvaguardia del vincolo di inedificabilità
della fascia di rispetto dell'argine
trasversale di un fiume" (così,
Cassazione civile, sez. un., 15.06.2009, n.
13898; id. 12.05.2009, n. 10845; 20.11.2008,
n. 27528).
Nella specie, non può essere revocato in
dubbio che il provvedimento impugnato è
stato motivato in ragione dell’ubicazione
dell’autorimessa, realizzata al confine del
muro di sostegno del torrente Lura e,
dunque, all’interno della fascia di 4 metri
dall’alveo del torrente, su cui insiste il
vincolo di inedificabilità assoluta, ai
sensi dell’art. 96, lett. f) cit., come
integrato dall’art. 82 del cit. reg.
edilizio comunale.
Né può assumere rilievo, onde scalfire il
profilo di interferenza, almeno
astrattamente ipotizzabile, tra siffatto
abuso edilizio e il regime delle acque
pubbliche, la presenza -nel tratto di
torrente qui considerato- di una tombinatura,
trattandosi di opera a carattere non
definitivo, comunque inidonea ad elidere le
ragioni di fondo del vincolo di
inedificabilità di cui al citato art. 96.
Si tratta, infatti, di una disciplina delle
acque pubbliche che ne impone
inderogabilmente la tutela, senza che
residuino margini per attribuire rilievo
alla conformazione del corpo superficiario
(e, quindi, al fatto che esso si presenti
con argini o sponde, con tombinatura o
senza), atteso che, per il rispetto della
predetta fascia, è vietata qualsiasi
costruzione e, persino, qualunque deposito
di terre o di altre materie, a distanza di
metri dieci dal corso d’acqua (cfr. in tal
senso, Cass. I, 22.04.2005, n. 8536, nonché,
Cass. Sezioni Unite nn. 12271/2004;
19813/2008; analogamente Cons. Stato, IV
23.07.2009 n. 4663).
Sussiste, pertanto, l’eccepito profilo di
inammissibilità del ricorso, con conseguente
difetto di giurisdizione del giudice adito,
trattandosi di questioni rientranti nella
giurisdizione del Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche (T.S.A.P.), come prevista
dall’art. 143 del R.D. n. 1775/1933
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2011 n. 2378 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di demolizione dell'abuso
edilizio realizzato nella fascia di rispetto
di 10 mt. del corso d'acqua demaniale va
impugnato innanzi al Tribunale superiore
delle acque pubbliche e non dinanzi al Tar.
La giurisdizione del Tribunale superiore
delle acque pubbliche, prevista dall'art.
143, comma 1, lett. a), del R.D. n.
1775/1933, ha per oggetto i ricorsi avverso
provvedimenti amministrativi che siano
caratterizzati dall'incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche: cosicché
rientra nella sua giurisdizione la
controversia «relativa al diniego di
rilascio di concessione in sanatoria,
opposto dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell'argine, ai sensi
dell'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n.
523; detto provvedimento, infatti, ancorché
emanato da un'autorità diversa da quelle
specificamente preposte alla tutela delle
acque, incide direttamente sul regolare
regime delle acque pubbliche, la cui tutela
ha carattere inderogabile in quanto
informata alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici»
Sull'annullamento del provvedimento del
24.05.2011 prot. n. 4647, avente ad oggetto
“Ordinanza n. 2 del 24.05.2011”, con
la quale il Comune di San Pietro in Gu -
Area Tecnica e Tecnico Manutentiva, Servizi
per il Territorio, Ambiente e Lavori
Pubblici, in persona del Responsabile del
Procedimento, ha rigettato la richiesta di
concessione edilizia in sanatoria ed
ordinato la demolizione ed il ripristino
dello stato dei luoghi.
...
Come già affermato da questa stessa Sezione
in alcune recenti sentenze (cfr. Tar Veneto,
II, 03.01.2011, n. 3; Tar Veneto, II,
01.02.2011, n. 184) e ribadito anche dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, VI,
09.05.2011, n. 2745), il provvedimento di
demolizione de quo è -per l'iter
procedimentale da cui è scaturito-
chiaramente posto a tutela della fascia d'inedificabilità
latistante un corso d'acqua demaniale: esso
andava pertanto impugnato innanzi al
Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Invero, la giurisdizione di quest’ultimo
Tribunale, prevista dall'art. 143, comma 1,
lett. a), del R.D. n. 1775/1933, ha per
oggetto i ricorsi avverso provvedimenti
amministrativi che siano caratterizzati
dall'incidenza diretta sulla materia delle
acque pubbliche: cosicché rientra nella sua
giurisdizione la controversia
-intuitivamente affine a quella in esame- «relativa
al diniego di rilascio di concessione in
sanatoria, opposto dall'autorità comunale in
ragione dell'edificazione dell'immobile da
condonare in violazione della fascia di
rispetto di dieci metri dal piede
dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett.
f), r.d. 25.07.1904 n. 523; detto
provvedimento, infatti, ancorché emanato da
un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, incide
direttamente sul regolare regime delle acque
pubbliche, la cui tutela ha carattere
inderogabile in quanto informata alla
ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici» (Cass., S.U.,
12.05.2009, n. 10845).
Va, pertanto, dichiarato il difetto di
giurisdizione del giudice adito, indicando
nel Tribunale superiore delle acque
pubbliche quello che ne è fornito, anche ai
sensi e per gli effetti di cui all'art. 11
c.p.a.
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 06.10.2011 n. 1488 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
“linea di battigia” deve intendersi la linea
di contatto tra mare e terraferma e che la
misurazione debba essere eseguita in
orizzontale.
La distanza va quindi misurata tenendo conto
dell’unica linea retta che congiunge
l’immobile (od anche soltanto lo spigolo
dello stesso) al punto più vicino in cui la
terraferma entra in contatto con il mare.
Per quel che
concerne il criterio da adottare ai fini
della corretta misurazione della distanza
intercorrente tra il punto della battigia
più vicino all’edificio, oggetto di istanza
di rilascio di concessione edilizia in
sanatoria, e l’edificio stesso, il Collegio
ritiene, sulla base di costante
giurisprudenza, anche di questo C.G.A., che
per “linea di battigia” debba
intendersi la linea di contatto tra mare e
terraferma e che la misurazione debba essere
eseguita in orizzontale (cfr. decisione n.
617/2001).
La distanza va quindi misurata tenendo conto
dell’unica linea retta che congiunge
l’immobile (od anche soltanto lo spigolo
dello stesso) al punto più vicino in cui la
terraferma entra in contatto con il mare
(CGARS,
sentenza 27.09.2011 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA E CORSI D’ACQUA - Argini -
Divieto di costruzione ex art. 96, lett. f),
T.U. n. 523/1904 - Carattere legale,
assoluto e inderogabile - Normativa locale -
Deroga di carattere eccezionale - Limiti.
Il divieto di costruzione di opere dagli
argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art.
96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha
carattere legale, assoluto e inderogabile,
ed è diretto al fine di assicurare non solo
la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali, ma anche (e soprattutto) il
libero deflusso delle acque (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784);
esso è cioè teso a garantire le normali
operazioni di ripulitura/manutenzione e a
impedire le esondazioni delle acque.
La deroga contenuta nella lettera F del
citato art. 96, per cui la distanza minima
si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” è quindi
di carattere eccezionale e ciò significa che
la normativa locale (espressa anche mediante
uno strumento urbanistico), per prevalere
sulla norma generale, deve avere carattere
specifico (cfr. Cassazione civile, sez. un.,
18.07.2008, n. 19813).
Di conseguenza, solo se lo scopo
dell'attività costruttiva lungo il corso
d'acqua è quello specifico di salvaguardarne
il regime idraulico la disciplina locale
assume valenza derogatoria della norma
statale, in quanto meglio ne attua
l'interesse pubblico perseguito (cfr. TAR
Lombardia-Brescia, sentenza 13.06.2007 n.
540); ne deriva che nessuna opera realizzata
in violazione della norma de qua può essere
sanata e che è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia in
sanatoria relativamente ad un fabbricato
realizzato all'interno della c.d. fascia di
servitù idraulica (art. 33 l. 28.02.1985 n.
47) (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1231 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA E CORSI D’ACQUA - Fascia di
rispetto dagli argini - Art. 96, lett. f),
R.D. n. 523/1904 - Regolamenti comunali -
Tolleranza verso abusi edilizi -
Conferimento di diritti edificatori -
Esclusione.
I regolamenti comunali (o le linee-guida
regionali) possano disciplinare diversamente
la fascia di rispetto dagli argini prevista
dall’art. 96, lett. f), del RD 523/1904 solo
sulla base di un esame dettagliato della
condizione dei luoghi, così da garantire in
misura equivalente gli interessi pubblici
(idraulici e ambientali) coinvolti (v. TAR
Brescia, Sez. I, 26.02.2010 n. 986; TAR
Brescia, Sez. I, 26.06.2007 n. 578).
In questo quadro la tolleranza mantenuta in
passato verso certe tipologie di
edificazione non acquista lo status di
elemento normativo e non può costituire un
presupposto idoneo per conferire ulteriori
diritti edificatori (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1228 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il divieto di costruzione di opere sugli
argini dei corsi d'acqua ha carattere inderogabile.
In linea generale il divieto di costruzione di opere dagli
argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett. f),
t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale ed è
inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la
possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche
(e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784).
Il divieto sancito dall'art. 96, lett. f), cit., e dalla
successiva lett. g), estende –con carattere di assoluta
inderogabilità- il divieto a qualunque manufatto o volume
collocato a meno di dieci metri dalla sponda del fiume, per
cui nessuna opera realizzata in violazione di tali norme può
sanata.
Una volta che un corso d’acqua è stato costitutivamente
inserito negli elenchi, la successiva comunicazione del
Magistrato delle Acque è meramente ricognitiva della
sussistenza di un preesistente vincolo all’edificazione, di
carattere assoluto ed inderogabile, e comunque va
autonomamente impugnato presso il competente Tribunale delle
Acque.
In difetto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata
in contrasto con il divieto di cui all'art. 96, lett. f),
r.d. 25.07.1904 n. 523, trova infatti applicazione l'art. 33
l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale
ricomprende, nei vincoli di inedificabilità, tutti i casi in
cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 26.03.2009,
n. 1814; Consiglio Stato, sez. IV, 23.07.2009, n. 4663).
Nel caso di specie l’autorimessa era stata realizzato
all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, per cui
il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria
è conseguentemente legittimo (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.06.2011 n. 3781 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere ad una determinata distanza
dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96, lett.
f), t.u. 25.07.1904, n. 523, ha carattere assoluto ed
inderogabile, in quanto teso a consentire le normali
operazioni di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le
esondazioni delle acque.
Occorre ricordare che il divieto di costruzione di opere ad
una determinata distanza dagli argini dei corsi d'acqua,
previsto dall'art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904, n. 523,
abbia carattere assoluto ed inderogabile, in quanto teso a
consentire le normali operazioni di ripulitura e di
manutenzione, e di impedire le esondazioni delle acque
(Cassazione civile, sez. I, 22.04.2005, n. 8536; Consiglio
di Stato, sez. IV, 23.07.2009, n. 4663; Consiglio di Stato,
sez. V, 26.03.2009, n. 1814).
La deroga contenuta nella lettera F del citato art. 96, per
cui la distanza minima si applica in mancanza di “discipline
vigenti nelle diverse località” è quindi di carattere
eccezionale. Come è stato chiarito dalla giurisprudenza
della Suprema corte, “ciò significa che la normativa
locale, per prevalere sulla norma generale, deve avere
carattere specifico, ossia essere una normativa
espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela
delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni,
che tenga esplicitamente conto della regola generale
espressa dalla normativa statale e delle peculiari
condizioni delle acque e degli argini che la norma locale
prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale
deroga.
Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante
l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il
piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento
contenga una norma esplicitamente dedicata alla
regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli
argini anche in eventuale deroga al R.D. 25.07.1904, n. 523,
art. 96, lett. f), in relazione alla specifica condizione
locale delle acque di cui trattasi” (Cassazione civile,
sez. un., 18.07.2008, n. 19813) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.04.2011 n. 2544 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
ACQUA - Art. 133 r.d. 368/1904 -
Distanze dal piede esterno e interno degli argini - Divieto
di piantagione di alberi di edificazione e di movimento del
terreno - Corsi d’acqua tombinati - Applicabilità del
divieto - Fondamento.
Il divieto di piantagione di alberi, di edificazioni o
fabbriche e di movimento del terreno del piede esterno e
interno degli argini ad una certa distanza dal corso d’acqua
(che per i manufatti è da 4 a 10 metri “secondo
l’importanza del corso d’acqua” medesimo) vale non solo
per i corsi d’acqua superficiali, ma anche per le altre
opere di bonificazione (primo comma dell’art. 133 del r.d.
08.05.1904, n. 368), tra le quali va certamente compresa
anche la tombinatura che non può dirsi come tale opera
definitiva, essendo possibile riportare in qualunque momento
il corso d’acqua allo stato precedente.
In definitiva, il rispetto delle distanze deve ritenersi
inderogabile anche per i corsi d’acqua tombinati, al fine di
consentire uno spazio di manovra nel caso di necessità di
porre in essere attività di manutenzione delle condutture
(Cons. Stato, Sez. IV, 23.07.2009, n. 4663) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 26.04.2011 n. 698 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in
sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato
all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica atteso
che il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96,
lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha carattere assoluto ed
inderogabile; pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva
realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione
l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale
contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale
ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di
edificare in determinate aree.
La giurisprudenza ha affermato che “è legittimo il
diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria
relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della
c.d. fascia di servitù idraulica atteso che il divieto di
costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi
d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96, lett. f), r.d.
25.07.1904 n. 523, ha carattere assoluto ed inderogabile;
pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in
contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 l.
28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i
vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi
in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in
determinate aree” (Consiglio Stato, sez. V, 26.03.2009,
n. 1814)
(TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI
LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del
04.11.2010, "Modifica delle dd.g.r. nn.
7868/2002, 13950/2003, 8943/2007 e 8127/2008, in
materia di canoni demaniali di polizia idraulica"
(deliberazione
G.R. 26.10.2010 713). |
EDILIZIA
PRIVATA: Intendendosi
per «sponda» il confine naturale dell’ordinaria portata
dell’acqua nelle sue variazioni stagionali e per «argini» le
barriere esterne, per lo più artificiali, erette a ulteriore
difesa del territorio per il caso di piene eccezionali,
l’esigenza di evitare soluzioni del tutto arbitrarie impone
di assegnare ai due termini un significato equivalente e
quindi di assumere a riferimento principale la «sponda» e la
funzione a questa connessa, con la conseguenza che la fascia
di protezione di 150 metri va misurata dal limite di piena
ordinaria del corso d’acqua, sia esso coincidente con il
ciglio di sponda sia esso coincidente con il piede esterno
dell’argine, mentre restano a tal fine estranee le barriere
protettive preordinate a contrastare le piene straordinarie.
Appare necessario definire la
portata dell’art. 142, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 42
del 2004, che sottopone a vincolo paesaggistico “…i
fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi
previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11
dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli
argini per una fascia di 150 metri ciascuna …”.
La giurisprudenza ha chiarito che, intendendosi per «sponda»
il confine naturale dell’ordinaria portata dell’acqua nelle
sue variazioni stagionali e per «argini» le barriere
esterne, per lo più artificiali, erette a ulteriore difesa
del territorio per il caso di piene eccezionali, l’esigenza
di evitare soluzioni del tutto arbitrarie impone di
assegnare ai due termini un significato equivalente e quindi
di assumere a riferimento principale la «sponda» e la
funzione a questa connessa, con la conseguenza che la fascia
di protezione di 150 metri va misurata dal limite di piena
ordinaria del corso d’acqua, sia esso coincidente con il
ciglio di sponda sia esso coincidente con il piede esterno
dell’argine, mentre restano a tal fine estranee le barriere
protettive preordinate a contrastare le piene straordinarie
(v. TAR Friuli Venezia Giulia 10.05.2007 n. 339).
Si tratta di orientamento conforme ad un consolidato
indirizzo del giudice ordinario, formatosi in relazione alle
corrispondenti norme contenute nell’art. 1 del decreto-legge
n. 312 del 1985 (integrativo dell’art. 82 del d.P.R. n.
616/1977) e nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999,
orientamento da cui il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi.
Va solo aggiunto che, per trattarsi di un vincolo
paesaggistico ex lege, eventuali criteri diversi (da
quello della c.d. “piena ordinaria”) contenuti in
norme secondarie –quale il «piano territoriale di
coordinamento provinciale» richiamato nella circostanza
dall’Amministrazione comunale– cedono di fronte alla
disciplina di rango primario, che prevale sulle altre previa
loro disapplicazione da parte del giudice chiamato a
risolvere la controversia
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 15.09.2010 n. 435 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
divieto di costruzione di opere ad una determinata distanza
dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’art. 96, lett.
f), t.u. 25.07.1904, n. 523, è inderogabile (…).
In tema di tutela dei corpi idrici superficiali, l’art. 133
r.d. n. 368 del 1904, che impone una fascia di rispetto
lungo i canali, comprende il divieto di qualunque
costruzione, allo scopo di consentire le normali operazioni
di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le
esondazioni delle acque.
Tale previsione è ampia e generale (…) e non consente
neppure di dare rilievo alla conformazione del corpo
superficiario, e cioè al fatto che esso si presenti con
argini o sponde, atteso che, per il rispetto della fascia
considerata, è vietata qualsiasi costruzione e persino
qualunque deposito di terre o di altre materie, a distanza
di metri dieci dal corso d’acqua.
“Il divieto di costruzione
di opere ad una determinata distanza dagli argini dei corsi
d’acqua, previsto dall’art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904,
n. 523, è inderogabile (…).
In tema di tutela dei corpi idrici superficiali, l’art. 133
r.d. n. 368 del 1904, che impone una fascia di rispetto
lungo i canali, comprende il divieto di qualunque
costruzione, allo scopo di consentire le normali operazioni
di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le
esondazioni delle acque.
Tale previsione è ampia e generale (…) e non consente
neppure di dare rilievo alla conformazione del corpo
superficiario, e cioè al fatto che esso si presenti con
argini o sponde, atteso che, per il rispetto della fascia
considerata, è vietata qualsiasi costruzione e persino
qualunque deposito di terre o di altre materie, a distanza
di metri dieci dal corso d’acqua” (Consiglio di Stato,
IV, 23.07.2009, n. 4663)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 10.09.2010 n. 5656 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ampliamento di un immobile sito in
prossimità di un corso d’acqua.
E’ chiesto parere in merito all’assentibilità di intervento
edilizio consistente nell’ampliamento di un immobile
preesistente a distanza inferiore a 100 metri da un corso
d’acqua (Regione Piemonte,
parere n. 40/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certamente non si può sostenere che il vincolo idraulico ex
art. 96, lett. f), del RD 523/1904 sia derogabile
semplicemente per effetto degli usi locali.
La norma ha, al
contrario, la finalità di interrompere la pericolosa tendenza
a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a
tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione
preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che
potrebbero derivare dalle esondazioni.
La natura degli
interessi pubblici tutelati fa ritenere che il vincolo operi
con un effetto conformativo particolarmente ampio
determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di
rispetto.
Sfuggono a questa regola solo le costruzioni che abbiano
un’oggettiva funzione ambientale di filtro per i solidi
sospesi e gli inquinanti, di stabilizzazione delle sponde e
di conservazione della biodiversità.
---------------
Nel caso in esame tuttavia non possono essere trascurate le
conseguenze derivanti dal rilascio della licenza edilizia e
dal decorso del tempo.
In particolare il titolo edilizio, benché illegittimo per
contrasto con il preesistente vincolo idraulico, cambia la
situazione giuridica dell’immobile, in quanto elimina la
presenza formale dell’abuso.
Il carattere abusivo si concentra quindi sugli interventi di
ristrutturazione e ampliamento. Occorre peraltro precisare
che le innovazioni non hanno condotto a un organismo
edilizio radicalmente diverso, e dunque non vi è stata
alcuna soluzione di continuità rispetto al rustico
originario.
In tale contesto risulta possibile superare la questione
dell’inderogabilità del vincolo idraulico: essendovi un
radicato affidamento circa la collocazione dell’immobile
all’interno della fascia di rispetto (per via della licenza
edilizia e del tempo trascorso) la medesima aspettativa si
estende alle opere successive, che possono essere intese
come interventi pertinenziali.
Questa soluzione è coerente con alcune indicazioni
provenienti sia dalla disciplina speciale sul condono sia
dai principi in materia di abusi edilizi.
Da un lato l’art. 32, comma 5, della legge 47/1985 ammette
il condono degli abusi sulle aree demaniali estendendo la
sanatoria alle “pertinenze strettamente necessarie”. In
questo modo viene evidenziato il favore legislativo per una
soluzione unitaria che eviti la coesistenza nello stesso
immobile di situazioni sanabili e altre insanabili. Il
carattere positivo di questa regola e le esigenze di
razionalizzazione urbanistica che ne sono alla base
permettono di utilizzare la norma anche al di fuori del caso
specifico.
Dall’altro lato l’art. 11 della legge 47/1985 (v. ora l’art.
38 del DPR 06.06.2001 n. 380) prevede che nell’ipotesi di
annullamento del titolo edilizio la remissione in pristino
di quanto edificato sulla base del suddetto titolo possa
essere motivatamente sostituita da una sanzione pecuniaria
con effetto sanante.
Il caso in esame può essere confrontato con questa
fattispecie. In effetti se un fabbricato (previa valutazione
dell’interesse pubblico) può evitare la demolizione
nonostante l’annullamento del relativo titolo edilizio, non
vi sono motivi per negare il condono a un edificio che sia
in parte conforme a un titolo edilizio illegittimo ma ancora
efficace, qualora in un lungo periodo di tempo non sia stato
individuato alcun interesse pubblico all’annullamento di
tale titolo.
---------------
... per l'annullamento:
- del provvedimento del responsabile dell’Area Gestione Territorio
prot. n. 8854 del 21.07.1998, con il quale è stato
comunicato il pronunciamento sfavorevole sulla richiesta di
condono edilizio;
- dell’ordinanza del responsabile del Settore Lavori Pubblici n.
1130 del 12.09.1998, con la quale è stata ingiunta la
demolizione delle opere abusive;
- del parere negativo espresso dal responsabile del Servizio
Provinciale Genio Civile della Regione in data 06.04.1995;
...
1. Il ricorrente Ed.Cr. è proprietario per successione
ereditaria dal padre Do.Cr. di un rustico realizzato da
quest’ultimo nel 1962 nella frazione Corti S. Rocco del
Comune di Costa Volpino. L’edificio si trova a meno di 10
metri dall’argine del torrente Supine e quindi rientra nella
fascia sottoposta al vincolo di inedificabilità di cui
all’art. 96, lett. f), del RD 25.07.1904 n. 523.
2. La costruzione dell’edificio era stata assentita mediante
licenza edilizia. Il documento non è stato prodotto in
giudizio in quanto il ricorrente non ne è mai venuto in
possesso.
L’esistenza del titolo edilizio può tuttavia desumersi dai
seguenti elementi: (a) progetto del geom. Ma.Zu. del
03.11.1962; (b) verbale della riunione della commissione
edilizia del 12.12.1962, che al punto 2 approva il progetto
del rustico presentato da Donato Cretti; (c) nulla-osta agli
effetti tributari rilasciato il 16.11.1962 dall’Ufficio
Imposte di Consumo di Costa Volpino per l’inizio dei lavori
edilizi (v. art. 39 del RD 14.09.1931 n. 1175).
3. Nel 1964-1965 il ricorrente ha eseguito abusivamente dei
lavori interni ed esterni trasformando il rustico in
edificio residenziale. In data 30.05.1986 il ricorrente ha
poi presentato domanda di condono ai sensi degli art. 31-44
della legge 28.02.1985 n. 47. Non avendo all’epoca la
materiale disponibilità dei documenti indicati sopra al
punto 2 il ricorrente ha chiesto il condono sia con
riferimento alla costruzione del rustico sia relativamente
alla trasformazione dello stesso in edificio residenziale
(nella domanda si afferma che il fabbricato era stato
costruito in assenza di licenza edilizia). Peraltro una
volta acquisita la suddetta documentazione, nel luglio 1998,
il ricorrente ha avvertito (ma solo verbalmente) l’ufficio
tecnico comunale.
4. In considerazione del vincolo idraulico il Comune ha
interpellato il Servizio Provinciale Genio Civile della
Regione, che mediante parere del responsabile della
struttura del 06.04.1995 si è espresso negativamente circa
la possibilità di condono. La motivazione è che, non essendo
l’edificio assentibile fin dall’inizio, non sarebbe
possibile neppure l’applicazione della normativa sul
condono, tenuto conto dei limiti imposti dagli art. 32 e 33
della legge 47/1985.
Sulla base di questo parere la commissione edilizia ha
escluso il riconoscimento del condono, e il responsabile
dell’Area Gestione Territorio con nota del 21.07.1998 ha
dato rilievo esterno a tale posizione decretando così la
reiezione della domanda del ricorrente. A questo ha fatto
seguito l’ordinanza del responsabile del Settore Lavori
Pubblici del 12.09.1998, con la quale è stata ingiunta la
demolizione delle opere abusive.
5. Contro i suddetti provvedimenti il ricorrente ha
presentato impugnazione con atto notificato il 13.11.1998 e
depositato il 04.12.1998. Le censure contengono plurimi
profili che possono essere sintetizzati nei seguenti vizi:
(i) travisamento dei fatti (non avendo l’amministrazione
tenuto conto della licenza edilizia e del tempo trascorso);
(ii) erronea applicazione dell’art. 96, lett. f), del RD
523/1904 (che potrebbe essere derogato quando, come avviene
nel Comune di Costa Volpino, vi sia un’antica consuetudine
locale relativa all’edificazione in prossimità dei
torrenti).
Il Comune e la Regione non si sono costituiti in giudizio.
6. Gli argomenti proposti nel ricorso sono condivisibili
solo in parte, ma in misura sufficiente a giungere a una
sentenza di accoglimento.
Certamente non si può sostenere che il vincolo idraulico ex
art. 96, lett. f), del RD 523/1904 sia derogabile
semplicemente per effetto degli usi locali. La norma ha al
contrario la finalità di interrompere la pericolosa tendenza
a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a
tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione
preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che
potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli
interessi pubblici tutelati fa ritenere che il vincolo operi
con un effetto conformativo particolarmente ampio
determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di
rispetto (v. CS Sez. V 26.03.2009 n. 1814).
Sfuggono a questa regola solo le costruzioni che abbiano
un’oggettiva funzione ambientale di filtro per i solidi
sospesi e gli inquinanti, di stabilizzazione delle sponde e
di conservazione della biodiversità (v. art. 115 del Dlgs.
03.04.2006 n. 152).
7. Nel caso in esame tuttavia non possono essere trascurate
le conseguenze derivanti dal rilascio della licenza edilizia
(v. sopra al punto 2) e dal decorso del tempo. In
particolare il titolo edilizio, benché illegittimo per
contrasto con il preesistente vincolo idraulico, cambia la
situazione giuridica dell’immobile, in quanto elimina la
presenza formale dell’abuso, almeno in relazione al rustico
originario.
Il carattere abusivo si concentra quindi sugli
interventi di ristrutturazione e ampliamento (quest’ultimo
emerge confrontando il progetto iniziale con quello allegato
alla domanda di condono). Occorre peraltro precisare che le
innovazioni non hanno condotto a un organismo edilizio
radicalmente diverso, e dunque non vi è stata alcuna
soluzione di continuità rispetto al rustico originario.
8. In tale contesto risulta possibile superare la questione
dell’inderogabilità del vincolo idraulico: essendovi un
radicato affidamento circa la collocazione dell’immobile
all’interno della fascia di rispetto (per via della licenza
edilizia e del tempo trascorso) la medesima aspettativa si
estende alle opere successive, che possono essere intese
come interventi pertinenziali.
Questa soluzione è coerente con alcune indicazioni
provenienti sia dalla disciplina speciale sul condono sia
dai principi in materia di abusi edilizi.
Da un lato l’art. 32, comma 5, della legge 47/1985
ammette il condono degli abusi sulle aree demaniali
estendendo la sanatoria alle “pertinenze strettamente
necessarie”. In questo modo viene evidenziato il favore
legislativo per una soluzione unitaria che eviti la
coesistenza nello stesso immobile di situazioni sanabili e
altre insanabili. Il carattere positivo di questa regola e
le esigenze di razionalizzazione urbanistica che ne sono
alla base permettono di utilizzare la norma anche al di
fuori del caso specifico.
Dall’altro lato l’art. 11 della legge 47/1985 (v. ora
l’art. 38 del DPR 06.06.2001 n. 380) prevede che
nell’ipotesi di annullamento del titolo edilizio la
remissione in pristino di quanto edificato sulla base del
suddetto titolo possa essere motivatamente sostituita da una
sanzione pecuniaria con effetto sanante.
Il caso in esame può essere confrontato con questa
fattispecie. In effetti se un fabbricato (previa valutazione
dell’interesse pubblico) può evitare la demolizione
nonostante l’annullamento del relativo titolo edilizio, non
vi sono motivi per negare il condono a un edificio che sia
in parte conforme a un titolo edilizio illegittimo ma ancora
efficace, qualora in un lungo periodo di tempo non sia stato
individuato alcun interesse pubblico all’annullamento di
tale titolo.
9. Il ricorso deve quindi essere accolto con il conseguente
annullamento degli atti impugnati. Occorre precisare che la
possibilità di applicare la sanatoria edilizia non attenua i
poteri di polizia idraulica dell’amministrazione a tutela
del reticolo idrico, compresa la facoltà di imporre
interventi di sistemazione dell’edificio e dell’area
circostante.
In considerazione dell’originaria formulazione della domanda
di condono, che faceva riferimento a un abuso integrale
indirizzando in questo senso le valutazioni del Comune, è
possibile disporre la compensazione delle spese tra le parti (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.02.2010 n. 986 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio - Vincolo Idraulico - Titolo edilizio
illegittimo efficace - Decorso del tempo - Affidamento -
opere successive pertinenziali - Condono edilizio -
Sussiste.
2. Abuso edilizio - Titolo edilizio illegittimo - Decorso
del tempo - Affidamento - Condono edilizio - Sussiste.
1.
Benché il vincolo idraulico ex art. 96, lett. f), del RD
523/1904 non sia derogabile semplicemente per effetto degli
usi locali, è possibile superarne l'inderogabilità in
ipotesi di radicato affidamento circa la collocazione di
immobile all'interno della fascia di rispetto (per licenza
edilizia illegittima ma ancora efficace e tempo trascorso)
ed in tal caso la medesima aspettativa può estendersi alle
opere successive, se intese come interventi pertinenziali.
2.
Se un fabbricato (previa valutazione dell'interesse
pubblico) può evitare la demolizione nonostante
l'annullamento del relativo titolo edilizio, non vi sono
motivi per negare il condono a un edificio che sia in parte
conforme a un titolo edilizio illegittimo ma ancora
efficace, qualora in un lungo periodo di tempo non sia stato
individuato alcun interesse pubblico all'annullamento di
tale titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.02.2010 n. 986 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n.
42 del 16.10.2008, "Modifica del reticolo
idrico principale determinato con la d.g.r.
7868/2002" (deliberazione
G.R. 01.10.2008 n. 8127). |
EDILIZIA PRIVATA:
ACQUA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Art. 142
d.lgs. n. 42/2004 - Fiumi, torrenti e corsi d’acqua -
Vincolo paesaggistico - Fiumi e torrenti - Imposizione del
vincolo ex lege - Iscrizione negli elenchi delle acque
pubbliche - Necessità per i soli corsi d’acqua diversi da
fiumi e torrenti.
L’art. 142 del D.Lgs. n. 42 del 2004, nella parte in cui dispone che “sono
comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle
disposizioni di questo titolo ... i fiumi, i torrenti, i
corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal … regio
decreto 11.12.1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi
degli argini per una fascia di 150 metri” va
interpretato nel senso che solo per le acque fluenti di
minori dimensioni ed importanza, vale a dire per i corsi
d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, ai
fini della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli
elenchi delle acque pubbliche.
Quanto ai fiumi e torrenti, il requisito della pubblicità
esiste di per sé (ex art. 822 c.c.) ed anche il vincolo
paesaggistico è imposto ex lege senza necessità di
iscrizione negli elenchi. Tale interpretazione è avvalorata
dalla modifica apportata dal legislatore al testo dell’art.
146 del d.lgs. n. 490/1999, che operava riferimento a “i
fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua iscritti…”.
La scomparsa della congiunzione ed e l’inserimento al suo
posto di una virgola, quale segno di separazione, risulta
indicativa della volontà del legislatore di evidenziare una
cesura tra le diverse tipologie di acque fluenti e, per
l’effetto, di sottolineare con maggiore evidenza che il
requisito della iscrizione è riferito ai soli corsi d’acqua
diversi dai fiumi e dai torrenti.
ACQUA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Denominazione ufficiale di fiume o torrente - Successiva
perdita delle caratteristiche proprie della categoria -
Irrilevanza - Verifica sostanziale - Limiti.
La denominazione ufficiale di fiume o torrente, in quanto
frutto dell’accertamento, da parte di soggetti qualificati,
delle caratteristiche proprie della categoria non è dato
liberamente disapplicabile. Una volta qualificato
ufficialmente, il bene risulta vincolato, irrilevante
essendo il dato sostanziale della mancanza ovvero della
perdita delle caratteristiche proprie della categoria. Tali
elementi rilevano, al fine del venir meno del vincolo, solo
all’esito di un peculiare procedimento amministrativo di
declassificazione.
La verifica sostanziale, pertanto, è consentita solo quando
manchi una denominazione ufficiale ovvero quando questa sia
contraddittoria, perplessa o ancora quando, in presenza di
una pluralità di denominazioni, non sia certa l’appartenenza
di uno specifico tratto del corso d’acqua all’una o
all’altra qualificazione (fattispecie relativa ad un corso
d’acqua per un tratto denominato nelle carte IGM “torrente”
e per un tratto “fosso”) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 18.07.2008 n. 2172 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
divieto di costruzione di manufatti ad una certa distanza
dagli argini dei corsi d’acqua, contenuto nell’art. 96,
lett. f), del R.D. 25.07.1904 n. 523, ha carattere
inderogabile e si riferisce sia all’ipotesi in cui esistano
veri e propri manufatti sia a quella in cui i corsi d’acqua
siano provvisti di argini naturali.
Il divieto di costruzione di
manufatti ad una certa distanza dagli argini dei corsi
d’acqua, contenuto nell’art. 96, lett. f), del R.D.
25.07.1904 n. 523 (testo unico sulle opere idrauliche), ha
carattere inderogabile e si riferisce sia all’ipotesi in cui
esistano veri e propri manufatti sia a quella in cui i corsi
d’acqua siano provvisti di argini naturali (Consiglio di
Stato, Sez. I, sent. n. 200 del 10.06.1988)
(TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 07.03.2008 n. 267 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Divieto di edificazione previsto dall'art. 96, lett.
f) R.D. 523/1904 - Possibilità di deroga da parte della
normativa edilizia locale - Sussiste solo nel caso in cui la
normativa locale sia finalizzata a salvaguardare il regime
idraulico.
L'art. 96 lett. f) del R.D. n. 523/1904 prevede, tra
l'altro, il divieto di edificare ad una distanza inferiore a
10 metri dal piede degli argini dei corsi d'acqua, ed
ammette la deroga quando la materia sia contemporaneamente
disciplinata da normative locali.
Si impone tuttavia puntualizzare che tra tali normative
derogatorie sono comprese anche quelle contemplate dai Piani
Regolatori Generali e dai Regolamenti Edilizi, e che
tuttavia solo se lo scopo dell'attività costruttiva lungo il
corso d'acqua è quello specifico di salvaguardarne il regime
idraulico la disciplina locale assume valenza derogatoria
della norma statale, in quanto meglio ne attua l'interesse
pubblico perseguito. In caso contrario, qualora la norma
locale si proponesse finalità diverse, quali sono ad es.
quelle meramente urbanistiche, essa non derogherebbe alla
citata disciplina statale che -in quanto informata a
tutelare il buon regime delle acque pubbliche nonché a
prevenire i danni che possono derivare da una disordinata
attività costruttiva e manutentiva lungo i corsi d'acqua-
impone divieti da qualificarsi come tassativi (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza
13.06.2007 n. 540
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanza delle costruzioni di 150 metri dalle sponde
dei fiumi - Ex art. 142, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 42/2004
- Nozione di "sponda" - Individuazione.
La distanza di 150 metri, prevista dall’art. 142, comma 1,
lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004 dalle sponde o piedi degli
argini dei fiumi, deve essere determinata riferendosi alla
delimitazione effettiva del corso d’acqua, partendo dal
ciglio di sponda o dal piede esterno dell’argine, solo
quando quest’ultimo esplichi una funzione analoga alla
sponda nel contenere le acque di piena ordinaria; pertanto,
nella prospettiva di un equo contemperamento tra interesse
pubblico e interesse dei privati proprietari, è al termine
"sponda" che occorre fare riferimento, intendendo per sponda
il confine naturale della ordinaria portata dell’acqua, a
differenza degli argini, che costituiscono barriere esterne
per lo più artificiali, erette a difesa del territorio
nell’ipotesi del verificarsi di piene eccezionali (TAR
Friuli Venezia Giulia, Sez. I,
sentenza 10.05.2007 n. 339
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione in sanatoria nella
fascia di rispetto di mt. 10 dei corsi
d'acqua.
Secondo quanto enunciato nella richiesta di
parere del Comune XXX, i termini della
questione sono i seguenti:
= in data 23.02.2004 è stato rilasciato un
permesso di costruire (n. 543/2004) avente
ad oggetto l’intervento di ristrutturazione
edilizia di un fabbricato ad uso civile
abitazione;
= iniziati i lavori, a causa delle
condizioni dell’immobile, la costruzione è
pressoché integralmente crollata;
= la proprietà ha proceduto nei lavori di
ristrutturazione, ormai concretatisi nella
sostanziale ricostruzione dell’immobile,
senza acquisire dal Comune un titolo
abilitativo edilizio che approvasse i lavori
predetti, divenuti diversi da quelli
originariamente assentiti;
= tali lavori, con ordinanza del 09.10.2004,
sono stati conseguentemente sospesi;
= la proprietà ha quindi presentato al
Comune domanda di rilascio di permesso di
costruire in sanatoria;
= l’immobile ricade in area sottoposta a
vincolo paesaggistico, ai sensi del D.Lvo
42/2004; il 05.04.2007 è stata accertata e
dichiarata la compatibilità paesaggistica
dell’intervento, così come previsto
dall’articolo 167 del citato decreto;
= il fabbricato risulta però ricadere anche
all’interno della fascia di rispetto di cui
al R.D. 523/1904, essendo posto a ridosso di
un corso d’acqua denominato Rio XXX.
In relazione a quest’ultimo dato, viene
richiesto se sia legittimo rilasciare il
permesso di costruire in sanatoria, stante
il fatto che la ricostruzione del fabbricato
non rispetta la distanza prevista
dall’articolo 96, lettera f), del citato
regio decreto.
In termini ancora più espliciti, il dubbio
che si pone è se alla luce dell’intervenuto
crollo del fabbricato si possa procedere
alla riedificazione sul medesimo sedime, e
quindi ad una distanza dall’argine del corso
d’acqua inferiore a quella prevista dalla
legge, o se –invece- la costruzione debba
essere arretrata a dieci metri dall’argine
stesso
(Regione
Piemonte,
parere n. 107/2007 -
tratto da
www.regione.piemonte.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Corso d'acqua - Esecuzione di
opere di difese spondili - Testo unico delle
leggi sulle opere idrauliche R.D. 523/1904 -
Divieti di cui all’art. 96, c. 1, lett. f) e
lett. G) - Reato di pericolo e di danno -
Differenza - Accertamento - Configurabilità
- Fondamento.
Ha natura di reato di pericolo, il reato di
cui all'art. 96, lett. f), del R.D.
25.07.1904 n. 523 che vieta “le
piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche,
gli scavi e lo smovimento del terreno a
distanza dal piede degli argini e loro
accessori minore di quella stabilita dalle
discipline vigenti nelle diverse località,
ed in mancanza di tali discipline, a
distanza minore di metri quattro per le
piantagioni e smovimento del terreno e di
metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Sicché, per la sussistenza della fattispecie
contravvenzionale, essendo puniti
comportamenti ritenuti dal legislatore
potenzialmente lesivi dell'assetto
idrogeologico del territorio e, quindi, del
corrispondente interesse pubblico, non
occorre l'ulteriore verifica che l'azione
illecita abbia recato nocumento all'alveo
del corso d'acqua o alle sue sponde. Mentre,
configura un'ipotesi di reato di danno, ai
sensi del R.D. 25.07.1904, n. 523, art. 96,
comma 1, lett. g), del cui disposto è
sanzionata l'esecuzione di "qualunque
opera o fatto che possa alterare lo stato la
forma, le dimensioni, la resistenza e la
convenienza all'uso, a cui sono destinati
gli argini e loro accessori, e manufatti
attinenti".
In questi casi, per la configurazione del
reato, sussiste la necessità di un concreto
accertamento del danno arrecato agli argini
e loro accessori, dovendosi escludere la
sussistenza del reato ogniqualvolta
l'esecuzione delle opere non abbia alterato
in alcun modo il regime del corso d'acqua
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.11.2006 n. 36502 -
link a www.ambientediritto.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: E.
Ratto,
Risorse idriche: la normativa
- W. Fumagalli,
L’edificazione lungo i corsi d’acqua
(AL n. 5/2005). |
EDILIZIA PRIVATA:
Acqua - Fiumi e corsi d’acqua -
Art. 96, lett. f), R.D. 523/1904 - Divieto
di costruzione sull’argine - Ratio.
Il divieto di costruzione nella fascia di 10
metri dagli argini dei corsi d’acqua
pubblici -di cui all’art. 96, lett. f, del
R.D. 25.7.04 n. 523- tende ad evitare che la
realizzazione di manufatti alteri lo stato
attuale degli elementi e delle pertinenza
idriche, sia per conservarne la sagoma
effettiva, sia per permettere il necessario
controllo dell’andamento del bacino, e ciò
sia nel suo assetto sia nel naturale
deflusso delle acque.
Inoltre la mancanza di fabbricati nei pressi
dei corsi d’acqua è utile a consentire una
tempestiva e libera effettuazione dei lavori
di manutenzione e di riparazione che possono
occorrere sulle opere idrauliche esistenti
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 01.03.2005 n. 304 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 35 del
28.08.2003, "Modifica della d.g.r. 25.01.2002 n.
7868 «Determinazione del reticolo idrico principale.
Trasferimento delle funzioni relative alla polizia
idraulica concernenti il reticolo idrico minore come
indicato dall'art. 3, comma 114, della l.r. 1/2000.
Determinazione dei canoni regionale di polizia
idraulica»" (deliberazione
G.R. 01.08.2003 n. 13950). |
anno 2002 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del
30.12.2002, "Approvazione dei criteri e
disciplinari tipo di polizia idraulica concernenti
autorizzazioni ai soli fini idraulici e concessioni
di aree demaniali - D.G.R. n. 7868 del 25.01.2002"
(decreto
D.G. 13.12.2002 n. 25125). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 18 del
29.04.2002, "Rettifica del dispositivo di cui al
punto 1 dell'allegato C alla d.g.r. n. 7868 del
25.01.2002 «Determinazione del reticolo principale.
Trasferimento delle funzioni relative alla polizia
idraulica concernenti il reticolo idrico minore come
indicato dall'art. 3, comma 114, della l.r. 1/2000.
determinazione dei canoni regionali di polizia
idraulica»" (deliberazione
G.R. 12.04.2002 n. 8743). |
EDILIZIA PRIVATA: I
fiumi e i torrenti sono soggetti a tutela paesistica di per
sé stessi, e a prescindere dalla iscrizione negli elenchi
delle acque pubbliche.
Solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti la
iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche ha efficacia
costitutiva del vincolo paesaggistico.
---------------
Sul piano letterale, l’art. 82, comma 5, lett. c), D.P.R.
24.07.1977, n. 616, introdotto dal D.L. 27.06.1985, n. 312,
conv. nella L. 08.08.1985, n. 431, assoggetta a tutela <<i
fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi
di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11.12.1933,
n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una
fascia di 150 metri ciascuna>>.
La previsione è stata riprodotta, con formulazione identica,
nell’art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 29.10.1999, n. 490,
testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali
e ambientali, a norma del quale sono soggetti a tutela: <<i
fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi
previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto
11.12.1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli
argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>.
La collocazione delle virgole e delle congiunzioni tra le
parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>> non è di
per sé significativa e dirimente, al fine dell’accogliere la
tesi che riferisce la iscrizione in elenco ai soli corsi
d’acqua ovvero anche ai fiumi e ai torrenti.
Occorre piuttosto soffermarsi sul significato delle parole
<<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>>, che va desunto
dal sistema normativo complessivo, in cui si inserisce la
previsione in commento, e dal significato letterale delle
parole utilizzate.
Sul piano strettamente letterale, il dato comune a fiumi,
torrenti e corsi d’acqua, è di essere acque <<fluenti>>.
Si può anche aggiungere che a rigore i <<corsi d’acqua>>
sono un genere, in cui si collocano, quali specie, i fiumi e
i torrenti.
Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana,
si apprende, infatti, che:
- il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo scorrere
delle acque in movimento>>, ed è il <<nome generico di
fiumi, torrenti, etc..>>;
- il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente perenne>>;
- mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua caratterizzato
da notevoli variazioni di regime, con periodi in cui scorre
gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi completamente
secco>>.
Se, dunque, anche i fiumi e i torrenti sono corsi d’acqua,
ci si deve interrogare sulla ragione di una loro autonoma
previsione accanto ai corsi d’acqua: sarebbe stato
sufficiente, da parte del legislatore, prevedere i soli
corsi d’acqua, salvo poi ad optare per la necessità o meno
della iscrizione nell’elenco delle acque pubbliche.
La previsione autonoma assume allora una sola, plausibile
spiegazione: si è pensato ai fiumi e ai torrenti come acque
fluenti di maggiore importanza, e ai corsi d’acqua come
categoria residuale, comprensiva delle acque fluenti di
minore portata (p. es. ruscelli (<<piccolo corso d’acqua>>),
fiumicelli (<<piccolo fiume>>), sorgenti (<<punto di
affioramento di una falda d’acqua>>), fiumare (<<corso
d’acqua a carattere torrentizio>>), etc..).
In tale logica, solo per le acque fluenti di minori
dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che
non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro
rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle
acque pubbliche.
---------------
Ulteriori argomenti esegetici a sostegno di tale tesi si
colgono sul piano della interpretazione sistematica.
Il testo unico delle acque pubbliche, approvato con R.D.
11.12.1933, n. 1775, all’art. 1 stabilisce che <<Sono
pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche
se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o
incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la
loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino
imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale
appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di
pubblico generale interesse. Le acque pubbliche sono
iscritte, a cura del ministero dei lavori pubblici,
distintamente per province, in elenchi da approvarsi per
decreto reale, su proposta del ministro dei lavori pubblici,
sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, previa
la procedura da esperirsi nei modi indicati dal
regolamento>>.
Da tale norma si evince che la pubblicità di un’acqua
discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad
uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in
elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma
non costitutiva della pubblicità.
Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio
pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti e
le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>.
Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono
considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza
necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi.
Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che
sono una categoria residuale, sono pubbliche se abbiano
attitudine ad uso pubblico di interesse generale.
In nessun caso la inserzione in elenco ha portata
costitutiva della pubblicità dell’acqua, ma solo ricognitiva
della attitudine dell’acqua all’uso pubblico di interesse
generale.
Se dunque, dal sistema normativo è dato evincere che la
iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha
portata costitutiva della natura giuridica del bene
medesimo, siffatta regola non può non essere stata seguita
dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti
a vincolo paesistico.
Significativo è poi l’uso, da parte della L. n. 431 del
1985, della stessa terminologia impiegata nell’art. 822 cod.
civ.: in entrambe le norme si parla di fiumi e torrenti,
rispetto ai quali si collocano le altre acque, per le quali
si richiede, ai fini della individuazione, la iscrizione in
elenco.
Sicché, per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi
esiste di per sé, in base all’art. 822 cod. civ., e
conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex
lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi.
Da una interpretazione letterale, logica e sistematica, si
evince che i fiumi e i torrenti sono soggetti a tutela
paesistica di per sé stessi, e a prescindere dalla
iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche.
Solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti la
iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche ha efficacia
costitutiva del vincolo paesaggistico.
Sul piano letterale, l’art. 82, comma 5, lett. c), D.P.R.
24.07.1977, n. 616, introdotto dal D.L. 27.06.1985, n. 312,
conv. nella L. 08.08.1985, n. 431, assoggetta a tutela <<i
fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi
di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11.12.1933,
n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una
fascia di 150 metri ciascuna>>.
La previsione è stata riprodotta, con formulazione identica,
nell’art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 29.10.1999, n. 490,
testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali
e ambientali, a norma del quale sono soggetti a tutela: <<i
fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi
previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto
11.12.1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli
argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>.
La collocazione delle virgole e delle congiunzioni tra le
parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi
d’acqua>> non è di per sé significativa e dirimente, al
fine dell’accogliere la tesi che riferisce la iscrizione in
elenco ai soli corsi d’acqua ovvero anche ai fiumi e ai
torrenti.
Occorre piuttosto soffermarsi sul significato delle parole
<<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>>,
che va desunto dal sistema normativo complessivo, in cui si
inserisce la previsione in commento, e dal significato
letterale delle parole utilizzate.
Sul piano strettamente letterale, il dato comune a fiumi,
torrenti e corsi d’acqua, è di essere acque <<fluenti>>.
Si può anche aggiungere che a rigore i <<corsi d’acqua>>
sono un genere, in cui si collocano, quali specie, i fiumi e
i torrenti.
Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana,
si apprende, infatti, che:
- il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo
scorrere delle acque in movimento>>, ed è il <<nome
generico di fiumi, torrenti, etc..>>;
- il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente
perenne>>;
- mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua
caratterizzato da notevoli variazioni di regime, con periodi
in cui scorre gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi
completamente secco>>.
Se, dunque, anche i fiumi e i torrenti sono corsi d’acqua,
ci si deve interrogare sulla ragione di una loro autonoma
previsione accanto ai corsi d’acqua: sarebbe stato
sufficiente, da parte del legislatore, prevedere i soli
corsi d’acqua, salvo poi ad optare per la necessità o meno
della iscrizione nell’elenco delle acque pubbliche.
La previsione autonoma assume allora una sola, plausibile
spiegazione: si è pensato ai fiumi e ai torrenti come acque
fluenti di maggiore importanza, e ai corsi d’acqua come
categoria residuale, comprensiva delle acque fluenti di
minore portata (p. es. ruscelli (<<piccolo corso d’acqua>>),
fiumicelli (<<piccolo fiume>>), sorgenti (<<punto
di affioramento di una falda d’acqua>>), fiumare (<<corso
d’acqua a carattere torrentizio>>), etc..).
In tale logica, solo per le acque fluenti di minori
dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che
non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro
rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle
acque pubbliche.
Ulteriori argomenti esegetici a sostegno di tale tesi si
colgono sul piano della interpretazione sistematica.
Il testo unico delle acque pubbliche, approvato con R.D.
11.12.1933, n. 1775, all’art. 1 stabilisce che <<Sono
pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche
se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o
incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la
loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino
imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale
appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di
pubblico generale interesse. Le acque pubbliche sono
iscritte, a cura del ministero dei lavori pubblici,
distintamente per province, in elenchi da approvarsi per
decreto reale, su proposta del ministro dei lavori pubblici,
sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, previa
la procedura da esperirsi nei modi indicati dal regolamento>>.
Da tale norma si evince che la pubblicità di un’acqua
discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad
uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in
elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma
non costitutiva della pubblicità.
Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio
pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti
e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>.
Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono
considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza
necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi.
Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che
sono una categoria residuale, sono pubbliche se abbiano
attitudine ad uso pubblico di interesse generale.
In nessun caso la inserzione in elenco ha portata
costitutiva della pubblicità dell’acqua, ma solo ricognitiva
della attitudine dell’acqua all’uso pubblico di interesse
generale.
Se dunque, dal sistema normativo è dato evincere che la
iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha
portata costitutiva della natura giuridica del bene
medesimo, siffatta regola non può non essere stata seguita
dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti
a vincolo paesistico.
Significativo è poi l’uso, da parte della L. n. 431 del
1985, della stessa terminologia impiegata nell’art. 822 cod.
civ.: in entrambe le norme si parla di fiumi e torrenti,
rispetto ai quali si collocano le altre acque, per le quali
si richiede, ai fini della individuazione, la iscrizione in
elenco.
Sicché, per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi
esiste di per sé, in base all’art. 822 cod. civ., e
conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex
lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi.
Ne consegue, nel caso di specie, che il Testene, in quanto
fiume, è soggetto a tutela paesaggistica per legge, e non
occorre perciò verificare se sia o meno inserito in elenchi
delle acque pubbliche
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.02.2002 n. 657). |
anno 2000 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Beni
pubblici - Demanio idrico - Opere di
manutenzione degli argini e dell'alveo di un
corso d'acqua - Spettano alla P.A.
Ai proprietari dei fondi latistanti incombe
l'obbligo (ex art. 12 R.D. n. 523/1904) solo
della costruzione delle opere a difesa dei
loro beni, mentre spetta all'autorità
amministrativa (ex art. 2 T.U. n. 523/1904)
di provvedere al mantenimento delle
condizioni di regolarità dei ripari degli
argini, sicché fa carico alla pubblica
autorità provvedere alla manutenzione
dell'argine di un torrente, appartenente al
demanio, con conseguente responsabilità
della stessa per i danni derivanti
dall'omissione di tale manutenzione (massima
tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza
23.02.2000 n. 323 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1994 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Distanza
dai corsi d'acqua.
Il divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.07.1904, n.
523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche) appare
riferito ad opere e atti che investono gli alvei delle acque
pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo spazio soggiacente
alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti
con l'alveo del corso d'acqua una unità inscindibile per il
contenimento e l'economia di scorrimento delle acque, o,
comunque, le opere e i fatti che incidano sull'economia e
sul regime dell'alveo del corso d'acqua, come sopra
definito.
Ciò è confermato dalle disposizioni degli artt. 57 e 58
stesso t.u., le quali -mentre assoggettano al controllo
della pubblica amministrazione "i progetti per
modificazioni di argini e per costruzioni e modificazioni di
altre opere di qualsiasi genere che possono direttamente o
indirettamente influire sul regime dei corsi d'acqua, ecc."
(art. 57)- consentono una eccezione per "le opere
eseguite dai privati per semplice difesa, aderente alle
sponde dei loro beni, che non alterino in alcun modo il
regime dell'alveo" (art. 58) (nella specie, relativa
ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perché
il fatto non è previsto dalla legge come reato, l'imputato,
per riparare le vasche di decantazione dell'acqua
proveniente dal lavaggio degli inerti (ghiaia e sabbia),
aveva rialzato l'argine del fiume (operando peraltro sulla
sua proprietà), e ciò non solo non aveva cagionato alcun
pregiudizio all'ambiente e al paesaggio, ma aveva rinforzato
l'argine del fiume, senza incidere sul regime dell'alveo e
sul suo assetto) (massima tratta da
www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. III
penale, sentenza 08.03.1994). |
|